Industrial archeology in Albania

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FIER Politecnico di Bari - Facoltà di Architettura - A.A. 2013-2014

IL PATRIMONIO INDUSTRIALE DELL’ALBANIA: ARCHITETTURE E PAESAGGI

Ipotesi di riqualificazione dell’area produttiva di Fier a cura di Mariacristina Agnello Maria Rosario Bruno Raffaella Enriquez Nico Notarnicola Andrea Paone Rossella Sardano Relatrici Prof. Arch. Anna Bruna Menghini Prof. Arch. Francesca Calace Collegio dei docenti Prof. Arch. Michele Beccu Prof. Arch. Giacomo Martines Prof. Arch. Francesco Ruggiero Tutors Prof. Arch. Spartak Bagllamaja Arch. Frida Pashako


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RINGRAZIAMENTI Ci sembra opportuno e doveroso ringraziare chi con grande impegno, pazienza e dedizione ci ha seguito in questo lavoro. Ringraziamo la professoressa Anna Bruna Menghini, per averci dato l’opportunità di sviluppare un tema così interessante e ambizioso, per averci guidati nell’attività progettuale con pazienza nonché per la fiducia riposta in noi; la professoressa Francesca Calace, per i suoi insegnamenti, l’aiuto costante e l’infinita disponibilità; il professor Michele Beccu, il quale ci ha accompagnati in questo percorso con pazienza e propositività, gli siamo grati per la sua dedizione nonostante le incomprensioni e le difficoltà; il professor Giacomo Martines, per aver così generosamente condiviso con noi le sue conoscenze e la sua positività rispetto al lavoro svolto, in ultimo ma non per importanza, il professor Francesco Ruggiero, per averci guidati in ambiti della disciplina nuovi per noi e per esserci stato sempre di supporto.

Fier: in primis al Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, Fulvia Veneziani, per averci dato supporto e ospitalità. Un sentito ringraziamento al sindaco Baftjar Zeqaj, e al vicesindaco Flamur Mato, gentilissimi e disponibilissimi, che ci hanno accolti come dei graditi ospiti non solo negli uffici comunali ma anche al di fuori di essi; ad Alba Stefa e Griselda Rushanaj, i nostri punti di riferimento in città, e ad Agron Xoxa, consigliere del presidente della Repubblica d’Albania per avere agevolato le nostre relazioni con le amministrazioni. Ringraziamo l’Ing.Thanas Merkuri e l’Ing. Feta Hyka per averci dedicato tempo prezioso guidandoci sull’area e spiegandoci pazientemente il funzionamento dell’impianto; Illir Parangoni, per averci introdotto, con passione e dedizione, al tema dell’archeologia industriale in Albania e per il materiale concessoci. Infine ringraziamo Genti e Ervis, per averci accompagnati e fatti sentire sicuri nei nostri sopralluoghi e rilievi.

Faleminderit! I Fieristi

Vorremmo inoltre ringraziare i nostri tutor, gli architetti albanesi di fondamentale supporto per il nostro progetto: Spartak Bagllamaja e Frida Pasako per l’interesse mostrato e per il supporto sia conoscitivo che pratico fornitoci sin dallo stage svolto in Albania. I nostri più sinceri ringraziamenti vanno anche a coloro che hanno agevolato il nostro lavoro a

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INDICE Il patrimonio industriale dell’Albania: architetture e paesaggi ipotesi di riqualificazione dell’area produttiva di Fier. Prefazione ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE Le tappe dell’industrializzazione La dismissione: cause ed effetti Industria e paesaggi La nascita dell’archeologia industriale. Scegliere cosa preservare Il RIUSO Archeologia industriale e riuso Valutazione e scelta Riuso: dal contesto territoriale ai manufatti Il riuso nel xx secolo Esperienze di riuso nel mondo Le infrastrutture Pratiche di riuso Riuso in Italia ALBANIA TRA INDUSTRIA E “FIL ROUGE” L’industrializzazione in Albania La deindustrializzazione Capire il significato del patrimonio industriale in Albania ERIH route in Albania, le fil rouge Schedatura di siti industriali

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Skodra lac Durazzo Tirana Rogozhine Elbasan Cerrik Lushnje Kucove Berat fier LUOGHI E PAESAGGI L’albania e il suo territorio Il concetto di area vasta e la sua pianificazione Piano strategico d’area vasta Fier. Storia e sviluppo della città La città e il fiume Fier strategica FIER: RIELIEVO ARCHITETTONICO E CARATTERI TIPOLOGICI Il processo produttivo Quel che rimane Schedatura di rilievi dell’area Caratteri tipologici: la schedatura La scelta degli edifici da conservare RESTAURO Il restauro del moderno “Principi di Dublino”, i 14 comandamenti Il restauro e la tutela dei siti industriali Riferimenti di interventi di restauro industriale La scelta degli edifici da conservare L’analisi del degrado

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SMART CITY Il futuro urbano: la smart city Come rendere Fier smart? Nuova energia per Fier PROGETTO Architettura e agricoltura Progetto e new economy I documenti di riferimento Assetto ecologico Approfondimenti

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IL PATRIMONIO INDUSTRIALE DELL’ ALBANIA: ARCHITETTURE E PAESAGGI. IPOTESI DI RIQUALIFICAZIONE DELL’ AREA PRODUTTIVA DI FIER. UNA NUOVA RISORSA PER FIER, TRA MEMORIA E TRASFORMAZIONE Nell’ambito del filone di studi sul patrimonio architettonico albanese, presente dal 2006 presso il Politecnico di Bari, questo Laboratorio ha affrontato il tema del recupero e della valorizzazione dei paesaggi e architetture industriali del secondo Novecento in Albania. Si è scelta come caso di studio l’area industriale di Fier, uno dei maggiori insediamenti produttivi albanesi creati negli anni sessanta, comprendente una fabbrica di fertilizzanti a base d’azoto, una centrale termoelettrica e una raffineria, un sito oggi quasi totalmente abbandonato e in fortissimo degrado, ma con grandi potenzialità di trasformazione e riuso. Il Laboratorio ha coinvolto varie discipline, dalla Progettazione architettonica e urbana, ai Caratteri tipologici, all’Urbanistica, alla Fisica tecnica, al Restauro, con l’obiettivo di mettere in luce le risorse di questo sito alle scale territoriale, urbana e architettonica. Il percorso di ricerca, avviato attraverso una scrupolosa ricognizione storico-documentaria condotta presso l’Archivio delle Costruzioni di Tirana, si è articolato su più livelli: dall’analisi della struttura territoriale e del contesto ambientale in cui si colloca la città di Fier, fino alla conoscenza materiale dei manufatti edilizi presenti nell’area industriale. L’insediamento industriale di Fier è stato interpretato non solo come una vasta zona abbandonata e disponibile per nuove funzioni, ma come un luo-

go carico di memorie collettivamente condivise e di specifici caratteri spaziali, architettonici e paesaggistici, da recuperare attraverso il progetto. L’obiettivo del Laboratorio è stato proprio quello di stabilire il giusto equilibrio tra la salvaguardia dell’identità del sito, ormai storicizzata in tutti i suoi problematici aspetti, e le opportunità di trasformazione e adattamento alle esigenze contemporanee, questioni che la disciplina del Restauro ha ormai largamente esteso al patrimonio dell’architettura moderna. L’area è stata assunta come potenziale “motore” dell’economia locale, come centro propulsore per un’opera di riqualificazione architettonica e sociale della città consolidata, come occasione di risarcimento e valorizzazione delle qualità paesaggistiche e risorse ambientali oggi fortemente compromesse. Il tema è stato trattato con un approccio multidisciplinare e interscalare, toccando le problematiche della rigenerazione territoriale e urbana, dello sviluppo sostenibile ed ecocompatibile, del risanamento ambientale, fino ad affrontare l’aspetto della riconversione e riuso dei grandi contenitori industriali e di alcuni significativi manufatti edilizi. Si è verificata così l’ipotesi di insediarvi attività culturali e ricreative per la città e il territorio, attrezzature ricettive, attività di ricerca scientifica, funzioni abitative, connesse attraverso un grande parco extraurbano in continuità con i terreni agricoli. Accanto a questa mixitè di funzioni, si è mantenuta anche la sua originaria specificità di polo energetico, affrontando il tema della riconversione verso le energie rinnovabili. Particolare attenzione si è dedicata alla prefigurazione degli spazi e delle rinnovate forme architettoniche che potrebbero caratterizzare questo luogo, riportandolo a nuova vita e trasformando quest’area fortemente problematica in una nuova

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risorsa per Fier. ALCUNE NOTE SUL RECUPERO DELLE AREE INDUSTRIALI

processo comporti la rinuncia alla memoria identitaria collettiva. IL RIUSO COME STRATEGIA MULTISCALARE

Gran parte dei territori della regione mediterranea, nella seconda fase d’industrializzazione ha visto trasformarsi fortemente il concetto di polarità urbane, il rapporto tra città e territorio e perfino la struttura territoriale vasta con la realizzazione di nuovi tessuti proprio in funzione della produzione industriale. Soprattutto nelle aree geografiche che dopo il “Patto di Varsavia” ricaddero “oltrecortina” il modello industriale fu orientato verso grandi centri produttivi; oggi questi territori hanno ereditato aree industriali che, a partire da questo ultimo decennio, hanno assunto un ruolo strategico e costituiscono, per le città, enormi opportunità di trasformazione e adattamento alle esigenze della contemporaneità, soprattutto in quanto questi luoghi costituiscono, molto spesso, la sola ragione e talvolta la sola risorsa economica della struttura urbana complessiva e pertanto ne incarnano la storia materiale e sociale oltre ad esserne gli unici elementi rappresentativi. Con l’abbandono dei vecchi impianti produttivi queste strutture,spesso molto imponenti ed estese, si sono trasformate velocemente da “motore” economico, identitario e sociale delle città, a veri e propri agenti tumorali di degrado urbano, igienico e sociale. Lo strumento del progetto deve, in questi casi, trovare il giusto equilibrio per salvaguardare l’identità del sito, restituendogli una funzione propositiva e socialmente riconosciuta, non solo nell’ottica della conservazione di una memoria tecnica e storica, ma piuttosto e soprattutto nell’ottica di una restaurazione e di una rinascita dell’intero complesso urbano senza che questo

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Affrontare il tema di un patrimonio dismesso così imponente ha significato anche avviare la riflessione sul futuro di questi territori che, dopo la breve e impetuosa stagione industriale, sono chiamati a determinare un nuovo modello di sviluppo, sostenibile e compatibile con le politiche UE, e a costruire non solo una nuova economiama anche una nuova identità sociale e culturale. Il contributo dell’Urbanistica alla costruzione della tesi di ricerca come del progetto, ha avuto come focus la strategicità del riuso e la sua centralità nelle politiche urbane e territoriali per la sostenibilità. Pertanto, il riuso del patrimonio dismesso è stato collocato in una strategia articolata su più livelli e più temi: di riqualificazione urbana, connettendo i nuovi spazi e le nuove funzioni alla città attraverso il riordino del sistema della mobilità e dell’accessibilità e la realizzazione di nuove centralità urbane; in una strategia di riqualificazione ambientale e paesaggistica, promuovendo il ruolo centrale del sistema delle acque attraverso e la formazione di un parco fluviale, a sua volta connesso ad uno scenario di realizzazione di greenways e blueways territoriali; in una strategia di riqualificazione territoriale, promuovendo nell’area vasta il ruolo di Fier e delle funzioni di eccellenza previste, nella prospettiva di costruire reti e itinerari per la valorizzazione e la fruizione del patrimonio storico, paesaggistico e dell’archeologia industriale. In tal modo si è inteso inoltre sperimentare in un contesto “duro”, come quello delle grandi aree industriali dell’Albania, le tecniche e le politiche innovative praticate nell’occidente negli ultimi


decenni nel campo del recupero dell’archeologia industriale e del rinnovo urbano, verificandone quindi le potenzialità e le criticità. PAESAGGIO INDUSTRIALE E PAESAGGIO AGRARIO: UNA NUOVA ALLEANZA L’estensione, le caratteristiche ambientali e le qualità paesaggistiche dell’area hanno indirizzato a un intervento a grande scala, sia dal punto di vista funzionale (rivolgendosi a un bacino d’utenza a scala nazionale) che spaziale (assumendo una dimensione territoriale in grado di riconfigurare il paesaggio periurbano di Fier). Il progetto intende interpretare e mettere in valore l’estetica del paesaggio industriale che caratterizza quest’area. Le visioni vitalistiche dell’arte futurista e la lecorbusieriana ”estetica dell’ingegnere”, che tanto hanno contribuito alla nascita della sensibilità architettonica moderna, ci consentono oggi di comprendere la potenza espressiva e l’algida razionalità dei crudi manufatti industriali, mentre la raggelata atmosfera della Metafisica ci offre un punto di vista per interpretare i grandi vuoti su cui galleggiano i “relitti industriali”, i recinti e i lacerti di campagna nello spazio urbano. In modo particolare, alla creazione dell’identità di questi luoghi ha contribuito l’arte del realismo socialista, con la sua esaltazione dell’ideologia del lavoro. Accanto all’estetica del paesaggio industriale, la fisionomia del paesaggio agrario concorre a rafforzare l’identità di questo luogo. Infatti la memoria e le forme del paesaggio industriale si confrontano con il tessuto agrario che preme ai margini, instaurando inaspettate relazioni. Le imponenti masse architettoniche e gli scheletri edilizi disposti nell’area pianeggiante entrano in relazione tra di loro attraverso la visione a distan-

za e si contrappongono dialetticamente alle strutture formali del paesaggio, alle trame agrarie e al tracciato fluviale, disegnando con la loro sagoma un netto skyline che si confronta con il profilo delle colline. LA MISURA DELLO SPAZIO E IL RECUPERO DEI MANUFATTI INDUSTRIALI L’insieme delle fabbriche, che si è imposto sul territorio con un tracciato fondativo rigorosamente razionale e leggi insediative rigidamente funzionali (impianto ortogonale con orientamento nord-sud), può assumere oggi il ruolo di nuova polarità urbana capace di integrare l’attuale centro di Fier, instaurando con esso relazioni a distanza attraverso il potenziamento dei collegamenti viari e la creazione di un parco fluviale. In quest’ottica, il cuore dell’intervento è costituito da un “foro”, una grande piazza di forma regolare con funzione rappresentativa, che funge da spazio di connessione tra le aree urbanizzate disordinatamente a nord e le aree libere del parco a sud. Quello che potrebbe apparire un aspetto problematico dell’area, cioè la sua dimensione smisurata e la presenza di spazi vuoti tra i resti dei solitari edifici privi ormai di relazioni funzionali, viene nel progetto interpretato come un punto di forza caratterizzante. Obiettivo principale dell’intervento è proprio quello di ridefinire una struttura del vuoto fra gli edifici, conservando la memoria delle fabbriche e costruendo diverse condizioni spaziali per le nuove attività. I vuoti interposti tra gli edifici assumono così diverse qualità: non più zone neutre funzionali alle attività produttive, essi diventano invasi conclusi, estesi spazi verdi, basamenti abitati, suoli artificiali in rapporto con l’orizzonte. La memoria delle fabbriche, la loro immagine,

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la loro forma, il loro ruolo di emergenze visive, vengono valorizzati e potenziati attraverso il parziale riuso a nuove funzioni compatibili con i loro caratteri spaziali: alcuni grandi manufatti, trasformati e rifunzionalizzati, riacquistano nuova vita, altri vengono nobilitati attraverso l’estetica del “rudere”, mantenendo le tracce del tempo e quasi restituiti alla natura. Le preesistenze vengono in alcune zone integrate con nuove volumetrie a sviluppo orizzontale, che non si presentano come edifici, ma come “suoli abitati”, “zolle” modellate a varie altezze; alcuni edifici preesistenti sono parzialmente incastrati o completamente inglobati nei basamenti, altri esaltati nel loro isolamento, appoggiandosi liberamente sul piano orizzontale della campagna-parco. In questo senso, la ricerca svolta per la disciplina dei Caratteri Tipologici e morfologici dell’Architettura si è intrecciata in maniera fattiva con le discipline eminentemente progettuali, fornendo un contributo di lettura del patrimonio edilizio e industriale esistente molto ben strutturato, fondato su una analisi icastica, essenziale ed esatta delle tipologie presenti sul campo, ricondotte a pochi tipi e categorie. Gli elementi individuati sono stati le torri, elementi in c.a. o a struttura continua a prevalente sviluppo verticale, gli elementi a sviluppo longitudinale a unica navata, caratterizzate spesso da eleganti ed essenziali soluzioni strutturali; gli impianti basilicali, o comunque a navate parallele accostate, con coperture metalliche leggere; gli edifici pluriplano e i padiglioni orizzontali a campata unica. L’analisi tipologica ha privilegiato un atteggiamento analitico molto accentuatamente tecnico, teso a evidenziare le caratteristiche costruttive, spesso interessanti e originali, le soluzioni spaziali, i caratteri formali. Le soluzioni spaziali, fortemente condizionate

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dalle esigenze funzionali, trovano una proiezione di integrazione all’esterno, nello spazio aperto, definendo le relazioni di contiguità e distanza tra gli oggetti, la loro articolazione volumetrica, in una atmosfera rarefatta ben descritta nel lascito dell’idea di spazio architettonico e artistico delle Avanguardie. Questa idea di spazio costituisce un valore primario di questo importante complesso industriale, un insieme che per la sua articolazione complessa, i valori spaziali, le potenzialità rigenerative, si iscrive a buon diritto nel patrimonio ideale dell’architettura moderna europea del secondo Novecento. SMART CITY E USO RAZIONALE DELLE RISORSE ENERGETICHE Il neologismo Smart City ha tra le definizioni più utilizzate quella di un “ambiente urbano in grado di agire attivamente per migliorare la qualità della vita dei propri cittadini”. In questa ampia definizione trovano spazio tutte le tecnologie più moderne e innovative in grado di soddisfare le esigenze dei cittadini, delle imprese e delle istituzioni, e anche di ottenere una caratteristica ambientale ed energetica che possa migliorare la qualità dell’ecosistema urbano. La precedente funzione e i nuovi utilizzi dell’area oggetto della ricerca, nonché la qualità dell’area urbana e gli obiettivi dell’intervento, hanno determinato un particolare approfondimento sulla soluzione di approvvigionamento delle fonti energetiche e sul possibile layout delle configurazioni impiantistiche ritenute più idonee nell’ottica dei principi di generazione distribuita e autosufficienza energetica. La scelta delle configurazioni di impianto più idonee, oggigiorno, non è determinata solamente da motivazioni di ordine tecnico ma, sempre più,


da considerazioni di tipo economico ed ambientale. Le soluzioni più idonee, infatti, non possono prescindere dalle analisi economiche sul costo dell’investimento iniziale richiesto e dai costi di gestione e manutenzione che devono essere attentamente analizzati attraverso strumenti di analisi economica, spesso sofisticati, ma che possano massimizzare i benefici attesi. Analogamente il costo e la disponibilità futura dei combustibili di origine fossile e i vincoli sempre più restrittivi in materia di emissioni inquinanti, impongono la scelta di tecnologie innovative e configurazioni impiantistiche sempre più complesse, che integrino sistemi di generazione tradizionali con sistemi alimentati da energie rinnovabili o assimilate e che considerino tutti i componenti necessari a minimizzare le perdite termodinamiche e a massimizzare i rendimenti di trasformazione. Il risultato finale deve essere quello di realizzare un impianto innovativo che consenta un uso razionale della risorsa energia attraverso: - la flessibilità impiantistica a garanzia della gestione individuale dei singoli edifici dell’area; - il controllo remoto delle singole aree con possibile gestione degli orari di accensione e di spegnimento impianti e la possibilità di differenziare le tipologie distributive locali di ciascun edificio - la flessibilità degli spazi e degli impianti per ampliamenti e modifiche future , - l’accessibilità agli impianti e facilità di manutenzione. Per fare questo, occorre essere consapevoli, sin dalle prime fasi della progettazione, che le reti tecnologiche in un’area urbana (adduzione acqua, reti acque reflue, forniture energetiche, cablaggio strutturato dati e fonia etc) devono rappresentare i sistemi vitali attraverso i quali i singoli organismi edilizi possano vivere ed essere vissuti nelle loro

destinazioni d’uso. Questo Laboratorio ha il merito di avere aperto un filone di ricerca particolarmente fecondo e di grande attualità, incentrato sulla verifica attraverso l’attività progettuale dei possibili processi di trasformazione territoriale sostenibile nei paesi in via di sviluppo.

Prof. Arch. Anna Bruna Menghini Prof.Arch . Michele Beccu Prof. Arch. Francesca Calace Prof. Arch. Giacomo Martinez Prof. Ing. Francesco Ruggiero


PREFAZIONE

Sopra: particolare di shrinking cities dipinto murale realizzato per un’esposizione sulle shrinking cities presso Leipzig, Germania, 2005. Nella pagina affianco: immagine satellitare tratta dal progetto dello studio KDF-P in risposta alla diminuzione della densità di Buffalo e alla necessità di razionalizzare i servizi civili e le infrastrutture.

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Guardando al fenomeno dell’industrializzazione al giorno d’oggi è innegabile uno spostamento del centro produttivo e del relativo fermento, sempre più verso oriente. La storia della produzione in massa, la nascita dell’industria e del capitalismo con tutti i problemi che ne derivano ha origine in Europa a metà del diciannovesimo secolo in Inghilterra. Oggi tutta la fenomenologia dell’industria che è passata oramai sui libri di storia la possiamo osservare in diretta nella Cina degli ultimi anni, cresciuta a dismisura nel mondo nella finanza e nel potere economico a discapito delle condizioni della qualità della vita dei lavoratori. Non accettando il protocollo di Kyoto, la Cina dimostra l’interesse a mantenere il suo potere industriale ed economico a livello mondiale non considerando l’impatto ambientale e l’inquinamento, prodotto senza normative e senza controlli. Nei paesi occidentali al contrario stiamo assistendo al processo inverso: sempre più produzioni spostate appunto nell’est del mondo lasciano spazi vuoti nella vita economica, nell’occupazione ma anche banalmente nel tessuto delle città europee e americane e nelle loro periferie. Esempi eclatanti delle città in contrazione, come Detroit, lasciano intuire scenari futuri alquanto preoccupanti: spazi in cui fino a pochi anni fa venivano prodotte centinaia di migliaia di autovetture e dove lavoravano altrettante persone sono ora dei ruderi. Shrinking cities e demalling sono fenomeni studiati e analizzati già da anni, frutto di una industrializzazione e di urbanizzazione selvaggia che miete solo oggi le sue vittime con spese in termini di consumo di suolo non indifferenti. I totalitarismi in Europa sono stati un forte propulsore per lo sviluppo industriale del 900 insieme alla politica del lavoro inculcata nelle popolazioni. Guardandosi intorno è inevitabile una considerazione: il commercio ha cambiato le nostre città e ha creato interi nuovi

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paesaggi, i paesaggi di industria che sono difficilmente delebili. Negli ultimi 50 anni ci si è resi conto che questo processo di industrializzazione per quanto sia stato spietato, ha creato quello che è oggi l’occidente, ha una sua storia e un suo patrimonio che è innegabile abbia un valore e vada quindi tutelato. Ovviamente la considerazione di un’industria o un paesaggio industriale come facente parte di un patrimonio non è un concetto immediatamente assimilabile, ci sono voluti anni e vari riconoscimenti da parte delle organizzazioni competenti per cominciare a parlare di archeologia industriale. L’industrial heritage, come si chiama con fonemi internazionali, nasce in Inghilterra non lontano quindi dalla sua stessa radice e si delinea subito come un disciplina complessa. Complessa perché per occuparsi di archeologia industriale non ci si può fermare a quello che può essere l’aspetto di un manufatto architettonico o di un paesaggio, alle spalle di uno studio di questo tipo ci sono considerazioni imprescindibili sul contesto, l’ambiente sociale in cui è inserita, così come il quadro storico- economico e politico. L’industria è da considerarsi un propulsore, un motore di cambiamento, capace di modificare l’uomo e i suoi luoghi talvolta fino all’esasperazione, al degrado urbano e sociale. Intere comunità, città a volte, si riconoscono in un’identità unica legata al lavoro e all’industria, è questo un aspetto fondamentale dell’archeologia industriale: l’essere un patrimonio delle comunità, facendo parte di un ideale instillato non solo dalla politica, ma riconosciuto all’unanimità anche da classi sociali diverse. Altro aspetto interessante è quello didattico/conoscitivo relativo allo sviluppo della tecnica e della tecnologia della produzione degli ultimi duecento anni attraverso gli impianti abbandonati e dismessi. Innegabili sono lo stupore e il fascino che suscitano nell’osservatore

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gran parte delle strutture industriali, spesso viste da lontano e come uno sfondo: il visitatore comune rimane affascinato da questi oggetti oramai privi di funzione proprio come da una rovina romana, immaginando come potesse essere la vita in quel luogo anni prima quando tutto era in funzione. Artisti e architetti del passato sono stati affascinati dalle immagini e dall’immaginario di un paesaggio industriale, pensiamo a de Chirico o a Sironi, che hanno cercato di riproporre con il rigore e l’essenzialità degli spazi spesso estremizzando il loro grigiore o la loro metafisicità. La pulizia e la secchezza di certi oggetti e di certi spazi riconducibili al mondo industriale è sicuramente un valore aggiunto di questo patrimonio, oltre ad essere spesso stimolo e ispirazione per le così frequenti riconversioni. Sarà Auguste Perret a dire che “l’architettura è ciò che riesce a rendere bella una rovina”, e nonostante il pensiero comune attribuisse già un valore e una considerazione al patrimonio industriale dismesso, solamente nel 1986 l’UNESCO ha riconosciuto il primo oggetto industriale come patrimonio universale, l’Ironbridge sul fiume Severn nello Shropshire in Inghilterra. Era solo un piccolo passo, trattandosi prettamente di un’opera infrastrutturale legata al mondo industriale ma non riconducibile a questo direttamente, un ponte necessario per superare una profonda gola creata dal fiume Severn nello Shropshire in Inghilterra.

Al lato: Giorgio De Chirico, L’angoscia della partenza, 1914 Mario Sironi, Paesaggio urbano con camion, 1920


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Questa disciplina è sicuramente nuova nel panorama culturale mondiale, quelli che ora sono dei contenitori vuoti fatti di cemento e ruggine erano funzionanti e ospitavano macchinari e lavoratori e hanno infiniti potenziali spesso inespressi. Il primo passo è quello di riconoscere il valore dell’area a cui ci si approccia e successivamente passare attraverso una legislazione, una comprensione della materia e una profonda conoscenza di tutti gli aspetti al contorno. Perché la tutela e la valorizzazione siano accessibili a tutti, è necessario utilizzare un linguaggio semplice per evidenziare l’importanza e il valore inespresso e renderlo visibile anche a chi si ferma al primo impatto; l’intervento può trovare la sua esaltazione nella riqualificazione dell’area e nella trasformazione in nuove funzioni educative e divulgative. Il riuso risulta in molti casi il sistema migliore per riattivare un luogo oramai privo di funzione, dismesso, abbandonato, che ha come unica alternativa quello di essere raso al suolo per ragioni speculative. Per questo è fondamentale il ruolo di tecnici ma soprattutto di architetti capaci di valorizzare le preesistenze o di proteggere i resti e saper introdurre nuove funzioni senza che queste risultino eccessivamente invasive e cancellino l’identità e la storia di quel luogo. Riconoscere un valore ad un paesaggio industriale dismesso significa far nascere la sfida di valorizzarlo, preservandolo o trasformandolo. Non fare nulla non è un opzione contemplabile.

A lato: ArtsQuest center, Bethlehem Pennsylvania, USA. Progetto di: Spillman Farmer Architects

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ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE Le tappe dell’industrializzazione La dismissione: cause ed effetti Industria e paesaggi La nascita dell’archeologia industriale. Scegliere cosa preservare

Nella pagina affianco: immagine tratta dal film Tempi moderni, 1936, USA.

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LE TAPPE DELL’INDUSTRIALIZZAZIONE L’evoluzione dell’industria a scala mondiale è estremamente complessa, cadenzata dalle evoluzioni della scienza e della tecnica. Negli ultimi due secoli diversi sono stati i fulcri del suo sviluppo, ognuno con le proprie caratteristiche specifiche, con le proprie aree di influenza e con i propri tempi determinati dalle contingenze politiche e sociali. È indubbio il ruolo trainante della Gran Bretagna nella prima (1780-1830) e nella seconda rivoluzione industriale (1870-1915 ) rispetto a tutto il contesto europeo e nord americano. Saranno poi gli Stati Uniti nella gravissima crisi che interesserà l’Europa del secondo dopoguerra a finanziare l’ European Recovery Program (ERP) o piano Marshall con uno stanziamento di poco più di 17 miliardi di dollari per un periodo di quattro anni, il quale consentì all’economia europea di superare un momento di indubbia crisi e favorì una ripresa che già nel 1948 era evidente. I Paesi beneficiari superarono l’indice di produzione prebellico già nel momento in cui il flusso di aiuti terminò. Nonostante si possa affermare che la nascita dell’industria intesa come passaggio dalla tradizionale società agricola ad una industriale, dal lavoro manifatturiero a quello operaio abbia origine in Europa, nella Russia di fine Ottocento, con un secolo di ritardo, si può individuare un altro centro nevralgico per l’industria. Il ritardo si ebbe perché nella Russia zarista esisteva il timore che un’accelerazione dello sviluppo interno potesse sfociare in una rivoluzione. Solo dopo il boom economico tramite capitali stranieri (18601885) e soprattutto dopo la rivoluzione di ottobre

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con l’ascesa al potere di Lenin prima e Stalin poi si ebbe lo sviluppo industriale. Nel 1923 con la nascita dell’URSS, (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) con capitale Mosca, appare chiara quale sia l’influenza della Russia in Asia e nell’est Europa. Vennero introdotti i piani quinquennali che permasero come strumento di politica economica fino alla caduta del muro di Berlino (1989). I piani quinquennali vengono largamente utilizzati nei regimi a economia pianificata ossia nei paesi socialisti o comunisti dove l’iniziativa economica è in larga parte gestita da enti pubblici; essi definiscono gli obiettivi da raggiungere in termini di produzione. A partire dal 1961 la Repubblica Popolare Cinese si allontanò dall’URSS, schierandosi contro l’atteggiamento “revisionista e dittatoriale” di Nikita Kruscev, successore di Stalin alla guida del partito. Al PCC rimasero come migliori alleati il Partito Comunista Indonesiano e il Partito del Lavoro d’Albania. Nonostante la rottura con l’Unione Sovietica la Cina conservò i piani quinquennali come strumento di politica economica in virtù dell’atteggiamento antirevisionista che aveva comportato la scissione. L’ultimo piano è il dodicesimo (2012-2016), che al fine di incentivare la domanda interna punta ad aumentare il reddito per famiglia e soprattutto mira a colmare il gap tecnologico sofferto dalle aziende cinesi attirando investimenti diretti esteri nelle 7 industrie strategiche. Si spiega la corsa ad oriente delle imprese europee.

Nella pagina affianco: manifesti britannici, sovietici e cinesi. Prima della diffusione dei media erano lo strumento di propaganda più efficace e diffuso.


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LA DISMISSIONE: CAUSE ED EFFETTI Il tema della dismissione dei luoghi del lavoro ha influenzato i processi di trasformazione urbana degli ultimi decenni; è oggi un tema pregnante nella città contemporanea, relazionato a questioni socio-economiche, architettoniche, ambientali ed urbanistiche. Le ragioni della dismissione si rifanno soprattutto, ma non unicamente, a fattori esterni alle realtà socio-economiche locali. Risiedono nei cambiamenti macro-economici, nell’obsolescenza localizzata delle strutture e delle tecnologie e nell’incompatibilità ambientale che molte industrie hanno con il contesto urbano. Convenzionalmente il declino del sistema produttivo europeo è databile al 1973, quando si verificò una tanto profonda quanto improvvisa crisi energetica. Le nazioni facenti parte dell’Opec (organizzazione dei paesi esportatori di petrolio) interruppero l’approvvigionamento verso le nazioni importatrici fino al gennaio 1975. Le cause si ritrovano nell’appoggio ad Israele da parte di Stati Uniti ed Europa rispetto gli attacchi di Egitto e Siria, sostenuti dai paesi arabi e “anti-americani”. Si ebbe un innalzamento vertiginoso del prezzo del barile del petrolio che giunse 300%. Si innescò un processo di recessione e inflazione che condizionò per diversi anni l’economia europea. Nell’Europa dell’Est gli effetti della crisi furono maggiori in quanto mancavano i fondi per modernizzare e trasformare gli impianti; mentre gli Stati Uniti, dipendendo meno dall’export dei Paesi Arabi, ebbero meno problemi. Nel 1979 in seguito alla rivoluzione iraniana ci fu un nuovo rialzo. La crisi diede inizio al fenomeno della disattivazione e della delocalizzazione delle industrie

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verso l’Europa orientale prima e verso l’Asia poi, creando una rete trans-territoriale. Per quanto concerne l’URSS, alle soglie del 1990, con il dodicesimo piano quinquennale, si tentò di dar vita ad un complesso di riforme economiche volte ad una maggiore trasparenza nella vita pubblica; tali riforme si identificano con la parola “perestrojka” ossia ricostruzione. Si iniziò con la libertà delle imprese statali nel fissare le quote di produzione in funzione della domanda dei mercati, diventando libere di gestire il surplus produttivo; venne istituita una borsa merci e venne consentita la proprietà privata delle imprese di commercio, produzione, servizi ed import-export. Tutto ciò lasciava inalterato il sistema di controllo dei prezzi, l’esclusione della proprietà privata nelle grandi imprese e il monopolio dello stato sulla maggior parte dei mezzi di produzione. L’economia ebbe un crollo vertiginoso, che portò allo scioglimento dell’Unione Sovietica. In sintesi, la frequente consegna dei beni di produzione agli oligarchi, anche attraverso improprie forme di privatizzazione, il caos legislativo e l’eccesso di potere delle amministrazioni locali, talvolta in grado di legiferare anche in contrasto con le leggi federali, contribuirono all’estendersi della crisi dell’economia e del disagio delle popolazioni. D’altra parte, la Repubblica popolare cinese, dal 1978, sotto la guida di Deng Xiaoping, ha intrapreso una vera e propria rivoluzione economica che ha in pratica ristabilito il capitalismo e dato una ventata di dinamismo all’economia cinese.


Risulta evidente come le aree industriali dismesse rappresentino al giorno d’oggi un’evidenza diffusa capillarmente sul territorio. Il processo di disattivazione ha interessato le aree produttive sia urbane che extraurbane, sia agglomerati che semplici fabbricati, differenti per dimensioni e caratteristiche. La dismissione repentina degli usi mette in crisi anche le tradizionali regole di trasformazione urbana. Le periferie si estendono anche perché gli stati, per sopperire alla crisi occupazionale, forniscono una spinta al mercato edilizio, incentivando l’edificazione su suoli agricoli ed aree marginali investite da vere e proprie conurbazioni. La città si trasforma da polo attrattivo sul territorio ad un sistema reticolare esteso. Già nella metà degli anni Sessanta sono stati avviati processi di decentramento e di contro-urbanizzazione, processi lenti e non lineari, che si sono sviluppati lungo tutto un ventennio. Secondo Bernardo Secchi “l’esperienza fondamentale a partire dalla quale si costruisce negli ultimi venti anni il problema urbano è dunque un’esperienza di progressivo arresto della crescita e di progressiva dispersione”.

A lato: Italia 1973, il governo vara un piano nazionale di “austerity economica” che prevede il divieto di circolare in auto la domenica, la fine anticipata dei programmi tv e la riduzione dell’illuminazione stradale e commerciale.

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INDUSTRIA E PAESAGGI Le industrie, allora come ora, sorgevano nelle aree limitrofe ai centri abitati pensate come propaggini di essi, rappresentando dei “fuori scala” rispetto agli elementi per lo più minuti del contesto. Che siano o meno state fagocitate dall’espansione edilizia, si originano delle relazioni stridenti e particolarmente interessanti tra industria e milieu. In tal senso si configura un vero e proprio paesaggio artificiale “industrial landscape” laddove erano i precedenti confini tra città e campagna. Il territorio risulta modificato dalla mano dell’uomo: la natura naturata. Il Comitato dei Ministri per la Cultura e per l’Ambiente del Consiglio d’Europa trae dalla Convenzione Europea del Paesaggio del 2000 una definizione di paesaggio, inteso come “una determinata parte di territorio, così come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Questa definizione riguarda “i paesaggi terrestri, le acque interne e marine, concerne sia i paesaggi che possono essere considerali eccezionali, sia quelli della vita quotidiana che quelli degradati”. Da ciò si deduce che il paesaggio ha una componente fisica oggettiva ed una componente percettiva e che viene considerato un bene culturale cui viene riconosciuto un carattere identitario, anche rispetto alle azioni svolte dalle comunità. Il paesaggio risulta essere mutevole e dinamico e soggetto ad antropizzazioni tra le quali rientrano anche le attività produttive che lo connotano in maniera significativa, talvolta identificando una intera area come ad esempio il Lingotto in Torino o, a scala macroscopica, la Ruhr in Germania.

A lato: cantera de “S’Hostal”, cava di pietra, Minorca, Spagna.

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Il World heritage Committee ha definito delle linee guida per identificare i paesaggi facenti parte del patrimonio mondiale, distinguendoli in paesaggi disegnati, evoluti o associativi culturali. Delle stesse categorie ci si può avvalere per identificare e catalogare i paesaggi industriali. • Paesaggi disegnati: vengono realizzati per ragioni essenzialmente estetiche e decorative. Nell’ottica del paesaggio idustriale potrebbero intendersi zone industriali in cui l’industria, le zone residenziali e commerciali fanno parte di un unico piano come avviene a Lowell (Massachusetts, USA) o Saltaire (UK), ma non è chiaro se i siti industriali progettati possano includersi in questa categoria. • Paesaggi evoluti: sono quelli caratterizzati da un rilevante intervento antropico a monte cui segue una naturalizzazione. È questo il caso dei “paesaggi reliquie”, intese come le testimonianze parziali di una passata attività (Ironbridge), o dei “paesaggi continui” ossia quelli che preservano un ruolo economico attivo nella società seguendo un processo evolutivo ininterrotto (Emscher park) • Paesaggi associativi culturali: sono quelli rappresentativi di una regione o territorio, ove esiste una profonda identità tra i popoli e l’ambiente naturale. Nella trasposizione al paesaggio industriale si può fare riferimento al Mount Alexander in Central Victoria (Australia), identificativo della corsa all’oro del 1850.

A lato: Lowell, Massachusetts. Ironbridge sul fiume Severn, Shropshire, Inghilterra. Miniere di carbone dello Zollverein ad Essen, oggi museo. Dipinto di S.T. Gills Diggings in the Mount Alexander district of Victoria, Central Victoria, Australia, 1852.

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Nonostante sia una pratica complessa risulta dunque importante al fine della tutela di questo patrimonio saper identificare e mappare i siti in questione. Il processo di schedatura si è evoluto moltissimo negli ultimi decenni, entrando spesso in collaborazione con il mondo accademico. Ha tratto grande beneficio dalle nuove tecnologie e dall’avvento delle misurazioni laser e delle mappe georeferenziate, fondamentali quando si parla di industrial landscape. Essendo la storia dell’industria un patrimonio comune ed un tema che inizia a prendere piede in seno alle amministrazioni, in ambito europeo esistono degli enti e delle organizzazioni che tentano di affrontare il tema della dismissione mediante la cooperazione degli stati membri. E proprio per incoraggiare questa cooperazione l’ European Network of Industrial Heritage ha lanciato il progetto ERIH (2003-2008), che coinvolge una decina di enti, istituzioni accademiche, organizzazioni no-profit per il patrimonio industriale e gli enti del turismo provenienti da tre Stati membri che non a caso sono Germania, Inghilterra e Nederland “L’obiettivo del progetto quinquennale, è quello di attuare il masterplan elaborato durante ERIH I. Lo scopo di base è proteggere i siti del patrimonio industriale dell’Europa e usare la loro conservazione come motore per lo sviluppo delle regioni spesso in declino economico”. Gli elementi del progetto sono tre tipi di mappe elaborate per: punti di ancoraggio, percorsi regionali e percorsi tematici. I punti di ancoraggio sono le pietre miliari del patrimonio europeo e da tali punti il visitatore può scegliere quale percorso intraprendere a livello locale. Gli itinerari regionali collegano itinerari e luoghi che hanno segnato la storia dei territori in cui sono inseriti oggetti sia di grandi che di piccole dimensioni e poi vi sono i percorsi tematici che riguardano set-

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tori della produzione specifici e rivelano a scala transnazionale potenziali legami tra i siti. L’ERIH, che ha iniziato con il progetto pilota incentrato nelle regioni del nord-est Europa, oggi conta l’adesione di ventiquattro paesi e l’appoggio delle istituzioni. Abbiamo circa 150 milioni di visitatori del patrimonio industriale in Europa di cui i siti dell’ERIH contano 24 milioni al momento. Il turismo è una grande risorsa soprattutto se non letto come banale ramo commerciale delle attività locali, bensì come strumento per raccontare la storia dell’industria e delle persone che l’ha vissuta. Soprattutto gli aspetti transnazionali sono strettamente connessi al tema del paesaggio e alla rete (network).

A lato: mappe sintetiche elaborate sulla base delle informazioni tratte dal sito dell’ERIH. in ordine: per punti di ancoraggio, per percorsi regionali, per percorsi tematici


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LA NASCITA DELL’ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE L’indagine dei reperti materiali e immateriali legati all’industria è una pratica giovane. Nella seconda metà del XX secolo si è verificata l’elaborazione di politiche specifiche di supporto alla “riapproriazione” della memoria collettiva relativa al mondo della produzione. Questo mondo è costituito non solo dai processi produttivi e dai fattori della produzione ma anche dalle trasformazioni che essi implicano in ambito naturale e sociale. “L’archeologia industriale cerca di elaborare gli strumenti di indagine che, a partire da «elementi concreti», consentano la ricostruzione dello spazio materiale e umano che «circonda» la società”. Attraverso questa pratica si evidenzia la struttura storica del territorio, quello che viene definito cultural landscape, ossia le trasformazioni mutue uomo-ambiente. La nascita dell’archeologia industriale convenzionalmente avviene in Inghilterra. In seguito alla controversa demolizione dell’Euston Arch e della Euston station nel 1961, si decise, nel 1962, di riconoscere l’Ironbridge del Galles come patrimonio dell’umanità. Con l’elevazione dei manufatti industriali a monumenti iniziano un lento e non ancora concluso processo di schedatura e l’assunzione di misure giuridico- amministrative volte alla protezione dei manufatti. Esistono ancora delle aree industriali problematiche e tuttavia molto importanti per la mappatura; si tratta di siti localizzati in Africa, Asia e nell’ex blocco comunista ove lo sviluppo industriale spesso ha coinciso con colonialismo o imposizioni di regime che hanno comportato sofferenze e sfruttamento. Il processo di sensibilizzazione dell’opinione pubblica rispetto ai problemi di conservazio-

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ne e valorizzazione inizia non a caso nel Regno Unito nel 1963 con le pubblicazioni del “Journal of industrial Archeology”, passando per l’ ”Industrial Archeological Review” del 1976; le schedature vengono svolte anche negli Stati Uniti di cui ricordiamo l’Historic American Engineering Record (1971-2003) che ha influenzato molto la metodologia italiana. Un momento saliente per l’archeologia industriale è la fondazione nel 1978 della TICCIH, The International Committee for the Conservation of the Industrial Heritage, cui hanno aderito diverse organizzazioni minori in tutta Europa, America, Australia e qualcuna in Asia. Sin dalla fondazione è il punto di riferimento e promotore per lo studio, l’interpretazione, la conservazione e il riuso del nostro patrimonio industriale. Questa enorme evoluzione ha beneficiato anche del corpo normativo dell’ICOMOS - un’organizzazione internazionale non governativa dedicata alla conservazione dei monumenti e dei siti - e delle raccomandazioni strumentali come ad esempio la Convenzione del Patrimonio Mondiale adottata dall’UNESCO nel 1972. Nel 2003 presso Nizhny Tagil (Russia) la TICCIH ha adottato un primo testo di riferimento in materia di archeologia industriale. Dopo di ciò TICCIH e ICOMOS hanno deciso di ampliare la loro cooperazione che è culminata nei “principi di Dublino” nel 28 novembre 2011. Tali principi sono il punto di partenza per chiunque debba approcciarsi all’archeologia industriale. È importante sottolineare come rientrino nella definizione di patrimonio industriale luoghi, strutture, macchinari, oggetti e documenti ma anche tutte le testimonianze intangibili e adimensionali come il know -how tecnico, l’organizzazione del lavoro e dei lavoratori e la complessa eredità sociale e culturale che forma la vita delle comunità. Ambedue le sfere, quella materiale come quella


immateriale, devono essere ampliamente studiate, comprese ed assimilate a trecentosessanta gradi, affrontando la loro dimensione storica, tecnologica e socio-economica per fornire una base integrata per la conservazione e la gestione dei dati. Questa è auspicabile venga eseguita tramite schedatura e mappatura. La conoscenza acquisita permetterebbe di “garantire una protezione efficace e una conservazione del patrimonio industriale” tramite politiche appropriate e misure giuridico-amministrative. D’altro canto la conservazione deve essere intesa anche come nuovo uso. “Il patrimonio industriale è una fonte di apprendimento che deve essere comunicata nelle sue molteplici dimensioni. Esso illustra aspetti importanti della storia nazionale e internazionale e delle locali interazioni oltre i tempi e le culture. Esso dimostra i talenti creativi legati agli sviluppi scientifici e tecnologici, così come i movimenti sociali e artistici. La pubblicazione e sensibilizzazione delle imprese e la divulgazione del patrimonio industriale sono mezzi importanti per una conservazione di successo”. Dare una nuova destinazione d’uso è la maniera più sostenibile per preservare il patrimonio, pur sempre rispettando le preesistenze. Nella loro evidenza fisica come nella loro funzione i manufatti possono essere strutture educative e promotrici di rinnovo sociale e urbano allo stesso tempo.

A lato: Foto storica tratta dagli archivi di Sardegna digital library che mostra le miniere di Serbariu, Carbonia, Italia,in attività. Le miniere dismesse dal 1964 sono state riconvertite in museo del carbone.

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SCEGLIERE COSA PRESERVARE Per preservare e tramandare il patrimonio industriale è fondamentale l’esistenza di un inventario completo che fornisca un minimo concordato di informazioni su tutti i siti esistenti al momento della richiesta. È pur sempre vero che non si possa fare di ogni fabbrica un museo del lavoro e a tal proposito il caso francese risulta essere d’esempio. In Normandia il dipartimento Orne ha mappato 2500 stabilimenti industriali attivi tra XIX e XX secolo, di cui 300 presentano evidenze fisiche documentabili; di essi solo dieci hanno ottenuto la protezione statutaria in rappresentanza dei vari settori produttivi della regione. Grazie alla schedatura sono stati individuati quelli meglio conservati e più rilevanti per ogni settore, tenendo conto della presenza o meno dei macchinari. Claudine Cartier ha pubblicato nella rivista “Monumental” nel 1994 dei criteri utili all’individuazione dei siti “maggiormente rappresentativi”: • Criteri storici o di eccezionalità che riguardano il ruolo dell’industria nella congiuntura temporale e sociale e possono essere relazionati alle particolari tecnologie utilizzate.

Naturalmente i criteri di scelta possono essere influenzati dagli attivismi delle associazioni locali volti a preservare un sito in pericolo insieme a altri strumenti legislativi relativi ad entità amministrative e territoriali, non solo nazionali.

• Criteri quantitativi che permettono l’individuazione di un esemplare di un settore industriale, a livello regionale o nazionale. • Criteri di pregio che individuano i manufatti più significativi per qualità architettoniche, aspetti ingegneristici e importanza delle associazioni industriali del sito. • Criteri tecnologici legati alle innovazioni tecnologiche adottate nella produzione rispetto al periodo storico.

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A lato: ex fabbrica di cioccolato a Noisel, Parigi sorta nel 1871. Protetta dal 1986, poi sede della Nestlè, oggi ambisce ad entrare nella lista mondiale del patrimonio dell’umanità; nella pagina affianco: la cokeria Hansa, Dortmund, Germania. Due fotografie dei macchinari: una d’epoca tratta dagli Archiv WIM e una odierna dei compressori recuperati.


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Il RIUSO ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE E RIUSO VALUTAZIONE E SCELTA RIUSO: DAL CONTESTO TERRITORIALE AI MANUFATTI IL RIUSO NEL xx SECOLO ESPERIENZE DI RIUSO NEL MONDO LE INFRASTRUTTURE Pratiche di riuso RIUSO IN ITALIA

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“ Le creazioni della tecnica macchinista sono organismi tendenti alla purezza e soggetti alle stesse regole evolutive degli oggetti della natura che suscitano la nostra ammirazione.� Le Corbusier

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ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE E RIUSO Bisogna obbligatoriamente porsi il problema di come comportarsi con il patrimonio industriale e non permettere che questo possa ledere all’ambiente, rimanendo una rovina, cancellando la storia e l’identità che rappresenta, senza contare il rilevante problema che queste aree rivestono nell’urbanistica moderna e nello sviluppo del tessuto delle nostre città. Tutto il dismesso è da considerarsi un buco nero, il continuare a costruire e a occupare suolo si è già dimostrato abbondantemente fallimentare; se dal punto di vista della pianificazione territoriale queste strutture possono risultare “problematiche”, è solo dall’inversione di questa considerazione che si può trarre un guadagno. La presa di coscienza e lo studio dell’archeologia industriale possono essere, quando si riconosca un valore all’oggetto, la base di una trasformazione e un reimpiego della struttura ovviamente modificandone la funzione.

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La valorizzazione di un punto a sfavore è principio fondamentale della riqualificazione urbana, si deve tendere a ristabilire il tessuto connettivo interrotto dalla cessazione della vita industriale di un sito; questi spazi possono rivivere diventando propulsori del processo di rinnovamento. Trasformare un rudere con funzioni di leisure o legate alla cultura, è sicuramente un trend, è diventato un settore della progettazione architettonica, che vede l’integrazione tra vecchio e nuovo come obiettivo finale dello studio e tende a valorizzare la preesistenza rendendola lo sfondo di nuove attività che non coinvolgono la produzione pesante e massiva della rivoluzione industriale, bensì spesso produzione e promozione culturale. Questi grandi spazi, sovradimensionati rispetto alla condizione urbana, hanno una fortissima vocazione di “contenitori” culturali polifunzionali; obiettivo di quello che internazionalmente si chiama “adaptive reuse” è proprio quello di elevare la


funzione di un luogo visto come un problema in una soluzione. Una soluzione per intere parti di città morte, una soluzione per innalzare la qualità della vita, fornire nuovi servizi, nuovi posti di lavoro, rendendo migliori le nostre città, non dimenticandoci come le nostre città sono nate e grazie a cosa hanno visto il loro più veloce e potente sviluppo. Operando con queste trasformazioni stiamo ufficializzando la presa di coscienza e la necessità di attribuire valore ad un luogo, ad un sito ed alla sua storia e alla storia delle persone che hanno contribuito a permettere questo processo oltre che alla sua composizione architettonica e non meno al suo ruolo economico.

VALUTAZIONE E SCELTA Con questo non intendiamo affermare che ogni impianto industriale ha le qualità e l’importanza per diventare patrimonio ed essere conservato, con quello che comporta l’utilizzo di questo termine in una nazione come l’Italia così attenta al proprio patrimonio ed a tutte le trasformazioni che lo coinvolgono, ma intendiamo dire che bisogna concentrare l’attenzione di tecnici e storici su quello che è stato un impianto, fare le giuste valutazioni e decidere quindi l’approccio migliore da intraprendere. Una scelta va quindi opportunamente motivata e documentata, non si può cadere in errori di valutazione voluti e non, perché non si rischia di porre l’attenzione su oggetti che non hanno importanza storica ma che vengano utilizzati solamente a fini di lucro. Nel momento in cui si riconosca un valore ad un manufatto questo è probabilmente da considerarsi un “monumento”, ma un monumento di serie B? E come ci si approccia ad elementi del genere? Si può intervenire sulle strutture o bisogna preser-

varle in tutto e per tutto? Quale parte del processo produttivo va tutelata? Gli approcci sono molteplici e passibili di modifiche nel tempo e nella collocazione geografica. Non si deve dimenticare che quando si parla di patrimonio industriale si parla di edifici e strutture composte quasi sempre in base alle loro funzioni e rare volte espressione di attenzione architettonica o dimostrazione di particolari skills nella composizione degli spazi e delle forme. Quando si rilevano qualità che oltrepassano il mero aspetto funzionale siamo di fronte ad una eccezionalità, preservarla e valorizzarla è il quel caso un dovere, perché se ne conservi la memoria e la si tramandi alle generazioni future non dimenticando di illustrarne le pregresse funzioni. Ovviamente quando si parla di industria si parla di un mondo in continua evoluzione, il susseguirsi delle sempre più nuove tecnologie l’ha resa sempre difficile inquadrare, le considerazione fatte sugli impianti sono da considerarsi dei ragionamenti anche su una storia di trasformazione, di addizione e di sottrazione, sono processi difficili ma al tempo stesso stimolanti da studiarsi, con una storia propria, delle fasi di sviluppo o involuzione che ne hanno delineato le configurazioni. Come ebbe a scrivere Borsi già nel lontano 1978, « la fabbrica non può essere presa in considerazione di per se stessa, come tipologia architettonica o nei suoi aspetti storico – tecnologici, ma deve essere vista come il baricentro di un sistema al quale, per la stretta connessione funzionale, appartengono case, strade, luoghi per il tempo libero e strutture terziarie.

Nella pagina precedente: vasche di raffreddamento a Zeche Zollverein Nella pagina affianco: il quartiere di SoHo A sinistra: condotti di distribuzione nell’Emscher Park nel bacino della Ruhr

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RIUSO: DAL CONTESTO TERRITORIALE AI MANUFATTI Si delinea un’influenza territoriale dell’industria, lo studio di un impianto non può prescindere dallo studio del contesto in cui è inserito, poiché è stato di sicuro impatto su quello che è successo al contorno. A volte questo processo non è da considerarsi in positivo, un’influenza sicuramente negativa hanno avuto gli impianti che alla loro nascita hanno previsto una fase estrattiva pesante che ha ferito il territorio e che alla fine della loro vita di produzione hanno lasciato danni ambientali e inquinamento pesante che continuerà a influire sulla qualità della vita degli abitanti delle zone limitrofe e sulle produzioni rurali dove presenti. E’ di certo stupefacente vedere come in molti casi nel mondo si sia riusciti a trasformare ambienti di lavoro in spazi ricreativi di alto livello, capaci di accogliere turisti e di lasciarli a bocca aperta; la musealizzazione dei percorsi produttivi è in questi casi uno strumento oramai quasi banale ma di sicura efficacia per la valorizzazione non solo della storia degli impianti ma anche delle caratteristiche formali e spaziali di questi oggetti che vivono di una “spontanea” bellezza. L’ormai conclamata efficacia del riuso per la tutela di patrimonio industriale in pericolo deve però fare i conti con gli interventi e i cambi necessari per adattare le strutture alle nuove funzioni perché queste siano sostenibili, possibilmente reversibili, e che siano compatibili con le motivazioni che hanno spinto alla decisione di conservare quella struttura industriale. Sicuramente tutto il processo conoscitivo e di riqualificazione risente dell’approccio con il patrimonio, c’è la necessità di censirlo, analizzarlo

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Sopra: Battersea Power Station, impianto di produzione di energia elettrica sul Tamigi, Londra.


e selezionare ciò che può essere riusato e ciò che invece non ne ha le qualità, la storia e le peculiarità sufficenti. Il riuso è un approccio vecchio come la notte dei tempi in realtà, non è un’invenzione del XX secolo, solo che all’origine di questo approccio e di questa pratica c’era la spontanea necessità di riutilizzare strutture esistenti da parte dei costruttori che piuttosto che ripartire da zero preferivano individuare edifici convertibili e trasformarli. Ad esempio a Lucca dove l’anfiteatro romano definisce i confini strutturali della città, a Napoli dove il teatro è inglobato nel tessuto della città vecchia e diventa spina dorsale di abitazioni inserite nelle antiche campate strutturali, o quando monasteri e chiese venivano convertiti dagli Asburgo in depositi e fabbriche, ma tutti questi processi vedevano minimi interventi funzionali ai nuovi usi inseriti nelle vecchie strutture.

IL RIUSO NEL XX SECOLO Negli anni 80 del XX secolo, la deindustrializzazione svuota in breve tempo molte aree industriali nel tessuto compatto delle città e a quel punto queste aree avevano solamente due possibilità, o vedere demolite le strutture presenti che venivano sostituite da nuovi progetti oppure attendere l’inserimento di una nuova funzione. Oggi a influenzare questo processo non si può non considerare anche gli aspetti economici, sono coinvolti nel progetto non solo architetti e tecnici esperti di strutture industriali ma anche costruttori che hanno l’interessea riqualificare una parte di città ma anche a trarre guadagno dalla propria impresa, motivo per il quale spesso insieme a musei o strutture per lo svago vengono inseriti Dall’alto: Lucca, tessuto urbano sull’impianto dell’anfiteatro romano; Napoli, teatro romano nel centro storico; Saltaire museo di David Hockney.

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nei progetti di riqualificazione anche residenze che sono la parte più vendibile di un progetto del genere. La creazione di questa nuova disciplina è in continuo sviluppo, coinvolge sempre più figure professionali e si delinea sempre meglio come interdisciplinare, da quando si prende fortemente coscienza che si può fare qualcosa con le rovine industriali e che non vanno considerate solamente come un punto a sfavore per le nostre città. Il riuso e la riqualificazione sono in grado di rinnovare parti di città intere con potenza, ed è per questo che sono entrate fortemente a far parte del processo di creazione architettonica e dell’urbanistica. Il coinvolgimento della cittadinanza è uno dei punti focali della moderna urbanistica da cui l’adaptive reuse delle aree industriali non può assolutamente prescindere, anzi data l’importanza sociale di molti impianti la partecipazione si delinea come un confronto importante e utile per chi li progetta.

approccio ha avuto il lavoro sull’area di Castelfield a Manchester, che vide lo spostamento del museo della scienza e della tecnica nella stazione ferroviaria del 1830. L’intervento pubblico in questo caso è servito da propulsore per tutte le altre iniziative private che ne sono conseguite, interventi in mulini, depositi, fabbriche che sono state riqualificate anche con l’aiuto parziale delle amministrazioni e della Comunità Europea. A macchia d’olio il riuso si espande nei tessuti e a volte coinvolge anche le infrastrutture che sono da considerarsi parte integrante del sistema industriale; ponti, viadotti, ferrovie fanno parte del contesto urbano in cui gli impianti sono inseriti e non possono prescinderne.

ESPERIENZE DI RIUSO NEL MONDO Una esperienza interessante di riqualificazione ebbe luogo negli anni 60/70 a SoHo, quartiere di New York, dove abbondavano depositi e piccole fabbriche abbandonate che diventarono loft, studi e locali notturni facendo concentrare la vita mondana della “grande mela” proprio in questo quartiere una volta disagiato. Negli anni successivi lo stesso processo si ripete in altre città americane e europee. Mentre uno dei primi lavori di riuso su strutture industriali dismesse è quello sulla Ghirardelli Chocolate Factory di San Francisco, un vero piano di recupero lo vediamo a Lowell nel Massachussets, dove si cercò di aiutare la città a riprendersi dal degrado trasformando l’aspetto industriale dell’insediamento in una nuova funzione culturale e ricettiva per il turismo. Stesso

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Dall’alto: SoHo NYC: prima della riqualificazione urbana; cantiere di riadattamento di una struttura industriale; una classica warehouse trasformata in lofts; l’interno di un loft.


LE INFRASTRUTTURE Essendo le infrastrutture il tessuto connettivo tra più impianti, a volte può essere la scelta giusta riqualificare prima questi oggetti e lasciare all’impresa privata gli impianti o parti di essi. Un esempio di progetti di sviluppo territoriale può essere considerato quello del centro ricreativo creato in Finlandia nel cluster di Finlayson, Tampella e Frenckell a Tampere. Il pericolo è perdere memoria del passato di impianti e infrastrutture che rischiano di essere indeboliti e frammentati dall’intervento di trasformazione, rimanendo solo un sottofondo e non avendo il giusto ruolo nella promozione e nella valorizzazione dell’oggetto. Esempio emblematico del recupero di una infrastruttura e di come questi interventi siano di successo è la trasformazione del tracciato ferroviario sopraelevato di New York lungo il fiume, la famosa High Line che unisce più oggetti di recupero, salvati dall’abbandono e diventati un vero e proprio luogo di attrazione con funzione multiple, da uffici e studi ad abitazioni o funzioni pubbliche come il Chelsea Flea Market.

Dall’alto: l’High line di New York prima della trasformazione; il parco urbano dell’High line; il viadotto di Castelfield, UK

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PRATICHE DI RIUSO Fermo restando che ogni progetto di riuso ha la sua unicità e la sua specificità, dovuta oltre che alle caratteristiche dell’oggetto in analisi a tutte le condizioni al contorno, cercheremo di analizzare alcuni approcci usati in progetti di riuso adattivo esemplari. Jonhatan Silver acquista nel 1980 a Bradford, in Inghilterra, una fabbrica tessile dismessa, senza lavorarci con trasformazioni o adattamenti, la apre e ci espone la sua collezioni di lavoro di David Hockey, dedicandogli la struttura. Questa azione porta finanziamenti esattamente come una pubblicità, dimostrando la potenza del manufatto e dell’impresa compiuta da Silver; pian piano con gli interventi di altri investitori la struttura viene recuperata e messa in funzione riuscendo a riqualificare l’intero quartiere e aumentando anche il valore commerciale degli immobili nell’area circostante. L’intervento non è stato pesante o invasivo, è minimo, partendo comunque da una struttura di valore architettonico eclatante tanto da essere poi inserito a posteriori, solo nel 2001, nella lista dei monumenti industriali riconosciuti dall’Unesco anche per l’intervento esemplare del visionario imprenditore inglese. Un esempio di intervento ibrido lo troviamo a Perth dove all’inserimento, nel mulino Stanley, di un museo è stato coadiuvato dall’affiancamento di iniziative private di housing, unendo pubblico e privato nell’intento di riqualificare una parte di città. Di questo tipo sono anche due esempi di altissimo livello e di grande notorietà come la trasformazione della Bankside Power Station ad opera di Herzog & de Meuron, trasformata nel museo di arte contemporanea Tate Modern, o come l’intervento sui quattro gasometri a Vienna ad

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opera di Nouvel, Wehdorn, Coop Himmelb(l)au e Holzbauer, ora un centro commerciale nel piano basamentale e residenze e uffici nelle strutture preesistenti. Queste due gemme dell’architettura del XX secolo sono degli adattamenti di strutture preesistenti che, lasciando chiari e evidenti l’identità e i caratteri originali, hanno creato dei centri attrattivi economicamente e socialmente. Un esempio di riqualificazione territoriale capace di tenere insieme 25 impianti industriali e di mostrare la storia industriale di un’intera regione geografica è il recupero del bacino della Ruhr. 800 kilometri quadrati con 120 esempi di riuso, sicuramente uno degli interventi più imponenti nel settore, che comprende il Landshaftpark di Duisburg, un edificio nuovo del gruppo giappnese Sanaa, la riqualificazione dell’impianto estrattivo di carbone Zeche Zollverein e la trasformazione di un gasometro in enorme auditorium oltre ad altri interventi di minore dimensione.

Dall’alto: la sede della TATE Modern di Londra nella vecchia sede della Bankside Power Station sul Tamigi; Gasometer City a Vienna; museo del carbone a Zeche Zollverein, gasometro di Oberhausen nel bacino della Ruhr.


Affianco a questi grandi interventi ne vediamo tutta una miriade di dimensioni più ridotte, ad intervento totalmente privato, e di rifunzionalizzazione quasi spontanea in appartamenti, hotels, lofts, stores o showrooms inseriti anche in oggetti di pregio come può essere Mulino Stucky a Venezia trasformato in hotel di lusso o nel centro Manufaktura affiancato dall’Alden Hotel nell’impianto polacco della fabbrica Poznanski. Lavorare all’interno delle strutture e delle forme delle presistenze è sicuramente più facile e più coerente con il tipo di intervento, in quanto si tratta di strutture uniche e spesso predominanti sul paesaggio che hanno attorno veri e propri landmarks, proprio per questo sono da utilizzare come propulsori di impresa e trasformazione in aree in difficoltà.

Dall’alto: Edificio di Sanaa e resti della produzione nel bacino della Ruhr; Mulino Stucky trasformato in hotel di lusso a Venezia; Manufaktura a Lodz.

Considerazioni pregresse sull’aspetto formale e architettonico dell’industria aiutano sicuramente a creare progetti legati alla storia e con un’identità e una riconoscibilità maggiore rispetto ad un qualsiasi progetto architettonico moderno, spesso si procede per livelli, uno per ogni fase storica dell’impianto, e si cerca una cooperazione tra questi, provando a farli coesistere permettendo la

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loro visibilità. In alcuni casi una corrispondenza tra funzione o ambiti è fonte di valore aggiunto al progetto, come nel caso della sede della Nestlè a Parigi inserita nella fabbrica Menier ad opera di Reichen & Robert. Al contrario anche al modificarsi delle funzioni come nel caso del mulino Lister Manningham, finito nel 1870 e decorato da fregi neo rinascimentali, che vede oggi al suo interno abitazioni di lusso che utilizzano i dettagli e i trattamenti come quid in più per rendere più appetibili gli acquisti delle unità immobiliari, permettendo il recupero del manufatto che sfrutta la sua bellezza e la sua qualità per essere recuperato e mantenuto in piedi. Il MASS MOCA (Massachussets Museum of Contemporary Art), che era la fabbrica di tintura in capo Arnold, è divenuto un contenitore libero e lasciato a rustico, interpretato da ogni artista in modo diverso con la proposta di interventi che coinvolgono la struttura; caso analogo quello di Zeche Zollverein, in cui il contenitore vede all’esterno la sua facies originale e all’interno una nuova funzione legata al design che ne modifica e “colora” l’aspetto serioso.

RIUSO IN ITALIA L’esperienza italiana si inserisce prepotentemente nella gamma degli interventi, alla fine del XX secolo, meglio riusciti e più numerosi di riuso, spesso ad opera di alcuni tra i più grandi architetti che la nostra nazione possa vantare. E’ Gae Aulenti a firmare il parco archeologico-industriale di Biella, nella fine degli anni 90, lungo la Valle del torrente Cervo, trattata come una vera zona archeologica con un approccio inconsueto solo qualche anno prima. La stessa Aulenti che si occuperà della rifunzionalizzazione della Gare D’Orsay tra-

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Dall’alto: la sede della Nestlè a Parigi in una antica fabbrica di cioccolato; il Mass MOCA; il nuovo palazzo di Giustizia di Venezia di C+S; Nella pagina affianco: le “pennate” di Beniamino Servino.


sformata nell’omonimo museo tra i più visitati al mondo e tra i migliori esempi di riuso in Europa. A Torino si è intervenuti sui grandi impianti di produzione della FIAT, trasformando il Lingotto in un polo attrattivo fondamentale per la città, inserendo strutture ricettive, espositive e parte del Politecnico, così come l’officina Grandi Motori e l’area Lancia in fase di trasformazione. Nel capoluogo piemontese abbiamo anche visto la trasformazione avvenuta sul tracciato ferroviario che tagliava in due la città, diventato sistema verde che unifica invece di dividere, contiene funzioni e collega oggetti come stazioni e parchi con il progetto delle “spine”. L’ambizioso progetto ancora in fase di sviluppo a cui ha lavorato Gregotti, sfrutta la copertura del passante per creare un unico boulevard costellato di oggetti, installazioni opere d’arte, verde urbano; la tettoia di strippaggio delle ferriere della Fiat diventa in questo contesto il Parco Dora, ad opera di Latz + Partner, che lasciano l’enorme struttura in ferro a vista, colorandola di rosso, rendendola tema architettonico del parco e delle strutture al suo interno, 89.000 mq di spazio eventi attrezzato per lo sport e lo svago nel verde regalato alla città. A Venezia sono C+S associati a intervenire sull’area delle Ex-conterie, inquinate e poi bonificate, trasformate in alloggi per studenti su 7400 mq; sempre lo stesso gruppo di progettazione lavora alla nuova sede del tribunale della città inserito nell’area dell’Ex manifattura tabacchi, restituita alla città direttamente su Piazzale Roma, risolta con una forma architettonica che non lascia molto all’immaginazione: una sorta di “pennata” alla Beniamino Servino, fa riferimento diretto al mondo industriale e alla sua immagine. Altra manifattura dei tabacchi riconvertita è quella di Genova, altro intervento degno di nota è quello a Lambrate

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sull’ex Faema con la creazione di un polo culturale e di studi professionali. A Firenze la Stazione Leopolda diventa, un contenitore culturale polifunzionale senza interventi troppo pesanti, oltre che museo dell’Oggettistica Ferroviaria, e ha riscosso attenzione il gasometro del 1885 oggetto di un concorso nel 1996 . Discorso a parte è quello di Roma che vede due interventi ben riusciti e attivi come le due sedi del Macro, una nell’ex sede della Birra Peroni - ad opera dell’architetto francese Odile Decq - e l’altra nell’ex Mattatoio - ad opera di Massimo Carmassi. Sempre a Roma nell’area dell’Ostiense abbiamo la Centrale Montemartini, una struttura industriale lasciata nella sua integrità e in cui sono state inserite 400 statue romane con un contrasto emozionante, ma abbiamo anche i Magazzini Generali del 1915, trasformati in sede del Centro Polifunzionale dei Vigili del Fuoco o i Mercati Generali nati nel 1922 sottoutilizzati e oggetto di un progetto di riqualificazione. A Napoli il riuso lo vediamo nel bacino industriale di Bagnoli in cui gli spazi di una antica vetreria del 1853, convertiti nella “città della Scienza” ad opera di Pica Ciamarra Associati, hanno dovuto fare i conti con un incendio doloso che ne ha distrutto parte degli ambienti che ospitavano un percorso didattico tra i più visitati in Italia. Milano, dove la rivoluzione industriale ha avuto un impatto fortissimo sullo sviluppo urbano è piena di casi di riuso sia spontaneo che progettato, basti pensare alle grandi aree di Sesto San Giovanni o di Bicocca e Bovisa parti di progetti di riqualificazione molto ampi realizzabili solo per piccoli passi, delle dimensioni di interi paesi e che forse non vedranno mai la loro definitiva e completa realizzazione. In Italia il valore documentale e di testimonianza viene sicuramente tutelato e valorizzato, l’attenzione per la preesistenza è maggiore da parte dei progetti-

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Dall’alto: MACRO a Testaccio, Centrale Montemartini, Roma; sede del Politecnico di Milano a Bovisa; Parco Dora a Torino.


sti abituati ad operare con oggetti con una storia forse piĂš antica ma che considerano alla pari di quelli industriali che hanno tuttavia la loro storia e la loro identitĂ .

Dall’alto: dettaglio dei pilastri di Parco Dora di Latz & Partner, Torino; Centrale Montemartini, Roma.

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CASI STUDIO 1 Centrale Montemartini - Francesco Stefanori - Roma, IT 2 Gasometer city -Nouvel, Coop Himmelb(l)au, Wehdorn, Holzbauer - Wien, OS 3 Blegny Mine - Blegny, BE 4 Kulturspeicher - Brückner & Brückner Architekten - Würzburg, DE 5 798 Beijing - Sasaki Architects - Beijing, RPC 6 Matadero - CH + QS architectos - Madrid, SP 7 Andel’s Hotel - OP Architekten - Lodz, PO 8 Ascoli 21 - Ascoli, IT 9 Ex Eridania - Renzo Piano - Parma, IT 10 Ex Barilla - Renzo Piano - Parma, IT 11 Big Pit - Bleenavon, UK 12 La catedral - Ricardo Bofill - Barcelona, SP 13 Bovisa - Pierluigi Cerri - Milano, IT 14 Brin 69 - Vulcanica - Napoli, IT 15 Caixa Forum - Herzog & de Meuron - Madrid, SP 16 Italcementi - Leggeri, Cortinovis + Lameri - Alzano Lombardo, IT 17 Ex tabacchificio Centola - Corvino + Multari - Pontecagnano, IT 18 Chelsea Flea Market - Vandeberg Architects - New York, USA 19 Centro culturale “le Ciminiere” - Giacomo Leone - Catania, IT 20 Città della Scienza - Pica Ciamarra associati - Napoli, IT 21 Continium - Designa - Kerkrade, NL 22 Tesa 105 - Estudio N - Venezia, IT 23 Corso Karlin - Ricardo Bofill - Prague, CZ 24 CREA - Joost Glissenaar Architects - Amsterdam, NL 25 Spina - Torino, IT 26 Ex Ansaldo - David Chipperfield - Milano, IT 27 Hammarby Sjöstad - Stockolm, SE 28 Economy - Ricardo Bofill - Prague, CZ 29 Ex Sofer - Peter Eisenman - Pozzuoli, IT 30 Emscher Park - Duisburg, De 31Espai Baronda - Alonso y Balaguer - Espluges, Sp 32 Ex Appiani - Mario Botta - Treviso, IT 33 GWL Terrein - Dwawu - Amsterdam, NL 34 Ex Michelin - Renzo Piano - Trento, IT 35 Mirafiori Design Center - Isolarchitetti - Torino, IT 36 Ex Ticosa - Archea - Como, IT 37 Ex Falck - Renzo Piano - Sesto S.Giovanni, IT

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38 Ferreries Cultural Centre - Arquitecturia - Tortosa, SP 39 Ford Point - Marcy Wong, Donn Logan - Richmond, USA 40 Frosilos - MVRDV - Copenhagen, DN 41Friche la belle de mai - ARM architecture - Marseille, FR 42 Ex area portuale - Renzo Piano - Genova, IT 43 Ex Gio Style - Muttiarchitetti - Milano, IT 44 Granary Lofts - Medusa Group - Gliwice, PL 45 Green Campus - Foster Associates - Torino, IT 46 Grunerløkka studenthus - HRTB Architects - Oslo, NO 47 Völklingen Ironworks - Völklingen, DE 48 Higgins Hall - Steven Holl - New York, USA 49 Kranspoor - OTH arkitekten - Amsterdam, NL 50 The Seirensho Art Museum - Hiroshi Sambuichi - Inujima, JP 51 Residenza sanitaria assistenziale - Ipostudio - Montemurlo, IT 52 Nuovo Palazzo di Giustizia - C+S architetti - Venezia, IT 53 Kaappeli - Helsinki, FI 54 Atelier - AAVP 55 Les Docks - Jakob + MacFarlane - Paris, FR 56 Lovejoy office building - Opsis Architecture - Portland,USA 57 MACRO Testaccio - Massimo Carmassi - Roma, IT 58 Manufaktura - OP Architekten - Lodz, PL 59 Mass MOCA - Bruner/Cott Architects and Planners - North Adams, USA 60 Mijn Beringen - Beringern, BE 61 La Piscine - Jean-Paul Philippon - Lille, FR 62 Lingotto - Renzo Piano - Torino, IT 63 Musee les Mineurs wendel - Jean-Pierre Masseret - Petite Roselle, FR 64 Catedral del vino - Pinell de Brai 65 MACRO - Odile Decq - Roma, IT 66 Catalonian Museum of Science and Industry - Lluís Muncunill - Terrassa 67 Musee d’Orsay - Gae Aulenti - Paris, FR 68 Nottingham Trent University: Newton and Arkwright Buildings - Hopkins Architects - Nottingham, UK 69 MOCAK - Claudio Nardi - Kracow, PO 70 Lamot Brewery - Architectenkooperatief e 51N4E - Mechelem, DE 71Palencia Center - Exit Architects - Palencia, SP 72 Pirelli Headquarters - Gregotti Associati - Milano, IT 73 Point Ephemere - Paris, FR 74 The Powerhouse - CGS Developers - Long Island city, USA 75 El Aguila - Mansilla + Tunon - Madrid, SP


76 Officine del volo - Nicola Gisonda - Milano, IT 77 Rhondda Heritage Park - Mid Glamorgan, UK 78 Landscape Park - Latz & Partners - Duisburg, DE 79 Mercato di Santa Caterina - Miralles e Tagliabue - Barcelona, SP 80 Sargfabrik - BKK-2 Architektur - Wien, OS 81 SESC - Lina Bo Bardi - Sao Paolo, BR 82 Spinnerei - bhss-architekten - Leipzig, DE 83 Industriemuseum - Friedrich Frhr - Oberhausen, DE 84 Sarphatistraat Offices - Steven Holl - Amsterdam, NL 85 TATE modern - Herzog & de Meuron - London, UK 86 Parco Dora - Latz & Partner - Torino, UK 87 CAOS - Aldo Tarquini - Terni, IT 88 Tramway, ZM architecture - Glasgow,UK 89 Tropical Islands - Haruyoshi Ono - Berlin, DE 90 Sporenburg - West8 architecture - Amsterdam, NL 91 Volkspalat - Berlin, DE 92 Kulturzentrum Schlachthof - ARCHITEKTION(R) - Wiesbaden, DE 93 Pumpwerk neukรถlln - Wenk und Wiese Architekten - Berlin, DE 94 Wesergasfabriek - ARUP - Amsterdam, NL 95 Yale steam laundry - John Ronan - Washington DC, USA 96 Zeche Zollverein - OMA - Essen, DE 97 Tyskie Brewing Museum - Tychy, PL

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SCALA TERRITORIALE

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L’area del Porto Antico di Genova è stata restituita alla città dal recupero architettonico di Renzo Piano. Un intervento per ridare vita ai moli e alle calate del vecchio bacino portuale con attività culturali, ludiche, commerciali, ristoranti e spazi destinati al relax. L’intervento comprende la ristrutturazione e restauro degli edifici storici lungo i moli: i 4 magazzini doganali del Seicento, il Magazzino del Cotone, il Quartiere Millo. Le nuove strutture sono invece l’Acquario, il Bigo e la Biosfera.

nome: Porto Antico funzione: Antico porto di Genova nuova destinazione: Struttura polifunzionale progettisti: Renzo Piano localizzazione: Genova, IT durata lavori: 2000-2001

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nome: Spina Centrale nuova destinazione: boulevard progettisti: Vittorio Gregotti localizzazione: Torino, IT durata lavori: 1995-oggi

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La Spina Centrale di Torino è un ambizioso progetto, già realizzato in parte, finalizzato a costruire un unico boulevard che attraversi la città da nord a sud sfruttando il progetto parallelo della copertura dei binari del passante ferroviario di Torino. Con l’interramento della ferrovia, il viale della Spina Centrale riconnette due parti di città a lungo rimaste separate e diventa uno dei principali assi della città. Il boulevard è stato progettato dall’architetto Vittorio Gregotti con caratteristiche architettoniche uniche lungo tutto il suo percorso. Il progetto del viale include un suo arricchimento con opere d’arte contemporanea di artisti di fama internazionale. La “spina” si divide in 4 progetti distinti. Nel linguaggio comune le Spina 1, 2, 3, e 4 rappresentano, oltre che di una parte del boulevard, anche la riqualificazione (in certi casi imponente) delle aree circostanti. Il progetto, articolato in quattro tranche, prevede la realizzazione, su tredici chilometri di linea ferroviaria, di un grande boulevard. La parte centrale viene destinata al trasporto veicolare e pubblico, a lato sono previsti i parcheggi a raso con sistemazioni a verde, mentre nella parte più esterna, musei, biblioteche, teatri, ma anche residenze, terziario e aree a verde.


La realizzazione del Parco Regionale dell’Emscher, impostata nei suoi lineamenti principali tra il 1991 ed il 1999, costituisce il più importante intervento, a livello mondiale, di riqualificazione complessiva di una vasta regione industrializzata, il cui equilibrio si presentava profondamente alterato ed avviato verso un’accellerata decadenza. L’immensa problematica del bacino industriale della Ruhr - di natura: urbanistica, territoriale, ecologico-naturalistica e socio-politico-culturale - è stata affrontata in blocco dal governo regionale del Land-Renania-Westfalia, che ha istituito per l’occasione un organo di intervento eccezionale: l’IBA Emscher Park S.r.l. (Internationale Bauausstellung E.P.- International Building Exhibition E.P.). La società ha giocato il ruolo fondamentale di coordinamento delle numerosissime parti sociali interessate dal progetto di recupero. La rinascita del fiume Emscher, ha rappresentato l’elemento di unione, fisico e simbolico, che ha legato a sé ogni tassello del vasto progetto. Il programma è stato suddiviso in sette linee d’intervento : 1. Parco paesaggistico dell’Emscher 2. Riassetto del sistema idrogeologico Emscher 3. Recupero del canale Rhein-Hern 4. Monumenti industriali come testimonianze storiche 5. Lavorare nel parco 6. Edilizia residenziale 7. Nuove proposte per attività sociali e culturali

nome: Emscher park nascita impianto: metà 1800 funzione: attività estrattiva e siderurgica nuova destinazione: parco tematico progettisti: IBA Emscher Park S.r.l. localizzazione: Ruhr, DE dimensioni: 320 Kmq durata lavori: 1991-2006

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nome: Milano Bovisa - Politecnico funzione: Area ex-gasometri Bovisa nuova destinazione: Politecnico di Milano localizzazione: Milano, IT durata lavori: 1998-oggi

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La sede di Milano Bovisa sorge nell’area degli ex-gasometri della Bovisa, un quartiere a nord di Milano. La sede è stata notevolmente ampliata in seguito a un concorso internazionale, bandito nel 1998 dal Politecnico di Milano in
collaborazione con gli enti locali (Comune e Regione) e che ha portato a una generale riqualificazione della zona. I due vincitori ex-aequo sono stati il gruppo giapponese Ishimoto e il francese Serete (quest’ultimo associato con l’italiano Brusa Pasquè). Il successivo progetto di sintesi curato dall’Ufficio Tecnico del Politecnico, propone il recupero senza ulteriori demolizioni di tutti i manufatti produttivi sopravvissuti sull’area. Nell’area suddivisa in tre parti trovano spazio: una prima e più estesa porzione con gli insediamenti del Politecnico; una seconda, i due più antichi gasometri ‘gemelli’, dove si prevedeva il Museo del presente; il terzo gasometro (mantenuto in attività per la cogenerazione) con l’intero quadrante nord-est destinato alla costruzione dei nuovi insediamenti direzionali e residenziali.


La Triennale Bovisa (definita anche TBVS), è una sede distaccata del La Triennale di Milano situata nel quartiere milanese della Bovisa inaugurata il 22 novembre 2006. Si pone come catalizzatore per la riqualificazione dell’area, iniziata con la realizzazione delle nuove sedi del Politecnico di Milano. L’edificio, progettato dall’architetto Pierluigi Cerri, comprende, oltre ad uno spazio espositivo di 1400 metri quadrati, altri 500 m² destinati a libreria dedicata, ristorazione e servizi per il pubblico.

nome: TBVS funzione: Ex area industriale Bovisa nuova destinazione: Triennale di Milano progettisti: Pierluigi Cerri localizzazione: Milano, IT dimensioni: oltre 1.500 mq fine lavori: 2006

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SCALA ARCHITETTONICA

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Il progetto è stato avviato su iniziativa del Comune di Parma nel 1999, e fa parte di un più generale programma di riqualificazione urbana e riuso dell’area. Le murature ed il volume della ex fabbrica rappresentavano l’elemento di maggiore carattere, e costituivano un segno urbano forte, l’eredità e la memoria della storia industriale di Parma. Nella sua classica configurazione funzionale, lo stabilimento era una grande “scatola”. Il restauro dello stabilimento ex Eridania ha comportato importanti interventi sulla struttura, pur nel rispetto della morfologia dell’edificio esistente. Sono state realizzate nuove fondazioni, e il recupero delle vecchie mura è avvenuto attraverso opportuni inserimenti in cemento armato disposti a pettine all’interno della struttura preesistente. L’edificio è definito dalle murature longitudinali ritmate dalle finestre esistenti ad arco molto ribassato, dalla copertura a due falde sostenuta da capriate metalliche in vista, ed infine dalle grandi superfici vetrate di testata, che costituiscono le pareti trasversali dell’auditorium. La copertura rispecchia la forma di quella originaria, che è stata totalmente ricostruita per sostituire i vecchi materiali non più ideonei sia dal punto di vista meccanico-strutturale che acustico. Il progetto ha previsto l’eliminazione delle pareti trasversali del corpo principale, e la loro sostituzione con tre grandi vetrate acustiche, in modo da assicurare una totale trasparenza lungo tutto l’asse longitudinale del corpo di fabbrica, lungo circa 90 metri. In questo modo è possibile vedere il parco da qualunque punto della sala e del foyer, anche durante le manifestazioni musicali.

nome: Ex Eridania nascita impianto: 1899 funzione: zuccherificio nuova destinazione: auditorium progettisti: Renzo Piano, Italo Jemmi localizzazione: Parma dimensioni: 7.200 mq durata lavori: 2001- 2008

costruire all’interno

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nome: Italcementi nascita impianto: 1890 funzione: cementificio nuova destinazione: residenze e museo d’arte contemporanea progettisti: Leggeri, Cortinovis - Lameri localizzazione: Alzano Lombardo, BG dimensioni: 3500 mq durata lavori: 2001-2006

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Considerato uno dei migliori esempi di archeologia industriale in Italia, lo stabilimento dell’Italcementi ad Alzano Lombardo è stato oggetto di un progetto di riqualificazione e rifunzionalizzazione. Progettato a fine 800 da Ernesto Pirovano, lo stesso progettista del villaggio operaio di Crespi d’Adda, diventa ,ad opera di Tullio Leggeri e dello studio Cortinovis - Lameri, ALT (arte, lavoro, territorio). Una sala ipostila con una selva di pilastri in cemento e uno spiccato gusto architettonico lo iscrive tra i gioielli del patrimonio industriale italiano. La serialità degli archi che segnano la divisione in campate ne ha permesso, oltre che la trasformazione in polo museale, in spazi per residenze unifamiliari open space. Le abitazioni hanno un affaccio all’interno con un giardino d’inverno sul quale affacciano i nuovi tamponamenti in vetro che regalano grande luminosità agli spazi interni. L’utilizzo di materiali moderni quali vetri translucidi e acciaio zincato lasciano visibile la preesistenza, in particolare restano visibili delle particolari colonne in cemento preservate e valorizzate all’interno delle sale dell’ALT. Ritroviamo le stesse colonne anche all’esterno in uno dei camminamenti perimetrali che servono la struttura. Attenzione alla riflessione della luce dimostrata dalla monocromaticità dell’intervento che usa il bianco come colore predominante spesso illuminato da prese di luce in copertura. Il progetto riesce a gestire il connubio tra una presistenza neomedievale e un inserimento tecnologico e moderno che riesce a non infrangere l’immagine e il ricordo originale del sito.


Del progetto originale di questa struttura si occupò l’ingegnere tedesco Schimming che vinse un concorso indetto dalla municipalità nel 1892. La costruzione di questi imponenti gasometri partì nel 1896, sotto la direzione di Franz Kapuan, e si concluse il 31 ottobre 1899 quando l’impianto aprì i battenti. Erano i gasometri più grandi d’Europa al tempo della loro costruzione, alti 75 metri, e sono rimasti in attività fino al 1986, anche se già tra il 70 e il 78 erano caduti in disuso per il passaggio a forniture più moderne, ma prima ancora della loro dismissione furono inseriti nel patrimonio industriale della nazione per l’evidente qualità architettonica. Con l’estensione della città l’impianto viene raggiunto dalla metropolitana e si delinea come un sito sensibile di valorizzazione e riqualificazione. Nel 1995 si prevede l’utilizzo delle strutture per trasformarle in residenze e congiuntamente alla creazione di un centro commerciale. Nouvel, Wehdorn e Holzbauer lavorano inserendo una nuova struttura all’interno, lasciando la facies invariata; al contrario con un approccio di “rottura” il gruppo Coop Himmelb(l)au annette un nuovo edificio al gasometro B per mettere in luce la nuova funzione e denunciare la trasformazione. Si tratta di un intervento di recupero di un sito industriale considerabile come un masterpiece, per il rispetto per le preesistenze e la trasformazione in nuove funzioni che non vanno a cancellare la storia e l’identità del luogo. Le 620 residenze inserite perfettamente nei gusci di mattoni riescono persino ad elevare il valore del piano interrato che collega le quattro strutture con un commercialissimo shopping mall che serve però a tenere vivo questo luogo in tutto l’arco delle giornate.

nome: Gasometer city nascita impianto: 1896-1899 funzione: gasometri nuova destinazione: residenze, terziario, auditorium, shopping mall progettisti: Jean Nouvel, Coop Himmelb(l)au, Manfred Wehdorn, Wilhelm Holzbauer localizzazione: Vienna dimensioni: 22.000 mq durata lavori: 1995-2001

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nome: Federconsorzi nascita impianto: 1853 funzione: acciaierie nuova destinazione: Città della Scienza progettisti: Pica Ciamarra Associati localizzazione: Bagnoli, NA dimensioni: 65.000 mq durata lavori: 2001

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Nel 2001 si è concluso il cantiere di trasformazione della sede della Federconsorzi a Bagnoli in Museo della Scienza avviata nel 1993 quando la fondazione acquistò lo spazio oramai dismesso. Un’attenzione particolare viene posta alle coperture studiate per dare illuminazione agli spazi espositivi mantenendo il più possibile la forma e la prospettiva originale. Lo studio del suolo e la sua articolazione unificano gli spazi e permettono percorrenze e distribuzione. La corte urbana che ingloba via Coroglio, a sud è definita da filari di “viti maritate”, a nord dal futuro ponte pedonale che prosegue nel pontile - con l’accesso da mare - ed allo stesso tempo è proteso verso un suggestivo spazio porticato che vuole accogliere una stazione della linea metropolitana Cumana. Forte integrazione quindi fra disegno dello spazio urbano e disegno degli edifici; particolare attenzione ad un paesaggio straordinario, captato dalle grandi fratture nel costruito: queste le chiavi che connotano l’insieme del quale nel 2003 è stata completata un’altra tappa: 20.000 mq che includono lo “Spazio Eventi” per 1.000 persone (con capsule sospese e suggestivi frammenti di archeologia industriale) di fronte ad una grande cavea all’aperto; uffici; B.I.C.; spazi per la formazione, attraversati ma non interrotti da un percorso carrabile. Su due livelli, una sequenza di laboratori ed aule, disegnati privilegiando lo spazio centrale di grande altezza, fortemente plasmato nelle sue parti, con alberi e giochi d’acqua che sottolineano i principi bioclimatici ed eco-ambientali che caratterizzano l’insieme, progettato con sistemi di ventilazione naturale ed ibrida e con intrecci spaziali e tecnologici fortemente caratterizzati. Il progetto del Museo del Corpo Umano (ca. 5.000 mq. E 25.000 mc. – 3 livelli espositivi, uffici,ristorante) è in corso di realizzazione.


Ex mattatoio comunale appena a sud dal centro di Madrid, nel quartiere Arganzuela, il complesso ha una superficie di 165.415 mq. L’antico mattatoio comunale di Arganzuela rappresenta uno degli stabilimenti industriali più singolari e interessanti dell’architettura madrilena del XX secolo. Il complesso di edifici è stato realizzato tra il 1910 e il 1925, durante le due guerre mondiali è stato utilizzato anche come magazzino di stoccaggio alimentare. Intorno agli anni ’70 molti edifici diventarono obsoleti e un po’ per volta vennero riqualificati e trasformati in strutture per attività di diverso tipo. Nel 1987 l’edificio per la vendita delle carni venne convertito in spazio per attività socioculturali. Precedentemente, anche gli uffici e la direzione amministrativa dell’antico mattatoio erano stati trasformati nella sede della Giunta Municipale di Arganzuela. Nel 1990 l’area destinata agli animali bovini venne convertita nella sede del Ballet Nazional de Espana e della Compagnia Nazionale di Danza e nel 1996 il mattatoio chiuse definitivamente. Nel 2003, con il nuovo Governo, la Municipalità decide di cambiare totalmente la strategia di progetto sull’area e inserire la riqualificazione del Matadero in un programma di recupero del patrimonio storico madrileno all’interno del piano di rigenerazione della parte sud della città. La sezione interna al Governo che si occupa di Arte decise di indirizzare la conversione dello spazio in un grande laboratorio di creazione e di produzione di arte contemporanea. Il 26 settembre 2005 venne approvata la Variante del Piano Speciale di Intervento con lo scopo di proteggere il patrimonio architettonico e culturale dell’area.

nome: Matadero nascita impianto: 1910 -1925 funzione: macello nuova destinazione: centro culturale metropolitano progettisti: CH + QS architectos localizzazione: Madrid, SP dimensioni: 165.000 mq durata lavori: 2003

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nome: Gasometer city nascita impianto: 1900 funzione: cementificio nuova destinazione: residenza e studio progettisti: Ricardo Bofill localizzazione: Barcelona, SP dimensioni: 3100 mq durata lavori: 1973-1975

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Nel 1973 Ricardo Bofill trovò un vecchio cementificio in disuso dell’inizio del secolo, composto da più di 30 silos, gallerie sotterranee e gigantesche sale-macchine, e decise di trasformalo nella sede del suo studio professionale, il Ricardo Bofill Taller de Arquitectura. I lavori di ristrutturazione durarono un paio d’anni. La fabbrica, ormai abbandonata e parzialmente in rovina, era una sommatoria di elementi surreali: scale che non conducevano in alcun luogo, possenti strutture di cemento armato che non sostenevano nulla, elementi in ferro sospesi nel vuoto, “spazi deserti pieni di magia”. La trasformazione iniziò con la demolizione di parte della vecchia struttura fino a rendere visibili le forme fino ad allora nascoste. Dopo aver definito gli spazi, iniziò il processo di adeguamento di questi alla nuova funzione. Otto silos furono adibiti a uffici, sale riunioni, locali tecnici, laboratorio per la creazione dei plastici, archivi e una zona soprannominata “La Cattedrale” per la sua monumentalità per ospitare mostre, concerti, proiezioni e ogni sorta di evento culturale legato all’attività professionale dell’architetto. Il difficile compito di creare un intorno vegetale dove prima c’era il cemento era parte integrante del progetto. La nuova “fabbrica” è ora circondata da eucalipti, palme, ulivi e cipressi ed è diventata, nel corso degli anni, una vera oasi verde.


Acquistata nel 1989 dal Comune con l’obbietivo di regalare alla comunità un nuovo spazio multifunzionale dedicato alla cultura, avrebbe dovuto vedere la luce nel 2011 a dieci anni dal primo concorso. L’enorme complesso ,composto da corpi di varie fasi di sviluppo, mantiene la cortina esterna dura e rigorosa in mattoni rossi e cemento; tutto il progetto di Chipperfield si svuluppa all’interno con un concept estremamente introverso. Ispirato dal tipico ambiente milanese caratterizzato da facciate tranquille e spente che nascondono intricati spazi interni, il progetto intende enfatizzare le qualità, inevitabilmente nascoste, del sito esistente. In quanto intervento formale all’interno di un informale complesso industriale, la proposta progettuale accoglie le intrinseche qualità del luogo costruendo su di esse, tanto con azioni di restauro degli edifici industriali esistenti, quanto con l’introduzione di un nuovo edificio centrale, punto focale della rete di connessioni racchiuse nel perimetro del sito. Si crea un nuovo centro, una hall in vetro opalescente illuminata e illuminante più alta di tutto il complesso con una forma curvilinea, spazio di connesione tra volumi puri che contengono le funzioni più private poste circolarmente. Invertito è quindi il rapporto tra interni e esterni, gli spazi che circondano la nuova hall rigorosi come la buccia del vecchio impianto, lo spazio centrale libero, fluido e luminoso come tutto ciò che circonda la vecchia struttura. Invisibile dall’esterno sfrutta l’effetto sorpresa e la luminosità della sua hall contrastando la seriosità del suo contenitore ancora oggi impenetrabile dal resto della città.

nome: Ex officine Ansaldo nascita impianto: 1904 funzione: ex cantiere navale nuova destinazione: Centro delle Culture Extraeuropee progettisti: David Chipperfield localizzazione: Milano dimensioni: 4.500 mq durata lavori: 2006-2007

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nome: Battersea Power Station nascita impianto: 1853 funzione: centrale elettrica nuova destinazione: TATE Modern progettisti: Herzog & De Meuron localizzazione: London, Uk dimensioni: 65.000 mq durata lavori: 2001

costruire attraverso

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La Tate Modern è la galleria d’arte moderna più visitata al mondo e si trova a Londra, in quella che un tempo era la centrale termoelettrica di Bankside, la Bankside Power Station. L’edificio fu progettato da Giles Gilbert Scott, architetto anche della centrale di Battersea. L’edificio, con una ciminiera alta 99 m e una larghezza di 200 m fu costruito in più fasi tra il 1947 e il 1963. La centrale fu chiusa nel 1981 quando il crescente prezzo del petrolio la rese antieconomica. Dopo un lungo periodo di abbandono, durante il quale ne fu anche ipotizzata la demolizione, nel 1995 la direzione della Tate Gallery affidò allo studio di architetti svizzero Herzog & de Meuron la riconversione dell’edificio a spazio museale. La Turbine Hall (Sala della Turbina), che un tempo era la sala che ospitava i generatori elettrici della vecchia stazione, è alta cinque piani ed ha una superficie di 3.400 metri quadrati. Quest’ampio spazio viene utilizzato per esposizioni temporanee. The Tanks (i Serbatoi), che si trovano al livello 0 dell’edificio, sono tre grandi serbatoi di petrolio sotterranei, spazi comunicanti e camere laterali che un tempo venivano impiegate dagli addetti della centrale e che sono state in seguito ristrutturate per l’uso della galleria.


Gli spazi della fabbrica della birra Peroni a Roma, grazie alla trasformazione ad opera della francese Odile Decq, nel 2010 ha visto trasformarsi spazi di produzione e scuderie in un museo di arte contemporanea nel pieno centro della città capitolina. La grande tettoia in vetro e acciaio, che copriva lo spazio di sosta per il carico e scarico delle merci, viene riproposta con forme nuove e moderne tecnologie creando uno spazio espositivo all’aperto e un punto di distribuzione degli spazi del nuovo MACRO. I due corpi vengono collegati da dei camminamenti, un corpo aggiunto in vetro e acciaio crea la facciata e si solleva sulle vecchie murature configurando il nuovo ingresso principale. L’impenetrabilità della nuova facciata riflettente nasconde un progetto introverso, una hall luminosa nonostante il nero che caratterizza i cromatismi del progetto negli spazi pubblici a ricordo della funzione industriale. Un enorme corpo sfaccettato, di un accesissimo rosso, si rende protagonista e sorprende il visitatore al suo ingresso contenendo un piccolo auditorium invisibile dall’esterno di questa “gemma”. Un percorso circolare retto dalle antiche strutture in ferro permette di guardare l’oggetto “estraneo” in tutta la sua imponenza e collega gli spazi pubblici del nuovo museo, una zona lounge, un punto ristoro e un piccolo bookshop. Le sale espositive al contorno asettiche e pure, relegano al bianco la funzione di fare da sfondo alle mostre temporanee e il ricordo della preesistenza è delegato alla struttura portante lasciata a rustico con il cemento e l’acciaio “antico”. Attenzione dedicata anche al piano coperture, a cui si accede da uno scalone che parte direttamente dal foyer, articolato da due elementi sfaccettati che emergono dal piano della copertura, una fontana e una sala vetrata.

nome: MACRO nascita impianto: 1950 funzione: birreria nuova destinazione: museo di arte contemporanea progettisti: Odile Decq localizzazione: Roma dimensioni: 12.500 mq durata lavori: 2006-2007

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nome: Ex Brewery Lamot nascita impianto: 1922 funzione: birreria nuova destinazione: centro culturale progettisti: Architectenkooperatief e 51N4E localizzazione: Mechelen, DE dimensioni: 1.340 mq durata lavori: 2005

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La birreria Lamot, sin dalla sua nascita nel 1922 è stata parte di processi di trasformazione, ampliamenti e demolizioni. Le necessità commerciali di questa fabbrica ne hanno guidato le modifiche e le addizioni alla parte originale affacciata direttamente sul fiume che attraversa la città di Mechelen. La strategia che ha guidato spontaneamente lo sviluppo delle infrastrutture e degli spazi della produzione sono stati studiati dai progettisti per la progettazione del nuovo edificio con nuove funzioni per il terziario e per la cultura. Questo manufatto diventa quindi nel 2005 un edificio pubblico in cui si integra la preesistenza in mattoni con un nuovo corpo affiancato in cemento e vetro estremamente trasparente e leggero. Obiettivo della trasformazione è quello di rendere accessibile e utilizzabile a tutti uno spazio prima introverso e specificamente produttivo. Il contrasto tra materiali e trasparenze garantisce la riconoscibilità tra vecchio e nuovo, ad eccezione del piano rialzato che viene svuotato per mettere a vista il sistema costruttivo in cemento armato della struttura. Particolare attenzione è stata riversata sulla creazione di punti di vista privilegiati sul paesaggio e sul sistema fluviale direttamente collegato a questo impianto, originariamente per questioni di accessibilità oggi sfruttati per il valore paesaggistico. Il livello pubblico diventa “Mechelen Central”, una superficie di 1300 mq regalata direttamente alla città e alla comunità che può usufruirne liberamente esaltando la nuova funzione di questo edificio. Tutto l’intervento è costato alla struttura la distruzione di una minima parte dei silos di immagazzinamento con l’obiettivo di mantenere viva la memoria del sito, valorizzandolo con l’aggiunta.


In quelli che erano gli spazi del cantiere navale della NDSM dismesso negli anni 70, si erge un edificio lungo e sopraelevato su vistosi piloni in cemento armato. In seguito alla contrazione della cantieristica navala ad Amsterdam tutta l’area è stata pian piano abbandonata, restano ad oggi spazi tecnici come moli, hangar depositi. Questi oggetti, che in Olanda vengono riconosciuti come di “valore”, entrano a far parte dei piani di sviluppo e riqualificazione della città che in alcuni casi ne riconosce le potenzialità. Iniziati nel 2006 i lavori puntano a riqualificare l’intera area e vedono la trasformazione di un oggetto meramente funzionale, quale questa banchina in pesante cemento armato, nel sistema di sostegno di un edificio più leggero in vetro e acciaio che si inserisce perfettamente sia nel paesaggio industriale dell’area e si integra quasi a sembrare nativo, con la presistenza. Dalla visione di Trude Hooykaas, semplicemente alla ricerca di un nuovo studio, nasce un edificio con spazi per il terziario di estrema bellezza che si poggia nell’acqua e ne sfrutta la dimensione paesaggistica, un parallelepipedo di vetro largo 13,6 metri e alto 10,8, staccato dalla base in calcestruzzo grazie a una struttura in acciaio alta 3 metri. Nei vecchi piloni vengono inserite le risalite e addirittura degli ascensori panoramici, e nella parte basamentale vengono creati gli spazi per archivi e depositi, più introversi al contrario degli spazi vivibili come uffici open space con affaccio diretto sul fiume. Il radicale approccio conservativo della preesistenza ha costretto i progettisti a fare considerazioni strutturali sui pesi degli elementi inseriti e sono quindi stati scelti materiali leggeri capaci di sviluppare gli spazi necessari. Proprio la differenza di materiali segna lo stacco tra ciò che era e ciò che è, lasciando intatta la memoria di un luogo di lavoro che continua a vivere ma con nuove funzioni.

nome: Ex NDSM, ”Kranspoor” nascita impianto: 1950 funzione: ex cantiere navale nuova destinazione: edificio per uffici ”Kranspoor” progettisti: OTH localizzazione: Amsterdam dimensioni: 12.500 mq durata lavori: 2006-2007

costruire in adiacenza

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nome: El Aguila nascita impianto: 1912-1914 funzione: birreria nuova destinazione: archivio e biblioteca progettisti: Mansilla + Tunon localizzazione: Madrid dimensioni: 40.000 mq durata lavori: 1994 -2000

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L’impianto di produzione di birra El Aguila una volta inserito nello sprawl della città di Madrid era al momento della sua moderna trasformazione in un’area oramai urbanizzata. Sconosciuta ai più, era un edificio abbandonato in mattoni rossi, realizzato su progetto dell’architetto Luis Sáinz de los Terreros, in stile ”neomoresco” ,con reminiscenze di carattere anglosassone come molti impianti di inizio secolo in questa area geografica, costruito con estremo gusto nonostante la funzione industriale. Il progetto di M+T si inserisce, anche pesantemente, sulla presistenza creando un nuovo contesto modernista in cemento e vetro estremamente diverso dal vecchio impianto, mettendo in evidenza e valorizzando la storia di questo sito e la sua qualità architettonica. Da una parte attento e delicato uso del mattone, dall’altro la freddezza del cemento e dell’ u-glass, sicuramente una scelta progettuale radicale, e di difficile assimilazione per la memoria di questo luogo. Interessante l’intervento sui silos, trattati come oggetti scultorei, vengono dipinti di bianco e si stagliano potentemente sul fondo rosso del mattone che compone l’originale facciata. I 30.000 mq vengono destinati ad archivio della città e i restanti 10.000 alla nuova biblioteca di Madrid; le qualità delle antiche strutture sono state evidenziate ancora di più dalla scelta dei materiali degli inserimenti. Gli spazi interstiziali servono a creare la distribuzione articolare e a staccare nuovo e preesistenze che vengono connesse solo puntualmente.


A Gournay-en-Bray è stato recentemente completato un centro culturale che ospita una biblioteca multimediale e altre attività, situato proprio nel centro della città, vicino a Place d’Armes. Questo nuovo centro è stato realizzato sul terreno precedentemente occupato dalla fabbrica Damau. Il nuovo edificio è in perfetta armonia con l’architettura del centro storico sia nella parte esterna che all’interno. Le doppie linee di pendenza delle strutture del passato incontrano un archetipo contemporaneo in ardesia viola scuro che, a seconda delle esigenze, viene interrotto dai volumi che incorniciano il paesaggio. L’edificio è composto da un piano terra dove sono situate la biblioteca multimediale e la scuola di danza, una parte del primo piano è occupata dalla scuola di musica mentre una parte del seminterrato ospita i locali delle attrezzature tecniche a cui si accede dall’esterno. È l’unico edificio aperto al pubblico che si affaccia su un giardino. Progettato a forma di H ha un collegamento tra i due corpi principali del centro. La parte che ospita la Maison des Associations (club locali e le attività del centro) è un ampliamento della struttura esistente, la cui capriata fa da punto di connessione. La sala con pannelli in vetro, viene utilizzata non solo come accesso alle varie attivita ma è anche dotata di un ampio spazio per le mostre. La lavorazione del legno ricorda quasi quella dei volumi delle cattedrali, con una luce tenue nelle sale di lettura. Il primo piano è interamente dedicato all’insegnamento della musica. Le aule sono state progettate attorno ad un corridoio interno, con un tocco urbano. I riflessi prodotti dall’ardesia e l’inserimento delle scale in punti strategici, rendono la tonalità viola della copertura più vegetale che minerale. Così si conserva la poesia dei giardini e dei cortili della vecchia fabbrica Damau.

nome: L’Atelier nascita impianto: 1853 funzione: fabbrica nuova destinazione: centro culturale, biblioteca progettisti: AAVP localizzazione: Gournay-en-Bray, FR dimensioni: 7.700 mq durata lavori: 2013

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nome: Frosilos nascita impianto: 1963 funzione: silos per il grano nuova destinazione: residenze progettisti: MVRDV localizzazione: Copenhagen, DN dimensioni: 10.000 mq durata lavori: 2003-2005

costruire fuori

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Le vecchie aree portuali europee sono state spesso oggetto di riconversioni, soprattutto nelle nazioni più attente alla qualità della vita. La panoramicità, la posizione strategica vicina ai centri e le invenzioni degli architetti che se ne sono occupati le hanno trasformate in interessanti e convenienti imprese commerciali. Solitamente siamo abituati a vedere conversioni di depositi (docks), trasformati in loft open space e ristoranti alla moda. Nel caso dei Frosilos a Copenhagen, vediamo un intervento più concentrato e chirurgico che trasforma radicalmente due oggetti con delle caratteristiche ben delineate. Il design unico di questi edifici nasce sicuramente dalle limitazioni strutturali dei silos in cemento. Collocando gli appartamenti all’interno dei silos, si sarebbero ottenute abitazioni scarsamente illuminate, a causa dei pochi fori realizzabili nelle pareti consumate dal tempo; ciò ha spinto MVRDV a pensare “fuori dalla scatola”, con una soluzione “dentro-fuori” molto interessante. La debolezza strutturale dei tubi di cemento, da grave limitazione al progetto, diventa un pretesto per creare spazi di vita esterni che donano anche un senso di leggerezza alla pesante struttura industriale, grazie alla pelle in vetro degli appartamenti, che acquistano ulteriore valore grazie a finestre a tutt’altezza e terrazze da cui godere della spettacolare vista di Copenhagen. Vedute e flessibilità massima possono essere ottenute ponendo tutti gli elementi di ostruzione all’interno del silo. Ascensori, scale, tubazioni e condutture trasformano l’interno del silo in una super struttura verticale. I silos sono coperti da un tetto trasparente che fa della super-struttura un atrio futuristico.


Alla presentazione ufficiale del Progetto Bicocca, avvenuto il 7 luglio 1988 presso il Castello degli Arcimboldi, l’architetto Gregotti afferma: “Alla Bicocca esiste una bellissima torre di raffreddamento alta quasi 50 metri. Noi abbiamo pensato di costruire la nuova sede degli uffici Pirelli attorno a quella torre, realizzando un grande quadrato che la ingloba e la mantiene in tutta la sua forza simbolica. Nell’interno della torre abbiamo previsto di ricavare delle grandi sale riunione, e all’esterno c’è un vuoto tra torre ed edificio-uffici, che segue l’inclinazione della torre”. Così Progetto Bicocca cresce, si allarga. Si modificano gli spazi e la storia attorno al gigantesco trombone grigio rovesciato. Che rimane imperturbabile dov’è. Il progetto sfrutta l’eccezionale impatto visivo e plastico della torre, si è deciso di sviluppare l’edificio proprio intorno ad essa: quasi come una cornice architettonica che ne abbraccia ed esalta la struttura scultorea. L’ingresso principale porterà a un edificio di 50 metri d’altezza di forma cubica, appoggiato su una struttura di due piani che contiene nel basamento i parcheggi e il portico. L’edificio è composto da tre lati destinati a uffici: la quarta facciata, rivolta verso la Bicocca degli Arcimboldi, consiste invece in una vetrata che racchiude la torre, rendendola visibile anche dall’esterno e mantenendo l’antico contrasto. Il piano terreno ospita una sala conferenze di circa 400 posti e gli ascensori che conducono ai 10 piani di uffici, al piano tecnico e all’ultimo piano scoperto, da dove si può accedere ad un vero e proprio eliporto. Tutto per rimanere in linea con l’idea di creare una coesistenza armonica tra il vecchio e il nuovo.

nome: Pirelli RE headquarters nascita impianto: 1896-1899 funzione: torre di raffreddamento nuova destinazione: Headquarters Pirelli, auditorium progettisti: Gregotti Associati localizzazione: Milano (Bicocca) dimensioni: 10.000 mq durata lavori: 2003

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“FIL ROUGE” ALBANIA: DALLA PRODUZIONE AL PATRIMONIO L’industrializzazione in Albania La deindustrializzazione Capire il significato del patrimonio industriale in Albania ERIH route in Albania, le fil rouge Schedatura siti industriali

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L’INDUSTRIALIZZAZIONE IN ALBANIA Il processo di industrializzazione in Albania iniziò molto tardi, questo non significa che fu poco rilevante. Il percorso di questa nazione emergente può essere tracciato semplicemente attraverso la crescita, il declino e , ultimamente , la nascente ripresa dell’ economia industriale. Il patrimonio industriale albanese è un’espressione tangibile della sua storia, dall’indipendenza, con gli investimenti per l’estrazione delle materie prime dalla metà del XIX secolo, fino al rinnovamento delle infrastrutture del 1990. Un esempio è quello delle migliaia di bunker in cemento fatti realizzare da Enver Hoxha a scopo difensivo che ancora dominano gran parte della campagna albanese. Nonostante l’assurdità dell’operazione, la sua realizzazione è ricordata come un’ impresa nazionale eroica. Tra il 1939 e il 1946, dopo la deposizione di re Zog I vi fu l’occupazione italiana e Vittorio Emanuele III venne proclamato re d’Albania. Il territorio Albanese durante il fascismo era strategico per poter attaccare da terra la Grecia ma anche perché si potevano sfruttare una manifattura a bassissimo costo (non specializzata) e risorse naturali ingenti tra cui idrocarburi. Sotto la guida del “protettorato” italiano vi fu grande impulso per l’industria estrattiva a Kucove con la AIPA (poi ENI) che raffinava gli idrocarburi a Bari nella STANIC, ma anche per l’industria energetica a Tirana e Valona come per quelle manifatturiera e alimentare a Skodra, Fier, Durazzo e ancora Tirana. Negli anni che intercorrono tra il 1946 e il 1948, terminata la guerra, in Albania si instaura uno stato comunista, marxista, stalinista e antirevisionista che inizia a tessere i rapporti con i regimi comunisti orientali (URSS e Cina) e intanto

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principia a stipulare accordi politici con la Jugoslavia. Tali rapporti non si concretizzano in alcun intervento economico perché si credette che la Jugoslavia volesse incorporare l’Albania politicamente. Da ciò derivò una ulteriore chiusura rispetto alle repubbliche occidentali. Gli anni più floridi per l’industria albanese furono quelli segnati dal patrocinio con l’URSS che vanno dal 1949 al 1961. L’unione Sovietica da sempre cercava un affaccio sul Mediterraneo per questo decise di essere per l’Albania il maggior mercato di sbocco delle esportazioni, e non solo: fu anche fornitrice di crediti a fondo perduto o a bassissimo tasso di interesse, così come di assistenza tecnica e scientifica.L’Unione Sovietica importava dall’Albania prodotti minerari, in particolare cromo e rame ma anche prodotti agricoli come tabacco, frutta ed agrumi. L’ Unione Sovietica al contrario esportava in Albania soprattutto beni capitali come attrezzature per l’industria petrolifera, mineraria, camion, autobus, parti di ricambio: per apprezzare l’importanza del patrocinio nello sviluppo postbellico albanese, è sufficiente considerare che le attrezzature sovietiche per l’industria petrolifera albanese costituivano il 95 % di tutti gli impianti, il 65 % delle attrezzature per l’agricoltura , il 90 % degli automezzi e l’82 % dei trattori agricoli ; in più l’Albania importava dall’Unione Sovietica la maggior parte del grano e i fertilizzanti per l’agricoltura. Con l’inizio di questa collaborazione vennero promossi anche in Albania i piani quinquennali, si iniziò con un piano biennale, quello del 1949-50. Al lato: immagine storica dell’industria estrattiva AIPA di Kucove, realizzata dagli italiani nel 1914. nella pagina affianco: manifesto del PPSH sul tema della rottura con Mosca del 1960. Immagine propagandistica di Enver Hoxha, primo segretario del ppsh. Francobolli albanesi del 1989.


• Piano biennale 1949-1950: Venne realizzata la prima ferrovia del paese collegando Durazzo e Pequin e dato impulso alle industrie tessile ed elettrica (TEC) a Tirana mentre quella manifatturiera a Fier. Il secondo congresso del partito del lavoro albanese (aprile ‘52) approva il primo piano quinquennale di impostazione sovietica del dopoguerra con obiettivi sia economici che politici. I primi tre piani quinquennali sono tre piani centrati sullo sviluppo dell’industria pesante e del settore minerario in un tentativo classico di industrializzazione, spinta tipica del pensiero marxista leninista. Il settore A, il settore beni di investimento secondo la classica divisione sovietica per distinguerlo dal settore B dei beni di consumo è stato il settore privilegiato. • 1° piano 1951-55: L’Unione Sovietica concesse crediti a lungo termine per 422 milioni di rubli ad un tasso del 2%; debito totalmente condonato, compresi gli interessi. L’attuazione del piano incontra le difficoltà tipiche di una economia sostanzialmente agricola che intraprende un processo di industrializzazione forzata cioè l’arretratezza di tutto il settore agricolo, quindi di tutto il paese, e la quasi inesistente preparazione tecnica e scientifica della forza lavoro (come accadde in unione sovietica nel ‘23) nonché la biforcazione fra prezzi agricoli e prezzi industriali, a favore di questi ultimi. • 2° piano 1956-60: cominciò la collettivizzazione dell’agricoltura, metodologia intesa come “superiore” nella logica dell’educazione socialista degli agricoltori e dal punto di vista dell’efficienza produttiva .A questo scopo si dovevano creare nuove cooperative agricole. All’inizio del processo di collettivizzazione venne costituita una cooperativa agricola in ogni villaggio , indipendentemente dalla dimensione del villaggio .

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Successivamente le cooperative vennero accorpate fino a comprendere 10-15 villaggi per una estensione di quattromila ettari. Gli agricoltori vengono spesso forzati ad aderirvi. • 3° piano 1961-65: L’aiuto sovietico cessò bruscamente nel 1961 dopo il quarto congresso del partito del lavoro albanese che denunciò il revisionismo sovietico e si schierò nel campo antirevisionista assieme alla Cina. Come risposta l‘Unione Sovietica ruppe immediatamente tutti gli accordi stipulati fra i due paesi : sospese i crediti dovuti per il periodo1961-1965 , denunciò tutti gli accordi commerciali, quelli tecnico – scientifici e culturali e ritirò immediatamente tutti gli specialisti sovietici . Rimasta sola, l’Albania trovò nella Cina un potente alleato, sia politicamente che economicamente, in grado di svolgere quello che era il ruolo dell’URSS. Gli investimenti cinesi ammontarono però a circa il 10 % degli investimenti albanesi, meno rispetto a quelli sovietici. L’Albania esportava in Cina materie prime come cromo, nichel, rame, ferro e prodotti agricoli. Questa “alleanza” durò dal 1965 al 1978 e durante questi anni vennero promossi altri piani quinquennali. • 4° piano 1966-70: fu il piano più redditizio per Fier ove vennero realizzate l’industria di fertilizzanti, l’industria estrattiva e la raffineria, venne anche costruita la centrale idroelettrica Vau i Dejes, lo stabilimento dei preparati chimici di Luc, la fabbrica di gomma di Durazzo, la fabbrica degli strumenti ad alta precisione di Korca e quella tessile di Berat . • 5° piano 1970-75: venne realizzato l’enorme complesso metallurgico di Elbasan. Nel 1978, e fino al 1990, il partito del lavoro

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albanese capitanato da Enver Hoxha, ritenne di essere l’ultima, unica, fortezza marxista al mondo. Si instaurò un clima di paura e con esso il regime. Nonostante questo i rapporti economici con l’Italia ripresero nel quadro di un tentativo da parte della dirigenza albanese di diversificare geograficamente esportazioni ed importazioni. Fra il 1977 ed il 1981 il numero dei paesi che commerciano con l’Albania passò da 30 a 50. Il commercio estero albanese doveva comunque ubbidire al principio “vendere prima e comprare poi” che unito all’obbligo legislativo della bilancia dei pagamenti in pareggio discende dal principio politico per cui l’Albania dovesse conservare la più totale autonomia in campo economico per non essere condizionata nella sfera politica. • I piani 6°(1976-80), 7° (1981-85) e 8° (198690) durante l’isolazionismo puntano molto sull’industria chimica e alimentare; infatti, nel sesto e ottavo venne enormemente potenziato lo stabilimento di Fier.

Nella pagina affianco: piano quinquennale 1966-1970, promosso grazie alla partnership cinese.


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LA DEINDUSTRIALIZZAZIONE La storia recente dell’Albania è intimamente legata alle problematiche conseguenze della transizione dal regime comunista di Enver Hoxa a un sistema politico di tipo democratico e pluralista. Le prime elezioni politiche risalgono al 1992, vinte dal leader del Partito democratico (Pdsh) Sali Berisha che ha intrapreso una politica di radicale privatizzazione e de-regolamentazione. Nel periodo immediatamente successivo al crollo del regime, tale politica sembra dare risultati positivi: dopo l’iniziale crisi dovuta alla destrutturazione del sistema pianificato (- 40% della produzione tra 1988 e 1992) i dati macroeconomici si stabilizzano e si registra una notevole crescita del Pil. Tuttavia tale crescita si rivelerà ben presto fittizia, essendo fondata su fattori economici contingenti piuttosto che su una vera e propria riforma della società e delle istituzioni. Infatti, pur dichiarandosi una democrazia parlamentare, l’Albania non adotta ancora, nel 1992, una nuova Costituzione, e a una politica di apertura sul piano internazionale non corrisponde, almeno in questa prima fase, un eguale atteggiamento nella politica interna. I prezzi furono in gran parte liberalizzati. Fu privatizzata la maggior parte delle imprese di stato: dalle piccole industrie alle imprese statali artigianali medie e piccole. Le società cooperative agricole delle comuni rurali fallirono così come fallirono moltissime industrie, quasi tutte negli anni 1990-92. La ricostruzione del processo di dismissione è stata possibile grazie ai dati tratti dagli studi dell’Albanian Heritage Foundation che lavora in stretta collaborazione con le istituzioni governative centrali, autorità locali e altre organizzazioni non governative nazionali e internazionali. La fondazione ha mappato il dismesso in Albania con coordinate georeferenziate e lo ha

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schedato, fornendo informazioni complete tra le quali anche l’anno di cessata attività. Nel 1997 vi fu il collasso sociale ed economico e del sistema finanziario che portò al fallimento della Banca statale Agricola Albanese e della Banca statale Commerciale Albanese. Un regime finanziario viziato dalla creazione di schemi piramidali, di mera speculazione finanziaria, di traffici monetari a tassi eccessivi che avevano attirato depositi da una parte notevole della popolazione, diede origine a disordini che causarono più di 1500 morti, una diffusa distruzione di proprietà pubblica e privata con una caduta del PIL dell’8% e l’esplosione dell’inflazione al 50%. Sono questi gli anni di una seconda, ma nettamente minore, ondata di dismissione. Attualmente l’Albania è sottoposta ad un intensivo regime di ristrutturazione macroeconomica sotto la sorveglianza del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, in collaborazione per la politica monetaria con la Banca d’Albania (Banca Centrale dello stato Albanese).

Al lato: logo dell’Albanian Heritage Foundation. Nella pagina affianco: tabella sintetica estrapolata dalle informazioni dell’AHF, che mostra il processo di industrializzazione nel corso dei piani quinquennali delle città interessate e la relativa dismissione degli impianti, avvenuta nel 1990-92.


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CAPIRE IL SIGNIFICATO DEL PATRIMONIO INDUSTRIALE ALBANESE Nonostante tutto ciò che abbiano significato in termini di repressioni e restrizioni alla libertà gli anni del socialismo, essi rappresentano anche il periodo in cui la comunità tutta era impegnata in imprese nazionali titaniche, in cui la popolazione si identifica oggi. Questi investimenti di capitale umano meritano di essere ricordati e resi palesi per mezzo dell’esibizione del patrimonio in cui è stato impiegato, siano essi i bunker o le fabbriche dismesse. Intere comunità sono state forgiate attraverso le relazioni con le attività industriali e gli impianti, e nonostante molti di questi siti industriali siano dismessi, le comunità continuano ad esistere. Queste comunità devono affrontare le pressioni dell’Albania moderna che continua ad adattarsi ad un’economia di libero mercato. È facile in queste condizioni che le radici comuni possano perdersi ma il patrimonio industriale può favorire la coesione sociale attraverso le evidenze fisiche di quella memoria (patrimonio immateriale) condivisa delle comunità. Ilir Parangoni, responsabile principale della mappatura del dismesso in Albania, in una intervista rilasciataci dice che “si può sostenere che i monumenti industriali albanesi abbiano una maggiore rilevanza per la maggior parte degli albanesi rispetto ai tesori nazionali come Berat , Butrint o Gjirokastra. Il passato ellenistico, romano, bizantino, veneziano e ottomano di Butrint è di oggettivo valore ma non è un luogo con cui la popolazione si identifichi. E ‘ il prodotto di altri, quegli imperi e popoli che occuparono e utilizzarono l’ Albania, spesso a proprio vantaggio. Al contrario, il patrimonio industriale del paese è qualcosa che è stato realizzato e utilizzato dagli albanesi stessi. L’industria ha contribuito a plasmare il paese mo-

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derno e la consapevolezza come la comprensione del ruolo che ha avuto nella storia del paese si tramanda attraverso i fabbricati industriali che potenzialmente potrebbero aiutare la società moderna a conoscersi meglio e a prendere decisioni lungimiranti per il suo futuro.”

Nella pagina affianco: colorificio, ex fabbrica tessile Mao TseTung, Berat. Fotografia scattata in uno dei sopralluoghi del viaggio conoscitivo delle aree industriali.


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ERIH ROUTE IN ALBANIA Portare all’attenzione delle amministrazioni l’importanza che il patrimonio industriale riveste e il suo valore potenziale è lo scopo di questo lavoro di ricerca e progetto; in particolar modo perché gran parte di questo patrimonio è a rischio. Siti industriali e paesaggi vengono distrutti, senza schedatura previa e con la loro scomparsa le comunità - senza accorgersene - si impoveriscono. La visione di progetto non prevede la semplice conservazione dei siti come monumenti da visitare bensì un attento riuso con progetti specifici caso per caso e soprattutto la realizzazione di un percorso tra essi. Il modello di riferimento è il lavoro dell’ ERIH. Il progetto valuta la possibilità di realizzare tre classi di mappe: una basata sui punti di ancoraggio, una sui percorsi regionali e un’ultima per percorsi tematici. I punti di ancoraggio scelti sono Skodra, Durazzo, Tirana, Elbasan, Berat, Kukove e Fier. Questa scelta è relativa alla classificazione fatta sulla base dei dati dell’AHF e dei dati raccolti in un viaggio teso a conoscere la realtà industriale albanese svoltosi nella primavera 2013. I punti di ancoraggio illustrano la gamma completa della storia industriale del paese. Da tali punti il visitatore può scegliere quale percorso intraprendere a livello locale. I visitatori di tutte le fasce di età possono conoscere il patrimonio industriale tramite visite guidate, presentazioni multimediali ed eventi specifici. Tutti i punti di ancoraggio sono contemporaneamente, punti di partenza per una serie di rotte regionali. Queste si collegano al concetto di area vasta e ne sono state individuate quattro che si riferiscono all’area di Tirana, Elbasan, Berat, Fier. Ogni regione ha la sua particolarità. Il patrimonio industriale albanese unisce le molte tradizioni all’interno di una singola idea. Gli itinerari regionali collega-

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no paesaggi e luoghi che hanno lasciato il segno nella storia industriale. Dalla Kombinat di Tirana alla Metallurgik di Elbasan alla Mao Tse-Tung di Berat alla Gogo Nushi di Fier iniziano i percorsi regionali che comprendono una serie di monumenti industriali meno significativi, paragonabili a piccoli ingranaggi della grande macchina industriale. Con i percorsi tematici invece si collegano i siti in base al prodotto realizzato con l’intenzione di rivelare i potenziali legami tra i diversi monumenti industriali. Il risultato è uno “schema elettrico” dei percorsi comuni del patrimonio. Con il progetto si vuole collegare il passato industriale con lo sviluppo futuro.

Nella pagina affianco: sul modello dell’ERIH le mappe per punti di ancoraggio, per percorsi regionali e per percorsi tematici studiate per l’Albania.


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ALBANIA: SCHEDE DEL PATRIMONIO INDUSTRIALE Skodra Lac Durazzo Tirana Rogozhine Elbasan Cerrik Lushnje Kucove Berat Fier 92


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SKODRA

1. Cement factory Periodo: Tra le due guerre (1914-1939) Categoria: industria di produzione Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: discrete condizioni Proprietà: privati Occupazione: parzialmente occupato Descrizione: -

2. Meat processing factory Periodo: Tra le due guerre (1914-1939) Categoria: industria alimentare Anno di abbandono: Stato di conservazione: discrete condizioni Proprietà: privati Occupazione: occupato Descrizione: -

3. Brick factory Periodo: secondo piano quinquennale (1956-60) Categoria: industria di produzione (costruzioni) Anno di abbandono: Stato di conservazione: pessime condizioni Proprietà: privati Occupazione: libero Descrizione: Questo complesso si compone di due edifici ad un piano in cemento armato. 4. Soap factory Periodo: Tra le due guerre (1914-1939) Categoria: industria manifatturiera Anno di abbandono: 1945 Stato di conservazione: buone condizioni Proprietà: privati Occupazione: occupato Descrizione: L’edificio è in buone condizioni, poiché attualmente utilizzato come residenza.

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5. Flour factory Periodo: quinto piano quinquennale (1971-1975) Categoria: industria alimentare Anno di abbandono: Stato di conservazione: buone condizioni Proprietà: privati Occupazione: occupato Descrizione: -

6. Shoe and leather processing factory Periodo: terzo piano quinquennale (1961-1965) Categoria: industria manifatturiera Anno di abbandono: 1991 Stato di conservazione: pessime condizioni Proprietà: privati Occupazione: libero Descrizione: Questo complesso si compone di due piani. 7. Winery Periodo: comunista Categoria: industria alimentare Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: pessime condizioni Proprietà: privati Occupazione: libero Descrizione: Complesso costituito da un edificio a forma di U. 8. Oil factory Periodo: settimo piano quinquennale (1981-85) Categoria: industria alimentare Anno di abbandono: Stato di conservazione: pessime condizioni Proprietà: privati Occupazione: occupato Descrizione: Edificio costituito da tre piani, uno dei quali è stato occupato da residenze.

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9. Wires plant Periodo: terzo piano quinquennale (1961-1965) Categoria: industria metallurgica Anno di abbandono: 1991 Stato di conservazione: buone condizioni Proprietà: Stato + privati Occupazione: parzialmente occupato Descrizione: in parte occupato da un’impresa privata turca, la restante parte è abbandonata. 10. Funicolar cable plant Periodo: Categoria: industria meccanica Anno di abbandono: 1991 Stato di conservazione: mediocri condizioni Proprietà: privati Occupazione: occupato Descrizione: il sito è in condizioni di degrado fisico e cedimenti strutturali a causa dell’ umidità. 11. Tobacco Processing Plant Periodo: primo piano quinquennale (1951-1955) Categoria: industria manifatturiera Anno di abbandono: 1991 Stato di conservazione: buone condizioni Proprietà: Stato + privati Occupazione: parzialmente occupato Descrizione: sei piani, produzione e uffici, recentemente ristrutturati. 12 Wood processing factory Periodo: quarto piano quinquennale (1966-1970) Categoria: industria del legno Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: cattive condizioni Proprietà: nuovi residenti Occupazione: occupato Descrizione: Il sito è stato completamente trasformato, irriconoscibile lo stato originale.

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13. Paper processing factory Periodo: Il terzo piano quinquennale (1961-1965) Categoria: industria del legno Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: cattive condizioni Proprietà: nuovi residenti Occupazione: occupato Descrizione:Il sito è in condizioni di degrado fisico e cedimenti strutturali a causa dell’ umidità. 14. Powdered milk factory Periodo: quarto piano quinquennale (1966-1970) Categoria: industria alimentare Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: buone condizioni Proprietà: privati Occupazione: occupato Descrizione: -

15. Tomato sauce factory Periodo: secondo piano quinquennale (1956-60) Categoria: industria alimentare Anno di abbandono: 199 Stato di conservazione: buone condizioni Proprietà: privati Occupazione: occupato Descrizione: -

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lac

1.Copper smelting plant Periodo: sesto piano quinquennale 1976 - 1980 Categoria: produzione Anno di abbandono: sconosciuto Stato di conservazione: pessimo Proprietà: METE (Ministero dell’Economia, Commercio ed Energia) Descrizione: -

2. Superphosphate plant Periodo: quarto piano quinquennale 1966 - 1970 Categoria: produzione Anno di abbandono: sconosciuto Stato di conservazione: pessimo Proprietà: METE (Ministero dell’Economia, Commercio ed Energia) Descrizione: -

3.Wood combine Periodo: terzo piano quinquennale 1961 - 1965 Categoria: housing e architettura Anno di abbandono: sconosciuto Stato di conservazione: buono Proprietà: privato Descrizione: -

4.Railway laç - Vorë Periodo: terzo piano quinquennale 1961 - 1965 Categoria: trasporti e comunicazioni Anno di abbandono: sconosciuto Stato di conservazione: buono Proprietà: privati (ITSH) Descrizione: -

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1.Brandy Distillery “Skëndërbe “ Anni di costruzione: 1961-1965 Categoria: industria alimentare Anno di abbandono: Stato di conservazione: buono Proprietà: privati Descrizione: è costituito da un complesso di fabbricati su due/tre livelli. E’ la maggiore distributrice non solo della regione ma dell’Albania intera.

durazzo

2.“Telat Noga” tobacco factory Anni di costruzione: 1914-1939 Categoria: manifattura tabacchi Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: pessime condizioni Proprietà: Privati Descrizione: Durante il comunismo l’impianto subì un ampliamento. Oggi la fabbrica è in stato di abbandono. 3.“Enver Hoxha” cantiere navale Anni di costruzione: 1961-1965 Categoria: trasporto Anno di abbandono: Stato di conservazione: Buone condizioni Proprietà: O.S.I e altre istituzioni Statali Lo sviluppo industriale del porto ebbe inizio nel 1960 con la costruzioni di vari cantieri navalli.

4.Brick factory Anni di costruzione: Categoria: edilizia Anno di abbandono: Stato di conservazione: buono Proprietà: privati Descrizione: L’impianto è situato nella zona di Currila. È stato costruito durante il comunismo a supporto della vecchia fabbrica NISH Tiles.

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5.Chemical plant Anni di costruzione: 1971-1975 Categoria: Industria chimica Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: discreto Proprietà: O.S.I e altre istituzioni Statali Descrizione: Complesso di edifici su uno/due livelli. L’impianto produceva bicromato di sodio e pesticidi come il lindano e il tiram. 6.Marsh Pumping Station Anni di costruzione: 1966-1970 Categoria: produzione di energia idrica Anno di abbandono: Stato di conservazione: buono Proprietà: O.S.I e altre istituzioni Statali Descrizione: costruita nel 1967 per gestire le acque presenti all’interno della zona delle paludi di Durazzo. 7.Mechanical Enterprise of Railroad Anni di costruzione: 1956-1960 Categoria: Industria meccanica Anno di abbandono: Stato di conservazione: discreto Proprietà : O.S.I e ministero dei trasporti.(MPPT) Descrizione: si occupa della manutenzione di convogli ferroviari compresi treni a vapore antichi. Presenta magazzini ancora in uso. 8.Plastic factory Anni di costruzione: 1966-1970 Categoria: Industria chimica Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: discreto Proprietà: Privati Descrizione: manufatti riciclati in PVC come tappi per bottiglie e tubi per l’acqua. Con l’introduzione di nuove tecnologie si è spostata la produzione su elementi come ciotole, bottiglie e scodelle.

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9.Radio-television plant Anni di costruzione: 1966 -1970 Categoria: comunicazione Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: Proprietà: Privati Descrizione: fino al 1969 lavorava su tv importate in bianco e nero. Nel 1980 la produzione fu ampliata sui televisori a colori (“Blaupunkt”). 10.UMB Anni di costruzione: 1966 -1970 Categoria: industria meccanica Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: pessimo Proprietà: privati Descrizione: Questo sito è stato utilizzato per la produzione di attrezzi agricoli e veicoli come trattori e mietitrebbie. 11.SIE-Rubbers, prodotti in gomma Anni di costruzione: 1951-1955 Categoria: industria chimica Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: pessimo Proprietà : METE Descrizione: sei stabilimenti, nel 1974 furono aggiunti al complesso nuovi edifici. Ci sono stati circa 3.000 i lavoratori in questo sito.

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TIRANA

1. Kombinat - Coal-fired power plant Periodo: primo piano quinquennale (1951-1955) Categoria: industria energetica Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: pessime condizioni Proprietà: METE Descrizione: La centrale è stata costruita per fornire energia all’industria tessile Stalin.

2. Kombinat - “Stalin” textile plant Periodo: primo piano quinquennale (1951-1955) Categoria: industria tessile Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: pessime condizioni Proprietà: comunale Descrizione: l’industria nasce col partenariato albanese-sovietico e proseguì con quello cinese. Attualmente è parzialmente abitata da abusivi. 3. Glass Factory Periodo: secondo piano quinquennale (1956-60) Categoria: industria manifatturiera Anno di abbandono: Stato di conservazione: pessime condizioni Proprietà: nuovi residenti dopo il ‘90 Occupazione: occupato Descrizione: edificio di un solo piano affiancato a parti originarie e alla ciminiera in mattoni rossi. 4. Silicate Brick Factory Periodo: quarto piano quinquennale (1966-1970) Categoria: industria di costruzioni Anno di abbandono: Stato di conservazione: buone condizioni Proprietà: privati Occupazione: occupato Descrizione: veniva utilizzata una tecnologia tedesca, copiata dai cinesi.

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5. “Ali Kelmendi” food plant Periodo: secondo piano quinquennale (1956-60) Categoria: industria alimentare Anno di abbandono: 1990-1991 Stato di conservazione: buone condizioni Proprietà: privati Occupazione: occupato Descrizione: porzioni utilizzate da diverse compagnie private. 6. “Enver” Mechanical plant Periodo: piano annuale1948 Categoria: industria meccanica Anno di abbandono: Stato di conservazione: pessime condizioni Proprietà: OSI (other state insitutions) Occupazione: occupato Descrizione:-

7. Tiranë-Durrës Railway Periodo: piano annuale1948 Categoria: stazione ferroviaria Anno di abbandono: Stato di conservazione: buone condizioni Proprietà: OSI Occupazione: occupato Descrizione: Ancora in uso. Fu la seconda stazione ferroviaria costruita in Albania. 8. “Partizani” plant Periodo: primo piano quinquennale (1951-1955) Categoria: industria meccanica (pentolame) Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: mediocri condizioni Proprietà: privati Occupazione: occupato Descrizione: E’ una delle industrie più produttive del paese. Nel 1996 viene privatizzata.

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9. Dinamo mechanical plant - Enver plant Periodo: terzo piano quinquennale (1961-1965) Categoria: industria meccanica Anno di abbandono: Stato di conservazione: pessime condizioni Proprietà: privati e stato Occupazione: 1 unità funzionale e depositi Descrizione: È stato utilizzato per la produzione di utensili, necessari nelle miniere. 10. Antibiotic Periodo: sesto piano quinquennale (1976-1980) Categoria: industria chimica Anno di abbandono: Stato di conservazione: ottime condizioni Proprietà: privati Occupazione: occupato Descrizione:-

11. Porcelain (new complex) Periodo: ottavo piano quinquennale (1986-1990) Categoria: industria manifatturiera Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione buone condizioni Proprietà: privati e stato Occupazione: occupato Descrizione: -

12. “Migjeni” Artistic Enterprise Periodo: sesto piano quinquennale (1976-1980) Categoria: industria manifatturiera Anno di abbandono: 1998-2001 Stato di conservazione: buone condizioni Proprietà: privati Occupazione: occupato Descrizione: riutilizzato come laboratorio creativo per la produzione di arazzi e tappeti.

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13. Porcelain (old complex) Periodo: secondo piano quinquennale (19561960) Categoria: industria manifatturiera Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: buone condizioni Proprietà: privati Occupazione: occupato Descrizione: 14. “Enver” Tractor Plant (old complex) Periodo: quarto piano quinquennale (1966-1970) Categoria: industria meccanica Anno di abbandono: 1998-2001 Stato di conservazione: pessime condizioni Proprietà: nuovi residenti Occupazione: occupato Descrizione: trasformato in abitazioni.

15. “Enver” Tractor Plant (new complex) Periodo: quinto piano quinquennale (1971-1975) Categoria: industria meccanica Anno di abbandono: 1998-2001 Stato di conservazione: buone condizioni Proprietà: comune di Tirana Occupazione: occupato Descrizione: -

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rogozhine

1. Cotton processing factory Periodo: primo piano quinquennale (1951-1955) Categoria: industria tessile Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: mediocri condizioni ProprietĂ : privati Occupazione: occupato Descrizione:-

2. Oil factory Periodo: sesto piano quinquennale (1976-1980) Categoria: industria alimentare Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: cattive condizioni ProprietĂ : privati Occupazione: parzialmente occupato Descrizione:-

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1. Impianto Ferrocromo (kombinati metallurgjic) Periodo: ottavo piano quinquennale (1986-90) Natura del sito: elaborazione di minerali Categoria: metallurgia Stato di conservazione: buona Data di abbandono: 1992 Proprietà: privata Descrizione: Siestende su una superficie di 13.8 ha ed è composto da diversi reparti.

elbasan

2. Fabbrica di materiali refrattari Periodo: sesto piano quinquennale (1976-1980) Natura del sito: fabbriche complesse Categoria: edilizia Stato di conservazione: cattiva Data di abbandono: 1992 Proprietà: privati Occupazione: parzialmente occupato Descrizione: parte del prodotto era realizzato con tecnologia tedesca. 3. Fabbrica di mattoni Balldren Bricks Periodo: primo piano quinquennale (1951-55) Natura del sito: fabbriche complesse Categoria: edilizia Stato di conservazione: buona Proprietà: privati Occupazione: occupato Descrizione: L’impianto rappresenta un esempio unico di tecnologia Hoffmann in Albania. Le camere di fornace sono voltate a botte 4. Fabbrica di carbonati Periodo: sesto piano quinquennale (1976-1980) Categoria: metallurgia Stato di conservazione: buono Proprietà: privata Occupazione: occupato Descrizione: Secondo il progetto era destinato per gli elettrodi di produzione di massa, elettrodi di grafite e blocchi di carbonio.

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5. Impianto di carbone (k.metallurgjic) Periodo: sesto piano quinquennale (1976-1980) Categoria: metallurgia Stato di conservazione: cattiva Data di abbandono: 1992 Proprietario: METE Occupazione: libero Descrizione: utilizzava come materie prime carbone di importazione e petrolio da Ballsh. 6. Impianto di laminazione (k. metallurgjic) Periodo: sesto piano quinquennale (1976-1980) Categoria: metallurgia Stato di conservazione: buone Data abbandono: 1992 Proprietà: privati Occupazione: occupato Descrizione: La materia prima è stata importata solo fino al 1976. 7. Industria di nichel metallico e cobalto. (k.m.) Periodo: ottavo piano quinquennale (1986-1990) Categoria: metallurgia Stato di conservazione: medie Data abbandono: 1997 Proprietarià: METE Occupazione: libero Descrizione: L’impianto era costituito da diversi reparti e un laboratorio. Tecnologia canadese. 8. Fabbrica di ghisa (k. metallurgjic) Periodo: sesto piano quinquennale (1976-1980) Categoria: metallurgia Stato di conservazione: cattive Data abbandono: 1991 Proprietà : METE Occupazione: libero Descrizione : L’impianto è composto da: forni, agglomerazione, ventilazione, pompaggio dell’acqua, granulazione, e reparto elettromeccanico.

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9.Impianto di fusione del ferro (k.m.) Periodo: sesto piano quinquennale (1976-1980) Categoria: Metallurgica Stato di conservazione: Buone Data abbandonato: 1992 Proprietà: privata Occupazione: occupato Descrizione: Oggi sito è di proprietà di una società turca “Kurum” che ricicla ferro. 10. industria 12 (k.m.) Periodo: sesto piano quinquennale (1976-1980) Categoria: Metallurgica Stato di conservazione: cattive Data abbandonato: 1991 proprietà: METE Occupazione: Libero Descrizione: in questa industria è costruita la più alta ciminiera del paese. 11. “Nako Spiru” produzione di legname Periodo: primo piano quinquennale (1951-1955) Stato di conservazione: cattive Data abbandonato: 1990 Proprietà: privata Occupazione: Parzialmente occupato Descrizione: Il complesso ha lavorato su 3 turni con quasi 1000 lavoratori tra 9 fabbriche differenti con produzioni distinte. 12. Fabbrica di tabacco Periodo: secondo piano quinquennale (1956-60) Categoria: manifatturiera Stato di conservazione: Scarso Data abbandonato: 1990 Proprietà: privata Occupazione: Parzialmente occupato Descrizione: complesso di tre edifici in mattoni rossi di 4 e 3 livelli.

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13. fabbrica di mattoni Periodo: Il terzo piano quinquennale (1961-1965) Categoria: Edilizia Stato di conservazione: buona data abbandono: Proprietà: privata occupazione Occupata Descrizione: utilizzava tecnologia Hoffman e continua a lavorare con la stessa. Ristrutturata. 14. Fabbrica di cemento Periodo: quarto piano quinquennale (1966-1970) Categoria: Edilizia Stato di conservazione: Buono data abbandonato Proprietà: proprietà privata Occupazione: occupato Descrizione:Consisteva in due forni rotativi orizzontali per la cottura del clinker e due piccoli impianti. Una seconda fase di ampliamento fu nel 1975, quando vennero copstruiti un nuovo forno e due piccoli mulini. Combustibile utilizzato è il petrolio greggio, carbone da coke di gas, mentre come materia prima si utilizzava argilla proveniente dalla Bradashesh. Dopo il 1990 l’impianto ha iniziato a ridurre la produzione di 150.000 tonnellate all’anno. Nel 1997 è stata privatizzata da una azienda libanese “Seament” per il 70% mentre il 30% rimane albanese 15. Conservazione e elaborazione di alimenti Periodo: secondo piano quinquennale (1956-60) Categoria: Alimenti e bevande Stato di conservazione: cattive Data abbandonato: 1990 Proprietà: privata Occupazione: Parzialmente occupato Descrizione: La fabbrica si compone di un corpo centrale a due piani e una grande finestra intonacata e un altro edificio di quattro piani.

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Industria metallurgica Kombinati Metallurgjik, Elbasan. Fotografia scattata in uno dei sopralluoghi del viaggio conoscitivo delle aree industriali.

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lushnje

1.Plastic Plant Periodo: quinto piano quinquennale 1971 - 1975 Categoria: produzione Anno di abbandono: 1990 Stato di fatto: buono Proprietà: privato Descrizione: -

2.Paper-processing plant Periodo: terzo piano quinquennale 1961 - 1965 Categoria: produzione Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: pessimo Proprietà: stato + privato Descrizione: -

3.Brick factory (old) Periodo: secondo piano quinquennale 1956- 60 Categoria: housing e architettura Anno di abbandono:1990 Stato di conservazione: sconosciuto Proprietà: privato Descrizione: -

4.Flour factory Anni di costruzione: 1980 circa Categoria: produzione Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: pessimo Proprietà: privato Descrizione: -

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1.Brick Factory Anni di costruzione: 1961-1965 Categoria: industria di mattoni Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: in degrado, parzialmente in uso Proprietà: privati

KUCOVE

2.Oil refinery Anni di costruzione: 1945 Categoria: impianto energetico Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: abbandonato Proprietà: privati (METE) Descrizione: Faceva parte del complesso industriale costruito durante il periodo comuni sta, rientrando nel programma AIPA. 3.Bitumen-board Factory Anni di costruzione: 1981-1985 Categoria: industria manufatteriera Anno di abbandono: 1995 Stato di conservazione: buono Proprietà: privati

4.Detergent-Factory Anni di costruzione: 1986-1990 Categoria: industria chimica Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: buono Proprietà: privati , in disuso Descrizione: -

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5.AIPA officine Anni di costruzione: 1914-1939 Categoria: uffici e servizi Anno di abbandono: Stato di conservazione: buono Proprietà: privati (METE) Descrizione: Edificio costruito dall’AIPA, ospita va uffici e servizi della società. Nazionalizzato durante il periodo comunista e affidato agli METE. 6.Mechanical Plant Anni di costruzione: 1914-1939 Categoria: industria meccanica Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: buono Proprietà: privati (METE) Descrizione: Edificio costruito dall’AIPA, uno dei più vecchi edifici presenti in Albania.Utilizzato principalmente come magazzino. 7.TEC-Thermoelectric Station Anni di costruzione: 1935-1955 Categoria: impianto energetico Anno di abbandono: 1995 Stato di conservazione: pessime costruzioni Proprietà: privati Descrizione: Edificio sito al centro della città, costruito dall’AIPA, l’energia prodotta veniva convogliata nelle estrazioni petrolifere. 8.NPN&NPA Anni di costruzione: 1961-1965 Categoria: Industria manufatturiera Anno di abbandono: 1990 Stato di conservazione: pessime condizioni Proprietà: privati Descrizione: Questo edificio si trova vicino la TEC, nel 1972 viene aggiunto un nuovo ramo di produzione.

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9.Cinema Anni di costruzione: 1914-1939 Categoria: servizi e pubblica utilità Anno di abbandono: Stato di conservazione: buono Proprietà: comunale Descrizione: Utilizzato nel periodo comunista.

10.Library Anni di costruzione: 1914-1939 Categoria: servizi e pubblica utilità Anno di abbandono: Stato di conservazione: buono Proprietà: comunale

Nella pagina affianco: TEC, centrale termoelettrica. Fotografia scattata in uno dei sopralluoghi del viaggio conoscitivo delle aree industriali.

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BERAT

1. Fabbrica di olio di girasole Anni di costruzione 1956-1960 Categoria: Alimentare Anni d’abbandono: 1991 Stato di conservazione: Buono Proprietà : Privati Altre funzioni: Cantine Descrizione: Fu utilizzato per la produzione olio di girasole, oggi produce salsa di pomodoro. 2. Produzione di Farina Anni di costruzione: anni ‘80 , indefinito Categoria: Alimentare Anni d’abbandono: 1991 Stato di conservazione : Buono Proprietà : Privati Descrizione: -

3. Stabilimento di trasformazione casearia Anni di costruzione : 1971-1975 Categoria: Alimentare Anni d’abbandono: 1991 Stato di conservazione: Discreto Proprietà : Privati Descrizione: fabbrica fondata nel 1970 per coprire il fabbisogno di latte, formaggio, burro, ecc..della regione di Berat. 4. Produzione Pane Anni di costruzione : anni’80 Categoria: Alimentare Anni d’abbandono: 1990 Stato di conservazione: Discreto Proprietà : Privati Descrizione: Successivamente riconvertita in fabbrica di dolciumi

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5. Cantina Anni di costruzione : 1961-1965 Categoria: Alimentare Anni d’abbandono: 1991 Stato di conservazione: Buono Proprietà : Privati Descrizione: la cantina è stata usata per la produzione di marchi quali : Merlot, Cabernet... nel ‘93 soggetta a reinvestimenti per nuove tecnologie. 6. Frantoio Anni di costruzione : 1914-1939 Categoria: Alimentare Anni d’abbandono: 1991 Stato di conservazione: Discreto Proprietà : Privati Descrizione: Formata da un’unica struttura divisa in tre aree. Oggi la struttura è stata recuperata, ma è stata convertita in un’officina. 7. Magazzini statali Anni di costruzione : 1914-1939 Categoria: Housing e architettura Anni d’abbandono: 1991 Stato di conservazione: Cattivo Proprietà : Stato Altre funzioni: Granai. Archivi del distretto Descrizione: nove capannoni ad un piano. utilizzati come strutture militari prima, depositi poi. 8. Tabacchificio Anni di costruzione : 1981-1985 Categoria: Manufatture Anni d’abbandono: 1990-97 Stato di conservazione: Discreto Proprietà : Privati Altre funzioni: Magazzini Descrizione: . Il complesso è composto da tre corpi in mattoni rossi più un altro edificio.

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9. Impianti per produzione batterie (nuova sede) Anni di costruzione : 1981-1985 Categoria: Industria chimica Anni d’abbandono: 1990-97 Stato di conservazione: Cattivo Proprietà : Privati Altre funzioni: abitazioni Descrizione: Parte dell’impianto usava tecnologia cinese ,poi si è passati a quella italiana. 10. Azienda produzioni artistiche Anni di costruzione : 1966-1970 Categoria: Manifatturiera Anni d’abbandono: 1991 Stato di conservazione: Buono Proprietà : Privati Descrizione: Ha ospitato lavoratori qualificati per la produzione di oggetti di design per lo più destinati all’esportazione. 11.”Mao Zedong” impianto tessile Anni di costruzione1966-1970) Categoria: Tessile Anni d’abbandono1990-91 Stato di conservazione: abbandono Proprietà: Stato e Privati Descrizione : L’impianto, che occupa una superficie di 40 ettari, sembra una “mini-città”, impiegava 11.000 lavoratori.

Nella pagina affianco: fabbrica tessile Mao Tse Tung, Berat. Fotografia scattata in uno dei sopralluoghi del viaggio conoscitivo delle aree industriali.

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FIER

1. Fabbrica di fertilizzanti a base d’azoto Anni di costruzione : periodo comunista Categoria: Industria chimica Anni d’abbandono: 1993 Stato di conservazione: Dismesso Proprietà : pubblica e privata Descrizione: l’industria è stata realizzata in tre step successivi, con tecnologia e macchinari italiani al principio, sostituiti dai cinesi poi. 2. Centrale termoelettrica Anni di costruzione : 1966 Categoria: Industria energetica Anni d’abbandono: 1993 Stato di conservazione: Dismesso Proprietà : METE Descrizione: la centrale termoelettrica è sorta in concomitanza all’industria di fertilizzanti.

Nella pagina affianco: Industria di fertilizzanti Gogo Nushi, Fier. Fotografia scattata in uno dei sopralluoghi del viaggio conoscitivo delle aree industriali.

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LUOGHI E PAESAGGI L’albania e il suo territorio Il concetto di area vasta e la sua pianificazione PIANO STRATEGICO D’AREA VASTA Fier, Storia e sviluppo della città. La città e il fiume FIER STATEGIC

Paul Klee, Rocky landscape (with palms and fir trees), 1919

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L’ALBANIA E IL SUO TERRITORIO SUDDIVISIONE TERRITORIALE Secondo la legge “Sull’organizzazione ed il Funzionamento del Governo Locale” n° 8652, entrata in vigore nell’ottobre del 2000, lo Stato albanese si presenta oggi ripartito amministrativamente in 12 Prefetture, a loro volta suddivise in 36 Distretti. L’unità amministrativa base è costituita dai Comuni o Municipalità. Tali unità presentano funzioni perfettamente identiche. La distinzione, meramente terminologica, è legata soprattutto al prevalere del carattere rurale o urbano dell’ente locale, delineandone una diversità della struttura organizzativa e delle competenze a loro attribuite.

Distretti, con una media di tre per ogni circoscrizione. Fino all’ottobre 2000, il Distretto rappresentava il secondo livello di governo locale e il suo organo principale era il Consiglio Distrettuale, al cui vertice vi era un Presidente. Il Consiglio Distrettuale è stato abolito mentre i Distretti come sotto-unità delle Regioni sono stati mantenuti. All’interno di questi, le Regioni possono istituire diversi organi per fornire i loro servizi. Il Distretto rappresenta anche il livello territoriale minimo nel quale il Governo Centrale può estendere le sue branche.

I 308 Comuni in genere raggruppano nella stessa circoscrizione amministrativa un certo numero di villaggi insistenti su un determinato ambito territoriale oppure piccole città e altri centri abitati di minori dimensioni, gravitanti intorno a essi. Le Municipalità, 65 in tutto, invece, tendono a corrispondere ai maggiori nuclei urbani. Organi rappresentativi di queste unità amministrative sono i Consigli, il cui organo esecutivo è il Sindaco. Le Prefetture costituiscono il secondo livello del governo locale: esse rappresentano un’unità territoriale - amministrativa - composta da Comuni e Municipalità con legami geografici, economici e culturali accomunati da interessi simili. Le Prefetture a loro volta vengono divise in Distretti; passati da un numero di 26 (dato del 1992), a un numero di 36 attuali, ridefinendo le loro circoscrizioni territoriali, sia per avvicinare l’amministrazione pubblica ai cittadini, sia per rendere l’organizzazione statale più efficace e adatta alle specificità locali. Le 12 Prefetture comprendono generalmente più Nella pagina affianco : Carta d’analisi suddivisione territoriale

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SISTEMA INFRASTRUTTURALE: STRADE La maggior parte delle strade presenti in Albania furono costruite interamente, o in buona parte, negli anni ‘30, e durante il periodo comunista poco si è fatto per migliorarle. Essendo stata proibita in Albania la proprietà privata in tale periodo (non esisteva la concezione di autovettura personale), le strade servivano soprattutto per il trasporto delle merci ed erano utilizzate a scopo industriale. Con la caduta del regime comunista, l’Albania si trovò con un sistema di trasporti fortemente arretrato e molto al di sotto degli standard europei. Il sistema viario è composto da poco più di 18mila km di strade, di cui 2.350 sono di importanza nazionale e complessivamente 7.800 sono strade statali (amministrate dal ministero dei Trasporti). I rimanenti 10.200 km sono amministrati dalle autorità regionali e comunali o appartengono a imprese operanti principalmente nel settore minerario. Quasi tutte queste strade richiedono un’adeguata ricostruzione, molte sono dissestate e, pertanto, impraticabili durante i periodi più piovosi. Per buona parte dell’anno più di 400 villaggi, con una popolazione di circa 1,4 milioni abitanti, risultano inaccessibili con veicoli a motore. Le cause sono il basso livello tecnico delle strade ed il deterioramento dovuto alla scarsa manutenzione. Dal 1992 in poi, inoltre, la situazione delle strade albanesi sarebbe peggiorata a causa dell’aumento del traffico dovuto a tre fattori: la deregolamentazione dei servizi di trasporto interni, l’aumento dei veicoli di proprietà privata e l’incremento del traffico commerciale attraverso i porti di Durrës e Vlorë, in conseguenza della chiusura delle strade attraverso la Serbia. Il numero dei veicoli in circolazione si è quasi raddoppiato tra il 1995 e il 2000 passando da 105.720 a quasi 186mila. Il numero delle

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autovetture ha seguito lo stesso trend passando da poco meno di 57 mila nel 1995 a più di 114 mila nel 2000. A questo aumento impressionante del traffico su gomma fino alla fine degli anni Novanta non ha fatto seguito un miglioramento delle condizioni delle strade, comportando così un aumento dei tempi di percorrenza ed un ancor maggiore aumento degli incidenti. Il “problema strade” è diventato una priorità per i recenti governi, tanto che si è arrivati a misure straordinarie per la manutenzione e lo sviluppo di strade asfaltate.


SISTEMA INFRASTRUTTURALE: FERROVIA Han i Hotit

Frontiera con il Montenegro

Scutari 35 Km - 1 h 12 min

Lezhë 16 Km - 33 min

Milot 16 Km - 33 min 40 Km - 1h 22 min

Rubik Vora 17 Km - 36 min

23 Km - 47 min

Tirana

Durazzo 20 Km - 42 min

Traghetto per Durazzo Kavajë

18 Km - 38 min

Rrogozhina 45 Km - 1h 35 min

Elbasan

18 Km - 43 min

24 Km - 52 min

Librazhd

All’indomani della Seconda Guerra Mondiale l’Albania non aveva una ferrovia nel significato comune del termine; la rete presente, sviluppata nel 1917/18 era solo per usi industriali e militari. Lo sviluppo di una rete ferroviaria ha rappresentato perciò una priorità per il governo comunista. A partire dal 1945, sono stati costruiti circa 630 km di linee principali e 90 km di linee secondarie. (Il primo tratto, Durres – Peqin, è stato inaugurato il 7 novembre 1947). Una buona parte della rete non è operativa oppure funziona al di sotto della propria capacità. Le condizioni inadeguate nelle quali si trovano le ferrovie albanesi sono il risultato di una serie di fattori: prima di tutto, la rete ferroviaria non fu costruita con elevati standard tecnici; in secondo luogo, la continua mancanza di investimenti ed infine, la scarsa manutenzione. A tutto questo si aggiungono i danneggiamenti che le strutture hanno subito durante i primi anni della transizione. A causa delle difficili condizioni in cui versa l’intera rete ferroviaria, la velocità di esercizio attualmente non supera i 40 km/h. Questo, assieme alla liberalizzazione dei servizi di trasporto stradale e alla drastica riduzione dell’attività estrattiva, ha comportato un fortissimo calo del trasporto sulle rotaie, sia di merci che di passeggeri.

Lushnja 28 Km - 1h 07 min

Fier

24 Km - 58 min

32 Km - 1h 30 min

Ballsh Valona

Schema della rete ferroviaria con distanze e tempi di percorrenza.

127


SISTEMA INFRASTRUTTURALE: PORTI La principale porta d’accesso via mare in Albania è rappresentata dal porto di Durrës. Ci sono altri tre porti commerciali sottoposti alla supervisione del ministero dei Trasporti Marittimi: Vlorë, Sarandë, Shëngjin. Tutti i porti hanno bisogno di grandi investimenti in quanto le infrastrutture sono deteriorate per mancanza di manutenzione. Attualmente, nelle sedi portuali, mancano attrezzature per lo stoccaggio dei containers e le procedure sono inadeguate agli standard europei. Tutto ciò si riflette nei ritardi con cui vengono effettuate le operazioni di carico e scarico delle merci. I volumi di traffico si sono ridotti fortemente a partire dal 1990 per raggiungere un livello minimo di appena 790 mila tonnellate nel 1994. A partire da quest’anno, il trend si è invertito per raggiungere nel 2000 un livello di 2,7 milioni di tonnellate. Al contrario, i servizi di traghettamento sono aumentati di anno in anno. Il porto di Durrës, per esempio, ha più di tre collegamenti giornalieri con il porto di Bari e quattro collegamenti settimanali con quello di Ancona. Inoltre, in diversi periodi dell’anno esiste un collegamento con il porto di Trieste. Il porto di Durrës, come detto, è il più grande dell’Albania: quasi il 70% del traffico marittimo commerciale passa da li. Esso è considerato come un punto di transito del corridoio Est –Ovest, collegando i porti del Sud Italia con tutta la zona balcanica. Il secondo porto in ordine di importanza è quello di Vlorë, famoso nel passato per aver ospitato la più grande base navale dell’URSS nel Mediterraneo, che non ha potuto contare sulle risorse finanziarie necessarie per lo sviluppo come accaduto per il porto di Durrës. Per il futuro, comunque, esistono dei progetti per la realizzazione di importanti infrastrutture. Il porto di Vlorë, al pari di Durrës, si

prospetta come una delle vie d’accesso al mare della dorsale adriatico-ionica che connette Trieste con Kalamata, punta estrema del Peloponneso. Il porto di Sarandë, invece, si presta più ad un utilizzo di tipo turistico. La bellezza della città e la vicinanza con l’isola di Corfù fanno sì che questa sia la sua destinazione naturale. Inoltre, nelle vicinanze si trova il lago di Butrint che, oltre ad essere molto apprezzabile dal punto di vista naturalistico ed archeologico, è anche molto ricco di fauna ittica. Il lago di Butrint e l’anfiteatro dell’era romana che si trova nelle strette vicinanze sono considerati zona protetta dal Governo Albanese, che li ha inseriti all’interno di un Parco Naturale diventato patrimonio dell’UNESCO. Il porto di Shëngjin, a nord di Durrës, prima quasi completamente militare, vedrà in futuro uno sviluppo, sia come porto commerciale, che come porto per la pesca o turistico. Si pensa di assegnare a questo porto la funzione di sbocco a mare del Kosovo (in alternativa a quello di Durrës) tramite l’autostrada che lo collegherebbe alla città di Prizren via Morinë. Questo per non appesantire troppo il traffico commerciale del porto di Durrës.

Nella pagina affianco: Carta d’analisi della rete infrastrutturale.

128


129


Le infrastrutture di Albania sono notevolmente al di sotto degli standard dei paesi europei. Ci sono 18 mila Km di strade, di cui solo 7.200 sono asfaltate (dato del 2002). La grande propensione all’uso delle auto private dopo il periodo comunista ha messo a dura prova la rete infrastrutturale. Durante il regime comunista, la proprietà privata non era permessa e gli unici veicoli circolanti erano mezzi agricoli, camion dedicati al trasporto merci, veicoli governativi, autobus, motociclette e biciclette. Le strade del paese, tuttavia, erano generalmente strette, prive di indicazioni, ricoperte di buchi, e nei primi anni ‘90, spesso affollate di pedoni e persone a cavallo o con muli, biciclette e carretti trainati da cavalli. Negli ultimi anni sono stati numerosi gli investimenti da parte del governo e di paesi esteri, ma la situazione delle strade albanesi resta ancora estremamente precaria. I governi occidentali hanno offerto finanziamenti per diversi progetti di costruzione: il primo collega nord a sud (dal confine con il Montenegro passa per Scutari, Durazzo e Valona arrivando fino alla frontiera greca, con un investimento di circa 94,8 milioni di dollari), mentre secondo va da est a ovest partendo da Durazzo fino ad Elbasan, arrivando alla frontiera macedone (il costo previsto è di quasi 156 milioni di dollari). Attualmente tutte le principali città albanesi sono collegate fra loro con strade statali. C'è un'autostrada a 4 corsie che collega la città di Durazzo a Tirana, e un'altra da Durazzo a Valona. La principale priorità al momento è la conclusione dell'autostrada che collegherà Pristina con Durazzo per una lunghezza totale di 170 km. Il 26 giugno 2009 è stato inaugurato il tratto Durazzo - Kukes, per 61 km comprensivo di un tunnel di 6 km. Tale opera è stata realizzata grazie ai finanziamenti della Banca Europea degli Investimenti (BEI), una somma di 108 milioni di dollari, finalizzata al completamen-

130

to della strada Durazzo-Kukës e ad altri segmenti. La seconda priorità invece è la costruzione del Corridoio Europeo 8, che collegherà l'Albania alla Macedonia e alla Grecia. La terza priorità per il governo sarà la costruzione dell’autostrada litoranea che collegherà Trieste con la città greca di Kalamata passando attraverso sei stati fra cui l’Albania. Lo stato delle aquile ha un solo aeroporto internazionale: l'Aeroporto Internazionale di Tirana. Si trova a 25 km dalla capitale ed è collegato a 30 destinazioni con 13 linee aeree. A partire dagli anni Novanta, l'aeroporto ha subito una notevole crescita in termini di passeggeri arrivando, nel 2007, a servirne oltre 1 milione. Il sistema ferroviario invece fu prevalentemente promosso all'epoca del regime totalitario di Enver Hoxha. Oggi le ferrovie in Albania sono gestite dalla Hekurudhat Shqiptare (HSH) (Ferrovie Albanesi) che, con un totale di circa 447 km di linee principali e circa 230 km di linee secondarie, a binario unico, collega fra loro le principali città albanesi. La rete ferroviaria è di fatto disconnessa delle reti dei paesi circostanti; nonostante qualche piccola modifica e un piccolo miglioramento negli ultimi anni si può considerare in generale gravemente degradata, rispetto al livello medio delle ferrovie europee.

Nella pagina affianco: foto delle strade principali che collegano la città di Berat e la città di Kucove, 2012.


131


FLUSSI MIGRATORI ESTERNI L’emigrazione è un fenomeno che ha caratterizzato l’intera storia del popolo albanese. Le prime ondate massicce che la storia ricorda sono quelle verso l’Italia della popolazione delle città, nei secoli XV-XVII, in seguito alla occupazione ottomana dell’Albania. Durante la Prima Guerra Mondiale, mentre l’Albania diventava teatro del conflitto armato tra diversi eserciti, la distruzione dell’agricoltura, la mancanza di sviluppo e di qualsiasi prospettiva di benessere causò un’altra ondata di emigrazione che proseguì anche negli anni Trenta. Si calcola che dal 1921 al 1939 emigrarono più di 132 mila persone, ovvero più del 16% della popolazione censita nel 1923. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale altre 19 mila persone lasciarono per sempre il paese, in quanto avversari politici del regime comunista.

un carico complessivo di oltre 20 mila profughi. mentre altre imbarcazioni approdavano negli altri porti della Puglia. In totale circa 26 mila persone hanno raggiunto l’Italia prima della fine di luglio cercando di regolarizzare la loro posizione seppur in deroga alla legge sull’immigrazione (Legge Martelli). L’altra meta è stata la Grecia. Già dal gennaio del 1991 gruppi di profughi avevano varcato il confine attraversando a piedi i valichi di montagna in pieno inverno. L’Italia e la Grecia sono gli stati che hanno assorbito il maggior numero di emigrati albanesi. Altre mete sono la Germania, la Francia, a partire dal 1995 gli Stati Uniti d’America, poi anche l’Inghilterra e di recente il Canada.

Cinque secoli dopo la prima ondata, nell’estate del 1990, mentre in Albania si aspettavano cambiamenti politici importanti, l’attenzione della stampa internazionale si spostò su Tirana dove migliaia di persone scavalcarono i cancelli delle ambasciate straniere cercando di lasciare il paese. L’Albania, dimenticata per più 45 anni, tornò, a modo suo, alla ribalta. Dopo un breve periodo di permanenza all’interno delle ambasciate, a più di 25 mila albanesi fu permesso di andare in paesi europei come Italia, Germania, Francia. Il vero esodo degli albanesi, però, è stato quello verso le coste pugliesi ed ha una data, il 7 marzo 1991, che è entrata nella storia. Quel giorno lasciarono il porto di Durrës, facendo rotta verso Bari, le motonavi Tirana, Liria, Kallmi, Mitat Dauti, Kepi i Rodonit, Zadri, Legend, la nave cisterna Apollonia ed il peschereccio Sokoli, con

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Nella pagina affianco: immagini della nave “Vlora”, attraccata al molo di levante del porto di Bari, carica di migranti clandestini albanesi, 8 agosto 1991.


133


FLUSSI MIGRATORI Nel lasso di tempo che va dal dopoguerra ad oggi si potrebbero individuare tre periodi legati agli spostamenti interni della popolazione albanese. Il primo comincia a ridosso del 1945 continuando fino al 1960 ed è caratterizzato da grandi spostamenti dalle campagne verso le città. Lo sviluppo dell’industria portò alla creazione e alla rapida crescita di nuove città che avevano bisogno di manodopera. In questo periodo grandi masse di contadini si spostarono nei grandi centri industriali per sostenerne lo sviluppo, facendo così raddoppiare la popolazione urbana, mentre quella rurale era cresciuta solo del 30 %.

più individuabile nel fenomeno dell’inurbamento delle popolazioni rurali dovuto al tentativo di migliorare la propria condizione economica. Tra le altre motivazioni che hanno reso questo esodo molto più consistente vale la pena menzionare per esempio il fenomeno del rientro nei luoghi di origine o nei centri più prosperi dei cittadini reclusi o confinati per motivi politici oppure di quelli trasferiti nei nuovi poli minerari e industriali in base ai piani quinquennali di sviluppo.

Il secondo periodo, che comprende gli anni 1961-1990, è caratterizzato dal contenimento del processo di urbanizzazione. Nel 1990 soltanto il 36% della popolazione in Albania viveva in città, contro una media europea di oltre 73%. In questo periodo le condizioni di vita in campagna si deteriorarono continuamente, aumentò la povertà e si rese sempre più indispensabile e urgente l’apertura di una valvola di sfogo che nei primi anni Novanta si materializzò nella grande migrazione interna che è anche simbolo del terzo periodo. La grossa ondata migratoria si è verificata, come è stato già accennato, dopo il 1990 in conseguenza del riconoscimento della libertà di circolazione dei cittadini all’interno del paese. Essa si è in generale diretta dalle zone povere verso quelle relativamente più sviluppate, ma la sua intensità non è stata omogenea. Gli spostamenti più cospicui si sono verificati dalle zone poverissime verso i Distretti di Tirana e Durrës. La causa principale di questa prima ondata migratoria è per lo Nella pagina affianco: carta d’analisi dei flussi migratori

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Questo rapido, massivo e indisciplinato flusso migratorio è stato accompagnato anche da gravi problemi logistici e sociali. Le grandi città e le zone circostanti, che hanno rappresentato i primi punti di approdo di questi flussi, non sono risultate attrezzate per ricevere le consistenti masse in arrivo, né sono risultate minimamente in grado di fronteggiare l’emergenza abitativa, igienico-sanitaria e socioeconomica. Estremamente grave si è rivelata la penuria di alloggi disponibili visto che le città che hanno rappresentato i principali punti di approdo dei flussi migratori sono state quelle grandi e più densamente popolate e di conseguenza con minori spazi per nuove costruzioni. Esse inoltre erano sprovviste di adeguati programmi di sviluppo edilizio, non essendo peraltro in condizione di poter fronteggiare anche una normale crescita della popolazione. Le principali conseguenze delle carenze strutturali sugli assetti urbanistici e sulle condizioni di vita nelle città di approdo consistono in una crescita caotica del tessuto urbano e nella creazione di veri e propri sobborghi. Questo fenomeno è particolarmente evidente nelle cinture urbane dei più importanti centri del paese in cui nelle zone periferiche esistono vaste aree su cui sorgono e si sviluppano nuovi grandi quartieri edificati al di fuori di qualsiasi logica di piano regolatore. Le condizioni di vita in questi sobborghi sono miserevoli mancando ogni genere di infrastrutture e di servizi sociali.

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IL CONCETTO DI AREA VASTA E LA SUA PIANIFICAZIONE Quello di “area vasta” è un concetto emergente, presente in una moltitudine di atti legislativi e utile per la riorganizzazione del territorio, dei rapporti tra Enti locali, per la pianificazione delle politiche locali, oltre che per l’ottimizzazione delle risorse a un livello sovra-comunale. La ragione principale di una lettura ed interpretazione del territorio per “aree vaste” sta nel concetto di “rete di relazioni”, viste come il superamento della dimensione locale, da un lato, e la ricerca di una dimensione della programmazione che superi gli ambiti amministrativi. L’area vasta si configura, quindi, insieme come chiave di lettura di relazioni più vaste quando si guarda alla programmazione strategica di un territorio che non necessariamente coincida con limiti amministrativi. Infatti è area vasta quel territorio all’interno del quale è possibile governare una serie di effetti derivanti da azioni sia antropiche che non antropiche. La pianificazione di area vasta si può fare per distretti, comprensori, bacini, unioni di comuni, comunità montane, parchi di interesse sovra-comunale o sovra-provinciale, ecc.; vi è quindi tutta una serie di confini territoriali che non coincidono con un confine amministrativo ben definito. Quale è il piano urbanistico che più si avvicina alle definizioni di area vasta? Possiamo affermare che il piano che meglio si adatta alla definizione e alla struttura di piano di area vasta è il Piano Territoriale Regionale. Tale piano affronta alcuni aspetti della programmazione regionale quali: - gli obiettivi di assetto e le linee principali di organizzazione del territorio regionale;

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- il patrimonio di risorse ambientali e storico culturali del territorio; - le strategie di sviluppo locale, gli indirizzi ed i criteri per la elaborazione degli strumenti di pianificazione territoriale provinciale e per la cooperazione istituzionale.


QUALI SONO LE FASI DI PROGRAMMAZIONE?

Kavaje

Kavaje

Rogozhine

Rogozhine

La programmazione prevede tre fasi pricipali, analisi, formazione e gestione. L’attività di anaCerrik SH7 lisi, all’interno di un processo di pianificazione Cerrik è legata alla conoscenza diretta del territorio. Le analisi che caratterizzano lo stato di fatto di un territorio riguardano: la geologia, la climatologia, l’agricoltura, intesa come elemento produttivo e di salvaguardia del territorio, il patrimonio storico Kuçovë artistico, che è il veicolo di sviluppo di diverse attività, sociali, umane, e di attività economiche Berat produttive (il turismo produttivo). Le infrastrutture, la viabilità e i trasporti, sui quali organizzare Kuçovë una pianificazione futura per quanto riguarda SH92 lo sviluppo e l’incremento delle attrezzature, l’individuazione dei nuclei abitativi consolidati sia a Berat livello storico che urbano utile a definirne le linee di sviluppo futuro, le emergenze ambientali, naturalistiche, paesistiche, di aree sensibili, ovvero SH74 tutto questo merita un ‘attenzione particolare. Solo la conoscenza delle emergenze ambientali porterà a definire le linee per uno sviluppo e un’organizzazione futura dell’ambiente naturale. SH7

Pequin

Pequin Parco Nazionale Divjaka

Lushnjë

SH58

Parco Nazionale Divjaka

Lushnjë

Laguna Karavasta

SH4

Ardenica

SH58

SH4

SH72

Topoje

Laguna Karavasta

SH4

SH92

SH94

Apollonia

Ardenica

SH73

SH73

Roskovec

Fier

SH73

SH4 Levean

Topoje

SH72

Patos

SH8

SH74

E853

SH4

Bylis SH8

SH94

Fier

Apollonia

SH73 Ballsh

SH4

SH73

Roskovec

SH4

Laguna Narta

Selenicë

SH73 SH77

Levean

Patos

SH8

Vlorë

SH76

SH4

SH77

SH100 SH82

E853

SH4

SH76

Bylis

SH76

SH4

SH8

SH8

SH4

SH76

Ballsh

Laguna di Orikumi

SH76

SH95

SH4

Laguna Narta

Parco nazionale Llogara

Selenicë

SH8

SH77

Vlorë

SH76

SH8

SH77

SH4

Gjirokastrës

SH100 SH82

SH76 SH76 SH4

SH8

SH76

Laguna di Orikumi

SH76

SH95

Parco nazionale Llogara SH8

SH8

Gjirokastrës

Inquadramento dell’Area vasta di Fier.

137


L’area territoriale d’area vasta presa in analisi è profondamente segnata dalla presenza di emergenze paesaggistiche, storico-culturali e di archeologia industriale. L’area nord presenta centri urbani di media grandezza come Kavaje, Rogozhine, fino ad arrivare a Cerrik. Proprio Cerrik, attraversata dal fiume Shkumbin che tocca anche Elbasan, uno dei centri industriali maggiori del paese, presenta un elemento di archeologia industriale di grande valore, la centrale termoelettrica TEC. Dal punto di vista ambientale è caratterizzata dalla presenza sulla costa della laguna di Karavaste e del Parco Nazionale “Pisha Divjakes”. La laguna di Karavaste, situata lungo la costa adriatica tra il fiume Shkumbin (nord) e il fiume Seman (sud), confina con il mare Adriatico e la collina occidentale di Divjaka. Appartiene al distretto di Lushnja e comprende il comune di Divjake e diversi villaggi. Il Parco Nazionale “Pisha Divjakes” con una superficie di 1.250 ettari è situato a circa 5 km da Divjaka, sulla costa adriatica. Il parco è uno degli ecosistemi più importanti dell’ intera Albania, essendo l’ecosistema predominante di specie faunistiche rare. La zona presenta nei suoi dintorni aree di rilevanza storica come “Kalaja e Boshtoves” (Castello Boshtova), situato nel vecchio letto del fiume Shkumbin. Nella zona centrale dell’area vasta le testimonianze storiche sono l’elemento predominante. Partendo da nord incontriamo il Monastero di Ardenica o Ardenices di Maria Theotokos, un monastero ortodosso orientale. Dista 10 Km da Fier e si trova lungo la strada statale che collega Fier a Lushnjë. Fu costruito dall’imperatore bizantino, Andronico II Paleologo nel 1282, dopo la vittoria contro gli Angioini nell’assedio di Berat. Il mona-

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stero è famoso come il luogo in cui, nel 1451, è stato celebrato il matrimonio di Skanderbeg, eroe nazionale albanese, con Andronika Arianiti. Nel 1780 presso il monastero è sorta una scuola teologica per preparare i chierici nell’ortodossia greca. Aveva una importante biblioteca con 32 mila volumi, che è andata completamente bruciata in un incendio nel 1932. La chiesa di Santa Maria all’interno del monastero contiene affreschi dei fratelli Kostandin e Athanas Zografi. Scendendo verso sud è possibile incontrare uno dei più grandi siti archeologici in Albania, la città di Apollonia, posto sulla riva destra del fiume Aóos , nei pressi del villaggio di Pojan, che conserva numerose testimonianze del passato. La città fu costruita sulla sommità di una catena collinare, con alcune parti nella pianura circostante. L’insediamento risale all’anno 588 a.C ad opera di coloni di Corinto e ha raggiunto il suo massimo sviluppo durante il periodo romano. Una delle città più antiche, Byllis, dista circa un’ora di macchina dalla città di Fier. E’ uno dei più importanti siti archeologici in Albania. Era la più grande città dell’Illiria del sud e aveva una posizione dominante sulle colline di Mallakastra e la valle di Vjosa. L’origine della città risale al IV sec. a.C, quando fu fondata dagli Illiri. Le prime mura, le cui fondamenta esistono ancora ai giorni d’oggi, sono state costruite nel III sec. a C. Le rovine coprono una vasta area di forma triangolare, di circa due miglia. La prima menzione del nome della città, nella forma “Bulis” appare negli anni 49-48 a.C, quando la città si arrese a Giulio Cesare e divenne una base di rifornimento del suo esercito. Il Parco Archeologico di Bylis è stato inaugurato nel 2006. Nella pagina affianco piano d’analisi della rete ecologica ambientale dell’Area vasta di Fier.


Rogozhine

sistemi falda è cino ad coperto

Zone Umide:

Parco Nazionale Divjaka

Lushnjë

20

30

Ardenica Topoje

Roskovec

Fier

Berat Levean

Area naturale protetta nella quale non sono ammesse attività antropiche di nessun tipo, ad eccezione della ricerca scientifica.

Kuçovë 40

Apollonia

Terre di transizione tra sistemi terrestri e acquatici dove la falda è usualmente in superficie o vicino ad essa e il terreno si presanta coperto da acque di basso livello. Riserva Naturale Integrale:

Laguna Karavasta

Patos

50

Bylis Ballsh

stita e privati.

resenta ostiene cie e di cie di nale o

10

Cerrik

rritorio goverrvato e e dallo namen-

aturali-

Rete Ecologica Ambientale

Pequin

quale ntropicezione

naturali mantedi un done la naturali ogenei animali

0

Kavaje

Aree Paesaggistiche Protette: Le aree pesaggistiche naturali protette hanno la funzione di mantenere l'equilibrio ambientale di un determinato luogo, aumentandone la biodiversità. Si tratta di aree naturali caratterizzate da paesaggi eterogenei e abitate da diverse specie di animali e vegetali. Parco Nazionale: Un parco nazionale è un territorio protetto, dichiarato tale da un governo nazionale, che viene preservato e tutelato da norme specifiche dallo sviluppo umano e dall'inquinamento.

Laguna Narta

Selenicë

Vlorë

Riserva Naturale Gestita: Area naturale protetta gestita e controllata da enti statali e/o privati. Laguna di Orikumi

Aree Agricole ad alto valore naturalistico: Parco nazionale Llogara

100 km

Gjirokastrës

Aree dove l’agricoltura rappresenta l’uso del suolo principale e sostiene un’elevata numerosità di specie e di habitat, e/o di particolari specie di interesse comunitario, nazionale o locale.

139


Tra le città storicamente importanti troviamo la città di Berat. Le origini della città risalgono all’età del bronzo così come testimoniano numerosi reperti archeologici, le prime fortificazioni a protezione della valle di Osum furono costruite dalla tribù illirica dei Dasareteve. Tito Livio ha descritto la conquista di Berat da parte delle legioni romane comandate dal legato Apustius nel 200 a.C. La città si chiamava Antipatrea, citata anche con il nome di Albanorum Oppidum. I Romani ne fecero una fortificazione militare. L’imperatore bizantino Teodosio II la conquistò nel 440 d.C. dandole il nome di Pulkeriopolis. Nel secolo VII d.C. i Bulgari conquistarono a loro volta la città e la chiamarono Beligrad (Città bianca), da cui deriva l’attuale nome di Berat. Per diversi secoli la provincia è stata oggetto di contese fra i bulgari e l’impero di Bisanzio. Nel 1345 la città fu conquistata dai Serbi, il secolo successivo la provincia fu trasformata in un principato dalla famiglia di nobili albanesi Muzakajt. Nel 1417 iniziò l’occupazione turca che durò fino alla fine delle XIX secolo. Nel 2008 il centro storico di Berat è stato aggiunto ad un preesistente patrimonio dell’umanità, la città museo di Argirocastro, quale “raro esempio di città ottomana ben conservata”. Secondo l’UNESCO, Berat dimostra la pacifica convivenza di varie religioni nei secoli passati. La città di Berat è detentrice anche di uno dei siti di archeologia industriale più importanti del paese, l’ex fabbrica tessile Mao Tse Tung. Il sito in parte ancora attivo presenta dal punto di vista architettonico e della memoria sociale un grande valore evocativo. Dall’alto:Berat, la città vista dal fiume Osum; l’ex fabbrica tessile Mao Tse Tung e il bassorilievo all’ingresso della stessa fabbrica; veduta panoramica della città dal castello. Nella pagina affianco: piano d’analisi della rete delle emergenze (storico-culturali, paesaggistiche, archeologia industriale). Area vasta di Fier.

140


ze

0

Kavaje

esaggistiche

Rete Emergenze Storiche-Culturali-Paesaggistiche

ia industriale Rogozhine

10

Pequin

Siti d’archeologia industriale

a storica Parco Nazionale Divjaka

Cerrik

Lushnjë

20

a paesaggistica

Siti d’importanza storica Laguna Karavasta 30

Siti d’importanza paesaggistica

Ardenica Kuçovë

To

Topoje 40

Roskovec

Fier

Apollonia

Apoll Berat

Levean

Patos

50

E

E853

Bylis Ballsh Laguna Narta

Selenicë

Vlorë

Laguna di Orikumi

Parco nazionale Llogara

100 km

Gjirokastrës

141


La parte sud dell’area vasta presenta dal punto di vista naturalistico delle pietre miliari come la laguna di Narta. Essa comprende la zona dell’estuario del Vjosa fino a Capo di Triport. L’intera area dell’estuario, inclusi anche i villaggi di Bishan, Novosela, Cerkovina, Panaja, Narta, è caratterizzata dalla preponderante presenza della pianura alluvionale costiera, che si trova lungo le basse coste sabbiose. La laguna ha una estensione di circa 42 kmq, di cui 14 kmq sono utilizzati per l’estrazione del sale, nella salina di Skrofotina. Intorno alla zona si trovano diversi siti storici. La laguna di Orikumi e il parco nazionale Llogara occupano la parte inferiore di una zona in leggera pendenza e si trovano vicino alla base militare di Pasha Liman nella sua parte occidentale e al Comune di Orikum (Distretto di Valona) nella sua parte orientale. La laguna ha una dimensione di 130 ettari, mentre la depressione che si trova intorno ai campi circostanti Dukati ricopre circa 1000 ettari. La zona consiste in una depressione creata da materiali solidi depositati dal fiume Dukati. A causa di un ridotto scambio di acqua con il mare e della deviazione del fiume Dukati (realizzata 15 anni fa), che una volta terminava in laguna, l’intero ecosistema è stato sottoposto ad un significativo cambiamento di regime delle acque. L’originale foresta della pianura alluvionale è ormai scomparsa. La maggior parte dell’area non è accessibile a causa della base navale militare ancora in funzione. I terreni agricoli circostanti sono quasi del tutto abbandonati e sono attualmente usati per il pascolo non intensivo. L’area offre buone opportunità per lo sviluppo dell’ecoturismo, ma ancora oggi queste possibilità non sono state sfruttate, soprattutto a causa della situazione dell’ordine in questa zona. Queste opportunità non si riferiscono solo al sito archeologico ma anche alla ricca flora e fauna della zona.

142

Un aspetto importante della laguna di Orikum è la presenza della città antica e della sua storia. Gli insediamenti antichi di Orikum risalgono al III secolo a.C., e fin da allora essa è diventata un importante centro commerciale. Successivamente è diventata un importante porto turco (Pasha Limani). Tra gli importanti ritrovamenti archeologici può essere citato un piccolo anfiteatro. Dal punto di vista infrastrutturale l’area vasta si presenta ben collegata non solo dalla rete stradale ma anche dalle linee ferroviarie. In particolare la città di Fier viene attraversata da due linee, la Tirana-Ballsh e la Tirana-Valona. L’area comprende anche il primo tratto di autostrada del sud, che parte da Valona e arriva a Levean e che sarà prolungata sino alla capitale. Per quanto riguarda i collegamenti via mare, come abbiamo detto già nei capitoli precedenti, il porto di Valona farà parte di un progetto d’investimenti e riqualificazione, al fine di renderlo uno dei più grandi porti turistici albanesi.

Foto della laguna di Karavaste; della laguna di Llogara e del Parco Nazionale “Pisha Divjakes”. Elementi predominanti della rete ecologica d’area vasta.


0

Kavaje

Rete Infrastrutturale

Rete Infrastrutturale Rete Ferroviaria

Rogozhine

10

SH7

Pequin

Rete Ferroviaria

Strade nazionali principali: Autostrada:

Cerrik

Lushnjë

SH58

20

Strade Statali:

Strade nazionali principali: Porto Turistico/Commerciale

Autostrada:

SH4 30

Ardenica

SH4

Strade Statali:

SH72

Kuçovë Topoje

SH92

SH94

Berat

SH73

Levean

Patos

SH8

Porto Turistico/Commerciale

Roskovec

Fier

Apollonia

40

SH73

SH73

50

SH74 E853

SH4

Bylis SH8

SH4

Ballsh

SH4

Selenicë SH77

Vlorë

SH76

SH4

SH77

SH100 SH82

SH76 SH76 SH4

SH8

SH76 SH76

SH95 SH8

SH8

Gjirokastrës

100 km

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Dopo una attenta analisi del territorio d’area vasta ci è sembrato opportuno approfondire il tema della frammentazione del territorio e delle potenzialità che esso può offrirci per lo sviluppo di un piano stategico. La frammentazione degli ambienti naturali è considerata una delle principali cause di degrado degli ecosistemi, assieme all’alterazione e distruzione degli habitat. Essa infatti è una delle modalità con le quali l’uomo trasforma gli ambienti naturali. Gli indirizzi formulati dalla Convenzione Europea sul Paesaggio tengono conto di tali avvenimenti all’interno delle strategie di pianificazione ambientale. L’obiettivo principale della pianificazione dovrebbe essere quello di mantenere in uno stato di conservazione sufficiente gli ecosistemi naturali sottoposti a trasformazione e frammentazione ambientale. Per fare questo sono state elaborate una serie di strategie che prevedono di sottoporre a tutela, di incrementare la superficie a disposizione e di ripristinare la connettività reciproca, riducendo l’isolamento di tali aree. È stata quindi definita una nomenclatura di aree di rete ecologica in grado di svolgere specifiche funzioni. “Aree nucleo”, che coprono una rilevante estensione e ospitano popolazioni vitali di specie di grande interesse ecologico e conservazionistico, “aree cuscinetto”, capaci di svolgere un ruolo di mitigazione degli impatti determinati dall’uomo, “corridoi ecologici”, i quali hanno la funzione di favorire la connettività . Nel caso invece che si abbia a che fare con aree povere di elementi di naturalità intrinseca, ma potenzialmente funzionali grazie ad interventi di rinaturazione, si parla di “aree di rinaturalizzazione”. Il processo di pianificazione del sistema di rete ecologica si prefigge dunque lo scopo di realizzare la connes-

sione funzionale delle aree naturali in modo tale da garantire agli ecosistemi, le dimensioni e le geometrie adeguate al loro funzionamento. Si supera in tal modo la concezione di singole macroaree tutelate immerse in una matrice antropizzata, in favore di un approccio più funzionale in senso ecologico, teso al perseguimento di una “naturalità diffusa” . Da tutto ciò deriva il concetto di rete ecologica, intesa come un’infrastruttura naturale o paranaturale che si prefigge di connettere ambiti territoriali dotati di maggiore naturalità. Oltre a tale importante significato ecologico-funzionale, sempre di più alle reti ecologiche si assegnano ruoli multipli: di mobilità alternativa a basso impatto ambientale, fruitivi, culturali e didattici. Gli obiettivi della rete prevedono: il potenziamento dei livelli di biodiversità vegetazionale e faunistica, il miglioramento dell’inserimento paesaggistico di infrastrutture ed insediamenti, l’individuazione di corridoi ecologici fluviali e il miglioramento delle capacità di autodepurazione dei sistemi idrici superficiali, la gestione e la conservazione dell’agricoltura in quanto fattore di salvaguardia dei territori, favorendo le colture specializzate ed incentivando forme di agricoltura compatibile. La riqualificazione di aree degradate quali cave, discariche, aree produttive ed allevamenti zootecnici dismessi, crea un sistema unitario con la rete, recuperando e valorizzando i beni d’interesse storico-architettonico e ambientale, i percorsi ciclo-pedonali esistenti ed in progetto, nell’ambito di una valorizzazione complessiva dell’area. In particolare si è ritenuto che gli obiettivi della rete dovessero essere sviluppati in modo da garantire funzioni sia ecologiche sia fruitive .

Nella pagina affianco : vista aerea della zona rurale di Fier.

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IL TERRITORIO RURALE Il territorio rurale rappresenta, sia nel contesto europeo sia in quello nazionale, un ambito di fondamentale importanza in riferimento alla sua estensione, alle attività economiche di cui è sede e in quanto svolge una funzione di riequilibrio ambientale. Negli ultimi anni il processo di trasformazione del territorio rurale ha subito una grande accelerazione, mettendo da parte l’identità dei luoghi, i caratteri insediativo-culturali tradizionali, le specificità agronomiche, naturali e paesaggistiche . Gli effetti più evidenti di questo processo di artificializzazione e industrializzazione del territorio rurale hanno riguardato l’aspetto culturale (la cultura omologante tipica dell’età industriale e post-industriale si è sostituita alle diverse culture differenziate e legate a specifici contesti); sociale (sradicamento di intere comunità dai luoghi d’origine e loro ricollocazione in siti estranei); fisico (appiattimento del paesaggio, indifferenza alla qualità dei luoghi e marginalizzazione dei valori significativi della ruralità);e ambientale (degrado ambientale e inquinamento diffuso dell’aria, dell’acqua e dei suoli). La Commissione Europea ha fissato come temi prioritari volti al recupero , dell’antico legame tra uomo e territorio, l’utilizzo delle risorse naturali e culturali, la tutela e valorizzazione dei siti e delle risorse paesaggistiche; il miglioramento della qualità della vita nelle zone rurali; la promozione della funzione ricreativa ed educativa; la valorizzazione dell’attività agrituristica e della produzione tipica di qualità. In questa chiave di lettura si inseriscono le greenway quale valido modo di coinvolgere la popolazione in un processo di conoscenza, rispetto e valorizzazione delle risorse del territorio e di cogliere il concatenarsi di un paesaggio con un altro, di apprezzarne le trasformazioni e le pre-

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GREENWAY Il concetto di greenway assume diverse sfaccettature in funzione ai contesti territoriali. Prima del 1900 F. L.Olmsted intuì il potenziale degli spazi aperti lineari come accessi ai parchi e come beneficio per il tessuto urbano circostante. Fu poi lo scrittore C. Little nel 1940 a teorizzare la funzione ecologica delle fasce verdi dentro e fuori i centri urbani riconoscendo la capacità di sviluppare attività ricreative e di recupero di parti urbane dismesse migliorando la qualità ambientale. Little classifica le greenway in cinque tipologie: Ecologically significant natural corridors Corridoi naturali significativi, di norma lungo aste fluviali o linee di crinale, con lo scopo di consentire gli spostamenti della fauna, lo scambio biologico, lo studio naturalistico e l’escursionismo. Recreational greenways Percorsi ricreativi di diverso tipo, come sentieri o passeggiate, spesso di lunga distanza, legati a corridoi naturali e/o a canali, sedi ferroviarie dismesse e altre forme di viabilità. Urban riverside greenways Rive di fiumi o corsi d’acqua che scorrono in contesti urbani. Scenic and historic routes Itinerari panoramici e storici, lungo strade/vie d’acqua, in modo da essere fruibili dai pedoni o da consentire la sosta in automobile Comprehensive greenway systems or networks Sistemi/reti di greenway, legati alla morfologia naturale, valli e crinali, o determinati dall’assem-

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blamento di corridoi con spazi aperti di varia natura, in modo da formare un’infrastruttura verde a scala comunale o anche regionale. Da questa classificazione emerge la grande flessibilità del concetto di greenway, adattabile a diverse combinazioni di domande locali, valori e condizioni d’intervento.


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PIANO STRATEGICO D’AREA VASTA Gli ambiti di pianificazione strategica dell’area vasta saranno principalmente quattro: la mobilità, l’ambiente, il sistema urbano e le emergenze. Gli interventi sulla mobilità riguarderanno principalmente lo sviluppo di una mobilità a basso impatto ambientale. Le proposte prevedono di promuovere una politica di disincentivo del trasporto mediante mezzi privati sviluppando e sostenendo il trasporto condiviso come car-sharing, bus-sharing. Per quanto concerne invece la connessione tra le varie zone d’interesse naturalistico e storico-culturali si è pensato di realizzare una continuità ciclo-pedonale tra le varie zone d’interesse, recuperando parte della rete ferroviaria dismessa e quindi favorendo un trasporto eco-sostenibile. Per gli interventi riguardanti l’ambiente, la pianificazione prevede azioni sulla sicurezza e la salvaguardia delle aree naturali come il costante controllo dello stato dei canali idrici per un corretto deflusso delle acque, evitando fenomeni di inondazione stagionali, la riqualificazione ambientale e funzionale delle aree di sponda, la salvaguardia delle aree verdi boschive, la ridefinizione e la rifunzionalizzazione degli argini dei fiumi. Per quanto riguarda l’agricoltura si è pensato di rivalutare i terreni agricoli in particolare quelli in prossimità delle aree urbane e si è pensato di sviluppare un sistema a kmZero, incentivando la creazione di cooperative per la produzione e la gestione dei sistemi agroalimentari. Sarà necessario riconoscere e salvaguardare il sistema ambientale con azioni di sensibilizzazione e politiche di controllo sul territorio, valorizzando le attività presenti all’interno del parco, recuperando e ri-

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assestando i corridoi naturali esistenti e tenendo sotto controllo tutte le risorse naturalistiche. Per il sistema urbano si propone di avviare un progetto per dotare le città di strumenti per arginare il fenomeno della dispersione incontrollata del costruito, al fine di recuperare aree informali, definendone regole e vincoli standard con metodi partecipativi; inoltre si pensa sia necessario ridefinire il rapporto tra aree agricole e agglomerati urbani. Infine, incentivare le pratiche di autoproduzione e di agricoltura urbana e sostenere il rapporto tra zone costiere e i centri urbani, incentivando le azioni che puntano sulla qualità insediativa e abitativa, salvaguardando il sistema ambientale. Le emergenze storico-culturale e di archeologia industriale presenti all’interno dell’area vasta sono uno degli elementi chiave per lo sviluppo di tale pianificazione. Gli interventi previsti riguardano la valorizzazione delle emergenze archeologiche, la bonifica, il risanamento e la riconversione delle aree industriali in stato di abbandono e il recupero delle aree dismesse di ampio valore storico-culturale.

Nella pagina affianco: schema sintetico di progetto sull’area vasta


LEGENDA

SCHEMA DIRETTORE

Kavaje

[RETE ECOLOGICA]

Avviare un progetto di recupero di aree informali definendone regole e vincoli standard con metodi partecipativi

Zone Umide: Riserva Naturale Integrale:

Recuperare le parte di rete ferroviaria dismessa

Rogozhine

Controllare le risorse naturalistiche

Aree Paesaggistiche Protette:

SH7

Pequin

Valorizzare le emergenze archeologiche

Parco Nazionale:

Cerrik

Recuperare e riassestare i corridoi naturali esistenti

Riserva Naturale Gestita: Aree Agricole ad alto valore naturalistico:

Parco Nazionale Divjaka Realizzare una continuità ciclo-pedonale tra le varie zone d’interesse

Lushnjë SH58

Ridefinire il rapporto tra aree agricole e agglomerati urbani

[RETE EMERGENZE] Siti d’archeologia industriale

Riconoscere e salvaguardare il sistema ambientale con azioni di sensibilizzazione e politiche di controllo sul territorio

Laguna Karavasta

Siti d’importanza storica

SH4

Sviluppare un sistema a KmZero incentivando la creazione di cooperative per la produzione e la gestione dei sistemi agroalimentari Favorire il trasporto a basso impatto ambientale Ridefinire e rifunzionalizzare degli argini dei fiumi

Siti d’importanza paesaggistica

Ardenica

SH4

SH72

[RETE INFRASTRUTTURALE]

Topoje

Kuçovë

Bonificare e risanare le aree industriali in stato di abbandono Dotare le città di strumenti per arginare il fenomeno della dispersione incontrollata del costruito Promuovere una politica di disincentivo del trasporto mediante mezzi privati

Roskovec

Fier

Apollonia

Autostrada:

SH73

SH73

Strade Statali:

Berat

SH73

Recuperare le aree dismesse ad ampio valore storico/culturale

Levean

Porto Turistico/Commerciale

Patos

SH8

SH74

Salvaguardare le aree verdi boschive

E853

SH4

Bylis

Riconvertire le aree industriali dismesse

SH8

Rivalutare i terreni agricoli in particolare quelli in prossimità delle aree urbane Sviluppare e sostenere il trasporto condiviso come car-sharing,bus-sharing.

Ballsh

SH4

AMBITI DI PROGRAMMAZIONE STRATEGICA

SH4

Laguna Narta

Selenicë Incentivare le pratiche di autoproduzione e di agricoltura urbana

Riqualificazione ambientale e funzionale delle aree di sponda

Strade nazionali principali:

SH92 SH94

Rete Ferroviaria

Mobilità

SH77

Ambiente

SH4

Sistema urbano

Vlorë

SH76

SH77

Emergenze

SH100 SH82

Ridefinire il rapporto tra zone costiere e agglomerati urbani

SH76 SH76

Controllare costantemente lo stato dei canali idrici per un corretto deflusso delle acque evitando fenomeni di inondazione stagionali

SH4

SH8

SH76

Laguna di Orikumi

SH76

Realizzazione di una rete ciclabile che connetta le varie zone d’interesse

SH95

Parco nazionale Llogara SH8 Valorizzare le attività presenti all’interno del parco

Incentivare le azioni che puntano sulla qualità insediativa e abitativa salvaguardando il sistema ambientale

SH8

Gjirokastrës

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PERCORSI REGIONALI - ERIH La pianificazione prevede in particolare lo sviluppo di itinerari storico-culturale con l’obiettivo generale di creare una rete tematica all’interno dell’area vasta, che promuova e valorizzi il patrimonio storico parallelamente al patrimonio di archeologia industriale. Ciò serve per offrire nuove motivazioni ai flussi turistici e culturali che possano incidere sulla qualità del patrimonio, generando così un processo di sviluppo e scambio all’interno del paese, potenziando il valore intrinseco della nazione anche a livello internazionale. L’area vasta con i suoi itinerari può inserirsi all’interno dei percorsi regionali ERIH (Percorsi regionali che collegano paesaggi e siti che hanno lasciato il loro segno nella storia industriale; come la Ruhr in Germania. Tali aree comprendono una serie di meno significativi monumenti industriali, i piccoli ingranaggi della grande macchina, come abbiamo accennato nei capitoli precedenti), facendo entrare l’Albania all’interno di un sistema di valorizzazione nazionale di dismissione industriale. La proposta progettuale riguardante l’area vasta si concentra non solo sulla valorizzazione di tale risorse ma anche sulla connessione di esse ad una rete di attività che possano amplificare e salvaguardare il loro valore intrinseco. In particolare è possibile ipotizzare lo sviluppo di greenway, riconnettendo le emergenze naturali presenti in questa porzione di territorio (Parco Nazionale Divjaka - Laguna Karavasta - Laguna Narta - Laguna di Orikum - Parco nazionale Llogara) tramite una rete sviluppata su più livelli.

Nella pagina affianco , individuazione dei siti di archeologia industriale presenti all’interno del territorio. Tappe principali del percorso regionale d’area vasta.

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FIER, STORIA E SVILUPPO DELLA CITTà ORIGINI E SVILUPPO DELLA CITTA’ Fier è una città nel sud dell’Albania, che confina a sud con il distretto di Lushnje, a ovest con quello di Berat, e a sud-est con quello di Mallakaster; è una delle città più popolate dell’Albania e naturalmente del distretto di cui è capoluogo. È situata sulla fascia costiera centrale della nazione ed è immersa nella pianura Myzeqe, lambita dal fiume Seman a nord ed attraversata da un suo affluente, il Gjanica. Nonostante il sistema infrastrutturale albanese sia al di sotto degli standard europei, tre arterie di comunicazione importanti attraversano la città come la strada nazionale nord-sud che collega Tirana e Argirocastro; inoltre vi sono due linee ferroviarie, la Tirana-Ballsh e la Tirana-Valona. Oltre ad essere un crocevia per scambi commerciali e trasporti la città è anche immersa nel cuore della più importante zona agroalimentare della nazione. Questi fattori creano notevoli vantaggi competitivi a supporto di Fier, come centro per il progresso e sviluppo nazionale. Dal punto di vista urbano oggi la città, attraversata dal fiume Gjanica e dalla ferrovia, si presenta divisa in tre parti. Il centro della città è compreso tra il fiume e la ferrovia ed è attraversato dalla principale arteria stradale, la Tirana- Valona. La zona ovest, oltre la ferrovia, è caratterizzata da costruzioni informali e dalla mancanza di servizi, con una densità edilizia bassa e una considerevole quantità di lotti liberi. In certa misura la situazione è simile nell’area ad est del fiume, tuttavia, questa parte è caratterizzata da una migliore manutenzione e da una densità edilizia maggiore.

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Le morfologie e le accessibilità si suddividono chiaramente rispetto allo sviluppo cronologico. La zona centrale “labirintica” presenta edifici di 4-5 livelli con un’accessibilità limitata. L’urbanizzazione è progressivamente meno densa allontanandosi dal cuore della città, con costruzioni di 2-3 livelli con verde privato in zone prettamente residenziali. La diffusione urbana si può osservare lungo le direttrici principali, terminando in ambienti rurali; queste sono le zone per lo più informali, che si estendono fino alle ex aree industriali. Grazie all’ampia disponibilità di risorse naturali, le pianure del Myzeqe sono state considerate il “granaio” d’Albania, dando impulso all’industria legata all’agricoltura che effettivamente è tutt’oggi uno dei pochi settori dell’export nazionale. Si coltivano molti tipi di cereali, alberi da frutta e uva. Il territorio della città è considerato proficuo anche come zona estrattiva per il petrolio. Per queste ragioni Fier divenne uno dei più grandi centri industriali insieme a Tirana ed Elbasan durante il periodo comunista.

Nella pagina affianco : evoluzioni storiche dell’abitato e del sistema viario. Prima fase: Periodo Romano Seconda fase: Periodo Ottomano


EVOLUZIONE STORICA ABITATO

EVOLUZIONE STORICA SISTEMA VARIO

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L’origine della città di Fier risale al VI secolo a.C. in concomitanza con la nascita della città antica di Apollonia; quest’ultima è stata la seconda più grande città illirica ed uno dei punti di partenza per la Via Egnatia, una delle strade principali dell’Impero Romano, che collegava Roma in Occidente con Costantinopoli in Oriente. La città Fieri i Madh (Grande Fier) fu poi costruita nei campi lungo il fiume Gjanica, come seconda tappa dell’“Adriatika Nova”, un ramo della Via Egnatia, che collegava le importanti città romane di ApolIonia e Durrah (Durazzo).

bani sostiene che il nome della città derivi dalla pianta di Fier; il punto forte di questa ipotesi è che in tutta la zona della piccola Myzeqe ci sono città il cui nome prende origine dal nome delle piante tipiche del posto.La fondazione di Fier come città avvenne nel 1864 ed è legata alla precedente caduta della città di montagna orientale di Voskopoja. In conseguenza di ciò gruppi di agricoltori si reinsediarono nelle pianure Myzeqe in prossimità del fiume Gjanica. Lo status di città gli fu affidato anche grazie all’impegno di Kahreman Pash Vrioni (il governatore locale).

Il primo documento che testimonia l’esistenza della città di Fier è la visita di Pukevilit nella grande campagna del Myzeqe nel 1806. Documentazioni precedenti o più precise non sono ad oggi pervenute, ma è certo che la chiesa di San Giorgio fu costruita nel 1781 nello stesso luogo in cui sorge la chiesa odierna.

Le documentazioni sullo sviluppo del piano urbano della città non sono chiare, in alcuni documenti emerge che il governatore chiese la collaborazione di alcuni urbanisti francesi per progettare e costruire il nuovo centro commerciale ed artigianale, prendendo come riferimento le città ideali del Rinascimento europeo. Il loro piano urbanistico per la città, immersa nella pianura, prevedeva lo sviluppo di una rete stradale che combinava il sistema a raggiera con quello a scacchiera.

Alla domanda se la chiesa è stato l’elemento chiave dello sviluppo della città o se e stata costruita solo per servire il centro abitato non possiamo, ad oggi, dare una risposta. “Nel mezzo della città di Fier passava il fiume Gjanica e su tale fiume c’era un ponte di pietra dove si trovava una locanda dove la gente di passaggio si fermava per riposarsi durante il viaggio in direzione di Berat o Valona” L’origine del suo nome è in discussione, tuttavia la maggior parte dei ricercatori ritiene che il nome Fier derivi dalla parola italiana “ fiera” e secondo i sostenitori di questa ipotesi fu così battezzata dai mercanti veneziani che tra il XIV e il XV secolo vi giungevano per acquistare prodotti agricoli. Un’altra squadra di studiosi con a capo Toli Sha-

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Nella pagina affianco : evoluzioni storiche dell’abitato e del sistema viario. Terza fase: 1700-1800 Quarta fase: Repubblica socialista d’Albania.


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In entrambi i lati delle strade principali sorgevano costruzioni da uno a due piani con uno stile architettonico legato alla tradizione. Secondo le intenzioni del governatore la città si sarebbe sviluppata tenendo come punto focale il villaggio di Fier con il fiume Gjanica e l’incrocio delle strade che portavano a Lushnje, Valona, Malakaster, Berat, Skela e Semanit. Sin da subito Fier ha sviluppato il proprio status economico come città commerciale; vicino all’asse principale sorgevano il mercato in pietra e mattoni coperto da tetti in tegole e gli edifici amministrativi. In questa zona si è sviluppata la vita sociale ed amministrativa della città. La strada principale e le stradine secondarie non erano asfaltate e la città si allargava con edifici e strade dando vita alle periferie. Un seconda ipotesi di sviluppo del piano urbano è datato 1877, per mano dei due topografi italiani Tabolini e Monari, i quali realizzarono il piano di sviluppo di Fier, fissando direttrici secondo una maglia regolare geometrica che si estendeva a partire dal primo nucleo, caratterizzato da strade labirintiche. Fino al 1912 venne considerata un “komuna” (città di piccole dimensioni). Lo sviluppo urbano della città, oltre la pianificazione degli italiani, è radiocentrico, con gli assi viabili che conducono agli altri grandi centri. L’attività principale di Fier sarebbe stata da sempre il commercio per la Myzeqe e le aree del Mallakaster e a tale scopo fu costruito nell’anno della fondazione della città, il 1864, lungo il fiume Gjanica un grande mercato, che contava più di 122 negozi. Molti abitanti di Fier erano semplici agricoltori al servizio del feudatario, i quali con la creazione di questo mercato riuscirono ad

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elevare il proprio status diventando commercianti ed artigiani. Subito dopo la creazione della città il commercio e l’artigianato furono affidati alle famiglie aggregate stabilitesi nella zona di Myzeqe e ad alcune famiglie della città di Voskopoja che dopo l’incendio del 1769 si stabilirono lungo la pianura del Myzeqe, costituendo piccoli villaggi. Queste nuove comunità dopo essersi stabilite acquistarono il diritto dai proprietari terrieri di costruire case, esercitare le proprie tradizioni artigianali e dare quindi nuova vita ai loro mestieri e al commercio. Interessante è anche la tesi che ritroviamo negli scritti del Dr. Jajoy Mila, oggi fondamentali per la memoria storica della città. Egli sostiene che per dare più forza al commercio e all’artigianato la famiglia dei Vrijonash nel tempo abbia sviluppato dei veri e propri contatti commerciali con gli artigiani trasferitisi dopo la fondazione.

Nella pagina affianco : evoluzioni storiche dell’abitato e del sistema viario. Quinta fase: 1991-2006.


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La fisionomia più completa della città di Fier viene data dalla viaggiatrice Edit Durham nel 1903 : ” Fier è un piccolo villaggio, proprietà di un feudatario con tanta iniziativa, il quale intende trasformarla in un centro commerciale costruendo il bazar, edifici solidi di pietra con un architettura estremamente moderna”. Gli elementi caratterizzanti la città di Fier sono la chiesa di San Giorgio e il ponte di pietra costruito nello stesso luogo dove prima esisteva il ponte romano della via Egnatia. La chiesa di San Giorgio, fondata nel 1782 come indicato da una incisione sull’abside, era il monumento più antico della città; fu distruttanel 1967 dal regime comunista e ricostruita nel 1999. Era il luogo di preghiera più grande di tutta la pianura ed era composto da tre altari, tre fonti battesimali e due portici. La chiesa era stata costruita sulle rovine del tempio di Santa Maria, come confermato dai rinvenimenti del 1922 successivi alla distruzione del vecchio cimitero, che hanno portato alla luce delle lapidi con aquile del XV secolo. La vecchia chiesa di San Giorgio era decorata da affreschi disegnati dal pittore Joan Cetit del 1792 e presentava una muratura in pietra scolpita.

biare il modo di costruire le abitazioni che da essere semplici costruzioni di campagna realizzate in fango e paglia si trasformano in case di mattoni cotti, mentre il tetto, di solito in legno coperto con paglia, viene sostituito da tegole. La successiva povertà di massa della città ha frenato lo sviluppo di questi edifici. La pianta caratteristica prevedeva un quadrato composto da due stanze, una adibita a focolare e l’altra a dormitorio, collegate da un corridoio “hajat” che fungeva anche da dispensa. Le grandi famiglie invece avevano la Matken (patio), sul quale si affacciavano le stanze, il deposito e altri ambienti.

Il ponte, invece, era costituito da due archi e al di sotto vi passava il fiume; era largo 4,5 m e diviso in due settori di cui uno serviva per il passaggio di carri, mentre l’altro aveva la funzione di scolo delle acque. Notizie del ponte, datato 1777, si trovano nel manoscritto del monaco Costantin di Berati, che parla della costruzione del ponte senza però specificarne il nome. Nelle pianure agli inizi del XX secolo inizia a cam-

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Nella pagina affianco : analisi temantiche della mobilità e dei contesti


Strada per Tirana 767 auto/h

TEMATICHE ANALISIANALISI TEMATICHE Strada per Ballsh Strada per Tirana 1412 auto/h Strada per Tirana 767 auto/h 767 auto/h Strada per Valona 1046 auto/h

Strada per Ballsh 1412 auto/h

Strada per Valona 1046 auto/h

Strada per Ballsh Strada per Ballsh 1412 auto/h 1412 auto/h

Strada per Valona Strada per Valona 1046 auto/h 1046 auto/h

Fier un puntocomunista strategistanteè dislocata durante ilinperiodo co per ciò cheferrovie concerneefficienti, la viabilità: si istituirono ad l’intersezione tra l’autostrada Durazoggi poco utilizzate. Indipendentezo-Tirana-Valona e la estrada per mente dal caso nazionale nell’ottica Girocastro. Per questo, un panora-il di Fier Smart city si inprescrive ma nazionale in cui strade carrabilia recupero di parte deilefasci ferroviari sono scarse, è da leggeri, considerarsi un servizio di trenini elettrici, VIABILITA’ dato Il problema della (tram) positivo. che collegheranno il centro VIABILITA’ Fier è dislocata inpresente un puntoinstrategiviabilità è però quanto città e il parco Fier è dislocata in un fluviale. punto strategico per flussi ciò che concerne la viabilità:il di traffico interessano co per questi ciò che concerne la viabilità: Autostrada Durazl’intersezione tra l’autostrada cuore della città. Si prescrive l’intersezione tra l’autostrada Duraz- per zo-Tirana-Valona e la strada per questo la deviazione del traffico su zo-Tirana-Valona e la strada per Ferrovia Girocastro. Per questo, in un panorauna strada secondaria, esistente, che Girocastro. Per questo, in un panorama nazionale in cui le strade carrabili Primaria cinge ilincentro. Dunque è extraurbana plausibile ma nazionale cui le strade carrabili sono scarse, è da considerarsi un restringere della precesono scarse, è dala carreggiata considerarsi diun scorrimento dato strada positivo. Il Urbana problema della dente alto scorrimento dato positivo. Il ad problema della con viabilità è però presente in quanto di pistein ciclopedonali Urbana di quartiere e viabilitàla ècreazione però presente quanto questi flussi di traffico interessano il la sistemazione dell’asse congiunquesti flussi di traffico interessano il Pistaprescrive ciclabile per cuore l’area della dicittà. Si gente progetto al centro. Il cuore della città. Si prescrive per questo la deviazione del traffico su su ferro è esiguo, questo trasporto la deviazione del traffico su nonouna strada secondaria, esistente, che stante durante ilesistente, periodo comunista una strada secondaria, che CARTA DEI CONTESTI: cinge il centro.ferrovie Dunqueefficienti, è plausibile si istituirono cinge ilL’analisi centro. Dunque è plausibile si prefigge l’obiettivo ad di restringere la carreggiata della preceoggi utilizzate. restringere lapoco carreggiata dellaIndipendentepreceindividuare all’interno del territorio dente strada ad nazionale alto scorrimento con mente dalalto caso nell’ottica dente strada scorrimentoecon di Fier,ad la creazione di piste ciclopedonali e di Fierdi piste Smart city si prescrive la creazione ciclopedonali ecircon-il i contesti urbani edell’asse rurali checongiunla sistemazione recupero parte dei fasci ferroviari la sistemazione congiundano l’area ledidell’asse aree d’intervento delIla gente di progetto al centro. servizio di treninial leggeri, gente l’area di progetto centro. Ilelettrici, progetto. trasporto ferro è esiguo, nono(tram) chesucollegheranno il centro trasporto su ferro è esiguo, nonostantee ildurante il periodo comunista URBANI città parco fluviale. stante CONTESTI durante il periodo comunista si istituirono ferrovie efficienti, ad si istituirono Contesti ferroviecittàefficienti, ad Autostrada oggi poco utilizzate. Indipendenteoggi poco utilizzate. IndipendenteContesti urbani in formazione mente dalElevata casodensità nazionale e nell’ottica insediativa mente dal caso- nazionale e Ferrovia nell’ottica di Fier Smart city si prescrive il di Fier Smart- Forte cityaccessibilità si prescrive il Primaria extraurbanaa recuperoContesti di parte deidella fasci ferroviari urbani diffusione recupero di parte dei densità fasci ferroviari a insediativa servizio- Bassa di trenini leggeri, elettrici, servizio di trenini leggeri, elettrici, - Rarefazione e frammentazione del Urbana di scorrimento (tram) suolo che agricolo collegheranno il centro (tram) che collegheranno il centro città e il parco fluviale. Urbana di quartiere città e CONTESTI il parco fluviale. RURALI Autostrada Contesti rurali perurbani Pista ciclabile Autostrada - Bassa densità insediativa Ferrovia - Aree agricole con urbanizzazione Ferrovia CARTAbassa DEI CONTESTI: Primaria extraurbana - Presenza di infrastrutture extraurbana L’analisiContesti si Primaria prefigge l’obiettivo di rurali multifunzionali Urbana scorrimento individuare deldi territorio - Bassaall’interno densitàdiinsediativa con aree Urbana scorrimento produttive e terziario di Fier, di quartiere - Localizzazione Urbana in prossimità di Urbana di quartiere i contesti urbani e rurali che circonclassi di naturalità Pista ciclabile del dano Contesti le aree d’intervento rurali a prevalente funzione Pista ciclabile progetto. agricola -Aree agricole molto estese

CARTA DEIURBANI CONTESTI: CARTACONTESTI DEI CONTESTI: rurali a prevalente valore L’analisiContesti si prefigge l’obiettivo di Contesti città ambientale el’obiettivo paesagistico di L’analisi si prefigge individuare del territorio -Aree diall’interno naturalità estesa Contesti urbani formazione individuare all’interno delinterritorio di Fier,Contesti a prevalente - Elevata rurali densità insediativavalore di Fier, e epaesagistico -ambientale Forte accessibilità i contesti urbani rurali che circoni contesti urbani e rurali che circon-Aree montane urbani della diffusione del dano Contesti le aree d’intervento dano le aree d’intervento del - Bassa densità insediativa progetto. - Rarefazione e frammentazione del progetto. suolo agricolo

CONTESTI URBANI CONTESTI URBANI CONTESTI RURALI Contesti città

Contesti città Contesti rurali perurbani urbani insediativa in formazione -Contesti Bassaindensità Contesti urbani formazione - Aree Elevata densità insediativa agricole con urbanizzazione - Elevata --densità insediativa Forte accessibilità bassa CARTA DELLE FUNZIONI - Forte accessibilità urbani della diffusione -Contesti Presenza di infrastrutture Contesti urbani della diffusione - Bassa densità insediativa Contesti rurali multifunzionali - Bassa densità insediativa Rarefazione e frammentazione del -- Bassa densità insediativa - Rarefazione e agricolo frammentazione del con aree suolo Residenziale produttive e terziario suolo agricolo - Localizzazione in prossimità di CONTESTI RURALI Aree di Produttive classi naturalità CONTESTI RURALI Contesti rurali perurbani Contesti rurali a prevalente funzione Contesti rurali perurbani - Istituzione Bassa densità insediativa Religiosa agricolainsediativa - Bassa densità - Aree agricole con urbanizzazione -Aree agricole molto estese - Aree agricole con urbanizzazione bassa Pubblica bassa - Istituzione Presenza di infrastrutture Contesti rurali a prevalente valore - Presenza di infrastrutture Contesti rurali multifunzionali ambientale e paesagistico Stazione Elettrica Contesti rurali multifunzionali - Bassa insediativa -Aree di densità naturalità estesa con aree - Bassa densità insediativa con aree produttive e terziario Parcheggio rurali a prevalente valore produttive-Contesti eLocalizzazione terziario in prossimità di ambientale e paesagistico - Localizzazione prossimità di classi diinnaturalità Serremontane -Aree classi di naturalità Contesti rurali a prevalente funzione Contesti rurali a prevalente funzione agricola Cimitero agricola -Aree agricole molto estese -Aree agricole molto estese Istruzione Contesti rurali a prevalente valore Contesti rurali a prevalente valore ambientale e di paesagistico Magazzini stoccaggio ambientale e paesagistico -Aree di naturalità estesa -Aree di naturalità estesa Contesti rurali a prevalente valore Zonaa panoramica Contesti rurali prevalente valore ambientale e paesagistico CARTA DELLE FUNZIONI ambientale e paesagistico -Aree montane Ospedale -Aree montane

Campi sportivi Residenziale Zona smaltimento rifiuti Aree Produttive Aree produttive dismesse Istituzione Religiosa Area ferroviaria CARTA DELLE FUNZIONI Pubblica CARTA DELLE Istituzione FUNZIONI Area ferroviaria dismessa Stazione Elettrica Aree vuote Residenziale Parcheggio Residenziale Strada commerciale Aree Produttive Serre Aree Produttive

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MIGRAZIONI

TIRANA

DURRES

3 min

1h3

1 h 8 min

90

Km

80 Km

113 Km

ELBASAN

28 Km 10,3 Km

33 mi

n

45 min

32,6

BERAT 56 min

12,5 Km

46,9 Km

FIER Km

BYLLIS

112

Km

2h 23 min

3m 1h 3

in

VLORE

166 Km

160

in

APOLLONIA

5m

in

in

12 m

36,2 Km

Nel 1965 Fier aveva una popolazione di oltre 20 mila abitanti; nel 1982 era aumentata sino a 35 mila unità, arrivando a 48mila nel 1991. Con i cambiamenti politici avvenuti nel 1991 la città subì un forte collasso economico e le fabbriche che fino a quel momento avvano accolto lavoratori furono chiuse. Nel corso degli anni 19912004 Fier ha subito importanti trasformazioni che si concatenano al decadere delle restrizioni che avevano controllato i flussi migratori della popolazione durante il regime comunista. I migranti provenivano essenzialmente dalle zone rurali, dove la qualità della vita ed i servizi erano estremamente scarsi. L’effetto della revoca si estese per almeno cinque anni, registrando un tasso di crescita della popolazione pari al 2,32% (1998). L’incremento demografico del 72% della popolazione, passando da 34 mila a 82 mila abitanti

15 m

ARDENICE

1h1

LUSHIJE

33 min

Con l’inizio del XX secolo la città ebbe un notevole impulso demografico: dal 1927 il numero di residenti era salito a più di 1.500 e la città contava 270 residenze.Durante l’ultima parte del XX secolo, la città è cresciuta a ritmo incalzante: dai 90 ettari agli inizi degli anni ‘50 ai 300 ettari negli anni ‘80 sino ai 899 ettari odierni, di cui 785,8 all’interno dell’area urbana. Nella seconda metà del XX secolo fino al 1991 Fier è diventato il secondo più grande centro economico dopo Tirana. Si insediarono alcune delle principali industrie come quella dell’estrazione e raffinazione dell’olio e della trasformazione di prodotti agricoli, producendo un grande boom economico. Anche il più grande complesso industriale (chimico, meccanico, elettrico) fu istituito a Fier e di conseguenza la città ospitò migranti provenienti da tutto il paese.

SARANDE

GJIROKASTER


CARTA DELLE FUNZIONI CARTA DELLE FUNZIONI Residenziale

(1991-2004), ha portato con sé uno sviluppo urbano incontrollato e abusivo.

Residenziale Aree Produttive Aree Produttive Istituzione Religiosa Istituzione Religiosa Istituzione Pubblica Istituzione Pubblica Stazione Elettrica Stazione Elettrica Parcheggio Serre

Parcheggio

Serre Cimitero Cimitero Istruzione Istruzione Magazzini di stoccaggio Magazzini di stoccaggio Zona panoramica Zona panoramica Ospedale Ospedale Campi sportivi Campi sportivi Zona smaltimento rifiuti Zona smaltimento rifiuti Aree produttive dismesse Aree produttive dismesse Area ferroviaria Area ferroviaria Area ferroviaria dismessa Area ferroviaria dismessa Aree vuote Aree vuote Strada commerciale Mercato

Strada commerciale Mercato

Ciò influisce naturalmente sul consumo del suolo non pianificato, che si approssima ai 200 ettari. Questa edilizia “informale” caratterizza interi quartieri privi dei servizi elementari, occupando aree estese che storicamente erano dedicate all’agricoltura. Per ragioni meramente politiche si è proceduto con condoni totali ai quali per mancanza di fondi non sono seguiti gli opportuni interventi per integrare verde pubblico, rete stradale, infrastrutture di base, servizi sociali. Questa realtà coesiste con le ex aree industriali ora lambite, ora letteralmente fagocitate dallo sviluppo edilizio e che rappresentano una considerevole percentuale di superficie comunale.

A lato: analisi tematica delle funzioni Nella pagina affianco : sxxchema delle distanze e dei tempi di percorrenza tra la città di Fier e i principali centri urbani circostanti.

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LA CITTà E IL FIUME La fondazione della città è stata storicamente legata alla presenza del fiume Gjanica, tanto che tra città e fiume si è sviluppato un binomio inscindibile. Il corso d’acqua, storicamente visto come elemento di grande valore, oggi si presenta come taglio profondo all’interno della città, facendone perdere totalmente il suo valore di risorsa per l’approvvigionamento di acqua, di fonte di energia motrice o di luogo di interazione. Oggi questo legame di tipo utilitaristico è venuto quasi del tutto a mancare, ma di contro, ad avantaggiarsene è la valenza del fiume dal punto di vista paesaggistico e ambientale. Il Gjanica rappresenta per la città una grande opportunità di valorizzazione del patrimonio ambientale e per questo ci è sembrato opportuno valorizzarne appieno il paesaggio. Nel caso del waterfront la città volge al fiume il proprio volto in diverse sfaccettature. Nelle periferie a nord della città, in particolare nelle sue zone più disgregate, la città presenta un’area di forte degrado e fonte di grande inquinamento: la discarica, sita nel punto in cui si incrociano l’affluente Gjanica e il fiume Seman. Proseguendo verso sud, il fiume penetra all’interno del tessuto urbano, il quale in alcuni tratti ne restringe il flusso e ne fagocita quasi totalmente l’alveo. Le aree frequentemente inondabili sono state del tutto occupate da edifici che si trovano in uno stato di degrado e di pericolo allarmante. Nella parte più a sud, invece, il rapporto tra la città e il fiume appare negato, in particolare nelle aree dove il flusso si presta ad un ruolo di servizio in favore delle aree produttive. Il Gjanica dovrebbe quindi assumere per la città e per il territorio circostante un forte valore paesaggistico e il progetto di riqualificazione e sviluppo di un parco fluviale dovrebbe costituire

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un forte incentivo ad invertire l’ottica con cui la città guarda al fiume: non come cesura, ma come uno dei fronti principali del proprio paesaggio. Analisi chimiche di alcuni campioni prelevati dal fiume Seman hanno mostrato elevati valori di alcuni parametri ( BOD5, ammonio, solidi sospesi, manganese, ferro, ecc). L’ultimo affluente di sponda sinistra è proprio il Gjanica, nel quale sono presenti ancora scarichi di giacimenti di petrolio, con alto contenuto di olio, fenoli, ecc. Dalle analisi è emerso che è il fiume più inquinato del paese. Questo ha già avuto effetti disastrosi sulla biodiversità nel tratto inferiore del fiume Seman e nelle vicine zone costiere, colpendo anche altri usi, come la fornitura di acqua potabile, e determinando anche la contaminazione della falda acquifera. Analisi più recenti hanno mostrato un miglioramento della qualità delle acque nel corso inferiore del Seman e in particolare del Gjanica, legate alle forti diminuzioni di estrazione del petrolio e al rallentamento delle attività dell’industria chimica di Fier, ma la qualità è ancora lontana dal valore ottimale.


USO DEL SUOLO

Campagna

Ferrovia

Vuoti urbani

Verde urbano

Fiume

Città compatta

Città dilatata

Archeologia industriale

Per procedere ad una pianificazione consapevole, abbiamo deciso di sviluppare uno studio approfondito sullo stato di fatto del fiume Gjanica. In particolare si è proceduto ad un’attenta analisi delle piantumazioni presenti lungo il tracciato fluvile, catalogandole secondo tipologia e altezza. Questo ci è servito per procedere ad una ipotesi di ripiantumazione mirata a soddisfare esigenze ambientali e di sicurezza. La ridefinizione delle sponde del fiume è una priorità, in quanto lo sviluppo urbano privo di regolamentazioni ha fatto si che l’alveo del Gjanica in alcuni punti fosse completamente fagocitato. Lo strumento normativo più adeguato che abbiamo riscontrato per la riqualificazione e la tutela del paesaggio fluviale è costituito dai Contratti di fiume.

A lato: sezioni d’analisi dell’uso del suolo e del rapporto tra il fiume e il contesto.

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Platanus orientalis Nome comune: Platano orientale Famiglia: Platanaceae Genere: Platanus Tipo corologico: SE Europa a W. Asia. Habitat: Da fiumi nelle foreste sulle colline. Antesi: aprile-giugno Dimensioni: altezza 40m. Descrizione: Il platano orientale è un albero longevo e resistente, a

crescita rapida, che preferisce terreni argillosi e umidi. La sua corteccia è liscia e tende a sfogliarsi. I fiori sono riuniti in infiorescenze pendule sferiche; sferiche sono anche le infruttescenze dotate di lunghi peli, che si disperdono nell'aria quando giunge la primavera. Il platano orientale si trova naturalmente in ambienti fluviali, insieme a questi alberi come ontani , salici e pioppi . Tuttavia, è perfettamente in grado di sopravvivenza e il successo in terreni asciutti, una volta stabilito.

Populus alba Nome comune: Pioppo bianco Famiglia: Salicacee Genere: Populus Tipo corologico: Paleotemp. - Eurasiatiche in senso lato, che ricompaiono anche nel Nordafrica. Habitat: suoli incoerenti, sciolti limosi-argillosi Antesi: febbraio-marzo Dimensioni: 30 m di altezza Descrizione: ha un’ampia chioma arrotondata, è una varietà longeva e sana. La sua corteccia grigio chiaro, simile a quella della betulla, rimane per lungo tempo liscia e punteggiata da piccole lenticelle suberose a forma di rombo. I pioppi sono essenziali nell'azione di consolidamento degli argini dei fiumi, in relazione anche all'ampia estensione dell'apparato radicale che si dirama dalla pianta madre per oltre venti metri.

Alnus glutinosa Nome comune: Ontano nero Famiglia: Betulaceae Gray Genere: Alnus miller Tipo corologico: Eurosiber. - Zone fredde e temperato Habitat: boschi ripari e zone paludose, fino a 1200 m Antesi: febbraio-aprile Dimensioni: 25 m di altezza Descrizione: talvolta con portamento arbustivo. È un elemento tipico della vegetazione riparia. Oltre a svolgere una funzione ecologica nel mantenimento degli ecosistemi fluviali, le formazioni pure o miste a ontano nero sono utili per il consolidamento delle sponde dei corsi d'acqua e ricoprono perciò un ruolo collaterale di tutela dell'ambiente contro i dissesti idrogeologici. L'albero può essere coltivato come frangivento. Quindi, l'ontano è un eccezionale specie pioniera per ripristinare foreste o terreni agricoli abbandonati e altri terreni problematici.

Salix alba Nome comune: salice da pertiche Famiglia: Salicacee Genere: Salix l. Tipo corologico: Paleotemp. - Eurasiatiche in senso lato, che ricompaiono anche nel Nordafrica. Habitat: Specie tipicamente ripariale, tollera le periodiche esondazioni, prediligendo terreni sciolti, limosi o sabbiosi, umidi, dal livello del mare 1200 m Antesi: marzo-aprile Dimensioni: 20-25 m di altezza con diametro fino a 60 cm Descrizione: fusto diritto, corteccia grigia più o meno chiara presto

Tamarix dalmatica Nome comune: Tamerici di Dalmazia Famiglia: Tamaricaceae Genere: Tamarix dalmatica Tipo corologico: W-Medit. - Zone occidentali del Mediterraneo. Habitat: Specie tipicamente costiera, presente sia nelle ampie aree sabbiose dunali e retrodunali che nelle zone umide costiere, fino a 1000 m.s.l.m. Antesi: maggio-giugno Dimensioni: altezza 6 m. Descrizione:

Alisma plantago-aquatica Nome comune: Mestolaccia comune Famiglia: Alismataceae Vent. Genere: Alisma L. Tipo corologico: SubCosmop. - In quasi tutte le zone del mondo, senza lacune importanti. Habitat: Pianta comune nelle zone fangose con acqua bassa e lenta fino a 1500 m.s.l.m. Antesi: maggio-luglio Dimensioni: altezza 30-120 cm. Descrizione: Pianta perenne, erbacea, robusta, glabra, dotata di un

Albero dal portamento spesso arbustivo, con corteccia grigio-bruno o bruno-rossastra nei rami più giovani. Viene utilizzato per il consolidamento di terreni instabili.

corto rizoma tuberoso che, alla base, ha un un ciuffo di foglie lungamente picciolate; fusti eretti terminanti in folte pannocchie.

Tamarix parviflora

Glyceria fluitans Nome comune: Gramignone natante Famiglia: Poaceae o Gramineae Genere: Glyceria Tipo corologico: Medit.-Atl.(Euri-) - Coste atlantiche e mediterranee. Habitat: Frequente in terreno paludoso, fossati o acque poco profonde. Antesi: maggio-luglio Dimensioni: altezza 100 cm..

Nome comune: Tamarice, tamerice Famiglia: Tamaricaceae Link Genere: Tamarix L. Tipo corologico: Zone occidentali Mediterraneo. Habitat: Specie tipicamente costiera, presente sia nelle ampie aree sabbiose dunali e retrodunali che nelle zone umide costiere. Antesi: maggio-giugno Dimensioni: altezza 6 m. Descrizione:

Descrizione:

Pianta erbacea perenne, acquatica, con radici Che la ancorano sul fondo.

Albero dal portamento spesso arbustivo, con corteccia grigio-bruno o bruno-rossastra nei rami più giovani. Viene utilizzato per il consolidamento di terreni instabili.

Salix purpurea Nome comune: Salice rosso Famiglia: Salicaceae Mirb. Genere: Salix L. Tipo corologico: Eurasiat. - Eurasiatiche in senso stretto, dall'Europa al Giappone. Habitat: E' diffuso lungo le sponde ed i greti dei corsi d'acqua, su suoli ghiaiosi e/o sabbiosi, fino a 1800 m.s.l.m. Antesi: febbraio-aprile Dimensioni: altezza 5-6 m. Descrizione: Arbusto policormico, raramente a portamento arboreo, con corteccia grigia, dapprima liscia, poi irregolarmente fessurata, internamente verde chiara o gialla.

Scirpus lacustris Nome comune: Lisca lacustre o giunco di palude Famiglia: Cyperaceae Genere: Schoenoplectus Tipo corologico: Medit.-Atl.(Euri-) - Coste atlantiche e mediterranee. Habitat: Cresce sulle rive di fiumi, laghi e stagni, nelle paludi, sugli argini di canali e fossi. Antesi: aprile-giugno Dimensioni: altezza 3 m. Descrizione:È una specie elofita con base e gemme perennanti

Oenanthe fistulosa Nome comune: Finocchio acquatico Famiglia: Apiaceae Lindl. Genere: Oenanthe L. Tipo corologico: Medit.-Atl.(Euri-) - Coste atlantiche e mediterranee. Habitat: E' pianta di luoghi paludosi e di prati umidi fino a 800 m.s.l.m. Antesi: giugno-luglio Dimensioni: altezza 40-80 cm.. Descrizione:

Pianta erbacea perenne, glabra, dotata di una radice con tuberi sotterranei ovoideo-clavati, leggermente ristretti verso l'alto. Fusto eretto, cavo nella parte superiore, angoloso e striato. I fiori sono riuniti in infiorescenze terminali a ombrella.

Eleocharis palustris Nome comune: Giunchina comune Famiglia: Cyperaceae Genere: Eleocharis Tipo corologico: Eurasiat. - Subcosm.. Habitat: Aree umide e paludose fino a 1.000 m s.l.m. Antesi: maggio-agosto Dimensioni: altezza 60 cm. Descrizione:

E’ una caratteristica pianta palustre con lungo rizoma strisciante sotterraneo da cui partono fusti cilindrici eretti, spugnosi, privi di foglie e avvolti, alla base, in guaine brunastre.

sommerse, ma con fusto e foglie aeree. Con radici striscianti, ramificate in una fitta rete che contribuisce al consolidamento del suolo.

12<h<15m

screpolata. Viene utilizzato per consolidare terreni di ripa e pendici franose.

Fraxinus ornus Nome comune: Frassino da manna Famiglia: Oleaceae Hoffmanns. & Link Genere: Fraxinus L. Tipo corologico: Eurasiat. - Eurasiatiche in senso stretto, dall'Europa al Giappone. Euri-Medit. - Entità con areale centrato sulle coste mediterranee. Habitat: Vegeta a quote medio-basse, potendo salire sino a 1400-1500 m.s.l.m. Antesi: aprile-giugno Dimensioni: altezza 10-25 m.

Typha angustifolia Nome comune: Biodo, lisca maggiore Famiglia: Typhaceae Juss. Genere: Typha L. Tipo corologico: Cosmop. - In tutte le zone del mondo, senza lacune importanti. Habitat: Zone umide di acque dolci stagnanti, paludi, fossi, da 0 a 2000 m.s.l.m. Antesi: giugno-agosto Dimensioni: altezza 2,5 m. Descrizione: Pianta erbacea perennante munita di un rizoma

Malva sylvestris Nome comune: Malva selvatica Famiglia: Malvaceae Juss. Genere: Malva L. Tipo corologico: Eurasiat. - Eurasiatiche in senso stretto, dall'Europa al Giappone. Habitat: Incolti, luoghi calpestati, ambienti ruderali, ai margini delle strade, frequente anche nei campi e nei prati; fino a 1.600 m s.l.m. Antesi: maggio-ottobre Dimensioni: altezza 60 cm.

sotterraneo allungato; fusto eretto e semplice. Pianta con foglie più strette (3-10 mm) di color verde chiaro e le inflorescenze separate da un asse nudo di 2-4 cm.

Descrizione:

Salix eleagnos Nome comune: Salice ripaiolo Famiglia: Salicacee -mirb. Genere: Salix L. Tipo corologico: Orof. S-Europ. - Orofita sud-europea (Europa meridionale e Balcani) Habitat: E' tipica di ecosistemi ripari, preferendo substrati alluvionali calcarei, sabbiosi o ghiaiosi, fino a 1800 m.s.l.m. Antesi: marzo-aprile Dimensioni: altezza 15 m.

Juncus effusus Nome comune: Giunco comune Famiglia: Juncaceae Genere: Juncus Tipo corologico: Cosmop. - In tutte le zone del mondo, senza lacune importanti. Habitat: Lungo le rive di fossi e fiumi da 0 a 1300 m.s.l.m. Antesi: luglio-ottobre Dimensioni: altezza 100-200 cm.

Veronica scutellata Nome comune: Veronica delle paludi Famiglia: Plantaginaceae Juss. Genere: Veronica L. Tipo corologico: Circumbor. - Zone fredde e temperato-fredde Habitat: Fossi, torrenti, sponde, torbiere, dal piano fino ai 1800 m s.l.m. Antesi: giugno-settembre Dimensioni: altezza 60 cm.

Descrizione: Si tratta di una pianta cespugliosa acquatica e perenne,

Descrizione: Arbusto, talvolta grosso, o anche alberello

diffusa particolarmente nelle zone marittime di tutti i continenti. Essa produce alcuni ciuffi verdi, spugnosi, lisci, cilindrici e flessibili con alcune foglie intorno, producono molto spesso dei fiori a ventaglio di colore verdi- marroni.

Descrizione:

con corteccia da bruno-grigio a bruno-verdastro, rami sottili e flessibili giallastri o bruno-rossastri; in ambiente montano il portamento è sempre cespitoso (policormico).

Crataegus monogyna Nome comune: Biancospino comune Famiglia: Rosaceae Juss. Genere: Crataegus L. Tipo corologico: Eurasiat. - Eurasiatiche in senso stretto, dall'Europa al Giappone. Habitat: Specie paleotemperata, presente nei boschi xerofili, nelle siepi, boscaglie e cespuglieti, macchie, margine dei boschi e pendii erbosi. Sino a 1.600 m s.l.m. Antesi: aprile-giugno Dimensioni: altezza da 2/5 m fino 15m.

Equisetum telmateia Nome comune: Coda di cavallo Famiglia: Equisetaceae Genere: Equisetum L. Tipo corologico: Circumbor. - Zone fredde e temperato-fredde dell'Europa, Asia e Nordamerica. Eurasiat. - Eurasiatiche in senso stretto, dall'Europa al Giappone. Habitat: Terreni umidi e freschi, acquitrini luoghi paludosi, sponde corsi d’acqua, boschi misti dal piano fino a 1.500 m.s.l.m Antesi: marzo-maggio Dimensioni: altezza 40-200 cm.

Callitriche cophocarpa Nome comune: Gamberaja polimorfa Famiglia: Plantaginaceae Genere: Callitriche Tipo corologico: Euro-asiat. Habitat: luoghi umidi e paludosi fino a 1600 m.s.l.m. Antesi: maggio-settembre Dimensioni: altezza 25 cm.

Descrizione:

Albero a chioma tondeggiante, fusto solitamente diritto, ma spesso anche tortuoso, da cui si dipartono molti rami ascendenti o eretti

Descrizione: Piccolo albero, ma più spesso arbusto a fogliame deciduo; cespuglioso, con radice fascicolata; chioma globosa o allungata; tronco sinuoso, spesso ramoso.

Pianta perenne raramente annua, di aspetto erbaceo, pubescente, con fusti robusti, striati, ispidi, molto ramificati, legnosi alla base. Strisciante oppure eretta.

Piante perennanti per mezzo di gemme poste a livello del terreno e con asse fiorale allungato, spesso privo di foglie.Fusti fioriferi deboli, ascendenti, spesso sinuosi.

Descrizione: Pianta erbacea perenne, acquatica, con radici che la ancorano sul fondo.

Descrizione: Pianta erbacea perenne e rizomatosa.

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CONTRATTI DI FIUME La finalità primaria del Contratto di fiume e di lago è riconoscere il ruolo centrale del sistema acqua nelle politiche e nelle programmazioni inerenti il territorio.

interesse e l’integrazione dei diversi strumenti di programmazione, di pianificazione territoriale e di tutela ambientale. “ I Contratti di fiume tracciano il percorso per ‘restituire i corsi d’acqua al territorio e il territorio ai corsi d’acqua”.

CHE COS’E’ ILCONTRATTO DI FIUME? I Contratti di fiume possono essere identificati come processi di programmazione negoziata e partecipata volti al contenimento del degrado eco-paesaggistico e alla riqualificazione dei territori dei bacini/sottobacini idrografici. Tali processi si declinano in maniera differenziata nei diversi contesti amministrativi e geografici in coerenza con i differenti impianti normativi, in armonia con le peculiarità dei bacini, in correlazione alle esigenze dei territori, in risposta ai bisogni e alle aspettative della cittadinanza. In un sistema di governance multi-livello i Contratti di fiume si configurano come processi continui di negoziazione tra le Pubbliche Amministrazioni e i soggetti privati coinvolti nei diversi livelli territoriali. I Contratti di fiume non hanno un termine temporale prefissato, ma restano in vigore fino a quando rimane viva la volontà di aderire all’accordo da parte dei contraenti. Il cuore propulsivo dei processi è la ricostruzione di una visione condivisa del bacino idrografico. Tale rappresentazione deve essere capace di guidare i sottoscrittori del contratto ad elaborare un progetto coerente con le reali potenzialità che il territorio esprime. La comunità è chiamata a elaborare una visione condivisa facendo emergere i conflitti, gli interessi, ma anche le vocazioni territoriali e le capacità di “fare sistema”, promuovendo il dialogo tra i soggetti a vario titolo portatori di

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Nei Contratti di fiume il coordinamento tra attori istituzionali si sviluppa in due diverse forme, una di carattere orizzontale, ovvero tra soggetti istituzionali di pari livello, ma che operano in differenti aree territoriali e/o in ambiti di competenza eterogenei; una di carattere verticale, cioè tra autorità che esercitano i propri poteri su scale territoriali di diversa ampiezza. Il coordinamento orizzontale presuppone innanzitutto che, su scala locale, si diffondano forme efficaci di collaborazione tra amministrazioni e cittadini, loro associazioni o categorie; il coordinamento verticale si basa sul principio di sussidiarietà tra istituzioni (Comuni, Comunità Montane, Parchi, Province, Regioni, Autorità di bacino/distretto, Stato, Unione Europea), anche con modalità che coinvolgano contestualmente più livelli territoriali, superando le difficoltà dovute alla diversità di competenze. Un processo di governance delle trasformazioni dei territori dei bacini idrografici che faccia riferimento ad un approccio eco-sistemico deve fare leva sulla responsabilità della società, che riconosce nel bacino la matrice della propria identità culturale. Da tale riconoscimento scaturiscono comportamenti e volontà di azioni condivise di riqualificazione e valorizzazione, a partire dalle risorse idriche.


GLI OBBIETTIVI Per raggiungere in modo efficace gli obbiettivi di valorizzazione e di tutela è irrinunciabile la qualità partecipativa dei processi. I Contratti di fiume, attraverso l’integrazione delle politiche e stimolando la capacità di cooperazione e di condivisione tra diversi livelli di governo e tra diversi soggetti dello stesso livello, perseguono molteplici obiettivi: sicurezza, mitigazione e prevenzione dei rischi, riequilibrio ambientale e valorizzazione paesaggistica e della biodiversità, uso sostenibile delle risorse, fruizione turistica e storico-culturale sostenibile, diffusione della cultura dell’acqua. La creazione di una vision condivisa permette di guidare il processo verso una gerarchizzazione degli obiettivi e il riorientamento delle programmazioni e delle risorse finanziarie. Considerando tuttavia che il territorio non è un unicum omogeneo, ma si declina in numerose caratteristiche strutturali, che esprimono diversi bisogni e funzioni. I Contratti di fiume stimolano così la progettualità territoriale dal basso, perché coinvolgono le comunità nella valorizzazione del proprio territorio, promuovendo azioni dirette e concrete dalle varie componenti della società e dalle istituzioni.

Al lato: Foto storiche del fiume, Bibilioteca comunale di Fier; Il fiume Gjanica e Fier dall’alto. Fotografie scattate in uno dei sopralluoghi fatti nella città di Fier.

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QUADRO NORMATIVO Stabiliti i principi ispiratori che sono quelli della sostenibilità e del cosiddetto “equilibrio delle tre E” (ecologia, equità, economia), definiti gli obiettivi, è necessario avere un quadro delle regole e degli strumenti che ne regolano l’attuazione. I Contratti di Fiume/Lago trovano attualmente legittimazione nella normativa europea, definendone le linee generali per l’attuazione di politiche territoriali e ambientali. La Direttiva 2000/60/CE istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di gestione delle risorse idriche, individuando il “bacino idrografico” come corretta unità di riferimento per il governo e il risanamento delle acque. L’articolo 14 sancisce, inoltre, che “il successo della Direttiva dipende da una stretta collaborazione e da un’azione coerente a livello locale, della Comunità e degli Stati membri, oltre che dall’informazione, dalla consultazione e dalla partecipazione dell’opinione pubblica, compresi gli utenti”. La Direttiva 92/42/CEE, detta “Direttiva Habitat”, prevede l’individuazione e la protezione di siti caratterizzati da habitat naturali e seminaturali e specie animali e vegetali, considerati di interesse comunitario; la Direttiva 2007/60/CE (cosiddetta “alluvioni”) predispone “un quadro per la valutazione e la gestione dei rischi di alluvioni, volto a ridurre le conseguenze negative per la salute umana, l’ambiente, il patrimonio culturale e le attività economiche ” (art.1). Secondo la Convenzione europea del paesaggio (Firenze, 20 ottobre 2000): a. “Paesaggio” designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni; b. “Politica del paesaggio” designa la formulazio-

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ne, da parte delle autorità pubbliche competenti, dei principi generali, delle strategie e degli orientamenti che consentano l’adozione di misure specifiche finalizzate a salvaguardare, gestire e pianificare il paesaggio; c. “Obiettivo di qualità paesaggistica” designa la formulazione da parte delle autorità pubbliche competenti, per un determinato paesaggio, delle aspirazioni delle popolazioni per quanto riguarda le caratteristiche paesaggistiche del loro ambiente di vita; d. “Salvaguardia dei paesaggi” indica le azioni di conservazione e di mantenimento degli aspetti significativi o caratteristici di un paesaggio, giustificate dal suo valore di patrimonio derivante dalla sua configurazione naturale e/o dal tipo d’intervento umano; e. “Gestione dei paesaggi” indica le azioni volte, in una prospettiva di sviluppo sostenibile, a garantire il governo del paesaggio al fine di orientare e di armonizzare le sue trasformazioni provocate dai processi di sviluppo sociali, economici ed ambientali; f. “Pianificazione dei paesaggi” indica le azioni fortemente lungimiranti, volte alla valorizzazione, al ripristino o alla creazione di paesaggi DIRETTIVA 2003/4/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 28 gennaio 2003 “Un rafforzamento dell’accesso del pubblico all’informazione ambientale e la diffusione di tale informazione contribuiscono a sensibilizzare maggiormente il pubblico alle questioni ambientali, a favorire il libero scambio di opinioni, ad una più efficace partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia e, infine, a migliorare l’ambiente.”


DIRETTIVA 2001/42/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 27 giugno 2001 Concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente stabilisce che vengano valutati gli effetti ambientali di un ampio ventaglio di piani e programmi, in modo che se ne tenga conto durante l’effettiva elaborazione dei piani, e che questi vengano adottati a tempo debito. Inoltre, il pubblico deve essere consultato sui progetti e sulla valutazione ambientale e occorre tener conto delle opinioni che esprime. La Proposta di Direttiva Quadro per la Protezione del Suolo, SFD - Soil Framework Directive, ha l’ob biettivo di “proteggere il suolo dall’erosione e dall’inquinamento”. LE REGOLE

Gazzetta ufficiale delle Comunità europee

Per poter attivare, sviluppare e rendere operativi i Contratti di fiume è necessario che i partecipanti al processo osservino delle regole condivise, definite dagli attori stessi quali “cardini operativi” sui quali basare la collaborazione territoriale. Fra queste, per il successo del percorso, non dovrebbero mancare innanzitutto la consapevole adesione volontaria, la partecipazione attiva di ogni attore, la trasparenza del processo decisionale, l’inclusione di tutti i soggetti che esprimono volontà di partecipazione, la leale collaborazione e la corresponsabilità tra i sottoscrittori del Contratto.

Contratti di fiume, Pianificazione strategica e partecipata dei bacini idrografici. A cura di Massimo Bastiani

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FIER STRATEGICA Sulla base di una conoscenza approfondita della città di Fier, del suo sviluppo e del suo rapporto con il fiume Gjanica si è reso necessario sviluppare un progetto che rigeneri e riqualifichi tutto il tratto fluviale che attraversa la città. L’intento è quello di ridare vita al dialogo tra città e fiume che negli ultimi anni è venuto meno diventando un limite. Il progetto di sviluppo di un parco fluviale all’interno della città di Fier ha come obbiettivo la definizione di interventi concreti per la riqualificazione ambientale e territoriale delle sponde fluviali cittadine, attraverso la creazione di un unico grande sistema verde, attraverso una rete coordinata di percorsi ciclabili, pedonali, didattico-naturalistici e turistici. L’area fluviale è caratterizzata da grandi potenzialità di carattere ambientale, sia per la città, che per tutto il territorio di Fier. Le tematiche connesse all’uso antropico devono necessariamente interfacciarsi con le necessità della vita naturale del fiume e dell’ecosistema complessivo. Il fiume è soggetto, inoltre, al ciclo di deposito dei detriti alluvionali che possono minacciare la sicurezza di parti dell’abitato. Vita cittadina e vita degli ambienti fluviali devono, dunque, integrarsi in un unico progetto che definisca gli indirizzi di una programmazione ecologicamente e socialmente sostenibile. La strumentazione urbanistica prevede, in tali ambiti, una zonizzazione prevalentemente destinata ad uso pubblico per attrezzature sportive o turistiche, lasciando però aperto il problema dell’uso cittadino del lungofiume, dell’accessibilità, spesso difficile, dal centro abitato, degli ostacoli alla fruizione creati dalla vegetazione che

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rende instabili le rive. Il recupero da parte della città di un rapporto quotidiano con il fiume può così realizzarsi attraverso la conoscenza e il rispetto degli ambienti d’acqua, partendo dalla consapevolezza che il fiume è un elemento di forte identità sociale per chi abita lungo le sue sponde. L’idea del progetto nasce, quindi, dalla volontà di connotare il fiume non solo come risorsa ambientale, ma anche come occasione di identificazione sociale. Il progetto sviluppa, perciò, un percorso di recupero e valorizzazione degli ecosistemi ambientali nei suoi rapporti tra fiume e città. L’intento è quello di utilizzare le scelte di pianificazione e progettazione dell’ambiente fisico, coinvolgendo anche il paesaggio sociale. Il progetto ha predisposto un quadro organico integrato delle azioni e degli interventi tesi ad incentivare la tutela e la valorizzazione del fiume e delle aree connesse, allo scopo di favorire la rinaturalizzazione dell’ambiente acquatico e delle sponde fluviali e di riallacciare il legame tra gli abitanti e il fiume.

Nella pagina affianco: individuazione delle positività e delle negatività presenti all’interno della città di Fier.


- NEGATIVITA’ Presenza di discariche e siti contaminati

Degrado delle aree di patrimonio naturalistico

Collocazione Territoriale

Mancanza di verde stradale

Assenza di percorsi ciclabili

Inadeguatezza e carenza del sistema di percorsi pedonali

Risorse Ambientali

Presenza di spazi liberi privi di qualità urbana

Frammentazione degli insediamenti produttivi

Insufficiente cordinamento tra sviluppo insediativo e problematiche ambientali

Risorse Storico-Culturali

Dispersione insediativa con compromissione del rapporto tra aree urbane e rurali

Scarsa dotazione infrastrutturale

Mobilità e Trasporti Stretta integrazione fra sistemi ambientali e sistemi agricoli

Ricco patrimonio di aree industriali dismesse

Buona disponibilità di aree destinate alla trasformazione insediativa

Importanza crescente del settore turistico-culturale

Aumento della densità di popolazione

Presenza di rilevanti risorse paesaggistiche e ambientali

Posizione geografica strategica

+ POSITIVITA’

Sistema Insediativo

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In base all’analisi sono state identificate tre zone che presentano valori diversificati della qualità ambientale e saranno oggetto di un piccolo approfondimento progettuale. La prima area sita a nord della città, ospita la discarica di Fier, all’incrocio del fiume Seman con il suo affluente Gjanica. Qui il tasso d’inquinamento è elevato e rende sicuramente necessaria una bonifica del suolo e della falda acquifera. Il degrado di tale area ha messo in ombra le sue importanti qualità naturalistiche, ma il progetto potrà sicuramente mettere in luce il suo potenziale al momento del tutto inespresso. La seconda zona, sita al centro dell’area urbana, presenta un contesto allarmante. La città, a causa dell’assenza di una pianificazione regolamentata, ha fagocitato quasi totalmente l’alveo del fiume. Questo fa si che la sicurezza di tale area sia costantemente messa in pericolo da allagamenti e smottamenti del terreno. In questo caso, il nostro intervento non prende in esame principalmente il valore naturalistico intrinseco all’area, ma vuole farne un esempio per uno sviluppo urbano consapevole. La sicurezza dell’area e in particolare di chi ne fruisce deve essere sempre al centro dell’attenzione di chi interviene sulla città e il suo sviluppo.

Anche la viabilità avrà un ruolo fondamentale all’interno del nostro piano strategico di Fier. Secondo le analisi eseguite nel 2006 per la realizzazione del piano regolatore della città, si è notato come la parte più inquinata della città di Fier sia proprio il centro, con un’alta concentrazione di traffico lento. L’obiettivo del piano strategico è quello di limitare la condizione di disagio, riducendo drasticamente il numero di veicoli ammessi nel centro cittadino. A tal proposito sono state previste tre diverse viabilità: pesante su gomme extraurbana, su cui transiteranno camion e auto ad alta velocità; pesante periurbana, su cui transiteranno automobili e una terza, leggera, per il traffico a bassissimo scorrimento. Inoltre, ci sarà la realizzazione di un sistema concentrico di strade e un percorso ciclo-pedonale che riconnette tutti i punti della città e attraversa il parco fluviale. Saranno ripristinati alcuni tratti ferroviari, per riallacciare il centro città e l’area di progetto, convertendoli in tratti di transito per tram.

La terza area di progetto si presenta con uno sviluppo informale ed è sita quasi a ridosso dell’alveo del fiume. L’abitato fa da filtro tra l’ex area industriale Gogo Nushi e l’alveo del fiume. Tale area ha un grande potenziale dal punto di vista paesaggistico e storico-culturale, essendo il punto di snodo tra la città, il fiume e il sito da noi riqualificato. Nella pagina affianco: schema strutturale di Fier strategica.

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SCHEMA STRUTTURALE Food- industry km 0

Risparmio energetico ed efficienza quartiere ecocompatibile

Digitalizzazione dei servizi

Innovazione della gestione urbana

Green economy

Risanamento ambientale e bonifica di aree fortemente degradate e inquinate

Mobilità pubblica efficiente

Gestione risorse naturali

Parco fluviale e rurale

Quartire di testa

Museo del lavoro

Eco compatibilità

SMART CITY

CineFier

Mercato prodotti locali

Nuovo polo culturale

Valorizzazione patrimonio cuturale

Produzione e vendita a km 0 Ristorazione albanese a km 0

Nuove centralità

Coltivazioni idroponiche

Fier strategica

Cinema e artigianato

MIGLIORARE LA QUALITÀ DELLA VITA

Integrazione sociale Ricostruzione villaggio Rom

Creazione di un nuovo polo come porta urbana

INTEGRARE FIER NEL SISTEMA INTERNAZIONALE

Fornire accesso a Fier

Foodindustry

Rinnovamento urbano

Pista ciclabile

Sviluppare rete trasporti nazionale

Creazione di un parco fluviale alla foce del Gjanica creando un polo naturalistico di accesso alla città Inserire Fier nel panorama internazionale dei percorsi ERIH

Ricreare la ex fabbrica “Gogo-Nushi” al fine di rendere un punto di ancoraggio nel percorso ERIH

Mobilità sostenibile

Potenziamento della tratta ferroviaria Riqualificazione asse centrale

Miglioramento della mobilità da e verso Fier

Parco fluviale

People Moover

Tre tipi di viabilità Fascio ferroviario

Creare una trama di percorsi ciclabili e sostenibili a livello nazionale, collegandoli con quelli esistenti

Creazione di un museo del lavoro, preservando le preesistenze

Nascita di un parco di archeologia industriale

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PIANO STRATEGICO

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Programma degli interventi

0

An Interventi su spazi aperti e di valore ambientale prescritti dal piano strategico Bn Interventi sul tessuto, edifici e spazi aperti prescritti dal piano strategico Cn Interventi su aree dismesse e insediamento prevalentemente non residenziale prescritti dal piano strategico

Centralità di progetto

500

Area urbana

Interventi di progetto complementari del sistema urbano

A1 : Riqualificazione della foce del

fiume Gjanica, mediante ripiantumazione e rinverdimento della stessa. Creando una vera e propria porta verde della città e del parco fluviale. Introduzione di una pista ciclabile, che attraversi tutto il parco.

1000

A2 : Discarica, riqualificazione

ambientale dell’attuale discarica, riconversione in area verde, con introduzione di attività ludico-sportive. Creazione di un polo intermodale di scambio, con stazione per i tram di collegamento con la città e parcheggio per auto, allo scopo di liberare il centro dal traffico.

B1: Deviazione del traffico pesante con la progettazione di una circonvallazione che circumnavighi il centro cittadino, delegando a questa il passaggio di mezzi pesanti e riducendo notevolmente la mobilità pesante della città in favore di una dolce.

Area di progetto

Parco fluviale

Area principale di intervento

Area complementare di intervento

Sistema della mobalità Strade a viabilità ad alto scorrimento mezzi pesanti Strade a viabilità a medio scorrimento automobili Strade a viabilità a basso scorrimento automobili e mezzi pubblici Pista ciclabile Linea ferroviaria

1500

A3 : Intervento sulle sponde del fiume

con trattamento prevalentemente naturalistico, ripiantumazione di specie vegetali autoctone per il ripristino del naturale ecosistema fluviale. Consolidamento degli argini.

B2: Intervento sul fascio ferroviario con l’introduzione di binari per tram e sulla stazione ferroviaria, riprogettazione della stessa, riqualificazione dei fronti stradali del viale di connesione con la principale via cittadina. B3: Riqualificazione dei fronti stradali della via di collegamento con Apollonia. B4: Intervento sul centro cittadino,

2000

eliminazione di edifici a ridosso del fiume a forte rischio statico e creazione di un collegamento diretto tra il parco fluviale e il centro città .

B5: Riduzione del fascio ferroviario e delimitazione dello stesso mediante barriere naturali.

Linea tranviaria

Schematizzazione di interventi Ricuciture di parti citt tramite il parco fluviale Deviazione del traffico nel primo anello della circonvallazione Deviazione del traffico nel secondo anello della circonvallazione Trama agricola che subentra nel progetto

Visuali da valorizzare

Interventi di dettaglio del progetto

Tram, viabilità leggera

Punti di rilevanza nel progetto urbano

Barriere acustiche ecologiche

B6 : Progettazione di una circonvallazione che bypassi il centro cittadino convogliando il traffico pesante esternamente rispetto al centro abitato.

Parco fluviale

Punti di scambio, cambio di viabilità

2500

B7 : Eliminazione di abitazioni ed

edifici abusivi costruiti a ridosso delle sponde del fiume, per evitare straripamenti nel periodo di piena e per permettere di ristabilire un migliore rapporto di convivenza tra la città ed il fiume.

C1: Intervento di riconversione e

riqualificazione. All’interno dell’ex Azotik è prevista la creazione di un nuovo polo culturale ricreativo e sviluppo di un’area di ricerca legata alla tradizione agricola della città, con la realizzazione di una facoltà di agraria strettamente connessa con la food industry.

3000

Attraversamento binario

Ponti sul fiume

Punti di ricucitura urbana

Parcheggi

Porta della citta’

A4 : Riqualificazione delle campagne

limitrofe all’area di intervento, con lo scopo di preservare e valorizzare le stesse, rendendole un mezzo di connessione diretta col parco fluviale.

A5 : Riconversione dell’attuale centrale

termoelettrica in parco tematico ricreativo annesso all’area di progetto e connessione diretta col fiume mediante percorsi pedonali e ciclabili.

Green energy

Nuovo polo polifunzionale

Parco

3500

A lato: schema strutturale urbanistico. Nella pagina affianco: Concept.

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MASTERPLAN DELLA CITTà

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FIER: RILIEVO ARCHITETTONICO E CARATTERI TIPOLOGICI IL PROCESSO PRODUTTIVO QUEL CHE RIMANE SCHEDATURA DEI RILEVI DELL’AREA CARATTERI TIPOLOGICI: SCHEDATURA LA SCELTA DEGLI EDIFICI DA CONSERVARE

Nell’immagine un quadro di Spiro Kristo, Guardiani del paese, 1969. Galleria d’Arte Nazionale di Tirana.

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Assonometria dimetrica dell’area con i volumi attuali.

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FIER: AZOTIKU GOGO NUSHI IL “GIGANTE CHIMICO” Fier rappresenta un crocevia per scambi commerciali e trasporti, oltre ad essere il cuore della più importante zona agro-alimentare della nazione. Questi fattori creano notevoli vantaggi competitivi a favore di Fier come centro per il progresso e sviluppo nazionale. Come detto, la città si trova nella valle del Myzeqe ed è attraversata dal fiume Gjanica, affluente del Seman, uno dei più importanti fiumi della nazione. Grazie all’ampia disponibilità di risorse naturali le pianure del Myzeqe sono state considerate il “granaio” d’Albania dando impulso all’industria dell’agricoltura che effettivamente è al momento uno dei pochi settori dell’export nazionale. Si coltivano molti tipi di cereali, alberi da frutta e uva. Il territorio della città è considerato proficuo anche come zona estrattiva per il petrolio. Per queste ragioni Fier divenne uno dei più grandi centri industriali insieme a Tirana ed Elbasan durante il periodo comunista (1946-90). A Fier si impiantarono le industrie di produzione di fertilizzanti, termoelettrica (TEC) e petrolifera (Albpetrol/ARMO). Prima del 1944, Fier era una piccola cittadina agricola di 4000 abitanti con solo una fabbrica di fresatura, cinque mulini, tre fabbriche di olio e alcuni commercianti artigiani. Il massimo grado di istruzione era quello elementare. Dopo la liberazione dagli italiani, Fier divenne il centro agricolo industriale più importante del paese. Nel 1948 sorsero la fabbrica di cotone, la fabbrica di trattori e negli anni 1957-60 ci fu la bonifica di estese paludi che rilanciarono le aziende agricole e il commercio. Nel 1966-67 venne costruita la centrale termoelettrica (TEC) più grande d’Alba-

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nia con 100MW/h e, collegata ad essa, la fabbrica Gogo Nushi di fertilizzanti chimici che produceva 110mila ton/anno con un totale di investimenti di 341,4 lek, la moneta albanese. Nel 1968 grazie all’industria Fier venne legata alla rete ferroviaria nazionale.


di una organizzazione tripartita (Albania, Cina e It In quegli anni, l’azienda italiana Montecatini, grazie al processo industriale per la sintetizzazione dell’ammoniaca inventato da Fausier, era tra le più rinomate al mondo. La realizzazione dell’impianto a Fier fu il risultato di lunga ponderazione. Anche Durazzo e Lushnjie erano in ballo. I criteri di scelta del sito erano il possibile approvvigionamento di acqua dolce, gas e petrolio, vapore ed elettricità; una sufficente distanza dal centro abitato; la possibilità di scaricare i residui industriali nelle vicinanze e di trasportare facilmente il prodotto finito. La scelta ricadde su Fier: la città era ricca di risorse naturali, oltre ad essere dotata di un importante gasdotto, della centrale termoelettrica (TEC) e di una raffineria. Queste ultime ne garantivano l’approvvigionamento di elettricità e di petrolio mentre la vicinanza al fiume Gjianica garantiva la possibilità di scaricare i residui industriali. Il 25 novembre 1964, a cinque km dal centro della città, iniziò l’edificazione dell’impianto. Il lavoro si svolse impiegando 3000 lavoratori occupati in tre turni.

Lo sviluppo dell’industria ebbe conseguenze dirette sull’agricoltura e sulla produttività. Il primo periodo dell’industria vide la collaborazione di albanesi, italiani e cinesi. Nel 1961 infatti il governo albanese iniziò una cooperazione a tutto tondo con la repubblica popolare cinese che dichiarò che in 3-5 anni si sarebbe compiuta la totale industrializzazione albanese. Attraverso i sovvenzionamenti cinesi la Gogo Nushi poté acquistare dalla italiana Montecatini tutti i macchinari a supporto della produzione a patto

Nella pagina affianco, dall’alto: immagini di archivio dell’area tratte dal giornale “Draper e Cekan” dell’epoca, presenti nella Biblioteca Comunale di Fier; un quadro di Petro Kokushta, Montatori (1979), raffigurante la costruzione dell’area industriale di Fier. In questa pagina, dall’alto: disegno della linea ferroviaria Fier - Ballsh; quadro di Lamturi Bllhosmi, Nel complesso industriale (1974). Galleria d’Arte Nazionale di Tirana.

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Intanto nell’aprile del 1966 ebbe inizio la preparazione dei tecnici che durò nove mesi e si svolse negli impianti italiani di Milano, Novara e Porto Marghera, ma anche in Russia, in una industria chimica vicina al deserto del Gobi. Giunsero nell’aprile 1965 dalla Cina ingegneri e tecnici specializzati e uno specialista tedesco, seguiti dagli italiani. Lo scopo degli specialisti italiani era creare e trasmettere la cultura e la mentalità della scuola italiana al personale tecnico e ai dipendenti, con l’obiettivo di aprire altre strade per gli investimenti futuri in Albania. Nel 1976 si inaugurò il primo ampliamento dell’impianto. In questa fase venivano prodotte 60mila ton di ammoniaca e 85mila ton di urea. Gli investimenti relativi a questa fase furono di 203,5 lek. Nel 1986 venne inaugurato il secondo e ultimo ampliamento, crebbe ulteriormente la produzione di ammoniaca (70mila ton/anno) e urea (100mila ton/anno), per un totale di 311,2 lek di investimenti. Prima del 1990 nello stabilimento lavoravano più di mille persone. Nel 1993 la fabbrica venne dismessa a causa della mancanza di forniture di gas. Dalle memorie di alcuni lavoratori si intuisce come la politica del partito motivasse l’operaio ad ambire ad un ruolo attivo all’interno della fabbrica, in totale coerenza con il pensiero rivoluzionario albanese. Il sogno comunista si tradusse per molti cittadini in una quotidianità scandita dai flussi dettati dai turni di lavoro. La fabbrica dettava i flussi della vita della città che, date le sue proporzioni, come una matriosca, funzionava come una città nella città, che contiene ed è contenuta.

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1966 fase 1: nitrato ammonico

1976 fase 2: urea1

1986 fase 3: urea 2


IL PROCESSO PRODUTTIVO LA PRODUZIONE DI FERTILIZZANTI Il materiale principalmente prodotto all’interno del colosso chimico Gogo Nushi era l’urea. L’impiego principe di questo composto chimico per circa il 90%, è come fertilizzante. Un utilizzo alternativo di questa molecola è in associazione con la formaldeide, per la formazione di collanti (colle ureiche, ecc). Le reazioni che governano la produzione dell’urea sono le seguenti: a. 2 NH3 + CO2 <--> NH2COONH4 Questa reazione porta alla formazione del carbammato di ammonio. La freccia in ambo le direzioni significa che si tratta di una reazione “all’equilibrio”. Tale reazione, inoltre, è fortemente esotermica (sviluppa calore). b. NH2COONH4 <--> NH2CONH2 + H2O Questa seconda reazione, anch’essa “all’equilibrio”, permette la formazione di urea e rilascia acqua. A differenza della prima reazione, trattasi di reazione endotermica, vale a dire che necessita di calore per svolgersi. Poiché la formazione dell’urea è dovuta ad entrambe le reazioni suddette, il processo è nel complesso definito “esotermico”. Le due fasi descritte rappresentano solo una parte del processo produttivo. Per produrre urea è necessario avere a disposizione due elementi: l’ammoniaca (NH3) e l’anidride carbonica (CO2). PREPARAZIONE DEI GAS NECESSARI PER LA SINTESI DELL’AMMONIACA Perché si possa procedere alla sintesi dell’ammoniaca è necessario disporre di azoto molecolare (N2) e idrogeno molecolare (H2). Il primo si ottiene dal frazionamento dell’aria e viene stoccato liquido a pressione molto elevata. Per quel che concerne l’idrogeno, è necessario passare

attraverso alcuni passaggi. Nel caso dell’industria Gogo Nushi il processo parte dal metano (CH4) che viene sottoposto al cosiddetto “steam reforming” in cui, a partire da metano e vapore acqueo si ottengono idrogeno e monossido di carbonio (CO). Il monossido di carbonio, a sua volta, per reazione con vapore acqueo viene trasformato in biossido di carbonio e idrogeno. L’anidride carbonica qui formata viene rimossa e immessa in atmosfera. Quella invece interessata nella produzione dell’urea è un gas tecnico acquistabile “già fatto”. SINTESI DELL’AMMONIACA Una volta prodotti idrogeno e azoto, si può passare alla sintesi dell’ammoniaca. Tale processo avviene per mezzo della seguente reazione: N2 + 3 H2 <--> NH3, opportunamente catalizzata da catalizzatori a base di ferro. Le condizioni di reazione sono a T= 350-550°C e P = 150-330bar. SINTESI DELL’UREA Per il processo di sintesi dell’urea c’è bisogno di ammoniaca e anidride carbonica, secondo lo schema descritto. NH3 e CO2 vengono alimentate al reattore in rapporto 2:1 a pressione intorno a 150bar e temperatura di circa 200°C. La scelta di queste condizioni operative non è affatto casuale. ma dipende dalla natura cinetica e termodinamica delle reazioni a e b. Quella termodinamica spiega le condizioni in cui avvengono tali reazioni, a prescindere dal tempo; la cinetica, invece, chiarisce a quali velocità si svolgono. L’industria chimica fonda le sue basi sulla conoscenza dei dati termodinamici e cinetici delle reazioni e su scelte operative che garantiscono generalmente un compromesso tra cinetica e termodinamica. In poche parole, ci si avvicina all’ottimo economico. Una volta svolte le due reazioni a e b, ci

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troviamo con una corrente composta da urea, acqua, carbammato di ammonio, ammoniaca e anidride carbonica non reagiti. Questa corrente viene alimentata da un’apparecchiatura, chiamata decomposer, dove si espande questa corrente permettendo la decomposizione del carbammato di ammonio in ammoniaca ed anidride carbonica. A questo punto della reazione si hanno: - Urea in miscela con acqua - Ammoniaca e anidride carbonica non reagiti e vapore acqueo L’espansione dell’impianto è in linea con l’evoluzione che ha avuto questo genere di industria: - Nel primo impianto, infatti, ci sono le sezioni di produzione di acido nitrico e nitrato di ammonio; essi erano generalmente i sottoprodotti degli impianti di produzione di urea. -Nel secondo e terzo impianto, invece, queste sezioni mancano. Questa differenza è assolutamente in linea con l’evoluzione storica di questa produzione. Attualmente, infatti, si preferisce svincolare l’economia dell’impianto dalla produzione di questi sottoprodotti e la si lega solamente alla produzione di urea. La parte in eccedenza di ammoniaca e anidride carbonica, oggi viene ovviamente riciclata nel processo descritto in precedenza. Tornando al processo, una volta prodotta la miscela di urea e acqua, essa viene opportunamente trattata per rimuovere l’acqua. Di solito si usano delle torri evaporative sotto vuoto (il vuoto permette di fare bollire l’acqua a temperatura più bassa) per formare delle sferette, dette prills ( è la forma in cui si vende l’urea) che vengono poi stoccate o caricate su cisterne per essere immesse sul mercato.

Nella pagina affianco e in quella precedente immagini di archivio dell’area dal giornale “Draper e Cekan” dell’epoca, presenti nella Biblioteca Comunale di Fier.

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3: Produzione urea

1: produzione gas di sintesi per l’ammoniaca 2: produzione ammoniaca

4: Stoccaggio1:urea produzione gas di sintesi e insacchettamento per l’ammoniaca 2: produzione ammoniaca

4: stoccaggio, 4: produzione insacchettamento acido nitrico HNO3 5: carico prodotto produzione nitrato finito ammonico NH4NO3

4: stoccaggio urea 5: carico prodotto finito

0

50

100

200

300

400


TEC centrale termoelettrica

i compressori servono per comprimere i reagenti e portarli alle condizioni di processo

Raffineria

500

1000

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Pianta dello stato di fatto dell’area.

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QUEL CHE RIMANE L’area, oggetto di studio, riguarda gli impianti di nitrato ammonico del 1966 e le due successive espansioni (1976 e 1986), d ove si sintetizzava l’urea: l’Azotiku Gogo Nushi. Si tratta di dimensioni considerevoli: circa settecento metri di lunghezza per circa trecentocinquanta di larghezza, su un’area totale di 24,5 ettari. Adiacente alla Gogo Nushi sorgono la centrale termoelettrica TEC (dismessa anch’essa) e la raffineria (in via di dismissione), queste non sono state oggetto di rilievo e vengono inserite nel progetto di massima. Nella Gogo Nushi, allo stato attuale, il peso dei vuoti prevale su quello dei pieni. Originariamente queste proporzioni erano pressoché invertite. Nell’agosto 2011, uno scandalo mediatico ha interessato l’area: centinaia di tonnellate di ferro (serbatoi, macchinari, tubature interrate e armature del calcestruzzo) sono state indebitamente sottratte, portate ad Elbasan e fuse nella fabbrica Kurum. I frequenti saccheggi e atti vandalici hanno trasformato l’area da punta di diamante del sistema produttivo nazionale in emblema dell’illegalità e del degrado ambientale e sociale. I tre spazi vuoti principali lasciati dai serbatoi e dagli impianti sottratti sono di notevoli dimensioni, si parla rispettivamente di diciassettemila metri quadri, settemila metri quadri e ventiduemila metri quadri (come misura di riferimento un campo da calcio è di diecimilaottocento metri quadri). Questi ampi spazi sono definiti da oggetti pressoché bassi che variano dai tredici ai venti metri. A tratti, si aprono delle prospettive inattese dominate dalle emergenze verticali: le torri di raffreddamento e le torri di prilling alte rispettiva-

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mente cinquantaquattro e sessantaquattro metri. La percezione è quella di uno spazio dilatato, metafisico, ove i macro-oggetti, relitti industriali, galleggiano, inondati dalla luce mediterranea che riempie le “piazzeâ€? vuote e genera dense ombre. Le prospettive sono allungate ed enigmatiche,

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spezzate dalle emergenze verticali. Ritrovare in questi luoghi l’arte di De Chirico degli anni Dieci significa ritrovare le radici di tendenze e forme altamente suggestive generate dalle silenziose apparizioni dei grandi oggetti. Si tratta di visioni spesso inattese che uniscono gli elementi impo-


nenti ad oggetti di dimensioni spesso minute, ove erano dislocati uffici, sale comandi, laboratori. L’intento, sin dal momento del sopralluogo e del rilievo, è stato di porsi in continuità con le preesistenze, il che non significa necessariamente ritorno al passato, bensì sviluppo ed apertura

a nuove “prospettive” per ampliare l’orizzonte del discorso.

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I PUNTI CRITICI Una delle principali preoccupazioni del Governo albanese – che per contenere i danni ambientali sta stilando importanti piani di sviluppo, finanziati anche grazie a contributi comunitari - riguarda gli stabilimenti esistenti oggi nei dintorni di Fier, che emettono 228 kg al giorno (79 litri) di solfuro, inquinando gravemente il fiume Gjanica, tra i maggiori affluenti del Seman, uno dei grandi fiumi nazionali. Le acque inquinate contaminano non solo i territori lambiti dal fiume, le spiagge intorno, ma anche il Mar Adriatico con macchie di petrolio, proveniente da scarti dell’industria chimica e termoelettrica, a cui si aggiungono gli scarti industriali di aziende che sembrano ancora poco sensibili al tema (il 70% circa delle aziende utilizza macchinari vecchi e obsoleti e solo il 5% delle grosse aziende e il 3,4% delle piccole imprese si è impegnato a ridurre gli scarti e a non disperderli in maniera illegale). Oltre agli scarichi industriali, un altro fattore inquinante è la discarica posta a nord della città, a ridosso dell’incontro tra i due fiumi. Una potenziale “isola verde” che viene usata come discarica per rifiuti di ogni sorta. I residui, assieme al resto degli agenti inquinanti, (come si evince dalla documentazione fornitaci dall’amministrazione di Fier) vengono trascinati dalla corrente del fiume, che raccoglie anche le acque reflue. Negli ultimi anni l’amministrazione ha attivato politiche di educazione ambientale e di salvaguardia del territorio, che per il momento non hanno fatto breccia nella sensibilità della popolazione. Gli elementi inquinanti dell’area industriale sono principalmente piombo, mercurio, amianto ed arsenico, per cui c’è stato un piano di bonifica nel 2003. L’appalto prese corpo a seguito dell’aggiudicazione della gara indetta dal Ministero al-

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banese e sovvenzionato dalla Comunità europea, appalto che aveva come oggetto principale la bonifica delle cisterne contenenti circa 1.000 mc di arsenico presso l’impianto situato a circa due km, a sud-ovest della città. Nei processi di produzione veniva utilizzato olio grezzo ad alto contenuto di zolfo, poi rimosso mediante sviluppo di reazioni chimico/fisiche che prevedevano come reagenti soluzioni di arseniato ed arsenico. A causa del tipo di processo utilizzato per anni, il sito ha rappresentato una seria minaccia per l’ambiente. Il trattamento delle soluzioni contenenti sali di arsenico è avvenuto tramite la messa a punto di un impianto di ossidazione e precipitazione con due stadi di trattamento per permettere, in primis la precipitazione dell’arsenico e, successivamente, l’ottenimento di una soluzione con concentrazioni di arsenico entro i limiti di accettabilità per lo scarico. I fanghi di processo disidratati sono stati raccolti in big bags e posizionati in idonee aree di stoccaggio temporaneo. I rifiuti ottenuti dal trattamento effettuato in loco sono costituiti da fanghi palabili che sono stati successivamente insaccati in big bags e situati in apposite aree atte al loro stoccaggio in sicurezza e la conseguente realizzazione di una barriera reattiva per impedire il passaggio dell’arsenico fino alle falde acquifere.

Alcune foto dell’area e degli elementi inquinanti. Nella pagina a fianco alcuni residui presenti sull’area, amianto e residui di fertilizzanti. Accanto foto di repertorio degli sbocchi degli scarichi industriali nel fiume Gjanica e dell’inquinamento lungo le rive.


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GOGO NUSHI esplorazione

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Torre di Prilling

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ANNO DI COSTRUZIONE: 1966 STRUTTURA: tre corpi con struttura portante in calcestruzzo armato, due dei quali scoperchiati. TAMPONAMENTI: mattoni a due teste. Degrado avanzato. Assenza o rottura della maggior parte degli elementi vetrati e dei rispettivi infissi. RIVESTIMENTI: intonaco e lastre in cemento effetto pietra. Macchie ed efflorescenze. Mancanze e fessurazioni. Vegetazione. Croste.


Reparto produzione urea

ANNO DI COSTRUZIONE: 1966 STRUTTURA: calcestruzzo armato, in discrete condizioni. TAMPONAMENTI: in mattoni faccia a vista Elementi meccanici mancanti. Inizio di carbonatazione. Scaling. Macchie. Mancanze. Vegetazione. Alterazione cromatica delle tamponature. Effluorescenza in alcuni punti.

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Magazzini per imballaggio

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ANNO DI COSTRUZIONE: 1966 STRUTTURA: calcestruzzo armato, in buone condizioni. TAMPONAMENTI: in mattoni a due teste. Fessurazioni nei tamponamenti. Scaling RIVESTIMENTI: Intonaco. Macchie. Croste e vegetazione. Mancanze. Carbonatazione.


Deposito urea

ANNO DI COSTRUZIONE: 1966 STRUTTURA: calcestruzzo armato. Cupola nervata in calcestruzzo armato con scheletro in acciaio. Finestre a nastro sulla sommità del corpo cilindrico. Mancanza del corpo scale. TAMPONAMENTI: mattoni a due teste. Grosse mancanze e varchi. RIVESTIMENTI: Intonacati. Macchie. Attacco dei cloruri e dell’urea stoccata all’interno. Croste e fessurazioni.

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Magazzino

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ANNO DI COSTRUZIONE: 1966 STRUTTURA: calcestruzzo armato, in buone condizioni. TAMPONAMENTI: mattoni a due teste. RIVESTIMENTI: intonaco. Presenza di macchie ed efflorescenze. Mancanze, soprattutto per quanto riguarda infissi e specchiature. Vegetazione in pi첫 punti.


Deposito urea

ANNO DI COSTRUZIONE: 1976 STRUTTURA: calcestruzzo armato, in buone condizioni. TAMPONAMENTI: in mattoni a due teste. Fessurazioni nei tamponamenti. Scaling RIVESTIMENTI: Intonaco. Macchie. Croste e vegetazione. Mancanze. Carbonatazione.

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Magazzini

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ANNO DI COSTRUZIONE: 1966 STRUTTURA: calcestruzzo armato TAMPONAMENTI : in mattoni faccia a vista. Molte mancanze, in particolar modo gli elementi di chiusura. Patina in prossimitĂ di scoli e alterazione cromatica su piĂš parti. Erosione nella parte basamentale.


Officine meccaniche

ANNO DI COSTRUZIONE: 1966 STRUTTURA: telaio in calcestruzzo armato. TAMPONAMENTIi: in mattoni a due teste. Molte manzanze. Parziale perdita degli elementi vetrati e dei rispettivi infissi RIVESTIMENTI: intonaco. Croste e ed esfoliazioni. Croste nella parte superiore. Distacco di alcune parti intonacate.

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Sala compressori arsenico

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ANNO DI COSTRUZIONE: 1966 STRUTTURA: scheletro portante in ferro. Copertura a falde in lamiera. TAMPONAMENTI: in calcestruzzo armato e mattoni. Semi scoperchiato. Degrado avanzato. Grosse lacune. Macchie ed efflorescenze. Assenza o rottura di alcuni elementi vetrati e dei rispettivi infissi. Mancanze e alterazioni cromatiche nelle parti in mattoni. Scaling. Vegetazione. Croste e patina. Ossidazione.


Gasometro

ANNO DI COSTRUZIONE: 1966 STRUTTURA: Corpo cilindrico in calcestruzzo armato, intatto. Struttura servente in ferro in forte ossidazione, macchie.

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Serbatoi sferici

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ANNO DI COSTRUZIONE: 1966 STRUTTURA: Corpo sferico composto da placche di lamiera zincata, sostenuto mediante pilastri in ferro che arrivano nella zona equatoriale del serbatoio, poggiati a loro volta su piastre di rinforzo in calcestruzzo. Scale di raccordo per manutenzione e sicurezza, con pianerottoli e balaustre in ferro. La struttura principale si presenta pressochÊ intatta. Forte ossidazione soprattutto nell’emisfero superiore. Macchie.


Sala pompe e sala compressori

ANNO DI COSTRUZIONE: 1966 STRUTTURA: tre corpi con struttura portante in calcestruzzo armato, due dei quali scoperchiati. TAMPONAMENTI: mattoni a due teste. Degrado avanzato. Assenza o rottura della maggior parte degli elementi vetrati e dei rispettivi infissi. RIVESTIMENTI: intonaco e lastre in cemento effetto pietra. Macchie ed efflorescenze. Mancanze e fessurazioni. Vegetazione. Croste.

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Sala compressori

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ANNO DI COSTRUZIONE: 1976 STRUTTURA: struttura portante in calcestruzzo armato. Totalmente scoperchiato. TAMPONAMENTI: in mattoni. Degrado avanzato. Assenza o rottura della maggior parte degli elementi vetrati e dei rispettivi infissi. RIVESTIMENTI: intonaco Mancanze. Vegetazione.


Torre di Prilling

ANNO DI COSTRUZIONE: 1986 - 87 STRUTTURA: in calcestruzzo armato. PressochĂŠ intatta TAMPONAMENTI: muri di tamponamento in mattoni a due teste per lo piĂš in buono stato. Mancanze in alcune parti. RIVESTIMENTI: Intonaco. Abrasione da cloruri di sodio e calcio evidente Soprattutto nel vano scale. Principio di carbonatazione. Macchie da ossidazione e scaling, Soprattutto visibili sulla ghiera finestrata. Esfoliazioni. Mancanti infissi e altri elementi in ferro. Mancanza degli elementi meccanici tipici.

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Torre di raffreddamento a ventilazione forzata

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ANNO DI COSTRUZIONE: 1986 - 87 STRUTTURA: Calcestruzzo armato. Struttura in buone condizioni. TAMPONAMENTI : Calcestruzzo armato:: Prospetto principale integro. Prospetto secondario lesionato e scarnificato in facciata. Alcuni ferri a vista. Crosta e macchie da ossidazione. RIVESTIMENTI: Intonaco per la parte alta e catrame per le vasche nella parte basamentale. Inizio di carbonatazione. Pitting da cloruri di sodio e calcio. Elementi meccanici mancanti.


Stazione FERROVIARIA - stoccaggio

ANNO DI COSTRUZIONE: 1986 - 87 STRUTTURA: calcestruzzo armato. Buone condizioni. TAMPONAMENTI : in mattoni a due teste. Mancanze in alcuni punti. RIVESTIMENTI : intonaco. Presenti alcune mancanze. Inizio di carbonatazione. Crosta nella parte interna e in copertura. Macchie ed efflorescenze sparse. Vegetazione. Mancanze parti meccaniche (binari).

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Serbatoi sferici

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ANNO DI COSTRUZIONE: 1986 - 87 STRUTTURA: in calcestruzzo armato. Pressochè intatta TAMPONAMENTI: muri di tamponamento in mattoni a due teste per lo piÚ in buono stato. Mancanze in alcune parti. RIVESTIMENTI: Intonaco. Abrasione da cloruri di sodio e calcio evidente Soprattutto nel vano scale. Principio di carbonatazione. Macchie da ossidazione e scaling, soprattutto visibili sulla ghiera finestrata. Esfoliazioni. Mancanti infissi e altri elementi in ferro. Mancanza degli elementi meccanici tipici.


Torre di raffreddamento a ventilazione naturale

ANNO DI COSTRUZIONE: 1986 - 87 STRUTTURA: corpo cavo in calcestruzzo armato poggiato su una ghiera di colonne diagonali intervallate da stampelle che lo distanziano dal terreno e dal piano di fondazione in cui si trovano i condotti d'acqua. Tutto in calcestruzzo armato Strutturalmente in ottime condizioni. Corpo in buono stato in quasi tutte le sue parti. Presenza di macchie sul tronco e folta vegetazione che ostruisce la parte delle fondamenta. Pitting da cloruro di sodio e cloruro ferrico.

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Deposito urea

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ANNO DI COSTRUZIONE: 1986 - 87 STRUTTURA: calcestruzzo armato in buone condizioni strutturali. Varco sul perimetro. RIVESTIMENTO: in mattoni a due teste con presenza di mancanze. Attacco dei cloruri e dell’urea stoccata all’interno. Finestre a nastro sulla sommità del corpo cilindrico, assenza di vetrate. Macchie. Vegetazione in copertura.


Sala compressori a gas carbonico

ANNO DI COSTRUZIONE: 1986 - 87 STRUTTURA: in calcestruzzo armato. Degrado avanzato TAMPONAMENTI: dal primo piano in poi in muratura a due teste con notevoli mancanze. RIVESTIMENTI: intonaco.. Macchie. Attacco dei cloruri di sodio e calcio. Totale mancanza della copertura. Vegetazione.

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Sala compressori con sala strumentazioni

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ANNO DI COSTRUZIONE: 1986 - 87 STRUTTURA: calcestruzzo armato . TAMPONAMENTO: in muratura a doppia testa. Molte manzanze e fessurazioni. RIVESTIMENTI: Intonaco. Macchie ed efflorescenze. Assenza degli elementi vetrati e dei rispettivi infissi al piano della prima.


Sala compressori

ANNO DI COSTRUZIONE: 1986 - 87 STRUTTURA: calcestruzzo armato con copertura a falde in lamiera e ferro. Struttura in degrado avanzato. Semi scoperchiato. TAMPONAMENTI: in muratura a due teste. Fessurazioni RIVESTIMENTI: intonaco. Macchie ed efflorescenze. Assenza o rottura di alcuni elementi vetrati e dei rispettivi infissi. Croste e patina. Azione del cloruro di sodio. Mancanze. Vegetazione.

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Schedatura Caratteri Tipologici e Morfologici dell’Architettura

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EMERGENZE VERTICALI, ORIGINARIAMENTE SENZA SPAZIALITA’ INTERNA ABITABILE: TORRI

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Gli elementi presentano caratteristiche morfologiche volumetriche assimilabili, con pianta circolare o quadrata e con spiccato sviluppo verticale. Le soluzioni strutturali indicate per tali tipologie sono in calcestruzzo cementizio armato con intelaiatura in pilastri, travi e tamponamenti al tempo stesso in cemento. Presentano caratteristiche distributive e funzionali ben definite , con spazio centrale completamente libero e privo di tramezzi e sistemi di risalita accorpati alla struttura principale.


GRANDI CONTENITORI, SENZA SPAZIALITA’ INTERNA ABITABILE: DEPOSITI E SERBATOI

Gli elementi presentano caratteristiche morfologiche volumetriche principalmente a forma cilindrica e con circonferenza variabile. Si tratta di strutture cementizie con pilastri e con tamponamenti in mattoni intonacati o strutture metalliche con tamponamenti in pannelli metallici. Le coperture si presentano in cemento o in ferro. Si possono prevedere diversi tipi di aggregazione ed articolazione in base alla funzione, ma prevalentemente non presentano una distribuzione interna . La sezione di questi edifici veniva costruita attorno alla sagoma del cumulo di prodotto che essi dovevano contenere, a sua volta dipendente dalla tipologia e consistenza dei suoi componenti.

L’inclinazione dell’angolo alla base della piramide del cumulo del materiale depositato definiva l’andamento della copertura. Nei serbatoi sferici e sferoidali la resistenza del materiale che costituisce il mantello è utilizzata quasi unicamente in una direzione, quella dei paralleli, secondo la quale si esercitano gli sforzi di tensione dovuti alla pressione del fluido contenuto. Per una più economica soluzione occorre adoperare superfici a doppia curvatura nelle quali è possibile ottenere l’uguaglianza, o quasi, delle sollecitazioni principali massime. Se il serbatoio deve contenere solamente gas in pressione, la forma che risponde a queste esigenze è la sfera.

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EDIFICI ABITABILI: AULE LONGITUDINALI A NAVATA UNICA

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Si tratta di strutture integrate nel rapporto tra forma e funzione, la cui forma è però estremamente elementare, con volumi e dimensioni che assumono significato solo in rapporto all’organizzazione interna della filiera di trasformazione del prodotto. Gli elementi presentano caratteristiche morfologiche volumetriche a pianta rettangolare con sviluppo prevalentemente longitudinale la cui struttura si presenta con una componente portante in cemento armato e tamponamenti in laterizio o struttura a telaio metallica con copertura interamente in ferro.


EDIFICI ABITABILI: AULE LONGITUDINALI A TRE NAVATE

Non dissimile alla definizione di aula longitudinale a navata unica, presenta come unica differenza la distribuzione interna. La struttura è caratterizzata da una navata centrale principale e due laterali.

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EDIFICI ABITABILI: EDIFICI PLURIPIANO CON STRUTTURA PUNTIFORME A TELAIO

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Gli elementi si presentano con una struttura prevalentemente a telaio con pilastri e solai in cemento armato. Si sviluppano su pi첫 livelli e sono privi di tamponamenti e divisioni funzionali interne.


EDIFICI ABITABILI: EDIFICI ORIZZONTALI A PIASTRA CON STANZE CHIUSE SERIALI

Gli elementi presentano una integrazione strutturale tra forma e funzione. La struttura si presenta prevalentemente in cemento armato con tamponamenti in laterizio. Lo sviluppo distributivo all’interno dell’edificio è caratterizzato dalla presenza di tramezzi che suddividono lo spazio in ambienti più piccoli.

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EMERGENZE VERTICALI, ORIGINARIAMENTE SENZA SPAZIALITA’ INTERNA ABITABILE: TORRI

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GRANDI CONTENITORI, SENZA SPAZIALITA’ INTERNA ABITABILE: DEPOSITI E SERBATOI

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EDIFICI ABITABILI: AULE LONGITUDINALI A NAVATA UNICA

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EDIFICI ABITABILI: AULE LONGITUDINALI A TRE NAVATE

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EDIFICI ABITABILI: EDIFICI PLURIPIANO CON STRUTTURA PUNTIFORME A TELAIO

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EDIFICI ABITABILI: AULE LONGITUDINALI A TRE NAVATE

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LA SCELTA DEGLI EDIFICI DA CONSERVARE La scelta dei manufatti che entreranno a far parte del progetto risponde a tre criteri: lo stato conservativo dell’oggetto, la sua localizzazione rispetto all’assetto planimetrico generale e naturalmente la sua stessa. fattura Diversi edifici presentano strutture gravemente danneggiate: problemi statici causati dal collasso dei sostegni verticali, armature ossidate a causa della mancanza (totale o parziale) dei copriferri in calcestruzzo e i più vari danni antropici. Rispetto alle analisi storiche si è potuto risalire alla originaria destinazione d’uso, discernendo gli edifici che avevano una funzione attiva nell’ambito della produzione e quelli deputati ad uffici, laboratori, officine meccaniche. Questi di solito corrispondono a quelli di piccole dimensioni che architettonicamente parlando non si rapportano efficacemente ai grandi capannoni; in conseguenza di ciò si è potuta fare una seconda scrematura. Altri oggetti ancora sono stati conservati in funzione della loro potenza evocativa, come le emergenze verticali, i pochi scheletri in ferro superstiti e i camminamenti deputati al trasporto del fertilizzante. Tali manufatti sono rappresentativi della memoria collettiva dell’industria nel suo periodo di attività, quando la maggior parte degli abitanti vi era impiegata.

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Assonometria degli edifici presenti sull’area

Assonometria degli edifici da conservare

Pianta dell’area con edifici da conservare


ANDANDO IN PROFONDITA’ GLI OGGETTI E LA STRUTTURA Dopo una panoramica sugli oggetti dell’area industriale, l’indagine conoscitiva del costruito segue con l’analisi più dettagliata di alcuni manufatti. Degli edifici che vengono conservati ne sono stati individuati quattro, al fine di evidenziare alcuni elementi singolari, come la torre di raffreddamento (1) ed il deposito di granulare (3), per le loro particolarità strutturali legate alla funzione, ed altri come una sala compressori (2) e la stazione dei treni (4), in rappresentanza delle tipicità costruttive dell’area. Tali oggetti saranno interessati successivamente nella progettazione del nuovo.

La torre di raffreddamento (1), o evaporativa a flusso indotto, è uno scambiatore di calore gas-liquido: viene prelevata l’acqua dal bacino idrico (il fiume Gjanica) e inviata al serbatoio alla base della torre, da cui viene prelevata e inviata al condensatore, dove riceve il calore dal vapore della turbina (il calore latente di evaporazione). L’acqua così riscaldata è inviata ad uno spruzzatore all’interno della torre, dove per convezione naturale si raffredda e ritorna nel serbatoio. Architettonicamente parlando, si tratta di un oggetto estremamente interessante: per ragioni legate al suo funzionamento si presenta all’esterno con una superficie iperbolica in calcestruzzo, apparentemente impenetrabile e scandita solo dalle gittate di cemento mentre all’interno, aperta in sommità con un oculo di 12 metri, si presenta con una foresta di pilastri in cls che sorreggono delle tubature metalliche legate alla fase evaporativa. Il nucleo esterno è strutturalmente slegato da quello interno, totalmente indipendente. La

struttura si eleva sino a 53.5 metri rappresentando una sorta di landmark nell’area. La sala compressori (2), ad aula longitudinale molto allungata, oggi si presenta puntellata dalle basi in cemento su cui erano originariamente poggiati i macchinari che impediscono di apprezzare la spazialità interna nella sua totalità.

Il deposito di granulare (3) invece è alto appena 15 metri; si presenta come un grande guscio dalle pareti esili con una copertura nervata in metallo dal diametro di 28,7 metri. All’interno dell’area vi sono altri due depositi, di dimensioni lievemente maggiori, risalenti agli ampliamenti dell’impianto. La forma circolare del deposito deriva dal fatto che centralmente era ancorato un macchinario provvisto di rastrelliera che ruotando metteva in continuo movimento i prills, le sferette di fertilizzante. Assimilabile ad un grande contenitore vuoto, il deposito si presta ad accogliere altre strutture al suo interno.

La stazione (4), un tempo deputata al trasporto del materiale imballato è un capannone ad aula longitudinale a navata unica, presenta capriate in c.a. e la copertura-tetto33333 presenta un intradosso concavo. Le aperture presentano un suggestivo motivo decorativo, composto da elementi in calcestruzzo prefabbricato assemblati con malte, il quale denuncia una intenzionalità decorativa del tutto estranea ad un’area industriale. Questi particolari rendono l’edificio stazione, che tra l’altro è ubicato in testa rispetto all’area industriale, peculiare e rappresentativo.

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1: TORRE DI RAFFREDDAMENTO

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2: SALA COMPRESSORI

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3: DEPOSITO DI GRANULARE

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4: STAZIONE

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RESTAURO IL RESTAURO DEL MODERNO “Principi di Dublino”, i 14 comandamenti Il restauro e la tutela dei SITI INDUSTRIALI RIFERIMENTI DI INTERVENTI DI RESTAURO INDUSTRIALE LA SCELTA DEGLI EDIFICI DA CONSERVARE L’ANALISI DEL DEGRADO

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“Possiamo vivere senza di lei (l’architettura) e possiamo venerare senza di lei, ma non possiamo ricordare senza di lei.� John Ruskin The seven Lamps of Architecture

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IL Restauro del moderno Il dibattito sul restauro del moderno si apre verso la fine dello scorso secolo e ad oggi, rimane in fieri e soggetto a continue revisioni. Numerosi esempi in campo internazionale mettono in luce il complesso quadro che la materia prospetta. Il numero e la qualità degli interventi di restauro, non sempre accreditati storiograficamente, hanno tuttavia forti implicazioni progettuali e tecnologiche che chiamano in causa un dialogo imprescindibile tra progettisti e restauratori. La complessità delle trasformazioni alle diverse scale che il territorio europeo oggi richiede, evidenzia la necessità di riflettere su molti aspetti: la ‘continuità critica’ del moderno, le mutazioni storiografiche e la ‘collaborazione’ tra conservazione architetto­ nica e trasformazione dei contesti contemporanei. Tutto nell’eterno conflitto tra il valore della memoria e dell’identità che le architetture portano con sé e l’effettivo valore artistico-architettonico comunemente riconosciuto. Sono tanti gli approcci e le posizioni che guidano le indagini sul restauro del moderno e che ci consentono di cogliere un continuo e crescente interesse per un passato non troppo passato: dalla necessità di una conoscenza approfondita della materialità (Graf) alla specificità del ‘caso per caso’ (Poretti); dalla ricerca delle regole del progetto originario (Ajroldi) all’attenzione radicale per la conservazione materica (Gatier-Gandini); dal restauro critico e conservativo (Danzl) al concetto di ‘riparazione’ (Monteys- Burgio) e alla dialettica tra conservazione e modificazione per il ‘recupero diffuso’ dei tessuti moderni. I differenti orientamenti consentono di cogliere l’ampliarsi di una attenzione nei confronti di un passato che è ancora presente, come dato fisico

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e uso quotidiano. La storia del restauro ci ha dimostrato che le scale di valutazione sono varie, ugualmente condivisibili, talvolta conviventi, o in forte contraddizione (si pensi ad esempio alle teorie di Viollet Le Duc e di Ruskin), così come lo sono di conseguenza le modalità d’intervento. “L’obiettivo della tutela - affermava Mauro Civita in una lezione dal titolo “Restauro e Didattica” nel 2002 - può essere conseguito in maniera efficace solo mediante passaggi consequenziali che vanno dall’osservazione diretta, ineludibile base di partenza, all’allestimento di accorgimenti e strumenti analitici finalizzati alla conservazione, fino a giungere ad un dettagliato progetto diagnostico”. L’edificio diventa “monumento” che a sua volta diviene oggetto di studio e custode dei suoi valori, bagaglio che ci guida nel processo di conservazione e le cui regole vanno ricercate all’interno del monumento stesso. “In questo senso, probabilmente, si può intendere anche l’affermazione di Vittorio Gregotti, quando scrive che ogni progetto di architettura è forma interpretativa di un intervento di restauro in quanto modificazione delle relazioni tra le cose già esistenti e instaurazione di nuova legge tra esse. Misurarsi con l’esistente significa aderire ad una condizione di conoscenza, di condivisione, di partecipazione alla storia e alle qualità dei luoghi.”

Ovviamente se da una parte non bisogna rischiare di cadere nell’atteggiamento formalistico di chi considera il monumento come documento irrinunciabile, attribuendogli solo un valore di memoria, dall’altra è necessario approfondire le


ricerche con giudizio critico. Necessaria è la contestualizzazione in modo che un bene culturale, antico o moderno che sia, possa assumere valore in relazione al suo specifico contesto locale, più che rispetto alle grandi opere consacrate dalla storia e dalla critica internazionale. “Lo stato attuale di un ricco patrimonio culturale mondiale da salvaguardare non richiede solo elaborazioni teoriche e definizioni ma principalmente modi concreti e validi di intervento e su questi principi costruttivamente dobbiamo al più presto operare.” Non vi è sostanzialmente un differente approccio tra restauro dell’architettura antica e restauro di quella moderna e contemporanea, ma, di base vi è un’unità metodologica che riguarda il rilievo, lo studio storico, l’analisi dei materiali e l’approccio progettuale. Ciò che cambia sono le tecniche costruttive, le competenze specializzate che intervengono, alcune modalità di intervento sui degradi che si avvalgono e si approcciano a materiali diversi.

Nella pagina affianco: la copertina dello scritto di John Ruskin Le sette lampade dell’architettura, 1849. A lato: stralcio della copertina del Dictionnaire raisonné de l’architecture, 1856 di Viollet-Le-Duc; dall’alto schizzi di Ruskin, e sotto disegno di Viollet-Le-Duc.

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Ciò è quanto affermato anche da Giovanni Carbonara, relativamente alla recente esperienza di restauro del Grattacielo Pirelli a Milano in cui i criteri propri del restauro dei monumenti hanno funzionato molto bene, anche se innestati su temi contemporanei e su competenze tecniche altamente specialistiche, in cui non sempre il restauratore tradizionale ha trovato il suo idoneo spazio operativo. Infatti il ricorso a tecniche costruttive innovative e la presenza di materiali più moderni, quali ad esempio l’alluminio, ha richiesto maestranze in grado di intervenire in modo appropriato e con competenze specifiche. “Liberandosi da trappole ideologiche e labirinti interpretativi il percorso della conservazione di un bene culturale (qualsiasi sia la sua natura) deve essere guidato fondamentalmente da una costante tensione di ricerca di quel messaggio che il bene stesso ci aiuta a decifrare e comprendere e il suo valore potrà essere trasmesso solo se opportunamente calato nella realtà culturale contemporanea a cui si riferisce”. La conservazione del patrimonio culturale, soprattutto moderno e contemporaneo, è legata a aspetti complessi, variabili, contingenti alla mentalità collettiva e influenzati dalle differenze culturali e di percezione che la accompagnano; risulta così difficile limitare il tutto a poche definizioni o delegarlo ad un quadro normativo rigido e generalizzato. Affianco l’immagine della facciata dell’attuale sede degli uffici Pirelli RE , a Milano. Il progetto di Gregotti, del 1988 si sviluppa attorno alla vecchia torre di raffreddamento, appartenente alla Sede delle industrie Pirelli dei primi del novecento; nella pagina a lato un’immagine di repertorio della torre della Bicocca; accanto una vista interna . In alto vista di piazza Duca D’Aosta e del grattacielo Pirelli, risalenti al primo restauro del Carbonara, programmato su tutto il quartiere della stazione. Attualmente sede del Consiglio Regionale della Lombardia.

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“Principi di Dublino”, i 14 comani i


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i 14 comandamenti

«I Principi di Dublino »

I siti industriali sono entrati a far parte del patrimonio culturale universale in un’epoca piuttosto recente e quasi un capitolo a parte si riserva a questo tipo di monumenti. Negli ultimi decenni, la crescente ricerca, la cooperazione internazionale e interdisciplinare e iniziative comunitarie hanno notevolmente contribuito a una valorizzazione del patrimonio industriale e a una maggiore collaborazione tra amministratori, stake-holders e professionisti. Questo progresso ha beneficiato dello sviluppo di un corpus di referenze internazionali e delle linee guida di ICOMOS - il Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti, e dell’ attuazione di consigli internazionali e strumenti come lo Statuto mondiale del patrimonio (the World Heritage Convention) adottato dall’UNESCO nel 1972. Nel 2003, il Comitato Internazionale per la Conservazione del Patrimonio Industriale (TICCIH) ha adottato la sua Carta Nizhny Tagil per il Patrimonio Industriale, un primo testo di riferimento internazionale di tale riconoscimento per guidarne la protezione e conservazione. Riconoscendo la natura industriale come patrimonio, soggetto a problematiche economiche, giuridiche e culturali e a minacce ambientali, ICOMOS e TICCIH promuovono la diffusione e l’uso di regole per la protezione, conservazione e valorizzazione dei complessi industriali come parte del patrimonio delle società in tutto il mondo, stilando ed adottando (nella 17a Assemblea Generale ICOMOS del 28 novembre 2011)i 14 principi per la conservazione dei siti del patrimonio, delle strutture, delle aree e dei paesaggi industriali.

1-Definizione: Il patrimonio industriale è costituito da luoghi, strutture, complessi, aree e paesaggi, nonché dai relativi macchinari, oggetti o documenti che forniscono la prova di processi industriali passati o in corso. Ne fanno parte anche la lavorazione, produzione, estrazione di materie prime, la loro trasformazione in merce e le infrastrutture energetiche e dei trasporti. Il patrimonio industriale riflette la profonda connessione tra l’ambiente culturale e naturale, così come i processi industriali - sia antichi che moderni - dipendono da fonti naturali di materie prime, reti materiali, energetiche e trasporti per produrre e distribuire prodotti ad un più ampio mercato. Esso comprende i beni materiali - immobili e mobili - intangibili e adimensionali, quali il know-how tecnico, l’organizzazione del lavoro e dei lavoratori, e la complessa eredità sociale e culturale che forma la vita delle comunità, portando grandi modifiche organizzative per intere società e per il mondo in genere. 2-I siti del patrimonio industriale risultano essere molto diversificati a seconda della loro destinazione d’uso, del design e del loro processo evolutivo nel tempo . Molti sono rappresentativi dei processi, delle tecnologie ospitanti così come alcuni delle tendenze regionali o delle condizioni storiche, mentre altri ancora costituiscono risultati eccezionali di influenza globale. Vi sono complessi di più siti, operazioni o sistemi, i cui componenti sono interdipendenti, a volte conseguenti e con diverse tecnologie e periodi storici. Il significato e il valore del patrimonio industriale è intrinseco alle strutture o ai siti stessi, al loro tessuto materiale, ai componenti,


ai macchinari e all’impostazione espressa nel settore industriale e paesaggistico, nella documentazione scritta e nei registri immateriali contenenti le memorie delle arti e dei costumi .

I - Documentare e capire il patrimonio industriale, le strutture, i siti, le aree e i paesaggi e il loro valore. 3-La ricerca e la documentazione sulle strutture industriali (comprendenti luoghi, paesaggi e i relativi macchinari, attrezzature, o aspetti immateriali) sono essenziali per l’identificazione, conservazione e valorizzazione del valore e del significato patrimoniale. Le abilità umane e le conoscenze coinvolte nella vecchia industria sono risorse di grande importanza per la conservazione e devono essere considerati nel processo di valutazione del patrimonio. 4-La ricerca e la documentazione dei siti e delle strutture industriali devono affrontare la loro dimensione storica, tecnologica e socioeconomica per fornire una base integrata per la conservazione e la gestione dei dati. Ciò richiede un approccio interdisciplinare supportato da svariate ricerche e programmi educativi per l’identificazione del valore dei siti e delle strutture. Si dovrebbe beneficiare di una diversità di fonti, di competenze e informazioni, inclusi sopralluoghi ed eventualmente audio registrazioni, indagini storiche e archeologiche, materiali e analisi del paesaggio, fonti orali e/o di ricerca in uffici pubblici, fondi o archivi privati. Ricerca e conservazione di documenti, archivi aziendali, piani di costruzione, nonché di modelli e prototipi dei prodotti industriali, con la valutazione dei documenti deve essere

intrapresa da uno specialista esperto del settore a cui rivolgersi per determinare il significato di patrimonio. La partecipazione della comunità e delle altre parti interessate è parte integrante di questo esercizio. 5-La conoscenza approfondita del settore industriale e socio-economico, della storia di un territorio o di un paese e dei loro collegamenti, anche raffrontati ad altre parti del mondo, sono necessari per comprendere il significato di patrimonio industriale o strutturale. La singola industria, il contesto tipologico o studi regionali, con una componente comparativa, sono la chiave di volta. Il fine è quello di riuscire a ricostruire una riconoscibilità dei valori del patrimonio inerenti le singole strutture, i luoghi, le aree o i paesaggi. Questi risultati dovrebbero poi essere accessibili, ricercabili e messi a disposizione del pubblico, degli studiosi e delle amministrazioni in qualsiasi momento.

II - Garantire una protezione efficace e una conservazione del patrimonio industriale, delle sue strutture, dei luoghi, degli spazi e dei paesaggi inerenti quest’ambito. 6-Politiche appropriate, misure giuridicoamministrative devono essere adottate e adeguatamente implementate per proteggere e garantire la conservazione dei siti del patrimonio industriale e delle strutture, compresi i loro macchinari e i registri. Nella pagina affianco dall’alto: compressori della miniera Kokerei Hansa a Dortmund-Huckarde del 1927–1928; macchine per la filatura nel Cotonificio Siciliano del 1952 a Mondello; fornaci dell’ex area industriale di Blists Hill Town dei primi del ‘900; ex Sava-Alumix. Porto Marghera (VE). A lato, dall’alto: ferrovia Retica in Svizzera del 1888; ascensore per imbarcazioni Henrichenburg del 1899; impianti estrattivi a Troon, Scozia; Battersea Power Station a Londra.

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Tali misure devono affrontare la stretta relazione tra il patrimonio industriale, la produzione industriale e l’economia, in particolare per quanto riguarda le regole per le imprese, gli investimenti, i commerci, le proprietà intellettuali come brevetti e le norme applicabili alle operazioni industriali attive. 7-Integrare la ricerca con inventari ed elenchi delle strutture, dei siti, delle aree, dei paesaggi, della loro impostazione e degli oggetti associati. Documenti, disegni, archivi e patrimonio immateriale devono essere sviluppati e utilizzati come parte di queste efficaci politiche di gestione, conservazione e protezione. Tale documentazione dovrebbe beneficiare di un riconoscimento giuridico, adeguata conservazione e gestione per garantirne integrità e autenticità. Qualora questi fossero individuati attraverso scoperta fortuita, è necessaria una protezione temporanea, per concedere tempo necessario ad una adeguata ricerca della documentazione stessa. 8-Nel caso di strutture o siti industriali attivi di particolare significato, si deve riconoscere che il loro uso e la loro funzione, portano un po’ del loro significato patrimoniale, in modo da fornire condizioni adeguate per il loro mantenimento fisico e beneficiare della sostenibilità economica, in quanto “monumento”. Le loro specifiche caratteristiche tecniche devono essere rispettate, come l’attuazione contemporanea delle normative quali codici di costruzione, esigenze ambientali o di riduzione del rischio di origine naturale o antropica. 9-Le misure di protezione devono essere applicate agli edifici e al loro contenuto in

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quanto la completezza o l’integrità funzionale sono particolarmente importanti. Il loro valore può essere ampiamente compromesso o ridotto se le macchine o altre componenti significative vengono rimosse, o se elementi sussidiari che fanno parte di un tutt’uno con il sito fossero distrutti. I quadri giuridico e amministrativo dovrebbero essere sviluppati per consentire alle autorità di rispondere rapidamente alla chiusura di siti che rientrano nel patrimonio industriale, impedendone la rimozione o la distruzione di elementi significativi, quali macchinari, oggetti industriali o di registri correlati. III - Conservare e mantenere le strutture, i siti, le aree e i paesaggi del patrimonio industriale 10-L’adeguamento dell’originale e l’adattamento al nuovo uso sono i modi più frequenti e spesso più sostenibili di garantire la conservazione dei siti e delle strutture del patrimonio industriale. I nuovi usi dovrebbero rispettare il materiale originario, le componenti preesistenti, i modelli di fruizione e di attività.Le competenze specialistiche sono necessarie per garantire che il significato del patrimonio venga preso in considerazione e rispettato nella gestione e nell’uso. Regolamenti edilizi, requisiti di attenuazione dei rischi, normative ambientali o industriali e altre norme dovrebbero essere applicate prendendo in considerazione anche l’adeguamento statico e fisico dello stesso. 11-Ove possibile, gli interventi fisici dovrebbe essere reversibili e rispettare il valore storico, le tracce significative o i marchi. Le modifiche dovrebbero essere documentate. Il ripristino fatto sulla base di una precedente nota dello stato


di fatto può essere accettabile in circostanze eccezionali, per scopi educativi, e deve essere basata su una ricerca approfondita e documentata. Smantellamento e trasferimenti sono accettabili solo in casi straordinari in cui la distruzione del sito è richiesta da oggettive e dimostrate necessità economiche o sociali. 12-In caso di ridondanza compositiva, smantellamento e/o adattamento dei siti o delle strutture del patrimonio industriale, i processi devono essere registrati, come anche l’ubicazione delle componenti demolite e dei macchinari rimossi. La loro forma materiale, nonché il loro funzionamento e la posizione nell’ambito dei processi industriali dovrebbe essere esaurientemente documentata. Anche le testimonianze orali e scritte dei lavoratori o di chi faceva parte del complesso industriale devono essere riportate come documentazioni.

sono mezzi importanti attraverso i quali è possibile una conservazione di successo. 14-Programmi e servizi quali: visite ai siti, raccolta di testimonianze storiche e sui macchinari e processi industriali, musei e centri di interpretazione, mostre, pubblicazioni, siti web, itinerari regionali, nazionali e internazionali, devono essere sviluppati e sostenuti come mezzi per aumentare la consapevolezza e l’apprezzamento per il patrimonio industriale in tutta la ricchezza del suo significato per la società contemporanea. Questi dovrebbero idealmente essere ubicati nello stesso sito in cui il processo di industrializzazione ha avuto luogo e può essere meglio intuito. Ove possibile, tali siti dovrebbero essere abilitati come strutture educative per il grande pubblico, per le figure professionali e per la comunità tutta.

IV - Presentare e comunicare ai posteri il patrimonio delle strutture industriali in dimensioni e valori, in siti, aree e paesaggi e fondamentale per aumentare la conoscenza e la consapevolezza aziendale e sociale e il supporto della formazione e della ricerca. 13-Il patrimonio industriale è una fonte di apprendimento che deve essere trasmessa nelle sue molteplici dimensioni. Testimonia aspetti importanti della storia locale, nazionale e internazionale oltre ai tempi e le culture. Esso dimostra i talenti creativi legati agli sviluppi scientifici e tecnologici, così come i movimenti sociali e artistici. Le pubblicazioni, la sensibilizzazione sulle imprese e la divulgazione

Nella pagina affianco : gasometro a Torino del 1891; ciminiera della centrale termoelettrica di Fier, 1966.

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Dall’alto, nella colonna di sinistra: birrificio Latimer & Crick, Northampton, Inghilterra, 1960; miniera di Argentiera, Sassari, 1867; parco Dora, ex acciaierie Fiat; tabacchine a lavoro nell’Acait di Tricase del 1970 . Nella colonna di destra, dall’alto: interno delle officine della compagnia automobilistica a Laconia, Inghilterra; Völklingen, Saarbrücken, Germania, sito UNESCO; setificio Gütermann, San Germano Chisone , Torino, 1870; capannone industriale alla periferia di New York.

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Il restauro e la tutela dei siti industriali. Per quanto riguarda il restauro di tali tipologie architettoniche, ci si trova a fronteggiare vari tipi di rischi, in particolar modo due: l’attacco di agenti esterni di varia natura e i problemi legati agli interventi necessari a ridurli e eliminarli e al ripristino delle fattezze iniziali. I diversi approcci non sono però esenti da gravi errori, in molti casi soggettivi; ciò rende necessaria l’accettazione di un certo rischio sia in caso di intervento conservativo che di riuso e integrazione. Quando si parla di rischio , in merito al patrimonio industriale, si sta parlando della vulnerabilità intrinseca del luogo e del suo contesto, della “delicatezza” di qualsivoglia intervento che corre il pericolo di svalutare o alterare il valore proprio del luogo. La gestione del rischio, quindi del recupero e del restauro è legata a filo doppio con il futuro del sito; in molti casi interventi figli di urgenze più politiche che tecniche, di scarsa coscienza ed esperienza nello sviluppo di soluzioni, ne aggravano le condizioni, facendolo così passare da soggetto di grandi risorse e potenzialità, economiche, sociali, storiche ecc. a problema a medio e lungo termine in più aspetti ed ambiti. L’ analisi del patrimonio è assolutamente necessaria per comprendere il processo di degrado e la conseguente conservazione. L’aspetto multidisciplinare in questo ambito è di fondamentale importanza. L’architettura e il restauro si affiancano a scienze quali la sociologia, la fisica, la chimica, l’economia per poter affrontare nel modo più completo e trasversale possibile l’inarrestabile processo di

deterioramento e corrosione del manufatto. Tali azioni sono causate della natura stessa di questi siti e delle produzioni che ospitano o ospitavano, facendosi costanti e particolarmente persistenti. La multidisciplinarità influisce sul monumento secondo diversi aspetti a seconda della particolare prospettiva che abbiamo del patrimonio stesso. Capire il valore di un monumento è il primo aspetto da considerare quando programmiamo un intervento di conservazione . L’analisi deve seguire la realtà complessa e dinamica dei luoghi, spesso in continuo mutamento come la società che li ospita . Le alterazioni chimico-fisiche in queste strutture possono essere evidenti e facilmente rilevabili, osservabili e catalogabili tramite un’attenta analisi fotografica. Dopo l’identificazione e la stesura di una diagnosi, si procede con i trattamenti stabiliti. Vi sono anche cambiamenti molto lenti e non facilmente rilevabili, noti solo dopo lunghi periodi di tempo e per questo vi è la necessità di procedere ad un’analisi comparativa continua per far luce sui cambiamenti non visibili ad occhio nudo. Individuati per tempo aiutano la conservazione di questi monumenti, proprio come accade nelle pratiche di restauro storico. La prevenzione sarà sempre la pratica più economica, accessibile, meno invasiva e traumatica sia a livello di risorse che di conservazione del patrimonio nella sua integrità. Proprio perchè la conservazione e la tutela del patrimonio industriale sono politiche giovani, su cui da poco tempo si sta puntando, non sempre il materiale su cui si opera è nelle migliori condizioni possibili e risulta essere pienamente recuperabile.

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Ogni sito archeologico, anche quello industriale, deve far fronte a rischi e minacce provenienti da innumerevoli fonti (contesto climatico, rischi sismici, interventi impropri e talvolta, un’eccessiva o erronea fruizione. La conservazione preventiva deve essere utilizzata come mezzo per poter prevedere e fronteggiare il deterioramento e l’aumento delle minacce. Per cui si rendono necessarie la programmazione e la piena comprensione di tutti questi fattori in modo da essere in grado di sviluppare piani di gestione che siano adeguati a fronteggiare, gestire e preservare questo tipo di patrimonio anche a fronte di diversi lassi di tempo. In prima istanza, essendo ogni sito unico e irripetibile, per estensione, tecniche, storia e vissuto proprio e portato, bisogna far sì che le soluzioni di tutela siano anch’esse uniche e irripetibili in termini di caratteristiche e valorizzazione del patrimonio, così come lo sono i problemi e le minacce che incontrano. La valutazione comporta l’esame del monumento in modo da capire le sue particolari problematiche ed esigenze, analizzando documenti storici e tecnici, e fonti di vario genere, tra le quali e non meno importanti, quelle orali, se reperibili. Ricerche e analisi, indispensabili per capire la vera essenza e la costruzione del sito, devono essere correlate da una conseguente e approfondita ricostruzione attraverso ricerche sul tessuto urbano di appartenenza e dei suoi cambiamenti nel tempo. Una profonda comprensione del monumento attraverso fonti dirette e indirette ci permette di verificare la sua condizione attuale, determinarne le patologie, i danni, i bisogni e le minacce che lo influenzano, ma anche l’eventuale sviluppo e le esigenze future del sito, i valori e le ragioni per

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le quali la società ancora apprezza e si riconosce in esso. In molti casi un “monumento industriale” può aver perso la sua funzionalità e il ruolo all’interno dell’attività umana, in particolar modo la sua funzione economica, ma quasi mai tende a perdere il suo valore per la società che lo ospita, un forte e identitario valore simbolico, storico, testimoniale e probatorio. Queste, a grandi linee, alcune delle conoscenze sulle quali sviluppare e applicare un piano di gestione su cui basare un progetto di restauro, il più scientificamente possibile. Il dibattito in corso sulle modalità di intervento, prevede vari approcci: dal tipo riabilitativo delle vecchie funzioni, ma con nuove modalità di utilizzo dei materiali, al riuso con diverse funzionalità, in modo da ridare alla società lo stesso luogo ma diverso valore fruitivo, dal ripristino del monumento nella sue fattezze originarie, all’incorporare il “vecchio” in un nuovo design contemporaneo che assume e promuove una visione moderna . Indispensabile quindi, a questa istanza, diventa il parere e il consenso della cittadinanza, intesa come società “proprietaria” del patrimonio in questione, parte attiva della strategia di integrazione sociale che il patrimonio richiede. Una società informata e coinvolta è il miglior garante del mantenimento del patrimonio.


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RIFERIMENTI DI INTERVENTI RESTAURO INDUSTRIALE

DI

MATTATOIO DI ROMA Il complesso del Mattatoio è ubicato nel quartiere Testaccio a ridosso delle mura Aureliane tra il monte dei Cocci, l’antico mons Testaceum, e il Tevere. Realizzato in soli 3 anni, dal 1888 al 1891, su progetto di Gioacchino Ersoch, allievo del Valadier al servizio del comune capitolino, 
si presenta in due parti distinte: il Mattatoio vero e proprio e il mercato del bestiame. Per la moderna tecnologia e l’intelligenza delle soluzioni architettoniche, il Mattatoio di Roma sarà per molti anni l’impianto più avanzato d’Europa. L’opera, che si pone a cavallo tra il classicismo e il moderno, è costituita da grandi padiglioni e leggere pensiline che presentano cortine laterizie, elementi in travertino e stucchi, ma anche produzioni in ferro e ghisa che donano un elegante equilibrio tra monumentalità e razionalità industriale. Il complesso viene dismesso nel 1975 e nel 1988 diviene oggetto di tutela da parte della Soprintendenza per i Beni Architettonici di Roma. Dopo la dismissione il Mattatoio è stato utilizzato in vario modo: sede di servizi e uffici comunali, deposito di reperti archeologici e monumentali, per mostre, feste popolari e concerti. Da ultimo come avamposto culturale dagli architetti di Roma Tre e dal MACRO. Il progetto si pone come elemento di fusione tra le possibilità di innovazione rapportate al contesto e la sperimentazione della modificazione del patrimonio esistente, considerando le specificità del sito e dei manufatti stessi. Il portico di Ersoch sulle tipiche colonnine in ghisa, le pensiline antistanti della fine degli anni Venti, lo spazio interstiziale e l’adiacente edificio delle Pese, divengono campo e materiali di progetto.

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Progetto che si traduce con la realizzazione di una copertura che unifica portico e pensiline, una nuova struttura in acciaio che trasforma lo spazio definito dal vuoto in un nuovo spazio intermedio completamente coperto, delimitato da un perimetro prevalentemente vetrato. Al fine di riconoscere le preesistenze, lo sviluppo lineare del nuovo involucro si fraziona in più parti alternando spazi aperti, solo coperti, o racchiusi, che rendono evidenti anche le aggiunte che si legano con gli spazi originali. L’intervento ha comportato il restauro conservativo dell’edificio delle Pese del Bestiame e del portico adiacente, su cui si è aperto un nuovo accesso dal Lungotevere. Tutti gli elementi in ferro e ghisa delle pensiline sono stati riabilitati attraverso la sostituzione delle travi e degli elementi degradati con componenti che conservano geometrie e dimensioni. Per la ghisa si è utilizzato il brevetto inglese Metalock che consente la cucitura delle lesioni e l’inserimento di nuove fusioni nelle porzioni maggiormente degradate. Per garantire un efficace risposta strutturale al rischio sismico si è proceduto con il consolidamento delle fondazioni, la sostituzione dei bulloni, vengono testate le chiodature e altri accorgimenti per migliorare la prestazione delle vecchie strutture. Il manto di tegole e le pianelle laterizie, mancanti o oggetto di precedenti interventi manutentivi, sono stati interamente sostituiti con nuovi elementi in tutto simili a quelli originari. Per non danneggiare le preesistenze, la nuova copertura è stata realizzata in modo da essere staticamente indipendente, con struttura antisismica in acciaio interamente prefabbricata e in più parti assemblata in officina per facilitarne il montaggio. Per garantire massima flessibilità funzionale, gli spazi interni sono studiati per consentire diverse possibilità d’uso:


spazi delimitati all’interno delle pensiline ma interamente vetrati e aperti sul Campo Boario; grandi open space illuminati dall’alto, tra le pensiline e il portico; ambienti di servizio e locali tecnici, spesso su due livelli, nel sottoportico. La disposizione degli spazi, l’alternanza tra involucro e spazi aperti mette in luce le differenz99e tra le parti originarie restaurate e quelle dove alla preesistenza si aggiungono i nuovi segni architettonici. L’aspetto ecologico e sostenibile viene sviluppato compatibilmente con quello che è un vero e proprio progetto di restauro di architetture sottoposte a vincoli di conservazione, tutela e recupero, costituendo di fatto una sperimentazione trasferibile in analoghi contesti storico-monumentali. Si adottano sistemi che seguono i criteri della sostenibilità ambientale, si utilizzano materiali ecocompatibili, si impiegano sistemi passivi ed attivi, quali il fotovoltaico, perseguendo un’innovazione tecnologica volta al risparmio energetico. Alla protezione del fronte vetrato dalla radiazione solare diretta, si è unita l’analisi dei flussi aerodinamici indotti dalle aperture frontali, disposte nella zona d’ombra, e dalle aperture alla sommità dei lucernari orientati a nord, che favoriscono il raffrescamento estivo e il ricambio. Alla serie degli shed si affiancano grandi lucernari piani schermati da una doppia serie di forature che consentono l’irraggiamento solare soltanto nei mesi freddi, garantendo comunque l’afflusso luminoso.
Altri accorgimenti si sono resi necessari per l’illuminazione artificiale degli spazi, la climatizzazione e gli arredi. Nella pagina affianco due foto dello stato degli interni prima e dopo la riqualificazione. In alto: planimetrie e sezioni; sotto: foto dell’ingresso del MACRO.

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ZUCCHERIFICIO “ERIDANIA” DI PARMA La realizzazione del nuovo “Auditorium Paganini” partecipa alla riqualificazione urbana delle aree dell’Eridania e della Barilla, con l’interesse di rivalutare le testimonianze di archeologia industriale, ma soprattutto rendere lo spazio, che agli inizi del Novecento fu terreno di grandi trasformazioni urbane, un nuovo polo di rigenerazione urbana e sociale. In virtù di questa premessa il progetto ha previsto di trasformare parti di alcuni vecchi corpi di fabbrica in un centro destinato alla musica, dando nuovo impulso e vitalità al parco urbano adiacente al centro storico. Il progetto di recupero è nato con l’obiettivo di mantenere e valorizzare il concetto di isolamento garantito dal parco circostante, dal punto di vista fisico e acustico, prevedendo solamente due accessi, uno pedonale, l’altro carrabile. Il valore intrinseco del parco viene costantemente messo in evidenza anche nell’edificio esistente a partire dal foyer, fino alla platea ed il palco, donando allo spettatore o visitatore una sensazione di avvolgimento costante nel verde e nelle diverse essenze che compongono lo spazio esterno; per garantire questo aspetto sono state abbattute tutte le murature trasversali esistenti e sostituite con grandi facciate vetrate che scandiscono longitudinalmente i volumi creando un cannocchiale trasparente che permette di traguardare dall’ingresso Sud oltre l’area del palco a Nord. L’insediamento produttivo originario (1899) era costituito da un corpo di fabbrica principale, lungo circa 80 metri, che si sviluppava su tre piani e conteneva i macchinari necessari per la lavorazione della barbabietola e una serie di costruzioni accessorie: una adibita ad officina per

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la manutenzione, un fumaiolo in muratura alto 45 metri, un edificio ad uso di abitazione e uffici e i silos (per il lavaggio e il trasporto idraulico delle barbabietole). Lo zuccherificio ha cessato la sua attività produttiva nel 1968. Al fine di ripristinare il corpo di fabbrica alle dimensioni originali, in corrispondenza delle testate dell’edificio il progetto di recupero ha previsto l’eliminazione delle superfetazioni in calcestruzzo armato. Nell’intervento di restauro l’edificio centrale, che funge da cerniera tra gli altri due corpi, è stato abbassato e le divisioni interne completamente eliminate per far spazio ai nuovi vani scala ed ai solai in calcestruzzo armato, il tetto è piano. Per quanto concerne l’edificio ad est, il lavoro eseguito consiste nell’abbassamento di parte della copertura per unificare, come in origine, le quote dei tetti, con una riorganizzazione totale della distribuzione interna. Gli edifici esistenti erano strutturalmente caratterizzati da una muratura portante in mattoni pieni di laterizio di vario spessore, a tessiture irregolari, da solai misti in ferro e laterizio e da manti di copertura in tegole marsigliesi e lucernari in vetro, sorretti da capriate in ferro con arcarecci secondari e controventi di falda. La stabilità era garantita dalla muratura portante incernierata a due ordini di solai; al momento del restauro, in concomitanza con lo smaltimento delle macchine e degli impianti della vecchia fabbrica, questi solai furono demoliti in favore di una stabilità compromessa dell’intero fabbricato. Anche le fondazioni, in cordoli di calcestruzzo magro, presentavano forti degradi generalizzati, con perdita di consistenza e sgretolamento del conglomerato. Le capriate erano caratterizzate da diffusi fenomeni di ossidazione, accentuati negli appoggi sulle murature perimetrali a causa del distacco del rivestimento; le coperture piane, in


cemento armato o in profilati metallici e voltine in calcestruzzo o laterizio erano deteriorati. Le esigenze progettuali, in considerazione dello stato di conservazione delle strutture, ha richiesto un intervento di risanamento e rinforzo strutturale significativo, pur nel rispetto dell’aspetto originario della preesistenza, per garantire l’ampia volumetria libera da limiti orizzontati (i solai) e verticali (le pareti divisorie interne). Nei casi in cui parti di muratura risultassero compromesse in modo tale da non permettere un risanamento, queste sono state demolite per permettere la realizzazione di nuove strutture cave in cemento armato. Le parti in condizioni migliori sono state rinforzate e bonificate, così come le fondazioni. Intorno ai muri originari è stata realizzata una struttura scatolare in cemento armato con setti di 15 cm di spessore che avvolgono la struttura esistente, larga 78 cm, rispondendo alle sollecitazioni del nuovo sistema statico. L’eliminazione delle due pareti trasversali ha indotto la trasformazione da un sistema portante di tipo lineare in muratura a una struttura di tipo intelaiato in calcestruzzo armato. Le fondazioni delle nuove strutture di rinforzo sono state dimensionate per garantire la migliore trasmissione dei carichi al terreno. Il nuovo manto di copertura a due falde è stato realizzato in rame, mentre nella sala prove e nella sala auditorium , oltre alle scocche acustiche in legno sospese, l’intradosso della copertura è stato realizzato con caratteristiche in parte fonoassorbenti e in parte fonoriflettenti.

Nella pagina affianco: due foto degli interni prima e dopo la riqualificazione. In alto: planimetria dell’Auditorium e sezione trasversale; sotto: foto degli interni prima degli interventi di recupero.

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MATADERO DI MADRID L’ex-mattatoio comunale, a sud del centro di Madrid, nel quartiere Arganzuela ha una superficie di 165.415 mq. L’antico mattatoio rappresenta uno degli stabilimenti industriali più singolari e interessanti dell’architettura madrilena del XX secolo. Realizzato tra il 1910 e il 1925, è stato utilizzato tra le due guerre mondiali anche come magazzino di stoccaggio alimentare. Intorno agli anni ’70 molti edifici diventarono obsoleti e un po’ per volta vennero riqualificati e trasformati in strutture per attività di diverso tipo. Nel 1996 il mattatoio chiuse definitivamente. Dopo la definitiva dismissione le associazioni locali si attivano e reclamano l’uso degli spazi per attività socio-culturali e manifestano il loro disaccordo al progetto di riconversione promosso dal Comune che prevedeva di affidare il recupero degli spazi ad un operatore privato mediante la concessione del suolo pubblico per uso privato di carattere terziario. Nel 2003 il governo decise di cambiare totalmente la strategia di progetto sull’area e inserire la riqualificazione del MATADERO in un programma di recupero del patrimonio storico madrileno all’interno del piano di rigenerazione della parte sud della città. La sezione interna al Governo che si occupa di Arte decise di indirizzare la conversione dello spazio in un grande laboratorio di creazione e di produzione di arte contemporanea. Il 26 settembre 2005 venne approvata la Variante del Piano Speciale di Intervento con lo scopo di proteggere il patrimonio architettonico e culturale dell’area. Alla fine dell’elaborazione del nuovo piano urbanistico, che nello specifico delinea le potenzialità dell’area in vista delle future funzioni che andrà ad assolvere, si sono succeduti

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diversi progetti di recupero dei diversi edifici che compongono il grande spazio del Mattatoio, non ancora conclusi o realizzati. I due spazi più grandi sono stati recuperati essenzialmente attraverso l’abbattimento delle pareti interne, generando nuovi spazi molto ampi, e la creazione di spazi dedicati a servizi. L’opera di risanamento delle strutture ha coinvolto fondazioni, supporti e capriate, con tutti gli eventuali rinforzi strutturali del caso. Molte operazioni di consolidamento e pulitura sono state eseguite sulle parti metalliche, spesso ridotte in grave stato di ossidazione. Il restauro delle facciate consiste nella rimozione delle parti degradate e la stuccatura con malta di calce. Le parti in mattoni che presentavano mancanze o rotture sono state ricucite. Molte opere di consolidamento sono state apportate alle coperture, in parte mancanti, sostenute da capriate metalliche, con l’utilizzo di materiali nuovi, tali da consentire il miglior isolamento termico degli edifici. Le tegole di una copertura dell’antico Matadero di Madrid in cattive condizioni sono state ritirate, accatastate e riutilizzate all’interno di una piccola ala, la 8B, per soddisfare una necessità. L’ala è destinata alla gestione amministrativa, una piccola area di lavoro, un magazzino e uno spazio polivalente per riunioni o presentazioni. Originariamente l’edificio era utilizzato per l’immagazzinamento degli scarti prodotti nell’ala 8, in cui si seccavano le pelli e la carne salata. Si tratta comunque di un edificio dotato di grande interesse spaziale. Le priorità dell’intervento erano la sostituzione della copertura in tegole su tavole e tavelle, il rinforzo strutturale della struttura e l’isolamento acustico e termico. Interventi già realizzati per altri spazi del Matadero producendo montagne


di residui di tegole, legna, cubi di pietra e lastre di granito. Le tegole preservate sono così state utilizzate per la realizzazione di pareti divisorie, assumendo quindi un ruolo significativo all’interno dell’edificio, altresì come semplici elementi ornamentali.

Nella pagina affianco: planimetria generale di una parte dell’ex Matadero; foto dell’esterno e degli interni degli edifici più grandi recuperati. In alto: schema di riutilizzo delle tegole nell’edificio “8B”; al centro: planimetrie dell’edificio “8B” dopo il recupero; in basso: particolare dell’utilizzo delle tegole di copertura nelle murature.

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VETRERIA “LEFEVRE” DI BAGNOLI La riqualificazione dell’ex area industriale della vetreria Lefevre di Bagnoli, costruita a metà del XIX secolo, si distingue per lirismo architettonico e avanguardia bioclimatica. Nell’idea progettuale è stato fondamentale superare la rigida bipartizione creata dall’asse passante: obiettivo ottenuto allargando lo stesso da una parte, conferendo una valenza di grande piazza allungata, dall’altra riorganizzando gli edifici presenti, con diradamenti e demolizioni parziali che hanno creato nuove prospettive. La riqualificazione dei due grandi edifici situati ai margini Ovest (quello sul mare) ed Est dell’area (quello sui campi) è stato determinante nel carattere dato all’intervento, prevedendo la realizzazione di nuove volumetrie. L’edificio affacciato sul mare, a cinque navate e il più esteso dell’area, diventa il nuovo Museo, attrezzato anche per mostre temporanee, spazi per bambini ed altri servizi di supporto; l’edificio ad Est, a due navate principali, due laterali, ma più alto, viene funzionalizzato con laboratori di ricerca, uffici e spazio eventi. I materiali costituenti dei manufatti sono il laterizio per i pilastri, muratura in laterizio o in tufo e capriate in legno. Il primo intervento è stato la demolizione di quasi tutti i tamponamenti, rendendo il rapporto visivo edificio- mare o edificio-campi necessario, provvedendo alla sostituzione delle parti rimosse con chiusure vetrate. Il museo viene articolato e dilatato con una sequenza di ambienti su livelli differenti che poco si correlano alla longitudinalità delle navate, al fine di variare la spazialità, concedendo scorci imprevisti che catturano il visitatore. Per l’edificio con sezione trasversale ridotta,

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quello orientale, invece, si accentua la simmetria bilaterale partendo dalla fila di pilastri che corre lungo il centro dell’aula. La testata Nord del museo risulta esaltata con segni decisi e forti, quali l’eliminazione della copertura che lascia scoperte le capriate in legno, che rimangono sospese, e la chiusura del volume con vetri disposti a 45° che vanno a racchiudere vasche d’acqua ricavate tra setti di laterizio che si distendono, digradando perpendicolarmente alla facciata. Come detto in precedenza, l’aspetto bioclimatico assume un ruolo fondamentale nella realizzazione di questo progetto. Lo studio di diversi aspetti naturali, il sole, la pioggia, le brezze marine si è reso necessario per gli accorgimenti necessari alla cura tecnologica dei manufatti. Gli edifici, che si sviluppano con orientamento Nord-Sud, rendevano problematica la questione del raffrescamento estivo rispetto a quella del riscaldamento invernale, richiedendo una massa d’inerzia termica piuttosto importante all’interno delle volumetrie. La soluzione dei progettisti è stata quella di risarcire questa massa termica, in seguito all’eliminazione dei tamponamenti, e di aumentarla: attraverso la posa di pavimentazioni massive in laterizio negli spazi interni, sia a livello inferiore, sopra il vespaio aerato, sia nei percorsi sopraelevati e nelle pareti laterali dei dislivelli; con la costruzione massiva e muraria, sempre in mattoni, di manufatti ed altri elementi notevoli all’interno dello spazio espositivo, come il planetario, lo spazio gradonato o un “muro d’acqua” che lavora per il raffrescamento evaporativo e l’arricchimento acustico dell’ambiente. Le soluzioni proposte hanno concesso anche un arricchimento della qualità della luce naturale


zenitale che permea gli spazi espositivi. La riqualificazione delle coperture ha previsto il recupero delle capriate in legno, la creazione di una cavità ventilata tra lo strato di sottocopertura e lo strato termoisolante in lamiera grecata e la sistemazione di lanterne longitudinale, adibite all’illuminazione ed alla ventilazione naturale, poste in corrispondenza dei colmi. Purtroppo nella notte tra il 4 ed il 5 marzo 2013 un ampio incendio ha distrutto buona parte della “città della scienza”, rendendo vano il recupero dell’area.

Nella pagina affianco: planimetria dei due edifici riqualificati; sezione del capannone orientale a quattro navate. In alto: foto dall’alto che mostra le capriate a vista e le pareti di chiusura in vetro; sotto: foto delle nuove realizzazioni, i materiali e le soluzioni bioclimatiche.

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BANKSIDE POWER STATION DI LONDRA L’ex centrale elettrica di Bankside, progettata nel 1947, chiusa nel 1981 e rimasta inutilizzata sul lato del Tamigi fino al 1996, suscitò l’interesse degli amministratori della Tate come sito potenziale per la realizzazione di una nuova galleria d’arte che ospitasse la collezione di arte moderna internazionale, dal 1900 ai giorni nostri. I vincitori del concorso di progettazione nel 1995 furono Herzog e De Meuron, i quali sconfissero gli altri sei finalisti suggerendo di lasciare pressochè intatto l’edificio originale. L’antica centrale, pur svuotata al suo interno, si mantiene come una forte presenza ed ha certamente influenzato gli architetti che non l’hanno contrastata, ma ne hanno seguito la natura, sia con la scelta dei materiali che con l’organizzazione degli spazi e la costruzione delle nuove strutture. La loro strategia era basata sulla valorizzazione della costruzione originale: tutti i mattoni originali, le finestre, il camino sono stati recuperati e mantenuti. La sala delle turbine è diventata il nuovo ingresso alla galleria, declinata come una grande piazza interna con un dolce pendio, dove il visitatore entra seguendo una lunga rampa che lo fa scendere per poi muoversi liberamente con il servizio distributivo di scale mobili verso le sale espositive, la caffetteria e gli altri servizi disponibili nella struttura. Delle scatole luminose sono attaccate ai lati di questo enorme spazio, fungendo da balconi dai quali i visitatori possono guardare dall’alto verso il basso la grande sala delle turbine. Il carattere industriale è stato sottolineato all’interno, in cui i due architetti hanno pensato di usare del cemento levigato, pavimenti in legno non trattato, e colori luminosi degli interni che

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trovano contrasto con le travi nere. Esternamente è possibile notare la parte nuova realizzata, corrispondente ad un volume longitudinale su due livelli completamente trasparente che corre da un lato all’altro dell’edificio, come si trattasse di un enorme lucernario poggiato sulla vecchia struttura in mattoni, offrendo una vista splendida sulla cattedrale di St. Paul ed una caratteristica aggiunta allo skyline di Londra. Di notte l’illuminazione di questo spazio garantisce un punto di riferimento alla città. Per rimodellare la struttura è stato necessario rimuovere le macchine che occupavano la sala delle turbine e demolire alcuni piccoli edifici, lasciando l’edificio con la sua struttura originaria in mattoni e acciaio. Demolendo anche la copertura sulla quale si poggia il nuovo costruito. L’intero complesso è stato diviso in tre fasce funzionali: a Nord tutte le sale espositivi ed i servizi di supporto, come negozi e caffetteria; al centro la sala delle turbine, che conserva il suo nome, ma viene utilizzata per mostre temporanee di artisti di fama; a sud troviamo i trasformatori ancora utilizzati, ma che saranno dismessi quando si porterà avanti il progetto di espansione del museo, poiché questa fascia risulta proprio al centro tra la vecchia area espositiva e quella di nuova realizzazione.

Nella pagina affianco: in alto: foto dal Tamigi; la vecchia Bankside power station ed il volume trasparente in sommità; al centro: gli interni dopo la riqualificazione; in basso: la costruzione in mattoni ed il vecchio camino della centrale. In alto: planimetria dell’edificio; in basso: sezioni trasversali dell’edificio.


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LA SCELTA DEGLI CONSERVARE

EDIFICI

DA

DALLO STATO DI FATTO AL RECUPERO: LE RAGIONI DELLA SCELTA La scelta dei manufatti che entreranno a far parte del progetto risponde a tre criteri: lo stato conservativo dell’oggetto, la sua localizzazione rispetto all’assetto planimetrico generale e, naturalmente, la sua stessa fattura. Diversi edifici presentano strutture gravemente danneggiate: problemi statici causati dal collasso dei sostegni verticali, armature ossidate a causa della mancanza (totale o parziale) del copriferro in calcestruzzo e in più vari danni antropici. Rispetto alle analisi storiche si è potuto risalire all’originaria destinazione d’uso, discernendo gli edifici che avevano una funzione attiva nell’ambito della produzione e quelli deputati ad uffici, laboratori, officine meccaniche. Questi tendenzialmente corrispondono a quelli di piccole dimensioni che architettonicamente parlando non si rapportano efficacemente ai grandi capannoni; in conseguenza di ciò si è potuta fare una seconda scrematura. Altri oggetti ancora sono stati conservati in funzione della loro potenza evocativa, come le emergenze verticali, i pochi scheletri in ferro superstiti e i camminamenti deputati al trasporto del fertilizzante, rappresentativi nella memoria collettiva dell’industria nel suo periodo di attività, quando la maggior parte degli abitanti era impiegata in essa. L’area interessata dalla nostra ipotesi progettuale è occupata da circa 70 edifici realizzati nelle diverse fasi di crescita dell’industria. In seguito alla dismissione risultano perse tutte le testimonianze delle strutture metalliche esistenti ed utilizzate per il processo produttivo, rendendo,

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per questo motivo, difficile la ricostruzione del percorso di produzione nelle tre fasi di sviluppo dell’area. Nonostante queste mancanze, con l’ausilio di materiale d’archivio e informazioni ricevute da exlavoratori della fabbrica, ed il sopralluogo per il rilievo dell’area e dei singoli edifici, siamo riusciti a ricostruire il percorso produttivo partendo dalla planimetria dell’intero impianto. Le conoscenze conseguite ci hanno così permesso, in funzione della nostra ipotesi di progetto, di poter scegliere quali oggetti saranno inseriti in un programma di progetto e quali invece risulterebbero sacrificati, prediligendo quelli con spiccate peculiarità e che parteciperebbero alla realizzazione di un’idea omogenea e riconoscibile dell’intera area dopo l’intervento. Quindi, partendo dal rilievo di tutti gli edifici presenti, l’analisi e la conoscenza delle caratteristiche tecniche e tecnologiche degli stessi, l’analisi dell’impianto industriale, nonché del paesaggio e del territorio circostante, ci siamo concentrati sul recupero e la valorizzazione di una parte degli oggetti industriali in funzione del loro futuro riuso.


In alto: vista dalla cima della torre di prilling nord dell’intera area della fabbrica e della centrale termoelettrica; al centro: l’area vuota dell’Urea 2 (1986), privata delle strutture metalliche; in basso: parte dell’impianto di Urea 1 (1976).

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Partendo da Nord e dallo spazio industriale di più recente realizzazione (1986) troviamo diversi edifici in buono stato di conservazione, con le coperture ancora esistenti e diversi particolari architettonici ben conservati. L’edificio adibito a stazione rappresenta la porta d’accesso all’area industriale: l’intento è di preservare tale funzione rendendo lo spazio adeguato alla fruizione da parte degli utenti e non più destinato al trasporto delle merci dall’area verso il resto della nazione. Essendo ancora visibile la linea ferroviaria, ipotizziamo il ripristino del tracciato ferroviario, sostituito però da mezzi leggeri, come tram o people-mover elettrici che entreranno nell’edificio lasciando liberi i visitatori di usufruire dei diversi servizi previsti nella parte restante dell’area. Particolare molto interessante che riscontriamo prevalentemente in questo edificio, ma anche per dettagli di altri edifici coevi, sono gli elementi di frazionamento della luce che occupano le bucature sui lati longitudinali dell’edificio; si tratta di semplici composizioni geometriche costruite per mezzo di elementi prefabbricati in calcestruzzo che filtrano l’ingresso della luce all’interno dell’edificio soprattutto dal prospetto a sud, più esposto alle radiazioni solari. I percorsi obliqui, adibiti al trasporto delle merci all’interno dell’area per mezzo di nastri trasportatori, occupano trasversalmente tutto lo spazio compreso tra la stazione ed il limite fisico dell’area ad est, dato da un muro in laterizio, che chiude l’area alla campagna ed al bacino fluviale. Mettendo in comunicazione l’area di

In alto: la stazione; al centro: i passaggi sospesi; in basso: il deposito di Urea.

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stoccaggio ed imballaggio (torre della stazione) con il deposito di urea e la torre di prilling, si crea implicitamente un percorso su diversi livelli, che accompagna il visitatore alla scoperta degli oggetti dell’area e delle prospettive che si aprono lungo il canale verso l’area e verso lo spazio esterno. Il deposito di urea, a pianta circolare, è una grande aula, un tempo utilizzata per la raccolta del materiale a fine produzione prima dell’imballaggio. Nella nostra ipotesi progettuale diventerebbe una sala espositiva per mostre temporanee o parte del museo del lavoro, recuperandone il valore storico della produzione industriale. La torre di prilling, che si eleva fino a 62 metri di altezza, è l’edificio più alto dell’intera area, utilizzato per la produzione delle sfere di urea. I depositi sferici rappresentano una delle poche strutture metalliche risparmiate dopo la dismissione. Questi grandi contenitori sferici contenevano i prodotti della produzione come l’ammoniaca oppure gas (azoto, ossigeno) ad alta pressione, utili al processo produttivo. Come oggetti del paesaggio industriale intendiamo preservarli, considerandoli come monumenti, quindi memoria storica da tutelare. Di fronte all’edificio stazione troviamo altri due edifici, un tempo adibiti a sale compressori e sale comandi, che aiutano a chiudere l’asse OvestEst con la torre di prilling al centro e la stazione sul lato opposto, offrendo una pulita concezione prospettica dello spazio. Questi due edifici si sviluppano su due livelli, quello più occidentale

La torre di prilling ed i relativi passaggi sospesi fino a raggiungere la stazione.

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con funzioni di tipo informativo e amministrativo, che quindi aiutino il pubblico negli spostamenti e nella conoscenza dell’intera area; quello più orientale, che apre lo sguardo al “forum”, progettato completamente, diventerà così un edificio-filtro che convoglierà i visitatori che giungono con mezzi pubblici all’interno del nuovo spazio progettato. Uno degli edifici più imponenti si affaccia proprio sull’arteria stradale di accesso all’area ed è una torre evaporativa a circolazione forzata, dotata di 4 ciminiere evaporative, che serviva al raffreddamento delle acque che arrivavano dalle sale compressori. Questo oggetto rappresenta una testimonianza del processo industriale e sarà mantenuto nelle sue forme. Sottoposto ad un semplice restauro e pulitura di tutte le superfici, diventerà sfondo di una piazza interna che ne occuperà in larghezza tutto il lato lungo, così come viene esaltata la sua essenza nel lavoro di recupero di “Parco Dora” a Torino. Le due sale compressori al centro dell’area, appartenenti a due fasi diverse d’espansione dell’industria di fertilizzanti, sono degli edifici a sviluppo longitudinale, paralleli tra loro e con le stesse caratteristiche strutturali. Presentano un involucro di cemento armato e tamponamenti in laterizi coperto con tetto metallico su capriate in ferro (presente solo in quello più recente). L’idea progettuale è quella di rafforzare l’allineamento tra i due edifici per mezzo di un basamento ed un canale che unifica centralmente e mette in collegamento i due capannoni, segnando l’asse principale del museo con accesso alle diverse

In alto: le sale compressori e le sale comandi di fronte alla stazione; al centro: la torre di raffreddamento a circolazione forzata; in basso: la sala compressori (1986) e la torre del reattore in calcestruzzo armato.

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sale espositive e ai servizi di supporto. Sempre nel complesso museale viene inserita la torre di raffreddamento a circolazione naturale, coeva alla sala compressori del 1976, un iperboloide in calcestruzzo armato che si erge per 53 metri. Altre sale espositive si svilupperanno all’interno del volume su diversi livelli, sfruttando la struttura preesistente utilizzata per il raffreddamento delle acque, ma conservando e valorizzando il volume esterno. Si ripete per quest’area il volume cilindrico cupolato adibito a deposito d’urea. Sono purtroppo andati perduti i canali obliqui (dalle foto d’archivio si è scoperto essere metallici), che mettevano in comunicazione il deposito alle altre strutture e che si ripetono nell’area di più recente costruzione, ma con una composizione diversa. Questo complesso di edifici, che si affaccia su strada, corrisponde ad altre sale compressori o sale comandi, in stato di fatiscenza: conservano il telaio ed in parte tamponamenti in mattoni, negli edifici a falde è andato perduto l’intero tetto, lasciando a vista gli incastri nelle murature. La seconda torre di prilling è l’unico oggetto, di questo insieme di forme, meglio conservato, sicuramente per la fattura dell’edificio, completamente in calcestruzzo armato. Alla prima fase di costruzione della fabbrica (1966) corrisponde quella che nella nostra idea progettuale sarà l’università di agraria, suddivisa per le diverse funzioni in tanti altri edifici, preesistenti e di nuova realizzazione. Tra le preesistenze troviamo un nuovo deposito

In alto: la torre di raffreddamento a circolazione naturale; in basso: la sala compressori (1976).

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cupolato, con diametro leggermente inferiore rispetto a quelli più recenti, ma con particolari costruttivi di rilievo, come la struttura in ferro circolare su cui poggia il guscio di copertura. Il nuovo edifico che conterrà tutti gli spazi di studio ed insegnamento, quali aule, sale studio, laboratori ed aula magna, avvolgerà questo cilindro, attualmente libero nello spazio, inserendolo in una corte che valorizza l’altezza e la forma architettonica dello stesso. L’edificio in sé, che diventerà la biblioteca della facoltà, come altri oggetti industriali dell’area, verrà mantenuto e recuperato esternamente per renderne riconoscibile il significato storico ed architettonico; all’interno si intende sfruttare l’ampio spazio vuoto per creare un involucro dentro l’involucro, senza addossarsi al vecchio. Su strada affacciano tre edifici in successione che corrispondono, partendo da nord, a magazzini, reparto falegnameria e officine meccaniche. I primi due, di modeste dimensioni, sono rispettivamente un edificio a tre navate con tetto a falde completamente in calcestruzzo, e un edificio ancora più piccolo, a una sola navata con murature in laterizi. Quest’ultimo presenta un corpo principale a falde e un corpo aggiunto con solaio piano che allunga l’edificio verso il centro dell’area. Le officine meccaniche sono inserite in un edificio basilicale, a tre navate, lungo oltre 100 metri. Questo edificio rende riconoscibile la serialità delle parti, data dalle aperture e dal telaio strutturale, inoltre la navata centrale, si eleva rispetto a quelle laterali, permettendo l’entrata

Parte del complesso produttivo dell’Urea1 (1976): in alto: l’edificio a telaio di 5 piani e la torre di prilling; al centro: la sala compressori; in basso: altra sala compressori.

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della luce all’interno della sala per mezzo di altre bucature corrispondenti a quelle sulle navate minori. La facciata del prospetto sud si chiude con un corpo aggiunto dal quale svetta solo il tetto a falde della navata principale; si tratta di un corpo parallelepipedo, su due livelli che occupa tutto l’ingombro trasversale dell’edificio. Il complesso di questi tre edifici corrisponde ad un funzionamento polivalente, infatti vi saranno collcati la mensa, i dipartimenti e altri servizi di supporto alla vita del campus universitario. Sempre appartenente a questa fase di costruzione dell’industria troviamo la sala compressori, un edificio a sviluppo longitudinale, realizzato completamente in ferro per quanto riguarda le componenti strutturali dell’edificio, con tamponamenti in laterizi, in parte ancora esistenti. All’edificio si aggancia, sul lato sud, un corpo più basso, in forte stato di degrado, costruito sempre con gli stessi materiali del corpo principale. Questo edificio si interpone tra la spazialità più urbana della piazza sul quale affacciano tutti gli edifici precedentemente descritti e l’area dell’ex centrale termoelettrica TEC, trasformata in parco urbano. Il cambio di destinazione d’uso ci ha portato ad individuare questo edificio per la progettazione di una serra completamente vetrata, che sfrutta la struttura metallica preesistente come scatola in cui sviluppare questo oggetto trasparente circondato da una serie di rampe che collegano i due spazi aperti, la piazza ed il parco urbano.

In alto: il deposito di Urea 1 (1976); al centro: il deposito del primo impianto (1966) e la copertura interna in ferro; in basso: i depositi sferici.

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Alle spalle della sala compressori appena descritta, verso la campagna e il parco fluviale, è visibile un piccolo gasometro completamente metallico, anch’esso sopravvissuto alla dismissione dell’area. Questo contenitore, così come i depositi sferici e le altre poche testimonianze metalliche sopravvissute è in grave stato di degrado: sono ancora visibili le scalette e la struttura intelaiata in copertura, ma tutto l’edificio presenta gravi danni dovuti all’ossidazione del metallo, causata dagli agenti atmosferici nel corso degli anni. Termina con un’ultima torre di raffreddamento a circolazione naturale l’area costruita nel 1966, chiudendo così tutto l’impianto destinato alla produzione di fertilizzanti.

In alto: i magazzini; al centro: il reparto falegnameria; in basso: le officine meccaniche.

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L’area della “Gogo Nushi” è direttamente collegata alla centrale termoelettrica (TEC), coeva all’industria di fertilizzanti, così come testimoniato dalla scritta in cima all’edificio più imponente della centrale che riporta la dicitura: TEC 1966. Quest’ultima, trasformata in parco urbano, conterrà gli oggetti di archeologia industriale valorizzati nei modi più svariati: come monumenti dell’epoca industriale, lasciandoli liberi nello spazio o circondati da vasche d’acqua su cui si riflettono; come nuovi contenitori per diverse funzioni legate al mondo del parco, del tempo libero e dei servizi terziari, quali attività sportive, terme, luoghi per il soggiorno dei turisti; ancora come oggetti vuoti e defunzionalizzati, utilizzati come agganci per altre strutture, quali, parco giochi o palestre all’aperto. Gli oggetti in questione sono torri di raffreddamento a circolazione naturale, completamente in calcestruzzo armato, ciminiere in laterizi, cisterne in ferro, e volumi abitabili, come il grande volume sul quale è la scritta con l’indicazione dell’anno di realizzazione della centrale, che conteneva turbine e trasformatori.

In alto: la sala compressori del primo impianto (1966); al centro: il gasometro; in basso: la centrale termoelettrica TEC (1966).

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L’ANALISI DEL DEGRADO LA CONOSCENZA DEGLI ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE

OGGETTI

DI

Al fine di operare con un progetto definitivo che vada a valorizzare concretamente il paesaggio e gli edifici in esso contenuti, come per tutti gli altri casi, resta preliminare una conoscenza dello spazio e degli oggetti presenti per avere cognizione dei valori intrinseci ed estrinseci che vi possiamo trovare. Questa conoscenza deriva dal lavoro svolto in fasi successive e diverse. Il punto di partenza è stato il sopralluogo nella città di Fier avvenuto nell’aprile 2013: nella settimana di permanenza abbiamo potuto esplorare la città, conoscendo il legame tra questa ed il sito industriale dislocato a sud, periferico e tagliato dall’area urbana dalla ferrovia che porta a Ballsh. L’analisi dei caratteri e dello sviluppo della città è stato di aiuto per comprendere le potenzialità del sito, in merito alla posizione, ai collegamenti edalle qualità interne dell’area. Contemporaneamente lo studio dell’area e di ogni singolo edificio è stato portato avanti con un repertorio di foto, che raccoglie tutte le peculiarità dell’area, dagli assi prospettici, all’ingombro degli edifici, ai particolari tecnologici ed architettonici, e con il rilievo fatto da noi sul campo con rulline metriche e disto al laser, producendo degli eidotipi utilizzati per la produzione delle piante e dei prospetti su programmi di progettazione vettoriale. Al fine del ridisegno, in mancanza di dati da parte nostra, a causa dei degradi presenti e dello stato di abbandono di alcune parti che non ci ha permesso di raccogliere informazioni sugli elementi costitutivi dello spazio, abbiamo

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utilizzato il materiale d’archivio che abbiamo ricercato e trovato presso la biblioteca cittadina, la biblioteca nazionale di Tirana, e soprattutto nell’Archivio centrale delle costruzioni sempre a Tirana, che ci ha fornito dati e notizie utili sulla costruzione dell’intero impianto industriale. Il passo successivo è rappresentato dalla ricostruzione fotografica dei prospetti di alcuni edifici scelti, essenzialmente quelli che poi subiranno delle trasformazioni nella nostra ipotesi progettuale, che valorizzerà l’area e gli edifici stessi. Abbiamo così operato un mosaico con le fotografie da noi fatte sul sito per ricreare l’esatta corrispondenza tra fotografia e disegno di rilievo, passo utile alla riconoscibilità spaziale dei degradi e dei materiali da costruzione utilizzati, eliminando tutte le fughe prospettive o le distorsioni date dall’obiettivo fotografico, cercando anche di recuperare le tonalità reali dei colori presenti sugli edifici. A partire da quest’operazione si è potuto ricostruire l’insieme dei materiali visibili su ogni superficie, fossero questi strutturali o meno, creando delle mappe, corrispondenti ai prospetti generati dal rilievo, con la specificazione, attraverso i colori, dell’uso di calcestruzzo armato, laterizi, intonaco o metalli. La ricostruzione fotografica dei prospetti si è resa indispensabile anche per la costruzione delle mappe del degrado, eseguite successivamente su ogni singolo prospetto, utilizzando, ove possibile, la grafica UNI utilizzata nel restauro per indicare i diversi tipi di degrado.

Ortofoto della città di Fier, nella parte inferiore si vede l’area industriale (mappa tratta da Bing).


Il mappaggio è stato così classificato in una tabella-abaco che inserisce tutti i materiali e tutti i degradi riscontrati sulle superfici, questi ultimi suddivisi ancora in base alla causa che li ha originati (umidità, fattori antropici, particellare o statico). Sono stati così spiegati i diversi degradi, attraverso una definizione e le diverse possibilità di sviluppo del degrado. A questa schedatura si aggiunge una tabella degli interventi possibili in base al degrado ed al tipo di materiale su cui è presente questo tipo di fenomeno. Per una più veloce e completa comprensione della mappa, all’interno dei prospetti e delle sezioni, per cui era più difficile la mappatura, è stato inserito un doppio ordine di indici che, posti in corrispondenza di ogni degrado, racconta in primo luogo il materiale, le cause generanti del degrado, ed il tipo di degrado (efflorescenza, mancanza, etc.), in secondo luogo, il materiale, le cause, ed il tipo di intervento richiesto per il risanamento della parte degradata per mezzo di un indice numerico che identifica ogni intervento possibile, trascritto nella tabella precedentemente descritta.

In alto: foto di un asse prospettico all’interno dell’area; al centro: una sala compressori; sotto: il dettaglio di un edificio dell’area.

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SALA COMPRESSORI (1986) La sala compressori realizzata nel 1986 è un edificio su due livelli. Il livello superiore è composto da un ballatoio che gira intorno alla struttura e si mostra all’esterno con un sottile aggetto. All’interno è possibile notare la presenza di enormi blocchi in calcestruzzo che un tempo servivano a mantenere i compressori utilizzati nella produzione, al momento non rimangono altro che questi blocchi e qualche placca metallica su cui erano fissati i compressori. La copertura è per metà andata perduta, una semplice lamiera su capriate in ferro, entrambe le strutture completamente ossidate dalle acque piovane. I materiali utilizzati sono prevalentemente intonaco e cls armato: è possibile notare che nelle zone di distacco dell’intonaco fuoriescono laterizi utilizzati per il tamponamento all’interno del telaio in cls, così come è visibile la rete metallica su cui è steso l’intonaco. I degradi sono prevalentemente dovuti all’umidità e all’inquinamento presente nel luogo, troviamo così molti fenomeni di efflorescenza, soprattutto al di sotto degli aggetti, così come patina biologica e macchie dovute all’ossidazione dei metalli in corrispondenza dei canali di scolo delle acque piovane. Questi, lì dove non siano stati rimossi, lasciando solo i ganci fissati nella muratura (anch’essi ossidati), risultano completamente inefficienti dato lo stato di degrado dovuto all’ossidazione del metallo. Elaborati grafici: In alto: posizione dell’edificio nell’area; al centro: foto-ricostruzione del prospetto sud; sotto: mappa del degrado del prospetto sud. Nella pagina affianco: in alto: i materiali nei tre prospetti analizzati; al centro: foto-ricostruzione del prospetto ovest; in basso: mappa del degrado del prospetto ovest.

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Gli infissi nella parte inferiore risultano completamente mancanti, con mancanze della muratura in corrispondenza del fissaggio delle aperture. Al piano superiore, seppure esistenti, presentano gravi danni di ossidazione, nonchè parti vetrate non recuperabili. Altre parti metalliche, come le rampe esterne che raggiungono il livello superiore, sono andate completamente perdute. Alla base delle aperture, che non presentano notevoli aggetti del davanzale si sono creati fenomeni di dilavamento con efflorescenze sui bordi della macchia stessa. L’aggetto al primo piano, che perimetra tutto l’edifico, presenta fenomeni di carbonatazione con distacco del copriferro e ossidazione dei ferri. Ciò comporta la presenza di altre macchie da ossidazione sui pilastri del piano terreno ed altri degradi dovuti all’umidità. I pilastri presentano in molti punti distacco di parti dovuto all’azione antropica o per effetto della carbonatazione. Erbe infestanti ricoprono la base dell’edificio e le parti in aggetto a causa dell’acqua ristagnante. L’edificio è stato analizzato su tre prospetti, quelli ovest, sud ed est, in quanto quello nord è occupato da aggiunte che non permettevano di comprenderne lo stato, considerando che comunque è identico per forme al piccolo prospetto sud.

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Elaborati grafici: in alto: foto-ricostruzione del prospetto est; sotto: mappa del degrado del prospetto est.

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SALA COMPRESSORI (1976) L’edificio, parallelo a quello già descritto, al quale sarà collegato per formare il nuovo polo museale, è stato mappato su tutti i prospetti, grazie alla posizione centrale nell’area, che permetteva di analizzarlo complessivamente. I prospetti brevi, esposti a nord e a sud, presentano gli stessi degradi: questi corrispondono anche alle diverse altezze dell’edificio. Partendo dalla cornice superiore scendono delle gore dovute al dilavamento causato dalla profondità dell’aggetto troppo esigua. Lo stesso tipo di degrado è riscontrabile nelle porzioni di muratura sottostante le bucature, dove si creano anche macchie di ossidazione dovute al degrado degli infissi, in parte ancora esistenti. L’aggetto che, come nella sala compressori precedente, corre intorno al primo piano dell’edificio, presenta evidenti mancanze, dovute alla rimozione di parti metalliche, come le scale esterne, e segni di carbonatazione con successivo distacco delle parti molto degradate. Discorso diverso per i prospetti della navata aggiunta: la facciata esposta a sud si mostra integra in ogni sua parte, tranne che per gli infissi, anche se ricoperta per una buona percentuale di erbe infestanti che la occludono totalmente; la facciata nord, completamente vuota, mette in luce tutto l’interno dell’edificio. Anche in questo caso, parti di muratura sono assenti in corrispondenza dell’attacco dell’infisso con la parete, sottoponendo i materiali costitutivi del muro, laterizi e cls, a diretto contatto con gli agenti naturali, che peggiorano lo stato di degrado dell’intera struttura. I prospetti longitudinali, ad est e a ovest, si presentano molto diversi tra loro, anche per via della navata laterale che si aggiunge al fabbricato sul lato orientale.

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Elaborati grafici: In alto: posizione dell’edificio nell’area; al centro: foto-ricostruzione del prospetto sud; sotto: mappa del degrado del prospetto sud. Nella pagina affianco: in alto: i materiali nei quattro prospetti analizzati; al centro: foto-ricostruzione del prospetto ovest; in basso: mappa del degrado del prospetto ovest.


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Quello occidentale conserva ancora lo strato di intonaco, coi i suoi colori originali, seppur contraddistinto da diversi fenomeni di degrado superficiale, come patina biologica, dilavamento, efflorescenze e alterazioni cromatiche. I canali di scolo sono stati completamente rimossi, lasciando i ganci su cui si poggiavano ancora inseriti nel paramento murario; questa mancanza ha consentito alle acque piovane di scivolare lungo le pareti in corrispondenza dei gocciolatoi, creando lunghe fasce di macchie da ossidazione e formazione di patina biologica, che con lo scivolamento dell’acqua ha comportato lo scioglimento dell’ intonaco stesso mettendo in vista lo strato sottostante in mattoni. Queste macchie proseguono fino a terra, ricoprendo anche i pilastri del pian terreno, che essendo in calcestruzzo con un leggero strato di pittura di rifinitura, risultano compromessi da processi di carbonatazione. Il prospetto orientale, probabilmente sottoposto ad agenti atmosferici molto più intensi, quali venti e piogge provenienti dalle vicine montagne, ha perso quasi del tutto lo strato di pittura che ricopriva l’intonaco, lasciandolo riconoscibile solo nelle parti in cui gli aggetti lo proteggono. Questo è dimostrato dagli evidenti segni di esfoliazione che ricoprono tutta la facciata. Nella parte inferiore, i degradi dovuti all’umidità di risalita hanno lasciato in vista gran parte della muratura in laterizi compromessa inoltre, da una lunga fascia di erbe infestanti che avvolge tutta la navata laterale fino all’altezza dei davanzali delle bucature. Vegetazione che, oltre al degrado, occlude gli accessi, impedendo l’ingresso. Comunque, in entrambi i prospetti sono andate perdute le parti in ferro e vetro delle bucature, con gli annessi degradi sulla muratura di fissaggio. All’interno è possibile constatare la totale

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mancanza della copertura, sia nell’aula principale che nel corpo aggiunto, nonchè gli elementi di sostegno, con molta probabilità capriate in ferro, non dissimili da quelle presenti nel precedente capannone. Questa mancanza comporta degradi diffusi su tutte le superfici interne, anch’esse intonacate, e sugli elementi in cls di sostegno dei compressori posti al centro della lunga sala.

Elaborati grafici: in alto: foto-ricostruzione del prospetto nord; sotto: mappa del degrado del prospetto nord; nella pagina affianco: foto-ricostruzione del prospetto est; nella pagina affianco: mappa del degrado del prospetto est.


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STAZIONE FERROVIARIA (1986) La stazione, un tempo deputata al trasporto del materiale imballato è un capannone ad aula longitudinale a navata unica, con capriate in c.a. e la copertura-tetto presenta un intradosso concavo. Le aperture presentano un suggestivo motivo decorativo composto da elementi in calcestruzzo prefabbricato assemblati con malte che denuncia una intenzionalità decorativa del tutto estranea a un’area industriale. Questi particolari rendono l’edificio stazione, che tra l’altro è ubicato in testa rispetto all’area industriale, peculiare e rappresentativo. Analizzato sui 4 lati presenta un notevole degrado, sia esternamente che internamente. L’interno dell’edificio ha perso completamente le pavimentazioni, nonchè il tracciato ferroviario di binari e travi lignee, ma si distingue nettamente il solco su cui erano poggiati i binari. La copertura e le capriate non mostrano segni di degrado evidenti, sono rimaste ben conservate nonostante l’edificio fosse completamente aperto verso lo spazio esterno. La parte bassa della torre, probabilmente per cause antropiche o comunque di origine biologica, risulta la zona più compromessa all’interno dell’edificio. La banchina, rialzata rispetto al piano di terra e realizzata in calcestruzzo armato, ha subito nel tempo diversi degradi dovuti all’umidità, quali efflorescenze e carbonatazione, con perdita di aderenza di alcune parti. All’esterno, il prospetto est, non completamente mappato, presenta erbe infestanti alla base dell’edificio e carbonatazione della scala in cls, che permette l’accesso alla banchina interna. Depositi superficiali e distacco caratterizzano tutta la facciata a capanna.

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Elaborati grafici: In alto: posizione dell’edificio nell’area; al centro: foto-ricostruzione del prospetto ovest; sotto: mappa del degrado del prospetto ovest. Nella pagina affianco: in alto: i materiali nei quattro prospetti analizzati; al centro: foto-ricostruzione del prospetto sud; in basso: mappa del degrado del prospetto sud.


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Il distacco degli strati di intonaco fa comparire la muratura sottostante in cls, che al di sopra del nodo tra copertura e parete portante è in mattoni. Il prospetto sud, come ne gli altri edifici descritti, presenta degradi manifestatisi in seguito all’ossidazione prima, e alla rimozione dopo, delle canaline per le acque meteoriche: la patina biologica e le macchie d’ossidazione creano delle fasce molto lunghe che terminano sull’aggetto al primo livello. Le decorazioni all’interno delle bucature si presentano in buono stato di conservazione e sono quasi tutte integre, tranne la seconda finestra a partire da sinistra, che corrisponde a una mancanza dell’intera muratura su cui poggiava. Il cornicione superiore, completamente intonacato, ha subito distacchi che rivelano la struttura interna in calcestruzzo armato. La torre posteriore, come nel caso della sala compressori precedentemente descritta, presenta esfoliazione con conseguente perdita dello strato pittorico e della sua colorazione, sia sulla parete di tamponamento che sulle paraste. Il prospetto ovest, non completamente mappato, presenta gli stessi degradi del corrispettivo opposto, con una più evidente vegetazione alla base. Il prospetto nord, invece, presenta i tamponamenti in mattoni interessati da degradi diffusi: efflorescenze con conseguente disgregazione del materiale, alterazioni cromatiche dovute all’assorbimento dell’umidità, depositi superficiali ed erbe infestanti con disgiunzione tra le parti. Lo schema geometrico delle decorazione delle finestre appare compromesso per effetto della mancanza di molte parti. La vegetazione ricopre tutta la base del prospetto, con arbusti che si sviluppano in profondità

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rendendo impossibile avvicinarsi all’edificio per analizzarne la situazione alla base dello stesso. Come nel prospetto longitudinale esposto a Sud la mancanza dei pluviali dalla copertura a terra ha prodotto molte macchie: la patina biologica, con tracce di residui di ossidazione in corrispondenza dei canali; alterazioni cromatiche a circondare la prima, dovute all’assorbimento fin negli strati pi interni dell’acqua con eliminata; limite ultimo definito da efflorescenze che concludono il degrado dovuto alla presenza di umidità. La torre presenta su questo prospetto gli stessi degradi descritti per le altre parti della stessa, con un’accentuata mancanza di parti murarie in corrispondenza delle aperture, completamente prive di infissi.

Elaborati grafici: in alto: foto-ricostruzione del prospetto est; sotto: mappa del degrado del prospetto est; nella pagina affianco: foto-ricostruzione del prospetto nord; nella pagina affianco: mappa del degrado del prospetto nord.


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TORRE DI PRILLING (1986) La torre di prilling, alta 62 metri, si compone di due corpi: il vano scala, contenente le scale di risalita, lungo le quali si aprono le bucature verso l’esterno, e due vani ascensori; il cilindro cavo, spazio vero e proprio della produzione, completamente vuoto salvo per un volume collegato al vano scala e sospeso a 60 metri di altezza accessibile proprio dalle scale. Il vano scala è realizzato completamente in calcestruzzo armato a vista, sia per la struttura portante che per le scale. All’interno si presenta molto degradato, le ringhiere sono completamente mancanti, così come tutti gli infissi delle bucature, le scale sono pericolanti a causa delle diverse fessurazioni presenti soprattutto in corrispondenza delle barre metalliche che intersecano i ballatoi con le rampe, inoltre sono interessate da diversi fenomeni di carbonatazione e disgregazione del calcestruzzo. Allo stesso tempo, nel punto di giunzione tra le scale e la muratura si possono notare diversi casi di distacco dell’intonato interno. Le barre d’acciaio su cui poggiano gli scalini sono completamente ossidate. Il volume cilindrico all’interno appare molto degradato nella parte basamentale, dove, a contatto con il terreno, subisce tutte le conseguenze dovute all’umidità di risalita, nonchè danni di origine antropica. Il collegamento con il canale dei nastri trasportatori mostra segni di erosione/ disgregazione sugli scalini d’accesso, mentre su tutte le pareti interne è possibile vedere diversi segni antropici e materiali precipitati sul pavimento.

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Elaborati grafici: In alto: posizione dell’edificio nell’area; sotto: i materiali nei due prospetti analizzati. Nella pagina affianco: a sinistra: foto-ricostruzione del prospetto est; a destra: mappa del degrado del prospetto est.


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Guardando il prospetto est della torre, si nota subito il diverso trattamento delle murature: nella parte basamentale uno strato pittorico ricopre l’intonaco, dando gli stessi connotati degli edifici finora osservati; l’elevazione si presenta in calcestruzzo armato a vista con la riconoscibilità delle diverse gittate, data dal colore del materiale utilizzato e dal limite visibile da una fascia all’altra. Nella parte alta, in aggiunta, vi è uno strato pittorico bianco che circonda l’anello più aggettante e parte del vano scala. I degradi visibili sono macchie di ossidazione date dai pochi elementi ancora visibili in metallo in cima al cilindro e lunghe gore di dilavamento che scendono fino alla base della parte in cemento a vista. Tra una gittata e l’altra sono visibili alcuni tratti soggetti a carbonatazione, il resto dell’elevazione è coperta da depositi superficiali causati dall’azione dei venti, del sole e gli altri agenti atmosferici. La base, come tutti gli altri edifici, presenta degradi tipici dell’azione dell’acqua sulle superfici: la perdita dello strato pittorico è il risultato delle acque meteoriche che per dilavamento eliminano il colore lasciando scoperto lo strato sottostante; in effetti è possibile notare come al di sotto dell’anello finestrato aggettante il colore sia ancora visibile e ben conservato; le efflorescenze, dovute a pressione di cristallizzazione dei sali, ricoprono parti di muratura a causa di ruscellamento di acque meteoriche e/o di umidità di risalita. Le macchie antropiche aggravano lo stato di degrado del volume anche all’esterno. Alla base, per via di un isolamento mancante o perso e per lo stato di abbandono dell’area, vi sono erbe infestanti. Gli infissi sono stati rimossi sia nel volume

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cilindrico, salvo casi in cui comunque i materiali sono ormai ossidati o distrutti, sia nel vano scala. La rimozione degli infissi mette a contatto gli strati interni dell’edificio con l’esterno, mettendo a repentaglio la conservazione anche degli strati più interni, che nel caso del basamento è costituito da mattoni in laterizio tra fasce di calcestruzzo armato. Nel prospetto Sud è evidente la mancanza della parte chiudente dell’anello finestrato al di sopra del basamento, lasciando sospesi i due solai in calcestruzzo armato.

Nella pagina affianco: elaborati grafici: a sinistra: foto-ricostruzione del prospetto sud; a destra: mappa del degrado del prospetto sud.


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DEPOSITO DI UREA (1986) La forma dell’edificio è determinata dal prodotto che sarà in esso contenuto in modo proporzionale alla posa sul terreno ed al cono che si forma nella caduta del materiale verso il centro dell’aula. Questo determina la forma circolare del deposito e la relativa altezza. L’edificio cupolato presenta uno strato bituminoso in copertura, in parte perso a causa delle acque meteoriche, che hanno lasciato scoperto lo strato sottostante della copertura in cemento armato. Alla base della cupola, il cornicione, per via dell’acqua ristagnante presenta la comparsa di vegetazione lungo tutto il perimetro. La fascia di aperture mostra gli infissi in grave stato di degrado dovuto all’ossidazione delle parti metalliche e la mancanza di parti vetrate. La muratura di tamponamento, in corrispondenza del varco l’ingresso, a causa della rimozione delle chiusure metalliche, ha subito distacchi e presenta gravi mancanze che lasciano scoperti i laterizi ed il calcestruzzo sottostanti l’intonaco di rifinitura. Le pareti risultano ben conservate, lo strato pittorico preserva ancora il colore nei diversi anelli di elevazione. E’ possibile notare solo alcune gore di dilavamento e un deposito superficiale. Patina biologica e erbe infestanti deturpano la base dell’edificio a causa dell’umidità di risalita.

Elaborati grafici: In alto: posizione dell’edificio nell’area; sotto: i materiali nel prospetto analizzato. Nella pagina affianco: in alto: foto-ricostruzione del prospetto ovest; in basso: mappa del degrado del prospetto ovest.

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SMART CITY IL FUTURO URBANO : LA SMART CITY COME RENDERE FIER SMART? banda larga

NUOVA ENERGIA PER FIER

migliorare

crescita

bisogni

comunità

partecipazione

economiaverde

300


analisi

sistemi

internet

infrastrutture affari

qualitĂ dellavita

privato

connettivitĂ

salute

auto

lavoro

servizi

trasporti

sostenibilitĂ

discussioni

pubblico

cloud

e

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IL FUTURO URBANO: LA SMART CITY La Smart City si pone come una grande opportunità per gestire in modo più efficiente il futuro delle città. L’applicazione estensiva ed intensiva delle tecnologie dell’informazione e comunicazione ai servizi pubblici, la gestione della somministrazione e del consumo di energia o di acqua, il miglioramento dei trasporti e della mobilità, la sicurezza pubblica e la protezione civile, sino alla creazione di un ambiente favorevole per le attività commerciali ed economiche ad alto valore aggiunto, costituiscono la chiave per la trasformazione della città tradizionale in una Smart City. Il termine Smart City , impiegato da più di vent’anni, si riferisce a un concetto di città sostenibile, che offre una gamma di servizi e prestazioni, che portano al miglioramento della qualità della vita dei suoi abitanti, e allo stesso tempo permette alla città di incrementare la sua competitività e la sua capacità di crescere economicamente. L’obiettivo di una città intelligente è combinare in un modello urbano, la tutela dell’ambiente, l’efficienza energetica e la produttività economica. Si tratta di un ecosistema in cui infrastrutture, servizi e tecnologia si uniscono al fine di offrire un ambiente a misura d’uomo, in cui il risparmio energetico, la riduzione delle emissioni e il controllo dei consumi sono parte della vita. La Smart City si erige come una grande opportunità per la gestione efficiente di un tessuto urbano di grande eccellenza. Questo concetto è molto giovane e sicuramente ampio. Si adatta a definizioni di vario tipo, a seconda del metodo d’analisi a cui è indirizzata. Tecnici, architetti, imprenditori commerciali, industriali e la pubblica amministrazione in generale affrontano il concetto da punti di vista differenti. La Commissione Europea, nella sua comunicazione Smart Cities and Communi-

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ties - European Innovation Partnership, (luglio 2012), seleziona come aree prioritarie d’intervento le seguenti tre: energia, trasporti e ICT. L’obiettivo dell’ applicazione della tecnologia a queste tre aree è quello di migliorare l’efficienza e ridurre i consumi energetici e le emissioni di gas serra. In questo documento si analizzano l’impatto e il rapporto di questi tre settori dal punto di vista di un progetto architettonico . Utilizzo di energia rinnovabile in città / Sistemi efficienti di riscaldamento e aria condizionata / Sistemi di illuminazione intelligenti ed efficienti / Gestione intelligente delle infrastrutture e dei servizi pubblici / Sicurezza / Salute / Progettazione di edifici ad alta efficienza energetica / Utilizzo di materiali da costruzione ad alta efficienza energetica / Applicazione di contatori intelligenti ( SmartMeters ) per la fornitura di energia e acqua / Governo e Cittadinanza (Smart Governance) / Gestione in tempo reale dell’approvvigionamento energetico / Sistemi di stoccaggio dell’energia / Applicazione di sistemi informativi per facilitare la gestione della domanda di energia / Trasporto pubblico basato su energie alternative / La mobilità urbana e dei trasporti sulla base delle TIC per ridurre i consumi e le emissioni di gas serra / L’uso di veicoli elettrici e la sua integrazione in Smart Grid / Ridurre l’ impronta di carbonio dei centri di elaborazione dati e di apparecchiature per le telecomunicazioni / Sviluppo, istruzione, capitale umano e della cultura . Questo elenco non intende essere esaustivo, ma illustra come la tendenza attuale nell’interpretazione del concetto di Smart City si concentri sull’applicazione della tecnologia per la gestione dell’efficienza energetica e del servizio pubblico nel contesto urbano. Il concetto di SmartCity si sviluppa su sei categorie valutate mediante una


serie di fattori,ai quali si associano a loro volta degli indicatori che facilitano l’analisi dell’evoluzione della città verso il concetto di Smart. Il progetto di Smart City è stato maggiormente attualizzato nelle città del mondo sviluppato; di certo non è una sorpresa, calcolando che le risorse finanziarie necessarie sono estremamente presenti in questi paesi. Tuttavia, anche le città di paesi in via di sviluppo hanno attivato tale progetto. “L’idea di questo laboratorio vivente chiamato SmartCity è quello di portare le tecnologie che sono disponibili nel mondo sviluppato e renderle accessibili a tutti al fine di dimostrare quanto in realtà non siamo così lontano da loro e che tali investimenti possono apportare benefici diretti non solo alla nostra comunità e alla nostra economia ma anche alla qualità della vita globale”. Claudio Inzunza, Chilectra.

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OBIETTIVI

Smart People Livello di qualifica posseduto, affinità a un percorso formativo che accompagni il cittadino per tutta la vita, pluralità etnica e sociale, flessibilità, creatività, livello di cosmopolitismo-apertura di mentalità, partecipazione alla vita pubblica.

Smart Mobility Accessibilità locale, accessibilità nazionale e internazionale, disponibilità di infrastrutture ICT, sistema di trasporto innovativo e sostenibile.

Smart Environment Attrattività delle condizioni paesaggistiche e naturali, livello di inquinamento, protezione ambientale, management delle risorse sostenibili.

Smart Economy Spirito innovativo, imprenditorialità, economic image e trademarks, produttività, flessibilità del mercato del lavoro, radicamento delle attività economiche nella società e nel contesto internazionale, abilità di adeguamento alle sfide future.

Smart Living Servizi culturali, condizione di salute, sicurezza individuale, qualità degli edifici abitativi, servizi educativi, attrattive turistiche, coesione sociale.

Smart Governance Partecipazione alle linee di costituzione delle politiche, servizi pubblici e sociali, governo trasparente, strategie politiche e prospettive future stabilite.

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COME RENDERE FIER SMART? FIER E L’EFFICIENZA ENERGETICA. L’uso razionale dell’energia e il conseguente risparmio energetico sono le prime fonti di energie rinnovabili e le più facili da applicare. Pertanto l’efficienza energetica è uno dei principali fattori nella lotta contro il cambiamento climatico ed è un mezzo affidabile di riduzione dei costi energetici per i cittadini e le città. L’efficienza energetica quindi è una priorità all’interno del nostro progetto di riqualificazione non solo dell’area industriale di Fier, ma di tutta la città. Le proposte progettuali per portare la città di Fier a un miglioramento dell’efficienza energetica prevedono: • Ristrutturazione di edifici pubblici e lo sviluppo d’impianti che possano renderli autonomi dal punto di vista energetico. • Miglioramento del trasporto pubblico e gestione complessiva del trasporto urbano con mezzi a basso impatto ambientale. • Sviluppo di una rete di teleriscaldamento e raffreddamento. • Aumento dell’efficienza energetica dell’illuminazione pubblica, ad esempio attraverso l’installazione di illuminazione a LED. • Sviluppo e installazione di energie rinnovabili all’interno dei confini della città, in particolare nella zona di progetto, prevedendo l’istallazione di una centrale a biomasse, capace di rendere il nuovo centro multifunzionale completamente autonomo dal punto di vista energetico. • Sistema di controllo e gestione integrato delle

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diverse reti impiantistiche su scala di quartiere ed edificio. cosa significa Smart City in un paese in crescita. Il progetto di smart city è stato maggiormente attualizzato nelle città del mondo sviluppato . Nella prima classifica delle città intelligenti in tutto il mondo, le prime otto città a piazzarsi erano in Europa e Nord America, con Tokyo e Hong Kong a chiudere tale classifica. Calcolando che le risorse finanziarie necessarie sono estremamente presenti in questi paesi non è una novità, ma anche le città di paesi in crescita hanno attivato tale progetto. In America Latina, in particolare a Rio de Janeiro, sono state attuate delle soluzioni per trasformare la città in smart city. Principalmente sotto la spinta dei finanziamenti che la città ha ottenuto, dovendo ospitare le olimpiadi estive. Anche a Buenos Aires sono stati attuati degli investimenti tecnologici in ambito smart city. Bogotà e Medellin in Colombia sono state altre leader regionali del movimento smart city . Molte delle iniziative per la smart city in America Latina non sono state basate sulla rapida adozione di tecnologia all’avanguardia. La città di Santiago del Cile ha annunciato una partnership di collaborazione con Ciudad Empresarial (un parco commerciale di alto profilo nella parte nord-est di Santiago ) per sviluppare un progetto pilota per l’integrazione della tecnologia high-tech nel sistema Smart. Il progetto, conosciuto come Smartcity Santiago dovrebbe essere stato completato nel 2013 e integrato nel parco commerciale. Tra le tecnologie: mobilità elettrica , e-health, case intelligenti e autosufficienti con l’integrazione di fotovoltaico ( PV), collegato ad una rete intelligente e con connessione Wi - Fi libera . SmartCity Santiago sarà il primo progetto in Cile a fornire


pieno supporto al trasporto pubblico ecocompatibile con le stazioni di ricarica per autobus e taxi . Fatto tesoro di questi pochi esempi...come rendere Fier smart? Una delle risposte a questa domanda è la produzione centralizzata di energia per climatizzare gli ambienti e ridurre l’impatto ambientale. E’ proprio per il bisogno di rispondere alle richieste amministrative di rendere Fier una città Smart che si è pensato di dismettere l’attuale centrale termoelettrica TEC e la raffineria in favore di un progetto di una centrale di trigenerazione alimentata a biomassa. Col termine trigenerazione intendiamo una centrale che sia in grado di produrre energia elettrica, termica e frigorifera. I vantaggi con questo impianto sono innumerevoli: sia in termini di minor consumo di combustibile per produrre la stessa quantità di energia (termica ed elettrica), sia in termini di minore emissione d’inquinanti in atmosfera, sia in termini di controllo delle emissioni in atmosfera, sia in termini di gestione e manutenzione degli impianti. La condizione necessaria affinché si verifichi l’effettivo vantaggio di questo tipo di centrale è una buona rete di distribuzione che minimizzi i costi di pompaggio e le dispersioni di calore nel tragitto centrale-utenza.

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NUOVA ENERGIA PER FIER COSA SI INTENDE PER BIOMASSA? “Con biomassa (Demoll) si indica la quantità di sostanza costituita da organismi viventi per unità di superficie o di volume”. (Lev Aleksandrovich Zenkevich, Fish-food in the Barents Sea. (Introduction). Reports of the first Session of the State Oceanographical Institute (Mosca, 14-22 aprile 1931) E’ stata la prima definizione di biomassa nella storia introdotta agli inizi del XX secolo prima da Demoll e poi da Zenkevich. Attualmente per biomassa si intende “la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendenti sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”. Questa è la formulazione prevista dalla Direttiva Europea 2009/28/CE. In letteratura non vi è una definizione univoca di biomassa, la si divide in due gruppi: biomassa ecologica ed energetica. Dunque dal punto di vista energetico per biomassa si intende ogni sostanza organica derivante direttamente o indirettamente dalla fotosintesi clorofilliana. Sono comprese tutte le sostanze di origine biologica, tra cui materiali e residui di origine agricola e forestale, prodotti secondari o scarti dell’industria agro-alimentare e reflui di origine zootecnica. Le biomasse possono essere utilizzate come combustibili naturali per produrre energia elettrica e termica, direttamente o dopo opportuni processi di trasformazione in centrali apposite. Vanno però distinte diverse tipologie di biomasse, in base alle quali sono individuati diversi

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processi di trasformazione a causa dei diversi parametri da valutare, come umidità, quantità di carbonio e azoto. PERCHÈ LA BIOMASSA CONVIENE? La biomassa fa parte delle fonti energetiche rinnovabili, già il termine rinnovabile è sinonimo di reperibile, dovrebbe far intuire la convenienza di tale materia! Le biomasse e i combustibili da esse derivate emettono nell’atmosfera, durante la combustione, una quantità di anidride carbonica più o meno corrispondente a quella che viene assorbita in precedenza dai vegetali durante il processo di crescita. L’impiego delle biomasse a fini energetici non provoca quindi il rilascio di nuova anidride carbonica, principale responsabile dell’effetto serra, dunque la CO2 di ingresso è uguale a quella di uscita. Un altro vantaggio inoltre è la biodegradabilità. Mediante questo processo le piante assorbono dall’ambiente circostante anidride carbonica (CO2) e acqua, quindi le trasformano, con l’apporto dell’energia solare e di sostanze nutrienti presenti nel terreno, in materiale organico utile alla propria crescita. Quindi la biomassa è oggi considerata una fonte di energia rinnovabile, pulita e compatibile con l’ambiente e la salvaguardia dello stesso. ll progetto prevede l’utilizzo di legna, quindi è prevista la creazione di una centrale di trigenerazione di teleriscaldamento e teleraffrescamento. Le materie utilizzate sono il cippato, i pellets e il miscanto, quindi è proprio la materia in cui è immagazzinata energia solare. Le biomasse, prodotte e utilizzate in maniera ciclica, costituiscono una risorsa energetica rinnovabile e rispettosa dell’ambiente. Ha innumerevoli vantaggi: dal punto di vista ambientale conviene per la produzione di energia con


TIPICI PROCESSI DI CONVERSIONE DI BIOMASSA IN ENERGIA

impatto zero. Infatti la CO2 emessa dalla centrale è pari a quella assorbita dalle piante in vita. Un altro aspetto conveniente con impatto zero sulla natura è la ciclicità del processo, infatti non vengono intaccati ecosistemi esistenti, bensì il legno proviene dai normali tagli produttivi, dalla manutenzione dei boschi, dalle ramaglie, dagli scarti delle industrie di prima lavorazione del legno e da scarti agricoli o da colture energetiche. Inoltre il basso contenuto di zolfo e di altri inquinanti fa sì che, quando utilizzate in sostituzione di carbone e olio combustibile, le biomasse contribuiscano ad alleviare il fenomeno delle piogge acide.

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CENTRALE DI TRIGENERAZIONE: IL FUNZIONAMENTO

CHCP Cogeneration of Heat, Cooling and Power. La trigenerazione è un particolare sistema di generazione di energia. Per cogenerazione si intende un processo di trasformazione dell’energia chimica del combustibile in energia elettrica e termica. Con la trigenerazione a questo processo si somma la produzione di energia frigorifera. Nel caso specifico di progetto, viene utilizzato un sistema caldaia-turbina a vapore da dove viene spillato il vapore per l’assorbitore che trasforma l’energia termica in energia frigorifera. Il funzionamento: Il cippato stoccato in bitte, viene bruciato in una camera di combustione. Tale processo può avvenire in caldaie a griglia fissa o mobile. Le caldaie a griglia fissa hanno solitamente potenze inferiori e si adattano peggio al variare delle caratteristiche fisiche (dimensioni e umidità) del cippato; di contro hanno un costo minore. Le caldaie a griglia mobile consentono l’avanzamento del combustibile mediante griglia mobile inclinata, per un efficace controllo dello spessore del letto anche in condizioni di rammollimento e parziale fusione delle ceneri. Il vapore prodotto attiva una turbina a vapore, producendo energia meccanica che sarà convertita in energia elettrica mediante un generatore elettrico. Dalla turbina viene spillato vapore, che sarà poi riutilizzato per fornire energia termica. A questo processo di cogenerazione viene affiancata la generazione di energia frigorifera, con l’introduzione di un gruppo frigo ad assorbimento. I gruppi ad assorbimento funzionano secondo un ciclo frigorifero ad assorbimento per produrre freddo. Questi gruppi impiegano una fonte di

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calore che è alimentata direttamente usando un bruciatore a gas o indirettamente utilizzando vapore, acqua calda o calore residuo.

Dall’alto: centrale di cogenerazione ad Ancona; centrale di cogenerazione a Torino nord; centrale di cogenerazione-skate park a Bressanone; impianto di cogenerazione a Copenhagen Danimarca.


SCHEMATIZZAZIONI DEL FUNZIONAMENTO DI UNA CENTRALE DI TRIGENERAZIONE.

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Condizione necessaria perché la maggiore efficienza ottenuta dalla centralizzazione non vada perduta, è la possibilità di fornire l’energia prodotta attraverso reti di distribuzione che minimizzino le dispersioni di calore nel trasporto dalla centrale agli utenti. Ciò sta alla base dello sviluppo degli impianti di teleriscaldamento e teleraffrescamento, ovvero il sistema che prevede la distribuzione di acqua calda e fredda nelle città attraverso reti di tubazioni. A tal fine è importante la corretta progettazione della rete di distribuzione, la quale dipende principalmente da due fattori: tipologia della centrale di produzione dell’energia termica e dislocazione geografica delle utenze. STRUTTURA DELLA RETE Tutti gli impianti di teleriscaldamento o teleraffrescamento sono dei sistemi chiusi, in cui il fluido vettore termico (generalmente acqua calda o surriscaldata) circola in un sistema chiuso composto da una tubazione di mandata ed una di ritorno. La struttura della rete tiene conto della dislocazione territoriale delle utenze esistenti e di quelle acquisibili, in base allo sviluppo urbanistico della città. Si distinguono tre diversi tipi di configurazione della rete: reti ad albero, reti ad anello e reti a maglie.

RETE AD ALBERO Si individua una direttrice principale in corrispondenza delle grandi utenze e dei baricentri delle utenze medie e piccole, da cui si dipartono le diramazioni. Richiede condotte di grosso diametro nei tratti iniziali.

RETE AD ANELLO Consiste in un circuito chiuso sia sul percorso di andata che su quello di ritorno, con possibilità di alimentazione da entrambi i lati. Comporta quindi una maggiore affidabilità e si presta maggiormente a future estensioni.

RETE A MAGLIE E’ costituita da una serie di circuiti chiusi collegati in diversi punti e consente la massima flessibilità di regolazione e di ampliamento, ma a causa dei maggiori costi viene utilizzata solo in situazioni di elevata densità di utenze.

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Nella progettazione di un impianto di distribuzione di teleriscaldamento e raffrescamento è importante valutare una serie di parametri affinché venga individuato un percorso ottimale che permetta di minimizzare i costi di pompaggio, i costi della rete stessa e di aumentare l’affidabilità intrinseca della rete in rapporto alla geometria e la percorribilità del sottosuolo da intralci alla viabilità. Un’altra componente fondamentale è la scelta dei diametri ottimali, il tutto si riconduce fondamentalmente al semplice criterio del minimo costo complessivo della rete. Altro elemento fondamentale per questo impianto è il tipo di allacciamento, che può essere diretto e indiretto. Il primo prevede l‘alimentazione dell’utenza direttamente dalla rete di teleriscaldamento. Il secondo prevede la separazione dei circuiti, mediante una sotto-centrale. Questo scambiatore di calore ha il compito di separare il circuito secondario delle utenze da quello primario della rete di distribuzione. Quest’ultima è stata la soluzione adottata nel progetto perchè preferibile, in quanto preserva l’autonomia di ciascuna utenza.

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RETI DI DISTRIBUZIONE Il sistema di distribuzione è la parte più costosa del sistema di teleriscaldamento e può utilizzare diversi tipi di fluidi: vapore, acqua calda, acqua surriscaldata e oli diatermici. Nel caso specifico del progetto utilizzerà acqua calda per il teleriscaldamento e acqua fredda per il teleraffrescamento, per cui ci saranno un circuito di mandata e uno di ritorno in entrambe le condizioni. Vengono utilizzate tubazioni preisolate; rispetto alle prime versioni si sono raggiunte ottime prestazioni, sia in termini di affidabilità e durata (la durata minima prevista è pari a 30 anni a temperatura d’esercizio di 120°C), sia in termini di proprietà isolanti. Il tubo preisolato è una struttura a sandwich costituita da un tubo di servizio, normalmente in acciaio, utilizzato per il trasporto del fluido, uno strato circostante d’isolamento in schiuma poliuretanica (PUR), ed uno strato di rivestimento esterno in polietilene ad alta densità (HDPE). All’interno della schiuma poliuretanica vengono installati uno o più fili sensore per il rilevamento e la localizzazione delle eventuali perdite di fluido dal tubo di servizio, o infiltrazioni di umidità all’interno dell’isolamento. Le tubazioni utilizzate sono chiamate bonded, ovvero bloccate, perchè le tre componenti di cui è costituito il tubo sono ben saldate tra loro, impedendo scorrimenti. Questa caratteristica favorisce la resistenza a taglio delle tubazioni. Dal momento che la struttura del tubo è unica , i movimenti causati dalle dilatazioni termiche si trasmetteranno dal tubo in acciaio più interno fino al tubo esterno di protezione, il quale è soggetto direttamente alla forza di attrito esercitata dal terreno. Le tubazioni preisolate vengono

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comunque sempre installate in un letto di sabbia fine, ad una profondità minima che dipende dalle condizioni superficiali. Un altro sistema di posa in opera è quella in cunicoli. I cunicoli possono essere di tipo ispezionabile, anche comuni ad altre utenze, con tubazioni fissate alle pareti mediante staffe, oppure non ispezionabili, con tubazioni appoggiate al fondo. Nel caso di tubazioni interrate occorre proteggere la parte superiore della tubazione con uno strato di terreno di almeno 60 cm, oppure con lastre di cemento, mentre la parte inferiore deve appoggiare su terreno o sabbia ben costipati. Comunque, le tubazioni devono essere sempre installate in un letto di sabbia fine, ad una profondità minima che dipende dalle condizioni superficiali.

Dall’alto: particolare in assonometria sfogliata di una tubazione tipo; sezioni longitudinale e trasversale delle tubazioni poste in opera in allettamento di sabbia; sezione tipo della posa in opera in cunicoli. Nella pagina a fianco , schema esplicativo delle sottostazioni a piastra e piccola cabina di gestione utenze.


SOTTOSTAZIONI DI SCAMBIO TERMICO Le sottostazioni di scambio termico sono il punto terminale della rete di teleriscaldamento, in quanto rappresentano il mezzo di consegna dell’energia termica all’utenza. La sottostazione viene installata in un opportuno locale all’interno dell’edificio utilizzatore, dove solitamente prende il posto della tradizionale caldaia. Se l’edificio è di nuova costruzione deve essere previsto un locale apposito destinato ad alloggiare le apparecchiature della sottostazione. Nel caso debbano essere serviti più edifici contigui, viene valutata la convenienza di realizzare una sola sottostazione in idoneo locale da connettersi poi agli altri edifici mediante rete secondaria di collegamento. La funzione principale della sottostazione è quella di dividere il circuito primario da quello secondario delle utenze. Gli scambiatori a piastre hanno una larga diffusione sulle reti di teleriscaldamento (con temperature inferiori a 140°C) per le loro caratteristiche di estrema compattezza, di totale prefabbricabilità in officina e facilità di manutenzione. Ogni sotto-centrale è equipaggiata con un misuratore dell’energia ceduta (contatore), una valvola di regolazione e limitazione della portata nel circuito primario, valvole di intercettazione e di sicurezza e altri accessori di regolazione.

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TABELLA DI STIMA APPROSSIMATIVA DEI CARICHI TERMICI ED ELETTRICI DEGLI IMPIANTI

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IMPIANTO SCHEMATICO DELL’AREA DELLA CENTRALE

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IMPIANTO DI PROGETTO, RETI DI DISTRIBUZIONE

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PROGETTO ARCHITETTURA E AGRICOLTURA PROGETTO E NEW ECONOMY I DOCUMENTI DI RIFERIMENTO ASSETTO ECOLOGICO APPROFONDIMENTI

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“L’Architettura è ciò che rende bella una rovina.” Auguste Perret

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ARCHITETTURA E AGRICOLTURA Lo scopo progettuale è quello di guardare al contesto in cui è inserita l’area industriale e ricucire le relazioni con il milieu o crearle ove mancanti. Nel caso dell’industria Gogo Nushi ci si rapporta con un recinto, concettualmente impenetrabile, nel quale galleggiano i grandi contenitori funzionali; tale chiusura è sia rispetto alla città che verso il sistema ambientale, che nel caso di Fier è estremamente significativo; questa discontinuità rispetto al contesto è propria degli insediamenti industriali socialisti. L’architettura del XX secolo ha stabilito un asse di riferimento preferenziale con il mondo dell’industria, adottandone la logica razionale delle tecnologie costruttive. Quest’alleanza strategica ha permesso all’architettura di rinnovarsi formalmente e all’industria di proporsi come modello della trasformazione del mondo. Adesso nei contesti dell’economia postindustriale la fabbrica ha perduto la sua centralità. Le altre logiche produttive, legate a tecnologie deboli e diffuse stanno elaborando nuovi modelli di riferimento che travolgono i fondamenti costitutivi forti dell’architettura. Essi sono volti a scoprire l’agricoltura come universo di processi naturali complessi, come sistema di trasformazioni ambientali in grado di fornire una serie diversificata di prodotti, capace di adattarsi a programmazioni reversibili, alimentata da energie ecocompatibili. Tale agricoltura non rappresenta più il mondo delle tecnologie industriali, al contrario occupa uno spazio nuovo di estrema sofisticazione giurisdizionale e produttiva. La città contemporanea negli ultimi vent’anni ha visto un rinnovo funzionale molto interessante rispetto al dismesso. Aree industriali trasformate in strutture per il tempo libero e la creatività, in musei, in parcheggi. Aree terziarie trasformate in

alberghi, scuole, abitazioni. Chiese trasformate in uffici, gallerie, teatri. Ville divenute centri telematici, centri studi, centri di rappresentanza. Centri storici gestiti al pari di centri commerciali. Quella attuale è una silenziosa e profonda mutazione del concetto stesso di città come organismo efficiente e pianificabile. Si direbbe quasi che il mercato abbia smentito tutte le logiche funzionali e programmatiche elaborate dalla cultura industriale degli ultimi cinquant’anni. Questi eventi poco vistosi cambiano in profondità i fondamenti del progetto contemporaneo; portano in luce nuove categorie di riferimento sulle quali i modelli di urbanizzazione si fondano, introducendo il concetto di reversibilità delle destinazioni d’uso e di integrazione tra ambiente progettato e ambiente naturale.

Nella affianco: masterplan di progetto

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La direzione progettuale vede una relazione tra l’area dismessa e l’agricoltura come sistema fondante. La campagna si innerva di un sistema di micro-strutture, di servizi e relazioni che si integrano con quelle di maggiori dimensioni riservate agli oggetti di entità maggiore nella zona fisica dei capannoni. Eliminato il “recinto”, il sistema dei vuoti nel progetto si configura come uno spazio permeabile in grado di riattivare tramite il verde la connessione con il resto della città e con il sistema ambientale. Il disegno pavimentale non viene solo definito dai pieni di progetto, ma pensato come un pattern di percorsi pedonali, ciclabili e tranviari, una sorta di grande tartan di penetrazioni deboli incrociate, tracciate sulla pavimentazione, che costituiscono il tessuto omogeneo di distribuzione leggera che ricostruisce una attraversabilità totale dell’area. Su questo grande tartan urbano si dispongono i capannoni industriali rifunzionalizzati e gli oggetti di nuova progettazione. Il sistema dei campi penetra nell’area per mezzo di lingue di verde a quota pavimentale e a tratti si alza tramite delle rampe per diventare basamento, alto 5 metri, l’altezza delle passerelle interne dei capannoni. In questo modo si riorganizza un assetto planimetrico e al contempo alla quota del basamento si riconquista la sensazione di essere in una landa desolata nella quale si stagliano solo le preesistenze.

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PROGETTO E NEW ECONOMY Lo spettro funzionale si rifà al concetto del luogo “globale” della fiera : la molteplicità di usi e visitatori deve funzionare come riattivatore sociale ed urbano. Spazi di questo tipo attraggono utenze le cui differenze sono massimizzate piuttosto che minimizzate e hanno un incredibile potere di attrazione. La città diventa allora un motore economico e l’area rifunzionalizzata occupa un posto speciale, essendo un luogo privilegiato per sospingere l’”esportazione” di merci, sempre più virtuali, che si trasformano in servizi, cultura, informazioni. Si può dire che l’area sia divisa in tre macro sistemi: uno residenziale, un mix funzionale propriamente inteso e un grande sistema “verde”. L’area residenziale è costituita da un quartiere preesistente non pianificato, sorto come edilizia informale, condonato progressivamente nelle ultime legislature. Non essendo contemplabile la demolizione, si prescrive un riassetto della zona sulla base della lottizzazione irregolare preesistente e dei suoi recinti, preservando il sistema dei vuoti che potranno ospitare delle funzioni specialistiche un domani. Si predispone questo tessuto poroso, a maglia irregolare e ampia, ad una progressiva densificazione spontanea, in linea con la tradizione locale. In Albania è diffusa infatti la pratica di parcellizzare un lotto di proprietà e edificarvi nuove residenze nella misura in cui cresca la famiglia. In questo modo si decide di operare sulla città e sulla sua capacità di generare ricchezza e qualità di vita partendo da piccole modifiche chiave. Nella consapevolezza che questa sia una sperimentazione nel contesto albanese si ritiene doveroso immettere nel sistema degli input che potrebbero portare benefici a livello sociale, economico e urbano.

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Con uno sguardo alla città ci si rende conto di come il sistema ambientale che la caratterizza sia prettamente agricolo e che ci sia carenza di spazi adibiti a parchi gioco o ricreativi. Per questo si è deciso di destinare un’ampia area, quella della TEC a parco. Si presta in quanto è posta a conclusione del mix funzionale proposto per l’Azotiku, a diretto contatto con il sistema agricolo e il parco fluviale, con i quali conforma il macrosistema “verde”. A corredo di ciò relativamente all’area della raffineria, il tipo di intervento sarà mirato inizialmente alla dismissione di alcuni impianti ancora funzionanti per la produzione di energia, per sostituirli con una più ecosostenibile centrale a biomassa, con emissioni di CO2 pari a zero. L’area centrale, cuore del progetto, è anch’essa suddivisa in tre sottosistemi: uno ludico-ricreativo, uno che ha una stretta relazione con la campagna: la food industry ed il polo universitario, il cui cuore è la facoltà di agraria. Non tutti i capannoni e gli ambienti di nuova progettazione trovano una destinazione d’uso in quanto si propone che ampi spazi vengano destinati a nuove imprese, quelle caratteristiche dell’economia postindustriale, cioè quelle iniziative imprenditoriali che si sviluppano in maniera pulviscolare, legate alla creatività tecnologica, artistica, progettuale di massa. Questo tipo di imprenditorialità giovanile richiede infatti la realizzazione di intensi spazi relazionali ove si sovrappongano indifferentemente residenza, ricerca scientifica, laboratori, commercio, tempo libero, produzione agricola. A differenza dei vecchi zoning industriali, la new economy, come attitudine imprenditoriale di massa, si attua nei contesti di informazione culturale e critica. La configurazione programmatica consiste dunque in un tartan distributivo, disposto su un territorio totalmente


stazione

museo

attraversabile, definito da un asse principale, o forum, che si origina nella stazione dei tram (ex stazione dei treni) e prosegue lungo il cinema, il museo, la biblioteca per sfociare nella food industry che occupa tre capannoni recuperati ed un grande deposito cilindrico. Di qui si accede alla grande piazza rettangolare definita da alcuni capannoni, ove avranno sede i laboratori e i dipartimenti, dalla facoltà di agraria e dalla serra, realizzata in uno scheletro dell’industria e che si ricollega al grande parco della TEC, vasto cuscinetto di verde e mediazione tra l’area polifunzionale e il parco fluviale.

cinema

food industry

facoltĂ di agraria

serra e orto botanico

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I DOCUMENTI DI RIFERIMENTO Gli interventi sono pensati con uno sguardo al documento elaborato per gli anni 2011-2014 “Italia – Albania: governance ambientale e sviluppi sul territorio” promosso dal Gruppo della Banca Mondiale. Gli obiettivi sono sostenere il risanamento della crescita dell’Albania attraverso il miglioramento della competitività e sostenerla nell’affrontare i cambiamenti climatici. Lo step di partenza è un rafforzamento del quadro macroeconomico e il miglioramento nella gestione della spesa pubblica attraverso un progetto di riforma nel settore pubblico. Quest’ultimo passa attraverso il progetto LAMP che mira a modernizzare l’Ufficio per il Diritto sulla Proprietà Immobiliare e la registrazione del 75% delle proprietà non registrate. Il progetto LAMP sarebbe il punto di partenza per gli interventi descritti per la riqualificazione del quartiere a nord dell’area di progetto. La strategia CPS proseguirà altresì con l’implementazione di alcuni programmi rivolti al rafforzamento delle capacità del settore privato di adeguarsi agli standard europei e internazionali, e questo invece sarà di riferimento per lo sviluppo della new economy precedentemente descritta. Nel settore dei trasporti si sta finanziando il progetto “Secondary and Local Road” che ci interessa per quanto concerne Fier nell’area vasta. Il Gruppo Bancario intende incoraggiare il Governo ad attrarre investimenti dal settore privato attraverso il parternariato pubblico-privato e le concessioni; laddove possibile, sosterrà il settore privato attraverso l’erogazione di finanziamenti nel settore dei trasporti a seguito delle privatizzazioni. Il progetto che riguarda il recupero delle connessioni verdi può invece avvalersi del progetto “Water Resources and Irrigation”, che consiste nella riabilitazione di 1/3 del sistema d’irrigazione nazionale e

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nell’introduzione di meccanismi più efficienti di distribuzione dell’acqua. Il secondo punto, relativo ai cambiamenti climatici, mira a migliorare la conservazione, la gestione e l’uso efficiente delle risorse idriche, e il progetto si rifà a questo per tutte le operazioni circa il sistema ambientale. Il portafoglio degli investimenti in corso include progetti di sviluppo delle risorse naturali, attraverso i piani di tutela delle foreste, dei pascoli e dei micro-bacini d’acqua e la gestione integrata e il progetto di bonifica della zona costiera al fine di sostenere l’infrastruttura ambientale della costa meridionale. Ci saranno servizi di consulenza dell’IFC (advisory services for private participation in solid waste management) per la partecipazione dei privati nella gestione dei rifiuti e laddove possibile anche l’erogazione di finanziamenti diretti alle municipalità per lo sviluppo di interramento sanitario di essi (landfill) in concomitanza con la nuova legislazione nazionale e con le più rilevanti direttive dell’UE. Quest’ambito è molto rilevante non solo per il progetto di delocalizzazione della discarica prescritta a Fier, ma per tutta l’Albania. È previsto uno stanziamento di 275 milioni di dollari più la partecipazione privata promossa dall’IFC di 120-150 milioni. Gli investimenti dell’IFC saranno incanalati attraverso finanziamenti diretti in agrobusiness, energia e settore sociale. A questo documento si associa lo studio dei progetti NPP INTERREG/CARDS III A Italia- Albania già conclusi nell’anno 2006. È importante la loro conoscenza per comprendere quali settori potranno essere interessati dai finanziamenti futuri. I progetti si sono sviluppati secondo quattro assi: asse I - trasporti, comunicazioni e sicurezza; asse II - ambiente e sanità; asse III - sviluppo economico ed occupazione; asse IV - turismo, beni culturali e cooperazione istituzionale.


Italia – Albania: governance ambientale e sviluppi sul territorio

NPP INTERREG/CARDS III A Italia- Albania

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ASSETTO ECOLOGICO Il problema del deterioramento dell’assetto ecologico è fondamentale in un progetto come questo basato sull’integrazione degli antichi complessi industriali in un contesto strutturale eco-compatibile. Abbiamo esempi eclatanti ove la bonifica dei terreni possa essere esosa tanto quanto la realizzazione dei progetti di riuso. Per questo nel caso Gogo Nushi ci si rifà in parte al modello della Ruhr ove il tema del risanamento dei terreni contaminati è stato affrontato seguendo il principio generale di non spostare altrove le masse inquinanti, effettuando le bonifiche direttamente sul sito. In alcuni progetti le grandi quantità di scorie inerti e non pericolose hanno costituito il materiale per creare enormi sculture di terra, colline e piramidi. In altri casi, dove le sistemazioni prevedevano la realizzazione di parchi e giardini, le sostanze pericolose sono state isolate dal pericolo del dilavamento laterale e di penetrazione nelle acque di falda; al di sopra, in strati variabili da 50 cm a 2 metri, sono state poste grandi quantità di terreno fertile (ad esempio per il parco di Osterferld, su una superficie di 250 mila mq ne sono stati impiegati 300 mila mc), per permettere la crescita della vegetazione. Preso atto di questa pratica, il progetto vorrebbe spingersi anche verso alcuni campi meno esplorati in casi come questo, come il metodo biologico. Il fitorimedio è una tecnologia emergente di ripristino ambientale; si serve di piante erbacee o alberi per il trattamento di contaminanti come metalli pesanti, elementi radioattivi e composti organici nel suolo, nelle acque di falda, nelle acque superficiali ed in scarichi di origine agricola, civile o industriale. Il rimedio biologico sta progressivamente sostituendo alcune procedure di bonifica tradizionali grazie alla notevole riduzio-

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ne dei costi, alla minore quantità di materiale da rimuovere e alle caratteristiche estetiche dei siti trattati. Naturalmente ci sono anche degli svantaggi come l’estrazione limitata alla profondità delle radici e tempi di bonifica lunghi. La ricerca e la sperimentazione fervono in questo campo, in particolar modo in Inghilterra e Germania. Basti pensare che nel novembre 2012 un consorzio di ricerca britannico guidato dal Warwick Manufacturing Group (Wmg) dell’università di Warwick ha avviato un programma da 3 milioni di sterline chiamato “Cleaning land for wealth” (Cl4W), “Pulire la terra per il benessere”, che utilizzerà delle specie di fiori comuni per bonificare i terreni inquinati e per produrre nanoparticelle di platino ed arsenico. Si è scioperto che è possibile determinare le forme e le dimensioni delle nanoparticelle dei metalli che producono. Questo darebbe ai produttori di convertitori catalitici, sviluppatori di trattamenti contro il cancro e di altre tecnologie, i materiali necessari esattamente delle giuste forme, dimensioni e funzionalità di cui hanno bisogno, senza un successivo affinamento.

Nella pagina affianco: impianti di fitodepurazione in vasche di C.A.V. per fitodepurazione per reflui civili di 300 abitanti (1°,2°,3° img.) e per reflui industriali (4° img).


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Esistono diversi tipi di fitorimedio, da scegliere in relazione al contaminante e al substrato su cui si interviene. •Fitostabilizzazione: funziona tramite assorbimento ed accumulo dei contaminanti nell’apparato radicale, riducendone la mobilità nel suolo e nella falda. I contaminanti in questione sono i metalli pesanti. Le essenze utilizzate sono specie erbacee, alberi e piante acquatiche. •Rizodegradazione: permette la decomposizione del contaminante attraverso l’attività biologica degli organismi della rizosfera (batteri e funghi), quindi l’area interessata non si limita a quella radicale. I contaminanti in questione sono i composti organici (TPH, PAH, pesticidi, solventi clorurati, PCB). Vengono utilizzate piante erbacee, alberi e piante tipiche degli ambienti umidi su suolo, sedimenti, fanghi e acque di falda. •Fitoestrazione: lavora tramite la mobilitazione del contaminante dal suolo alla pianta, trasferendolo dalle radici alle parti aeree. Le stesse piante, adempiuta la funzione saranno a loro volta sostituite con altre. La fitoestrazione funziona con i metalli pesanti e i radionuclidi e si attua per mezzo di specie erbacee, alberi e piante acquatiche e di ambienti umidi. •Fitodegradazione: consiste nella mineralizzazione del contaminante ossia nel suo assorbimento tramite l’apparato radicale e la trasformazione per mezzo di processi vegetali. I contaminanti in questione sono alcuni composti organici come pesticidi, fenoli, solventi clorurati, BTEX. •Fitovolatilizzazione: il contaminante viene assorbito dalla pianta, eventualmente modificato nella sua forma chimica, e rilasciato dalle foglie nell’atmosfera attraverso il processo di traspirazione. Funziona con il mercurio, il selenio, l’arsenico, solventi clorurati e argento su supporto di terreno, sedimenti, fanghi e acqua.

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Dall’alto a sinistra, per colonne: I vari tipi di fitorimedio: fitostabilizzazione, rizodegradazione, fitoestrazione, fitodegradazione, fitovolatilizzazione.

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APPROFONDIMENTI L’attenzione progettuale si incentra su alcuni elementi ritenuti focali rispetto allo sguardo di insieme. Sono gli oggetti ritenuti più significativi tra le preesistenze. L’approfondimento mira a descrivere l’atteggiamento progettuale rispetto ad esse ed al contesto. Trattasi della stazione ferroviaria, del museo, della biblioteca della facoltà di agraria, della serra e del parco urbano progettato sull’area della TEC e del parco fluviale; descritte in quest’ordine per illustrare gli elementi progettati seguendo la passeggiata che un fruitore tipo godrebbe nell’area di progetto. In questo modo è possibile apprezzare gli approcci progettuali che variano caso per caso anche in base alle logiche del masterplan. La biblioteca della facoltà di agraria si differenzia dal resto in quanto il progetto si sviluppa totalmente all’interno del contenitore, non manifestandosi all’esterno. Negli altri casi vige la logica del basamento, per cui si può dire che il progetto attraversi la preesistenza, collaborando, soprattutto funzionalmente, con essa. Di seguito sono presentate una pianta coperture e la stessa con evidenziati gli elementi principali di progetto di seguito descritti.

A lato: pianta coperture con evidenziati gli approfondimenti progettuali.

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STAZIONE Nell’edificio che ospitava la stazione tranviaria, per scarico e stoccaggio delle merci, si prevede di mantenere la funzione originale di arrivo dei trasporti su ferro ora adibiti a connessione con la città per i fruitori dell’area. Il concept prevede in aggiunta la creazione di un piano basamentale che contenga nuove funzioni di servizio alla stazione, store, uffici e punti ristoro. Questo pacchetto funzionale occuperà dei box in cemento e vetro siti nelle campate laterali e affaccia sulla piazza longitudinale che accoglie i visitatori e mantiene come traguardo visivo la torre di prilling dell’impianto del 1986. Sul basamento si poggia l’aula longitudinale che accoglie i tram semplificando le linee di inviluppo della nuova stazione. La struttura preesistente viene lasciata intatta, l’unica modifica strutturale riguarda le facciate corte del corpo in cemento armato: vengono eliminate le tamponature per valorizzare la longitudinalità dell’edificio, sostituite con elementi in acciaio cor-ten con ampie aperture che lasciano intravedere gli spazi interni. Il motivo decorativo in cemento che caratterizza le bucature viene mantenuto intatto e restaurato laddove necessario, la torre che connette il terminal ai depositi dell’impianto viene snellita eliminandone una campata e valorizzata da un elemento luminoso che la rende un landmark. L’accessibilità è garantita da alcune rampe che collegano direttamente la piazza antistante alla banchina d’attesa; queste rampe libere saranno collocate esattamente dove erano gli originali accessi alla stazione enfatizzando la funzione pubblica del manufatto.

Al lato: foto della stazione ferroviaria. Nella pagina affianco: immagini prefigurative del progetto, interna ed esterna.

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MUSEO Tre oggetti, ad oggi separarti, sono quelli che nel progetto troveranno nuovo uso in maniera congiunta nella funzione museale. Questi sono due capannoni scatolari poggiati su una base pilastrata, che nella descrizione tipologica sono stati definiti ad aula, e un elemento verticale, cioè una torre di raffreddamento. I capannoni hanno un orientamento prettamente longitudinale e la torre è affiancata ad uno di essi. Il museo si trova sul margine di connessione tra il contesto rurale e quello maggiormente urbanizzato relativo al progetto. Proprio questa prossimità permette una compenetrazione dei due sistemi che confluiscono uno verso l’altro ibridandosi. Concettualmente i campi sovrastano la parte basamentale, invadendola. In tal modo si origina uno zoccolo abitato che superiormente reca le tracce del contesto agrario tramite suggestioni date dalle essenze e dal parterre secondo il quale sono disposte. Il basamento ingloba anche la parte inferiore della torre di raffreddamento che sarà destinata a sala espositiva all’aperto. Altri due oggetti non fruibili collegati alla funzione museale verranno invece lasciati liberi in una sottrazione materica esercitata sul basamento: due depositi sferici in acciaio, lasciati come monumenti a se stessi in uno specchio d’acqua e un elemento cavo a sviluppo verticale in cls che verrà rivestito con pannelli in corten e utilizzato come insegna, essendo all’ingresso del museo. La quota di approdo del basamento e delle rampe che salgono dai campi è di 5,20 metri ossia la quota della passerella distributiva dei capannoni; questa quota sarà quella che definirà l’orizzonte artificiale del progetto. I due elementi sono pressoché gemelli e allineati, salvo uno scarto di pochi metri, hanno una chiara aspirazione museale a percorso. È questo che motiva uno squarcio longitudinale nel basamento che li

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unifica, una lama di luce dalla quale si potrà indovinare, dalla quota zero, la complessità spaziale dei capannoni, singolarmente però; essi infatti rimarranno separati alla quota superiore, benché uniti funzionalmente e fisicamente dal basamento al di sotto dei 5,2 metri. Nello spazio di circa 25 metri compreso tra i due capannoni, si creeranno delle sale, simili a quelle presenti all’interno dei capannoni, proprio con l’intento di costituire un unicum. Al corpo delle due preesistenze, sui lati brevi, si affiancano dei corpi distributivi che contengono scale ed ascensori, tali corpi riprendono il profilo a capanna delle preesistenze, come fossero una estrusione di esse, svettando, come i capannoni sul basamento. Al di sopra della quota di 5,2 metri, corpi distributivi e capannone sono unificati da un unico rivestimento in pannelli che contiene anche il cappotto termico e rigira sul tetto (folding). Questo rivestimento è scansionato in maniera tale da ricordare la partitura sia orizzontale che verticale delle aperture di facciata. I pannelli in corrispondenza delle finestre sono apribili, ruotano sul proprio asse, conferendo un aspetto sempre mutevole alla facciata, che potrà essere modificata a seconda delle esposizioni che saranno ospitate nelle sale.

A lato: foto dei capannoni e della torre di raffreddamento. Nelle pagine seguenti: immagini prefigurative del progetto, interna ed esterna; sezione trasversale comprensiva di cinema; vista interno-esterno.


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TORRE Un elemento di forte impatto visivo ed evocativo è sicuramente la torre di raffreddamento. Data la sua imponenza anche a livello territoriale, ricopre un ruolo simbolico per l’industria e per la città. Nella torre posta in adiacenza al polo museale si è pensato di intervenire mantenendone intatto l’aspetto esterno per ragioni legate alla memoria; tutto il progetto riguarda lo spazio interno. La struttura interna composta da pilastri a raggiera sorreggeva delle griglie che svolgevano la funzione tecnico-funzionale, decaduta la quale si è scelto di mantenere gli elementi verticali in cemento armato e di utilizzarli per strutturare la nuova funzione espositiva. Un percorso circolare permette al visitatore di apprezzare la spazialità perimetrale trasformata in percorso espositivo scoperto, delimitato verso l’esterno dall’originale pilastrata obliqua che sorregge il cilindro. La selva di pilastri interni sorregge due sale che vengono contenute in un nuovo elemento troncoconico rovescio vetrato al piano terra e completamente chiuso al piano superiore con inclinazione uguale e contraria rispetto alle pareti della torre stessa. La distribuzione viene garantita da una scala elicoidale centrale, appoggiata ad un elemento cilindrico preesistente; la scala permette l’accesso ad una terrazza creata appositamente per far apprezzare la spazialità secca e metafisica dell’interno della torre con l’oculo in sommità che gioca con la luce proiettando sulle pareti forme sinusoidali.

Al lato: foto dei capannoni e della torre di raffreddamento. Nelle pagine seguenti: immagini prefigurative del progetto: pianta e sezione; vista dalla terrazza; vista dal piano zero.

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BIBLIOTECA FACOLTA’ DI AGRARIA All’interno della progettazione di massima della nuova facoltà di Agraria di Fier, si ingloba uno dei depositi cilindrici per destinarlo a piccola biblioteca. L’edificio della facoltà circonda il deposito, ne valorizza la forma e la funzione ponendolo al centro di una corte che diventa distributiva dell’intero edificio. Nel progetto della nuova biblioteca si lavora all’interno della struttura originale; un nuovo elemento come fosse un oggetto di arredo conterrà gli scaffali e le strutture in legno poste su tre livelli degradanti. Nell’asola tra la parete della struttura del deposito in cemento armato e quella del nuovo ci saranno gli spazi distributivi che permetteranno l’accesso ai livelli superiori e alle sale consultazione più intime. L’illuminazione è affidata alla luce naturale che penetra dalle bucature in sommità, subito sotto la struttura della copertura cupolata nervata, lasciata intatta. Lo spazio centrale circolare permette la visione dell’intera collezione di volumi disposta sugli scaffali, e contiene un desk informativo che accoglie e indirizza i fruitori. Sui ballatoi circolari trovano posto delle piccole sedute, che permettono di effettuare la consultazione rapida dei volumi, ricavate nel parapetto che affaccia sullo spazio centrale. Un’altra distribuzione, questa volta esterna, circonda l’elemento cilindrico e permette di salire dalla quota zero dalla corte. La differenza dei materiali è punto di forza per permettere la riconoscibilità di ciò che è nuovo e di ciò che è conservato, si mostra così al visitatore quella che era la vera conformazione di questo elemento architettonico, una volta contenitore di prodotti chimici e oggi di cultura.

A lato: foto del deposito. Nella pagina seguente: sezione prefigurativa del progetto.

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SERRA L’edificio che ospita l’attuale serra nasce come sala compressori e fa parte del primo comparto dell’industria Gogo Nushi, quello risalente alla fondazione del 1966. Si presentava, ad un primo rilievo, come un’enorme sala, con struttura portante in ferro e tamponamenti in laterizi intonacati, oggi quasi del tutto inesistenti. La parte ad est si presenta come la più integra, con gran parte dei muri di tamponamento ancora presenti, seppure con gravi mancanze e accompagnata, a sud, da un corpo aggiunto, probabilmente di servizio, parzialmente demolito. Ad oggi permane uno scheletro in ferro, totalmente ossidato, con copertura a spioventi tripartita, con la porzione centrale più alta, quasi a suggerire una tripartizione nella distribuzione interna, in realtà assente. Proprio dalla forma della sezione e dalla potente ed evocativa struttura in ferro (più di 121 metri di lunghezza per 21 di larghezza ed un’altezza di altri 19 metri) ci siamo fatti ispirare e dirigere nella creazione del nuovo progetto. Anche la particolare localizzazione nell’area ha avuto il suo peso nella progettazione. Posto esattamente al confine tra l’area dell’Azotiku e la vecchia TEC, quindi tra la facoltà di agraria e il parco, si presta a fungere da filtro ed a raccordare i due mondi: quello della grande piazza universitaria e l’ingresso al parco urbano precedentemente descritto. Al capannone viene giustapposto un ulteriore corpo, proprio per sfruttare l’oggetto della serra stesso come accesso al parco. La struttura preesistente e il corpo aggiunto vengono raccordati da una sorta di “nastro rosso”, una rampa che dalla piazza guadagna il basamento, definendo il fronte della piazza, dandoci modo di godere del paesaggio circostante a 360° da una prospettiva privilegiata

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e ci accompagna, lambendo e affacciandosi sulla serra centrale fino alla discesa nell’orto botanico, continuando poi lungo tutto il percorso nel parco. La rampa quindi occuperà la prima delle tre ipotetiche navate dello scheletro, mentre le altre due ospiteranno la serra vera e propria alla quale si potrà accedere dai due ingressi posti sui lati corti e per gli addetti ai servizi anche dagli spazi laterali sotto la rampa. Sotto la rampa, all’interno, uno spazio attrezzato lungo e stretto ospiterà piccoli ambiti con strumenti da lavoro e orti, oltre a fungere da passaggio al parco a quota zero per i laboratori della facoltà di agraria, ubicati nel corpo aggiunto, un volume a C, caratterizzato da una sorta di corte interna ad impluvium che inquadra uno specchio d’acqua e piante floreali, in un rapporto continuo tra la natura e il costruito . La struttura verrà rivestita con correnti orizzontali in corten, ma molto permeabili, creando un continuum con la copertura preesistente. In tal modo si restituisce una riconoscibilità formale allo scheletro senza oscurare la luce, indispensabile per la serra. Una struttura secondaria più esile e fitta sarà quella strutturale degli infissi delle pareti perimetrali della serra, della stessa natura della prima. Pochi e basici i materiali usati: vetro, ferro e calcestruzzo armato (per il basamento), tutto in piena coerenza con l’intervento generale, con il sito e la sua natura.

Al lato: foto del capannone. Nella pagina seguente: sezioni prospettiche prefigurative del progetto.


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PARCO Il paesaggio postindustriale viene totalmente stravolto: quello che negli anni ‘60 era elemento di discontinuità antropica diventa parte integrante dell’ambiente naturale. Proprio questa è la logica progettuale del parco, il quale gradatamente da una parte più urbana vicina all’area polifunzionale, si trasforma in natura più “selvaggia”, più vicina a quella ripariale del parco fluviale. A collegare le diverse aree verdi ci sarà un “nastro rosso”, una seduta-passerella, che abbraccerà tutte le aree tematiche del parco, iniziando da quella scientifica: qui sarà un puro segno pavimentale di connessione con la serra di agraria. Proseguirà passando per quella ludico-sportiva fino a giungere all’area sensoriale, riconnettendosi come una trama fondante anche nel parco fluviale. Il “segno” costeggerà l’intera lunghezza del Gjanica, creando un arteria connettiva ma di lieve impatto in concomitanza con la vera e propria arteria verde della città, che sarà il parco col fiume, rivalutando e ribaltando l’attuale scenario di degrado. Per quanto riguarda il parco fluviale, l’intervento adottato è prevalentemente naturalistico. Infatti lo scopo è quello di ridare al fiume il giusto spazio, riconquistando gli argini ormai del tutto fagocitati dall’abusivismo edilizio, con l’inserimento di nuove piantumazioni. Inoltre sarà un vero e proprio corridoio verde di collegamento tra la parte sud della città, l’ex Gogo Nushi e la parte a nord, ex discarica. Nella riqualificazione ambientale e paesaggistica è stata inclusa anche l’attuale discarica della città posta proprio a ridosso dell’incrocio tra i due fiumi Gjanica e Seman. Per tutta la lunghezza della cerniera verde sono previsti solo interventi di minuzia chirurgica, con l’eliminazione di edifici a ridosso dell’alveo e l’introduzione di percorsi sensoriali, sportivi, storici,

naturalistici e ciclabili, che saranno intervallati da punti e aree di sosta per offrire maggiore vitalità e senso di esistere a questa nuova arteria verde, che potrà ritornare a vivere grazie a mirate opere di bonifica e fito rimediation.

Nella pagina affianco: planimetria del parco TEC.

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