AL CONFINE TRA
REALTA’ E FINZIONE
MARIANNA
CENSI MORINI
TESINA PER ESAME DI STATO LICEO ARTISTICO GIUSEPPE TERRAGNI ANNO SCOLASTICO: 2015-2016
SOMMARIO 2/ 4/ 9/ 12 / 21 / 24 / 30 / 35 / 35 /
Introduzione Pirandello “Il fu Mattia Pascal” The Victorian age
“The strange case of Dr. Jakyll and Mr. Hyde”
Edward Hopper “Il Realismo Magico” Schopenauer
“Il mondo come volontà e rappresentazione”
La propaganda fascista durante la Seconda Guerra Mondiale Il Mockumentary o falso documentario Bibliografia Sitografia
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INTRODUZIONE Cindy Sherman è una delle principali artiste e fotografe americane della seconda metà del Novecento, lavora basandosi sull’allestimento di set ambientali. Approfondisce la sua ricerca artistica, esaminando questioni e temi legati all'identità multipla, alla manipolazione e alla costruzione dell’immagine femminile. Parla di donne stereotipate, del loro ruolo sociale e culturale, del rapporto tra il soggetto reale e la loro raffigurazione, portandole a interpretare ruoli rigidi e predefiniti. Prendendo come ispirazione l'arte, il cinema, la televisione, le riviste e lo spettacolo, la Sherman produce una serie scatti in chiave ironica e caricaturale, che hanno sempre per protagonista la stessa artista, la quale utilizza il suo corpo in maniera teatrale. La tecnica di montaggio usata dalla fotografa consente di svelare e mettere in evidenza l’artificiosità delle figure, le maschere sociali e le convenzioni della rappresentazione pubblica. Cindy Sherman attraverso la fotografia non racconta ciò che vede ma interpreta ciò che vuole. Il lavoro di questa artista punta a mettere in luce il rapporto, spesso conflittuale e sottile, tra l’Io autentico e la personalità sociale, avendo come punto fermo che realtà e finzione spesso sono due facce della stessa medaglia e l’una sconfina nell’altra.
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A partire da questo esempio contemporaneo, mi sono posta il problema di quanto sia difficile stabilire e riconoscere quale sia il confine tra realtà e rappresentazione. La questione è quanto mai attuale, ma porta dietro di sé una lunga tradizione. La mia ricerca teorica si è basata sulla consultazione di opere di scrittori, artisti e filosofi che hanno riflettuto sul tema, in quanto anche io sono convinta che realtà e finzione si intreccino e si completino a vicenda. Ho inteso soprattutto puntare lo sguardo sulla società contemporanea e metterne in luce i fenomeni sociali in cui è evidente questo tipo di compenetrazione. A questo proposito, la mia tesina ha titolo “Al confine tra realtà e finzione”.
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Pirandello e “Il fu Mattia Pascal” Introduzione Pirandello affronta durante tutta la sua produzione letteraria il tema della maschera e della finzione; le sue opere narrative e teatrali hanno evidenti risvolti psicologici che ben si collegano alla mia ricerca principale su cosa sia realtà, cosa invece finzione e come distinguere tra questi due piani che sono spesso facce di una stessa medaglia. In particolare, ne Il Fu Mattia Pascal, il protagonista sceglie di fuggire dalla sua vita reale per evitare complicazioni e intraprende una nuova vita basata sulla finzione, che però ben presto inizia a stargli stretta. Si evidenzia l’impossibilità per l’uomo di riuscire a scappare del tutto dalla realtà, nonostante le sue innumerevoli maschere. Vita di Pirandello Luigi Pirandello, scrittore, poeta e drammaturgo, nasce il 28 giugno 1867 nei dintorni di Girgenti, l’attuale Agrigento, nella villa detta “Il Caos”, da una famiglia borghese, che deve il suo benessere economico all’attività del padre, che dirige alcune miniere di zolfo. Di tradizione risorgimentale e garibaldina, Luigi Pirandello termina gli studi classici all’università di Palermo, poi si trasferisce a Roma presso uno zio, per frequentare l’università romana, ma in seguito ad un contrasto con un professore latino abbandona gli studi e si trasferisce a Bonn dove si laurea. Nel 1903 le miniere vengono distrutte a seguito di un allagamento e di una frana, nella quale la famiglia perde i capitali del padre e gran parte della dote della moglie. La famiglia subisce il fenomeno del declassamento e la moglie di Pirandello ne riporta un grave shock che manifesta attraverso crisi isteriche, che più tardi la porteranno al ricovero in un ospedale psichiatrico, anche a causa delle vicissitudini del figlio Stefano imprigionato per tre anni dagli Austriaci e poi rilasciato
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in condizioni pessime. La malattia della moglie è per Pirandello uno stimolo per studiare la psicanalisi di Freud. Il declassamento sociale influenza le opere di Pirandello, in cui ritorna spesso la descrizione del mondo della piccola borghesia e le frustrazioni di tipo economico-sociale. Nel decennio 1910-1920 scrive novelle, poesie, alcuni capolavori teatrali e anche romanzi. Pirandello ottiene molto successo attraverso il capolavoro teatrale Sei personaggi in cerca d’autore e diventa direttore artistico del teatro d’arte di Roma. Per ottenere maggiori appoggi da parte del regime al suo teatro, aderisce al Partito Fascista. Inizialmente, lo scrittore è convinto che il Fascismo si riconduca a ideali patriottici e risorgimentali e che rappresenti l'Italia futura pronta a divenire l'emblema di tutta l'Europa, ma ben presto si accorge delle pecche del regime. Nel 1934 Pirandello vince il premio Nobel per la letteratura e due anni dopo, il 10 dicembre 1936, muore di polmonite, lasciando incompiuto I giganti della montagna.
Vitalismo e relativismo conoscitivo Nell'elaborazione della sua poetica, Pirandello riprende la concezione filosofica di Bergson e l’idea di qualcosa in continuo movimento, vita intesa come un flusso continuo, un fiume di lava che scorrendo tende a raffreddarsi e, solidificandosi, si fissa in forme diverse. Pirandello sostiene che vi è una differenza tra vita (flusso continuo) e forma (cristallizzazione della vita in un ruolo, una "maschera" indossata dall'uomo nella società). L’idea del flusso richiama la concezione vitalistica, in cui la vita è un principio in continuo movimento, tutto spontaneità e niente ipocrisia: le persone danno libero sfogo al proprio vitalismo quando non hanno rapporti con gli altri, perché non devono recitare nessuna parte. Infatti, nella società ognuno recita un ruolo.
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Ciascuno di questi ruoli è una forma cristallizzata, una maschera che noi stessi ci imponiamo di indossare o che ci viene imposta dagli altri. Dietro alla maschera c'è la vita, cioè il continuo fluire che noi sentiamo dentro, ma che non conviene far emergere all'esterno. Non esiste un IO fisso, perché in un certo senso ognuno di noi è "Uno, nessuno, centomila". I rapporti umani sono in realtà una finzione, infatti Pirandello reputa che tra gli esseri umani non vi sia mai vera comunicazione, ma incomunicabilità, perché la vera vita è dietro tutte le maschere. Se la realtà non si può fissare in schemi totalizzanti allora non esiste una verità oggettiva e condivisa, ma ognuno ha la propria visione della realtà. Questo concetto prende il nome di relativismo conoscitivo.
La trappola della vita sociale Secondo l'autore, che vede in maniera molto negativa la società, l'uomo si trova ad affrontare due trappole: la famiglia, che toglie ogni spontaneità e libertà e la condizione economica-sociale, determinata da un lavoro sempre uguale e per questo monotono. La ripetitività arresta il flusso vitale. Ci sono però due modi per sfuggire a queste trappole: la follia o il rifugio nel mondo irrazionale dell'immaginazione. Riassunto dell’opera "Il fu Mattia Pascal" Il romanzo, ambientato in Liguria, a Miragno, ha come protagonista Mattia Pascal, uomo che ha ereditato dal padre una grossa fortuna, ma è ridotto in miseria da un amministratore che approfitta della sua inettitudine. Mattia si vendica dell'amministratore seducendo la nipote e mettendola incinta, ma viene costretto ad un “matrimonio riparatore”. Il matrimonio per lui è una trappola, resa ancora più dura da sopportare a causa della presenza della suocera. Ridotto in miseria, Mattia è costretto ad accettare lo squallido lavoro del bibliotecario, un'altra trappola che concorre a rendere la vita del protagonista un continuo subire.
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Per sfuggire a questa situazione, Mattia lascia il paese con l'idea di imbarcarsi per andare a far fortuna in America, ma sulla strada per Marsiglia si ferma al casinò di Montecarlo, dove fa una grossa vincita, che risolve la sua situazione economica. Mentre viaggia in treno per tornare al paese, Mattia legge su un giornale locale che è stato trovato un cadavere di un uomo riconosciuto con il suo nome dai familiari: questo episodio gli offre l'appiglio per dare una svolta definitiva alla sua vita. Approfittando dell'errore, Mattia può così liberarsi dalla sua precedente forma, ma, invece di lasciarsi andare al flusso della vita, si imbatte in una nuova maschera, quella di Adriano Meis, di cui costruisce l'identità e l'aspetto esteriore. Decide di trasferirsi a Roma, in affitto presso una famiglia. Scopre però che questa sua nuova identità ha dei limiti: lui ama Adriana, la figlia del proprietario della casa, ma non può sposarsi con lei perché non possiede un certificato di nascita, non può comprare un cane perché dovrebbe registrarlo in comune e addirittura subisce un furto che non può denunciare. A quel punto scopre che la sua nuova condizione in realtà non è altro che una nuova forma di prigionia. Decide allora di riprendersi la sua vecchia identità simulando un suicidio, lasciando degli indizi su un ponte. Tuttavia, quando il protagonista si presenta a casa con l'identità di Mattia Pascal, scopre che la moglie si è risposata con il suo migliore amico, dal quale ha avuto una figlia. Riprende allora il suo posto in biblioteca ed è proprio qui che scrive la sua biografia. Il finale è tra il comico e il triste: il protagonista discute con il prete di ciò che si può ricavare dalla sua esperienza. Il prete sostiene che fuori dalle regole (maschere) non è possibile vivere. La conclusione è data da un'immagine: il protagonista guarda la sua tomba, vi depone una corona di fiori e a un curioso che gli domanda chi è risponde: “Eh, caro mio ... Io sono il fu Mattia Pascal”.
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Analisi Nel romanzo, narrato in prima persona dal protagonista (narrazione omodiegetica con focalizzazione interna) l’autore affronta il tema dell’impossibilità per l’uomo di avere un’identità fissa. Mattia Pascal, dopo aver simulato la sua morte e quella di Adriano Meis, il personaggio attraverso cui aveva cercato di vivere un’esistenza più spensierata, torna nei suoi vecchi panni. La voce narrante condivide con il protagonista l’instabilità e la precarietà della realtà raccontata: i personaggi mentono, fingono e si calano in ruoli che non sentono propri (il marito, il bibliotecario), trappole imposte dalla società in cui si è costretti ad indossare delle maschere. Uno dei caratteri principali del romanzo è appunto quello della finzione che connota ogni gesto “sociale”, compreso quello del narrare; Pirandello traccia la propria concezione di una realtà instabile e relativa, così come è relativa e instabile l’identità umana, non fatta di persone ma di maschere. La tematica del romanzo e in genere dell’intera opera pirandelliana non è del tutto nuova, ma già nel 1800 era motivo di riflessione per diversi artisti e letterati; in particolare, è durante l’Età Vittoriana in Gran Bretagna che si evidenziano grandi contraddizioni all’interno della società, tra quello che si vuole mostrare in pubblico e quella che invece è la realtà dei fatti. Si indaga sul dualismo presente in ogni essere umano: a questo proposito basti ricordare il celeberrimo romanzo Lo strano caso di Dr. Jekyll e Mr. Hyde (1886), di Robert Louis Stevenson.
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The Victorian Age and “The strange case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde” The Victorian Age: a two-faced reality and the Victorian compromise The Victorian Age started in 1830 and ended in 1901. Queen Victoria’s reign was the longest in the history of England. The Victorian Age was a complex and contradictory era: on the one hand, it was the age of stability, progress and great social reforms; on the other hand, it was full of poverty, injustice and social contrasts. At that time, the power of England was enormous because of the richness of the empire; Great Britain improved raw material and exported finished goods around the world. By the mid-1800s, it was the largest exporter and importer of goods in the world. Due to the British success, the English wanted to bring their values, customs and laws to the savages places and people around the world. This was called “The English Burden”. This was also the period of explorations as the ones in Central Africa. The Victorian Age was an age of social and political reforms, in order to guarantee better conditions to all classes of society: child labour was regulated; it was established a system of workhouses for poor people; the Second Reform Act gave the vote to skilled working men and, then, to all male householders. British Empire grew thanks to Industrial Revolution and technological advances, such as steam hammers and locomotives. Another positive aspect of that era was the economical progress: the symbol of this extraordinary growth was the Crystal Palace, built for the Great Exhibition of 1851 and destroyed by fire in 1936. This great development brought also many problems, such as overcrowding, pollution and health diseases due to fuel and coal, lack of hygienic conditions and crime, particularly in the slum districts.
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Houses were overcrowded, most people lived in miserable conditions and the contamination of virus was easy. In 1858 there was a period called “the great stink”: this expression was used to describe the terrible smell in London coming from the Thames, due to the lack of clean water. Not only in the city, but also in people's behaviour there was a big dualism: the Victorians were great moralizers and they felt obliged to maintain a right behavior and strong values in public. They promoted a code of values that reflected an ideal world, like they wanted it to be, not as it really was, based on charity, hard work, personal duty and decorum. Decorum meant that in traditional British family the husband represented authority, while the wife was subjected to male and she had to think to her children's education and to the managing of the house, the “refuge” for her husband. A widespread phenomenon was philanthropy, which absorbed the energies of thousands of Victorians and consisted in helping poor people with charity organisations: in reality, it didn’t eliminate problems but helped middle classes to show they were good people. In fact, there was a big gap between middle and lower classes: the last one, the working class, had big problems. People were forced to live in degraded conditions and in overcrowded rooms; young children were forced to work as chimney sweeps, in mines and in textile mills. Poverty and debts were considered crimes that were punished with imprisonment.
Robert Louis Stevenson and “The strange case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde” The Scottish writer Robert Louis Stevenson captured the mood of change of the last decades of the 19th century and expressed the moral duality between good and evil in his psychological novel The strange case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde, published in 1886. In this novel, hypocrisy of this age is embodied by the
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double, which is a second self separated by the original one, but in a dependent relationship with it.
The plot The story takes place in the London of the 19th century. Dr Jekyll is a scientist who leads a quiet life. He is obsessed with the idea that his evil tendencies can be separated from his good side. He mananges to discover a drug that separates the two sides and gives birth to two beings: Dr. Jekyll, who is a respectable man with a degree in Medicine, and Mr. Hyde, who is an evil genius. Between Dr. Jeckyll and Mr. Hyde there is a strange and complicated relationship: they are in a eternal struggle and the only solution is the choice between the good man and the evil one. But, when Dr. Jeckyll finds that his dark side has grown, he decide to commit suicide and kills Mr Hyde. This choice implies that man’s salvation is based on the killing of one part of his nature, if he wants to live in a civilised society. The analysis The novel is a perfect example of Victorian fiction. The names Jekyll and Hyde have become synonymous with multiple personality disorder, that was explained by the view point of Freud's structural theory of the mind. Stevenson seems to make a comment about the dualism present in each man but also in society, where the aristocracy was elegant and refined, but it had dark secrets to hide. Actions take place in the night and in the poorer districts of London. The relationship between Dr. Jekyill and Mr.Hyde, even if seems to be in a total antithesis, because they diametrically have opposite characters, involves a complicated dynamic. Even in Victorian England — which considered itself the height of Western civilization — Stevenson suggests that the instinctual side of man, remains strong enough to kill who want to hide it, as Dr. Jekyll does.
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Mentre in Gran Bretagna si rifletteva sulle contraddizioni della società e sul dualismo tra bene e male presente in ogni uomo, dall’altra parte del mondo, in America, le arti visive tentavano di rappresentare la realtà così per come essa è, in modo preciso e minuzioso. Tuttavia, quello che emerge, sullo sfondo di un paesaggio fortemente modificato dall’uomo, dove l’urbanizzazione e l’industrializzazione si sono imposte pressoché ovunque, è un senso di straniamento e solitudine, come se l’essere umano fosse una maschera, privato della sua soggettività e immerso in un meccanismo più grande e sempre in movimento, cioè la società. Rappresentante di questa corrente, denominata poi Realismo magico, è E. Hopper.
Edward Hopper e il Realismo Magico “Il termine Realismo Magico talvolta si riferisce all'opera di pittori che servendosi di una perfetta tecnica realistica cercano di rendere plausibili e convincenti le loro visioni improbabili, oniriche o fantastiche.” (Alfred H. Barr Jr.) Il termine “realismo magico” fu utilizzato per la prima volta dal critico tedesco Franz Roh negli anni ’20 del Novecento (1925) per indicare il realismo insolito del movimento pittorico postespressionista tedesco. Per descrivere le nuove ricerche svolte sul piano dell’oggettività e della rappresentazione, Roh parla di una “struttura solida e come cristallizzata nel vago fluire”. In seguito il “Magischer Realismus” si sviluppò in Europa e toccò principalmente l’arte. Quella del “Realismo Magico” è una poetica che si pone a metà strada tra la rappresentazione della realtà e l’elemento magico surrealista, che recupera in parte la metafisica del quotidiano producendo un effetto straniante.
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L’intento principale di questa corrente artistico-letteraria è la descrizione precisa e meticolosa della realtà, che non tralascia alcun dettaglio, ma attraverso l’uso di elementi magici consegue un effetto di “straniamento”. I dipinti di Edward Hopper sono semplici: ritratti, scene domestiche o quotidiane. Guardando però attentamente le opere ci si accorge che sono fredde perché questi artisti rappresentano la realtà ponendone in risalto il suo aspetto più misterioso, inquietante o, appunto, magico come se la realtà prendesse coscienza di sé stessa. In Italia lo scrittore Massimo Bontempelli elabora il concetto di Realismo Magico, che ha i suoi principali esponenti in Antonio Donghi, Felice Casorati e Cagnaccio da San Pietro. Questo movimento prende spunto dalla tradizione nazionale e particolarmente dalla tradizione figurativa italiana della classicità rinascimentale del Trecento e del Quattrocento. I tratti di questa corrente sono una resa della realtà precisa, ben definita nello spazio e curata nei minimi particolari; i personaggi che fanno parte dello scenario, il quale sembra essere incantato e avvolto in una magica sospensione, vivono in una situazione di classicità assorta e spesso dall'effetto inquietante. Tra gli esponenti americani degli anni ’30 grande rilievo ha l’artista Edward Hopper.
Edward Hopper “Se potessi esprimerlo con le parole non ci sarebbe nessuna ragione per dipingerlo.” (Edward Hopper) Edward Hopper (Nyack – New York, 1882 – New York, 1967) può essere visto come il perfetto rappresentante del sogno americano: dal non vendere nemmeno una tela arrivò ad essere considerato un gigante dell’espressività moderna e ad apparire sulla copertina della rivista Time.
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L’artista studiò alla New York School of Art dapprima illustrazione e poi pittura e viaggiò molto, visitando l’Europa. Nella maggior parte delle sue opere, Hopper indagò la vita della città moderna, raffigurando stazioni ferroviarie, stanze d’albergo, negozi, vetrine, lampioni e distributori di benzina. Le scene sono caratterizzate da accostamenti di colori intensi e vividi, da una luce cruda e teatrale e da figure dai contorni netti che sembrano estranee all’ambiente in cui si trovano. Tutta la produzione sembra incarnare un senso di inquietudine, solitudine, alienazione e tensione psicologica. Questo fa di Hopper una figura fondamentale non solo per la storia dell’arte, ma anche per la psicologia americana. Trasformazioni del reale
“Forse non sono molto umano. Il mio desiderio era di dipingere la luce del sole riflessa sul muro di una casa.” (Edward Hopper) Le opere di Hopper ritenute realistiche sono sempre ricostruzioni che vanno al di là della pura esperienza quindi non sono semplici rappresentazioni di una realtà riproducibile. I suoi dipinti trovano un baricentro segreto in ciò che non espongono esplicitamente, mettendo in scena generalmente un modo di vedere e un tipo di lettura capaci di unire la situazione raffigurata, che ammette una sola interpretazione decifrabile, a qualcosa di profondo. Oltre al fatto che i soggetti dipinti dall'artista risultano determinanti, le scene rappresentate presentano una doppia codificazione: la raffigurazione di un ambiente americano a lui contemporaneo e la precisione realistica nei dettagli, dipendono dal principio di straniamento, il quale mette in risalto soprattutto le fratture della vita moderna rappresentata. A volte l’elevata minuzia nella rappresentazione dei tratti realistici dei quadri
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diventa l’elemento in grado di conferire al reale un effetto fantastico. In Hopper la trasformazione del reale e di ciò che viene ritratto mimeticamente ha una doppia motivazione: una estetica e una psicologica. Il pittore ritrae gli oggetti senza essere realmente interessato ad essi, in quanto li considera semplicemente dei mezzi per raggiungere il suo fine, che è la reazione intima all’oggetto, la sua esperienza interiore. Stanze d'albergo, notturni cittadini e paesaggi americani sono i soggetti presenti per la maggior parte nella sua produzione, infatti l'artista non è attratto da tutto ciò che rappresenta il progresso come i grattaceli, le fabbriche e le macchine, ma la sua attenzione si posa su case affacciate in riva al mare, prati attraversati da binari arrugginiti, pompe di benzina e caffè deserti, dove ogni cliente è immerso nel proprio isolamento. Tuttavia, i veri protagonisti delle sue tele sono la solitudine dei soggetti quotidiani e momenti di vita ordinaria. Nelle figure ritratte isolate si ritrova la medesima immobilità degli oggetti e delle situazioni rappresentate; quando dipinge più figure in una scena, i personaggi nonostante siano vicini nello spazio rimangono lontani e distaccati con la mente infatti le figure né comunicano né agiscono: Hopper cerca invece l'essenza dell'uomo al di là delle occupazioni quotidiane. Similmente a De Chirico, anche Hopper dipinge situazioni misteriose e irreali perché tutto appare immobile, silenzioso e dominato dal contrasto tra la luce naturale del Sole e le composizioni che rivelano invece un'atmosfera sospesa. La linea di confine tra ambiente interno ed esterno o tra quello naturale e urbano è la base da cui Hopper inizia a realizzare quasi tutti i suoi dipinti, che si legano inoltre a due tradizioni pittoriche caratteristiche della conclusione del moderno e dell’inizio del postmoderno. Il principio di straniamento dell’autentica realtà percettiva li rende paragonabili ai disegni di René Magritte: la capacità percettiva dell’osservatore è messa a dura prova nel momento in cui cerca di capire ciò che è raffigurato.
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Opere
Nottambuli
Titolo: Nighthawks Anno di produzione: 1942 Dimensioni: 84 cm x 1,52 m Collocazione: Art Institute of Chicago Building
“Nottambuli rispecchia la mia immagine di una strada nella notte; non necessariamente legata ad una forte idea di solitudine. Ho semplificato molto la scena e ho ingrandito il ristorante. Probabilmente ho inconsciamente dipinto la solitudine in una grande città.” (Edward Hopper) In Nighthawks è evidente lo stile di Hopper: rappresenta un bar all'angolo di una grande città deserta durante le ore notturne, una New York che si sta riprendendo dalla Grande Depressione del 1929. Il contrasto tra le luci artificiali del bar e l'oscurità della notte è abbastanza evidente: i colori utilizzati giocano sull'alternarsi di chiaro e scuro, sia per quanto riguarda le ombre che per l'abbigliamento dei protagonisti.
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L'attenzione si concentra prevalentemente all'interno del locale: dietro al bancone è presente il barista intento nel suo lavoro, rappresentato di spalle e con colori chiari, egli rispecchia la luce artificiale del bar. Mentre dal lato opposto al bancone, vi sono una coppia che guarda il barista e un personaggio di spalle. Nonostante queste figure siano nello stesso ambiente, sono isolate, nessuno parla, ogni figura è immersa nei propri pensieri e nella propria realtà . Lo spettatore osservando il dipinto, avverte fin da subito la sensazione di solitudine, che è il tema vero dell'opera.
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Due commedianti
Titolo: Two Comediants Anno di produzione: 1965 Dimensioni: 73,7 cm x 101,6 cm Collezione privata Two Comedians è l’ultima opera di Edwar Hopper, che concepisce l’arte come gioco della vita. Questo suo ultimo quadro è il suo testamento: propone due clown su un palcoscenico ormai chiuso che si congedano dal pubblico per l'ultima volta, tenendosi per mano. I tratti somatici del viso di questi due personaggi riproducono le fattezze di Edward e sua moglie Jo Hopper. Oggetti, praticamente, non ce ne sono più. Niente sfondo, tutto nero. C’è un grande contrasto tra il bianco dei vestiti degli attori e il nero dello sfondo. Questo quadro riesce a darci un indizio di cosa sia il realismo di Hopper: non dà importanza esclusivamente alla semplice riproduzione della realtà e alla mera rappresentazione, ma si comprende piuttosto in ogni istante, il forte legame tra raffigurazione e immaginazione, rappresentazione e costruzione.
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Le influenze su Hitchcock Hopper nei suoi dipinti fotografa la realtà, senza interagire con essa, ma cogliendone l’immagine momentanea. In questo atteggiamento si notano analogie con il mondo del cinema, per il quale il pittore nutriva una grande ammirazione e che influenzò a sua volta. Infatti, diversi registi della seconda metà del Novecento subiranno l’influenza di Hopper nel rappresentare atmosfere tipiche di un’America in bilico fra metafisica e realismo. In particolare, il grande regista Hitchock, che aveva sempre nutrito una grande passione per il mondo delle arti visive, si ispira ad Hopper nel rappresentare interni che vengono scrutati con attenzione da un occhio esterno. Questo avviene ne La finestra sul cortile (1954), dove il protagonista, costretto a stare fermo a causa di una gamba ingessata, osserva la vita altrui attraverso la finestra, senza poter intervenire. Anche il pittore americano opera lo stesso tipo di sguardo a distanza sulla realtà, cogliendone i particolari e le atmosfere, ma non prendendovi parte. Nel film vi è anche la trasposizione scenica del dipinto Finestre di Notte (1928), in cui una giovane donna, ritratta di spalle in biancheria, si sta chinando. Ancora, il regista prende a modello la casa del dipinto House by the Railroad (1925), un edificio bianco con il tetto scuro, che sembra disabitato e dall'aspetto spettrale in mezzo ad una natura arida e immobile, per l’inquietante motel del protagonista di Psyco (1960), Norman Bates, ricreandone l’atmosfera paralizzante, con luci lattiginose e ombre nette. Sia Hopper che Hitchcock mirano a cogiere attimi di vita privata, in particolare quelli che testimoniano i momenti di solitudine e i luoghi desolati in cui l’essere umano si perde inevitabilmente tra i suoi pensieri.
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Hopper House by the Railroad
Hitchcock Psycho
Se l’arte visiva tenta di rappresentare il più oggettivamente possibile la realtà, come fosse una fotografia, d’altro canto la filosofia si interroga sulla possibilità per l’uomo di conoscere davvero la realtà: i filosofi del Novecento riflettono sulla dicotomia tra fenomeno e noumeno, ossia tra quello che l’uomo percepisce delle cose e le cose per come esse realmente sono. In particolare, Schopenhauer, nella sua opera principale nonché il suo capolavoro, parte dal presupposto che il mondo non sia altro che una rappresentazione soggettiva e mentale dell’uomo.
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Schopenhauer – Il mondo come volontà e rappresentazione Introduzione Ho scelto di riprendere il pensiero di Schopenahuer perché riflette filosoficamente sul concetto di realtà e rappresentazione, operando una distinzione profonda tra fenomeno e noumeno. Schopenhauer parte dalla considerazione che “il mondo è una mia rappresentazione” (Schopenhauer, tr. it. 1989, pag. 31). La verità della filosofia moderna sostiene che nessun uomo possa uscire da se stesso e vedere le cose per quello che sono, che il mondo sia una nostra rappresentazione e che tutto ciò di cui si ha conoscenza certa si trovi dentro alla nostra coscienza. Il mondo è rappresentazione, che si compone di un soggetto e di un oggetto, che sono due entità dipendenti l'una dall'altra. Per Schopenhauer non esiste un'esistenza obiettiva; infatti, il mondo viene considerato come un insieme di rappresentazioni condizionate dalle forme a priori della coscienza: tempo, spazio e causalità. Coerentemente con quanto voglio dimostrare nella mia ricerca, il filosofo spiega che la rappresentazione della realtà non è mai univoca, ma sempre dipendente e in relazione al soggetto. Una sola realtà, forse inconoscibile, ma milioni di rappresentazioni soggettive. L’opera Arthur Schopenhauer (1788 - 1860) è un filosofo tedesco che apprende la lezione di Fichte, ma non ne rimane entusiasta; elabora perciò il suo pensiero a partire dagli insegnamenti di altri due pensatori, Kant e Platone, prendendo spunto anche dalla spiritualità orientale indiana. Nel 1819 Schopenhauer pubblica la prima edizione della sua opera più famosa, Il mondo come volontà e rappresentazione, di cui pubblicherà nel 1844 una seconda edizione arricchita. Il primo e il terzo libro sono costruiti attorno al mondo come “rappresentazione”; mentre il secondo e
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il quarto pensati e scritti attorno al mondo come “volontà”, trattano della “oggettivizzazione della volontà”.
La differenza fra fenomeno e noumeno Il punto di partenza della riflessione di Schopenhauer è la distinzione kantiana fra fenomeno e noumeno, di cui cambia profondamente il significato rispetto a quello di Kant. Infatti, se per Kant il fenomeno è ciò che sta davanti agli occhi di chi guarda, per Schopenhauer esso è invece illusione, sogno. Egli utilizza l’espressione indiana “velo di Maya”, con la quale si indica una coperta dietro cui si nasconde il noumeno. La rappresentazione esiste perciò solo dentro la coscienza; il filosofo riconduce il concetto di fenomeno ad un significato vicino alla filosofia indiana e buddhista, secondo cui “E’ Maya, il
velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi che esista, né che non esista”
(Schopenhauer, tr. it. 1989). La vita è dunque un sogno, una rappresentazione ingannevole: questa idea è anche condivisa da Platone, da Shakespeare e Calderon De la Barca. Fenomeno è rappresentazione e ogni oggetto di qualsiasi specie è fenomeno. La rappresentazione ha un significato psicologico, è immagine memorativa, ricordo: potrebbe essere poco aderente alla realtà. Per Schopenahuer il mondo è “mia rappresentazione” (Schopenhauer, tr. it. 1989), cioè l’oggetto per il soggetto, che ha due aspetti essenziali: soggetto rappresentante e oggetto rappresentato. Sia il soggetto che l’oggetto esistono unicamente all’interno della rappresentazione, e nessuno può sussistere senza l’altro. Nonostante Schopenahuer riconosca l’esistenza di “forme” a priori scoperte da Kant, ne ammette soltanto tre: spazio, tempo e causalità. Causalità è la sintesi, perchè l'essenza di un oggetto consiste nell'azione causale su altri oggetti. Nel secondo libro della sua opera, il filosofo spiega che se si
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oltrepassa il celebre “velo di Maya” (Schopenhauer, tr. it. 1989) e con esso le connotazioni dello spazio tempo e la causalità, è possibile accedere al mondo noumenico. La cosa in sé è irrazionale e unica, priva di dimensione spazio-temporale: il noumeno è volontà, che si può conoscere attraverso il corpo. Questa forza, che come obiettivo ha solo quello di rendersi eterna, è la causa della tragicità umana: bisogni, desideri e ideali sono maschere dietro cui si nasconde la volontà di vivere, che è il noumeno dell’universo. La sofferenza umana dipende infatti dai desideri insoddisfatti, che spingono l’uomo all’azione; per liberarsi di questa condizione, l’uomo dovrebbe liberarsi della volontà (noluntas), cioè rinunciare in misura sempre maggiore agli interessi e ai bisogni vitali, praticando l’ascesi. Arthur Schopenhauer e altri filosofi del Novecento riflettono sull’impossibilità per l’uomo di giungere alla “cosa in sé”, cioè alla verità, e sul suo senso di appagamento di fronte alla semplice rappresentazione derivante dalla propria volontà. La volontà è l’unica e l’ultima realtà e tutto il mondo fenomenico è riducibile ad una manifestazione di essa. Storicamente, c’è chi è riuscito a servirsi di questa spiegazione per i propri scopi individuali, cioè per ottenere potere e propagandare un’idea forgiando le menti del popolo attraverso una rappresentazione della realtà costruita ad arte e diffusa servendosi dei mezzi di comunicazione di massa. E’ il caso del Fascismo in Italia, che nel Novecento fa della propaganda un’efficace e vincente rappresentazione della realtà per imporsi come regime politico.
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La propaganda fascista durante la Seconda Guerra Mondiale Introduzione Il tema della propaganda fascista in Italia incarna bene il sottile confine tra realtà e finzione che è oggetto della mia ricerca. Nel ventennio fascista in Italia, infatti, Mussolini si servì dei mezzi di comunicazione non per rappresentare l’Italia così com’era, ma per darne un’immagine rivisitata e corretta in grado di interpretare i valori del regime. Gli spettatori, gli ascoltatori radiofonici e i lettori dei giornali si trovarono quindi di fronte a forme di informazione manipolata, che non riproducevano la realtà, ma utilizzavano gli stilemi ufficiali dei mezzi di comunicazione per propagandare una finzione. Contesto storico L’Italia degli anni Trenta è vittima di una crisi economica che interessa tutto il mondo, la Grande Depressione, il cui inizio risale al crollo della borsa valori di Wall Street il 29 ottobre del 1929. L’economia italiana, durante la Prima Guerra Mondiale è segnata da un alto debito pubblico e inoltre, deve far fronte ad una diminuzione della produttività industriale e ad un aumento della disoccupazione. La risposta in Italia è di stampo nazionalista e interventista e viene dal movimento fascista, fondato nel 1919 da Benito Mussolini: esso intraprende una politica economica di sostegno alle banche e alle industrie e dà vita ad una serie di grandi interventi pubblici. Nascono enti pubblici come l’IMI (Istituto Mobiliare Italiano) nel 1931, e l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) nel 1933, per favorire la domanda interna, le misure protezionistiche diventano ancora più forti. Ciò che manca al movimento fascista è una vera e propria ideologia: per questo, esso si appella ai motivi nazionalistici, per
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per catturare il consenso dei combattenti e si scaglia contro il parlamentarismo, guadagnando il favore dei piccolo-borghesi. Tenta infine di simpatizzare con i proprietari terrieri e con i gruppi sociali dominanti. Inizialmente, il fascismo sembra fornire un'efficace alternativa alla debolezza di una classe politica divisa da insanabili contrasti interni e alle mire rivoluzionarie dei socialisti, che si scontrano con la moderazione delle centrali sindacali. Il fascismo rifiuta la lotta fra le classi e si richiama al concetto di "unità nazionale", intesa come corpo superiore al quale tutte le parti devono fare riferimento. Il clima di nazionalismo spinto fa sì che il Fascismo ottenga altissimo consenso; questo avviene anche grazie ad un uso intelligente della propaganda, che costruisce l'immagine di Mussolini facendolo risultare come il difensore dell'economia e dell'unità nazionale. L'11 febbraio 1929 anche la Chiesa Cattolica entra a far parte dell'apparato a sostegno del Fascismo, firmando i Patti Lateranensi: ciò ha contribuito a rafforzare la fiducia della popolazione italiana, chiaramente cattolica, nei confronti del regime. Negli anni Trenta la propaganda è lo strumento principale per creare consenso e diffondere il Fascismo attraverso tutti i mezzi di comunicazione allora conosciuti.
I mezzi di propaganda fascista La stampa Mussolini, da giornalista, comprende fin da subito l’importanza del controllo dei mezzi di comunicazione da parte dello Stato, a partire dalla stampa. Inizialmente vengono censurate e sequestrate le testate anti-fasciste, come L’Unità, L’Avanti o La voce repubblicana e successivamente la stampa passa sotto il controllo diretto del Governo, a sua volta dipendente da Mussolini; nella seconda metà degli anni Venti il Fascismo ha i controllo delle maggiori testate
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nazionali. Nel 1925 vengono istituiti gli albi dei giornalisti e il Regio decreto n. 384 del 1928 li rende accessibili solo a coloro che non sono in contrasto con gli interessi della nazione. Il regime non si limita solo a soffocare il dissenso, ma si preoccupa anche di incrementare nella popolazione i miti dell’ideologia fascista: l’idea di patria, l’identificazione con il “Duce”, il dovere di “credere, obbedire e combattere”, il culto della romanità, la celebrazione delle adunate e dei riti, l’esaltazione della gioventù, il ruolo tradizionale e sottomesso della donna; per questo diventa necessario controllare i contenuti dell’informazione in modo sempre più capillare. La stampa è uno strumento fondamentale per plasmare la mente degli italiani alla volontà del capo: «il giornale si utilizza come una clava; deve colpire dentro la testa fino a condizionare la formazione dell’opinione pubblica» (Benito Mussolini). I giornali hanno il divieto di informare la popolazione circa notizie negative, come suicidi, furti o violenze, in quanto sono contro la moralità del Fascismo; l’immagine della donna è quella di “angelo del focolare”, florida e feconda, relegata al suo ruolo di madre. Una serie di prescrizioni molto dettagliate riguardano lo stesso Mussolini, che non può essere ritratto in foto da solo, ma di fronte a folle adoranti, mai accanto ad altri capi militari e non deve mai essere ripreso in pose imbarazzanti; deve essere sempre ritratto come guerriero, a cavallo o come individuo militare, mentre lavora e mentre riprende i comportamenti dell’antica Roma imperiale (es. il saluto romano).
La radio La radio è lo strumento che meglio raggiunge il maggior numero di persone, in quanto cattura anche il pubblico meno alfabetizzato. Il 6 ottobre 1924 l'URI - Unione radiofonica Italiana – diventata poi nel gennaio 1928 l’EIAR, l’ente pubblico italiano per le audizioni radiofoniche - inizia a diffondere trasmissioni
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radiofoniche. In particolare, sono trasmessi le marce militari, le parole d'ordine del regime e i discorsi del “Duce”. Durante la guerra d'Etiopia (1935-36), la radio è un mezzo particolarmente importante per comunicare alle masse l'esito vittorioso dell'impresa.
Il cinema Per quanto riguarda il cinema, Mussolini lo definisce come «l’arma più forte», anche grazie all’avvento del sonoro nel 1930, che permette di enfatizzare il significato delle immagini. All’interno delle sale, prima dell'inizio dei film, si proiettano cinegiornali informativi sul “Duce” e sulle imprese fasciste, oltre a vietare qualsiasi opera di finzione in cui Mussolini sia interpretato da un attore, in quanto il “Duce” è unico e incomparabile. Nel 1924 nasce l’Istituto LUCE (L’Unione Cinematografica Educativa), che ha il compito di produrre documentari informativi sulle imprese fasciste, rendendo obbligatoria la loro visione nelle sale cinematografiche. Si incoraggia la produzione nazionale di pellicole commerciali con grandi somme di denaro, al tempo stesso varando leggi che penalizzano le importazioni dei film stranieri; nel 1937 nasce Cinecittà, il distretto cinematografico di Roma, e la produzione italiana si sviluppa notevolmente. Le organizzazioni parafasciste Oltre ad una accesissima propaganda attraverso i mezzi di comunicazione di massa, il Fascismo viene sostenuto anche in modo più diretto. La cultura fascista viene infatti imposta come stile di vita attraverso le organizzazioni parafasciste: l’OND (Opera Nazionale Dopolavoro) per i lavoratori, che nazionalizza il tempo libero personale, programmando attività culturali, artistiche e sportive; l’ONB (Opera Nazionale Balilla) per i giovani, che suddivide i partecipanti in fasce d’età come “figli della lupa” o “balilla e
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piccole italiane”, la GUF (Gruppi Universitari Fascisti) e la GIL (Gioventù Italiana del Littorio). Mussolini utilizza la propaganda per creare un mito su di sè, che racchiude al suo interno tutti i più alti ideali fascisti e viene presentato al popolo come maestro da seguire.
Il Ministero della Cultura Popolare Nel 1937 il Ministero della Stampa e della Propaganda cambia denominazione in Ministero della Cultura Popolare (Min. Cul. Pop.) che incarna meglio il concetto che vuole esprimere. La sua origine, tra il 1934 e il 1936, è ispirata dall’esperienza dell’organizzazione della cultura nella Germania nazista. Il controllo della comunicazione diviene ancora più attento perchè si sta preparando la guerra d'Etiopia e si deve proclamare l'impero, quindi si ha bisogno di organizzare e dirigere l'opinione pubblica. Il capo dell’ufficio stampa è Galeazzo Ciano, genero di Mussolini e uomo di primo piano del regime fascista fin dal 1933. Nel 1937, il primo ministro della Cultura popolare è D. Alfieri. Durante la Seconda guerra mondiale, il ministero esercita un rigido controllo sull’informazione e sul sistema della comunicazione culturale. Il 3 luglio del 1944, il governo Badoglio sceglierà di porre fine al ministero, eliminandolo. Approfondimento: il cinema nel ventennio fascista Benito Mussolini percepisce ben presto le potenzialità del cinema come strumento di propaganda. Nel 1924, con la nascita dell’Unione cinematografica educativa – Luce - il regime si assicura il controllo totale dell’informazione cinematografica. Il fascismo è il primo governo al mondo a esercitare un controllo diretto sulla cronaca cinegiornalistica. Per legge, i cinegiornali vengono proiettati obbligatoriamente in tutte le sale italiane dal 1926. Grazie, soprattutto, all’inaugurazione degli stabilimenti Cines – Pittaluga il cinema italiano dà i
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primi segnali di ripresa. Il governo fascista assume un ruolo fondamentale attraverso la legge n. 918 del 1931, con la quale, per la prima volta nella storia, uno stato europeo impegna capitali a favore di un’industria dello spettacolo. Grazie al controllo della produzione cinegiornalistica ed educativa, il regime costruisce riti e miti autocelebrativi per infondere nella popolazione lo spirito fascista. Oltre alla produzione di cinegiornali, il Luce produce documentari, corto, medio e lungometraggi. Le pellicole raccontano di una nazione tesa verso il progresso e ne nascondono i problemi; si esalta il mito di un'Italia rurale e, dagli anni Trenta fino alla caduta del Regime, si susseguono diverse fasi della produzione cinematografica. Inizialmente, la tematica dominante è quella che mostra l’Italia rurale degli anni Trenta: la lotta contro i sovversivi, la costruzione di città contadine, la bonifica delle paludi pontine e la battaglia del grano sono gli argomenti che prevalgono. Questo tema si sposa con la necessità del regime di autorappresentarsi come movimento rivoluzionario, ben inserito nella realtà popolare italiana. Film di Blasetti come Sole (1929) e Terra Madre (1931) e Camicia nera di Forzano (1933) rappresentano un'Italia rurale e familiare, dallo spirito spiccatamente fascista. Sempre negli anni Trenta, la politica fascista asseconda e promuove lo sviluppo di un fascismo borghese. Nello stesso tempo si dà valore a una politica celebrativa e monumentale, cercando di unire i legami tra presente e passato. Scipione l’africano (Carmine Gallone, 1937) si ricollega alla grandezza dell’Impero Romano, collegando ad essa la monumentalità del presente. In questo periodo la figura dell’eroe si allontana dalla concezione fascista e assume tratti romantici. Alessandrini, nei suoi film Cavalleria (1936) e Luciano Serra Pilota (1938), propone un modello di eroe fascista molto più vicino alla tradizione romantica in cui lo spettatore si identifica maggiormente.
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Con l'inizio della Seconda Guerra Mondiale diventa necessario rafforzare la produzione propagandistica: questo avviene nel cinema grazie al regista Roberto Rossellini, che si occupa di tre fim: La nave bianca (1941); Un pilota ritorna (1942) e L’uomo dalla croce (1943). Con la dichiarazione di guerra sia il Duce che la sua campagna propagandistica perdono il loro fascino e valore. Durante la Repubblica di Salò, Venezia diventa la nuova capitale del cinema italiano, in cui i pochi film prodotti danno spazio a temi sentimentali, melodrammatici e di commedia. Il cinema nel ventennio fascista risulta essere uno tra i mezzi di propaganda più potenti, in quanto utilizza un linguaggio documentaristico per rappresentare una realtà distorta, ma molto convincente. Molto spesso, infatti, non conta cosa si dice, ma come lo si dice: il messaggio passa quasi in secondo piano rispetto al mezzo e allo stile. Addirittura, il cinema mostra la fondatezza di quest’affermazione attraverso il mockumentary o falso documentario, un genere cinematografico che si serve del linguaggio tipico del documentario per ricostruire false informazioni e fatti mai avvenuti, proprio come se fossero veri.
Il Mockumentary o falso documentario Il ockumentary è un forma filmica ancora poco esplorata al confine della docufiction. Le sue origini cinematografiche risalgono agli anni Sessanta del Novecento, quando il cinema hollywoodiano sente il bisogno di rinnovarsi e di abbassare i costi di produzione elevati richiesti da un film classico (un esempio è Paranormal Activity che, a fronte di un investimento di 15.000 dollari, ne ha incassati ben 193.355.800). Tuttavia, già nel 1938 abbiamo un esempio radiofonico di questa forma narrativa: Orson Welles adotta infatti la formula
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film War of the Worlds, con l'obiettivo di rendere la vicenda dello sbarco alieno nel New Jersey meno surreale. Per realizzare questa finzione viene interrotto bruscamente un programma di musica e si utilizzano gli stilemi dei bollettini informativi, comunicati in diretta ed interviste ad esperti e testimoni oculari. Ciò fa sì che l'evento acquisisca una veridicità tale da generare il panico in tutti gli americani all'ascolto; infine, Orson Welles sottolinea che si è trattato di uno scherzo di Halloween. Nel 1957 la BBC trasmette all'interno del programma Panorama un servizio di pochi minuti su una famiglia del Canton Ticino intenta a raccogliere spaghetti sugli alberi: all'epoca, un gran numero di persone credettero allo scherzo, in quanto in Gran Bretagna la cucina italiana non era particolarmente conosciuta. Si trattò di un "pesce d'aprile" e suscitò da parte degli spettatori migliaia di telefonate di chiarimento sulla "pianta miracolosa". La nascita ufficiale del Mockumentary si ha, tuttavia, solo nel 1965 con The War Games di Peter Watkins, come afferma il saggio di Cristina Formenti edito da Mimesis Edizioni, “Il Mockumentary. La Fiction si Maschera da Documentario”: il film molto crudo racconta in stile documentaristico un attacco nucleare sull'Inghilterra, aggiudicandosi l'Oscar proprio come miglior documentario nonostante narri di fatti immaginari con un linguaggio verosimile. Questa forma narrativa inizia ad interessare altri mezzi di comunicazione come l'audiovisivo, anche grazie all'avvento della Rete e cattura l'interesse dei teorici a partire dagli anni 2000. Il neologismo "mockumentary", derivante dalla crasi dei vocaboli anglofoni mock e documentary (documentario per scherzo) si può infatti definire come un insieme di prodotti audiovisivi di fiction che si appropriano di estetiche consuetamente associate al cinema del reale al fine di strutturarsi come documentari.
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Si tende a italianizzare il termine mockumentary con l'espressione "finto documentario" e lo si considera un sotto-genere del documentario o più spesso un genere cinematografico ibrido a sé stante, nonostante non abbia regole precise ma accomuni prodotti simili per il linguaggio utilizzato. Il mockumentary, infatti, non è mai stato riconosciuto come genere dall'industria cinematografica e gode di dinamiche evolutive proprie, che spesso ricalcano il progressivo modificarsi delle modalità di rappresentazione del documentario (per esempio, vengono riprese le recenti estetiche delle riprese effettuate con il cellulare o con telecamere di sorveglianza). Si tratta di un prodotto in cui interagiscono elementi tecnico-linguistici, quali illuminazione, riprese, montaggio ed elementi narrativi, iconografici e tematici; a rimarcare la natura fittizia di questo prodotto audiovisivo sono l'inverosimile o l'uso della parodia. Il mockumentary differisce dal documentario non solo per il tipo di vicende narrate, ma anche per come le racconta: alcuni finti documentari, infatti, rendono fin da subito esplicito il loro carattere ludico, altri invece palesano il loro stato ontologico solo nella seconda metà e altri ancora, infine si mantengono perfettamente credibili come documentari fino ai titoli di coda e oltre. Questi ultimi prendono il nome di "hoax", termine anglofono che si può tradurre in italiano con "scherzo", "beffa" mediatica in grado di ingannare lo spettatore circa la propria veridicità: qui l'inganno nei confronti dello spettatore è reso evidente solo attraverso i titoli di coda dove si rivela la presenza di soggetti non plausibili di per sé in quanto reali o con dichiarazioni successive. Il mockumentary non va però confuso con i documentari in cui diventa indispensabile, per la mancanza di documenti visivi, ricostruire con la finzione una parte o la totalità degli eventi narrati.
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Infatti, nonostante si presenti come un documentario per taglio e stile, il mockumentary è un prodotto di fiction sfruttato per parodie e satira, ma anche nell’horror, che ha lo scopo di far riflettere lo spettatore sul rapporto tra verità e finzione nella comunicazione contemporanea, attraverso il coinvolgimento psicologico che suscita. Le tecniche più utilizzate da questa forma narrativa per ottenere veridicità sono il “found footage”, cioè il “video ritrovato” (es. The Blair Witch Project); un’altra è la realizzazione di articoli di giornale fittizi riguardanti personaggi e fatti raccontati nel documentario, oppure di falsi cinegiornali d’epoca in cui compaiono brevi falsi documentari inseriti in lungometraggi. I codici principali per ingannare lo spettatore e far credere che il mockumentary trasmetta notizie vere sono: dichiarazioni ed interviste di esperti, fotografie, filmati d'archivio, riprese di videocamere di sorveglianza, inquadrature mosse e sgranate, diretta, bianco e nero, in quanto questo codice rimanda ad un’epoca in cui la manipolazione del reale non era ancora possibile. Ciascuno di questi elementi ha un suo valore veridittivo. Inoltre, nei finti documentari si fa ricorso da un lato ad attori sconosciuti che esibiscono una recitazione naturale per avvallare l’idea che si tratti di prodotti fattuali, dall’altro ad inserimenti di elementi atti a conferire concretezza e rilevanza a quanto narrato (rumori, manifesti, registrazioni etc.). Volendo però riflettere sulla natura del cinema, emerge che anche il cinema del reale non è esente da manipolazioni: infatti, attraverso il montaggio si finisce inevitabilmente per manipolare e rielaborare le riprese, selezionando alcune parti del girato per questioni di durata o inserendo tecniche di post-produzione quali la voice over e il time-lapsing.
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La manipolazione della realtà da parte del cinema appare chiara fin dalle sue origini, quando nel 1865 i fratelli Lumière chiesero ai lavoratori di uscire dalla fabbrica contemporaneamente: nonostante fosse una scena che si ripeteva in modo spontaneo nella quotidianità, in quell’occasione fu maggiormente curata. Il processo di ricezione degli spettatori, inoltre, è sempre il frutto di una negoziazione: essi sono consapevoli di essere di fronte ad un racconto e si predispongono a guardarlo come tale, mettendo eventualmente in discussione quando viene enunciato.
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Bibliografia Appunti presi durante l’anno scolastico (Italiano, Inglese, Filosofia) Pirandello L., Il fu Mattia Pascal, Classici moderni, 1988. Renner R.G., Hopper, ed. Taschen, Köln, 1991. Formenti C., La fiction si maschera da documentario, Mimesis, 2013.
Sitografia Introduzione: http://www.strozzina.org/manipulatingreality/sherman.php
Italiano: http://users.libero.it/rrech/pirandello_2.html
Inglese: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2738358/ http://www.parafrasando.it/TESINE/The-victorian-age.html http://www.sparknotes.com/lit/jekyll/canalysis.html
Storia dell’arte: http://www.arteworld.it/analisi-nighthawks-nottambuli-di-edward-hopper/ http://blog.sugarpulp.it/2013/05/29/la-finestra-sul-cortile-edward-hopper-e-alfred-hitchcock/#.V2cBjbiLTIW http://www.branchina.gov.it/wp-content/uploads/2014/03/Hopper-e-la-macchina-dei-sogni_opt.pdf http://www.stilearte.it/hopper-e-la-casa-di-psyco/ http://www.treccani.it/enciclopedia/edward-hopper_(Enciclopedia-dei-ragazzi)/
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Filosofia: http://www.filosofiaedintorni.eu/schopenhauer.htm http://www.oilproject.org/lezione/sintesi-schopenhauer-etica-musica-6844.html http://www.parafrasando.it/FILOSOFIA/Schopenhauer_Arthur.html
Storia: https://novecentoinrete.wordpress.com/fascismo/propaganda-fascista-e-anni-trenta-in-italia/ http://www.recencinema.it/parliamo-di/cinema-e-cultura/3452-il-potere-del-cinema-di-propaganda-fascista http://www.treccani.it/enciclopedia/ministero-della-cultura-popolare_(Dizionario-di-Storia)/
Cinema: http://www.carmillaonline.com/2015/10/08/reale-dellenelle-immagini-mockumentary-finto-documentario/ http://www.cinergie.it/?p=5022 http://video.repubblica.it/divertimento/gli-spaghetti-crescono-sugli-alberi-lo-scherzo-d-aprile-piu-famoso-della-tv/161082/159573
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