Didattica costruttivista e nuove tecnologie la costruzione di ambienti tecnologici di apprendimento

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“Didattica Costruttivista e Nuove Tecnologie: La Costruzione di Ambienti Tecnologici di Apprendimento Collaborativo per Una Scuola Inclusiva�

Dott.ssa Marinella Gargiulo

a.s. 2015/2016


Indice

Introduzione

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L’Approccio Costruttivista

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La Didattica Costruttivista

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Gli Ambienti di Apprendimento

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Il Ruolo del Gruppo Il Ruolo delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC) La Costruzione di Ambienti Tecnologici di Apprendimento Collaborativo

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Condizioni Essenziali Le Risorse Questioni Ancora Aperte Uno Sguardo alla Diversità per una Scuola Inclusiva

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Conclusioni

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Bibliografia

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Sitografia

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1. Introduzione Questo lavoro nasce dal desiderio di voler porre l’accento su alcune tematiche che, seppur costituiscano da tempo motivo d’interesse e di sfida per la comunità scientifica, non sempre vengono colte come tali. Pertanto, i loro scenari sfumati e indefiniti e, purtroppo, ancora troppo poco esplorati, finiscono per rappresentare preziose occasioni mancate. Tale percorso di analisi, compiuto alla luce della complessità, si colloca nell’ambito delle riflessioni pedagogiche di stampo costruttivista. In particolare, il tema centrale riguarda l’importanza che il “gruppo” e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione rivestono nella didattica e come il docente, nella pratica educativa, possa valorizzarle per costruire ambienti di apprendimento efficaci, significativi e inclusivi. In tale direzione, è offerta una breve finestra di riflessione sulle ricadute positive che tali ambienti possono avere sulle persone con disabilità e/o bisogni educativi speciali (BES). L’intento è quello di voler condividere le potenzialità insite in un’esperienza particolarmente significativa, di riflessione in azione, compiuta in qualità di docente di Scuola Secondaria di Secondo Grado, i cui risultati mostrano come la diversità relazionale e dialogica tra le parti possa farsi risorsa attiva e linfa vitale per consentire a ciascuno l’empowerment. L’Approccio Costruttivista L’epistemologia costruttivista si basa sull’assunto fondamentale che il sapere non è qualcosa di oggettivo, che esiste “là fuori”, indipendentemente dal soggetto che conosce, in quanto c’è una stretta e dinamica interconnessione tra osservatore e oggetto osservato, tale per cui non è possibile operarne una netta distinzione. Ciò implica che apprendere non vuol dire scoprire la “vera natura delle cose”, quanto piuttosto operare una soggettiva costruzione di significato dell’esperienza, permessa e orientata da mappe cognitive e condizionata dal linguaggio, quale strumento culturale socialmente e storicamente situato. Pertanto, l’approccio costruttivista offre una teoria della conoscenza, della comunicazione e dell’apprendimento (Varani, 2002), focalizzandosi sui processi di interazione sociale e comunicativa (mediante gli artefatti culturali), che consentono di fare esperienza della realtà e di costruirne una conoscenza al tempo stesso individuale e sociale. Da ciò deriva la possibilità (attraverso forme di collaborazione e negoziazione sociale), di mediare e concordare i significati dell’esperienza condivisa, i quali non saranno mai completamente sovrapponibili. Il costruttivismo costituisce, attualmente, un paradigma di riferimento per diversi settori disciplinari quali: filosofia della scienza, psicologia, pedagogia, scienze cognitive, informatica ecc. Alcuni autori (Varani & Carletti, 2005), ripercorrendo la storia delle diverse correnti teoriche di tale approccio1, ritengono importante la figura di Von Glasersfeld (1998), che rintraccia le radici del costruttivismo nelle teorie degli empiristi inglesi e di Giambattista Vico (1976) e si pone in continuità con i contributi della seconda cibernetica (Foerster, 1985), dell’epistemologia di Piaget (1937) e della Scuola Operativa Italiana (Vaccarino, 2002). All’oggettività del reale egli sostituisce quello di “intersoggettività”, ossia di uno spazio di conoscenza (percepito illusoriamente come stabile e condivisibile), che si costruisce e si avvalora attraverso il riconoscimento delle proprie interpretazioni da parte di altri soggetti pensanti. 1

Varani (2002) distingue tra costruttivismo: radicale (Von Glasersfeld in Lodrini, 2002); interazionista (Piaget e Ausubel in Varisco, 2002); sociale (Vygotskij e Leont’ev in Varisco, 2002); situazionista (Cole e Eckert in Varisco, 2002) e socio-culturale (Brown e Campione in Varisco, 2002).

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Altro personaggio di rilievo è Vygotskij (1978), i cui maggiori contributi riguardano: l’influenza reciproca tra pensiero e linguaggio (in cui quest’ultimo è prodotto e strumento del pensiero) e lo sviluppo degli stessi da un livello inter-personale ad un livello intra-personale; inoltre, l’idea di apprendimento nella “zona di sviluppo prossimale”, grazie allo “scaffolding” fornito dai pari e/o dagli adulti. Concetti ripresi e approfonditi più recentemente dalle posizioni del costruzionismo e contestualismo (Rorty, 1989), che ribadiscono l’importanza di considerare ogni attività alla luce del contesto storico e sociale di riferimento, il quale ne definisce la cornice di senso, ma soprattutto il valore, che non è di verità/falsità, bensì di efficacia e di adeguatezza. Pertanto, è nell’abdicazione di una concezione di verità assoluta che diventa possibile l’accoglimento, il riconoscimento, nonché la valorizzazione delle diversità. La Didattica Costruttivista Una didattica costruttivista, che non dovrebbe mai prescindere dall’idea di conoscenza come costruzione attiva e situata, di significati personali e sociali, che si potenzia nella relazione di scambio e condivisione con l’altro (sia convergendo che divergendo), si pone in netta contrapposizione ai precedenti modelli educativi di insegnamento-apprendimento (Damiano, 1998). Da quelli cosiddetti di “prima generazione” (che proponevano una relazione insegnantealunno fondata su asimmetria, autoritarismo e mancanza di contrattazione), si è passati a quelli di “seconda generazione”, del “Process-Learning”, che riassegnando importanza al soggetto, proponevano una relazione insegnante-alunno fondata sull’interesse e l’autenticazione. In tale modello mimetico e antagonistico, in cui l’autorità c’è, ma si nasconde, l’insegnante utilizzava spesso la formula: “Fidati di me, ma conta su te stesso”. Ci si serviva dell’autorità per poi eliminarla (mediazione identitaria) e l’insegnante non trasmetteva né concetti, né rinforzava risposte esatte, ma garantiva un’educazione basata sulla scoperta, un “apprendere facendo”. A partire dagli anni ’80, invece, si è affermato un nuovo paradigma, quello della complessità, che ha introdotto l’importanza del concetto di “clima”, ossia di “campo pedagogico”. Si tratta dei modelli di “terza generazione”, quelli dell’“Oggetto mediatore”, in cui il processo di conoscenza è visto come “via di mezzo”. Qui l’insegnante ha un ruolo diverso: è colui che in-segna, ossia mostra, indica un segno; fornisce, quindi, indizi, suggerimenti o istruzioni “adatti” alle competenze degli alunni. Incoraggia a mettere in opera quei comportamenti che il soggetto è in grado di attuare, agendo attraverso gli oggetti culturali. Il docente utilizza questi strumenti per attrarre l’alunno a sé, ma per poi trasferire il suo interesse sugli stessi oggetti culturali. Una sorta di transfert pedagogico in cui le scoperte sono mediate socialmente e in cui l’adulto e la cultura, coi suoi strumenti, fanno da impalcatura al soggetto in formazione. E’ in tale direzione che si inserisce la didattica costruttivista che non può, dunque, offrire “ricette preconfezionate”, procedure di insegnamento fisse, meccaniche e standardizzate, valide per tutte le situazioni, in quanto l’apprendimento è un processo dinamico e creativo (di assimilazione e accomodamento) e l’insegnamento una delle tante occasioni possibili. “L’istruzione non è causa dell’apprendimento, essa crea un contesto in cui l’apprendimento prende posto come fa in altri contesti” (Wenger, 1998, p. 266). Pertanto, la consapevolezza da parte del docente di essere (insieme ai materiali e al linguaggio impiegato), una tra le varie risorse disponibili e di non avere un potere diretto ed esclusivo su tale processo, può aiutarlo a svolgere più efficacemente la sua funzione (Varani, 2002). In quest’ottica, è da sottolineare che l’azione del docente non si inserisce mai in un “vuoto cognitivo”, il che significa che gli studenti possiedono già propri stili cognitivi e tipologie di 3


intelligenza (Gardner, 2005), nonché personali cornici interpretative della realtà (teorie ingenue), che è necessario far emergere, affinché possano essere “sanate” eventuali discrepanze rispetto a quelle del patrimonio sociale condiviso. Pertanto, in qualità di formatore, egli deve spostare l’attenzione dalle performances (risultati), ai percorsi cognitivi intrapresi dagli allievi (processi), mostrando la varietà e molteplicità delle traiettorie percorribili. La didattica costruttivista, dunque, non deve tendere alla semplificazione e all’omologazione, bensì rendere visibile la complessità del reale, con tutte le sue sfumature ed eterogeneità, creando quelle condizioni in grado di consentire a ciascuno di intraprendere, entro una struttura sociale reticolare, il proprio itinerario di sviluppo, realizzando le proprie potenzialità (Varani, 2002). Ben si sposa, dunque, con l’idea di una didattica inclusiva, la cui sfida è quella di “una scuola di tutti e di ciascuno”, il che comporta una “cura” della qualità, intesa come attenzione sia al bisogno di normalità/uguaglianza (riconoscimento, appartenenza ad una comunità), che di specialità/differenza (bisogni speciali di ognuno di noi). La Scuola, infatti, in qualità di microcosmo che è parte integrante della società e ne riflette valori e limiti (condizionato e condizionante), deve poter rappresentare una “palestra di vita”; ossia un contesto relazionale entro il quale ciascuno (e in particolare la persona in difficoltà), possa sentirsi accolto, positivamente rispecchiato e libero di sperimentare, in modalità “protetta”, i diversi aspetti (molto spesso contraddittori e/o negati), della propria identità in formazione. Pertanto, nella sua azione quotidiana di agenzia educativa, è auspicabile che miri alla costruzione di un progetto esistenziale, teso al miglioramento della qualità di vita della persona, nei suoi diversi campi di espressione (cognitivo, emotivo, psicologico, relazionale ecc.) e in tutti gli ambienti sociali in cui interagisce ad ogni età (Ianes, 2013), attraverso la creazione di sinergie con figure professionali interne e/o esterne, strettamente interconnesse con le risorse del territorio. Gli Ambienti di Apprendimento Secondo alcuni autori (Calvani, 1998; Varani, 2002; Varisco, 2002), l’approccio didatticocostruttivista sembra essere il più indicato ad offrire soluzioni per gestire la natura sistemica dell’apprendimento scolastico: processo complesso, che vede una reciproca e dinamica interazione tra fattori di varia natura (cognitivi, emotivo-affettivi, socioculturali, organizzativi, didattici ecc.). Propone, infatti, ai docenti di abbandonare la lezione frontale tradizionale (figlia di un sapere trasmissivo, precostituito e nozionistico), per farsi progettisti, costruttori e registi di “ambienti di apprendimento”: inclusivi; orientativi e mai direttivi; ricchi di esperienze reali e di una varietà di metodi, strumenti e materiali significativi (individualizzazione e personalizzazione); valorizzanti la risorsa del gruppo classe (mediante l’impiego sistematico di approcci cooperativi e metacognitivi), grazie ad un clima relazionale positivo, di fiducia, prosocialità e solidarietà informale tra gli allievi. Che si tratti di ambiente “fisico” o “virtuale”, quella dell’allestimento è un’attività delicata, che richiede enorme sensibilità, capacità di ascolto e di sintonizzazione empatica con l’”Altro”, inteso sia come “Altro da sé”, che come ”Altro in sé”. Dunque, capacità di: riflessione, consapevolezza, responsabilità e (auto)valutazione sistematica del proprio operato, in quanto la disposizione di tutti gli elementi in gioco inevitabilmente si riverbera e condiziona il “luogo mentale” di ciascun soggetto partecipante. L’obiettivo è quello di creare “comunità di apprendimento”, lasciando allo studente ampi spazi di libertà di espressione e di autodeterminazione, ma entro una cornice/impalcatura ben definita e fortemente strutturata, soprattutto per quel che concerne l’assetto normativo comportamentale e sociale. Secondo alcuni autori (Varisco, 2002), affinché gli allievi siano 4


resi realmente parte attiva e responsabile del processo, il docente è importante che negozi con loro: gli spazi e i tempi; il clima relazionale e operativo, nonché l’insieme delle persone e delle relazioni; le aspettative; i comportamenti, le regole e i vincoli; i compiti, le attività e gli strumenti. Il Ruolo del Gruppo L’enfasi sul ruolo attivo del soggetto, del gruppo, delle relazioni interpersonali, dell’appartenenza culturale e sociale nel processo di sviluppo cognitivo è stata ben evidenziata dalla prospettiva di Vygotskij (1978) e dalle visioni costruzioniste e contestualiste (Rorty, 1989). La cultura, secondo Bruner (1997), costituisce un mediatore importante per la costruzione del sapere. Essa, infatti, fornisce quelle coordinate (“lenti cognitive”), attraverso cui le persone guardano il mondo, si orientano, assegnano significato all’esperienza e organizzano il proprio comportamento nella realtà. Inoltre, gli individui e i gruppi, attraverso i processi interattivi e comunicativi, negoziano e ri-negoziano continuamente i significati veicolati dalla cultura di appartenenza, consentendo la costruzione dell’identità attraverso una partecipazione attiva. Anche la visione situazionista di Cole (2004), mette in luce come l’apprendimento sia facilitato e potenziato dall’appartenere ad una comunità. Tali premesse, hanno consentito lo sviluppo di svariati modelli, basati su approcci cooperativi, in cui la comunità rivestirebbe un “luogo” fondamentale per la formazione degli individui. Le “comunità di pratiche” consistono in gruppi informali, spontanei, non istituzionalizzati, in cui gli individui cercano, attraverso il confronto e la cooperazione, di risolvere i problemi dei loro contesti di vita quotidiana. Ne sono state messe a punto diverse tipologie quali:  “Community of Learners” di Brown e Campione (1994), che prevede l’organizzazione delle classi in vere e proprie “comunità di apprendisti”, in cui ciascun membro può accrescere le proprie conoscenze in un determinato settore e offrirle agli altri. Tutti gli studenti svolgono diverse attività di ricerca consultando varie forme di materiali e sono protagonisti attivi nella costruzione della conoscenza. L’insegnante riveste un ruolo di esperto; fornisce chiarimenti e materiale aggiuntivo per facilitare tale processo.  “Knowledge Building Community” (Scardamalia & Bereiter, 1994), che ha come obiettivo la produzione di idee di valore, che risultino utili alla comunità di appartenenza. Anche qui si ha una condivisione del proprio sapere con gli altri e il docente funge da coordinatore di attività e fornitore di consulenza.  “Circoli di Apprendimento” di Riel (1993), basati su una cooperazione e collaborazione più ampia: gruppi, classi e scuole sono chiamati a svolgere un lavoro di rete, per via telematica, elaborando progetti comuni ed accrescendo le proprie conoscenze su tematiche specifiche. Vere e proprie “comunità virtuali globali” in cui gli insegnanti non hanno il controllo totale, ma lasciando ampi margini di flessibilità al progetto, possono apprezzare, assieme agli studenti, la possibilità di apprendere a distanza fornendo contribuiti creativi. Il Ruolo delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC) Attualmente, le nuove tecnologie rappresentano per tutti un potente strumento di accesso all’informazione, alla comunicazione e all’apprendimento, in quanto si rivolgono ad un mercato tradizionale (tecnologie convenzionali), che di volta in volta si adatta per rispondere a “bisogni speciali” (tecnologie assistive). Pertanto, consentono un miglioramento della qualità di vita di tutti i cittadini, grazie alla loro funzione di amplificatore: cognitivo, cooperativo, informativo ed espressivo (Russo, Mastroianni & Sassi, 2003). 5


Il loro impiego in contesti educativi permette di raggiungere scopi: operativi (di autonomia), didattici (di apprendimento), riabilitativi (di sviluppo di abilità motorie, sensoriali, cognitive) e diagnostici (di osservazione, analisi, intervento e monitoraggio). In particolare, in qualità di sussidio per l’apprendimento, oltre all’importanza di ausili specifici per: non vedenti (es. barra braille, stampanti braille, software di sintesi vocale, screen reader, ecc.); ipovedenti (es. videoingranditori, ingranditori per pc ecc.); audiolesi (es. software educativi); disabili motori (es. tastiere speciali, sensori, strumenti di input alternativo ecc.), che garantiscono l’accessibilità e l’usabilità dei prodotti informatici; il valore delle nuove tecnologie è dato dal fatto che, possedendo un codice multimediale accattivante, sono in grado di stimolare la curiosità, l’interesse e di promuovere la motivazione, l’attenzione e l’impegno di tutti gli studenti (Cesareni & Cacciamani, 2013), in particolar modo di quelli con difficoltà di apprendimento e/o disabilità. Inoltre, il linguaggio multimediale offerto, oggi, da svariati software didattici e non (soprattutto dalle tecnologie ad interfaccia Web 2.0), consente sia l’esecuzione di compiti e l’acquisizione di abilità specifiche, sia l’inclusione sociale (grazie alla possibilità di esprimersi, di creare contenuti da condividere all’interno di comunità virtuali, ciascuno con le proprie possibilità). Contenuti testuali possono, ad esempio, essere utili alle esigenze di persone con disabilità uditiva; quelli audio, invece, a coloro con disabilità visiva o con Disturbi Specifici dell’Apprendimento; immagini, fotografie, mappe, schemi, simboli ecc., possono essere un valido supporto per soggetti con autismo e/o con deficit cognitivo, oltre che per i DSA. Sono, dunque, imprescindibili in qualsiasi scuola che voglia perseguire un’integrazione/inclusione di qualità, ossia che riconosca la rilevanza della piena partecipazione alla vita scolastica da parte di tutti i soggetti. Considerato il bilancio degli ultimi anni sembra, però, che non sia sufficiente limitarsi né ad un loro impiego in termini meccanicistici per la trasmissione dei saperi, né ad un loro inserimento all’interno del sistema scolastico in qualità di mediatore dell’apprendimento sulla base del potenziale innovativo che possiedono (Cesareni & Cacciamani, 2013). In tale direzione, il loro uso (“strumentale”), sarebbe banalizzante ed eccessivamente oneroso in termini formativi. Secondo alcuni autori (Varani, 2002), occorrerebbe, invece, che le nuove tecnologie fossero ritenute, al pari di altri strumenti, risorse attive, situate e “problematizzanti” (Calvani, 2000) nella costruzione della conoscenza; da “allestire” sapientemente e consapevolmente per la progettazione di ambienti di apprendimento significativo. Partendo dal pensiero di Perkins (1992), Varisco (2002) sottolinea l’importanza di costruire ambienti tecnologici “ricchi”, il cui valore non sarebbe dato dalla presenza/assenza di particolari tipologie di strumenti, quanto dalla qualità del progetto educativo che le supporta. E’ il docente, dunque, che attraverso la stesura del suo progetto didattico può conferire valore e significatività alle tecnologie. La Costruzione di Ambienti Tecnologici di Apprendimento Collaborativo In letteratura vi sono numerosi esempi di esperienze di costruzione di ambienti di apprendimento efficaci, offerti dalle nuove tecnologie. Si tratta per lo più della progettazione e realizzazione di ambienti, in cui le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono messe al servizio di contesti di apprendimento motivanti, di tipo collaborativo e cooperativo (LIM, piattaforme virtuali, forum, blog, chat, social networks ecc.). Inoltre, sono ambienti “open source”, che coniugano il virtuale con il reale, innestando reti virtuali su reti reali. Una ricerca di Elia (2012), per esempio, mostra i vantaggi di un uso didattico dei wiki, quali ambienti dell’e-learning 2.0, utili alla distribuzione, raccolta di informazioni e produzione 6


collaborativa di documenti. Nello specifico, viene presentata l’esperienza di un laboratorio sperimentale in tecnologie educative, “WikiFables”, che coniuga “Wiki e Intercultura”. Ancora, un lavoro molto recente di Baschiera (2015), descrive l’esperienza di progettazione e realizzazione di un laboratorio di narrazione digitale in due classi di Scuola Secondaria di Primo Grado con una elevata presenza di studenti con Bisogni Educativi Speciali (BES). La ricerca mostra come, per il raggiungimento dell’inclusione sociale e l’acquisizione delle competenze chiave di cittadinanza, gli studenti siano stati organizzati in gruppi eterogenei e formati all’utilizzo di un ambiente di apprendimento cooperativo digitale (Digital Storytelling). In generale, i risultati evidenziano che, attraverso la sperimentazione di situazioni reali con: problem solving, creatività, discussione, analisi ed interpretazione, gli studenti hanno apprezzato il valore dei saperi esperiti; sviluppato competenze sociorelazionali e assunto responsabilità individuali e di gruppo. Condizioni Essenziali Dall’analisi delle ricerche (Elia, 2012; Baschiera, 2015; Cesareni & Cacciamani, 2013), emergono trasversalmente alcune caratteristiche che sembrano essere essenziali ad una efficace ed efficiente progettazione di ambienti di apprendimento tecnologici e collaborativi, quali: 1) Assegnare un ruolo attivo al soggetto che apprende. La “presenza” di un soggetto in un gruppo dipende dal grado in cui egli riesce ad esprimere le proprie intenzioni e comprendere quelle degli altri membri. La “presenza sociale” dei membri è in funzione del grado in cui questi condividono obiettivi ed emozioni (Riva, 2012). 2) Proporre attività che richiedano compiti reali di problem-solving, in quanto sono indispensabili per innescare una sfida, ossia un processo di scoperta delle risorse e strategie, individuali e sociali, ritenute più adeguate. 3) Pensare e organizzare la classe come una “comunità di ricerca”, in cui i membri svolgano attività di indagine collaborando e condividendo. In tale direzione, la tecnologia consentirebbe di osservare e analizzare l’oggetto di indagine avendo a disposizione una molteplicità di fonti attuali e informative; documentare, attraverso appositi strumenti di rilevazione digitale, le tappe principali del percorso conoscitivo e riflessivo intrapreso dal gruppo; produrre artefatti per rappresentare la conoscenza co-costruita dalla comunità (es. ipertesti multimediali, mappe concettuali, presentazioni in PowerPoint ecc.). Il ruolo del docente deve essere, dunque, quello di garante, supervisore e regista delle attività; capace di “decentrarsi” per promuovere la responsabilità cognitiva degli allievi e far sperimentare loro la necessità di collaborare e condividere. Inoltre, egli deve essere consapevole delle opportunità offerte dall’apprendimento collaborativo (raggiungimento di vette creative non raggiungibili dai singoli), al fine di operare una sapiente formazione dei gruppi, assegnazione dei ruoli e delle attività (in funzione delle peculiarità di ciascuno) e creazione di un clima relazionale di fiducia, aiuto reciproco, empatia e corresponsabilità (“group mind”; Riva, 2010). Infine, secondo alcuni autori (Prensky, 2010; Cesareni, 2012), compito del docente è quello di trasformare la “destrezza digitale” (dei nativi digitali), in “saggezza digitale”, ossia fare delle tecnologie uno strumento di accesso alla conoscenza e di potenziamento delle capacità cognitive. Le Risorse Gli studi indagati (Elia, 2012; Baschiera, 2015; Cesareni & Cacciamani, 2013), mettono in luce numerosi vantaggi e potenzialità degli ambienti tecnologici comunitari (collaborativi e cooperativi), di cui la didattica dovrebbe tener conto. 7


Innanzitutto, vi è la multimedialità delle informazioni e la loro organizzazione a diversi livelli logici, che ben si adatta alle strutture e ai processi cognitivi di ciascuno. Aspetto che è strettamente legato all’incremento dei processi motivazionali, sia degli studenti che dei docenti. Ciò è dovuto da un lato, a fattori intrinseci al mezzo (presentazione più attraente dei contenuti di studio), dall’altro a fattori emotivo-affettivi e relazionali (percezione di vicinanza tra studenti e docenti grazie alla riduzione del loro “digital divide”). E’ proprio la sensazione di riduzione della distanza intergenerazionale, infatti, a stimolare modalità di interazione più flessibile tra docenti e studenti (spontanee, naturali, conviviali) e, dunque, più vicine alle situazioni quotidiane. Tale meccanismo facilita la creazione di “comunità di pratiche” che, attraverso esperienze di vita comune, giungono a condividere una cultura, un linguaggio, un proprio modo di esprimersi, con ripercussioni positive sia nei processi di socializzazione, che nel sentimento di appartenenza alla comunità. Discutere in rete su problemi reali (mediante forum, chat, blog, socialnetwork ecc.), o impiegare la LIM per condividere riflessioni su materiali “agganciati” alla realtà, consente agli studenti di assegnare valore al confronto e alla partecipazione, ma anche di acquisire competenze specifiche. A tal proposito viene evidenziata la promozione di processi cognitivi e metacognitivi, grazie alla condivisione dei significati emergenti dallo scambio di materiale digitale (appunti, schemi, mappe concettuali ecc., i quali possono essere raggiunti anche da chi è temporaneamente assente in classe e continuamente soggetti a modifiche!) e alla riflessione (individuale e collettiva) sui processi cognitivi, motivazionali (personali e di gruppo) e sui prodotti finali. Ecco che si crea la storia del gruppo, il quale assolve a funzioni fondamentali per il supporto sociale e la costruzione di sé e della propria identità personale e sociale (Tajfel &Turner, 2004). Inoltre, altro aspetto è quello legato alla connettività e interattività tra utenti e gruppi che, grazie alla rete e a scambi comunicativi sempre più universali, consente la circolazione, nonché la promozione e diffusione di nuove idee e prodotti (reti creative), dal valore esponenziale (Reed, 2001). E’, ad esempio, il caso di insegnanti che condividono, in rete, materiali didattici e buone pratiche, dando vita a circoli virtuosi. Infine, ma non per importanza, è la possibilità di creare una cultura dell’inclusione, attraverso il riconoscimento della diversità e la valorizzazione delle differenze individuali come “conoscenza distribuita” (Morin, 2000). Questioni Ancora Aperte A fronte di tali potenzialità sembra, però, che tra i docenti vi siano ancora molte resistenze alla progettazione di tali ambienti tecnologici, per via di alcune perplessità che riguarderebbero in primis la variabile tempo: quello da dedicare alla fase di preparazione dei materiali e quello per allestire la classe in direzione collaborativa. Nel loro studio, Cesareni e Cacciamani (2013), mostrano che se il primo può essere superato nel lungo periodo (attraverso, ad esempio, la creazione di database di materiali flessibili da condividere e riutilizzare), il secondo richiede una presa di coscienza da parte del docente su quale sia effettivamente l’obiettivo della scuola, se un’acquisizione di contenuti o, piuttosto, un’appropriazione attiva, riflessiva, consapevole, responsabile e condivisa della cultura che viviamo. Un ulteriore dubbio riguarda, poi, la penuria di strumenti tecnologici a disposizione nelle classi, con conseguenti difficoltà nel coinvolgimento di tutti gli studenti. In questo caso, gli autori sottolineano che la soluzione spetta al docente e alle sue capacità creativo/organizzative degli “ambienti” in senso collaborativo e cooperativo (es. turnazione degli strumenti). Infine, altri problemi sarebbero quelli legati agli spazi del web, al di fuori del “tempo scuola” e del “luogo fisico della scuola” (es. cyberbullismo e violazione della privacy), i quali, secondo i ricercatori, sono certamente punti critici su cui vale la pena riflettere (per 8


adottare le dovute azioni preventive e/o di controllo), ma che non devono eccessivamente scoraggiare ad esplorarne l’impiego. Uno Sguardo alla Diversità per una Scuola Inclusiva Le considerazioni fin qui emerse appaiono in linea con i risultati di un’esperienza di rete, in rete, tra cinque Istituti Scolastici Superiori della Provincia di Reggio Emilia, che ha visto la creazione di uno spazio virtuale condiviso (attraverso un sistema di cloud sourcing open source: “Google Drive”), per la diffusione di “buone pratiche” didattico-educative e la creazione di sinergie, nell’ottica di una didattica inclusiva. All’interno di uno degli Istituti fondatori, è stata realizzata una piattaforma virtuale d’Istituto (messa a disposizione dei Dipartimenti Disciplinari e delle classi), per la gestione (creazione, consultazione, modifica, scambio e condivisione), di materiali didattici multimediali in formato digitale. Nello specifico, in una delle classi terze del Liceo delle Scienze Umane, lo spazio virtuale (progettato per far sì che la presenza di uno studente con disabilità grave fosse a tutti gli effetti una risorsa per il gruppo classe), è stato impiegato come strumento per: incrementare il grado di socializzazione e di partecipazione attiva alle lezioni, nonché il sentimento di identità e di appartenenza al gruppo classe; creare una continuità comunicativo-relazionale tra il contesto scolastico ed extrascolastico; ma soprattutto promuovere da parte dei docenti l’impiego, nello spazio “reale”, del gruppo classe come risorsa imprescindibile. In tale direzione, dunque, la piattaforma è stata valorizzata grazie alla realizzazione di un progetto didattico pilota di tipo interdisciplinare (“Il Macchinismo Industriale”), che ne ha richiesto l’impiego e mostrato l’utilità come ambiente virtuale/reale di apprendimento collaborativo (in cui ciascuno può partecipare con le proprie possibilità). Al fine di comprendere e riflettere sul ruolo che le invenzioni tecnologiche rivestono sull’origine e l’evoluzione dell’uomo e della società e di raggiungere le competenze chiave di cittadinanza, è stato proposto agli studenti un lavoro di ricerca-azione (indagine, discussione, riflessione, creazione di mappe concettuali ecc. per piccoli gruppi eterogenei di 4/5 alunni), su materiale didattico significativo, conclusosi con la realizzazione ed esposizione di un prodotto multimediale di gruppo, condiviso sulla piattaforma. In generale, i risultati mostrano una buona riuscita del progetto, sia nel grado di acquisizione dei contenuti e di elaborazione delle competenze (oltre che di apprezzamento verso i materiali proposti); sia nel miglioramento delle dinamiche socio-relazionali dell’intero gruppo classe (socializzazione, partecipazione attiva, condivisione, solidarietà, assunzione di responsabilità). Nello specifico, le ricadute positive sullo studente con disabilità sono davvero consistenti, soprattutto in termini di progetto di vita. Le strategie inclusive impiegate (group learning e tecnologie multimediali), infatti, non solo permettono di adattare la didattica e di tradurla in codici e registri accessibili dal soggetto con disabilità e condivisibili da tutti (consentendo una complementarietà e interconnessione tra programmazione curricolare e P.E.I), ma soprattutto di agire sulla globalità della persona, soddisfacendo l’intera scala dei bisogni umani (Maslow, 1954): da quelli fisiologici (grazie all’affiancamento di tecnologie convenzionali e assistive), all’autorealizzazione (grazie alla valorizzazione della dimensione comunitaria e del “gruppo”, il quale nell’accogliere riconosce e promuove un sentimento di integrazione, di appartenenza a sé stessi, agli altri e al tempo che viviamo e abitiamo; Caldin, Casarotto & Zaltron, 2009). Inoltre, le situazioni di “gruppalità”, significative per una con-crescita e co-evoluzione (Canevaro, 2006), hanno rappresentato un mezzo attraverso il quale raccontarsi, esternare fragilità e conflitti personali, ma anche “riparare le ferite”, suggerendo agli altri modalità possibili e alternative di relazione. Ciò ha consentito di: incrementare la conoscenza sulla 9


disabilità e la valorizzazione delle diverse abilità di ciascuno, con ricadute positive anche in termini di vicinanza/contatto e riduzione del pregiudizio (Allport, 1954); di stimolare un pensiero critico e riflessivo, nonché una presa di coscienza e di assunzione di responsabilità da parte di tutti gli attori sociali in gioco (per una presa in carico condivisa). Conclusioni Per dare vita ad una scuola inclusiva, che sia realmente “di tutti e di ciascuno”, occorre che i docenti (in quanto attori sociali emotivamente e quotidianamente coinvolti nella pratica educativa), sappiano rimettere al centro della propria azione professionale, il coraggio di sperimentare e di promuovere continuamente nuove idee, modalità e prodotti per cocostruire e condividere conoscenza, dentro e fuori le “comunità di pratiche”, riassegnando, così, all’apprendimento la natura di fenomeno sociale e globale.

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