EX ORIENTE LUX - MARINA GELSOMINO -

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MINISTERO DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA AFAM ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI PALERMO DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE E ARTI APPLICATE SCUOLA DI PROGETTAZIONE ARTISTICA PER L’IMPRESA DIPLOMA ACCADEMICO DI PRIMO LIVELLO IN PROGETTAZIONE DELLA MODA

EX ORIENTE LUX APPLICAZIONE DELL’ARTE PER LA MODA

TESI DI MARINA GELSOMINO MATRICOLA 6799

RELATORE PROF. SERGIO PAUSIG


«L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto» [...] «La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra…chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita». J.W.Goethe, “Viaggio in Italia”, 1817

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INDICE INTRODUZIONE

P. 08

CAPITOLO PRIMO Il progetto

P. 11 P. 33

CAPITOLO SECONDO Coloranti naturali Tecniche di tintura tessile tradizionale Tecnica del maltinto Borsa materiale plastico con fodera in tela Tecnica del batik Batik su tela

P. P. P. P. P. P. P.

APPLICAZIONE DI UN SOFTWARE ATTRAVERSO LA COSTRUZIONE DI PATTERN

P. 106

CAPITOLO TERZO Duomo di Monreale La Basilica

P. 112 P. 113 P. 117

CAPITOLO QUARTO Storia dell’accessorio La borsa nella storia del costume Il medioevo Il cinquecento Il seicento Il settecento L’ottocento Il novecento

P. 120 P. 121 P. 123 P. 124 P. 130 P. 132 P. 134 P. 136 P. 138

BIBLIOGRAFIA

P. 145

RINGRAZIAMENTI

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INTRODUZIONE Se domandassimo ad una donna - Quando esci, a quale accessorio non potresti mai e poi mai rinunciare? - di certo risponderebbe - La borsa . – Sicuramente è uno degli accessori più indispensabili. Contiene il nostro micro mondo privato, tutto quell’insieme di oggetti indispensabili che vogliamo che ci accompagnino nel nostro viaggio quotidiano. Rappresenta anche un contenitore segreto di cui quasi sempre solo il proprietario conosce il contenuto; è però un involucro che ama farsi notare, che gioca con i colori, le forme, i materiali. Forse proprio questa doppia valenza, questa dimensione “interiore” e quella esteriore lo rendono un oggetto tanto interessante, che attrae senza svelare. Il progetto iniziale ha subito diverse trasformazioni, si è partiti dall’idea di creare una borsa in cloruro di polivinile trasparente con al suo interno delle fodere raffiguranti diversi elementi decorativi, elementi che non ricadessero nel cliché o nel kitsch, ma qualcosa di innovativo e accattivante per il mercato Italiano e soprattutto Siciliano. Sì, Siciliano perché il tema scelto per la realizzazione delle borse è un monumento che si trova in un luogo non molto distante da noi: il Duomo di Monreale. Un enorme tesoro nel vero senso della parola, interamente ricoperto di mosaico d’oro. I mosaici sono tecniche di decorazione che creano modelli complicati, scene di storia e parole di vita. L’idea della tesi è quella di creare un accessorio di moda raffigurante le immagini dei fregi illustrati all’interno del Duomo ma reinterpretate in chiave moderna, cosicchè ogni visitatore una volta giunto al paese, possa portare con sè un piccolo ricordo di Monreale originale innovativo ed autentico. Nel capitolo primo sarà affrontato il tema del progetto quindi vedremo come verrà realizzata la borsa secondo i vari passaggi, quali materiali saranno utilizzati, il perché sono stati utilizzati propri quei materiali e vedremo anche altri prototipi realizzati prima del modello finale. Nel secondo capitolo si parlerà invece di alcune tecniche di tintura tessile, dei coloranti naturali, come si ricavano e come si operano. Vedremo quindi anche alcuni modelli realizzati. Il terzo capitolo mostrerà un excursus storico sul Duomo di Monreale, una ricchezza rientrata come patrimonio dell’umanità nel 2015. 8

Il capitolo finale invece affronterà la storia della borsa dal medioevo fino al Novecento.

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CAPITOLO PRIMO IL PROGETTO

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IL PROGETTO Abitando a Monreale, ci si rende conto che non esiste una qualità di souvenir “oggetto-ricordo” che solitamente si acquista o si regala quando, visitando luoghi di particolare interesse turistico, si vuole conservare la memoria e ricordare l’evento a sé o agli altri; vediamo solo i soliti gadget di qualità media. Oggi in tutti i luoghi visitati da turisti si possono trovare bancarelle, piccoli o addirittura grandi negozi dove sono esposti souvenirs d’ogni genere, che possono essere oggetti in ceramica su cui sono dipinte immagini del luogo visitato, il cui nome è impresso sotto il paesaggio riprodotto, cartoline postali, fazzoletti di seta dipinti, scatoline in legno dipinto o inciso. Da qui nasce l’idea di proporre un gadget che si possa commercializzare. La borsa è un contenitore utilizzato solitamente per custodire o trasportare piccoli oggetti d’uso quotidiano, uno degli accessori più usati in assoluto. Allora perchè non proporre una shopper che ricrea e reinterpreta i mosaici del Duomo di Monreale, posto più visitato della Sicilia? Costruire e una borsa sembrerebbe un procedimento facile ma non è così, ci sono mille cose che incidono sul prodotto, potremmo iniziare con il dire che tutto dipende dal materiale che si utilizza, dalla consistenza e anche dai costi della lavorazione e del materiale in questione. Questi elementi sono molto importanti, in quanto prima di lanciare un prodotto nel mercato si deve pensare ad un materiale funzionale, resistente, a buon costo e plasmabile. E poi al consumatore che predilige il prodotto più autentico, unico e particolare, con cui entra in sintonia per valori e storia, perchè è artigianale, fatto a mano e che assicuri una durata nel tempo. Questa tesi presenta quindi un connubio tra questi principi. Si produrrà un manufatto raffinato, armonioso e allo stesso tempo alla moda, un pezzo unico che estrapola dai mosaici del Duomo di Monreale ricchi di storia e contenuti, un tema e lo reinterpreta poi con la realizzazione delle borse che fungeranno da trampolino di lancio per un commercio Made in Italy sul luogo di Monreale. Chiunque una volta visitata Monreale vorrà portare con sé un pezzo esclusivo. 33



25cmX35cm

5cmX85cm

25cmX35cm

Il primo passo per produrre un accessorio è quello di progettarlo; le misure e le prove costruendo prima dei prototipi stanno alla base di tutto. Una volta ideato e cucito un prototipo di carta si passa alla ricerca del materiale che più si presta alle nostre esigenze. Il secondo passo è quello di portare il tutto ad un artigiano specializzato nel mestiere che mette a disposizione i suoi macchinari come presse, macchine da cucire professionali e soprattutto la sua esperienza per la realizzazione del prodotto. La costruzione di un prototipo può essere realizzato in diversi materiali. In questo caso si è usata la carta da pacchi. Prima di realizzare il cartamodello bisogna pensare alle dimensioni che deve assumere la borsa. Una volta decise le dimensioni ideali si crea il primo cartamodello in carta, tenendo conto che deve avere due centimetri in più delle misure scelte, in modo da avere un po’ di spazio per le cuciture. Una volta ritagliato il cartamodello si può dunque cucire a macchina. Otteniamo così il primo prototipo di borsa, dove possiamo vedere se le misure funzionano nel modo corretto e se il manico è della giusta lunghezza. I manici non sono stati ricavati dal cloruro di polivinile come per le parti della borsa e quindi non c’è stato bisogno di fare un cartamodello; infatti, i manici sono ottenuti da dei tubi di plastica trasparente. Per farci un’idea sulla decorazione che la borsa avrà una volta confezionata, si può utilizzare una fotografia che riproduce l’effetto finale che assumerà poi la tela stampata, quindi poi applicarla sulla superfice. Una volta soddisfatti del risultato finale si può dunque fare un cartamodello definitivo delle misure esatte su un supporto più rigido come il cartoncino, da portare infine all’artigiano per la produzione del lavoro. Grazie al cartamodello otterremo tutte le parti che compongono la borsa: si userà prima per tagliare le parti dal cloruro di polivinile, poi le stesse misure saranno usate per tagliare la tela che riporta la stampa digitale con il mossaico. Tagliati tutti i componenti della borsa si passa all’assemblaggio; quindi si prende la stampa digitale e si sigilla all’interno delle due parti in cloruro di polivinile, dopodiché si può cucire tutto a macchina ammorbidendo la plastica esponendola ad una fonte di calore. Cuciti tutti i pezzi, si possono montare i due manici con dei bottoni a pressione. 37













Il panorama industriale italiano è costituito principalmente da piccole e medie aziende e il lavoro artigianale è una delle caratteristiche del Made in Italy, in particolare per quanto riguarda il mondo della moda, che si tratti di abbigliamento, calzature, borse o accessori. Artigianato significa eccellenza, abilità manuale e profonda conoscenza di materiali, tecniche e strumenti. Inoltre vi è un forte legame con la tecnologia. Il saper fare artigianale è parte integrante della filiera produttiva industriale, in tutti i settori di attività, e un elemento imprescindibile per la moda e per il Made in Italy. Occorre ricordare che tutte le medie e grandi imprese fashion italiane basano la loro fortuna sull’artigianalità. Una volta prodotta si potrà procedere alla vendita diretta online, tramite piattaforme e-commerce o creando un proprio shop o in una piccola bottega sul luogo. Nella vita quotidiana le borse, rappresentano un ingrediente essenziale per avere uno stile unico e personale. Negli ultimi anni il mercato richiede sempre più prodotti unici e personalizzati, che permettano di distinguersi dalla massa e che, insieme alla qualità e alla durata nel tempo, trasmettano una storia e dei valori autentici. L’esperienza all’atto di acquisto rappresenta un elemento che soddisfa e gratifica in sé, diventando parte del consumo del prodotto. L’oggetto ha la forza di includere il consumatore all’interno di un mondo e di una comunità di valori. Un elemento chiave per rendere l’acquisto un’esperienza e coinvolgere l’acquirente, consiste nel raccontare la propria storia per trasmettere i valori aziendali spesso legati alla produzione artigianale, al suo essere fatto a mano, alla storia che racconta.

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COLORANTI NATURALI L’uso dei coloranti naturali oggi è incoraggiato da un maggiore interesse da parte del consumatore, che è diventato più attento alla qualità della vita e alla tutela dell’ambiente. I coloranti di sintesi hanno sì, eliminato dai capi d’abbigliamento, dagli accessori di moda e dai tessuti d’arredamento le tracce del tempo, ma hanno favorito in alcuni casi delle intolleranze e allergie, sommati ad inquinamento ambientale. L’uso dei coloranti naturali permette di ottenere capi di abbigliamento e prodotti unici e personalizzati, più sicuri per la salute e più rispettosi nei confronti dell’ambiente.

CAPITOLO SECONDO

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TECNICHE DI TINTURA TESSILE TRADIZIONALE LE SOSTANZE TINTORIE: COLORANTI DIRETTI

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PRIMI PASSI PER OPERARE Tingere i tessuti in modo 100% naturale e green è possibile, basta ispirarsi al passato per avere tessuti colorati e vivaci senza dover ricorrere a coloranti chimici. È possibile riuscire a realizzare dei tessuti colorati solo con dei tessuti naturali come cotone, lana, seta e lino. RACCOLATA ED ESSICCAZIONE Molte di queste sostanze sono reperibili sul mercato alimentare o erboristico già seccate e/o polverizzate. Se le volessimo raccoglierle direttamente, dovremmo tener conto del tempo ed i posti per la raccolta perché sulla qualità e sulle tonalità dei colori finali influiscono alcuni fattori ambientali come: le caratteristiche del terreno, la sua posizione, il livello di insolazione e di irrigazione ed in fine il grado di maturazione della pianta. Una volta raccolte le essenze, devono essere seccate all’ombra, in un luogo ventilato e asciutto, chiuse in sacchetti di tela o coppi di carta, possibilmente girate sottosopra se raccolte per intero (dalla radice alla chioma), affinché le essenze si concentrino nella parte aerea della pianta MORDENZATURA L’utilizzo di uno dei mordenti è obbligatorio se si usano sostanze tintorie indirette. Esse comportano la preparazione della pezza in bagni composti da diverse sostanze mordenti, che preparano le molecole della fibra tessile ad accogliere e trattenere il pigmento nei successivi e ripetuti lavaggi. La tecnica di mordenzatura più comune è quella in allume di rocca. Le pezze sono trattate facendo bollire il tessuto per 20/25 minuti in una soluzione allumosa (1 cucchiaino per ogni 1,5 litri d’acqua).

una garza, per poi essere messe in una pentola e coperte appena d’acqua. Fiori e bacche devono essere lasciati in infusione per un’intera notte, gambi e foglie per tre giorni, parti legnose per una settimana. I malli di noce devono invece essere lasciati nell’acqua per un intero mese. Una volta trascorso il tempo d’infusione, far bollire l’acqua e scioglietevi un cucchiaio di sale grosso per ogni litro d’acqua. Aggiungere quindi l’elemento naturala per tingere il tessuto e lasciate bollire per almeno un’ora. Per misurare la quantità di erbe che serviranno è necessario pesare il tessuto. La quantità di erbe da usare infatti sarà pari al peso del tessuto. Lasciare bollire l’acqua con le erbe naturali fino a quando non avrà assunto la colorazione desiderata (tenendo conto che sul tessuto il colore tende ad essere più chiaro). Infine filtrare l’acqua per eliminare tutti gli scarti, rimettere l’acqua nella pentola e riportarla ad ebollizione: mettere quindi in immersione il tessuto e lasciate sul fuoco per circa trenta minuti. Più lungo sarà il tempo in cui lascerete bollire il tessuto, più intenso sarà il colore del tessuto: è opportuno quindi controllare spesso il colore che sta assumendo. Elementi basici o acidi come il bicarbonato o il limone alterano il colore e lo cambiano. Lasciare quindi raffreddare l’acqua con il tessuto al suo interno; quando sarà fredda, il tessuto sarà del colore desiderato.

PROCEMENTO Il primo passo per cominciare è procurarsi un pentolone abbastanza ampio per poter contenere il tessuto prescelto e l’acqua necessaria per tingerlo. Le sostanze coloranti possono essere pestate oppure sciolte o raccolte in 76

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Tecnica del maltinto Nella tecnica del Batik classico, la riserva, cioè il metodo che consente di isolare le zone del tessuto che non si vogliono tingere, è realizzata con la cera. Si possono usare altri metodi molto semplici per riservare il tessuto, che consentono di creare composizioni decorative molto suggestive. La tecnica plangi, chiamata in italia maltinto e in America tie and dye (lega e tingi), ha origini molto antiche, ed è stata rivalutata in Europa e negli Stati Uniti agli inizi degli anni ’70 sia nell’abbigliamento che in campo artistico. Il maltinto si realizza tramite legature, nodi e cuciture del tessuto, in maniera da evitare che il colore penetri nelle zone che formano la decorazione. Come realizzare il maltinto Per realizzare il maltinto, piegare il tessuto e pressatelo in mezzo a due tavolette di legno, legandole in maniera molto stretta. Immergete il tutto nel bagno di colore, ripetendo eventualmente il passaggio e variando ogni volta le pieghe. Ecco alcune proposte. 1. Usando ago e filo di cotone resistente, si può realizzare a punti larghi, fissando con un nodo un capo del filo e tirando l’altro, per ottenere l’arricciatura

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2. Sempre con ago e filo, si possono creare delle decorazioni anche piĂš interessanti. Con piĂš fili, basta realizzare due imbastiture parallele da destra a sinistra e dalla sinistra alla destra.

Arricciare quindi il tessuto tirando bene i capi dei due fili. L’arricciatura può essere centrale o laterale.

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3. Piegare il tessuto su se stesso a fisarmonica e arrotolarlo per bene, stringendolo e legandolo con uno spago o con un nastro.

4.Con una molletta da bucato si può formare una piegatura simile alla precedente, che produce una decorazione simmetrica.

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5. Si può continuare a piegare il tessuto nei più svariati modi, si può piegare a triangolo, a quadrato o in diagonale, verificando i risultati dopo la tintura, correggendo gli errori e perfezionando le tecniche. 6. Per creare un effetto tipo marmo, basta stropicciare il tessuto con le mani realizzando una palla, poi si lega per bene con lo spago e si esegue il bagno di colore. 7. Il tessuto si può annodare in diversi modi. Con un tessuto rettangolare, si possono effettuare due nodi alle estremità.

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8. Un tessuto quadrato invece si può annodare ai quattro angoli.

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9. Il tessuto rettangolare può essere legato anche in quattro punti.

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10. Con la tecnica successiva invece si creano le zone circolari chiare e sfumate in campo scuro, basta legare un sassolino, un bottone, o qualunque oggetto sferico all’interno di una o più legature ben strette. La parte di tessuto aderente all’oggetto, non riceve il colore durante la tintura, producendo le decorazioni.

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11. Si possono ottenere anche cerchi concentrici con la tecnica del plangi, annodando con del filo varie zone del tessuto.

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TECNICA DEL BATIK Il batik è una tecnica per colorare i tessuti a riserva, mediante la copertura delle zone che non si vogliono tinte tramite cera o altri materiali impermeabilizzanti: argilla, resina, paste vegetali, amido. Il termine deriva dalle parole indonesiane amba (scrivere) e titik (punto, goccia), col significato ciò che si disegna, l’azione dell’artista per realizzarlo è detta membatik. Non si conosce il momento della scoperta delle tecniche di tintura a riserva, che probabilmente nascono da errori casuali nella tintura dei tessuti, dove macchie di grasso o di cera impediscono al colore del bagno di tintura di penetrare o in quella delle matasse dove i lacci legati troppo stretti lasciano delle righe non tinte sul filato. I primi ritrovamenti di frammenti di lino provengono dall’Egitto e risalgono al IV secolo, sono bende per le mummie che venivano imbevute di cera poi graffiata con uno stilo appuntito, tinte con una mistura di sangue e cenere venivano lavate con acqua calda per eliminare la cera. In Asia questa tecnica era praticata in Cina durante la dinastia T’ang (618-907), in India e in Giappone nel periodo Nara (645-794). In Africa era originariamente praticato dalle tribù Yoruba in Nigeria, Soninke e Wolof in Senegal. Strettamente legato in Indonesia all’uso in cerimonie rituali con altre tecniche a riserva come l’Ikat e il Plangi, ha raggiunto grande raffinatezza tecnica ed elaborato una complessa iconografia. In europa la tecnica viene descritta per la prima volta nella Storia di Giava pubblicata a Londra nel 1817 da Sir Thomas Stamford che fu governatore dell’isola. Nel 1873 il mercante olandese Van Rijekevorsel fa dono dei pezzi da lui raccolti in un viaggio in Indonesia al museo etnografico di Rotterdam. Esposto all’esposizione universale di Parigi del 1900 il batik indonesiano riscuote successo presso il pubblico e comincia ad influenzare il gusto degli artisti. Resiste come oggetto d’artigianato alla globalizzazione e all’industrializzazione che ha indotto, imitando attraverso tecniche automatizzate di stampa, i disegni e le caratteristiche estetiche proprie della sua lavorazione manuale. 90

La storia del Batik a Giava è strettamente legata allo sviluppo della vita sociale, economica, religiosa sull’isola. Inizialmente riservato alle donne nobili, da privilegio aristocratico divenne costume nazionale, diffuso in tutto l’arcipelago indonesiano. Diventa il linguaggio attraverso cui si esprime la filosofia giavanese, fortemente simbolica, che ispira tutta la vita anche nei più piccoli particolari. Viene usato come mezzo di comunicazione, negli abiti con disegni, colori e fogge specifiche per ogni uso, classe o rango. I tessuti batik sono presenti, con forti valenze simboliche, nei riti e nei momenti salienti come: il matrimonio, la circoncisione, la malattia, la procreazione. Eseguito a mano come pezzo unico chiamato tulis diviene di maggior diffusione all’inizio del XIX secolo con l’invenzione del tjap stampo costruito con sottili lamelle di rame che immerso nella cera permette di riportare una porzione del disegno sul tessuto. Caratteristica del batik indonesiano è quella di essere cerato su entrambi i lati, non ha quindi un diritto, se impreziosito con foglia d’oro prende il nome di Prada. Disegni tradizionali: ▪Cemurikan: disegno con dei raggi. ▪Kawung: simbologia numerica legata al numero quattro, rappresenta il frutto di palma da zucchero. ▪Gringsing: a scaglia di pesce. ▪Nitik: imita un tessuto indiano con piccoli punti quadrati. ▪Parang rusak: spada spezzata, riservato ai principi, nobili e ufficiali. ▪Sawat: rappresenta le ali di un uccello mitico il Garuda, è simbolo di potere. ▪Senen: bocciolo, ripete continuamente i simboli dell’energia che anima il cosmo: alberi, casa, vento, terra, viticci e animali. ▪Udan liris: pioggia leggera, segni minuti tracciati tra linee diagonali, simbolo di fertilità legato alla terra. ▪Tambal: patchwork di triangoli tutti con disegno differente. Il materiale su cui si esegue tradizionalmente il batik è una stoffa leggera, generalmente tessuta con filato sottile e regolare, che permetta una precisa realizzazione del disegno, le più comunemente usate sono seta, cotone, lino. 91


Per impermeabilizzare il tessuto il materiale maggiormente usato è la cera o in alternativa si possono usare anche: paraffina, cera d’api, cere sintetiche, resine, vengono spesso miscelate con una piccola aggiunta di grasso o olio di cocco se si vuole evitarne la rottura. Nel passato o ancora in alcuni paesi vengono utilizzati: l’argilla, l’amido e la pasta di cassava in Africa; i semi di arachide impastati con la calce in Giacarta; la colla ricavata dal riso in Giappone; la pasta di riso a Giava; la resina, le paste vegetali e il formaggio di soia in Cina. Dopo la preparazione del disegno si applica la cera sciolta sulle parti che non si vogliono colorare in modo che questa, penetrando tra le fibre del tessuto, le impermeabilizzi impedendo al colore di aderirvi; si utilizza un attrezzo chiamato canting , un piccolo serbatoio metallico dotato di manico per impugnarlo e di un beccuccio che fa uscire la cera, si possono usare anche pennelli, stampi in metallo, stecchi di legno a secondo dell’effetto che si vuole ottenere. Quando la cera si è asciugata si procede alla tintura immergendo il lavoro in una vasca che contiene il bagno di tintura. Quando il tessuto si è asciugato al sole si può passare alla rimozione della cera. la cera viene eliminata con il calore, mettendo il tessuto tra strati di carta (giornali) e passando un ferro caldo. La cera sciogliendosi viene così assorbita dalla carta. Per ottenere batik policromi si ripete il procedimento per ogni tinta con una nuova applicazione di cera e un nuovo bagno di colore.

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APPLICAZIONE DI UN SOFTWARE ATTRAVERSO LA COSTRUZIONE DI PATTERN

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DUOMO DI MONREALE Il Duomo di Monreale fu costruito a partire dal 1174 per volere di Guglielmo II d’Altavilla, re di Sicilia dal 1166 al 1189, è famoso per i ricchi mosaici bizantini che ne decorano l’interno. Nell’agosto del 1926 papa Pio XI l’ha elevata alla dignità di basilica minore. Dal 3 luglio 2015 fa parte del Patrimonio dell’umanità (Unesco) nell’ambito dell’Itinerario Arabo-Normanno di Palermo, Cefalù e Monreale”. Gli antichi narrano...

CAPITOLO TERZO

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Secondo una leggenda, Guglielmo II il Buono, succeduto al padre sul trono di Sicilia, si sarebbe addormentato sotto un carrubo, colto da stanchezza, mentre era a caccia nei boschi di Monreale. In sogno gli apparve la Madonna, a cui era molto devoto, che gli rivelò il segreto di una “truvatura” con queste parole: “Nel luogo dove stai dormendo è nascosto il più grande tesoro del mondo: dissotterralo e costruisci un tempio in mio onore”. Dette queste parole, la Vergine scomparve e Guglielmo, fiducioso della rivelazi- one in sogno, ordinò che si sradicasse il carrubo e gli si scavasse intorno. Con grande stupore venne scoperto un tesoro in monete d’oro che furono subito destinate alla costruzione del Duomo di Monreale, furono chiamati per la realizzazione, maestri mosaicisti grecobizantini (“i mastri di l’oru”) dell’interno. Esiste un’altra leggenda che ruota attorno alla costruzione del duomo di Monreale e in questo caso viene presa in considerazione anche la cattedrale di Palermo. Si narra rispettivamente della storia di Guglielmo il Buono, incaricato di erigere il duomo di Monreale, e del fratello Guglielmo detto il cattivo che invece avrebbe dovuto occuparsi della costruzione di quella di Palermo. Per i due questa diventò una vera e propria sfida, con l’obiettivo di surclassare il proprio avversario. Guglielmo il buono si concentrò più sull’abbellimento dell’aspetto interno del duomo, dotandolo di mosaico dorato, poiché lo accostava all’animo dell’essere umano, come aspetto fondamentale dell’essere piuttosto che l’aspetto esteriore. 113


Al contrario Guglielmo il cattivo curò maggiormente l’aspetto esterno della cattedrale di Palermo, poiché per lui la bellezza esteriore era quella che colpiva di più lo spirito delle persone. A termine dei lavori entrambi visitarono le rispettive cattedrali restando colpiti da quello che mancava alle loro che l’altro aveva fatto e disperati prima l’uno e poi l’altro si tolsero la vita. In verità le ragioni della costruzione del Duomo di Monreale e del complesso sono ben diverse e collegate alla storia stessa della SIicilia e ai rapporti fra Stato e Chiesa.

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La storia dice… Guglielmo II divenne re nel 1166 ad appena tredici anni, dopo la morte del padre Guglielmo I assassinato da Matteo Bonello signore di Caccamo, ed ebbe come precettore l’inglese Walter of the Mill (italianizzato in Gualtiero Offamilio), nominato Arcivescovo di Palermo durante il periodo di reggenza. Proprio negli anni della minore età del sovrano, Gualtiero aveva saputo crearsi un’immensa autorità, tale da sovrastare quasi le prerogative dello Stato e da recare disturbo allo stesso papato. Quando Guglielmo II raggiunge la maggiore età e assume il potere, esplode la rivalità tra i due personaggi e si accentua il conflitto tra Stato e Chiesa palermitana. Fortunatamente per Palermo e Monreale il contrasto portò a una sfida singolare, all’affermazione delle rispettive influenze non attraverso le armi e le congiure bensì con l’edificazione di monumenti che del potere erano l’espressione più visibile e concreta. E gli effetti di questa inconsueta sfida furono grandi per la storia artistica del mondo. Guglielmo II diede il via alle ostilità con la decisione di costruire il complesso monrealese che sorse in breve tempo, a partire dal 1174, e che venne terminato nel giro di appena dieci anni. Già nel 1176 il tempio dedicato alla Vergine fu consegnato dal sovrano ai monaci benedettini provenienti da Cava dei Tirreni e guidati dall’abate Teobaldo diventato subito dopo vescovo. Pochi anni dopo, nel 1183, ecco gli effetti dell’alleanza tra il re e il papato, in contrapposizione alla Chiesa di Palermo: papa Lucio III elevò Monreale a sede arcivescovile; il territorio della nuova archidiocesi fu formato togliendone parte a quella della vicinissima Palermo che fino a quel momento era stata l’unica sede arcivescovile di tutta l’isola, causando a Gualtiero Offamilio la perdita di molti redditi derivanti dai terreni sottrattigli. In poco tempo, grazie ai benefici concessi da Guglielmo II, l’abate arcivescovo di Monreale si trasformò nel più grande proprietario terriero dopo il sovrano. La risposta di Gualtiero alla sfida del re fu la demolizione della vecchia cattedrale che, costruita nel VI secolo, era stata anche la Moschea Gami, per farne erigere un’altra più grande e più ricca, consacrata nel 1185 anche se molti altri anni furono necessari per il completamento. Vincitore di quella singolare guerra fu senza dubbio Guglielmo II con il suo Duomo di Monreale, rappresentazione eccezionale della 115


sontuosa cultura normanna in Sicilia, inserito in un grande e preciso progetto architettonico che gli affiancò da una parte il palazzo reale, dall’altra il monastero, segno di incontro tra i due poteri, lo Stato e la Chiesa come mostrano i due troni, quello regale e quello arcivescovile, posti intorno all’altare.

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La Basilica L’edificio è a pianta basilicale, a croce latina lunga 102 metri e larga 40, a tre navate separate da due file di nove colonne ciascuna, tutte di granito ad eccezione di una, la prima a destra, che è di marmo cipollino: le colonne provengono da edifici romani, così come i capitelli con immagini di Cerere e di Proserpina tre foglie d’acanto e cornucopie. L’immensa navata centrale, tre volte più ampia delle due laterali, culmina nella grande abside maggiore coperta da una breve volta a ogiva, mentre le altre due absidi sono sovrastate da una semi cupola, e una volta a botte e due a crociera ricoprono gli spazi ad esse antistanti. Il resto della chiesa ha soffitti lignei policromi che poggiano sulle pareti. Se la ricchezza di forme della basilica, la magnificenza dei suoi interni, la fastosità delle sue cappelle e degli arredi destano stupore e ammirazione, sono però i mosaici che rivestono tutto l’interno a suscitare meraviglia. La decorazione musiva si estende per 6.340 metri quadrati, ed è la più vasta d’Italia: realizzata probabilmente tra il 1180 e il 1190 da mosaicisti bizantini affiancati da maestranze di altre scuole, gli uni e gli altri adeguandosi però ad un progetto di profonda unità poetica che rispetta una sua precisa logica sia nelle tappe figurative sia dal punto di vista teologico-dogmatico, con i tanti momenti dell’Antico e del Nuovo Testamento che culminano nell’abside centrale con la suggestiva visione del Cristo Pantocratore. Da una parete all’altra scorre la storia della salvezza: dai vari momenti della Creazione alle scene di Adamo ed Eva, di Caino e Abele, di Noè e dell’Arca; della torre di Babele e di Sodoma e Gomorra; e ancora, l’annuncio della venuta del Cristo, la sua nascita, i suoi miracoli, la sua morte e la sua resurrezione; gli apostoli, la loro missione nel mondo, sino alla solenne abside centrale dove con il Cristo ammiriamo le schiere dei cherubini e dei serafini, la Vergine, i santi... Naturalmente, non tutto quello che vediamo nel Duomo di Monreale risale all’epoca in cui il tempio fu costruito e completato, infatti susseguirono diverse modifiche e numerosi restauri. Nei secoli, eventi negativi segnarono la storia del duomo. Il più funesto fu, nel 1811, l’incendio che bruciò una parte del soffitto ligneo, l’organo, il coro e danneggiò alcune tombe fra cui quelle dei re Guglielmo I e II. 117


In seguito fu ricostruito il tetto, sono stati rifatti gli stalli del coro, un nuovo organo ha sostituito quello distrutto, i mosaici sono stati restaurati e le tombe risistemate.

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STORIA DELL’ACCESSORIO

CAPITOLO QUARTO

La parola accessorio deriva dal latino acceder, che significa aggiungere, accrescere. La sua etimologia quindi, gli attribuisce una importanza che va al di là del concetto di qualcosa di secondario e superfluo. Il mondo degli accessori è, e lo è stato in passato, vasto e variegato, quindi è molto difficile da classificare.
Può essere comunque d’aiuto la distinzione operata dagli studiosi facenti parte del Comitato Internazionale dei Musei del Costume, i quali hanno distinto gli accessori in due grosse categorie:
 - Accessori che si portano sul corpo, di cui fanno parte le acconciature, le calze, le calzature, e tutta una serie di accessori che sono complemento dell’abito (da cui a volte derivano) e che in passato sono stati denominati fronzoli; a questa categoria appartengono colletti, polsini, scialli, sciarpe e cravatte.
 - Accessori che si portano in mano, come borse, ventagli, ombrelli e ombrellini, bastoni, fazzoletti. Ovviamente queste sono distinzioni generali, non mancano tuttavia le eccezioni. LA BORSA Da un punto di vista simbolico la borsa rappresenta il potere femminile di contenere ed un luogo di conservazione, quindi vita e salute.
E’ anche associato al simbolo di qualcosa che preserva ciò che è prezioso o ritenuto tale.
E’ inoltre associata agli dei messaggeri come Mercurio e Priapo.
La sua funzione originaria è quella di custodia del denaro, è ciò la rende in origine oggetto legato fondamentalmente al commercio; per questo è anche emblema dell’elemosiniere e del mercante. La sua storia però si evolve in risvolti più vivaci e frivoli da quelli meramente economici rendendola un accessorio costantemente in bilico tra la sua funzione contenitiva e la sua esteriorità mondana e modaiola. La borsa assume inoltre un aspetto dinamico quando si dilata e diventa borsa da viaggio, il cui archetipo è il sacco da viaggio che insieme al bastone sono emblema del pellegrino.

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Sicuramente è uno degli accessori più indispensabili. Contiene il nostro micro mondo privato, tutto quell’insieme di oggetti indispensabili e non, che rappresentano comunque ciò che di nostro vogliamo che ci accompagni nel nostro viaggio quotidiano. Rappresenta anche un contenitore segreto di cui quasi sempre solo il proprietario conosce il contenuto; è però un involucro che ama farsi notare, che gioca con i colori, le forme, i materiali. Forse proprio questa doppia valenza, questa dimensione “interiore” e quella esteriore lo rendono un oggetto tanto interessante, che attrae senza svelare. La nostra borsa è così un oggetto rassicurante: è come un pezzo di casa, è il guscio della lumaca, è l’oggetto che nella Seconda guerra Mondiale serviva a contenere ciò che si poteva scappando agli allarmi dei bombardamenti, è una proiezione di noi stessi che ci da sicurezza, è un’appendice che ci aiuta a darci un contegno, un appiglio, un sostegno nelle situazioni sociali. In quest’ottica si colloca nell’insieme di quelle appendici che ricorrono nella storia del costume e della moda: i vari manicotti del XVII sec, e poi il ventaglio, il parasole, il fazzoletto per le donne; spada, bastone, ombrello per gli uomini. Secondo lo psicologo Desmond Morris questi oggetti rappresentano barriere tra noi e il mondo esterno che ci infondono sicurezza, che ci permettono di rivivere l’atteggiamento infantile di nasconderci dietro la mamma o ad un mobile di casa. La borsa è essenzialmente un oggetto femminile: il borsello non ha 
avuto un successo duraturo. Gli uomini fanno uso comunque dia altri accessori come portadocumenti, zaini, ventiquattro ore, sacche, cartelle. Forse il grande successo di questo accessorio sta in parte nelle motivazioni affettive, in parte nel valore oggettivo dato da lavorazioni, materiali, dal patrimonio artigianale coniugato alle nuove tecnologie che ogni pezzo racchiude.

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LA BORSA NELLA STORIA DEL COSTUME La borsa nasce come contenitore destinato al denaro; la sua origine, dunque, è legata alla nascita della moneta, avvenuta circa mille anni a.C. Il nome “borsa” deriva da byrsa, parola greca che indicava il cuoio. Da ciò è facile intuire che presumibilmente le prime borse erano confezionate con questo materiale. In società in cui era l’uomo a svolgere attività legate all’uso del denaro la borsa era soprattutto un accessorio maschile. Le più antiche testimonianze della lavorazione delle pelli si ritrovano in Toscana nel secolo XII. Sul finire del secolo vennero istituite dalla Repubblica fiorentina le cosiddette Arti Minori, tra cui quella dei Calzolai, dei Cuoiai e Galigai, dei Corregiai e Sellai.
 La lavorazione si svolgeva a Firenze inizialmente nella zona del Ponte Vecchio, dove le pelli venivano immerse, prima di essere conciate, nelle acque dell’Arno, poi in seguito tale procedimento fu effettuato nella parte orientale della città, poiché causava disagi agli abitanti.
Le pelli erano distinte in pellami più resistenti, date dalla concia di animali come manzo e bufalo, e in pellami più raffinati derivanti da vitelli, capre, camosci.
Sono di questo periodo borse quali le scarselle, da portare appese al collo e alle cinture, e le bisacce, borse da viaggio usate dai messi e dai pellegrini che potevano essere portate anche sul dorso del cavallo. Erano diffuse anche modelli più preziosi.
Le borse degli artigiani fiorentini furono apprezzate e molto richieste anche dai mercanti esteri. A Venezia operavano invece artigiani detti bolzieri, facenti parte dell’Arte dei Lavoratori del cuoio, i quali, in una città fondamentalmente commerciale come Venezia, erano molto impegnati nella realizzazione di varie tipologie e dimensioni di borse, da quelle per il denaro a quelle per piccoli oggetti quotidiani a quelle da viaggio e destinate alle merci.
Le borse di dimensioni più ridotte venivano portate appese alla cintura o al collo.
Accanto a borse in pelle erano realizzate borse in tessuti preziosi, con ricami e applicazioni di perle e gioielli, tanto che per limitarne lo sfarzo vennero promulgate delle leggi suntuarie, che fissavano dei limiti all’uso di materiali preziosi. 123


IL MEDIOEVO Nel Medioevo prevalgono modelli che non occupano le mani ma che sono indossati a tracolla come carnieri, bandoliere, tascapane usati dai pellegrini o bisacce diffuse tra i contadini. Nel XI e XII secolo, in seguito alle Crociate, si diffonde una borsa detta aumonière sarazinoise (elemosiniera alla saracena), destinata in un primo momento a contenere le monete destinate alle elemosine, strumento necessario per guadagnarsi indulgenze e la grazia divina, poi in seguito ampliata fino a poter contenere altri oggetti. L’aumonière è prevalentemente di forma trapezoidale con la sommità arrotondata. Questa era spesso composta da una borsa esterna più grande e una piccola borsa interna, ed era spesso finemente ricamata. Col tempo si aggiunse una chiusura metallica, spesso molto decorata. L’ aumonière rimase pressoché invariata fino al XVI secolo.

A DESTRA - AUMONÍERE SARAZINOISE ELEMOSINIERA SARACENA 124


Nel Duecento compaiono scarselle alla tedesca, portate al centro della vita, detti anche marsupi. Questi potevano essere di cuoio sia semplice che ornato, di seta, di velluto, spesso decorati con metalli preziosi e perle; esistono anche delle versioni in maglia.
Erano anche usate borse con gli stemmi della casata di appartenenza o dell’attività svolta, citate anche nell’Inferno di Dante Alighieri.

A DESTRA SCARSELLA CON CINTURA 126


La scarsella rappresenta la tipologia di borsa più diffusa in quest’epoca e fino al secolo XVI.
Dal XI al XVI secolo la borsa si diffonde notevolmente, e viene portata sia dagli uomini che dalle donne. Al Rinascimento risalgono le prime borse vicine al concetto odierno, con chiusure metalliche nella parte superiore. Nei secoli Trecento e Quattrocento questa chiusura prende la forma della odierna cerniera e viene riccamente decorata.

A DESTRA SCARSELLA DI FATTURA FRANCESE 128


IL CINQUECENTO Nel Cinquecento le borse si diversificano in base alla forma e alla provenienza: alla francese, alla ferrarese, alla veneziana; cambiano seguendo i cambiamenti del gusto dell’epoca. I materiali usati sono cuoio e velluto, broccati, rasi, in cui sono applicate varie decorazioni quali fiocchi, frange, nastri e che spesso vengono arricchiti con ricami e applicazioni. Molto diffusa anche in epoche precedenti è la borsa da matrimonio: una borsa con l’effige dei due fidanzati, che, riempita di monete d’oro, veniva donata dallo sposo alla sua sposa. Ritroviamo inoltre la scarsella, di memoria Medievale, a forma circa di cartella ( cui ha dato il nome), di dimensioni abbastanza grandi, con un fodero esterno per il coltello. Nel corso di questo secolo le brache a sbuffo favoriscono la nascita di tasche destinate a contenere oggetti e della brachetta, una sorta di sacchettino attaccato ai calzoni. Le tasche fanno la loro comparsa intorno al 1550, e in Francia nel 1563, periodo di disordini, furono addirittura proibite per paura di ciò che potevano nascondere.

A DESTRA BORSA DEI FIDANZATI 130


IL SEICENTO Nel Seicento le borse sono pressoché assenti, poiché denaro ed effetti personali erano riposti all’interno dell’ampiezza delle vesti, che si erano fatte notevolmente ampie e maestose, ricche di pieghe e imbottiture. Si diffonde in questo periodo l’uso del manicotto che oltre a tenere le mani al caldo era dotato di tasche per riporre oggetti. Questo oggetto era diffuso a Venezia già nel Quattrocento, ma conoscerà una grande diffusione in Francia solo intorno al XVII secolo. Fu portato da entrambi i sessi, e fu chiamato contenance o bonnes graces. Inizialmente era in tessuto foderato di pelo, in seguito fu, al contrario, in pelliccia con fodera in tessuto. La borghesia adotterà dei modelli in pelliccia nera, mentre presso le dame dell’alta società erano in voga modelli in volpe con zampe e testa della stessa; erano anche usate pelli di tigre o di leopardo. Il manicotto verrà utilizzato anche dagli ufficiali. Come detta la moda dell’epoca, anche questo accessorio viene spesso arricchito di frange, nastri, pietre. Alcuni modelli potevano essere appesi alla cintura. In questo e nei secoli successivi si diffondono contenitori e cofanetti destinati a contenere effetti personali, talora segreti, oggetti da toilette, lettere d’amore, oggetti da cucito e da ricamo. Nel Seicento e nel Settecento si diffusero le borse da lavoro, contenenti il necessario per cucire e ricamare. Queste borse erano in tessuto o in perline ed erano spesso accompagnate da un cuscinetto per puntare gli spilli; queste borsine venivano portate anche in occasioni mondane, quasi a ribadire il proprio status di donna “perbene”.

A DESTRA IL MANICOTTO 132


IL SETTECENTO Alla corte di Maria Antonietta era ancora diffuso il manicotto, che è sempre più capiente e prende il nome di barilotto; esso può contenere ventaglio, portacipria, tabacchiera ed addirittura un piccolo animale da compagnia! Il manicotto è ancora in pelliccia ed è decorato con varie passamanerie, e come era già avvenuto in precedenza, era utilizzato anche dagli uomini. E’ dopo la Rivoluzione Francese e l’affermarsi dello stile Direttorio che ricompaiono le borse, anch’esse, come vuole la moda dell’epoca, leggere e morbide, ispirate alle reticola romane, da cui prendono il nome che storpiato diventa ridicule. Per la prima volta nella storia del costume queste borse sono appese al braccio. Non ebbero tuttavia una grande diffusione.

A DESTRA -RIDUCULEBORSA DOPO LA RIVOLUZIONE FRANCESE 134


L’OTTOCENTO Dal 1814 si diffondono borse ispirate a quelle destinate a contenere la selvaggina, dette gibecières. Dal 1825 tuttavia ricompaiono i manicotti e la borsa va in disuso.

A DESTRA LA GIBECÍERES 136


IL NOVECENTO Dopo il 1890 la borsa comincia a comparire con una certa frequenza. Questo ritorno è dovuto, oltre ad un fattore di moda, ossia l’affermarsi di una silhouette affusolata, anche ad un fenomeno sociale: la maggior dinamicità delle donne, che prendono l’abitudine di viaggiare. Con lo sviluppo dei trasporti le distanze si accorciano e nasce il gusto per il viaggio e l’esotico; nascono così le borse da viaggio per signore, funzionali e ricche di scomparti e marchiate con l’iniziale della proprietaria e tutta una serie di bagagli, che fino a questo momento avevano privilegiato l’aspetto funzionale, dalle forme e dettagli ricercati. Si diffondono anche modelli da passeggio, che vanno da esemplari riccamente decorati da appendere in vita con catenelle, a esemplari più moderni, con i manici. E’ il periodo spensierato della Belle Epoque, che tuttavia finirà bruscamente con il 1918 e la Prima Guerra Mondiale, che durò quattro anni e portò via la frivolezza, la spensieratezza, la mondanità dell’epoca precedente. Durante la guerra sono diffuse ampie borse in cuoio robusto destinate ad accompagnare le donne che spesso hanno intrapreso qualche genere di attività fuori casa. Dopo la guerra il mondo è cambiato: il non fare niente non è più una condizione prestigiosa, l’oziosa borghese non esiste più; al suo c’è una donna vivace, con abiti accorciati fino al ginocchio, che si addicono alla sua vita dinamica. Questa donna spesso lavora, scia, nuota, guida, balla. L’ideale è una donna dinamica, un po’ “androgina”, la “garçonne”. Questi anni frenetici vengono battezzati “Anni Folli”. Le borse perdono la catenella e nascono le pochette, sono squadrate, di forma rettangolare, di vari materiali. Già da qualche anno inoltre è forte l’eco delle “suffraggette”, che rivendicano per le donne non solo il diritto al voto, ma una nuova dignità all’interno della società. Queste donne vestono senza il busto, con abiti di linea sciolta, piccoli cappelli e borse appese al braccio, funzionali e non leziose. In questo periodo convivono queste tipologie di borse, funzionali e sobrie, e quelle ornamentali e decorate delle signore eleganti della buona società. 138

Coco Chanel, sembra interpretare le esigenze di una nuova femminilità lanciando un nuovo modo di essere e di vestire, con i suoi abiti rigorosi ed eleganti, con i suoi tessuti sportivi e confortevoli. La borsa diventa un compendio necessario alla mise femminile. Si diffondono varie tipologie: dalle borse a due manici alle pochette alle borsine ricamate. La borsa viene anche interpretata da molti artisti dell’epoca, che creano oggetti unici ovviamente destinati ad un pubblico di elite: è il caso dei pezzi creati da Erté, da Sonia Delaunay ed altri. Una tipologia che si diffonde in questi anni e rimane in voga fino alla fine degli anni Trenta è la trousse, detta in America vanity case: si tratta di piccoli contenitori rigidi, in genere di materiali preziosi come metallo, tartaruga, lacca o pellami esotici come coccodrillo e rettile. All’interno vi è uno specchio e lo spazio per cipria, piumino, rossetto. E’ attivo a Parigi Hermes, nato come sellaio, il cui stile rimane legato al mondo equestre. In Italia operano Gherardini (dal 1885), Gucci (dal 1912). Gli Anni Trenta rappresentano un momento di riequilibrio, dopo gli “Anni Folli”. Ritornano la sobrietà, l’eleganza, i valori borghesi.
Si diffonde la famosa Chanel nata nel ‘22-’23, modello a busta dalle caratteristiche impunture a rombi, destinata ad avere enorme successo e diffusione. Sempre Chanel lancia il tubino nero che è un passepartout per tutte le occasioni e viene rinnovato con gli accessori.
Grande successo ebbe anche la tracolla lanciata da Elsa Schiapparelli, e in seguito quella di Gucci, che in questo periodo lancia un modello ispirato al mondo dell’equitazione, in cinghiale con la famosa banda in tela verde e rossa. Nasce il concetto di tempo libero anche per le classi popolari; si diffondono quindi gli sport e l’uso di recarsi al mare. Ciò inaugurerà una serie di nuovi accessori nati per queste esigenze.
Nasce come accessorio estivo il secchiello, proposto da Hermès, che ben presto diventa un oggetto da usare tutto l’anno.
Gli anni Trenta sono anche gli anni di proposte stravaganti e surreali: dai pezzi di Elsa Schiapparelli a varie borse dalle forme più disparate: case, conchiglie, orologi, mazzi di fiori, violini.
In questi anni la scelta della borsa era legata ad una serie di regole per adattarsi alle diverse situazioni e momenti della giornata (mattino, pomeriggio, sera).
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Le borse da giorno si coordinavano all’abito ed erano dello stesso colore di guanti, scarpe, cappello.
Per la sera le borse erano spesso confezionate nello stesso tessuto dell’abito, a volte erano con strass o paillettes.
Fa nuovamente la sua comparsa il manicotto, di cavallino nero o di velluto. Gli anni Quaranta sono segnati da una generale cupezza data dal clima di guerra.
L’autarchia e le restrizioni materiali favoriscono la diffusione di materiali alternativi a quelli pregiati. Tali materiali sono destinati ad avere grande successo e diffusione. Nati come una necessità i mezzi di fortuna per sopravvivere e vestirsi durante la guerra si coloriscono di dettagli ironici, assumono il carattere di una provocazione della moda, e si useranno tutti i mezzi per fare buon uso dell’”autarchismo”.
In Italia si diffondono alternative ai materiali più preziosi: il cuoietto autarchico (similpelle), il dentice (battezzato “pelle di sirena”) al posto del coccodrillo, il rospo al posto dello struzzo.
Si diffondono anche borse in tessuto: canapa, lino, seta. Ci si ingegnò come meglio si poteva, anche usando il feltro dei cappelli.
Le borse sono di grandi dimensioni, ormai le borsine degli anni precedenti lasciano il posto alle “borsone per la spesa” che si appendono alla spalla e sono comode per andare a piedi o in bicicletta. Durante la guerra la borsa era sempre pronta, per portare con sé durante eventuali fughe i propri averi. Dopo la Seconda Guerra Mondiale Parigi assume un ruolo di primo piano nella moda.
Si riscopre il gusto della vita mondana, a cui partecipano esponenti della buona società e del mondo dello spettacolo. Quasi ad esorcizzare le brutture della guerra, sarti come Dior e Balmain vestono le donne come creature eteree, con grande raffinatezza e cura; l’emblema di questa nuova donna è Grace Kelly.
La silhouette proposta da Dior, il cui “New Look” avrà grande successo, veste la donna come se fosse un fiore: i busti stringono la vita e da qui in giù i ricchi tessuti si svasano. Questo stile è immortalato dai bozzetti di un grande illustratore dell’epoca, Gruau. .Gli accessori sono in questi anni un compendio fondamentale all’abbigliamento: Hermès è all’apice del suo successo, così come Roger Vivier con le sue scarpe, Lesages con i suoi splendidi ricami, le varie modiste con i loro cappelli. Gli accessori sono spesso coordinati e confezionati con lo stesso tessuto e decori. Sono diffuse le pochette di dimensioni molto piccole.
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Tornata l’eleganza formale, torna l’accessorio coordinato. Nel 1956 Grace Kelly appare sulla rivista Life con al braccio una borsa di Hermès da questo momento si chiamerà “Kelly”. In realtà è un modello del 1932 chiamato sac à courrois, ed è ispirato ad un sacco per la sella; da questo momento diventerà un mito.
Sempre di Hermès Jaqueline Kennedy porterà spesso un modello rettangolare con chiusura ad H; Audrey Hepburn invece ama le borse di Gucci. Con le sue creazioni, Giuliana di Camerino (che firmerà i suoi modelli con la R di sua figlia Roberta) rappresenta un’eccezione per i suoi colori forti accostati, per i tessuti pesanti fatti su antichi telai, per i suoi vivaci pezzi unici che ebbero grande successo in tutto il mondo. Il decennio degli anni Sessanta rappresenta un momento di grossi mutamenti sociali, che ebbero importanti ripercussioni sul gusto e sull’abbigliamento. Sorpassato il formalismo anni Cinquanta, e con esso la figura di una donna femminile e procace, la moda conosce un periodo di importanti sperimentazioni, mentre si profila una nuova figura femminile, infantile e asessuata, che sembra incarnare il rifiuto del mondo “adulto” e con esso i suoi valori sia etici che estetici.
Per quanto riguarda le forme sono molto diffuse le forme strutturate: bauletti, borse a mano con cerniere metalliche, borse a cartella. Non si tratta tuttavia di modelli formali, ma di oggetti decorati, futuribili, non classici.
Il cambiamento dello stile di vita, ed in particolare verso ritmi più dinamici anche per le donna (automobile, lavoro, studio) decreta il successo di borse funzionali, con tasche, soffietti, cerniere nascoste e tracolle.
Nascono inoltre le prime borse destrutturate, anche se comunque per ora non è la tendenza preponderante.
Non possiamo parlare di stile ma piuttosto di una commistione di stili: l’optical, il retrò, lo psichedelico, l’etnico sono tutte tendenze presenti che influenzano lo stile e la moda. Nel frattempo l’atterraggio dell’uomo sulla Luna apre la strada ad una tendenza “futuribile”. Particolari decorativi:
In generale nella decorazione prevale il gusto per decori geometrici e per le linee pulite.
Molto diffuso il bicolore, anche giocato su materiali diversi, che mette in risalto le geometrie.
Decori geometrici: fibbie, cinturini, tasche applicate, pattine.
Gusto per i dettagli metallici, anch’essi dalle forme geometriche e pulite:
largo uso di cerniere con saltarelli in metallo decorati, piccole chiusure metalliche 141


rate sempre con motivi geometrici. Rivetti e automatici. I materiali usati sono: pelli (vitello, rettile) colorate, plastica, vinile, vernici, tessuti fantasia floreale e fantasie geometriche, paglia. Per la sera pellami dorati, strass, perline, tessuti moirè.

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BIBLIOGRAFIA • Il Batik, Nadia Nava - Ulissedizioni - 1991 ISBN 88-4141016-7 • Le Ossessioni del Giallo - Laboratorio interdisciplinare sulle tecniche di “tintura tessile” tradizionale, 2009 - a cura del prof. Sergio Pausig, Beatrice Agosta, Vittorio Ugo Vicari • Monreale La Cattedrale e il Chiostro, a cura di Stefano Giordano, edizione POLIGRAF, Palermo 1972 • Monreale Capitale Normanna, appunti autentici a cura del professore e storico Giuseppe Schirò – Palermo 1978. AA.VV. Monreale e il suo territorio. • R. Levi Pizetsky, Storia del costume in Italia, Istituto editoriale italiano, Milano, 1967; M. Schiaffino, O la borsa o la borsetta, Idea libri, Milano, 1986; L. Bordignon Elestici, Borse e valigie, ed. BE-MA, Milano 1989 • Tutte le tecniche per dipingere, decorare, stampare i tessuti Manuabili
2003 Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, su licenza di Demetra SRL seconda edizione: Ottobre 2000

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RINGRAZIAMENTI Desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato nella realizzazione della mia Tesi. Ringrazio il Professor Sergio Pausig per la sua sapiente guida artistica e per avermi seguita con costante impegno durante il percorso accademico non mollandomi un attimo! Un grazie particolare a tutte le persone che in questi anni mi hanno incoraggiata ad andare avanti e che quando volevo mollare mi hanno spronata e aiutata a superare tutte le difficoltà incontrate: Ringrazio il Professor Peppe La Bruna che tra i miei alti e bassi c’è sempre stato, sia come professore e soprattutto come amico, grazie Peppe per i testi preziosi prestati per la tesi. Un grazie particolare va a colui che tra un incontro e l’altro è diventato anche un amico, Salvo Rinaudo, con le sue mani d’artigiano ha reso possibile la realizzazione della borsa. A mia sorella Elide che mi ha sempre ascoltata e a Nunzio che si è occupato delle foto all’interno del Duomo. Grazie al mio fidanzato Francesco e alla sua famiglia che hanno speso parte del proprio tempo aiutandomi e lusingandomi per ogni mio progetto. Infine voglio ringraziare la mia famiglia, a cui questo lavoro è dedicato. Grazie per avermi dato la possibilità di frequentare l’Accademia e di raggiungere questo traguardo; grazie per avermi supportata e soprattutto sopportata!

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