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Note vocali
La nuova comunicazione in tempo di pandemia include un uso massiccio di social media, solo pochissimi, tuttavia, sanno rendere poesia l’affacciarsi a un mondo potenzialmente senza confini, i cui orizzonti sono segnati dalle infinite capacità di porsi in confronto tra individui. Entrare nelle vite degli altri, spiarne i dettagli che vengono offerti è divenuta abitudine per la maggioranza dei cybernauti, un quotidiano plurimo esercizio completamente inconsapevole, quasi “normale”. E poi c’è Fabrizio Plessi in Plessi. Progetti del mondo: 44 città – una al giorno, per un minuto, alle 19 su Instagram (plessi.progettidelmondo | fabrizio.plessi), dal primo maggio fino al 14 giugno, a cura di Paolo Lucchetta e Riccardo Baggio – che hanno ispirato altrettanti lavori del Maestro, capace di stupire ancora una volta per la sua inclinazione a conquistare Instagram con la leggerezza di chi può portare oltre il suo sguardo, regalando un tour planetario per immagini, parole e suoni, nella brevità di una misurazione temporale che diviene limite valicabile della fantasia. Le pagine del libro che ha ispirato questa nuova avventura artistica, nata quasi per gioco con la complicità di Paolo Lucchetta, il multiforme architetto dotato di capacità visionaria della modernità secondo gli stilemi più colti e raffinati della tradizione, appartengono a una pubblicazione del 1997 di Gérard A. Goodrow (editore DuMont, Colonia), da cui prende il titolo il progetto. L’aver saputo rieditare digitalmente il volume, un racconto per landmark personalissimi e ispirati, con le note di Michael Nyman a segnare il ritmo, e con la voce narrante del Maestro Plessi a dare forma sonora a un taccuino personalissimo di viaggi è risultata un’idea rivoluzionaria e meta-contemporanea, un modo per utilizzare Instagram scomponendo le immagini in multiformi paesaggi e passaggi mentali, interpretazioni di pura geografia emozionale in cui i dettagli completano lo spazio fisico di una mappa del cuore frastagliata attraverso i movimenti della vita. Plessi apre la sua valigia dei ricordi, fatta di infiniti viaggi, di incontri con culture differenti, di cui egli serba il tratto con una sua personalissima sintesi, frutto di conoscenza e di lungimiranza e riporta le sfumature del suo racconto attraverso la sua voce ferma, matura, ancora piena di stupore e di entusiasmo. Non c’è nessuna autocelebrazione o autocompiacimento, i luoghi dell’anima sono la meta di un vagare creativo, fonte di ispirazione continua. Fabrizio Plessi sembra condividere il taccuino degli appunti, in cui è solito annotare le idee e le suggestioni offerte alla sua mente curiosa e aperta, le destinazioni divengono altrettanti porti di una navigazione perenne che si chiama vita. Le città toccate in questa peregrinazione, da Roma a Venezia, da Bombay a Napoli, da Parigi al Sudan, dal Marocco alle amate Baleari, dal Giappone a New York, spaziando attraverso i Continenti, rappresentano una pura fonte di illuminazione, ciascun luogo è narrato per merito di una intensa osmosi che l’Artista ha saputo creare con quanto lo circondava. Una distopia geografica in cui le città ideali di Fabrizio Plessi si assommano e si nutrono con il filtro dello sguardo che le contiene, un dettaglio, una traccia di vita nella purezza di un pensiero incorrotto, libero nel fissare uno o più elementi fino a farne materia di narrazione. La scrittura viene inclusa nell’opera artistica che si offre a una nuova estetica, le parole si espandono oltre il segno, pesano come elementi cromatici senza entrare in conflitto con le immagini, la descrizione si carica della forza creativa del pensiero.
Communication at the time of a pandemic means social media. Only a few, though, can turn this borderless world into poetry. To enter the life of another, to spy every detail is a habit for many, a daily exercise we don’t think much of. And then there’s Fabrizio Plessi in Plessi. Progetti del mondo: 44 cities – a minute each, at 7pm on Instagram, from May 1 to June 14 – that inspired 44 pieces of art by Plessi, who never fails to amaze us for his ability to conquer a media such as Instagram with the lightness that belongs to those who can see beyond. Plessi’s is a planet-wide tour made of images, words, and sounds compounded in an idea that is limited in time and unlimited in fantasy. The book that inspired this art adventured is also titled Progetti del mondo (by Gérard A. Goodrow). The book has been digitally republished with the addition of music by Michael Nyman and the narrating voice of Fabrizio Plessi. The result, a revolutionary, meta-modern travel notebook, a way to use Instagram by breaking up images into natural and mental landscapes, interpretations of emotional geography where details complete the physical space of moments of life. Plessi opens his suitcase to reveal memories, travels, encounters, cultures, and makes a synthesis with his firm, mature voice, so full of enchantment and enthusiasm. There is no self-celebratory intent, here; Fabrizio Plessi shares with us his notebook of ideas and every destination is just another stopover of the perennial source of inspiration we call life. The cities listed (Rome, Venice, Bombay, Naples, Paris…) are a source of light, and each is narrated by osmosis. Writing is included in art to add to its aesthetic, words expand beyond the written text, and descriptions are loaded with the creative force of thought.
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ROMA
Un poco piazza San Pietro e un poco De Chirico metafisico, un poco Cinecittà e un poco rovina piranesiana, questa Roma evocativa e semicircolare vive della misteriosa liquidità elettronica del suo Tevere. Tutto scorre tra lastre di travertino e arcate romane come in un instancabile replay della storia.
HAMA
La metaforica liquidità del tempo e l’ossessiva circolarità del movimento. Mentre le pale elettroniche del mulino scompaiono ritmicamente nel vortice dell’acqua vera, un serpente, ancora una volta, si morde la coda.
VENEZIA
Il viaggiatore distratto di fronte alla sala dei “cristalli liquidi” penserà di averla da sempre vista così, felice in cuor suo, che tutto sia restato immutato nel tempo. Tra mobilità di luci e bagliori di specchi vedrà solo vetro e acqua: dunque metaforicamente vedrà Venezia.
BOMBAY
Non molti anni fa Pasolini scriveva L’odore dell’India. Questo piccolo libro è stata la mia vera guida a Bombay. A Bombay ho trovato però i Dhobi Ghat. I grandi, sterminati lavatoi pubblici mi aspettavano nel momento in cui casualmente mi sono affacciato sopra di loro. Tra il fumo, il caldo, l’acqua, il sudore, le grida, gli odori, il cotone, in un attimo ho capito che l’opera “era già là”, intatta, con la sua straordinaria bellezza da girone dantesco. A me non restava che trascriverla.
Plessi. Progetti del mondo
Maggio
01 Roma, Italia 02 Venezia, Italia 03 Bronx, New York City, USA 04 Zagora, Marocco 05 Colonia Sant Jordi, Isole Baleari, Spagna 06 Cavaillon, Francia 07 Bombay, India 08 Napoli, Italia 09 Locorotondo, Italia 10 Zaragoza, Spagna 11 Sarajevo, Bosnia Erzegovina 12 Pompei, Italia 13 Venezia II, Italia 14 Kyoto, Giappone 15 Nara, Giappone 16 Paris, Francia 17 Hama, Giordania 18 Cairo, Egitto 19 Memphis, Egitto 20 Wilhering, Austria 21 Berlin, Germania 22 Goa, India 23 Juba, Sudan 24 Zacatecas, Messico 25 Pergine, Italia 26 Jodhpur, India 27 Nagoya, Giappone 28 Köln, Germania 29 Frankfurt, Germania 30 Roma II, Italia 31 New York City, USA
Giugno
01 Ca’s Concos, Isole Baleari, Spagna 02 Ké Macina, Mali 03 Palma, Isole Baleari, Spagna 04 Segovia, Spagna 05 Beysehir, Turchia 06 Roma III, Italia 07 Ercolano, Italia 08 Castel di Tusa, Italia 09 Fez, Marocco 10 Den Haag, Paesi Bassi 11 Vicenza, Italia 12 Lalibela, Etiopia 13 Haarlem, Paesi Bassi
:art :incittà e
Revisioni Musei, Collezioni e mostre: la nuova frontiera della fruizione dell’arte
I musei, siano essi di arte antica, moderna o contemporanea, ma anche di natura tecnica o scientifica, sono soggetti giuridici che agiscono in un mercato, se così si può dire, del tutto particolare. Quasi per mission, come direbbero gli americani, si tratta di entità imprenditoriali, siano essi di natura privata o, più spesso, pubblica, che normalmente non producono profitti, perché non è questa infine la loro primaria e costitutiva vocazione. Sono altresì macchine costosissime, che quindi necessitano di contributi pubblici, il cui ottimo funzionamento, però, permette al sistema che gli lievita attorno, ossia quello turistico ma non solo, di guadagnare eccome. La cifra identitaria di queste macchine del sapere andrebbe quindi valorizzata connettendo questi due tratti, traendone le adeguate conseguenze. Che a nostro avviso, ovviamente qui semplificando, non possono che essere le seguenti due: sostegno massimo da parte degli enti pubblici per alimentare al meglio questa linfa essenziale del sistema Italia; stimolo, direi di più, pretesa da parte del Ministero e dello Stato in generale che in particolare i musei pubblici, ma non solo, producano un netto scarto, una netta svolta nella propria visione gestionale, dando al percorso della valorizzazione di queste industrie civiche importanza almeno pari a quello della tradizionale, storica, rilevantissima funzione della conservazione. Per quanto riguarda questo secondo aspetto, qui non ci si vuole esclusivamente riferire alla moltiplicazione delle mostre temporanee per aumentare il numero dei visitatori e quindi degli introiti derivanti dalla bigliettazione, ma a una vera ridefinizione della “destinazione d’uso” qualitativamente aperta degli spazi museali, facendoli diventare epicentri culturali a tutto tondo, con naturalmente un altissimo lavoro di selezione sui contenuti da ospitare, nonché a una vera rivoluzione per così dire “anglosassone” nelle politiche di management, in particolare per quel che riguarda il marketing contemporaneo, di questi musei. È un lavoro al contempo di straordinaria complessità in termini di realizzazione quanto semplicissimo in termini di comprensione. E la cosa che più preoccupa è la seconda istanza, ossia il fatto che se da un lato ci si scontra continuamente con una sconcertante ignoranza e rozzezza e non conoscenza da parte dei nostri dirigenti politici su che tipo di ruolo debba svolgere oggi la cultura, l’industria museale nelle società moderne, da un altro lato ci si imbatte in una mentalità meramente conservativa ed accademica che è quella che informa l’abito mentale della stragrande maggioranza dei dirigenti dei nostri musei pubblici, una mentalità che facendosi scudo dell’erudizione e dello specialismo conservativo, bene altissimo s’intende, ritiene che tutto ciò che attiene alla valorizzazione innovativa di un museo equivalga a mercificazione. Una tenaglia mortale, che se non si spezza con idee e progetti di cambiamento decisi l’orizzonte sarà inevitabilmente sempre dello stesso colore, immobile. Oggi, certo, viviamo un’emergenza di dimensioni inaudite, direi illeggibili quasi alla luce della radicalità dell’impatto che tutto ciò ha prodotto e produce nel nostro vissuto, lasciandoci tuttora attoniti e di fatto disarmati di fronte a un attacco devastante e mai così imprevisto. E l’emergenza ha bisogno di prime terapie d’urto rianimatorie. Tra l’infinito delta dell’industria culturale quello dei musei è tra tutti i corsi d’acqua, assieme alle librerie ecco, quello che fisicamente ha tutti i fondamentali per riaprire le sue porte senza mettere a repentaglio la salute dei visitatori. Il distanziamento non è così complesso, gli spazi comunque sono mediamente ampi, il controllo abbastanza semplice. La stessa Biennale Architettura, da tutti attesissima per far ripartire almeno basicamente l’intero sistema turistico-culturale di Venezia, ha tutti i numeri per aprire e con essa i vari suoi eventi collaterali. Aprire si può, si deve. È su questa concreta, percorribilissima opportunità, quindi, che si innesca la prima urgenza, ossia quella di sostenere finanziariamente questo comparto da subito, e pesantemente. Perché già parliamo di macchine che a re
gime non possono guadagnare direttamente, figuriamoci quando si trovano a girare a un quinto del loro potenziale. Se questa volta non viene compreso che questa azione è un dovere civile, sociale, economico di primaria rilevanza, allora è giusto che il Paese si autocondanni alla marginalità culturale, accontentandosi di rimanere una mera, irripetibile cartolina in decomposizione. Se invece, come sempre sull’orlo del baratro, ciò verrà compreso, allora tutti dovremmo spingere chi doverosamente inietterà nuovo sangue per tenere in vita i nostri musei a pretendere da essi quanto detto sopra, ossia di impegnarsi sul serio a voltare pagina incominciando a dare circolarmente del tu al futuro, ponendosi come obiettivo la progressiva diminuzione del gap nella valorizzazione di questo straordinario patrimonio rispetto alla capacità dei paesi più moderni nel valorizzare il loro, ben inferiore al nostro come è ben noto al mondo intero. Pretendere aiuto dovuto, dovere di essere all’altezza di tale aiuto. Questa l’equazione all’osso da seguire a nostro avviso. Se solo almeno un po’ ciò accadesse sarebbe il là di un vero, agognatissimo cambiamento.
Massimo Bran
Muri Maestri Palazzo Cini mette in calle Piranesi/Basilico
La mostra era ormai pronta, avrebbe dovuto inaugurare al pubblico il 24 aprile scorso a Palazzo Cini, quando tutto si è fermato. Tuttavia le idee e la passione sanno anticipare i decreti e le necessarie modifiche di sistema – il sistema della fruibilità dei luoghi di cultura – sapendo stupire e soprattutto lanciando un fortissimo segnale. «In un momento storico in cui i luoghi dell’arte sono fisicamente ancora inaccessibili a causa delle restrizioni per contrastare la pandemia, un’arte nata per essere stampata come le incisioni di Piranesi e le foto di un maestro contemporaneo come Basilico, come è loro naturale si danno allo sguardo di chi cammina e si ferma per un attimo. L’arte anche in questo caso è un viaggiare senza spostarsi e travalica le barriere dei musei per incontrare e ispirare le persone anche in questo momento. E i muri labirintici della città diventano un atlante per questo possibile viaggio», afferma Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini e curatore della mostra Piranesi Roma Basilico, ora promotore del progetto Palazzo Cini per le calli di Venezia che trasforma, a partire dal 12 maggio, per un mese, gli spazi per le affissioni della città in teatro naturale, mostra a cielo aperto unica e a prova di distanza
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sociale. L’arte antica si appropria dei linguaggi del contemporaneo, non solo nell’idea stessa della mostra e cioè nel mettere a confronto la Roma antica delle incisioni di Piranesi e quella contemporanea delle fotografie di Gabriele Basilico, ma anche nelle modalità di fruizione, rubando alla strada l’idea di una guerilla di visioni e di bellezza. La poesia urbana di Roma fatta di luoghi simbolici della città eterna rimbalza così dalle vedute realizzate nel ‘700 dall’incisore veneziano alle fotografie di Basilico, realizzate con le stesse angolazioni. La mostra è stata ideata per celebrare i 300 anni dalla nascita di Giambattista Piranesi (Venezia, 1720 – Roma, 1778), svelando al pubblico non solo 25 stampe scelte dal corpus integrale conservato nelle collezioni grafiche della Fondazione Giorgio Cini, ma anche una selezione inedita del lavoro del grande fotografo paesaggista, commissionatogli dalla Fondazione Cini stessa nel 2010 in occasione della mostra Le arti di Piranesi. Basilico, ispirato dalle celebri pagine che la scrittrice Marguerite Yourcenar dedicò al Piranesi agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, ripercorre con la macchina fotografica i luoghi delle vedute piranesiane restituendone la loro straordinaria modernità.
www.cini.it
La bellezza e altre forme Fondation Valmont per e con Venezia
Una Fondazione è un organismo vivente, le cui molteplici attività sono tutte parte di un unico progetto ideativo. Definizione perfetta che descrive Fondation Valmont che, dopo una prima fase temporanea corrispondente alle Biennali 2015 e 2017, ha inaugurato nel 2019 la propria sede permanente a Venezia in un palazzo del XVI secolo, Palazzo Bonvicini. Degno erede di una grande stirpe di collezionisti d’arte, esteti e mecenati, Didier Guillon, presidente della Fondation Valmont (pilastro del gruppo Valmont), ha sviluppato una grande passione per l’arte, una sua personalissima sensibilità che lo ha portato ad essere lui stesso un artista dal notevole talento, e al contempo un promotore di bellezza e cultura da condividere con Venezia in primis e con il mondo che la attraversa. Il legame con la città diventa così il centro stesso della Fondazione, motore primo da cui si sviluppano progetti circolari, dove la mostra è l’incontro tra lo stesso Didier Guillon, artisti e curatori – anche qui la scelta di affidare a Francesca Giubilei e Luca Berta di VeniceArtFactory la direzione curatoriale dei progetti espositivi dimostra una capacità di cogliere le voci più nuove, indipendenti e internazionali della città –. Questo confronto permette all’esposizione di penetrare gli spazi di Palazzo Bonvicini e di crescere insieme per giungere a un risultato unico e assolutamente originale. Per permettere questa osmosi creativa la Fondazione ha costruito per gradi anche gli spazi stessi, restaurando la parte monumentale – modanature cesellate che ornano le pareti, affreschi luminosi, pavimenti con mosaici lussureggianti – trasformandola in un luogo espositivo perfetto e inaugurando quest’anno anche un nuovo progetto del gruppo
© Quentin Legallo
Valmont che diventa spazio e cioè Les Résidences Valmont – che apriranno a Verbier (2020), Hydra (2021), Venezia (all’ultimo piano di Palazzo Bonvicini, 2022) e Barcellona (2023) –, luoghi dove un pubblico ampio potrà vivere in esclusiva l’esperienza unica Valmont che mette in relazione l’arte, la bellezza e l’ospitalità. Queste Résidences saranno inoltre un crocevia per artisti locali e internazionali, invitati a creare ciò che è art for art’s sake. La Fondation Valmont è quindi parte attiva della scena artistica veneziana attraverso progetti con e per la città: Venetian Love, la nuova mostra che vede protagonisti Aristide Najean, Silvano Rubino e Didier Guillon sul tema della bellezza universale in un serrato confronto di forma e contenuto, la cui apertura è stata rinviata al 18 maggio causa lockdown, e Alice in Doomedland, terzo appuntamento d’arte contemporanea del ciclo ispirato alle fiabe in occasione della
Biennale Arte, in programma per il 2021. Progetti che sono una risposta concreta all’appello per una Venezia rinnovata, dove la cultura e l’arte devono assumere il ruolo trainante e positivo per l’economia della città. Azioni importanti che si concretizzano, in momenti difficili come questo, in una sentita partecipazione alla trasformazione delle dinamiche socio-culturali nel contesto locale determinata dalla diffusione del virus. La Fondation Valmont ha deciso infatti di contribuire in prima persona mettendo in vendita opere d’arte della sua collezione – sei delle quali sono già state vendute –, il cui ricavato viene interamente devoluto al servizio sanitario della Regione del Veneto. L’arte dunque è profondamente utile e necessaria, oltre che coinvolgente e attrattiva, aiuta a capire i cambiamenti che avvengono a Venezia e nel mondo. Questa convinzione è la base delle attività della Fondation Valmont.