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Theatrum mundi Maria Chiara Wang
Theatrum Mundi
Maria Chiara Wang
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È proprio il poeta colui che produce illusioni sceniche, le forme apparenti, i segnali rituali e cerimoniali e che contrappone ai nudi fatti iper-reali gli ‘arte-fatti’ e gli ‘ante-fatti’ (Byung-Chul Han)*
CARTE come teatro di narrazioni collocate in un tempo indefinito, cosparse di immagini drammaturgiche e scenografiche; palcoscenico per processioni coreografiche di FORME organiche e antropomorfe che rendono lo spazio semantico; VISIONI atemporali, in cui l’intuizione apre le porte ai significati celati sotto il mantello figurativo.
Chi si trova al cospetto delle opere di François Burland e di Simone Pellegrini viene sottratto al ‘qui e ora’ e proiettato in una dimensione spaziotemporale ‘altra’, complessa, misteriosa. Lo spettatore è invitato a percorrere strade meandriche e a scoprire, nell’opacità del segno, un senso proprio. Si crea così una tensione metafisica tra il soggetto e l’oggetto dell’osservazione che si scioglie nel momento in cui i vari tasselli si ricompongono in una ‘totalità comunicativa’ che parla all’inconscio collettivo e che riporta alla coscienza tracce mnestiche.
I due artisti prediligono la rappresentazione all’esposizione diretta e l’intensità semiotica dei loro lavori è tale da indurre il pubblico a una fruizione contemplativa dell’opera. Davanti alle carte di Burland e di Pellegrini ci si sofferma, si indugia per lasciare spazio all’interpretazione. Nel lento processo ermeneutico si genera il punctum, ovvero il coinvolgimento emotivo. Sono immagini seducenti che attraggano a sé per il loro aspetto arcano, segreto. Burland e Pellegrini sono artisti differenti per formazione - autodidatta il primo e accademico il secondo – e per età, ma accumunati da modalità espressive simili e dall’impronta rituale e artigianale del processo creativo. Burland predilige l’impiego della carta da pacco come supporto di buona parte della sua produzione artistica, con uno stile che ammicca al mondo della magia, del sogno e della fantasia. Ha elaborato un alfabeto simbolico composto da forme ripetute. Il suo repertorio è vario e annovera, oltre alla serie di disegni Poya, anche sculture, collage, incisioni e progetti di arte sociale e partecipativa che coinvolgono i giovani migranti.
Pellegrini imprime i propri soggetti sulla carta da spolvero, prima strappata poi nuovamente assemblata, attraverso una tecnica mista che trasla le immagini attraverso l’utilizzo della monotipia. Il suo spirito è più alchemico, esoterico. La sua sintassi è fatta di frammenti che acquistano significato nella coralità della composizione. Realizza mappe che non sono solo geografiche, ma anche mentali e culturali, caratterizzate da simboli, archetipi e riferimenti iconografici che si muovono in uno spazio fluido. Il suo stile ricorda la pittura rupestre. La produzione di Pellegrini è caratterizzata da una coerenza e da una continuità, sia stilistica che tematica, che consente l’immediata identificazione dell’autore.
* Byung-Chul Han, La società della trasparenza, Ed. Nottempo, Milano, 2016