Capri. Architettura e paesaggio archeologico. Proposta per la valorizzazione del sito di Villa Jovis

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Capri: architettura e paesaggio archeologico Proposta di valorizzazione del sito di Villa Jovis Cecilia Artioli

Politecnico di Milano Scuola di Architettura Urbanistica e Ingegneria delle Costruzioni Architettura - Ambiente Costruito - Interni Relatore Prof. Pier Federico Caliari

Giulia Frontani

Martina Frontani

Cecilia Artioli 915135 Giulia Frontani 918019 Martina Frontani 918016


in copertina: composizione visionaria del complesso originario di Villa Jovis dal centro di Capri. Riproduzione originale.


Politecnico di Milano

Scuola di Architettura Urbanistica e Ingegneria delle Costruzioni Corso di Laurea Magistrale in Architettura - Ambiente Costruito - Interni Anno Accademico 2019 - 2020 Sessione di Laurea 15 Dicembre 2020

Capri: architettura e paesaggio archeologico Proposta di valorizzazione del sito di Villa Jovis

Relatore: Pier Federico Caliari Correlatori: Greta Allegretti Valentina BaldicantĂš Massimo Bellotti Lorenzo Simoni Autori: Cecilia Artioli 915135 Giulia Frontani 918019 Martina Frontani 918016



abstract

Villa Jovis ci viene consegnata dalla storia nella sua singolare magnificenza architettonica e artistica, accolta e conservata nei pressi del ripido promontorio del Monte Tiberio, vetta panoramica dell’isola di Capri dal fascino indiscusso. Da qui scaturisce l’interesse a studiare non solo la dimora che l’imperatore Tiberio scelse per trascorrere gli ultimi dieci anni della sua vita, ma anche l’articolazione del sistema paesaggistico del versante nord-occidentale dell’isola. Collocato in una posizione d’eccezionale privilegio, l’intervento proposto nasce dalla volontà di indagare la complessità del sito e, allo stesso tempo, di svelare le potenzialità del sistema archeologico in cui esso si colloca. Il progetto, immerso nel verde rigoglioso dell’area boschiva circostante, si pone nell’ottica di valorizzare il patrimonio storico attraverso un processo di conservazione integrata: i nuovi servizi diventano così elementi che, senza rinunciare al dialogo con l’antico, sono finalizzati a promuovere la fruizione dell’area archeologica, assicurandone anche la relativa manutenzione. Un nuovo polo museale di ricezione turistica è stato introdotto con l’obiettivo di accogliere il visitatore e di guidarlo alla comprensione dell’opera di allestimento e musealizzazione, estesa all’intero intervento sulle rovine dello specularium. Alla volontà di accompagnare il visitatore verso la riscoperta del passato, si aggiunge la necessità di incrementare l’attrattività dell’area, favorendone, conseguentemente, una permanenza più duratura e confortevole da parte del turista, che può decidere di alloggiare nelle suite di lusso, poste sul versante più scosceso dell’area. In questo caso, il disegno di un impianto del tutto contemporaneo si coniuga con gli elementi caratteristici dell’architettura vernacolare caprese, da ricercarsi nei pergolati e nel trattamento delle superfici maiolicate. La complessità di questo intervento è infine risolta grazie allo studio della sistemazione del verde, tramite un sistema di sentieri e viali alberati che assecondano il naturale declivio del terreno e consentono di collegare le diverse polarità del progetto, garantendone accessibilità e coesione.



abstract

Located and preserved near Mount Tiberio’s steep promontory, a panoramic peak of the island of Capri, Villa Jovis has shown itself over the years in its unique architectural and artistic magnificence as a place with an outstanding charm. Hence the interest in studying not only the residence where Empereor Tiberio chose to spend the last ten years of his life, but also the complexity of the landscape system of the north-western side of the island. Situated in a position of exceptional privilege, the design grows from the desire to investigate the complexity of the site and, at the same time, to reveal the potential of the archaeological system in which the villa is located. The project, surrounded by the flourishing green of the neighboring wooded area, aims to enhance the historical heritage through a conservation process: the new facilities become elements which, by keeping a dialogue with the ancient ruins, are aimed at promoting the use of the archeological area and ensuring its maintenance. A new museum was built to welcome the visitors and guide them to a better understanding of the exhibition, which extends to the entire intervention on the ruins of the Specularium. The goal of the project is not only to rediscover the memories of the past together with the visitors, but also to increase the attractiveness of the area by promoting a more lasting and comfortable stay for the tourists, who can decide to spend time in the luxury suites placed on the steepest side of the area. In this case, the design of a completely contemporary system is combined with the characteristic elements of the vernacular architecture of Capri, to be found in the pergolas and in the treatment of the surfaces with the maiolica. The complexity of the intervention is, finally, determined by the study of the organization of the vegetation, through a system of paths and tree-lined avenues that follow the natural slope of the land and allows to connect the different polarities of the project, guaranteeing accessibility and cohesion.



Capri: architettura e paesaggio archeologico

indice

parte I 15

introduzione

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l’isola di Capri Storia dell’isola Il contesto geografico Tra natura e paesaggio Itinerari archeologici e fabbriche imperiali

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l’architettura vernacolare Tradizione contadina Schinkel in Italia La casa caprese



Capri: architettura e paesaggio archeologico

indice

parte II 55

Villa Jovis II progetto originario La questione tipologica di Villa Jovis Gli scavi archeologici La ricostruzione di Clemens Krause

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studi sull’antico Il Grand Prix de Rome Maurice Boutterin e il Palazzo di Tiberio Lo schema compositivo della villa



Capri: architettura e paesaggio archeologico

indice

parte III 105

strategie d’intervento Lo stato di fatto e le criticità del sito Il tema della valorizzazione Obiettivi progettuali

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il progetto di valorizzazione La composizione polare Il parco naturale di Villa Jovis La porta al parco Il museo antiquarium Le suite



Capri: architettura e paesaggio archeologico

indice

appendice 161

le maioliche Storia ed origini Le riggiole napoletane e siciliane Le maioliche a Capri Ceramica andalusa e azulejos Lo zellige marocchino e l’arte islamica

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riferimenti di progetto Cappella di Santa Maria degli Angeli nel Monte Tamaro Mario Botta Castello San Jorge João Luis Carrilho da Graça Joao Gomes da Silva Torre Nazarí de Huercal-Overa Castillo Miras Arquitectos Alzira Jimenez & Linares Hotel Parco dei Principi di Sorrento Gio Ponti

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note

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bibliografia

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sitografia



parte I



introduzione

introduzione

Villa Jovis è un complesso archeologico molto ampio e di particolare bellezza che si estende sulle pendici del Monte Tiberio. Dato il buon stato di conservazione delle rovine e la suggestiva collocazione geografica a picco sul mare, la villa è stata fin da sempre oggetto di studio e grande ammirazione da parte di artisti e studiosi di tutto il mondo. Gode di una posizione di assoluto privilegio visivo e paesaggistico: la vista sul Golfo di Napoli è la cornice perfetta per un’area dal panorama mozzafiato, dominato da un’atmosfera magica, surreale, con il verde rigoglioso della e l’azzurro splendente del mare. Per questi ed altri motivi rappresenta ad oggi uno dei luoghi più interessanti e belli della regione partenopea. L’area del parco raccoglie, oltre ai resti dall’antica villa romana, anche altre grandiose e suggestive costruzioni, come i ruderi di quello che in origine costituiva l’imponente architettura dello specularium, e buona parte della struttura del faro piccolo. Tutto il complesso si staglia con la propria maestosità tra la ricca vegetazione arborea del parco naturale circostante, una parte integrante fondamentale non solo per la villa, ma per l’isola di Capri stessa.

Capri. Architettura e paesaggio archelogico

Al giorno d’oggi, essa garantisce la possibilità di relazionarsi con un’archeologia molto suggestiva, ma che fa ancora fatica ad offrire ai suoi visitatori l’occasione di rivivere la storia della Villa e del suo Imperatore. Nel corso degli anni il sito archeologico ha infatti subito notevoli trasformazioni. La costruzione di nuovi terrazzamenti per vigneti, oggi parzialmente coltivati o abbandonati, ha fatto perdere completamente le tracce dell’originario giardino terrazzato annesso al palazzo; così come il susseguirsi di numerosi saccheggi e crolli impediscono ancora tutt’oggi di comprendere appieno l’imponenza che tale palazzo possedeva durante l’epoca imperiale (1). Numerose risultano essere quindi le criticità presenti nel luogo, per lo più relative all’incuria e al degrado del tempo, alla mancanza di un percorso ben definito nelle rovine e alla segnaletica del tutto assente o danneggiata. Per tale motivo, nonostante il valore paesaggistico, ambientale e archeologico, l’area non vanta un’elevata capacità attrattiva per turisti e visitatori provenienti da tutto il mondo. Ad esse si aggiunge un’ulteriore aspetteo relativa alla presenza di un apparato museale di per se’ particolarmente limitato: tutt’oggi 15


non esistono musei che contengano opere d’arte o reperti archeologici e strutturali appartenenti ad essa. Il progetto proposto si inserisce così all’interno di questo racconto con un obiettivo ben specifico: recuperare l’antico legame tra le varie componenti dell’intero sistema paesaggistico e archeologico, in modo da consentire la corretta lettura di un’area oggi in buona parte deturpata e scarsamente accessibile.


introduzione Capri. Architettura e paesaggio archelogico

in basso: vista delle rovine di Villa Jovis oggi. Foto originale, settembre 2020.

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l’isola di Capri

l’isola di Capri

La storia di Capri rivela avvenimenti di notevole importanza per il trascorso dell’isola, nonostante le fonti degli autori antichi siano piuttosto scarse. Ancora oggi attendiamo indagini archeologiche più accurate, sappiamo però con certezza che il patrimonio storico dell’isola ha subito nel tempo diversi mutamenti, dovuti non solo alla riconquista da parte della natura del paesaggio stesso, ma anche all’azione distruttiva di numerosi scavi, mirati unicamente alla spoliazione di antiche ricchezze.

Storia dell’isola

La presenza umana sull’isola è attestata fin dal Paleolitico inferiore, circa 400.000 anni fa. Alcuni scavi avvenuti nel 1905 riportarono alla luce manufatti in pietra e resti di fauna continentale, tra cui l’elephas antiquus, testimoni di un’età in cui Capri era ancora legata alla penisola sorrentina. (2) Si suppone che l’isola facesse parte di un unico continente chiamato Tirrenide, che si estendeva dall’attuale Liguria alla Corsica fino ad arrivare alla Sicilia e alla Sardegna.

Capri. Architettura e paesaggio archelogico

All’incirca 10.000 anni fa, quando Capri acquisì la conformazione di vera e propria isola, si crearono le condizioni per lo sviluppo della storia di un luogo che, situato circa a 5 chilometri dalla penisola sorrentina, avrebbe ricoperto un ruolo fondamentale grazie alla sua posizione strategica nel versante meridionale del golfo di Napoli. Tra questo periodo e il successivo arrivo dei Greci, cioè dal Neolitico fino alla fondazione di Cuma, si evince che l’isola facesse parte di un sistema di comunicazione marittima piuttosto esteso. Infatti, alcuni scavi archeologici hanno riportato alla luce materiale ceramico di importazione e il ritrovamento frequente dell’ossidiana, un vetro vulcanico assente a Capri, attesta fin dal IV millennio a.C. una fitta rete di collegamenti marittimi. Nonostante ciò, è molto difficile stabilire quale fosse il livello di vita della comunità indigena che abitava l’isola prima della fondazione della colonia greca. Mentre per Ischia la documentazione archeologica fa luce su queste correnti «precoloniali», (3) poco o nulla si conosce per l’isola di Capri. Dopo essere entrata nella sfera d’influenza cumana a partire dal VII 19


secolo a.C., l’isola vide gradualmente affermarsi coloni greci a fianco della popolazione originaria. Lo storico Strabone parla dell’antica esistenza di due cittadine ridotte successivamente a una. Successivamente, a partire dal V secolo a.C., Capri uscì dalla sfera di interesse di Cuma per entrare a pieno titolo sotto la giurisdizione della città greca di Neapolis, la futura Napoli. L’isola fece parte del territorio di Neapolis fino all’arrivo di Ottaviano, il futuro imperatore Augusto. Strabone racconta che attorno al 29 a.C. Augusto, particolarmente colpito dall’isola, la ridusse a sua proprietà privata, dando in cambio ai napoletani l’isola di Ischia e avviando sul territorio una massiccia attività edilizia. L’isola rimase meta privilegiata dell’imperatore fino alla sua morte, avvenuta nel 14 d.C., ma non divenne mai sua sede stabile. (4) La tradizione antica registra il vincolo stretto che Augusto seppe creare e conservare con l’isola, i suoi abitanti e la sua tradizione. Svetonio narra dell’abitudine del principe di intervenire alle feste della gioventù isolana e che avesse un particolare interesse a ornare le ville capresi di resti di animali preistorici o di antichissimi manufatti. Una volta diventata di proprietà della famiglia imperiale, l’isola assistette a una trasformazione del suo tessuto sociale ed economico. Tuttavia, a queste modifiche non si accompagnarono cambiamenti sotto il profilo culturale: molte delle iscrizioni dimostrano che la lingua greca continuò ad essere usata fino al IV secolo d.C. Diversamente da Augusto, il suo successore, Tiberio, decise invece di trasferirvisi per gli ultimi dieci anni della sua vita, tra il 27 e il 37 d.C. Questo ritiro sull’isola evidentemente coincise con una nuova strategia politica da parte del nuovo imperatore che, mirando a una forma assolutistica di potere, interruppe la politica di collaborazione con il senato, elevando Capri a nuova capitale dell’impero. Secondo le parole di Tacito, chiaramente avverso a Tiberio, il ritiro sull’isola è da attribuire al bisogno del nuovo imperatore di dar libero sfogo a quei vizi che a Roma dovevano essere invece celati. (5) Tale aspetto fomenta ulteriormente il mito che descrive e crudeltà̀ e turpitudini di Tiberio a Capri. Qui egli, in chiara rottura con il mondo romano, continuò la politica edilizia inaugurata da Augusto, tramite la costruzione di dodici imponenti ville, e provvedendo ad impiantare in varie grotte dell’isola ninfei considerati maliziosamente da Svetonio come «i luoghi della lussuria tiberiana». (6) A partire dal II secolo d.C. le notizie riguardanti l’isola diventano rarefatte. Dal III secolo d.C. si apre un periodo oscuro, caratterizzato da un sensibile abbassamento del livello di vita della comunità isolana ma anche da notevoli trasformazioni sociali e culturali, prima fra tutte quella che seguì la lenta affermazione del Cristianesimo sull’isola. I monumenti antichi, caduti in una secolare incuria e soggetti a continue spoliazioni, divennero la principale attrattiva dei viaggiatori soltanto a partire


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l’isola di Capri



l’isola di Capri

dal Settecento, periodo in cui fu recuperata la conoscenza di Capri, grazie ad un turismo per lo più orientato alla riscoperta e valorizzazione delle sue antichità. Nel’866 Capri passa sotto il dominio di Amalfi. Dipendenza che, dati da rapporti frequenti tra Amalfi e l’Oriente, risulta essere particolarmente evidente nell’arte e nell’architettura, nelle quali furono introdotti, sui saldi sistemi classici, moduli bizantini ed islamici, come l’impiego delle volte estradossate. (7)

Capri. Architettura e paesaggio archelogico

Capri rimase sotto le dipendenze di Napoli fino al 1445, anno in cui le fu concesso il Diritto di Inalienabilità, ossia il divieto di essere data in feudo. Nel 1535 l’ammiraglio ottomano Khair-Ad-Din, detto Barbarossa, conquistò Capri e diede fuoco al castello, in seguito chiamato proprio castello di Barbarossa. Solo nel 1571, con la battaglia di Lepanto, le flotte unite degli stati cristiani riuscirono a battere la flotta ottomana. Risalgono proprio a questo periodo di ripresa culturale primi documenti riguardanti l’isola, come l’importante manoscritto di Fabio Giordano, “Historia Neapolitana”, del 1570. Nel Seicento l’isola fu invasa da una forte epidemia di peste, abbattutasi in quegli anni in tutta Italia, decimandone la popolazione. Nell’Ottocento l’isola cominciò ad essere conosciuta nel mondo. In un primo momento dovette la sua fama al fatto di essere un punto strategico per il controllo del Sud Italia; mentre successivamente divenne proprio la sede principale delle lotte tra i francesi del regno di Napoleone e gli inglesi. Sono infatti di questo periodo le numerose fortificazioni lungo il perimetro dell’isola, realizzate a scapito delle rovine romane che erano riuscite a sopravvivere fino ad allora. (8) In seguito, la fama dell’isola crebbe grazie all’interesse romantico per i viaggi in Italia, particolarmente nel contesto mediterraneo, ma non solo: la riscoperta delle innumerevoli attrazioni storiche e delle bellezze naturali presenti dell’isola iniziarono ad attrarre un gran numero di stranieri, studiosi e visitatori, che hanno permesso, e permettono ancora tutt’oggi di definirla, come una delle mete turistiche più ambite e conosciute da ogni parte del mondo.

nella pagina precedente: case di Caprile ad Anacapri Fonte: Maiuri, Amedeo, Capri. Storia e Monumenti, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma 1997 a sinistra: fornici e sott’archi del quartiere medievale di Capri. Fonte: Maiuri, Amedeo, Capri. Storia e Monumenti, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma 1997 nelle pagine successive: vista dell’antica Scala Fenicia cupola e campanile della Chiesa di S. Stefano, Capri. Fonte: Maiuri, Amedeo, Capri. Storia e Monumenti, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma 1997 23



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Il contesto geografico

Capri è un’isola del mar Tirreno, situata nella parte Sud del Golfo di Napoli, visibile da diversi punti della penisola di Sorrento e dalla costiera amalfitana. La morfologia dell’isola è varia: presenta sia monti di media altezza, come il Monte Solaro e il Monte Tiberio che vasti altopiani, così come numerose scogliere, baie e grotte. Il territorio si presenta diviso in due parti: a Est troviamo il Comune di Capri, che gode della possibilità di un’accesso diretto al mare, attraverso le spiagge rocciose di Marina Grande, del porto principale e di Marina Piccola; mentre Anacapri, situata ad Ovest dell’isola, è composta essenzialmente da alte montagne e non ha accesso al mare. L’unico collegamento presente tra i due comuni è una strada panoramica a picco sul mare, che va a sostituire l’antico collegamento tra le due cittadine, la Scala Fenicia. La conformazione prevalentemente rocciosa ha permesso la formazione di attrattive naturali famose in tutto il mondo. Tra di questi ricordiamo innanzitutto i Faraglioni, tre picchi rocciosi posizionati a sud est dell’isola. Queste sporgenze sono identificate con tre nomi distinti: il primo è il Faraglione di Terra, il secondo è quello di Mezzo, mentre il terzo è il Faraglione di Fuori. Quest’ultimo è molo noto poiché habitat della famosa lucertola azzurra. L’arco naturale è invece una formazione rocciosa di età paleolitica larga 12 metri e alta quasi 20 che, a causa degli agenti atmosferici e dei processi geologici che hanno interessato l’isola in passato, ha acquisito una curiosa forma ad arco. La vista che si può godere dalla piazzetta antistante è quella della Penisola Sorrentina, in particolar modo di Punta Campanella, e degli isolotti che compongono l’arcipelago de Li Galli. Ricco di storia, immaginazione e fantasia, il salto di Tiberio è un precipizio di 297 metri a picco sul mare situato sul versante nord-orientale dell’isola di Capri, da cui si narra che l’ominimo imperatore facesse gettare i traditori e i condannati.

in alto a destra: vista dei Faraglioni e di Marina Piccola dal Monte Solaro oggi. Foto originale, settembre 2020. in basso a destra: vista del Monte Tiberio e del Golfo di Napoli oggi. Foto originale, settembre 2020


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Vista panoramica di Capri dal Monte Solaro oggi. Foto originale, settembre 2020.


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Tra natura e paesaggio

La vegetazione di Capri è tipicamente mediterranea e si compone principalmente di agavi, fichi d’India e ginestre oltre che di specie rare. Particolarmente nota anche per la coltivazione del limone di Sorrento. La tematica del verde risulta essere infatti estremamente importante e presente nell’intera isola. Camminando per le strette vie e visitando i piccoli borghi è possibile scorgere ovunque un diverso trattamento delle coltivazioni, fino a diventare molto spesso parte integrante dell’architettura. (9) Ulteriore testimonianza di questo aspetto risulta essere la presenza di parchi e giardini protetti.Tra di questi ricordiamo innanzitutto il parco Astarita. Ricco di terrazze affacciate sul mare, balze e dirupi, scale che si tuffano nel blu, rotonde- belvederi aggrappate alla falesia, deve la sua fama soprattutto ai panorami indimenticabili. L’area verde è infatti posizionata a ridosso dei ruderi della villa romana di Tiberio, dove è possibile trovare una delle zone più panoramiche dell’isola, da cui è possibile scorgere tutta la scogliera sudorientale di Capri. Un verde più progettato e organizzato è invece presente nei cosìddetti Giardini di Augusto, iniziati da Friedrich Krupp agli inizi del XX secolo. Noti come giardini di Krupp fino al 1918, furono rinominati giardini di Augusto dall’amministrazione comunale, in onore del primo imperatore romano. Essi costituiscono un vero e proprio giardino botanico che ospita vari esemplari della flora dell’isola. L’intensa attività edilizia iniziata da Augusto attraverso la realizzazione di ville, fattorie, cisterne e strade, ma soprattutto di parchi e giardini su tutto il territorio dell’isola fu poi proseguita da Tiberio. La tradizione attribuisce al secondo imperatore sia la costruzione di numerose ville sia la frequentazione di antri e rupi incavate. (10) È attestato che molte grotte dell’isola abbiano registrato una frequentazione romana e risulta pertanto concreta la possibilità che molti di questi stupendi luoghi naturali fossero stati adibiti a lussuosi ninfei. Secondo la malevola versione di Svetonio, Tiberio avrebbe qui organizzato orge di giovani. (11) La Grotta delle Felci costituisce una testimonianza fondamentale per la conoscenza della preistoria caprese e, più in generale, per gli studi archeologici dell’Italia meridionale. Dalle frammentarie osservazioni dei vecchi scavi risultava che lo strato superficiale conteneva, oltre a cocci moderni, anche ceramiche romane e dell’età del Bronzo. Situata a circa 90 m sul livello del mare, la Grotta Matermania o Matromania è posizionata sul versante orientale dell’isola, nei pressi del percorso che costeggia il monte Tuoro. Il suo nome deriva da Mater Magna, la Grande Madre degli dei, al cui onore venivano celebrati riti orgiastici nelle campagne in fiore. Tale leggenda affascinò Tiberio a tal punto che nei suoi ultimi anni di


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l’isola di Capri

vita decide di trasformare la grotta in ninfeo. La Grotta del Castiglione, che si apre sulla ripida parete meridionale dell’omonimo colle, è la maggiore per dimensioni presente sull’isola. Essa fu frequentata probabilmente già a partire dall’età neolitica, quando fu utilizzata come postazione di controllo sul mare e sulla costa. In età romana divenne, invece, il ninfeo della soprastante villa del Castiglione: a tale periodo vanno riferiti i numerosi resti di strutture, tra cui una cisterna. In età medioevale, costituì il rifugio degli abitanti dell’isola durante le incursioni dei pirati: vi furono costruite opere di difesa e di avvistamento che, probabilmente, distrussero le costruzioni precedenti. (12) La Grotta Arsenale, situata tra Marina Piccola e punta Tragara, interpretata quale luogo di riparazione delle navi della flotta romana, aveva anch’essa probabilmente la funzione di ninfeo, a giudicare dai resti di pavimenti marmorei e di tessere musive colorate ritrovate. In seguito, fu usata come luogo di sepoltura, come indicherebbe il rinvenimento di un sarcofago marmoreo. Anche la Grotta Azzurra, famosa per l’intesa colorazione blu dell’acqua, era utilizza in età romana come un ninfeo marittimo. L’antro infatti costituiva una vera e propria appendice subacquea ad una villa augusto-tiberiana detta di Gradola, oggi ridotta a pochi ruderi. Testimonianza di questo utilizzo sono le numerose statue romane, rappresentanti Poseidone, un tritone ed altre creature marine che in origine dovevano essere state disposte lungo le pareti della caverna. (13)

nelle pagine precedente, dall’alto: vista di Villa la Torricella Foto originale, settembre 2020 vista della scogliera di Anacapri dal Monte Solaro oggi. Foto originale, settembre 2020 Capri. Architettura e paesaggio archelogico

in alto a sinistra: :vista della scogliera e della Grotta Bianca dal mare oggi. Foto originale, settembre 2020 in basso a sinistra vista dei Faraglioni dal mare oggi. Foto originale, settembre 2020 nella pagina successiva, dall’alto: vista dei resti di Palazzo a Mare e della spiaggia Bagni di Tiberio. Foto: https://www.capri.net/it/e/le-spiagge-di-capri vista dall’alto dei resti di Villa Gradola Foto: https://www.cittadicapri.it/en/e/towers-and-forts-2 33



l’isola di Capri

Itinerari archeologici e fabbriche imperiali

L‘attività di riammodernamento dell’isola, iniziata da Augusto, comprendeva tra i tanti progetti, la realizzazione di palazzi, ville, fattorie, cisterne e strade. Questa serie di opere vennero poi proseguite da Tiberio, al quale la tradizione attribuisce in particolare la costruzione di dodici ville, di cui oggi possiamo ammirare alcuni resti.

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Tra di queste ricordiamo innanzittutta Villa Damecuta, posta sul versante occidentale dell’isola. Difficile conoscere l’originaria estensione del complesso, del quale oggi restano alcune strutture disposte lungo il ciglio del costone roccioso, dal momento che una buona parte dei resti riafforati furono manomessi o riutilizzati dai contadini. La villa si inserisce nella tipologia delle villae maritimae (14), le quali si caratterizzavano per la posizione dominante a picco sul mare e il perfetto rapporto di inserimento rispetto alla natura circostante. Nella tipologia delle ville marittime rientra anche Palazzo a Mare, il quale doveva probabilmente estendersi su di una vasta superficie che andava dalla punta Bevaro alla spiaggia nota come “Bagni di Tiberio”. La villa, attribuita ad Augusto con successivi rifacimenti di Tiberio, fu scavata e depredata di pavimenti, capitelli e lastre marmoree nel Settecento; subì ulteriori danni durante l’occupazione francese, agli inizi dell’Ottocento, quando la parte centrale fu trasformata in piazza d’armi e vi fu costruito un fortino. L’attività edilizia ha pou trasformato ulteriormente l’aspetto dei luoghi, per cui dell’antica dimora imperiale non restano che spezzoni di muri di terrazzamento, alcune cisterne e parte dei quartieri residenziali. Terza villa ancora oggi parzialmente visibile è la Villa di Gradola, posta immediatamente al di sopra della Grotta Azzurra. Anch’essa ha subito vari rifacimenti: vi si riconoscono, oggi, nel folto della vegetazione, alcune cisterne e, sulla terrazza superiore, sei piccoli ambienti, dei quali uno con resti di intonaco giallo su zoccolo rosso e pavimento a mosaico bianco. Attraverso una scala tagliata nella roccia, rifatta in epoca moderna, la villa comunicava con la Grotta Azzurra, nella quale, oggi come allora, si accedeva via mare. (15) Altrettanto importanti risultano essere altre due costruzioni, probabilmente realizzata in epoca preimperiale ma di cui ancora tutt’oggi non si riconosce l’ufficiale datazione. Il Muro Greco, costruito in grossi blocchi irregolarmente squadrati, aveva la funzione di difendere l’area. Si conserva, oggi, il solo tratto sottostante la collina di S. Michele. La Scala Fenicia è stata fino al 1874 l’unica via di comunicazione tra Capri e Anacapri. Si tratta di un ripido tracciato con gradini tagliati nella roccia che partendo da Marina Grande, supera un dislivello di circa 200 metri fino ad arrivare alla rupe di Anacapri, nei pressi di Villa San Michele. (16) 35



l’architettura vernacolare

l’architettura vernacolare

L’architettura caprese può essere ricondotta ad una tradizione antichissima, pelasgica ed ellenica. Capri è un’esemplare costruzione testuale e visiva. È il luogo di una consolante utopia mediterranea, un idilliaco ambiente paesaggistico, dove le preesistenze architettoniche interagiscono con le arti visive e la cultura letteraria, dove l’interpretazione lirica della cultura autoctona si associa a una rinnovata semantica del popolare e della tradizione. Nonostante gli stili delle epoche che si sono succedute nel tempo, le forme architettoniche dell’isola possono essere sempre riconducibili ad un impianto classico, se per classico s’intende «quella compiutezza artistica che permette ad un’epoca di raggiungere il massimo equilibrio della propria espressione e di farsi comprendere da tutte le altre ». (17)

Tradizione contadina

Capri. Architettura e paesaggio archelogico

Quando si parla di «stile caprese» (18) è importante citare la figura di Edwin Cerio, colui che, in occasione del Convengo del paesaggio di Capri del 1922, coniò tale termine. Egli fortemente si battè, con libri, costruzioni e attività culturali e politiche, per l’affermazione e il mantenimento di uno stile locale, contadino, tradizionale, in netto contrasto con le costruzioni moderne, non in stile, che in quegli anni stavano popolando l’isola. Il Regolamento Edilizio da lui proposto intendeva imporre prescrizioni precise, che mirassero al recupero delle tipologie e delle tecniche costruttive tradizionali: alle travi in ferro per le volte andava preferita la tradizionale lamia in muratura e lapillo, univoco sistema strutturale da sempre impiegato sull’isola; così come i muri delle facciate che, quando non veniva trattati in pietra da taglio a vista, dovevano essere convenientemente intonacati e imbiancati a latte di calce. L’ uso di nuovi materiali e di metodi di costruzione doveva rispettare l’ambiente e mimetizzarsi con il paesaggio locale circostante. «Le case non dovevano essere ‚ville‛, non ‚palazzine‛, ma abitazioni rurali, paesane, dalle strutture piene di grazia, bianche, civettuole, armoniche nella forma, perfette nelle proporzioni. […] Il fabbricato doveva seguire la roccia, modellarsi ad essa, diventare un elemento naturale plasmato armonicamente alla natura, essere arricchito di elementi decorativi, di archi, di soffitti a 37


botte o a crociera […] il giardino, un piccolo gioiello, uno spazio delimitato di natura […] e un luogo vitale e colorato della casa, dove sono vietate piante esotiche ed elementi decorativi non consoni alla semplice struttura caprese». (19) Egli riteneva che questa fosse l’unica lecita manifestazione architettonica dell’isola. Un sentimento, un desiderio, generato dalla volontà di liberare l’isola dagli speculatori edilizi, in modo da poterla trasforme «in un luogo dove gli spiriti italiani e stranieri» (20) potessero essere liberi di poter esprimere artisticamente il proprio estro. Infatti, nonostante Cerio attribuisca la nascita di questo stile a Mastro Arcangelo, archetipo dell’imprenditore costruttore isolane, in verità furono i turisti stranieri, innamorati del luogo, a promuovere l’edilizia di Capri costruendo le loro lussuose ville nei punti più belli dell’isola. Grazie a loro, al loro denaro e al loro gusto, Capri è diventata quello che oggi appare agli occhi del mondo. Ma gli stranieri non agirono di testa loro: fecero costruire le case secondo le regole dello stile caprese, uno stile venuto a configurarsi naturalmente lungo il corso dei secoli in risposta alle esigenze e alle tradizioni isolane. Scrive Cerio che, tale stile, «non è classico, non è romano, non gotico, non orientale, non barocco; è un po’ di tutti questi stili; ma non è certamente lo stile che hanno importato i forestieri o gli architetti e gli ingegneri o gli artisti da fuori; è semplicemente lo Stile di Capri, una cosa essenziale dei capresi.» (21) Questa architettura spontanea sente i suggerimenti dell’ambiente naturale e si uniforma alle esigenze di chi deve abitarvi, alle necessità di adattarsi alla conformazione del suolo e alle possibilità naturali. Capri è infatti stata fin da sempre un campo di sperimentazione architettonica e la sua tradizione autoctona ha guadagnato nel corso degli anni un posto importante nella riflessione dapprima europea e poi italiana. Il suo territorio è diventato un ambito e privilegiato luogo di sperimentazione, soprattutto per il delicato e profondo rapporto tra architettura e paesaggio. Non a caso, afferma ancora Cerio, le costruzioni antichissime erano «fatte per ‘quel’ paesaggio per ‘quel’ mare, né potremmo immaginarle altrove, formate con materiale locale, alle cui forme, al cui colore col dominante candore soltanto si addicono l’ulivo, il cactus, l’azzurro intenso, il celeste grigio, la terra bruciata, l’assolato orizzonte, la natura, ‘quella’ natura insomma». (22) La definizione dell’architettura caprese è però da ricercarsi anche nei vari stili ed influenze che si sono susseguite nell’isola nel corso dei secoli. Tra queste, fondamentale il periodo dell’ Orientalismo, che ha caratterizzato l’architettura di questa città tra il 1880 e il 1903. Tale influenza, data principalmente da poeti e pittori che iniziano ad inserire la cultura architettonica islamica nelle rappresentazioni di Capri, ha come risultato un mix di elementi decorativi e plastici di ispirazione neoislamica con planimetrie e strutture corrispondenti


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l’architettura vernacolare


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alla tipica architettura caprese. Nelle nuove costruzioni, troviamo frequentemente edifici a torre, orientati rigorosamente secondo i quattro punti cardinali, cupole riccamente decorate, aperture di vario genere e merlature trilobate. Ma a parte tali elementi di ispirazione orientale, tutti gli edifici continuano ad essere costruito secondo i canoni dello stile vernacolare, come dimostrano le strutture in tufo intonacato bianco, le coperture a volta degli ambienti interni, il colonnato dorico nel pergolato del terrazzo ed il loggiato ad arco ribassato aperto verso il panorama partenopeo. La nuova e più pretenziosa architettura in stile, neomoresca o neoclassica, non oscurerà così la più autentica e più caratterizzante edilizia vernacolare. Ma non è sicuramente l’ultimo episodio caratteristico della storia architettonica caprese. (23) A mettere insieme la ricerca di caratteri originari dell’habitat umano, il riconoscimento di caratteri orientali, nelle case, negli agglomerati urbani simili a suk, nel paesaggio aspro e desolato e al contempo la constatazione di elementi marcatamente classici, riuscirà una nuova importante e fascinosa categoria dell’immaginario che si afferma con forza nei primi decenni del Novecento, quella del “Mediterraneo”. All’insegna del mito della mediterraneità si apre nei primi decenni una nuova stagione, che comporta un’attenzione per l’architettura vernacolare non più già come mera e remota sopravvivenza di una fase remota e arcaica, quanto piuttosto come materia ancora viva e libera dalle sovrastrutture artificiose dello storicismo ottocentesco. (24)

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nella pagine precedente, dall’alto: Giacinto Felice, Capri: barche a secco. 1901 Fonte: https://www.pananti.com/it/asta-0128-2/capri-barche-asecco-54659.asp Antonio Lovatti, Marina Grande, Capri. 1920 Fonte: Cantone, Gateana, Prozzilo, Italo, Case di Capri. Ville, palazzi e grande dimore, Electa Napoli, Napoli 1984 in alto a sinistra: Antonito Leto, Capri. 1993 Fonte: https://www.sothebys.com/it/auctions/ecatalogue/2008/xixthcentury-paintings-and-sculptures-mi0297/lot.96.html in basso a sinistra: Jacob P. Hackert, Veduta di Capri. 1792 Fonte: Fidone, Emanuele, From the Italian Vernacular Villa to Schinkel to the Modern House, Biblioteca del Cenide, Reggio Calabria 2003 41


Schinkel in Italia

Il mito mediterraneo nasce come incarnazione di un sentimento nostalgico, vaghezza esotica di nordici viaggiatori che scoprono le meraviglie del paesaggio e delle costruzioni spontanee, oltre che subire il fascino dei monumenti e dell’archeologia. I celebri disegni di case rurali in Sicilia di Schinkel, così come i disegni di Hoffman delle case capresi, costituiscono una testimonianza dell’interesse per questo tipo di architettura, sempre letta in relazione all’ambiente naturale in cui essa si situa, considerata come diretta portatrice della tradizione, e sempre correlata ai caratteri climatici ed ambientali. I primi segnali in questa direzione si avvertono, fin dagli inizi del scorso scorso, con il rilancio dell’antico e l’avvio del Grand Tour. In questi anni, l’italia cominciò ad essere meta prediletta di artisti, poeti e letterali alla ricerca di un’armonia che, si riteneva, potesse essere ritrovata nei luoghi ammantati di classicità. (25) Ed è qui che si inserisce l’importante figura dell’architetto prussiano Karl Friedrich Schinkel (1781-1841). Le esperienze dei due viaggi in italia, documentati da pagine di diari, lettere, disegni ed acquerelli, sono infatti un capitolo essenziale della storia architettonica mondiale. Schinkel non viene in Italia per esplorare dettagliatamente i resti delle antiche opere, da lui ormai già accuratamente studiate, ma soprattutto per aprirsi verso l’analisi e la riflessione sull’essenza della cultura classica. La sua attenzione è in primo luogo rivolta, più che al singolo monumento, alle connessioni intercorrenti tra il monumento stesso e il paesaggio circostante. Il suo non è il viaggio di un archeologo, ma quello di un architetto, di un pittore, alla ricerca di tecniche e immagini da conoscere e reinterpretare. L’esperienza dell’architetto nell’isola di Capri durerà solo pochi giorni, ma risulteranno sufficienti per un’elaborata ed accurata descrizione di un contesto paesistico così eccezionale, di una civiltà antica e incontaminata, da cui scaturiscano quelle che lui stesse definisce «case contadine lindissime e graziose, [...] casette di bella forma e purezza, le più deliziose che io abbia mai visto in un contesto rurale». (26) Non per caso, gli appunti relativi al viaggio in Italia, rivelano la volontà di dedicare uno specifico capitolo alla casa rurale capese. L’architetto inizierà quindi ad indagare le costruzioni vernacolari sia per il loro rapporto con il contesto geo culturale circostante, sia per portare avanti una profonda e accurata indagine sugli elementi formali, spaziali e costruttivi di cui essa è caratterizzata. Schinkel descrive le tradizionali case bianche come risultato dell’armonia paesistica e della specifica fisionomia del luogo. Dal suo punto di vista, la tradizionale casa caprese non rappresenta solo una forma geometrica elementare, quanto invece un insieme di spazi, funzioni, tecniche. Di questa sembra cogliere appieno il senso spaziale di alcuni elementi ricorrenti, tra cui la corte aperta, il pergolato, la loggia e la


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l’architettura vernacolare



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scala esterna a cui, solo successivamente Joseph Hoffmann aggiunge lo spiazzo verde, le stanze al livello superiore e i comodi rurali a quelli inferiore (27). Queste risultano estremamente interessanti agli occhi dell’architetto, grazie anche alla suggestiva e particolare disposizione spaziale: case di campagna così vantaggiosamente disposte nelle pendici delle montagne che, pur avendo la vista più libera e arieggiata nei piani superiori, hanno quelli inferiori spesso scavati in profondità nella roccia e contengono là camere fresche per pranzare o per il bagno.

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Questo tipo di «casa-natura» (28), così come è stata denominata da Semerani in riferimento alla rilettura dei progetti di Schinkel per le residenze di campagna, può essere quindi articolata in tre sottoinsiemi: l’edificio, il pergolato e i terrazzamenti, con uno sviluppo degli ambienti che va rigorosamente dall’interno verso l’esterno. Esse si presentano per lo più come composta da volumi giustapposti, ricoperti da tetto a falda, poggiati su di un alto basamento comune; mentre il pergolato, elemento di grande fascino per tutti gli architetti del Nord, individua un percorso semicoperto che porta fino a uno specifico punto panoramico con panchina o fontana, a volte completamente scoperto. L’esperienza dell’architetto prussiano rappresenta quindi un episodio singolare, ma estremamente importante e promotore di un successivo interesse diffuso. E’ proprio in questi anni che viene posta una nuova attenzione sull’isola di capri, fino ad ora luogo piuttosto appartato e marginale. La nuova centralità risveglia l’attenzione di artisti, architetti e intellettuali europei che non di rado si appassionano ai temi dell’architettura e del paesaggio, facendo assurgere Capri a sito di interesse internazionale. Si rilevano due fenomeni entrambi in crescita di decennio in decennio e tra loro collegati: per un verso il turismo, grazie al quale l’isola, con l’immaginario che rappresenta, diventa idealmente patrimonio esperienziale delle élites europee e americane,tappa imprescindibile del tour italiano e non di rado addirittura residenza stagionale; per altro l’elezione a soggetto prediletto dalla pittura di paese, grazie anche all’ineffabile connubio di elementi naturali e segni antropici connotanti. (29) nella pagine precedente, dall’alto: Karl Friedrich Schinkel, Casa contadina ad Anacapri, 1804 Karl Friedrich Schinkel, La costa di Capri, 1804 Fonte: Fidone, Emanuele, From the Italian Vernacular Villa to Schinkel to the Modern House, Biblioteca del Cenide, Reggio Calabria 2003 a sinistra: viste interne del progetto di K. F. Schinkel per il castello di Orianda in Crimea, ispirato all’architettura caprese. 1846 Fonte: Riemann, Georgie, 1781-1841 Schinkel l’architetto del principe, Marsilio Editori, Venezia, 1989 45


La casa caprese

La modesta casa contadina, della quale ancora oggi sono visibili rari esempi, può considerarsi la più semplice espressione architettonica caprese. Volendo analizzare la casa di Capri sia come manufatto architettonico che come “luogo dell’abitare” si può notare come essa possa essere ricondotta ad una forma tipo originaria, una sorta di prinicipio che nel corso dei secoli ha costantemente impresso il suo marchio. La prima forma di casa, tramandata da disegni, quadri e fotografie, è un architettura per lo più cubiforme (30), generata dalla composizione di singoli, differenti elementi che ne mettono in risalto i volumi. Hoffman la descrive così: «abbaglianti muri bianchi bucati da finestre piccole e incassate a protezione dell’eccessiva violenza della luce, racchiudono l’abitazione (costituita quasi sempre da una sola stanza). Essa è generalmente coperta da una volta a botte o a padiglione […] Attraverso un cortile passando sotto una pergola coperta da viti si giunge a un’ampia scala all’aperto, con uno spiazzo antistante, che conduce alla stanza, mentre all’intorno sono disposti in maniera pittoresca e ornati da un gioco di multiformi ombre, gli ambienti di servizio di diverse dimensioni, offrendo in tal modo un’unica immagine, armoniosa e definita.» (31) La tipologia di abitazione minima, generalmente costituita da un’unica stanza e da un terrazzo antistante, è infatti contraddistinta da pochi elementi ricorrenti: una struttura portante in muratura di pietrame di solito proveniente dallo scavo delle cisterne; le aperture non sempre in asse rispetto alla ripartizione di facciata; la presenza, sul davanti, di terrazzi con pergole rette da pali di castagno, da pilastri dorici o colonne rustiche, utilizzate per costruire uno spazio di vita all’aperto. Queste abitazioni, inoltre, presentavano una particolare copertura con «innalzamento a forma di cupola» (32), ossia le tipiche coperture a volte estradossate che lo stesso Schinkel descrive accuratamente. Esse potevano essere di vario tipo: a botte, generalmente con arco a tutto a sesto, a crociera, a vela e a padiglione.

in alto a destra: F. R Unterbergher, Casa verso Matromania. 1880 Fonte: Cantone, Gateana, Prozzilo, Italo, Case di Capri. Ville, palazzi e grande dimore, Electa Napoli, Napoli 1984 in basso a destra: Antonio Lovatti, Villa Pompeiana, 1888 Fonte: Cantone, Gateana, Prozzilo, Italo, Case di Capri. Ville, palazzi e grande dimore, Electa Napoli, Napoli 1984 nella pagina successiva: Peter Monsted, Pergola ad Anacapri. 1895 Fonte: http://www.artnet.com/artists/peder-m%C3%B8rkm%C3%B8nsted/a-pergola-from-anacapri


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l’architettura vernacolare



l’architettura vernacolare

In caso di contesto prevalentemente roccioso, il suo sviluppo poteva acquisire maggiore consistenza in altezza, soprattutto quando il terreno non disponeva di una sufficiente superficie in cui disporre il fabbricato. Questa soluzione veniva generalmente addottata nelle case «alla marina» (33), diverse solo per pochi elementi (numero di piani e aggregazione di più alloggi) da quella definita invece come «contadina» (34). I piani alti, arretrati tanto da lasciare spazio per la formazione di terrazzi o dei portici sottostanti, erano raggiungibili grazie alla presenza di scale laterali a vista dall’andamento insolito. Elemento distintivo di quest’ultime era il particolare trattamento ad arco rampante, ancora dettato dalla pendenza del terreno, e impiegato, a sua volta, per consentire il passaggio agli ambienti al piano terra. Date tali caratteristiche, è evidente come la casa vernacolare caprese possa rientrare nella categoria di costruzioni di tipo organico, non progettate sul tavolo da disegno: l’aggregazione spontanea di elementi modulari viene definita ogni volta in maniera del tutto differente, senza criteri compositivi ben precisi o regole rigorose da dover seguire. Per quanto riguarda la tecnica muraria utilizzata, Capri si colloca in un contesto forte per lo specifico impiego di materiali. Laddove nelle zone intorno al Vesuvio venivano adoperati roccia lavica, tufo e sabbia, qui si preferiva ricorrere invece alla pietra calcarea, impastata con malta di calce e pozzolona, attraverso la ben nota tecnica dell’astrico battuto. I muri venivano quindi eseguiti con il pietrame calcareo ricavato dalla scavo; erano di notevole spessore, data la natura della roccia di non facile lavorazione, e venivano ricoperti su entrambe le facce con intonaco rustico, utilizzato sia come protezione sia per coprire le irregolarità.

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Altro elemento ricorrente nell’edilizia contadina caprese è la costante ricerca di proiezione verso il verde, tradotto nella presenza di terrazze, logge o verande, solitamente ornate con viti. Se la casa confinava con il giardino, davanti alla porta d’ingresso si poteva trovare il classico elemento della pergola. Essa, afferma Gregorivus, è «il più bell’ornamento delle abitazioni isolane, formata da da una doppia fila di colonne in muratura, intonacate di bianco, a sostegno di tralci di vite.» (35) La colonna dei viali pergolati poteva presentarsi in varie forme. Dalle più spoglie prive di elementi terminali, con l’orditura di legno poggiato direttamente sul fusto, a quelle bianche dal capitello con collarino, al capitello alla dorica in tufo grigio di Sorrento. Altre varianti si potevano ritrovare anche nella sua diversa conformazione spaziale: si passa dal filare di colonne che prospetta verso la facciata della casa, delimitandone lo spazio di pertinenza, alla pergola che divide i poderi; alla pergola-viale che segna il percorso verso l’ingresso della casa, attraverso il giardino; alla pergola-soggiorno che indica il vivere all’aperto. La sintesi di questo sviluppo è affidata alle parole 49


di Cerio: «impera, intorno alla casa, la vite, questa antica e tipica essenza mediterranea che col fico e l’ulivo forma la divina trinità delle piante da cui l’uomo trae nutrimento e gioia; […] la vite sorretta da una colonna, da un pilastro, da una pertica, a volte legata sol con una vermena a un chiodo, s’arrampica sulla facciata nuda di una casa, contorce il suo tronco […] Ma poi costretta dalla mano dell’uomo, s’adeguerà su una pertica, formerà una pergola, e infestonerà dei suoi tralci verdi la bianca casetta, darà ombra e frescura nell’estate, e nell’autunno la dovizia dei suoi grappoli saporosi. Si stenderà da colonna a colonna, da terrazza a terrazza allacciando l’una all’altra le grevi strutture di pietra, formando una decorazione che l’uomo mai uguaglierà coi suoi ornati di stucco». (36)


l’architettura vernacolare Capri. Architettura e paesaggio archelogico

in basso: J. T. White, Le Camerelle, il centro di Capri e Monte Solaro, 1867 Fonte: Cantone, Gateana, Prozzilo, Italo, Case di Capri. Ville, palazzi e grande dimore, Electa Napoli, Napoli 1984

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parte II



Villa Jovis

Villa Jovis

«L’imperatore Tiberio governava da Capri quel mondo antico di cui il Mediterraneo era il centro, libero di realizzare qualsiasi capriccio della sua immaginazione. Aveva la certezza fisica di essere il vero padrone di tutto ciò su cui il suo sguardo poteva spaziare». (Richard Newbury)

Il progetto originario

All’estremità orientale dell’isola di Capri, di fronte alla penisola di Sorrento, si erige la villa romana dell’imperatore Tiberio, immersa in un sito naturale particolarmente suggestivo, non solo per il fascino esercitato dal paesaggio, ma anche per le vicende storiche che lo riguardano. Il promontorio isolato, battuto dal vento, e di cui le ripide scogliere dominano il mare da più di 300 metri d’altitudine, offre in effetti un quadro ideale per la messa in scena della personalità ambigua, e talvolta inquietante, di Tiberio.

Capri. Architettura e paesaggio archelogico

Sicuramente, la scelta del luogo era d’eccezione, spiega infatti l’archeologo Amedeo Maiuri, quando condurrà la più importante campagna di scavi sulla villa, che i Romani solitamente prediligevano collocare le loro dimore lungo il litorale, oppure sui colli per avere la vista sulle valli, Tiberio, invece, volle per sé «il picco più solitario, le rupi più abissali, il luogo più remoto da ogni altro abitato, e vi costruì il suo nido di falco» (37). Sempre Maiuri, parlando di Villa Jovis, aggiunge «si direbbe il vecchio castello di un signore feudale che imponesse chissà quale odioso diritto di preda ai naviganti: e fu invece la casa di un imperatore che consolidò saldamente sul mare e sulla terra l’impero di Augusto» (38). La dimora imperiale, oggi nota come “Villa Jovis”, sembra essere una delle dodici ville di Tiberio, che avevano il nome dei dodici dei Olimpici. Si trattava probabilmente di ville appartenute precedentemente ad Augusto, che nell’isola aveva soggiornato più volte nei mesi estivi, oppure a grandi personaggi della fine della Repubblica. Tacito scrive infatti che Tiberio, a Capri, «duodecim villarum nominibus et molibus insiderat» (39). Si considera, quindi, che ciascuna di queste ville fosse dedicata ad una divinità e che Tiberio avesse scelto come propria dimora quella consacrata a Giove, 55


per trascorrere a Capri gli ultimi dieci anni della sua vita (27-37 d.C.). Di quest’ultimo soggiorno gli autori latini ci hanno riportato numerosi episodi scabrosi: storie in cui si mescolano solitudine e potere, terrore e sadismo che dovevano forgiare nel tempo la leggenda dei «neri ozi del vecchio di Capri» (40). Plino il Vecchio, Tacito e Svetonio raccontano infatti che a Capri Tiberio poté lasciare libero sfogo ai suoi inenarrabili vizi, abbandonandosi alla gola e alla sfrenata libidine; tuttavia sebbene si ipotizza che queste narrazioni siano state farcite da una buona dose di immaginazione e dal gusto narrativo dell’epoca, rappresentano le uniche fonti classiche che citano le ville imperiali di Capri. Le descrizioni riportate, però, non aiutano a definire né la forma, né la posizione del Palazzo all’interno del territorio, per cui le attuali conoscenze si fondano su supposizioni e ipotesi avanzate da storici e archeologi che nel corso degli ultimi cinque secoli hanno studiato, in più occasioni, il patrimonio archeologico caprese e la conformazione architettonica dei ruderi del monte Tiberio.

a destra: vista dell’ingresso al sito archeologico di Villa Jovis. Foto originale, settembre 2020

Seguono: ridisegno delle piante dello stato attuale di Villa Jovis foto degli ambienti principali del complesso oggi Foto originali, settembre 2020


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Capri. Architettura e paesaggio archelogico

Villa Jovis


Piano primo

vestibolo d’ingresso


Capri. Architettura e paesaggio archelogico

Piano secondo

quartiere servile

59 Villa Jovis


Piano terzo-quarto quartiere termale


Capri. Architettura e paesaggio archelogico

Piano quinto

cisterne

61 Villa Jovis


Piano sesto

quartiere imperiale


Capri. Architettura e paesaggio archelogico

Chiesa di Santa Maria del Soccorso

Piano settimo

63 Villa Jovis



Villa Jovis

La questione tipologica di Villa Jovis

La reggia di Tiberio si estendeva su una superficie superficie di 82,30 metri sull’asse nord-sud e per 65,85 metri sull’asse est-ovest, per un totale di una superficie di oltre 7000 metri quadri, con un orientamento che segue i punti cardinali. Tra le strutture conservate al livello d’ingresso (+306,68 m) e la superficie della cisterna centrale (+332,74 m) c’è un dislivello di altezza di ventisei metri, che corrisponde a grandi linee all’altezza della pendice naturale sulla quale poggiano e alla quale si addossano le strutture. Le quattro ali che circondano la cisterna centrale sono impiantate su terrazze tagliate nella roccia e sorrette da muri a diversi livelli, che seguono a gradoni il profilo naturale del pendio. Si tratta di un fabbricato dalle caratteristiche peculiari, il cui impianto non è assimilabile a nessuna delle tipologie note tra le dimore romane, si potrebbe affermare che la residenza imperiale di Tiberio a Capri fosse un organismo architettonico ottenuto come la commistione di una serie di elementi di una ricca domus e quelli di una fortezza romana, con una varietà di soluzioni, sia in pianta che in alzato, dovuta alla posizione e alla particolare orografia del suolo.

Capri. Architettura e paesaggio archelogico

Lo scavo completo della villa, condotto da Amedeo Maiuri tra il 1932 e il 1935, con il relativo restauro, consentì per la prima volta una visione complessiva dell’impianto e portò a definire una possibile distribuzione funzionale degli ambienti, secondo uno schema che oggi è sostanzialmente condiviso da diversi studiosi. Sempre A. Maiuri, parlando di Villa Jovis, commenta: «fu una villa fortezza, più castello che palazzo, più eremo che magione imperiale; a guardarla oggi con la sua gran mole che copre il cocuzzolo del monte» (41). Un complesso di tale dimensione e densità costruttiva, in effetti, sembra non avere nulla in comune con il tipo della villa tradizionale di sfruttamento e villeggiatura, mentre risponde in modo particolare alle esigenze e alle funzioni di una residenza imperiale isolata dalla capitale. Tuttavia, secondo Clemens Krause il termine che designa la residenza principale di Tiberio è comunque «villa» (42), con il significato, in primo luogo, di «residenza fuori dalla città» (43), che la distingue per funzione dalla «domus» (44) e, nel caso particolare dal «palatium» (45) che, in quanto residenza imperiale, era a quell’epoca ancora strettamente collegato alla sua collocazione sul Palatino. In secondo luogo, il termine designa un tipo architettonico le cui principali caratteristiche corrispondono alla breve descrizione vitruviana della «villa pseudourbana» (46). Infatti, parallelamente al tipo di villa a nucleo perfettamente assiale esiste, già in epoca tardorepubblicana, un altro tipo di villa, la cui particolarità risiede nell’inserimento organico degli elementi costitutivi dell’ambiente topografico.

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Villa Jovis, invece, impone la sua architettura nell’ambiente naturale, radicandosi tramite basis e sostruzioni sul promontorio più alto dell’isola di Capri e seguendo, solo parzialmente, l’orografia del terreno. Inoltre, le necessità di adattamento al sito e, in particolar modo, l’assenza di un asse dominante portano ad escludere anche l’impianto della tipologia tradizionale delle ville suburbane. La villa così concepita troverebbe, infatti, simili riferimenti solo nel tipico palazzo di derivazione greco-ellenistica, formato da un alto basamento quadrato e coronato dal piano nobile, attorno a un peristilio. Quindi, se è vero che l’impianto di Villa Jovis si rivolge a modelli di architettura ellenistica, è altrettanto vero che non si tratta di una riproduzione tipologica, ma di una reinterpretazione che si adatta alle esigenze tradizionalmente romane che si esprimono, prima di tutto, nella necessità di coniugare una dimora che fosse espressione dell’otium con le esigenze dettate dagli impegni amministrativi e istituzionali dell’imperatore, che da Capri continuava a mantenere contatti col Senato.

28 m

30 m

Legenda generatrice simmetrica

Composizione I

generazione del sistema dei quadrati


Villa Jovis

Osservando l’impianto si può constatare l’assenza della classica simmetria degli spazi e dell’usuale successione degli ambienti della della domus, generalmente composta da: fauces-atrium-tablinum, a favore però di un’organizzazione razionale, che presenta quindi una composizione geometrica, rigorosa e regolare. E’ possibile infatti individuare nel corpo centrale la ripetizione di un sistema a quadrati concentrici, che a partire dal modulo di base delle cisterne, di 30 x 31 metri, definisce sia la scansione interna di queste (in 2 parti a sinistra, e in 4 a destra) che gli ambienti esterni adiacenti: gli appartamenti di servizio e del corpo di guardia, la zona privata dell’imperatore e i bagni termali risultano essere definiti a livello dimensionale da multipli o sottomultipli del modulo di base, e a livello spaziale dall’asse di simmetria verticale posto esattamente al centro delle cisterne. Invece, per quanto riguarda gli ambienti restanti, e in particolare l’aula absidata e l’ambulatio, risulta evidente come la complessa orografia del

4a

a

a 2

a

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a

Legenda direttrici principali assi paralleli asse di simmetria cisterne

Composizione II

analisi delle simmetrie principali

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suolo abbia impedito di seguire l’andamento assiale e geometrico degli altri spazi. In questo caso infatti, entrambe le strutture presentano allineamenti e inclinazioni anomale rispetto al resto della villa, giustificate probabilmente da un necessario ed inevitabile adattamento al suolo: l’aula absidata, seppur internamente mantenga ancora quel forte rigore geometrico presente in tutta la costruzione (si evidenzia come la sua dimensione complessiva rientri perfettamente nel modulo di base delle cisterne), presenta l’asse di simmetria spostato di 3,5 metri a nord, posizione in cui probabilmente il terreno si adattava meglio alla costruzione. Allo stesso modo l’ambulatio, così come la rampa esterna di collegamento che ne favorisce l’accesso, risulta essere inclinata proprio secondo l’andamento curvilineo del versante scosceso del Monte Tiberio.

r=8m

a

a = 5,80 m b = 5,00 m

a

b

a = 5,80 m b = 5,00 m

b

slittamento asse di simmetria AULA ABSIDATA vs CISTERNE

Legenda direttrici principali asse di simmetria

r=8m

slittamento asse di simmetria

AULA ABSIDATA vs CISTERNE

assi paralleli

Composizione III

l’eccezzione rispetto al tipo

direttrici principali cisterne asse di simmetria cisterne


Villa Jovis

Gli scavi archeologici

Da quanto riportato dalle fonti storiche, Villa Jovis fu costruita in Età Augustea, per essere poi ultimata durante l’impero di Tiberio, e restaurata in Età Flavia. Dal III secolo, purtroppo, non si hanno più informazioni certe sullo stato del Palazzo in cui aveva dimorato Tiberio per gli ultimi dieci anni della sua vita. Nel Medioevo, infatti, l’isola di Capri andò incontro ad una progressiva fase di decadenza, anche Villa Jovis così venne condannata ad uno stato di incuria e di abbandono, soggetta a continue spoliazioni. Malgrado il carattere arido del promontorio, si può supporre che la natura avesse preso il sopravvento e che le vestigia della villa, negli anni, siano state lentamente ricoperte dalla crescita spontanea della vegetazione. La villa venne riscoperta solo nel XVIII secolo, sotto la dinastia dei Borbone e fu per lungo tempo utilizzata come cava per il recupero dei marmi. Le prime notizie relative agli scavi effettuati sono contenute nella relazione che scrisse Giuseppe Maria Secondo a Carlo III, nel 1750, in cui annunciava la scoperta del pavimento della villa, successivamente trasportato nella Cattedrale di Capri.

Capri. Architettura e paesaggio archelogico

In quest’epoca non si può parlare di veri e propri scavi archeologici, si trattava piuttosto di opere di spoliazione per lo più distruttive, mirate cioè al ritrovamento di decorazioni, marmi e pavimenti, senza alcun interesse filologico o scientifico di ricomposizione e conoscenza dell’antico. La ricca produzione iconografica avente a oggetto la villa, attraverso disegni, stampe, acquerelli oli, e, per ultimo, fotografie e cortometraggi, ha documentato la consistenza dei ruderi nei secoli precedenti allo scavo di Amedeo Maiuri, offrendo, in molti casi, fantasiose e ardite ricostruzioni che forniscono interessanti spaccati delle culture figurative in cui venivano prodotte, ma sono poco utili dal punto di vista dell’avanzamento delle conoscenze scientifiche sul sito. Molti documenti, inoltre, sono andati perduti come, ad esempio, i manoscritti relativi alle ricerche e agli scavi di Norbert Hadrawa e Giuseppe Feola, che avrebbero contributo a chiarire almeno la posizione e la funzione degli apparati decorativi e delle suppellettili, che nei secoli sono stati via via asportate dalle strutture sotterrate. Villa Jovis, molto probabilmente, non fu mai completamente nascosta alla vista anche se le prime citazioni che testimoniano la sua esistenza dopo l’epoca classica risalgono soltanto al Cinquecento. Durante il Rinascimento, infatti, con il rinnovato interesse antiquario di studiosi e viaggiatori, divenne più pressante la questione filologica del riconoscimento delle fonti antiche e la ricerca dei segni materiali da identificare con i testi scritti dagli autori latini come Tacito e Svetonio. Il Palazzo di Tiberio viene citato per la prima volta in un manoscritto di Fabio Giordano, intitolato “Historia Neapolitana”, la cui datazione è stata recentemente collocata tra 1571 e 1589; ma le prime informazioni più 69


Villa Jovis dopo il restauro di Amedeo Maiuri. Fonte: Veronese, Luigi, Il palazzo di Tiberio a Capri. L’evoluzione dell’immagine tra iconografia e restauro, Eikonocity 2017


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accurate ed attendibili risalgono agli scavi dell’archeologo austriaco Norbert Hadrawa condotti tra il 1786 e il 1793 per la villa propriamente detta, tra il 1800 e il 1804 per le rovine del faro. Successivamente, il re di Napoli Francesco I di Borbone ordinò degli scavi che furono diretti dall’architetto-archeologo Giuseppe Feola (1827-1830), ispettore delle antichità dell’isola di Capri, che raccolse gli esiti delle sue ricerche in un manoscritto del 1830, pubblicato da Ignazio Cerio nel 1894. Le sue indagini si concentrarono inizialmente sul faro e sulla parte dissotterrata della villa, per poi proseguire con lo scavo archeologico vero e proprio a partire dal lato orientale della costruzione, in prossimità dell’esedra. Questi scavi portarono al rinvenimento di numerosi oggetti di marmo, oggi conservati al museo di Napoli, ma soprattutto portarono l’edificio nello stato in cui venne restituito nelle tavole pubblicate da Francesco Alvino insieme a Bernardo Quaranta poco prima del 1835 nelle “Antiche ruine di Capri”. La raccolta era composta da dodici tavole, di cui due particolarmente importanti per la ricostruzione dell’impianto dei ruderi di Villa Jovis. Si tratta, nello specifico, della pianta del complesso in scala 1:600 e di una veduta a volo d’uccello che per la prima volta raffigurava la volumetria dei ruderi e la loro collocazione geografica nel paesaggio di Capri. Questi disegni costituirono una documentazione molto importante perché vennero usati come fonte primaria per gli studi successivi. Lo scavo di Feola, infatti, può essere considerato il primo scavo modernamente inteso, in quanto può essere annoverato come il primo tentativo di ricostruzione dell’impianto di Villa Jovis, senza avere come scopo il ritrovamento di preziose antichità, dando invece alla struttura architettonica un valore specifico, indipendente dai tesori che celava. Tuttavia, gli esiti del suo lavoro furono scarsi perché portò alla luce solo una parte piuttosto esigua del complesso, che comprendeva il lato orientale della villa e la sua esedra, dove probabilmente l’imperatore aveva voluto che venisse collocata la sala del trono. Solo negli anni trenta del Novecento venne condotto lo scavo completo dell’intero complesso del palazzo di Tiberio, ad opera di Amedeo Maiuri. Dopo il 1860, però, le rovine tiberiane passarono in consegna all’eremita che dimorava nella cappella di Santa Maria del Soccorso e il sito aveva subito danni legati all’uso delle rovine come fondazioni per piccole costruzioni agricole. Nel 1927 venne emanato il Regio decreto che prevedeva la concessione di espropri per pubblica utilità, grazie a questo provvedimento nel 1931 la proprietà del sito su cui si estendeva il complesso della villa passò alla soprintendenza di Capri, la quale l’anno successivo permise a Maiuri di avviare le opere di scavo. (47) Quando all’inizio degli anni Trenta del Novecento Maiuri giunse a Capri il sito di Villa Jovis, come lui stesso avrebbe scritto successivamente nel 1938 sul Corriere della Sera, «era un cumulo informe di macerie da cui erompevano, quasi paurosamente, le occhiaie vuote delle volte delle cisterne: fulmini,


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Villa Jovis

nembi e terremoti, abbattendosi su quel picco di roccia, avevano scrollato le mura della gran fabbrica e sulle malte sgretolate i venti avevano seminato una prodigiosa macchia di ginestre e allevato qualche querciuolo contornato; la grande rampa che saliva all’umile chiesetta aveva sepolto la parte migliore del palazzo; corridoi, logge, terrazze erano coperti da magri filari di vigna; all’ingresso un torracchione sgretolato, la Torre del Faro, quella che aveva dato con il suo crollo un sinistro presagio di morte, pencolante sull’abisso, e di quell’abisso la leggenda aveva fatto la rupe del sangue, della carneficina. Il mito di Tiberio riviveva in quella selvaggia e deserta solitudine, e uomini e natura sembravano congiurare a rendere il suo nome più esecrabile» (48).

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Il progetto presentato dall’architetto e archeologo napoletano comprendeva tre perizie: opere di sterro e sgombero, completamento delle espropriazioni, scavo archeologico - consolidamento - restauro dei ruderi. La campagna di scavo iniziò nell’inverno del 1932, venne poi completata nel 1935 e consentì di riportare alla luce le parti delle vestigia della villa ancora sotterrate: in particolare, si segnala il ritrovamento della terrazza dell’ambulatio, con gli ambienti annessi e la terrazza soprastante. Successivamente, col completamento dei lavori previsti dal progetto di restauro, Maiuri intendeva ricomporre la visione complessiva dei ruderi per restituirne una lettura più esatta ed accurata possibile e nel 1938, con la cerimonia di inaugurazione, il sito archeologico di Villa Jovis diventò accessibile al pubblico. (49)

nella pagina precedente: vista del Salto di Tiberio dopo gli scavi Fonte: Maiuri, Amedeo, Capri. Storia e Monumenti, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma 1997 a sinistra: vista della rampa principale d’ingresso alla villa, 1938. Fonte: Maiuri, Amedeo, Capri. Storia e Monumenti, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma 1997 75


Villa Jovis, veduta dall’alto, F. Alvino. 1835 Fonte: Krause, Clemens, Villa Jovis. L’edificio residenziale, Electa, Napoli 2005


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Villa Jovis


La ricostruzione di Clemens Krause

Mentre la pianta della vestigia del palazzo presenta una lettura relativamente facile, la restituzione del suo elevato, conservato fino a 30 metri d’altezza, con i suoi quattro piani, non è stata oggetto finora di uno studio approfondito: le restituzioni più recenti non sono, del resto, concordanti. Gli studi, per esempio, condotti sulla villa dall’École des beaux-arts avevano prodotto visioni molto suggestive, ma d’altro canto estremamente fantasiose: una delle ricostruzioni più fedeli al vero è stata quella proposta da C. Weichardt nel 1899 dove, per la prima volta, veniva posta la questione dell’esistenza di livelli scomparsi della costruzione al di sopra delle cisterne attualmente visibili. Tale ipotesi costituirà, anche dopo lo scavo e il restauro novecentesco di Amedeo Maiuri, uno dei nodi principali per la comprensione del complesso. Clemens Krause è lo studioso che ha condotto con l’Istituto svizzero di Roma, tra il 1978 e il 1980, una delle indagini scientifiche, più accurate e approfondite, della dimora di Tiberio a Capri. Dall’analisi delle strutture della villa, si possono individuare almeno sei livelli costruttivi principali, tra il piano di ingresso (posto a livello 0) e la copertura delle cisterne centrali all’intero sistema (livello 6). Lo stato attuale di conservazione dei ruderi ha spesso suscitato interpretazioni diverse da parte degli archeologi, suggerendo a certi autori la visione di una villa disposta su più livelli terrazzati, in altri casi invece sono state avanzate ipotesi circa il fatto che le quattro ali del fabbricato avessero potuto raggiungere lo stesso livello di altezza. Dall’analisi delle strutture, inoltre, Clemens Krause afferma la possibilità di individuare ben due periodi costruttivi: una prima fase di costruzione e una seconda di completamento e consolidamento delle strutture. Come è facile notare dalla pianta della villa, il grande complesso centrale destinato all’approvvigionamento delle acque rende piuttosto artificioso il collegamento tra le quattro ali della villa, che finiscono per creare ‘quartieri’ separati tra loro e piuttosto riservati. L’interpretazione che ne dà Amedeo Maiuri lega la forma divisa degli ambienti al carattere schivo e riservato di Tiberio. Per Maiuri, in definitiva, la circolazione interna della villa si effettuava lungo i lati della cisterna e la copertura del grande serbatoio sarebbe servita a raccogliere le acque piovane dai tetti circostanti. Tuttavia, l’ipotesi avanzata dall’archeologo svizzero C. Krause, e condivisa anche con C.F. Giuliani e A. Moneti, sembra essere più convincente da un punto di vista funzionale, considerando la qualità planimetrica generale del complesso. C. Krause spiega la mancanza dei collegamenti tra le quattro ali della villa come la prova più evidente della presenza di un ulteriore livello del complesso: il settimo. Questo piano principale e unitario, intorno a un ampio peristilio corrispondente al solaio di copertura delle cisterne, avrebbe contenuto il piano nobile dell’edificio, con l’abitazione dell’imperatore. La


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Villa Jovis

conferma dell’esistenza di questo ulteriore livello, andato completamente perduto, è la presenza della scala che si trova accanto al criptoportico che collega l’ala nord della villa con l’ambulatio e che avrebbe condotto a questo ultimo piano, di cui oggi ne è rimasto conservato solo il nucleo in opera cementizia, con l’impronta di due gradini. Oltretutto, l’esistenza del settimo livello implicherebbe un’altezza notevole di circa 40 metri raggiunta dall’angolo sudovest, che spiegherebbe, da un punto di vista statico delle costruzioni, la necessaria presenza dei contrafforti apparentemente sovradimensionati trovati al livello della basis villae e delle sostruzioni. Per Krause, quindi, il livello settimo avrebbe avuto «un impianto a peristilio centrale, le cui quattro ali erano collegate tra loro in modo funzionale» (50), dove gli altri sei livelli «non avrebbero rappresentato un insolito tipo di villa, ma avrebbero costituito le sostruzioni di un impianto a peristilio di tipo tradizionale» (51). Al di là di queste supposizioni circa la condizione originaria dell’alzato, gli scavi del Maiuri, condotti tra il 1932 e il 1935, hanno reso nota anche la disposizione planimetrica generale, che è evidentemente influenzata dalla necessità di raccogliere e utilizzare le acque piovane per garantire l’approvvigionamento idrico del complesso, in una zona in cui non erano presenti sorgive naturali. L’acqua, sebbene abbondasse nei bassi rilievi dell’isola, scarseggiava nei livelli superiori. Così, con un’ardita e geniale opera di ingegneria, vennero costruite quattro cisterne di enorme portata, disposte nelle fondamenta della villa stessa. La preoccupazione di creare riserve di acqua per il complesso funzionamento del patrimonium principis ha portato i costruttori romani a strutturare il territorio di Capri con un sistema vasto ed elaborato di condotte e serbatoi, grazie al quale sono state rese possibili sia l’erogazione di acqua pura e potabile fino al centro storico, che la raccolta di riserve destinate alle terme della villa di Tiberio.

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nella pagina precedente: Ricostruzioni visionarie di Villa Jovis, Carl Weichardt Fonte: Weichardt, C. Das Schloß des Tiberius und andere Römerbauten auf Capri, 1900 a sinistra: visuali interne della Villa detta di Giove, Alvino Quaranta, 1835., tav. VI - tav. VII Fonte: Krause, Clemens, Villa Jovis. L’edificio residenziale, Electa, Napoli 2005 nella pagina successiva: ridisegni e foto del plastico ricostruttivo di Villa Jovis di Clemens Krause Fonte: Krause, Clemens, Villa Jovis. L’edificio residenziale, Electa, Napoli 2005 81


Sezione trasversale direzione ovest


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Sezione longitudinale

direzione nord

83 Villa Jovis


Questo sistema era contenuto nel corpo centrale della villa, perfettamente orientato ovest-est, e formava un blocco quadrato di 31 metri, attorno al quale si disponevano quattro corpi di edifici; questa parte del complesso è oggi restituita come un vasto peristilio. Sul versante ovest della villa, invece, trovava posto il quartiere servile: qui il vestibolo tetrastilo della villa si apriva su un’ala composta da una serie di stanze di servizio collegate da un corridoio alla cucina, posta nettamente all’esterno del complesso. Il lato sud era occupato dalla parte termale dell’edificio, dove è possibile riconoscere ancora oggi la suddivisione degli spazi in apodyterium, tepidarium, calidarium, praefurnium e perfino le suspensurae che servivano a tenere sopraelevato il pavimento per il passaggio dell’aria calda. A nord-est, sul lato che domina il mare, un lungo ambulacro scoperto metteva in comunicazione il quartiere ufficiale di rappresentanza e l’alloggio privato dell’imperatore. Il primo, racchiuso in un ambiente a emiciclo, stretto tra le cisterne e il ciglio della roccia, era composto da una grande aula e da altre cinque stanze, ricavate tramite «un grandioso lavoro di taglio, di livellamento e di colmatura che è tuttora riconoscibile dalla roccia, in parte affiorante, e dal cedimento del pavimento di alcune stanze» (52). Più incerta appare la funzione dell’aula absidata che sporge sul lato orientale: in questo caso alcuni studiosi hanno supposto l’esistenza di un piano superiore affacciato sul mare; a livello planimetrico, la presenza di una serie di setti murari sembra suggerire la volontà di creare dei punti di vista verso gli ampi finestroni che danno sull’ambulacro esterno nel quale si aprono ancora tre nicchie con piano in marmo forse destinate a statue. In questo ambiente si rinvennero due puteali marmorei a decorazione vegetale e un bassorilievo noto come “La Cavalcata”, unici resti della fastosa decorazione che un tempo caratterizzava la villa. L’angolo nord-ovest della villa è collegato da un corridoio, a livello inferiore, ad una grande ambulatio est-ovest sulla quale si aprono una serie di sale di riposo.

a destra: ridisegno della pianta dello specularium foto dello stato attuale delle rovine oggi Foto originali, settembre 2020 Seguono: ridisegni e analisi compositive del complesso dello specularium


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Piano terra

specularium

85 Villa Jovis


Fonti antiche segnalano il fatto che Villa Jovis fosse dotata di due fari: il primo, denominato Faro Piccolo, alto circa 16 metri, si trovava poco lontano dall’attuale ingresso, su un’altra altura a sud della villa, ma la sua altezza non era sufficiente per rendere visibile tutta la costa. Il secondo, alto circa 59 metri, era posizionato a nord-ovest, poco lontano dalla villa e probabilmente era proprio questo che veniva utilizzato per le segnalazioni con la terraferma. I suoi resti, che presentano possenti fondazioni, sono stati interpretati da Amedeo Maiuri, senza elementi determinanti, come quelli dello specularium dell’astronomo Trasilo, astrologo e confidente di Tiberio. Si ipotizza quindi che, oltre ad essere un faro di avvistamento, si trattasse anche di una specola per le osservazioni astronomiche, visto l’orientamento, non affatto casuale, secondo i punti cardinali. 2c

Tuttavia aleggia ancora oggi un’aura misteriosa circa l’interpretazione di queste rovine: alcuni studiosi precisano infatti che la possibilità di associare queste fondazioni a quelle dello specularium rappresenta «un’attribuzione c molto ipotetica» (53) ormai «perpetuata dall’uso» (54). 2c Il complesso dello specularium è composto da muri disposti a distanza

2c

c

Legenda generatrice

42 m

simmetrica

44 m

Composizione I

generazione del sistema dei quadrati


Villa Jovis

regolare che formano un sistema di corridoi paralleli, ortogonali fra loro e che si articolano attorno ad un quadrangolo centrale costituito dall’ambiente a due camere collocato sull’asse est-ovest. Completando i muri in modo simmetrico, si ottengono tre quadrati concentrici, circondati su tre lati da un muro spesso oltre 4 metri. Ne risulta una struttura planimetrica con le caratteristiche di una torre a gradoni, contenuti da un potente basamento. Circa le dimensioni, l’archeologo C. Krause che ha studiato dettagliatamente la villa, ipotizza che «la larghezza del basamento avrebbe misurato circa 49 metri, il primo quadrato interno nelle assi dei muri 30,8 metri, il secondo 21,2 metri, il terzo 11,8 metri circa» (55). In aggiunta, sempre C. Krause, fornisce un’informazione molto utile per la collocazione altimetrica delle vestigia dello specularium, precisando che «l’altezza del basamento fu determinata dal livello dell’ambulatio che raggiungeva l’angolo nordest» (56). Gli studiosi suppongono che questa torre, crollata a causa di un terremoto poco dopo la morte di Tiberio (37 d.C.), dovesse superare l’edificio principale, con un’altezza complessiva paragonabile a quella del faro di Alessandria (59 metri c.a.), congettura avallata anche dalla dimensione notevole della base e dalla densità planimetrica delle strutture quadrangolari delle fondamenta.

Legenda direttrici principali assi paralleli asse di simmetria

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2c

c 2c

c

2c

Composizione II

analisi delle simmetrie principali

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studi sull’antico

studi sull’antico

Il Grand Prix de Rome è una borsa di studio istituita dallo stato francese per gli studenti più meritevoli nel campo delle arti. Il premio nacque nel 1663 in Francia sotto il regno di Luigi XIV come ricompensa annuale a giovani e promettenti musicisti, pittori, scultori e architetti che dimostrassero la loro bravura in una impegnativa competizione ad eliminazione. La vittoria garantiva una borsa di studio comprendente l’ospitalità a carico dell’Accademia di Francia, fondata da Jean Baptiste Colbert nel 1666, nella sua sede romana: da qui il nome «pensionnaires» (57), pensionati.

Il Grand Prix de Rome

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L’idea di un premio da assegnare annualmente nasce con l’avvio del concorso nel 1666, tanto che il Re stesso aveva ordinato che venisse scelto di tanto in tanto uno studente meritevole da inviare a Roma a sue spese, affinché potesse studiare da vicino le antichità̀ classiche. È però nel 1717 che viene documentata la prima prova ufficiale del concorso, che assegnava ai vincitori un soggiorno presso l’Accademia di Francia a Roma. Dal 1720 al 1790 il concorso si svolge con regolarità: il regolamento prevedeva che i vincitori venissero selezionati sulla valutazione del miglior schizzo di progetto indicante con precisione gli elementi compositivi dell’edificio. Da questi prima valutazione, venivano poi scelti scelti i due studenti migliori, ai quali veniva poi richiesto di sviluppare per intero il proprio progetto conformemente a quanto sviluppato nello schizzo. La tecnica di rappresentazione utilizza doveva necessariamente essere quella del disegno geometrico, senza nessuna concessione al pittorico. Fino alla metà del XIX secolo, ben oltre quindi il periodo neoclassico, il fascino dell’Italia e dell’antichità costituisce una delle tematiche principali affrontate dai concorrenti del Grand Prix. I viaggi all’epoca erano difficili, lunghi e costosi e nuovi siti archeologici inediti continuavano ad offrirsi alla curiosità dei pensionnaires: Ercolano, Pompei, la Sicilia, etc. (58) Verso la metà dell’Ottocento però, i monumenti più importanti erano già̀ stati tutti studiati e le competenze scientifiche degli architetti erano ormai superate da quelle degli archeologi. Essendo che la realizzazione degli elaborati definitivi dava ai concorrenti la possibilità di fare sfoggio del loro 89


talento, gli effetti grafici spesso prevalsero su quelli architettonici, tanto che nella maggior parte dei casi a vincere non erano i migliori architetti, ma i migliori disegnatori. La Prima guerra mondiale interruppe il concorso per quattro anni. Quando riprese, nel 1919, il mondo aveva subito enormi trasformazioni: la modernità aveva iniziato a manifestarsi anche in campo architettonico, attraverso nuovi programmi, obiettivi e materiali, un’estetica totalmente differente dal modello proposto dal premio. L’Ecole des Beaux-Arts si adeguò gradualmente a queste tendenze: i progetti presentati al premio cercarono di rispettare l’influenza formale del momento. Tuttavia, i criteri selettivi e formativi degli architetti destinati a rappresentare l’élite della professione non corrispondevano più alle necessità del mondo contemporaneo. Il principio della composizione architettonica fondata sulla simmetria, i riferimenti continui alle sole antichità classiche non tenevano più conto dell’evoluzione del mondo moderno. Dopo il 1920 si assiste a una sorta di inversione geografica del Grand Tour: saranno gli europei a spostarsi verso nuovi continenti alla ricerca di nuove ispiriazioni e forme d’arte. Siamo negli anni del prima dell’America e della nuova architettura dei grattacieli.(59) I pensionnaires, quindi, una volta trasferitisi a Roma, erano chiamati a lavorare su un monumento antico a loro scelta, del quale non solo dovevano riprodurre un accurato rilievo, ma anche proporne una ricostruzione. I prodotti del loro studio dovevano poi essere inviati, da qui «envois» (60), ogni anno all’accademia di Francia per essere giudicati. Molto spesso però la ricostruzione non seguiva una base scientifica, cioè un’esatta corrispondenza archeologica, ma si basava più su una restituzione di un’immagine di un’epoca. Si trattava quindi più di uno studio architettonico formale, di un’immagine armoniosa, di spirito compositivo meno fedele, ma più incline al capriccio e alla fantasia architettonica. Un’altra componente di questi progetti è la nostalgia. Nostalgia di un tempo in cui l’archeologia, non essendosi ancora costituita in una scienza austera, poteva permettersi di ridare all’architettura antica la ricchezza supposta delle sue decorazioni.I disegni erano spesso sovraccarichi di particolari ritenuti pittoreschi, che spesso non avevano altra funzione che quella di abbellire una composizione che doveva essere principalmente piacevole all’occhio. (61)

in alto a destra: Vedute di Roma Antica, G. Panini, 1757. Fonte: www.tuttartpitturasculturapoesiamusica.com in basso a destra: Villa Medici a Roma, N. Antoine-Taunay, 1817 Fonte: www.tuttartpitturasculturapoesiamusica.com


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studi sull’antico


Maurice Boutterin e il Palazzo di Tiberio

Maurice Boutterin nacque nel 1822 a Besancon, Francia, da una famiglia di architetti. Inizialmente si preparò per entrare all’Ecole des Arts et Metiers per poi orientarsi invece verso l’Ecole des Beaux-Arts, dove fu ammesso nel 1903 all’interno dell’atelier di Gabriel Heraund. Nel 1908 partecipò al Grand Prix vincendo il secondo posto con un progetto per una facoltà di medicina e farmacia. L’anno successivo riuscì invece a vincere il primo premio con un progetto per un Museo Coloniale. Trasferitosi in Italia, decise di svolgere il suo lavoro finale di studio su Villa Jovis a Capri. La difficoltà di tale progetto lo costrinse però a prolungare il soggiorno, solitamente di 4 anni, fino al 1914, per poter così terminare la restituzione del palazzo di Tiberio. Come per la maggior parte dei vincitori del premio, il suo lavoro si orientò, dopo la guerra del 1914-1918, verso il Servizio degli edifici civili e palazzi nazionali. Sarà inizialmente architetto ordinario dei Monumenti Storici presso il dipartimento del Doubs, sua regione d’origine, per poi infine diventare membro del Consiglio generale degli edifici civili dal 1921 al 1952. Partecipò anche ai grandi concorsi della sua epoca, come quello per la sistemazione della via trionfale dell’asse Etoile-Defense e quello per l’esposizione univsersale del 1937. Infine, lavorerà anche presso l’Ecole des Beaux-Arts come membro della commissione dei concorsi e come assistente dell’ex maestro Gabriel Heraud. (62) Non si conoscono le ragioni per le quali Boutterin scelse Villa Jovis per la tesi finale del suo studio all’Accademia delle Belle Arti francesi, visto che nessun


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pensionnaire prima di allora l’aveva mai trattata. Forse volle continuare lo studio delle grandi ville antiche (Villa Giulia, Villa Albani, Villa D’Este) che aveva potuto osservare nei vari viaggi nel territorio romano, oppure molto più semplicemente si era lasciato affascinare da quest’isola, che già aveva colpito molti poeti come Axel Munthe e Jacques Fersen. Sicuramente non fu il primo a cimentarsi nello studio della villa, tanto che il suo lavoro fu fortemente influenzato dalle pubblicazioni di carattere più archeologico di Alvino-Quaranta, Giuseppe Feola, Norbert Hadrawae Carl Weichardt.

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Il suo lavoro però va oltre un semplice approccio scientifico-archeologico, spingendosi piuttosto verso una grandiosa ricostruzione immaginaria, in cui lo scopo principale era la riproduzione di un’immagine nel tempo, di un periodo storico ormai perduto, di cui Boutterin ne voleva rievocare la maestosità e l’imponenza. Il progetto prevedeva pricincipalmente l’adozione di una composizione libera in cui alle più comuni sale della casa romana (tablinium, atrium, triclinium) Boutterin aggiunge stanze meno frequenti, come venereum, sacrarium, hospitium, spheristerium, articolate secondo un gusto per la simmetria attorno a grandi peristili. Inoltre, l’autore introduce una serie di elementi presi in prestito dai grandi temi dell’architettura, scultura e pittura: tra questi ricordiamo poiché i gruppi del Toro del Farnese e del Laocoonte, i Dioscuri del Quirinale, il grande aecus del Palazzo di Domiziano e ancora l’arco di Settimio Severo.

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Il suo merito dunque è quello di aver proposto con questa restituzione, pur arbitraria che sia, una visione globale della villa e della sua proprietà. Partendo da ciò che realmente rimane della villa, Boutterin decise di aggiungere due corpi di edifici a ovest, raggruppati attorno ad un grande peristilio, di cui il più occidentale sembra ergersi proprio dalle fondamenta di quella parte di rovine che oggi vengono riconosciute come lo Specularium. Intorno a questo corpo principale sono state poi inserite una serie di altre strutture isolate: il Tempio di Giove fortemente ispirato al Pantheon (posto su un’altura realmente esistente, probabilmente coincidente con l’attuale faro piccolo) e il Tempio di Venere. La parte più bassa e centrale del progetto è occupata dall’Ippodromo, sull’asse del quale vi trovano posto da un lato la statua di Tiberio Giovane e dall’altra un enorme ninfeo. Dietro a quest’ultimo, nascosti dalla vegetazione trovano la loro collocazione il spheristerium e il teatro. Il tablinium, o sala del trono, è stata oggetto di uno studio approfondito da parte di Boutterin: posta direttamente sopra le grandi cisterne, si tratta di una stanza sontuosamente decorata con grandi candelabri di marmo, pavimento in opus sectile e una grande volta a botte con cassettoni dai motivi fantasiosi. Ciò che sicuramente traspare dalle tavole ufficialmente consegnate è che il lavoro di Boutterin si divide tra due concezioni opposte della villa, da una parte una visione più inquieta e suggestiva, che si è lasciata influenzare dai racconti e dalle leggende sul vecchio imperatore Tiberio, dall’altra invece una visione più vicina al clichè del mare Mediterraneo, caratterizzato da sole, cielo turchese e una vegetazione fiorente. nelle pagine precedenti: l palazzo di Tiberio a Capri. Sezione sugli assi del grande tablinium, dell’atrium e della grande scala d’accesso. Sul retro, schizzo del prospetto principale conservato – Inchiostro di china, matita e tempera bianca su carta bistro. 81x170. Env. 105-05 in alto a destra: Facciata lato sud del palazzo di Tiberio a Capri vicino a Napoli. Stato attuale, prospetto, scala 0,005 p.m – Inchiostro e carboncino su carta granulosa. 92x184. Env. 105-02 in basso a destra: Prospettiva restituita del palazzo di Tiberio. Matita, inchiostro acquerello e carboncino, lumeggiature a pastello. 111,5x212. Roma 1914 M. Boutterin. Env. 105-06 nella pagina successiva, dall’alto: Veduta generale delle rovine del palazzo di Tiberio a Capri. Inchiostro acquerello, lumeggiatura di pastello e tempera. 60,5x100. Roma 1914 M. Boutterin. Env. 105-01 Stato restituito, pianta.Tempera, acquerello, carboncino e pastello. 232x340. Env. 105-03


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studi sull’antico



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Lo schema compositivo della villa

Come affermato in precedenza, l’impianto proposto da Maurice Boutterin per il Palazzo di Tiberio prevede la struttura originaria della villa e da una serie di padiglioni disrtribuiti nei terrazzamenti del giardino circostante. Tuttavia, durante i suoi studi nell’isola di Capri, il pensionnaire non si limitò a una semplice ricostruzione visionaria, bensì, adottò una tecnica di composizione spaziale basata su un complesso ed articolato sistema di assi e centri notevoli. Secondo il Tractatus Logico Sintattico, principio compositivo applicato a Villa Adriana, un punto notevole è il «centro di un’architettura a pianta centrale» (63), mentre un asse è «una retta passante almeno per tre punti notevoli». (64) Questa logica compositiva si è rivelata essere assai sofisticata all’interno della villa, dove l’elemento ottico prevale su altri metodi organizzativi. Osservando il disegno del pensionnaire, l’impostazione apparentemente casuale dei padiglioni e dei giardini terrazzati si è mostrata in realtà un impianto organizzativo basato su assi ottici e punti notevoli collocati nei centri terminali architettonici, come quelli dei padiglioni, dei giardini terrazzati, e dell’abside della sala rappresentativa della villa. Questa analisi, sebbene con differenti caratteristiche, prende come riferimento il sistema polare radiale che è stato studiato a Villa Adriana. Entrambe le ville, con le loro diversità, non hanno una composizione pluriassiale paratattica, ma risultano avere una composizione polare, definibile come policentrica radiale e ipotattica. Dunque, non si tratta di un sistema di “insiemi” architettonici autonomi e caratterizzati solo da una loro coerenza interna, ma di un sistema compositivo unitario basato sulla disposizione di alcune polarità generative da cui dipendono in un rapporto gerarchico, il posizionamento, l’orientamento e, talvolta, anche la composizione spaziale delle parti architettoniche.

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Osservando la ricostruzione in pianta di Boutterin è stato possibile individuare due direttrici principali, ortogonali tra loro: una attraversa longitudinalmente l’Ippodromo e l’altra, perpendicolare a essa, ha origine nella sala di rappresentanza della villa. Inoltre, considerando come punti notevoli di partenza quelli della sala absidata della villa, del Tempio di Giove (collocato nei pressi del faro piccolo) e di un padiglione posto all’estremo sud del promontorio (anch’esso posizionato nella direttrice dell’Ippodromo), sono stati tracciati degli assi che, congiungendo i diversi punti notevoli rilevati nel ridisegno, permettono di collegare idealmente i principali complessi architettonici. Le direttrici di collegamento descritte risultano essere a sua volta anche assi di simmetria di alltrettante rette ad essi simmetrici: il tutto genera quindi un a sistema polare radiale. Tale sistema 97


di raggi si caratterizza per la particolare distribuzione a ventaglio, che trova il suo culmine nell’asse di riferimento dell’Ippodromo. Esso costituisce la traccia ordinatrice dell’intero progetto: le intersezioni dei raggi su di esso regolano la collocazione spaziale degli elementi progettuali così come il loro orientamento. Successivamente, analizzando attentamente lo schema generato, si è notata la presenza di ulteriori regole compositive, riconducibili alla tecnica della trilaterazione euclidea. Quest’ultima è basata sulla determinazione di tre valori fondamentali sulla base del quale si può costruire uno e uno

Stato restituito, elevazione – Tempera, acquerello, carboncino e pastello su tratti d’inchiostro. 170x455. Env. 105-04


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studi sull’antico

solo triangolo, figura geometrica rigida e indeformabile. La trilaterazione, generalmente applicata alla gestione di grandi superfici di un contesto topografico, «consiste nel collegare idealmente una serie di punti nel terreno formando una rete di triangoli adiacenti». (65) Applicando questo principio all’impianto di Boutterin si può evincere ancora una volta come il posizionamento dei vari padiglioni non risulti essere affatto casuale: i punti notevoli e le direttrici passanti per essi riescono infatti a definire una sistema concatenato perfettamente studiato di triangoli rettangoli.

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Ridisegno dell’impianto proposto da Maurice Boutterin per il Palazzo di Tiberio con studio compositivo del sistema polare radiale.

Legenda punto notevole direttrici principali assi simmetrici assi ortogonali

20°

20°

6° 12°


10° 5 5° 10° 22°

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3° 6° 12°

33° 22°

33°

101 studi sull’antico



parte III



strategie d’intervento

strategie d’intervento

Il progetto di tesi si sviluppa nel sito archeologico di Villa Jovis. Esso è definito da due layer fondamentali, diversi a livello funzionale ma strettamente connessi tra loro: il complesso archeologico visibile, composto dalle rovine dell’antico palazzo romano, dello specularium e del faro; ed il forte impianto paesaggistico, caratterizzato dall’ ampia area boschiva che si sviluppa lungo le pendici settentrionali ed occidentali del Monte Tiberio. Ad essi si aggiunge un terzo livello, altrettanto importante e complesso, rappresentato dall’ampio sistema di ingressi, percorsi e connessioni che, che unificano tutto l’organismo di Villa Jovis.

Lo stato di fatto e le criticità del sito

Capri. Architettura e paesaggio archelogico

Villa Jovis è un complesso archeologico molto ampio e di particolare bellezza che si estende sulle pendici del Monte Tiberio. Dato il buon stato di conservazione delle rovine e la suggestiva collocazione geografica a picco sul mare, la villa è stata fin da sempre oggetto di studio e grande ammirazione da parte di artisti e studiosi di tutto il mondo. Il visitatore, dopo aver percorso quasi due chilometri dal centro di Capri, si trova improvvisamente immerso in un’atmosfera magica, surreale, dove domina la natura verde e l’azzurro del mare. Il percorso di visita permette di esplorare una buona parte delle rovine, soprattutto nella struttura architettonica delle sostruzioni e nella geometria regolare, ma non esiste un itinerario chiaro e fornito di spiegazioni. Nel corso degli anni il sito archeologico ha subito notevoli trasformazioni. La costruzione di nuovi terrazzamenti per vigneti, oggi parzialmente coltivati o abbandonati, ha fatto perdere completamente le tracce dell’originario giardino terrazzato annesso al palazzo; così come il susseguirsi di numerosi saccheggi e crolli, che impediscono ancora tutt’oggi di comprendere appieno l’imponenza che tale palazzo possedeva durante l’epoca imperiale. (66) Inoltre, la via di accesso all’area, in costante salita e priva di indicazioni, non corrisponde all’odierno ingresso al palazzo, il quale va piuttosto ricercata nel pendio orientale. Clemens Krause ipotizza infatti che la salita originaria dovesse raggiungere la zona dello specularium, per poi immettersi nella 105


Vista di Villa Jovis da via A. Maiuri oggi. Foto originale, settembre 2020.

Gustave Adolphe Gerhardt. Envois de Rome de 4ème année. Architecture. 1868. Esempio dell’ Envoi dedicato allo studio archeologico e ricostruttivo del Tempio del Sole

Paris, École Nationale Supérieure des Beaux Ar Env.59-04; Réunion des Musées Nationaux, 14-508094, 14-508095, 14-508097.


rts,

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e.

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rampa di accesso al vestibolo dell’edificio residenziale, seguendo l’odierno viale dei Mirti. (67) Le uniche costruzioni moderne attualmente presenti sono la Chiesetta di S. Maria del Soccorso che si sostituì alla medievale cappella di S. Leonardo, e la “Casa di Carmelina“, l’abitazione dell’ultima contadina del posto, ora trasformata in una piccola biglietteria. Villa Jovis si presenta quindi come un contesto molto suggestivo e sicuramente unico per la sua posizione strategica e l’insieme delle visuali offerte, oltre a rappresentare un importante campo di studio per la conoscenza dell’architettura classica in Campania e per l’evoluzione dell’arte del costruire presso i romani. Al giorno d’oggi, essa garantisce la possibilità di relazionarsi con un’archeologia molto suggestiva, ma che fa ancora fatica ad offrire ai suoi visitatori l’occasione di rivivere la storia della Villa e del suo Imperatore. Come affermato in precedenza, numerose risultano essere le criticità presenti nel luogo, per lo più relative all’incuria e al degrado del tempo, all’impossibilità di conoscenza e visita di una parte notevole delle rovine e alla segnaletica del tutto assente o danneggiata. Risulta evidente la necessità di un intervento, il quale innanzitutto deve tenere conto degli aspetti relativi al miglioramento dell’accessibilità all’area, ma soprattutto deve mirare ad un’azione di recupero diretto del bene che permetta di rievocare la grandezza e la poeticità che tale architettura aveva nel passato. Tale iniziativa dovrà chiaramente tener conto di un processo strategico produttivo che vada a sostenere ed incrementare anche i servizi direttamente legati all’utilizzo del bene, e conseguentemente ai flussi turistici da essi generati.

a destra: vista della percorso d’ingresso, via A. Maiuri, al sito archeologico di Villa Jovis oggi. Foto originale, settembre 2020 nelle pagine successive: Le rovine dello specularium oggi. Foto originale, settembre 2020 Lo stato di conservazione delle rovine nel versante sud di Villa Jovis oggi. Foto originale, settembre 2020 Lo stato di conservazione rovine di Villa Jovis nel quaritere servile, oggi. Foto originale, settembre 2020


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Il tema della valorizzazione La valorizzazione di un sito archeologico è strettamente connessa ad un processo di conservazione, con il quale si intende «una sequenza di operazioni finalizzate alla conservazione, alla salvaguardia e alla tutela di un manufatto, più o meno antico, di particolare interesse o pregio storico e artistico, bisognoso di cure per una sua durata e fruibilità, per renderlo di nuovo disponibile anche se con funzione diversa da quella per cui era stato realizzato». (68) I siti archeologici, se opportunamente organizzati, sono infatti in grado di promuovere e valorizzare il loro contesto, anche in aree in ritardo di sviluppo, migliorandone la capacità di attrarre visitatori e creando così un volano economico di cui anche la popolazione residente può beneficiare. In questo processo, un ruolo fondamentale viene assunto dal livello conoscitivo di un bene culturale e ambientale, il quale risulta essere un’operazione preliminare alla formulazione di qualunque azione di intervento, che necessita di un apporto pluridisciplinare, da quello storico a quello archeologico, da quello tecnologico a quello geografico ed economico. Gli artefatti del passato non devono infatti essere considerati come oggetti di culto ma come promotori di nuovi artifici e di nuove attività come la conservazione, la tutela, il riuso, il restauro e la fruizione. La valorizzazione, pertanto, va intesa come consumo, fruizione dell’opera d’arte da parte di un’utenza turistica, quindi di massa, scientifica o didattica. (69) Oggi chi frequenta un museo non lo fa soltanto per ammirare le opere d’arte, ma coglie l’occasione anche per mangiare, fare acquisti, partecipare ad eventi, relazionarsi con gli altri, azioni, fino a qualche anno fa, considerate in netta antitesi a quelle museali. Per tale motivo molte città puntano oggi sulla costruzione di nuovi spazi culturali per rilanciare e promuovere il turismo, con l’intento di «valorizzare l’opera d’arte che si va a tutelare attraverso l’opera d’arte che si va a costruire». (70) La musealizzazione degli scavi archeologici presenta però notevoli complessità: le opere d’arte in questo caso non possono essere spostate, ri-collocate e ri-adattate al museo, al contrario è il museo che deve collocarsi e adattarsi ad esse. Per tale motivo, uno dei possibili approcci che vengono generalmente adottati riguarda l’integrazione del sito archeologico all’interno di un percorso museale più articolato e multifunzionale, che include spazi di relazione e di filtro, servizi, attraversamenti interni ed esterni, che devono essere in grado di entrare in relazione e dialogare, sia con il sito archeologico, che con il contesto circostante. Per tale motivo,molto spesso l’obiettivo principale di questi interventi di valorizzazione è quello di realizzare un vero e proprio progetto di allestimento museografico, dove con allestimento si intende un’architettura che dialoga con le rovine per costruire conoscenza, memoria e identità, senza però


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compromettere le qualità ambientali di siti ove la stratificazione storica si manifesta nel senso di presenza enigmatica. Un progetto che deve sicuramente tenere conto di aspetti fondamentali quali la protezione e la conservazione dei reperti, i servizi ai visitatori (centri di accoglienza, di esposizione, di ristoro) e un’efficiente accessibilità e sistema di percorsi all’area musealizzata. Il tutto garantendo anche effettiva reversibilità di materiali e tecniche costruttive, con linguaggi chiaramente differenziati da quelli dei manufatti originali.

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Obiettivi progettuali Le tematiche di fondo che guidano il progetto nella sua totalità risultano essere molteplici e direttamente relazionate con le polarità dell’area precedentemente citate: le rovine, il paesaggio e i percorsi di connessione. L’intervento di musealizzazione del sito di Villa Jovis nasce quindi con l’intento di valorizzare le preesistenze e risolvere le problematiche inerenti al sito. Ad esse si aggiunge un’ulteriore criticità relativa alla presenza di un apparato museale di per se’ particolarmente limitato. La villa ha infatti subito nel corso degli anni una profonda depredazione: tutt’oggi non esistono musei che contengano opere d’arte o reperti archeologici e strutturali appartenenti ad essa (che sono andati a comporre altre architetture già a partire dal Medioevo). Conseguentemente, risulta evidente e necessaria la progettazione di un complesso architettonico polifunzionale che non si limiti alla sola esposizione museale, ma che possa aumentare il grado di attrazione e permanenza all’area da parte del pubblico fruitore. Ciò si traduce nella progettazione di una serie di edifici, con funzione specifica e ben distinta, opportunamente rapportati tra di loro da un rigido sistema di percorsi e connessioni. Questi, a sua volta, andranno a realizionarsi con le rovine e con una attenta accurata gestione paesaggistica e museografica del parco naturale circostante. Il primo edificio che si ipotizza di realizzare all’interno del nuovo parco archeologico svolge la funzione di portale d’ingresso. In linea con la volontà generale di rievocare la maestosità e grandezza dell’architettura romana imperiale, il portale nasce con l’intento di simulare l’imponente ingresso monumentale dei complessi architettonici imperiali. Tale edificio viene destinato a centro di ricezione turistica, nonchè elemento di sosta dopo il lungo percorso di accesso alla villa. Le funzioni in esso ospitate sono quindi relative ai servizi di supporto e gestione dell’area, quali biglietteria, reception, gift shop e punto di ristoro. 113


Il turismo marittimo di massa, la scarsa conoscenza e difficoltà di accesso al sito risultano essere fattori decisivi nella riduzione dell’attrattività dell’area archeologica (71). Per risolvere tale criticità si ipotizza l’inserimento all’interno dell’area di un resort di lusso, il quale andrà a comporsi di nove suite indipendenti, disposte nel pendio settentrionale del Monte Tiberio, in perfetto stile tradizionale caprese. Anche in questo caso, l’architettura svolge la duplice funzione di servizio al visitatore e rievocazione storica. In questo modo spazio museale e residenziale si fondono tra di loro diventando un tutt’uno, mostrandosi secondo una nuova concezione di albergo - museo che si svincola completamente dalla configurazione canonica e tradizionale: tutto lo spazio diventa museo in una riproduzione immaginaria e sensoriale dell’architettura del luogo, da Tiberio fino ai giorni nostri. L’esperienza conoscitiva dell’area non può prescindere dalla visita delle rovine del complesso archeologico, dove viene prevista la realizzazione di uno nuovo spazio adibito a museo antiquariuum. In questo caso, si propone di concentrare l’intervento sulla zona dello specularium, la quale risulta essere tutt’oggi l’unica parte del complesso archeologico ancora del tutto inaccessibile, caratterizzata per lo più da un elevato stato di incuria ed abbandono. Il metodo utilizzato per la musealizzazione di tale ambiente prevede la realizzazione di un allestimento scenografico che, tramite la ricostruzione parziale del perimetro originario, crea un fondale architettonico adatto all’esposizione di reperti archeologici. Infine, per quanto riguarda il tema del verde, è importante sottolineare l’entità e l’importanza della componente vegetale che l’area archeologica presenta. Il rapporto con la natura risulta essere un aspetto estremamente importante sia per la villa, da cui ne vengono dedotte regole compositive e costruttive, sia per l’architettura tipica dell’isola. Tale relazione tiene conto della fitta vegetazione, dei ripidi pendii e dislivelli naturali presenti e del costante rapporto visivo con il mare. Questi aspetti permettono di definire con precisione la metodologia di approccio al progetto di risistemazione paesaggistica, il quale dovrà necessariamente seguire un preciso linguaggio formale che tiene conto di una logica d’intervento per lo più conservativa ed atmosferica.

a destra:scalinata esterna di accesso al quartiere servile Foto originale, settembre 2020.


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il progetto di valorizzazione

il progetto di valorizzazione

Progettare con l’antico e per l’antico significa coniugare memoria e sviluppo, attraverso un progetto di sintesi. Un concetto emblematico, frutto di un progetto volto alla valorizzazione di un sito dal fascino indiscusso. Un luogo, in cui rovina, architettura e natura si fondono per diventare un tutt’uno. Una ricerca di forme, materiali e composizioni compatibili non solo con lo stato attuale ma anche con quanto Capri e la sua isola hanno fin da sempre rappresentato.

La composizione polare

Capri. Architettura e paesaggio archelogico

La definizione spaziale del progetto di valorizzazione del sito di Villa Jovis segue la logica compositiva del progetto per il Palazzo di Tiberio proposto da Maurice Boutterin in occasione del Grand Prix de Rome. Come affermato in precedenza, esso è caratterizzato dalla presenza di uno schema compositivo polare radiale, a ventaglio, all’interno del quale vengono individuati due assi principali: uno che attraversa longitudinalmente l’ippodromo e l’altro, perpendicolare ad esso, passante per l’abside della villa. Lo studio di questa composizione è risultato fondamentale per poter individuare nell’area archeologica il corretto posizionamento dei nuovi poli architettonici. Il primo passaggio effettuato è stato quello di sovrapporre la composizione di Boutterin allo stato di fatto attuale, tenendo conto sia della composizione interna della villa che della presenza dei padiglioni del faro piccolo e dello specularium, del tutto assenti nel disegno del pensionnair. Analizzando le loro direttrici e punti notevoli, si è notato come anch’essi potessero formare un nuovo sistema di trilaterazione, composto da triangoli rettangoli, rigidi ed indeformabili, simile a quello proposto da Boutterin. Una volta definiti questi come nuovi punti notevoli, è stato possibile generare il sistema compositivo finale, caraterizzato da: un nuovo asse orizzontale, in direzione nord - sud, parallelo all’asse dell’ippodromo, e passante per il centro dello specularium, ed un asse verticale ad esso ortogonale, in direzione estovest, passante per il faro piccolo. Date le nuove direttrici, e seguendo ancora la logica della trilaterazione, siamo passate al posizionamento definitivo 117



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dei nuovi poli di intervento: la porta al parco come esatta intersezione tra l’asse verticale ed orizzontale, nonchè perno di una serie di triangoli rettangoli i cui vertici coincidono con i punti notevoli del sistema generale; l’acquedotto e i percorsi di collegamento principali come prosecuzione e definizione dei due assi ortogonali; l’antiquariuum all’interno dello specularium, centro notevole già esistente; il varco d’ingresso in posizione perfettamente speculare a quest’ultimo; ed infine le suite, la cui posizione è stata generata dal proseguimento delle direttrici precedentemente definite.

Il parco naturale di Villa Jovis

La vegetazione e la componente paesaggistica rappresentano una delle caratteristiche fondanti e distintive dell’isola di Capri. Ciò più che mai avviene nell’altopiano del Monte Tiberio, caratterizzato dalla presenza del Parco Astarita e della grande area boschiva intorno a Villa Jovis, nostra area di progetto. Partendo dalla volontà di realizzare un intervento architettonico non eccessivamente estraneo ed invasivo ma coerentemente relazionato al contesto, si è deciso di agire a livello paesaggistico tramite piccoli interventi di risistemazione. Seguendo anche in questo caso una logica d’azione per lo più conservativa e atmosferica, si è deciso di adottare due diverse modalità d’intervento in base all’occasione progettuale e al rapporto più o meno stretto con l’architettura presente. Il progetto paesaggistico prevede quindi la creazione di un verde geometrico, studiato e più “artificiale” in corrispondenza degli assi di progetto principali, e quindi in linea con le nuove architetture inserite; mentre nella restante parte e in prossimità di rovine e suite un trattamento più naturale che tende a mantenere la conformazione attuale della ricca vegetazione. Nel primo caso la progettazione del verde è risultata fondamentale per enfatizzare e definire ulteriormente i percorsi di collegamento tra i nuovi edifici progettati, fino a diventarne parte integrante. Caratteristica ricorrente è la creazione di uno spazio di risulta, generalmente trattato con ghiaia battuta, tra l’edificio e l’ambiente boschivo circostante, in modo da garantire il giusto respiro alle architetture senza però eccedere. Mentre per quanto riguarda i viali di connessioni, le soluzione adottate sono state varie. In corrispondenza dell’asse orizzontale, in direzione sud, è possibile trovare il sentiero di ingresso al portale, definito da un colonnato moderno con pergolato. Dato lo sviluppo prevalentemente pianeggiante del terreno, si è qui deciso di realizzare un viale alberato di cipressi, con un passo scandito dal ritmo del pergolato antistante. Proseguendo oltre l’edificio portale, in direzione nord, paesaggio e architettura si fondono in unico elemento verde: l’acquedotto in cortain ricoperto di edera e rampicanti.


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In direzione est-ovest si sviluppa invece l’asse verticale, ortogonale al precedente. Esso è caratterizzato da una pendenza costante che partendo dalle rovine del faro piccolo, interseca l’edificio portale, fino a terminare in una piccola rotonda di nuova progettazione. Data la necessità di superamento del dislivello, si è deciso di realizzare una lunga scalinata intagliata nel terreno, che segue dolcemente il pendio naturale della montagna. Per favorire una maggiore integrazione tra architettura e natura si è deciso di trattare il suo perimetro esterno attraverso delle piccole gradonate artificiali ricoperte da bassa vegetazione.

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La seconda modalità di trattamento della vegetazione presenta invece un approccio molto più naturale e spontaneo. Essa consiste per lo più nell’aggiunta di piccoli sentieri naturali realizzati all’interno dell’area boschiva preesistente, la quale viene prevalentemente mantenuta nelle condizioni attuali. I nuovi percorsi progettati permettono sia di esplorare il parco che di collegare vari punti notevoli all’interno di esso, tra cui in particolare le suite di lusso nel versante settentrionale. In questo caso l’unica azione eseguita è stata quella di liberare il terreno dello spazio necessario per poter realizzare un vero e proprio percorso praticabile.

nelle pagine precedenti: planimetria stato di fatto, planimetria stato di progetto con definizione degli poli e degli assi principali, Scala 1:500 nelle pagine successive: pianta delle coperture e sezioni territoriali dei nuovi edifici progettati, con definizione del parco archeologico e delle connessioni principali. Scala 1:200 123



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La porta al parco

Quasi al termine del lungo percorso che unisce il centro di Capri al sito archeologico, è possibile trovare un varco d’ingresso che, interrompendo il tradizionale andamento di via Amedeo Maiuri, permette di accedere al nuovo parco archeologico di Villa Jovis. Dopo un breve sentiero in discesa segnato da pergolati e alberature è possibile trovare l’edificio portale, il nuovo centro di ricezione turistica. Questa posizione, in una zona più o meno pianeggiante ad ovest della villa, è stata scelta a seguito di una duplice esigenza. Da una parte la necessità di garantire l’accoglienza necessaria ai visitatori, creando un luogo di sosta e ristoro dopo il lungo percorso di accesso alla villa; dall’altra il risultato degli studi effettuati sulla composizione polare del complesso che permettono di individuare in tale zona una dei punti notevoli dell’intervento, risultato dell’intersezione delle direttrici principali del faro piccolo e dello specularium. La porta al parco non deve però essere concepita come un corpo a se stante e indipendente dal resto del complesso: è un elemento simbolico, un segno, una prima traccia di quello che poi rappresenterà un grande percorso attraverso la storia, l’architettura e la natura della villa. Per tale motivo, il portale costituisce uno dei tanti fulcri centrali all’interno di un ampio e complesso sistema di poli, assi e direttrici. La composizione architettonica dell’edificio portale è stata dedotta da quella della villa, la quale si caratterizza per la presenza di un impianto geometrico per lo più regolare sviluppato intorno al vuoto centrale delle cisterne. Seguendo questo principio e individuando gli allineamenti con le architetture circostanti, è stato possibile, tramite una serie di scavi ed estrusioni, ottenere la forma geometrica che attualmente presenta: uno schema a pianta rettangolare che vede il suo fulcro nella corte centrale. Il riferimento progettuale del portale d’ingresso dei grandi complessi imperiali è risultata infatti significativa non solo a livello simbolico, ma anche anche a livello formale. L’edificio stesso infatti si ispira volumetricamente alla struttura tradizionale degli antichi propilei, se pur con una reinterpretazione del tutto moderna. Anche per quanto riguarda l’alzato è stato fondamentale lo studio del rapporto con il contesto. La necessità di superare determinati dislivelli dati dal pendio naturale e la volontà di non sovrastare visivamente le rovine circostanti hanno portato a definire l’altezza complessiva dell’edificato, il quale si compone di due piani praticabili nelle ali laterali, e di un corpo centrale a tripla altezza. Al piano terra, dopo aver varcato il suggestivo portico maiolicato, è possibile incontrario un primo ambiente diviso in tre ale. Nell’ala centrale è possibile visitare la prima parte del museo, destinata prevalentemente alla narrazione


il progetto di valorizzazione Capri. Architettura e paesaggio archelogico

storica e costruttiva della villa attraverso i secoli, mentre le ali laterali ospitano un piccolo info point e gift shop. Superato questo ambiente si accede ad un deambulatorio quadrato, scandito dal ritmarsi di volte e nicchie all’interno delle quali viene collocata la seconda parte dell’esposizione: statue, quadri e ricostruzioni sempre inerenti alla villa e alla vita dell’imperatore Tiberio. Esso a sua volta, permette di definire uno spazio vuoto centrale che si sviluppa per l’intera altezza dell’edificio: la corte a pianta quadrata, elemento tipologico ripreso dall’architettura vernacolare locale. Caratteristica distintiva di questo ambiente risulta essere il trattamento materico dei pavimenti e delle pareti verticali. L’intero spazio è infatti interamente rivestito di maioliche mediterranee, con un’impostazione più geometrica e regolare in pianta, e più irregolare e frammentata in alzato. In quest’ultimo caso alcune tessere diventano delle vere e proprie aperture, che tramite dei particolari giochi di luce, permettono di illuminare in modo parziale ma suggestivo l’ambiente intero. Questo tipo di trattamento viene riproposto anche nei prospetti esterni, i quali seguono ancora lo stile caratteristico dell’architettura locale. Essi si presentano per lo più come dei corpi geometrici e fortemente scatolari, scavati parzialmente da piccole ed irregolari aperture. Tale rigidità viene ulteriormente enfatizzata dall’utilizzo dell’intonaco bianco come materiale di rivestimento, in alcuni casi interrotto da superfici maiolicate dal profilo geometrico e segmentato. Dal piano terra è poi possibile proseguire in direzione occidentale verso il sentiero di accesso alle suite di lusso, oppure accedere al piano superiore e agli altri percorsi di connessione.

nelle pagine successive: piante, sezioni e vista prospettica dell’edificio con funzione di portale d’ingresso. Scala 1:100 131



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Il primo piano, il quale ospita nella parte sud due piccoli ambienti destinati a chiosco e punto di ristoro, permette di superare un primo dislivello e di accedere alla scalinata del faro piccolo. Tale collegamento viene effettuato attraverso l’inserimento di un breve ponte di raccordo, modellato dagli elementi tipici dell’architettura vernacolare caprese: il trattamento ad arco rampante, il quale permette di superare altezze diverse senza andare a modificare l’orografia naturale del terreno, e la copertura con pergolato colonnato, presene anche nei prospetti dell’edificio stesso. In corrispondenza dell’ala nord, l’edificio risulta essere praticabile anche in copertura, un collegamento verticale necessario per garantire l’accesso diretto allo specularium. Questa connessione viene realizzata tramite una moderna reinterpretazione dell’acquedotto romano, generalmente realizzato per risolvere problemi di irrigazione, per coprire vuoti e connettere dislivelli. L’acquedotto si inserisce nel contesto naturale circostante con un ottica non invasiva e del tutto reversibile. Esso viene infatti modellato seguendo l’andamento naturale del terreno. Inoltre, per enfatizzare ulteriormento il processo di mimetizzazione, esso presenta una struttura leggera in acciaio cortain facilmente smontabile, rivestita con rampicanti verdi di edera. Questi proseguono fino in copertura che, anche in questa caso, viene trattata tramite un pergolato colonnato.

Il museo antiquariuum

L’esperienza di scoperta progressiva dell’area prosegue con un intervento diretto sulle rovine. Anche in questo caso la scelta di intervenire nello specularium è stata frutto di una duplice esigenza. Villa Jovis, come affermato in precedenza, si compone di un sistema particolarmente complesso che può essere riassunto in uno schema polare radiale con centri principali sull’abside della villa, sul faro piccolo e sullo specularium. Dei tre elementi, quest’ultimo risulta essere quello maggiormente abbandonato, in stato di elevata incuria e degrado, oltre ad essere attualmente inaccessibile. Conseguentemente è risultata evidente la necessità di agire direttamente in questa area tramite un intervento di musealizzazione. Obiettivo che, a sua volta, si ricollega all’idea generale di progetto di riprodurre la bellezza storica dell’edificio originario ed, in particolare, alla volontà di proporre una nuova scrittura che si aggiunge al palinsesto storico delle rovine: un percorso attraverso di esse che consentirebbe così di rivivere a pieno l’archeologia di questo spazio e, allo stesso tempo, di conservarlo e tutelarlo. Analizzando accuratamente l’impianto compositivo dell’antico ed imponente faro, è stato possibile ipotizzare che la struttura architettonica originaria


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seguisse una disposizione a quadrati concentrici, modulati secondo la dimensione del muro di base di 2 metri. Data questa impostazione, si è deciso di agire tramite un procedimento di anastilosi immaginaria di parte delle rovine presenti, al fine di rigenerare lo spazio e di restituirgli una funzione integrata con il resto dell’intervento.

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Partendo dai resti delle murature esistenti, si è cercato di riprodurre le tracce e le dimensioni di quella che doveva essere la struttura esistente. Al fine di non realizzare un’architettura che potesse soffocare ed oscurare completamente le rovine retrostanti, si è deciso di adottare un approccio che differenziasse, in merito alla più o meno forte presenza architettonica e al trattamento materico, i vari vari layer concentrici generati. Il layer più esterno svolge la funzione di definizione spaziale del perimetro di intervento. Data la diretta relazione e prossimità con il parco naturale circostante, si è deciso di trattarlo come un vero e proprio elemento verde: una siepe di alloro modellata secondo un’estrusione volumetrica del perimetro geometrico definito. Essa, inoltre, ospita una piccola parte dell’esposizione statuaria. Al fine di garantire una possibilità di visita e circolazione interna, il layer successivo viene definito esclusivamente da una pavimentazione naturale in ghiaia battuta. Questo anticipa e definisce a sua volta l’offset ancora più interno, in cui è possibile trovare i primi resti dello specularium. Data la loro ridotta dimensione e la necessità di superare un primo breve dislivello, si è deciso qui di agire tramite la realizzazione di un cordolo di contenimento che va a riprodurre l’ipotetica conformazione della muratura antica. Questo piccolo basamento in pietra levigata viene delimitato internamente da un parapetto in cortain, il quale svolge ancora un compito di definizione e delimitazione per il perimetro quadrato più interno. Il parapetto, inoltre, si allinea con il limite esterno dell’acquedotto di collegamento con l’edificio portale. Anticipato da un ulteriore livello di ghiaia battuta, si imposta infine l’elemento architettonico vero e proprio, in diretta prossimità delle rovine. La tipologia scelta è ancora quella del colonnato regolare, funzionalmente ma non formalmente diverso dai vari pergolati presenti all’interno del progetto. Qui il trattamento a verde è assente, per andare piuttosto a preferire una struttura leggera di travi e pilastri in cortain, il cui passo è stato scandito dal modulo di base delle murature. Tale struttura ha una triplice funzione: in primo luogo tenta di riprodurre in alzato uno dei possibili ambienti, probabilmente il più interno, relativi alla struttura architettonica originaria; inoltre ha il compito di segnare e rimarcare il percorso di visita delle rovine, grazie anche al diverso trattamento materico che il percorso a terra presenta (passerella in listelli di legno); ed infine funge da contenitore per le rovine, che diventano in questo caso l’elemento contenuto esposto. Per quanto 139



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riguarda invece l’area quadrata più interna, si verifica qui un completo cambio di paradigma: le rovine non sono più contenuto, ma contenitore, fungendo così da sfondo entro cui esporre le opere, le quali diventano a sua volta le vere e proprie protagoniste. Tale ambiente, ancora segnato da un cambio di pavimentazione, qui in lastre di pietra alternate, è quindi lo spazio ufficialmente dedicato all’esposizione antiquariuum. La collezione esposta prevederà riproduzioni di opere e reperti archeologici appartenenti a Villa Jovis e ad altre architetture/dimore realizzate dall’Imperatore nell’isola di Capri, reperti che risultano essere in parte dispersi e in parte conservati nel Museo Archeologico di Napoli. Tra di questi ricordiamo: il busto di Livia, madre di Tiberio; l’Altare di Cerere; il sarcofago di Crispina; il Peplophoros; il Narciso di Demecuta, il Poseidon della Grotta Azzurra; il bassorilievo marmoreo della Cavalcata, due puteali marmorei a decorazione vegetale e i mosaici pavimentati, così come altre innumerevoli riproduzioni di dettagli architettonici e scultorei dell’antica villa. L’esposizione prosegue poi negli spazi retrostanti dello specularium, una serie di ambienti posti ad un piano superiore che si presentano tutt’ooggi in un miglior stato di conservazione. Corridoi e nicchie diventano anche in questo caso lo sfondo scenografico entro cui collocare altri resti appartenenti alla collezione. Al termine di questi ambienti è possibile poi proseguire il percorso imboccando una suggestiva scalinata immersa nel verde. Questa ha il compito sia di tenere in stretta connessione lo specularium con la villa, garantendo una continuità di visita del sito, sia di recuperare l’antico collegamento tra specularium e ambulatio, l’originario deambulatorio panoramico posto a nord della villa.

nelle pagine precedenti: pianta, sezione ambientale e dettaglio costruttivo del museo antiquarium progettato all’interno delle rovine dello specularium. Scala 1:100 - 1:20


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Le suite

La progettazione del resort nasce dalla volontà di incrementare il grado di attrattività e di permanenza del pubblico fruitore nel sito archeologico. Come affermato in precedenza, l’isola è una delle mete più ambite da parte di turisti di tutto il mondo, un turismo però prevalentemente balneare ed estivo. La scarsa conoscenza storica e la ridotta accessibilità all’area riducono ulteriormente le possibilità di visita della villa. Per far fonte a tale problematica si è deciso quindi di ampliare l’offerta dei servizi presenti tramite l’inserimento di un nuovo impianto residenziale di lusso. Per la progettazione di questa parte del complesso è stato estremamente fondamentale l’analisi dell’orografia del terreno e del parco naturale di Villa Jovis. Partendo dalla volontà di creare un architettura a basso impatto ambientale e visivo, che facilmente si mimetizzasse nel panorama boschivo circostante, si è deciso di non concentrare l’intera architettura in un unico edificio quanto piuttosto di frammentarla in una serie di piccolo unità abitative indipendenti. La scelta di posizionare l’intervento nel versante nord del Monte Tiberio è quindi conseguente alla volontà di isolare maggiormente il resort rispetto al resto del complesso, in modo da garantire un maggior livello di privacy e riservatezza rispetto a coloro che giornalmente visitano la villa. Inoltre. il versante nord, data la notevole pendenza, gode attualmente della migliore vista panoramica, caratteristica che ha permesso inoltre di disporre più liberamente le varie unità senza andare ad oscurare e sovrastare la visuale della villa e del resto del parco archeologico. La lontananza fisica di questa parte di intervento non deve essere però interpretata come un distacco completo rispetto al resto del complesso, con il quale si mantiene comunque uno stretto rapporto di dipendenza, soprattutto grazie alla presenza dei vari percorsi d’accesso immersi nel verde. Essi infatti svolgono sia una funzione di servizio diretto a colore cho vogliono soggiornare nelle suite, sia di collegamento per i vari edifici appartenenti all’intero complesso.

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La difficoltà di realizzare un intervento su un terreno così scosceso è stata risolta analizzando accuratamente la storia architettonica dell’isola, la quale si caratterizza per la presenza di terreni con forti dislivelli e ridotti spazi pianeggianti. Chiara e forte ispirazione è stata in questo caso proprio l’architettura tradizionale contadina, che fin da sempre si è caratterizzata per la presenza di piccole casette modulari, generalmente intonacate di bianco, perfettamente adagiate sui pendii naturali della montagna. La loro particolare forma, dal ridotto ingombro in pianta e con un prevalente sviluppo in altezza, è da ricercarsi nello stretto rapporto con il contesto roccioso e irregolare in cui vanno ad inserirsi. 145


Riprendendo la forma e la tipologia di questi elementi a torre con scala rampante, ed ispirandosi ancora alla modularità fortemente geometrica indotta dalla villa, è stato possibile definire il modulo abitativo di base, da cui poi generare le altre varianti. Esso è costituito da un piccolo edificio a pianta quadrata con lato di 8 metri, che si sviluppa per 2 o 3 piani fuori terra ed un piano interrato scavato nella montagna. Il numero di piani complessivi e la presenza o meno di doppie altezze interne varia da abitazione ad abitazione. Nonostante questa variabile, ciascuna suite offre una o più camere da letto, un salotto privato, uno spazio termale nel piano interrato e una terrazza panoramica in copertura con pergolato caprese. Caratteristiche dedotte dall’architetture locali e presenti in ogni unità sono anche il trattamento interno con archi e volte e la tipica scala rampante, qui utilizzata per accedere al secondo piano o alla copertura; così come il trattamento materico in maioliche mediterranee utilizzate sia nei pavimenti che nelle pareti verticali interne ed estene. Anche in questo caso, così come nell’edificio portale, le maioliche vengono applicate all’interno di superfici geometriche dal profilo segmentato ed irregolare, in modo da rompere e contrastare con la rigida volumetria delle pareti bianche intonacate. Per quanto riguarda il punto di ancoraggio con il terreno, è stato deciso di utilizzare un ampio basamento con rivestimento in intonaco grezzo, all’interno del quale va a scavarsi il bagno termale privato. La sua particolare forma inclinata segue il naturale andamento del suolo, in modo da ridurre il più possibile l’impatto sul terreno: è l’architettura che si adatta al contesto, che si piega e modella secondo le leggi scritte della natura. Questa caratteristica formale e architettonica è risultata decisiva anche per il posizionamento delle unità abitative progettate. Cercando di mantenere una distanza reciproca ottimale, le varie suite sono state disposte in modo da seguire l’andamento naturale delle curve di livello del versante nord, con una disposizione a raggiera che parte dalla punta dell’ambulatio fino a ruotare sotto alle rovine dello specularium. Per tale motivo, ciascuna suite presenta

Seguono: piante e sezione principale del modello ipotizzato per le suite. Scala 1:50 Pianta e sezione prospettica del bagno termale. Scala 1:20


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una inclinazione interna diversa, dedotta ancora una volta dal diverso grado di pendenza del terreno. Il loro posizionamento rientra inoltre nello schema compositivo generale, dal quale è stato possibile individuare anche in questa zona una serie di punti notevoli che indicativamente coincidono con l’esatta collocazione delle suite.

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Infine, in modo da garantire la fattibilità economica e funzionale dell’intervento, si ipotizza che l’intero complesso alberghiero possa essere composto da 9 suite di lusso, le quali, a sua volta, andranno a differenziarsi in base al numero di utenti che ciascuna di essa può ospitare, da un minimo di 2 ad un massimo 4 ciascuna, per un massimo di 20-22 posti letto.

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appendice



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La tradizione della maiolica usata per pavimentare gli ambienti interni di residenze private, regge o di palazzi pubblici, è molto antica e sembra risalire addirittura all’epoca dei Romani. Infatti, quello che i Romani chiamavano «opus lastricatum» non aveva solo una funzione pratica negli edifici e nelle case: a livello percettivo, un pavimento può rendere un ambiente più luminoso o scurirlo, renderlo più o meno profondo, apportare un senso di calore o meno, agisce cioè sui sensi.

Storia e origini

I Romani ripresero dai Greci alcune forme di pavimentazione a tasselli, dette «pavimentum tasselatum», formate da piccole tessere quadrate o rettangolari, che formavano disegni semplici fino ad opere grandiose a noi note, appunto, come mosaici. Questo tipo di pavimenti, a loro volta, riprendevano i tappeti dell’area mediorientale che si trovavano nei palazzi dei nobili, ma i Romani sebbene si fossero ispirati a quei motivi decorativi, vollero realizzare qualcosa che fosse più duraturo ed anche lavabile: un vero e proprio pavimento decorato. I Romani appresero ed esportarono ovunque questa tecnica: tutta l’area del Mediterraneo è disseminata di pavimenti musivi. Piccoli mosaici erano posti anche all’ingresso della case romane, come quelli del “Cave Canem”.

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Nel tempo i mosaici divennero sempre più ricchi, fino alle massime espressioni su tasselli dorati come per quelli Ravennati, ottenendo risultati di eccezionale bellezza, come quello della Cappella di Santa Restituta, all’interno del Duomo di Napoli. I luoghi per eccellenza dove questi capolavori prendevano vita furono le Chiese, le Cattedrali, le Abbazie, i palazzi nobiliari. Nel tempo le tecniche mutarono e si passò allora a lastricati in marmo, ai pavimenti cosmateschi diffusi soprattutto nell’area dell’Italia Centrale, i quali spesso rappresentavano il giardino dell’Eden. Fu Alfonso V d’Aragona, primo Re di Napoli, conosciuto anche come “il Magnanimo”, a portare l’arte delle maioliche nell’Italia meridionale. Una volta insediatosi a Napoli, favorì l’ampliamento dei commerci e dei traffici nel Mediterraneo con i Catalani e i Castigliani, con la mira di portare nella 161


capitale partenopea la bellezza dei palazzi di corte di Spagna. (72) Decise allora di convocare il direttore delle ceramiche di Manises, Juan al Murcì, a Valencia, dandogli l’incarico di istituire nel suo regno fabbriche di rajoletes pintadas. L’arte della ceramica è antichissima e a proposito di questo Luigi Mosca traccia tutto un percorso sulla storia della ceramica precisando come quest’arte fosse quasi completamente sparita dai paesi occidentali, e che tornò a rivivere grazie ai Mori conquistatori della Spagna; furono loro a reintrodurre la fabbricazione delle tegole smaltate dette dagli spagnoli azulejos (ossia tegola verniciata); mentre gli arabi chiamavano il colore dello smaltino e del cobalto azul. Sempre L. Mosca sostiene che oltre a quelle di Malaga ci fossero, nel mezzogiorno d’Italia e in Sicilia, anche altre fabbriche di ceramica. Infatti, queste regioni, dal 582 al 900, furono vittime delle continue scorrerie di Mori e Arabi. Alcuni di essi, addirittura, si concentrarono a Palermo nel 831 e ne uscirono solo nel 1090 per la conquista dei Normanni. Attraverso la Sicilia, dunque, l’arte della ceramica entrò anche a Napoli: infatti i musulmani nell’836 strinsero con la Repubblica Napoletana relazioni con fitti scambi commerciali. Ancora il Mosca sottolinea che «la parola rajola», da cui deriva il termine napoletano riggiola, «è una voce antiquata del dialetto arabo-ispano e significa quadrello invetriato: indicava un tipo di pavimentazione eseguita con ladrillos vidriadi ed aveva il nome di Alizar». (73). Vale la pena precisare, però, che l’uso della piastrellatura all’interno degli edifici non è spagnola, bensì di provenienza islamica. I musulmani occuparono la penisola iberica nel 711 e vi rimasero sino al 1212, al momento cioè della Reconquista da parte dei regni Cristiani della Spagna e del Portogallo. Per l’Islam esiste, però, il divieto di rappresentare il sacro e il divino secondo il principio dell’iconoclastia dettata dal monoteismo mussulmano e, se anche talvolta questa prescrizione non venne osservata, è importante sottolineare che la decorazione delle maioliche nel mondo arabo è stata perlopiù decorativa e quasi mai figurativa. Nacque e si affermò quindi un linguaggio ornamentale ispirato alle forme geometriche, ai caratteri dell’alfabeto arabo e alle forme vegetali, dalla cui stilizzazione derivarono i cosiddetti arabeschi. L’uso monumentale della ceramica influenzò poi Bisanzio e, attraverso la Spagna, l’intera Europa dal Rinascimento in poi.


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Le riggiole napolatane e siciliane

La parola riggiola identifica la tipica mattonella in cotto, maiolicata, dell’Italia meridionale. La materia prima da cui era composta la base della piastrella veniva rivestita da smalto stannifero e successivamente decorata a mano con colori minerali. Per gli azzurri e i blu viene comunemente impiegato l’ossido di cobalto, mentre l’ossido di cromo o di rame viene usato per i verdi e l’ossido di ferro per i gialli e i rossi. Sono tipiche della zona di Sorrento e Amalfi e vengono utilizzate con vari impieghi, principalmente come elementi decorativi, per il rivestimento di pavimenti e di pareti o ambienti della casa. La produzione di queste piastrelle impegna molte realtà produttive artigianali o semi-industriali anche nella zona di Vietri sul Mare, Cava de’ Tirreni e Nocera Superiore. Una caratteristica peculiare delle riggiole è il fatto che abbiano un buon coefficiente di resistenza agli urti, questo assicura quindi un’ottima resa dei materiali nel tempo, che possono essere utilizzati anche per gli esterni. Il temine riggiola sembra risalire al 1450, anno in cui Alfonso il Magnanimo, primo re della dinastia Aragonese, importò a Napoli dalla Spagna l’antica arte della ceramica. Il termine catalano rajola, infatti, appare scritto nelle cedole aragonesi per indicare le mattonelle delle fabbriche valenzane di cultura araba, largamente importate in città. In realtà l’etimologia della parola riggiola si presta a diverse interpretazioni; secondo alcuni studiosi deriva dal latino rubeola, che significa rossiccio, in riferimento al tipico colore della terracotta, materiale con cui si costruivano le originarie piastrelle.

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Nella seconda metà del Quattrocento, Castelnuovo divenne una grande fucina in cui lavorarono non solo notevoli scultori, pittori ma anche abili ceramisti. La produzione napoletana in parte supera il tradizionale repertorio ispanomoresco caratterizzato da motivi stilizzati, geometrici, anacronici, dando vita a soggetti umanizzati, a motivi figurativi desunti dalla scultura e medaglistica rinascimentale. Nel corso del XV e XVI secolo le superfici pavimentali delle cappelle private delle chiese napoletane sono tutte ricoperte e impreziosite da brillanti coltri maiolicate che riproducono la sontuosità dei tappeti arabi. Furono infatti gli Arabi, che portano nell’Italia meridionale e, in particolare, in Sicilia la tecnica dell’invetriatura, da loro appresa in Persia, in Siria e in Egitto. Era un metodo che soppianta in Occidente ogni residua tecnica ereditata dal mondo classico, in quanto permetteva di impermeabilizzare i recipienti rendendoli resistenti agli agenti atmosferici. Come è noto, la Sicilia è da sempre stata crocevia di popoli, ma nonostante le diverse dominazioni che ha subito, la ceramica siciliana ha saputo mantenere un suo specifico e distinto carattere. A tale proposito, i dati archeologici acquisiti nelle campagne di scavi condotte da Paolo Orsi nel suolo caltagironese, confermano quanto incidentalmente scrisse il gesuita Giampaolo Chiarandà nella sua storia della 163


città di Piazza Armerina. Lo scrittore, infatti, ammetteva che a Caltagirone l’arte della ceramica fosse stata anteriore alla venuta degli Arabi e che fosse già esercitata da molti vasai. Non è quindi nuova, né infondata, la comune affermazione che i ceramisti arabi, sin dall’827, a seguito della conquista musulmana dell’isola, si siano stabiliti in questo centro ed abbiano dato impulso all’arte ceramica, importando accanto ai metodi tradizionali siciliani i procedimenti tecnici provenienti dall’Oriente. Questa tradizione decorativa è stata utilizzata per secoli, tanto che come afferma Antonino Ragona «Palermo tra il 1700 e il 1800 vanta centri di produzione di mattonelle ed arredi per ville, chiese e palazzi e per la prima volta viene applicata la tecnica importata dal napoletano, cosiddetta del “terzo fuoco” consistente nella colorazione della ceramica in fasi successive alla cottura». (74) Nei secoli successivi, nelle fabbriche palermitane vengono prodotti oggetti destinati all’aristocrazia e al bel mondo della borghesia nascente (vasi, piatti, porcellane finissime e busti in ceramica). Oggi, come allora, la produzione di ceramica è caratterizzata da una manifattura di alta qualità, che contraddistingue vari centri produttivi che si specializzarono alla realizzazione di un determinato genere come: Trapani, Caltagirone e Palermo. A Caltagirone la ceramica non si trova solo nelle abitazioni private, nei negozi tipici, o nei laboratori artigiani: è letteralmente ovunque, anche nel decoro urbano. Il centro storico della cittadina è Patrimonio Unesco, e il suo simbolo è la Scala di Santa Maria del Monte: un capolavoro di arte, architettura e folklore, che concentra in centoquarantadue gradini l’espressione artistica e artigianale locale: ogni alzata è decorata con rivestimenti in maiolica tradizionali, con pattern e colori diversi per ogni scalino, disposti in base alla cronologia del motivo che portano. Si trovano in successione elementi geometrici e floreali di stile arabo, normanno, svevo, aragonese, spagnolo, rinascimentale e si giunge poi alla sommità con il contemporaneo. Nella seconda metà del XIV secolo, con la dominazione spagnola, mutano leggermente gli stili e le tecniche, con l’introduzione di nuovi colori. Nel tardo Cinquecento e nei primi del Seicento, la ceramica siciliana assume lo stile del Rinascimento italiano. (75) Un atro esempio dell’applicazione del modello arabo nell’apparato decorativo delle superfici lo ritroviamo, sempre in Italia, nei piani di calpestio delle cappelle di patronato nobiliare, decorati con suggestivi immagini contenute in singole piastrelle e che complessivamente simulano la trama di ricchi tessuti bizantini o di sfarzosi tappeti persiani. Stemmi gentilizi, simboli araldici, ritratti di profilo sono dipinti nel tozzetto, nella parte centrale, della mattonella. Lo straordinario pavimento della cappella Caracciolo del Sole nella Basilica di San Giovanni a Carbonara, risalente al terzo decennio del XV secolo, risulta l’esempio più antico di tale produzione, esso è opera


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di una manifattura locale ma con forti influenze valenzane. Il repertorio ornamentale è costituito da temi vegetali e zoomorfi di gusto tipicamente ispanico, da motivi araldici, da iscrizioni e profili maschili e femminili di sapore già rinascimentale. La maiolica continuerà a sopravvivere come decorazione soprattutto di ambienti esterni: nelle terrazze, nei chiostri nei giardini, nelle fontane. Per gli elementi con cui è composta, la maiolica ben si presta per i rivestimenti esterni: è resistente alle intemperie ambientali e a contatto con l’acqua i colori smaltati risultano più luminosi e cangianti. Mattonelle a spina di pesce andranno a ricoprire molte cupole di chiese napoletane: tra queste si può ancora oggi ammirare la seicentesca cupola della Chiesa di Santa Maria alla Sanità, progettata dall’architetto domenicano Fra’ Nuvolo. Da Largo di Palazzo (piazza Plebiscito) a Largo di Castello, Napoli si presentava come “città maiolicata”: ampi giardini lastricati di riggiole che rivestivano anche scenografiche fontane. Capolavoro della produzione ceramica settecentesca è indubbiamente il Chiostro maiolicato del Monastero di Santa Chiara. I pilastri sono fasciati da un motivo ornamentale a tralci di vite e glicine mentre i sedili che distanziano i pilastri, sono decorati con scene di tema agreste, marinaro, mitologico, folcloristico, il tutto compreso in una ricca cornice di cartocci e volute; «qui il Vaccaro sembra essersi ispirato ai motivi dei famosi arazzi Gobelins» (76) presenti nelle regge borboniche rifacendosi così, come le antiche maioliche dei pavimenti rinascimentali, ai decori di preziosi tappeti. Oltre alle riggiole della misura standard 20 x 20 o anche 19 x 19 e 22 x 22, rappresentate dalle antiche piastrelle decorate, non è difficile oggi imbattersi in piccole riggiole della misura di cm 10 x 10, utilizzate spesso in cucina o nei bagni, addirittura nelle decorazioni di sedie e tavolini da esterno. Esistono, inoltre, piastrelle di dimensioni più grandi, ossia cm 30 x 30: si tratta perlopiù di manifatture moderne. In tempi antichi era frequente trovare anche mattonelle poliedriche, esagoni ed ottagoni. Tutto ciò è comprensibile, proprio perché la riggiola non è rimasta un mero oggetto del passato, caduto in disuso e perciò più adatto all’antiquariato o alla collezione. Grazie alla maestria soprattutto dei giovani ceramisti, che hanno legato insieme passato e presente, questa arte non solo non è andata perduta, ma oggi conosce una nuova stagione aurea. (77) nella pagina precedente: vista e dettaglio del Chiostro di Santa Chiara a Napoli, oggi. Foto originale, febbraio 2019. a sinistra, dall’alto: dettaglio maioliche nella Scala di Santa Maria del Monte a Cartagirone, Sicilia. Foto:www.sicilydaybyday.com vasi originali in ceramica siciliana nelle strade di Caltagirone oggi. Foto originale, settembre 2015. 167


Le maioliche a Capri

L’usanza di identificare le dimore capresi con le ceramiche posizionate all’ingresso, è tanto antica quanto misteriosa. Le prime mattonelle risalgono alla fine del Settecento e, probabilmente, servivano a decorare le ville delle famiglie più facoltose che intendevano distinguersi dalle case degli isolani e palesare una solida condizione economica. Non c’è abitazione o villetta sull’isola di Capri che non sia contrassegnata da un nome tipico, una frase ad effetto; talvolta vere e proprie poesie decorate e create sulle mattonelle di ceramica, realizzate dai maestri artigiani dell’isola nei piccoli laboratori che ancora sono presenti in numerosi angoli di Capri. (78) La tradizione vernacolare di decorare le superfici di finitura degli oggetti e degli edifici, soprattutto negli ambienti interni, è caratterizzata dall’uso di piastrelle dai toni forti, in stile orientale, o dai colori più sobri, spesso arricchiti da motivi geometrici o floreali. Una particolarità tutta caprese è quella di personalizzare la propria villa o la propria casetta attraverso insegne artigianali fatte modellare e creare su misura, utilizzando molto spesso come cornice il cosiddetto «bordo Capri»: un mix di abbinamenti che richiama ai colori di Capri, come l’azzurro del cielo, il giallo del sole, il verde della vegetazione e il blu del mare. Fra i disegni più singolari possiamo trovare anche dei veri e propri ritratti in ceramica che ancora oggi continuano a raccontare con discrezione la vita di uomini, committenti, artigiani e viaggiatori, che hanno deciso di legare il proprio destino a quello dell’isola, semplicemente con una frase o un’immagine evocativa. In certi casi le mattonelle possono unirsi a comporre un unico grande mosaico composto da migliaia di singole tessere, che rendono più suggestive anche le case più modeste attraverso orizzonti, immagini bucoliche, superstizioni, benevolenze, insidie, giardini zoologici, premonizioni, miti, avventure e tesori. Si distinguono, infine, anche scene allegoriche e motivi religiosi che raccontano, attraverso la decorazione, una vera e propria narrazione. (79) Emblematici di questo stile decorativi sono, per esempio, il Chiostro del Monastero di Santa Chiara a Napoli e, ad Anacapri, il ricchissimo pavimento della Chiesa di San Michele Arcangelo. La decorazione su pavimento è stata realizzata nel 1761 da Leonardo Chianese, abile artigiano proveniente da una famiglia di riggiolai, con riggiole in maiolica. In questo caso le piastrelle danno forma ad un tappeto di oltre duemilacinquecento tessere che ricoprono l’intero pavimento che, in accordo con i dettami della Controriforma secondo cui l’arte nelle chiese doveva educare anche tramite la magnificenza e lo stupore che ne derivava, fu pensato come un’immensa storia illustrata della creazione, tratta dalla scena biblica del Paradiso terrestre, e del peccato originale. L’opera doveva avere un chiaro significato allegorico, rivolto all’intera comunità isolana: non a caso gli animali più vicini


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alla realtà dei contadini di allora, come il bue, la mucca e il toro, sono posti all’ingresso, perché più comuni e immediatamente riconoscibili dai fedeli. In questo modo, entrando nella casa di Dio, il caprese si sarebbe sentito subito a casa propria.

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La tendenza ad arricchire le superfici con motivi variopinti non si limita solo ai luoghi di culto o alle abitazioni private, si possono ammirare rivestimenti in maiolica anche nell’arredo urbano e nei parchi dell’isola. Ne sono un chiaro esempio le le panchine in piazza Diaz, ad Anacapri, e le insegne dei Giardini di Augusto, a Capri. Sempre a Capri, vale la pena ricordare la storia dell’antico campanile, che si trova in piazza Umberto I, le cui tracce risalgono al XVII secolo. Secondo quanto affermato dallo scrittore e naturalista Edwin Cerio, il campanile che ancora oggi si può ammirare dalla piazzetta sarebbe l’unico edificio sopravvissuto, dopo che il complesso della chiesa bizantina di Santa Sofia è stato abbattuto per la costruzione dell’odierna cattedrale di Santo Stefano. Per molto tempo è stato visto come vedetta per l’avvistamento di navi nemiche, confondendolo con la torre di guardia medioevale che sovrastava la porta della città, ma qualunque sia stata la sua origine, il campanile di Capri non è sempre stato come lo vediamo oggi. Infatti, in origine, la facciata era caratterizzata da un quadrante in marmo, con numeri romani in piombo, che fu sistemato sul campanile alla fine del XIX secolo. Questo strumento fu preso dalla torre campanaria della Certosa di San Giacomo, per sottrarlo al degrado del monastero che, dopo la conquista dell’isola da parte dei francesi cadde in disuso a causa della soppressione degli ordini monastici. Questo quadrante in marmo venne successivamente sostituito con un quadrante in maiolica, nel 1959. Il blu, giallo e nero hanno reso questa superficie di ceramica inconfondibile e unica al mondo: così il campanile di Capri non era più un orologio qualsiasi, ma l’orologio con centoquarantaquattro piastrelle di grande manifattura e di grande bellezza.

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in basso: tipica maiolica dell’isola di Capri, Capri oggi. Foto oroginale, settembre 2020. a destra: dettagli di indicazioni stradali decorate secondo la tradizione con maoliche locali, Capri oggi. Foto oroginale, settembre 2020.


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Ceramica andalusa e azujelos

La storia della ceramica in Spagna è molto antica ed ha origine con la dominazione araba nei territori della Spagna meridionale, prosegue poi con lo sviluppo dell’artigianato locale che ha cercato di importare le tecniche cinesi di lavorazione della porcellana, fino ad arrivare ai giorni nostri. Le prime tracce documentali relative alla lavorazione della ceramica in Spagna ci portano in Andalusia, dove tra la fine del XI secolo e l’inizio del XII, si assiste alla comparsa di una produzione di ceramiche decorate con la «tecnica del lustro» (80), tecnica sviluppata nel mondo islamico a partire dal IX-X secolo. Di origine islamica sono anche i motivi decorativi che hanno caratterizzato nel tempo la produzione artistica spagnola: da motivi vegetali stilizzati a quelli zoomorfi, da quelli epigrafici a quelli geometrici (tra i più ricorrenti quello a stella). Tra le tradizioni ceramiche spagnole più antiche e caratteristiche vi sono quella di Villareal (dove si producono soprattutto piastrelle), quella catalana (la cui fama spesso non travalica i confini della Catalogna) e quella valenciana, con le celebri adornos ceramicos. Valencia è uno dei principali poli spagnoli per la lavorazione della ceramica. Qui, soprattutto nei territori di Manises e Paterna, è ancora presente un “Gremio”, ovvero una corporazione di produttori di antichissima tradizione che, al fianco di fabbriche più modernamente strutturate, porta avanti la produzione di piastrelle, piatti ed altri oggetti decorativi in ceramica, realizzati secondo metodi tradizionali. In particolare le piastrelle sono una delle produzioni ceramiche spagnole più celebri ed apprezzate in tutto il mondo. Tipiche del territorio della Comunità Valenzana sono le azulejos, anticamente utilizzate in tutta la penisola iberica per rivestire le facciate ed i soffitti delle case, ma anche come insegne fuori da uffici e botteghe. Al giorno d’oggi le piastrelle in ceramica sono molto diffuse nel rivestimento di pareti e pavimenti in ambienti domestici, come bagno e cucina. Il termine azulejo deriva dall’arabo az-zulaiŷ e, come puntualizzano R.Sabo e J.N. Falcato significa «piccola pietra lucidata, e non azzurra, come spesso si è portati a credere» (81). Siviglia, fin dall’epoca romana, ha avuto il suo maggior centro di produzione di ceramiche nel quartiere di Triana, situato sulla riva destra del fiume Guadalquivir. Due tecniche di decorazione precedono la nascita dell’azulejos. Queste due tecniche sono la cuerda seca (corda secca) e la arista (o cuenca). La cuerda seca inizia nel periodo Omayyade e si sviluppa pienamente in Andalusia nel X secolo. I motivi decorativi in questo caso sono separati con una linea di manganese miscelata a grasso e olio di lino che, essendo una materia grassa, impedisce la miscelazione degli smalti colorati durante la cottura. Anche se dalla descrizione può sembrare una tecnica molto complicata, è stata ampiamente utilizzata. In primo


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luogo, perché all’epoca non esisteva ancora la piastrella da rivestimento con la copertura in smalto come la intendiamo oggi, bisogna aspettare il Rinascimento Italiano per averla; in secondo luogo, la cuerda seca è molto più semplice della precedente tecnica dell’alicatados, che consisteva nella smaltatura di lunghe lastre di argilla, che poi venivano tagliate a pezzetti per formare i bellissimi rivestimenti parietali dei palazzi reali. Quindi, nei restauri di zoccoli e pavimenti dei vari palazzi di epoca musulmana -dall’Alhambra, all’Alcázar di Siviglia- si preferì utilizzare la cuerda seca, anziché l’alicatados.

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In epoca successiva, alle geometrie e ai meandri dell’età araba, si aggiungeranno le evoluzioni floreali e figurative di matrice rinascimentale. Agli inizi del XVI secolo, la tecnica della cuerda seca venne sostituita con il metodo dell’arista o cuenca, che consiste nel produrre i decori con dei contorni ad alto rilievo ottenuti tramite degli stampi in legno che vengono impressi sull’argilla cruda. Le depressioni create dallo stampo, una volta riempite con smalto, accolgono la vernice, mentre i bordi a rilievo ne impediscono la miscelazione. L’arte e i metodi dei pittori di maiolica italiani raggiunsero Siviglia con l’arrivo di Francisco Niculoso, che giunse in Spagna prima del 1500. Quest’uomo, che si firmava ‘il pisano’, certamente studiò a Faenza, come testimoniato dal tipico disegno in turchino scuro con i contorni neri che lui introdusse. Le sue composizioni religiose erano tratte dai libri di preghiera e stampe di artisti italiani. Niculoso, in sostanza, ignorava i grandi zoccoli e i mosaici di ceramica che da secoli ornavano gli edifici andalusi. Ma dopo la sua morte, nel 1529, i ceramisti di Siviglia tornarono alla tecnica della cuenca per diverso tempo, finché non vi fu un nuovo afflusso dei metodi italiani nella penisola iberica: questa volta gli sforzi dei maiolicari italo-fiamminghi di Anversa, si combinarono con gli immigrati di Genova e Albisola per far rivivere un genere di decorazione simile a quello del Niculoso. Fu così che i ceramisti di Siviglia appresero l’impiego degli smalti colorati italiani e cominciarono a produrre i loro meravigliosi pannelli di azulejos. Oggi questi grandi arazzi maiolicati in stile italo-fiammingo possiamo vederli in molte stanze dell’Alcázar di Siviglia. (82)

nella pagina precedente: particolari di azulejos portoghesi, Porto, 2019. Foto: www.sabrinabarbante.com a sinistra: applicazione di azulejos come rivestimento di facciata. Rua das Cruzes da sè, Lisbona oggi. Foto originale, aprile 2019. 175


Lo zellige marocchino e l’arte islamica

Il numero delle maioliche che si sono conservate supera di gran lunga tutti gli altri prodotti d’arte islamica, e i ritrovamenti di scavo vanno sempre più arricchendo il materiale di studio. L’uso delle ceramiche di lusso era così diffuso nel mondo islamico da rendere necessaria anche l’importazione dei prodotti stranieri. A questo riguardo, sono particolarmente interessanti i ritrovamenti di cocci che si sono accumulati a migliaia nei cumuli di rottami del vecchio Cairo: oltre a esemplari della produzione di quasi tutte le regioni islamiche dal secolo IX al XV essi contengono frammenti di porcellane cinesi e di prodotti europei. Le conquiste tecniche nell’industria della maiolica venivano subito e ovunque diffuse, ma in genere sembra che nel periodo più antico la corrente d’influenza movesse dall’Oriente e che la Persia abbia avuto un ruolo essenziale. Si deve distinguere il vasellame dalla ceramica a scopi architettonici. Il vasellame, non presenta molte particolarità di forma: in Persia la modellazione plastica fu più sviluppata che nelle altre regioni islamiche, e spesso diede ai vasi la forma di corpi animali e di figure umane. Dalla Siria, poi, si diffuse il vaso cilindrico da farmacia noto come albarello. In ambito architettonico, invece, l’arte islamica sviluppò soltanto alcune tecniche e, in particolare, quella delle piastrelle per i rivestimenti parietali, generalmente in maiolica, largamente impiegato in paesi come il Marocco, per la texturizzazione delle pareti delle corti e dei palazzi. Nel caso specifico del Marocco, le piastrelle che compongono i motivi decorativi sono propriamente dette zellige. Come spiega André Paccard, si tratta di un «assemblaggio di tessere in terracotta smaltata, tagliate per comporre una forma a mosaico» (83), che riproduce un disegno geometrico, e successivamente collocate su un letto di intonaco. Quest’arte decorativa è caratteristica dell’architettura del Maghreb e viene utilizzata principalmente come decorazione per pareti e pavimenti. I patroni dell’arte hanno usato storicamente lo zellige per decorare le loro case, come una dichiarazione di lusso e di raffinatezza degli abitanti. Questa struttura espressiva nasce dal bisogno degli artisti islamici di creare decorazioni spaziali che evitassero la rappresentazione di cose viventi, coerenti con gli insegnamenti dell’iconoclastia dettata dalla legge islamica, secondo la quale è proibito raffigurare figure o episodi religiosi, per evitare qualunque forma di affermazione della venerazione delle icone che sarebbe potuta sfociare in una forma di idolatria. (84) L’origine dello zellige è di provenienza berbera e hispano-moresca e con ogni probabilità deriva dal mosaico romano e bizantino. Lo zellige tradizionale appare in Marocco nel X secolo d.C. nelle tonalità del bianco e del marrone, a imitazione di mosaici romani. Anche se i Romani non


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occupano più la regione per secoli, hanno lasciato molte tracce. Quest’arte è poi costantemente arricchita dai contributi delle diverse dinastie che si sono succedute in Marocco ed in al-Andalus, parte della Spagna allora sotto la dominazione moresca: in particolare è stata contaminata dagli Almoravidi dal deserto, dagli Almohadi dell’Alto Atlante e, soprattutto nel XIV secolo, dai Merinidi, i nomadi di origine berbera, che ne fecero largo uso, specialmente a Fès. Nel corso di questi quattro secoli il commercio, la scienza e le arti crescono considerevolmente, come anche l’architettura e la decorazione, che raggiungono il loro più alto livello di sofisticazione. Lo zellige invade allora le pareti all’interno di tutti i palazzi, le tombe, le fontane e i cortili. (85)

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Oggi, la gamma di toni impiegati è singolarmente ricca di colori brillanti che possono moltiplicarsi in composizioni infinite, ma tradizionalmente le gamme più diffuse prevedevano l’utilizzo del blu, del verde e del giallo, mentre il rosso verrà utilizzato solo dal XVII secolo. La forma più comune di zellige è il quadrato, le cui dimensioni sono variabili e può essere inserito in composizioni di vario genere in cui si uniscono con altre forme, come l’ottagono combinato con un cabochon, la stella e la croce. Viene così modellato e ha uno spessore di circa 2 cm. Esistono formati di piastrella quadrati (10 × 10 cm), o semplicemente tagliati per essere combinati con un cabochon ad angoli colorati. Per i pavimenti vengono utilizzate anche le piastrelle bejmat (5 × 15 cm) con spessore di 2 cm. Il materiale può essere naturale o smaltato e può essere messo in posa in modo semplice o a spina di pesce. Possiamo vedere i splendidi modelli del Palazzo Alhambra di Granada e la Medersa el-Attarine di Fes del XIV secolo, la fontana Nejjarine sempre a Fez, la tomba di Moulay Ismail a Meknes (1700), la Medersa Ben Youssef a Marrakech (XVI sec.), e, più recente, la Kasbah di Telouet (XIX sec.). Questa tradizione è ancora viva come dimostra vividamente la Moschea di Hassan II a Casablanca inaugurata nel 1993.

nella pagina precedente: portale d’ingresso della scuola corale di Medersa Ben Youssef, Marrakech. Foto: www.zellige.info a sinistra: dettaglio del colonnato interno della scuola corale di Medersa Ben Youssef decorato con la tipica zellige marocchina, Marrakech. 179



riferimenti progettuali

riferimenti progettuali

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I riferimenti progettuali sono stati selezionati e studiati per essere una fonte attiva nel processo compositivo e progettuale. Se pur l’intervento derivi in gran parte dell’attento e accurato studio dell’architettura vernacolare caprese e dall’impianto planimetrico proposto da Maurice Boutterin per il Palazzo di Tiberio, non sono mancati. spunti progettuali più recenti. Essi hanno infatti contribuito, in vario modo, a generare nuovi spunti ed occasioni progettuali all’interno dell’intervento proposto. In particolare, per quanto riguarda il difficile rapporto tra una nuova costruzione e paesaggio circostante, di grande suggestione è stato il progetto realizzato da Mario Botta per la Cappella di Santa Maria degli Angeli del Monte Tamaro. La soluzione da lui adottata, di un architettura non invasiva, ma bensì che segue e si modella secondo le pendenze naturali predefinite, è risultata fondamentale per la definizione dei punti di collegamento principali del nostro intervento. Invece, per quanto riguarda l’intervento sulla rovina, abbiamo considerato di grande interesse il progetto del Castello San Jorge a Lisbona di João Luis Carrilho da Graça. L’intervento di recupero della Torre Nazarí de Huercal-Overa di Castillo Miras Arquitectos, così come il progetto proposto da Jimenez & Linares per il IV concorso di architettura urbana R.H.Driehaus 2020, sono invece risultati fondamentali nella definizione volumetrica e materica degli edifici destinati a portale d’ingresso e suite. Per la progettazione di quest’ultimi, altrettanto importante è stato il progetto di Gio Ponti per l’Hotel Parco dei Principi di Sorrento. La moderna reinterpretazione delle ceramiche maiolicate, tipico materiale del contesto caprese, proposta dal grande architetto ha svolto un ruolo alquanto decisivo nel percorso progettuale da noi intrapreso.

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Cappella di Santa Maria degli Angeli Monte Tamaro, Svizzera Mario Botta

Committente Egidio Cattaneo Progetto 1990 - 1992 Realizzazione 1992 - 19996 Fotografie Enrico Cano


riferimenti progettuali Capri. Architettura e paesaggio archelogico

«La cappella – racconta Mario Botta nel libro “Santa Maria degli Angeli sul Monte Tamaro” – si configura come una passerella-viadotto che esce dalla montagna per circa 65 metri. All’estremità di questo percorso si raggiunge un belvedere posto sopra la struttura metallica che sostiene una campana. Da questo punto è possibile, orientandosi verso il monte, scendere lungo il tetto a gradoni dalla cappella fino ad incontrare una scala trasversale al camminamento orizzontale che porta al piazzale d’ingresso della chiesa. Questo è uno slargo rettangolare livellato sulle pendici della montagna e attrezzato verso monte da gradinate che gli conferiscono un aspetto anfiteatrale». L’insieme, più che un nuovo edificio, si presenta come una manipolazione del paesaggio esistente: le forme plastiche, i tagli trasversali, le nuove configurazioni geometriche, si modellano in negativo, al di sotto della linea di orizzonte tracciata dal camminamento. All’interno lo spazio della chiesa è strutturato in tre navate, di cui quella centrale ribassata è contrassegnata all’ingresso da due poderose colonne e confluisce nello spazio della piccola abside finale che fuoriesce dal volume primario. Una luce zenitale intensa inonda questa piccola abside, sottolineando il segno di preghiera manifestato dalle due mani disegnate sulle pareti da Enzo Cucchi. Lo spazio interno vive del grande contrasto fra i muri circolari senza forma, trattati in grassello nero nelle pareti, e le lineari sagomature bianche del soffitto, che introducono un baffo di luce ritagliato fra i gradoni della copertura.

a destra: vista panoramica della Cappella, con particolare attenzione al rapporto tra nuova costruzione e innesto nel terreno naturale preesistente. 183


a sinistra: vista laterale della scala rampante in alto a destra: vista frontale dell’ingresso alla cappella interna in basso a destra: vista panoramica del percorso d’ingresso in copertura


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Praça Nova do Castelo de São Jorge Lisbona, Portogallo João Luis Carrilho da Graça, Joao Gomes da Silva

Committente Fondazione Aquileia, Fondazione SO.CO.B.A., Comune di Aquileia Collaboratori EGEAC (Empresa de Gestão de Equipamentos e Animação Cultural) Câmara Municipal de Lisboa Progetto 2008 Realizzazione 2008-2010 Fotografie FG+DG - Fernando Guerra, Sergio Guerra


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Oltre le mura e le celebri torri del Castello di São Jorge si estende il sito archeologico di Praça Nova. Le ricerche intraprese su questo perimetro storico attestano ritrovamenti relativi al succedersi degli insediamenti fenici, romani, arabi, fino al periodo aureo che la fortezza vive dal XIII all’inizio del XVI sec. L’intervento di tutela e di musealizzazione affidato a João Luis Carrilho da Graça ha previsto, in primo luogo, la chiara delimitazione dell’area attraverso “un’incisione precisa”: una parete in acciaio corten, ove l’uso del materiale introduce al fascino delle rovine, che recinta il nucleo archeologico alla sua quota più elevata. Scalinate, percorsi e sedute sono inserite ex novo all’interno dell’area, lontano dalla cortina metallica. Per la tutela delle abitazioni musulmane del XI secolo e dei relativi affreschi è stato realizzato un volume sospeso le cui pareti bianche, dichiaratamente astratte e fluttuanti sulle fondazioni, toccando il suolo in soli 6 punti, ricreano le divisioni originarie degli interni, mentre una copertura in legno e policarbonato filtra la luce solare all’interno di uno spazio nel quale è riprodotta idealmente una misura domestica. Alla sera, la luce artificiale mette in evidenza la linea di sospensione tra le antiche mura e le nuove pareti bianche, dando vita così ad uno spettacolare effetto scenografico. Infine, nella parte più bassa dell’area, sono esposti i resti dell’insediamento preistorico, protetti da un volume indipendente che, con un movimento a spirale, si estende dalle pareti perimetrali di acciaio corten. Lo scrigno metallico è attraversato da fessure orizzontali che invitano il visitatore ad osservarne il prezioso contenuto interno. Significativa, inoltre, è come Carrilho Da Graça interpreta la figura del basamento. Il basamento è il luogo di contatto con la terra, dove l’edificio scambia il suo ruolo con il contesto. Questo scambio, che è anche misura della distanza tra nuovo ed esistente, è espresso dal vuoto, da un distacco tra due entità che si vogliono differenti ma anche partecipi.

a destra: vista generale del progetto di restauro dell’area archeologica 187


in alto: vista interna e dettagli materici in basso: Contrasto materico tra il corten del recinto e le rovine a destra: Vista delle rovine con scorci sul nuovo volume bianco


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Torre NazarĂ­ de Huercal-Overa AlmerĂ­a, Spagna Castillo Miras Arquitectos

Committente Aga Khan Foundation Collaboratori Mercedes Miras Varela, Luis Castillo Villegas, Daniel Lopez Martinez, Luis Hervas Lopez Progetto 2010 Realizzazione 2010 Fotografie Fernando Alda


riferimenti progettuali

a destra:

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Selezionato tra i finalisti dell’edizione 2010 dell’Aga Khan Award for Architecture, il progetto di Castillo Miras Arquitectos per il restauro della Torre Nazari de Huercal - Overa è il perfetto esempio di come una buona architettura possa restituire alla collettività un simbolo della sua storia e diventare una potente attrazione turistica. Gli architetti spagnoli hanno interpretato come “rovine future” i nuovi elementi aggiunti all’edificio originario. Alla base c’è il confronto tra la permanenza e la solidità costruttiva delle opere del passato, come la torre originale realizzata da anonimi artigiani nel XIII secolo, e la natura provvisoria e degradabile delle realizzazioni contemporanee. Da qui l’idea degli architetti di interpretare come elementi temporanei, “rovine future”, gli elementi nuovi aggiunti al volume originario. La Torre è stata infatti restaurata conservando, dove era possibile, i materiali originali e rimuovendo le aggiunte successive. Gli elementi nuovi invece sono costituiti da elementi prefabbricati. Si tratta di un volume orizzontale destinato ad uffici posto alla base della collina dove sorge la torre e di un secondo volume sempre in acciaio corten ma verticale e cilindrico, che sorge parallelo alla torre originaria. La scala a chiocciola interna al cilindro e il ponte in acciaio corten e vetro, permettono di accedere allo spazio espositivo della Torre Nazarí dall’ingresso originale, posto a 4 metri di altezza dal suolo.

vista panoramica dell’intervento

di restauro della Torre Nazari de Huercal Overa 191



a sinistra: vista esterna dell’intervento di restauro in alto: dettaglio della porta di accesso al volume principale in basso: dettaglio del percorso di risalita realizzato in acciaio cortain 193


Alzira Salamanca, Spagna Jiménez & Linares

Concorso Richard H. Driehaus International Architecture Competition 2019-2020 Collaboratori Abelardo Linares del Castillo-Valero, Elena Jiménez Sánchez, Paloma Márquez Aguilar Progetto 2019-2020 Elaborati grafici Abelardo Linares del Castillo-Valero, Elena Jiménez Sánchez,


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Primo premio alla Richard H. Driehaus International Architecture Competition del 2020, la proposta Jimènez & Linares si è distinta per il progetto di riqualificazione urbana nell’area della chiesa di Santa María di Alzira. L’oobiettivo principla era quello di recuperare il tessuto urbano della zona ovest di “la Vila” e di valorizzare le vestigia del muro almohade e l’ex chiesa di Santa María, i principali elementi del patrimonio di questa suggestiva cittadina spagnola. Riprendendo l’impostazione planimetrica dell’ex chiesa, l’intervento propone un nuovo sistema stradale in grado di suggerite convergere verso la piazza collegata alla riva del fiume Júcar, verso la quale si aprono nuove attività e strutture. Inoltre, viene recuperato il primitivo campanile, trasformato ora in belvedere: esso diventa così il punto di riferimento principale quando si analizza il profilo della città, così come l’elemento di finitura della strada che corre lungo tutto il tracciato principale. Particolarità di tale intervento anche il rapporto con le preesistenze e il contesto circostante, di cui si riprendono forme ed elementi caratteristici, in una reinterpretazione del tutto contemporanea. Il ritorno al passato deve essere infatti interpretato nel senso umanistico e metaforico del termine: un ritorno alla tradizione della città, ai materiali naturali e ai colori ocra delle sue facciate.

a destra: vista della nuova area urbna della chiesa di Santa Maria 195



a sinistra: vista dell’intervento dal fiume JÚcar in alto: dettaglio del varco d’ingresso alla nuova area in basso: vista della corte interne nel rapporto tra preesistenza e nuova costruzione 197


Hotel Parco dei Principi Sorrento, Italia Gio Ponti

Committente Roberto Fernandes Progetto 1960 Realizzazione 1960 - 1962 Fotografie Marco Zuppetta


riferimenti progettuali

L’hotel Parco dei Principi di Sorrento, come il Parco dei Principi di Roma e l’hotel Royal di Napoli, è il risultato del lungo sodalizio tra Gio Ponti e l’ingegnere e imprenditore Roberto Fernandes. L’edificio è composto da un basamento tufaceo per i primi due livelli seminterrati; sopra questa grande platea basamentale è adagiato il piano terra, destinato ai principali servizi di accoglienza (reception, bar, sala relax) e contraddistinto da una grande sala ristorante, completamente rivolta verso il mare, che culmina con una terrazza a sbalzo, palcoscenico ideale sul golfo di Sorrento. Al di sopra di questo piano si trovano le stanze degli ospiti organizzate su quattro livelli. Nei prospetti delle camere Gio Ponti accentua i motivi verticali, attraverso l’uso di un ordine gigante che inquadra le profonde logge verso il mare. Questa tensione verticale, che termina verso l’alto in un fastigio in ferro verniciato, riprende i motivi della preesistente struttura e di alcuni fra i luoghi più celebri e paradigmatici della costiera amalfitana.

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Negli ambienti interni, riproponendo gli esperimenti realizzati per le ville Arreaza a Caracas e Nemazee a Teheran, Gio Ponti applica il principio della bicromia (bianco e blu), disegnando trenta diversi decori all’interno della stessa piastrella 20×20 cm. I motivi delle ceramiche sono geometrici o naturalistici, ciascuno con un numero differente di possibili composizioni. Questa grande varietà di soluzioni ha consentito alle cento stanze dell’albergo di avere ognuna un pavimento unico. L’abituale collaborazione di Ponti con gli artisti prosegue anche nell’hotel di Sorrento: le decorazioni musive al piano terreno sono state realizzate da Fausto Melotti, mentre alcuni arredi interni sono opera di Ico Parisi.

a destra: vista della hall del nuovo design hotel 199


in alto: vista interna della camera da letto in basso: dettaglio del pavimento in ceramica blu Ponti a destra: dettaglio delle ceramiche blu Ponti e la sedia progettata da Ico Parisi


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note

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.

10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23.

24. 25.

Concetti espressi in Maiuri, Amedeo, Il Palazzo di Tiberio, detto villa Jovis, a Capri, Neri Pozza Editore, Venezia 1954 Concetti espressi in Maiuri, Amedeo, Capri. Storia e Monumenti, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma 1997 Espressione utilizzata in Maiuri, Amedeo, Capri. Storia e Monumenti, Ist. Poligrafico dello Stato Roma 1997 Vedi Strabone, Geografia, Libro V e VI Vedi Tacito, Annales, Libro IV Vedi Svetonio, Vita dei Cesari, Libro II: Augusto Concetti espressi in Maiuri, Amedeo, Capri. Storia e Monumenti, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma 1997 Concetti espressi in Cerio, Edwin, Capri nel 600: documenti e note, Napoli 1934 Concetti espressi in Picone, Renata, “Capri e il Mediterraneo. Architetture e paesaggi da consegnare al futuro”, in Maglio Andrea, Mangone Fabio, Pizza Antonio, Immaginare il Mediterraneo. Architettura Arti Fotografia, artstudiopaparo, Napoli 2017 Concetti espressi in Maiuri, Amedeo, Capri. Storia e Monumenti, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma 1997 Vedi Svetonio, Vita dei Cesari, Libro II: Augusto Concetti espressi in Federico, Eduardo, Miranda, Elisa, Capri Antica. Dalla preistoria alla fine dell’età romana, Napoli 1998 Concetti espressi in Maiuri, Amedeo, Capri. Storia e Monumenti, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma 1997 Espressione utilizzata in Marzano, Annalisa, Le ville marittime dell’Italia romana tra amoenitas e fructus, in Studi Miscellanei sulla Villa Romana, Volume 1, 2013 Concetti espressi in Federico, Eduardo, Belli, Roberta, Giardino, Claudio, Guida ai monumenti antichi dell’isola di Capri, OEBALUS Associazione Culturale Onlus Concetti espressi in Maiuri, Amedeo, Capri. Storia e Monumenti, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma 1997 Citazione tratta da Fidone, Emanuele, From the Italian Vernacular Villa to Schinkel to the Modern House, Biblioteca del Cenide, Reggio Calabria 2003 Espressione tratta da Cerio, Edwin, La casa di Capri ed il regolamento edilizio, Capri 1921 Citazione tratta da Cerio, Edwin, Atti del Convegno del paesaggio (Capri, 1922), Editore la Conchiglia, Napoli 1993 Citazione tratta da Cerio, Edwin, Atti del Convegno del paesaggio (Capri, 1922), Editore la Conchiglia, Napoli 1993 Citazione tratta da Cerio, Edwin, La casa di Capri ed il regolamento edilizio, Capri 1921 Citazione tratta da Cerio, Edwin, La casa di Capri ed il regolamento edilizio, Capri 1921 Concetti espressi in Verde, Paola Carla, Architettura a Capri, dall’Oriente al Mediterraneo, in Giusti, Maria Adriana, Godoli, Ezio, L’Orientalismo nell’architettura italiana tra Ottocento e Novecento, Viareggio 1997 Concetti espressi in Picone, Adelina, Culture mediterranee dell’abitare, Università degli studi di Napoli 2015 Concetti espressi in Fidone, Emanuele, From the Italian Vernacular Villa to Schinkel to the Modern House, Biblioteca del Cenide, Reggio Calabria 2003 203


26. 26. Espressione tratta da Riemann, Georgie, 1781-1841 Schinkel l’architetto del principe. Marsilio editori, Venezia 1989 27. Concetti espressi in Hoffmann, Joseph, Architektonisches von der Insel Capri, in “Der Architekt”, volume III, 1897 28. Espressione tratta da Riemann, Georgie 1781-1841 Schinkel l’architetto del principe. Marsilio editori, Venezia 1989 29. Concetti espressi in Mangone, Fabio, Il paesaggio di Capri: immaginari e tutela tra Ottocento e Novecento, in Aveta, Aldo, Marino, Bianca Gioia, Amore, Raffaella, La Baia di Napoli. Strategie integrate per la conservazione e la fruizione del paesaggio culturale, volume 4, Napoli 2017 30. Espressione utilizza da Pane, Roberto, Capri, Venezia 1954 31. Citazione tratta da Hoffmann, Joseph, Architektonisches von der Insel Capri, in “Der Architekt”, volume III, 1897 32. Espressione tratta da Fidone, Emanuele, From the Italian Vernacular Villa to Schinkel to the Modern House, Biblioteca del Cenide, Reggio Calabria 2003 33. Espressione utilizzata da Cantone, Gateana, Prozzilo, Italo, Case di Capri. Ville, palazzi e grande dimore, Electa Napoli, Napoli 1984 34. Espressione utilizzata da Cantone, Gateana, Prozzilo, Italo, Case di Capri. Ville, palazzi e grande dimore, Electa Napoli, Napoli 1984 35. Citazione tratta da Gregorovius, Ferdinand, Capri, un eremo, Napoli 1991 36. Citazione tratta da Cerio, Edwin,La casa di Capri ed il regolamento edilizio, Capri 1921Citazione tratta da Maiuri, Amedeo, Corriere della Sera 1938 37. Citazione tratta da Maiuri, Amedeo, Corriere della Sera 1938 38. Vedi Tacito, Annales, Libro IV 39. Vedi Tacito, Annales, Libro IV 40. Citazione tratta da Maiuri, Amedeo, Corriere della Sera 1938 41. Espressione utilizzata in Krause, Clemens, Villa Jovis. L’edificio residenziale, Electa, Napoli 2005 42. Espressione utilizzata in Krause, Clemens, Villa Jovis. L’edificio residenziale, Electa, Napoli 2005 43. Espressione utilizzata in Krause, Clemens, Villa Jovis. L’edificio residenziale, Electa, Napoli 2005 44. Espressione utilizzata in Krause, Clemens, Villa Jovis. L’edificio residenziale, Electa, Napoli 2005 45. Espressione utilizzata in Krause, Clemens, Villa Jovis. L’edificio residenziale, Electa, Napoli 2005 46. Espressione utilizzata in Krause, Clemens, Villa Jovis. L’edificio residenziale, Electa, Napoli 2005 47. Concetti espressi in Veronese, Luigi, Il palazzo di Tiberio a Capri. L’evoluzione dell’immagine tra iconografia e restauro, Eikonocity 2017 48. Citazione tratta da Maiuri, Amedeo, Corriere della Sera 1938 49. Concetti espressi in Maiuri, Amedeo, Il Palazzo di Tiberio, detto villa Jovis, a Capri, Neri Pozza Editore, Venezia 1954 50. Citazione tratta da Krause, Clemens,Villa Jovis. L’edificio residenziale, Electa, Napoli 2005 51. Citazione tratta da Krause, Clemens, Villa Jovis. L’edificio residenziale, Electa, Napoli 2005 52. Citazione tratta da Maiuri, Amedeo, Capri. Storia e Monumenti, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma 1997 53. Espressione utilizzata in A.A. V.V., Italia Antiqua. Envois degli Architetti Francesi (1811-1950) Italia e Area Mediterranea, Ecole Francaise de Rome – Ecole Nationale Supérieure des Beaux Arts, Roma 2002 54. Espressione utilizzata in A.A. V.V., Italia Antiqua. Envois degli Architetti Francesi (1811-1950) Italia e Area Mediterranea, Ecole Francaise de Rome – Ecole Nationale Supérieure des Beaux Arts, Roma 2002


55. Citazione tratta da Krause, Clemens, Villa Jovis. L’edificio residenziale, Electa, Napoli 2005 56. Citazione tratta da Krause, Clemens, Villa Jovis. L’edificio residenziale, Electa, Napoli 2005 57. Espressione utilizzata in A.A. V.V., Italia Antiqua. Envois degli Architetti Francesi (1811-1950) Italia e Area Mediterranea, Ecole Francaise de Rome – Ecole Nationale Supérieure des Beaux Arts, Roma 2002 58. Concetti espressi in Riemann, Georgie, 1781-1841 Schinkel l’architetto del principe, Marsilio Editori, Venezia, 1989 59. Concetti espressi in Woodward, Chris, Tra le rovine: un viaggio attraverso la storia, l’arte e la letteratura, Parma 2008 60. Espressione utilizzata in A.A. V.V., Italia Antiqua. Envois degli Architetti Francesi (1811-1950) Italia e Area Mediterranea, Ecole Francaise de Rome – Ecole Nationale Supérieure des Beaux Arts, Roma 2002 61. Concetti espressi in A.A. V.V., Italia Antiqua. Envois degli Architetti Francesi (1811-1950) Italia e Area Mediterranea, Ecole Francaise de Rome – Ecole Nationale Supérieure des Beaux Arts, Roma 2002 62. Concetti espressi in A.A. V.V., Italia Antiqua. Envois degli Architetti Francesi (1811-1950) Italia e Area Mediterranea, Ecole Francaise de Rome – Ecole Nationale Supérieure des Beaux Arts, Roma 2002 63. Definizione tratta da Caliari, Pier Federico, La Forma Trasparente di Villa Adriana, edizioni Quasar, Roma 2012 64. Definizione tratta da Caliari, Pier Federico, La Forma Trasparente di Villa Adriana, edizioni Quasar, Roma 2012 65. Definizione tratta da Docci, Mario, Maestri, Diego, Manuale di rilevamento architettonico e urbano, Laterza 2012 66. Concetti espressi in Maiuri, Amedeo, Il Palazzo di Tiberio, detto villa Jovis, a Capri, Neri Pozza Editore, Venezia 1954 67. Concetti espressi in Krause, Clemens, Villa Jovis. L’edificio residenziale, Electa, Napoli 2005 68. Citazione tratta da Basso Peressut, Luca, Caliari, Pier Federico, Architettura per l’archeologia. Museografia e allestimento, Prospettive Edizioni, Roma 2014 69. Concetti espressi in Basso Peressut, Luca, Caliari, Pier Federico, Architettura per l’archeologia. Museografia e allestimento, Prospettive Edizioni, Roma 2014 70. Citazione tratta da Basso Peressut, Luca, Caliari, Pier Federico, Architettura per l’archeologia. Museografia e allestimento, Prospettive Edizioni, Roma 2014 71. Concetti espressi in Casiello, Stella, Pane, Andrea, Russo, Valentina, Roberto Pane tra storia e restauro. Architettura, Città, Paesaggio, Edizione Marsilio, Venezia 2010 72. Concetti espressi in Porzio, Camillo, La congiura de’ Baroni del regno di Napoli contra il re Ferdinando I, Napoli, Pe’ tipi del cav. Gaetano Nobile, 1859 73. Citazione tratta da Mosca, Luigi, Napoli e l’arte della ceramica dal XIII al XX secolo, Fausto Fiorentino Editore, Napoli 1963 74. Citazione tratta da Ragona, Antonino, La Maiolica siciliana dalle origini all’800, Sellerio 1986 75. Concetti espressi in Ragona, Antonino, La Maiolica siciliana dalle origini all’800, Sellerio, 1986 76. Citazione tratta da Donatone, Guido, Il chiostro maiolicato di Santa Chiara, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2009 77. Concetti espressi in Donatone, Guido, La riggiola napoletana. Pavimenti e rivestimenti maiolicati dal Seicento all’Ottocento, Editore Grimaldi & C., 2006 78. Concetti espressi in Tortolani, Giacinto, Maioliche di Vietri. 1920-1960, Centro di Cultura Amalfitana, Napoli 2019 79. Concetti espressi in Alamaro, Eduardo, Tanasi, Francesco, La maiolica delle sirene. L’arte della «Riggiola» napoletana a Massa Lubrense, Edizioni Scientifiche Italiane, 1994 205


80. Espressione tratta da Charleston, Robert J., Ceramica nei secoli, Arnoldo Mondadori editore, 1970 81. Citazione tratta da Sabo, Rioletta, Falcato, Jorge N., Azulejos in Portogallo. Piastrelle decorative e architettura, Silvana Editore, Milano 1998 82. Concetti espressi in A.A.V.V., La Ruta de la Ceramica, Ed. Asociación Española de Fabricantes de Azulejos, Castellón 2000 83. Citazione tratta da Paccard, Andrè, Traditional Islamic craft in Moroccan architecture, Atelier 74, 1980 84. Concetti espressi in Lovatt-Smith, Lisa, Intérieurs marocains, Taschen, 1999 85. Concetti espressi in Degeorge, Gérard, Porter, Yves, L’Art de la céramique dans l’architecture musulmane, Flammarion, 2001


bibliografia

Storia Strabone, Geografia, a cura di Biraschi, Anna Maria, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano 1982 Svetonio, Vite dei Cesari, a cura di Dessì, Felice, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano 1982 Tacito, Annali, a cura di Arici, Azelia, IV, Torino, UTET, 1983

Isola di Capri Alvino, Francesco, Quaranta, Bernardo, Le antiche ruine di Capri disegnate e restaurate dall’architetto Francesco Alvino e ed illustrate dal Cavalier Bernardo Quaranta, Napoli 1835 Arvid, Andrén, Capri. Dall’età paleolitica all’età turistica, Romastampa, Roma 1991 Aveta, Aldo, Marino, Bianca Gioia, Amore, Raffaella, La Baia di Napoli. Strategie integrate per la conservazione e la fruizione del paesaggio culturale, volume 4, Napoli 2017 Cantone, Gateana, Prozzilo, Italo, Case di Capri. Ville, palazzi e grande dimore, Electa Napoli, Napoli 1984 Casiello, Stella, Pane, Andrea, Russo, Valentina, Roberto Pane tra storia e restauro. Architettura, Città, Paesaggio, Edizione Marsilio, Venezia 2010 Cerio, Edwin, Atti del Convegno del paesaggio (Capri, 1922), Editore la Conchiglia, Napoli 1993 Cerio, Edwin, Capri nel 600: documenti e note, Napoli 1934 Cerio, Edwin, L’avvaloramento archeologico di Capri, Pierro, Napoli 1921 Cerio, Edwin, La casa di Capri ed il regolamento edilizio, Capri 1921 Federico, Eduardo, Belli, Roberta, Giardino, Claudio, Guida ai monumenti antichi dell’isola di Capri, OEBALUS Associazione Culturale Onlus Federico, Eduardo, Miranda, Elisa, Capri Antica. Dalla preistoria alla fine dell’età romana, Napoli 1998 Fidone, Emanuele, From the Italian Vernacular Villa to Schinkel to the Modern House, Biblioteca del Cenide, Reggio Calabria 2003 Giusti, Maria Adriana, Godoli, Ezio, L’Orientalismo nell’architettura italiana tra Ottocento e Novecento, Viareggio 1997 Gregorovius, Ferdinand, Capri, un eremo, Napoli 1991 Hoffmann, Joseph, Architektonisches von der Insel Capri, in “Der Architekt”, volume III, 1897 Maglio Andrea, Mangone Fabio, Pizza Antonio, Immaginare il Mediterraneo. Architettura Arti Fotografia, artstudiopaparo, Napoli 2017 Maiuri, Amedeo, Breviario di Capri, Rispoli, Napoli 1937 Maiuri, Amedeo, Capri. Storia e Monumenti, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma 1997 207


Pane, Roberto, Capri, Venezia 1954 Pane, Roberto, Capri: mura e volte, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1965 Picone, Adelina, Culture mediterranee dell’abitare, Università degli studi di Napoli 2015

Villa Jovis Feola, Giuseppe, Rapporto sullo stato attuale dei ruderi Augusto-Tiberiani nella isola di Capri, Ignazio Cerio, Napoli 1894 Hadrawa, Norbert, Ragguagli di varii scavi, e scoperte di antichità fatte nell’Isola di Capri e dal medesimo comunicati per lettere ad un suo amico in Vienna, Napoli 1794 Krause, Clemens, Villa Jovis. L’edificio residenziale, Electa, Napoli 2005 Maiuri, Amedeo, Il Palazzo di Tiberio, detto villa Jovis, a Capri, Neri Pozza Editore, Venezia 1954 Veronese, Luigi, Il palazzo di Tiberio a Capri. L’evoluzione dell’immagine tra iconografia e restauro, Eikonocity 2017

Archeologia e progetto A.A. V.V., Italia Antiqua. Envois degli Architetti Francesi (1811-1950) Italia e Area Mediterranea, Ecole Francaise de Rome – Ecole Nationale Supérieure des Beaux Arts, Roma 2002 Basso Peressut, Luca, Caliari, Pier Federico, Architettura per l’archeologia. Museografia e allestimento, Prospettive Edizioni, Roma 2014 Caliari, Pier Federico, La Forma Trasparente di Villa Adriana, edizioni Quasar, Roma 2012 Capuano, Alessandra, Paesaggi di Rovine, Paesaggi Rovinati. Landscapes of Ruins, Ruined Landscapes, Quodlibet Studio, 201 Docci, Mario, Maestri, Diego, Manuale di rilevamento architettonico e urbano, Laterza 2012 Marzano, Annalisa, Le ville marittime dell’Italia romana tra amoenitas e fructus, in Studi Miscellanei sulla Villa Romana, Volume 1, 2013 Riemann, Georgie, 1781-1841 Schinkel l’architetto del principe, Marsilio Editori, Venezia, 1989 Woodward, Chris, Tra le rovine: un viaggio attraverso la storia, l’arte e la letteratura, Parma 2008

Maioliche A.A.V.V., La Ruta de la Ceramica, Ed. Asociación Española de Fabricantes de Azulejos, Castellón 2000 Alamaro, Eduardo, Tanasi, Francesco, La maiolica delle sirene. L’arte della «Riggiola» napoletana a Massa Lubrense, Edizioni Scientifiche Italiane, 1994 Degeorge, Gérard, Porter, Yves, L’Art de la céramique dans l’architecture musulmane, Flammarion, 2001 Donatone, Guido, Il chiostro maiolicato di Santa Chiara, Ed.Scientifiche Italiane, Napoli 2009 Donatone, Guido, La riggiola napoletana. Pavimenti e rivestimenti maiolicati dal Seicento all’Ottocento, Editore Grimaldi & C., 2006


Lovatt-Smith, Lisa, Intérieurs marocains, Taschen, 1999 Mosca, Luigi, Napoli e l’arte della ceramica dal XIII al XX secolo, Fausto Fiorentino Editore, Napoli 1963 Paccard, Andrè, Traditional Islamic craft in Moroccan architecture, Atelier 74, 1980 Porzio, Camillo, La congiura de’ Baroni del regno di Napoli contra il re Ferdinando I, Napoli, Pe’ tipi del cav. Gaetano Nobile, 1859 Ragona, Antonino, La Maiolica siciliana dalle origini all’800, Sellerio 1986 Sabo, Rioletta, Falcato, Jorge N., Azulejos in Portogallo. Piastrelle decorative e architettura, Silvana Editore, Milano 1998 Tortolani, Giacinto, Maioliche di Vietri. 1920-1960, Centro di Cultura Amalfitana, Napoli 2019

sitografia

https://archeologiavocidalpassato.com/2017/08/ http://www.botta.ch/it/ https://www.campania.beniculturali.it/ https://www.carrilhodagraca.pt/castelo http://www.castillomiras.es/proyectos/torre-huercal-overa.html https://www.domusweb.it/it/design/2012/07/09/50-anni-di-gio-ponti-a-sorrento.html https://jimenezlinares.com/proyectos/alzira/ https://www.romanoimpero.com/

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