cultur jamming

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INDICE. Introduzione. C APITO LO 1.

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La storia della comunicazione. -la comunicazione giornalistica e il mezzo stampa. -la pubblicità stampa: annunci e inserzioni -la nascita del consumatore. -l’immagine in primo piano: il manifesto. -Arte e pubblicità. -Stati Uniti: l’avvento della società di massa. -radio e pubblicità. -televisione e pubblicità. -i persuasori occulti. -peculiarità in Europa. -globalizzione.

C APITO LO 2. La pubblicità nel ventesimo secolo.

-non siamo militanti di sinistra. -guerra dei memi. -il guerrigliero dei memi. -punti su cui fare leva. -detourment. -seminario per l’educazione al Cultur Jamming. -aboliamo la cortesia di facciata. -impariamo a mettere in atto il detourment. -spianiamo il terreno per gli altri. -riformuliamo la discussione. -teniamo strette le redini del potere. -mettere in ginocchio le corporation. PA G.65

Creazione dei memi. Indice dell’immagini. Bibliografia. PA G.25

-cosa è la pubblicità oggi. -pratica comunicativa. -informazione. -seduzione. -elemento del marketing mix. -elemento del terziario. -motore economico delle imprese. -pubblicità e stili di vita.

C APITO LO 3. Interferenze culturali.

PA G.33.

-Cultur Jamming. -introduzione. -l’ecologia della mente. - il nuovo attivismo. -non siamo cool. -non siamo scansafatiche. -non siamo accademici. -non siamo femministi.

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I N T R O D UZIONE. La tesi prende in esame la comunicazione pubblicitaria e l’influenza che esercita nella società. I primi due capitoli hanno un carattere conoscitivo dell’argomento: nell’primo viene illustrato il percorso storico della comunicazione pubblicitaria: dal suo nascere sino hai giorni nostri, partendo dalle prime inserzioni, i suoi legami con l’arte e i suoi maggiori esponenti. Volendo analizzare gli effetti dei nuovi mezzi di comunicazione ( tv, radio, etc.) Il secondo capitolo si vuole illustrare la caratteristica della comunicazione pubblicitaria, quale motore dell’economia e il suo ruolo all’interno dei piani di marketing delle aziende. Il terzo capitolo si evidenzia l’utilizzo della comunicazione da parte delle grandi corporation e come questa viene utilizzata per omologare gusti, pensieri e pilotare le scelte. Negli anni questo mezzo si rivelata un arma per modificare lo stato attuale delle cose. Sempre maggiori saranno le “interferenze cultuali” (culture Jamming), nuovi movimenti che attraverso l’utilizzo stesso della pubblicità sociale, e dei massmedia, propongono di modificare gli assetti dell’ informazione, cosi rendere l’individuo soggetto attivo, capace di interagire con i grandi mezzi di comunicazione: libero di poter di potersi esprimere, e di poter scegliere ciò che è giusto o sbagliato,bello o butto, buono o cattivo.

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Capitolo 1.

come classe, ed elaborare una propria cultura. In questo complicato processo, ogni fattore è da considerarsi sia causa che effetto di cambiaLA S T O R I A D E L L A C O M U N I C A Z I O N E . menti sociali. Così l’alfabetizzazione è un effetto della grande diffusione dei prodotti stampaL A C O M U N I C A Z I O N E G I O R N A L I S T I C A E IL ti, ma anche causa dell’affermazione della M E Z Z O S T A M P A. stampa e dei prodotti in genere. I primi sistemi scolastici pubblici, sono una condizione fondamentale per la nascita dei grandi quotidiani di invenzione della stampa e lo sviluppo delle massa. reti commerciali rappresentano le condizioni Gli studiosi che hanno cercato d’individuare i per la nascita del giornalismo come comunica- fattori che hanno concorso all’affermazione zione sociale. Le innovazioni nel campo dei della stampa, come medium di massa, ritengomezzi di trasporto sono utili all’espansione del- no, che sia proprio la tecnologia ad innescare i l’industria dell’informazione, poiché ampliano processi di tale cambiamento. Il canadese le reti della distribuzione. Lo sviluppo delle fer- Marschall McLuhan definisce la stampa “estenrovie e dei battelli a vapore, dilatano in manie- sione tipografica dell’uomo” e la pone alla base ra fino ad ora impensabili le possibilità umane d’alcuni processi della società occidentale: il d’estensione nello spazio. Ciò provoca una crisi nazionalismo, l’unificazione politica delle di controllo nell’interazione sociale. I sistemi di popolazioni, secondo raggruppamenti linguisticontrollo tradizionali, basati sulla prossimità ci, l’industrialismo, i mercati di massa e la culfisica, divengono obsoleti rispetto alla nuova tura universale. situazione sociale. Si ha il bisogno dunque di nuovi dispositivi in grado di agire ad un livello La pubblicità stampa: annunci ed inserpiù alto e più potente. Il giornale quotidiano zioni. diviene uno di questi dispositivi. E in questo contesto, di mercati sempre più I lettori, in questo periodo, sono soprattutto i ampi, di mezzi di comunicazione con larghe borghesi che commerciano e impiantano impre- fasce di utenti, che nasce e si sviluppa la pubse di produzione. In seguito, il processo d’affer- blicità intesa come la intendiamo oggi. Anche mazione della stampa giornalistica è favorito perché è in questo periodo che inizia a impordalle trasformazioni sociali, legate alla prima si il concetto di prodotto, come insieme indisrivoluzione industriale che rende “cittadini” solubile d’offerta del bene di consumo e\o di masse enormi d’individui provenienti dalle servizi. Tale convinzione nasce dalla sempre campagne. Tali masse di conseguenza, perdono maggiore importanza che rivestono gli annunci la loro identità originale e il senso d’apparte- e le inserzioni sui giornali. nenza ad una comunità. E’ nella stampa che Nel corso del XVII secolo, la pubblicità inizia a cercano strumenti per acculturarsi, riconoscersi caratterizzarsi come tecnica volta a rispondere

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alle esigenze delle imprese di comunicare con il pubblico, al fine di influenzarne le scelte. Figura centrale di questo periodo è il medico francese Thèophaste Renaudot , che realizza a Parigi nel 1630 il “Bureau d’address et de recontres”, una struttura, che per la prima volta, svolge la funzione d’intermediatore tra chi vuole pubblicare le inserzioni e i giornali stessi. L’anno dopo, Renaudot inaugura una propria “ Gazette”, la prima in Francia ad accogliere un avviso pubblicitario, in seguito pubblica pagine dedicate esclusivamente agli inserzionisti. Grazie al successo della “ Gazette” in Inghilterra nasce una rivista analoga di nome: “ Public Advertaiser” (1657). Le inserzioni dell’epoca sono formate da un lungo testo argomentativo, in genere senza immagini, che riguardano sopratutto compravendite e, più raramente, libri e prodotti farmaceutici. In Italia, bisognerà aspettare il 1691 per vedere il primo avviso pubblicitario, sulle pagine del “Portagiornale Veneto Perpetuo”, dove verranno, reclamizzate le proprietà di un’ acqua. In questo periodo le inserzioni sono gratuite, e anche quando soggette a tariffe, non sono ancora considerate una fonte di sostentamento per la stampa, ma più come un servizio reso ai lettori. Un servizio che si diffonde, in maniera esponenziale e acquisisce sempre più peso. Tanto che nel 1758 lo scrittore inglese Samuel Johnson avrebbe scritto. << Gli annunci pubblicitari sono oggi cosi numerosi che sono letti con molta i negligenza ed è perciò necessario conquistare l’attenzione con magnificenza di promesse e con eloquenza talvolta sublime e talvolta penosa […] il mestie-

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re del pubblicitario è oggi cosi vicino alla perfezione che non è facile proporne un miglioramento.>>. La nascita del consumatore. L’Ottocento è soprattutto l’epoca delle grandi invenzioni, Infatti in questo periodo nascono il motore a scoppio, l’automobile, la lampadina, il fonografo, il telefono. Arrivano nelle case borghesi l’energia elettrica, il riscaldamento centralizzato, le prime cucine economiche. Con l’avvento della rivoluzione industriale, e con l’enorme impatto che essa determina nella società e nella vita quotidiana, arriva finalmente la pubblicità, con gli aspetti che la caratterizzano ancora oggi: una comunicazione verso i consumatori che sfrutta diversi canali, diverse forme e diversi mezzi per indirizzarne le scelte verso un prodotto, servizio o marca, rispetto ad altri prodotti, servizi o marche dello stesso genere. La pubblicità spinge ad acquistare beni e servizi che fino a quel momento non si sentiva l’esigenza o il desiderio di avere. E’ l’epoca della reclame - termine francese che determina una comunicazione persuasiva con fini commerciali - in un periodo che va dall’Ottocento agli inizi del Novecento, quando l’elaborazione e la realizzazione dei messaggi pubblicitari, non si basava sugli studi di mercato, ma era fondata esclusivamente sull’estro e l’intuizione d’artisti, tipografi, disegnatori e altri operatori del settore. Questa per alcuni è la vera “ epoca d’oro” della pubblicità, quando la creatività, assolutamente libera e svincolata dalle regole che oggi governano la comunicazione pubblicitaria. La “capitale del XIX secolo” è Parigi. Infatti, la


parità fra le arti e sulla necessità di una democratizzazione dell’esperienza estetica, gli esponenti pittorici furono stimolati dagli imprenditori a cimentarsi nell’arte dei manifesti, comprendendo che i limiti imposti dalle nuove tecniche di riproduzione, racchiudono nuove potenzialità espressive, in grado di condurre ad una radicale ristrutturazione dell’immagine. Nato per essere visto nel traffico accelerato della metropoli, e per inserirsi nei flussi della folla urbana, il manifesto irrompe nell’orizzonte visivo dando vita ad una nuova modalità di fruizione, sempre più distratta e disturbata. Il movimento limita la percezione, offrendo visioni fugaci, quindi diventano necessarie forme visive sintetiche, immediate e espressive. Così nella concisione massima dell’incisività di linee e colori, artisti come Toulouse-Lautrec, Cheret, Mucha, cercano di ottenere un effetto istantaneo, una nuova articolazione tra testo e immagine, cercando di ottenere un effetto istantaneo e totale. L’ immagine in primo piano: il manife- Nel linguaggio iconografico del manifesto pubblicitario, convergono tradizioni e forme visive sto. Accanto alla stampa che rimane il principale composite: dalle seduzioni delle grandi esposimezzo di comunicazione pubblicitaria, si speri- zioni, alle visioni offerte dalle vetrine; dall’incimentano e diffondono nuovi mezzi, come il sività delle caricature e delle illustrazioni, alle messe in scena teatrali; dall’essenzialità delle manifesto. Il manifesto che incarna la tendenza, in atto stampe giapponesi, all’inquadratura fotografica. ancora oggi, a far prevalere l’immagine rispetto Da qui deriva il carattere composito e aperto, la trasformazione dei linguaggi e dei temi, che al testo. Il manifesto pubblicitario si afferma, da prima, connota la stagione “gloriosa” del manifesto e in Francia, dove c’è l’abitudine a vivere gli spazi che manterrà le sue caratteristiche sino ai giorni esterni della metropoli che hanno costituito la nostri. linfa vitale della dimensione ottocentesca del- Le immagini, del resto, hanno sempre avuto un impatto fortissimo nella comunicazione pubblil’affissione. Sulle teorie di Rusckin e Morris, relative alla citaria, poiché a differenza delle parole, sono

capitale francese vive profonde trasformazioni nella struttura urbana, con la creazione dei boulevard e diviene “la ville lumiére”. La pubblicità deve il suo esponenziale incremento alla ristrutturazione del sistema dei mezzi di comunicazione, una riorganizzazione che travolge i tradizionali veicoli del messaggio pubblicitario, come i giornali, facendo emergere nuovi spazi in cui promuovere le merci. Per quanto riguarda il linguaggio usato in pubblicità, continua in questi anni il processo di sintesi ed immediatezza e di stimolo all’immaginazione. S’impone lo slogan, una frase breve che caratterizza immediatamente la marca o il prodotto. Dopo la pubblicità anche la politica, a partire 1933, utilizzerà lo slogan come strumento di comunicazione con il pubblico.

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zati da artisti ispirati all’ Art Nouveau, l’Art Deco e al Futurismo . A partire dalla seconda meta del Novecento, a cominciare dagli Stati Uniti, nascono equipe di personale specializzato che in funzione degli obiettivi stabiliti dalla campagna pubblicitaria, ricorrono ad artisti pubblicitari. L’avvento della tv, amplifica le potenzialità comunicative del manifesto che a volte è l’immagine più rappresentativa dello spot. Dopo aver conquistato le fiancate dei mezzi pubblici, il vecchio manifesto si è trasformato in enormi teli anti-polvere, dove impacchettare le facciate degli edifici in ristrutturazione.

in grado di trascendere ogni logica, colpendo spesso il “cuore” del consumatore. Alla fortuna del manifesto concorrono però, in maniera determinante, le tecniche di stampa messe a punto nel Settecento e nella prima meta dell’ Ottocento, specialmente: litografia (1796) e la cromolografia eil torchio tipografico a stella (1833). Quest’ultima, in particolare, messa a punto nel 1836 e perfezionata nel 1837, permetterà di ottenere stampe di grandi dimensioni. Tra i più importanti artisti che si sono cimentati nelle nuove tecniche di riproduzione grafica, si distinguono artisti come Henry Toulosse-Lautrec (1875-1901) che nel 1891, mise a punto un nuovo linguaggio, capace di sedurre lo sguardo dell’osservatore con silhoutte piatte deliniate dai colori piatti e decisi. I manifesti tendono a dare una visione fugace della realtà economica, sociale e culturale, in quanto tendono a dare una rappresentazione idealizzata e statica della società stessa. L’immagine e lo slogan mettono in essere la propria capacità di seduzione e di persuasione, costruendo un vero e proprio “oggetto ideologico”. Lo scoppio della prima guerra mondiale sì ha in quest’occasione di testare la capacità di persuasione nella comunicazione tramite affissione: il manifesto si rivelerà il mezzo ideale per rivolgersi alle masse. Negli anni Venti, negli Stati Uniti e in Europa, nasceranno le prime scuole di pubblicità in cui imparare ad “applicare l’arte” nella creazione di manifesti. Dai primi del Novecento, fino a dopo guerra, nella pubblicità predominano i manifesti realiz-

Arte e pubblicità. Fin dagli esordi la pubblicità instaura un legame fortissimo con il mondo dell’arte. Del resto il suo scopo è quello di comunicare in maniera creativa e coinvolgente per invogliare all’acquisto di un bene o un servizio. Sono proprio artisti come: Berlot Brecht, Francio Scott Fitzgerald, Gabriele D’Annunzio , sino ad arrivare ai Caroselli di Dario Fo che possiedono l’estro necessario per comunicare, con il pubblico. Inoltre la pubblicità lavora sulla citazione e sull’autocitazione, si appropria, della cronaca del cinema e del fumetto, secondo un meccanismo produttivo ereditato dalle avanguardie artistiche, ma che trae origine in un momento ben preciso della storia dell’arte, ovvero il Manierismo , non a caso e definito da Hauser << l’origine dell’arte moderna >>. Il Manierismo decreta la fine della rappresentazione-spiegazione di natura e storia per contribuire, dal suo interno, alla loro “ricreazione”.

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Il primo momento d’avvicinamento tra arte e pubblicità si ha quando, con l’affermarsi della rivoluzione industriale e della società borghese, si assiste alla moltiplicazione delle merci, allo sviluppo delle città e della stampa di massa. E’ l’epoca dei manifesti, che fondano la loro forza d’attrazione e il loro potere di seduzione sull’immediatezza e sulla ricchezza informativa del visivo, grazie ai colori vivaci, ad una forma sintetica e dinamica, a contenuti seducenti che catturano lo sguardo del destinatario, rappresentando una sorta d’impatto ottico, all’interno del flusso urbano. La “forma d’arte” incomincia a prendere sacralità e la centralità dell’epoca, non più rappresentazione della realtà, ma intervento sulla stessa, innescando nell’utente meccanismi di reazione e modificazione del comportamento. Tra il 1910 e il 1930, con l’esplosione delle avanguardie storiche, avviene un passaggio fondamentale: da una parte la pubblicità entra a pieno titolo nell’universo pittorico e poetico come citazione, dall’altro gli artisti sperimentano nel settore pubblicitario. I Futuristi Italiani celebrano la pubblicità come l’epos della nuova era industriale. Marinetti, Boccioni, Carrà e altri citano nella loro “parole in libertà” e nei loro quadri slogan, marche, insegne. Essi sostengono che la pubblicità non è assolutamente inferiore all’arte pittorica, ma rappresenta una forma d’arte popolare che “vive” nelle strade, senza essere sepolta nei musei, arrivando ad affermare che: << l’arte dell’avvenire sarà in maniera preponderante pubblicità > > . i I futuristi, suprematisti e costruttivisti russi s muovono lungo la linea del Futurismo italiano,

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Inoltre e proprio dall’esperienza dada che trova origine quell’attenzione ai meccanismi che innescano il desiderio, ripreso e utilizzato in ambito pubblicitario. Arte, artigianato, tecnica e creatività si incontrano nel Bauhaus . All’interno confluiscono molte delle intuizioni innovative delle avanguardie che saranno sviluppate, tra l’altro, nel campo del design, del packaging e della tipografia. Nel 1925, viene aperto l’atelier della tipografia e pubblicità diretto da Bayer , che lavorerà sempre nel rapporto tra avanguardie e pubblicità. Alle avanguardie storiche della Bauhaus si deve anche un cambiamento fondamentale nel linguaggio pubblicitario: la preponderanza dell’immagine sul testo. A partire dagli anni Trenta nei nuovi manifesti il prodotto diventa il protagonista assoluto e si perdono, così, quelle caratteristiche descrittive e narrative tipica della cartellonistica precedente. Ormai il nuovo secolo è arrivato, con la nuova società di massa con i suoi cambiamenti epocali che investiranno la società, l’economia la cultura a tutti i livelli, la reclame lascia ora spazio a più aggressive “strategie” di comunicazione di massa.

ma con importanti differenze: dopo la rivoluzione sono stati impegnati sul terreno dell’arte quotidiana e dell’arte di propaganda. La pubblicità, assume allora, un valore positivo, la banalità e i luoghi comuni devono trasformarsi in mezzi capaci di veicolare fini pratici. Il Futurismo russo e quello italiano differiscono, perché il primo sottolinea l’elemento didatticoinformativo, mentre il secondo quello fantasmagorico-spettacolare . Quasi ad anticipare le teorie di Reeves , della linea informativa e quella della seduzione, di Séguéla . Se i futuristi sfruttano i meccanismi della comunicazione, appropriandosene e sviluppandoli, i dadaisti compiono un’operazione ancora più radicale, puntano sul livello provocatorio del messaggio che entra in collisione con tutto cio che è esterno ad esso ( valori consolidati, pubblico mercato ), creando cosi dinamiche di tipo nuovo. Il biglietto da visita del movimento, << DADA non vuol dire NIENTE >>, pur avendo la concisione e la perentorietà di uno slogan, non comunica niente. Non è comunicazione è anti-comunicazione, radicalmente in contrapposizione con i valori circolanti, è l’unico che può essere inteso senza alcun rischio d’inflazione. Si mette in moto un processo a spirale inarrestabile: la negazione riproposta in continuazione, grazie al suo impatto, al trauma che crea in ogni tentativo di assestamento del mercato è la condizione che rende ogni volta possibile la produzione e la riproduzione estetica. I Dadaisti intervengono in modo da determinare i meccanismi di fruizione. E’ quello che faranno in seguito radio, televisione e pubblicità, nel campo della comunicazione.

Stati Uniti: l’avvento della società di massa. Se inizialmente la pubblicità era rivolta ad un pubblico di consumatori, per lo più appartenente alla fascia borghese, una serie di fattori, quali la produzione di massa di beni di consumo, il forte incremento della popolazione impiegata nell’industria e nel terziario, con un conseguen-

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te aumento del benessere economico, la diffusione dell’urbanesimo con i suoi caratteristici stili di vita e il successo delle comunicazione che conducono alla creazione di un pubblico di massa. Un pubblico composto in gran parte dai ceti medi, con una parte composta d’ampi settori d’operai e contadini, attratti progressivamente nell’orbita dei valori e dei comportamenti di quelle classi. Un numero così grande d’utenti, potenziali clienti, possono essere raggiunti soltanto utilizzando i grandi mezzi di comunicazione che diventano il sistema ideale per pubblicizzare i nuovi beni di largo consumo. I giornali popolari e le riviste di gran tiratura si affiancano prima alla radio e poi alla televisione. Le forme e i linguaggi liberi e creativi, in qualche maniera artistici, della vecchia réclame, non bastano più per comunicare con un così ampio pubblico. La pubblicità diviene a tutti gli effetti l’arte della persuasione, mirando ad attirare l’attenzione su un determinato prodotto, a costruire una buona immagine della marca, a imprimere messaggi precisi, puntando alla valenza simbolica dei prodotti reclamizatti che garantirebbero un innalzamento dello status sociale, contribuendo alla felicità familiare e riducendo l’ ansia, insomma offrirebbero una vita più felice. S’inizia a far ricorso alla radio e alla pubblicità, anche se in maniera discreta e privata, a ricerche e sondaggi, per tentare di costruire il profilo dei consumatori potenziali e si utilizzando perfino concetti e tecniche della psicologia del profondo.

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e della vita all’aria aperta. All’ inizio la pubblicità commerciale è discreta e poco invadente. C’èra una specie d’imbarazzo ad entrare nella privacy della gente, un suono avvisava l’arrivo di una pubblicità, erano proibite vendite dirette e citazioni di prezzi. Ma ben presto il nome dei prodotti comincia, ad essere incorporate nei titoli dei programmi. Nel 1928 Henry Field , uno dei pionieri dei venditori radiofonici, invita gli ascoltatori a comprare qualsiasi genere di prodotto. Nel 1930 lo spot pubblicitario più comune è quello da 60 secondi, poi cominciano ad essere recitati o cantanti. La pubblicità legata a premi per i consumatori, riscuoteva molto successo. Una formula che pur rivolgendosi ai bambini, non era disdegnata dagli adulti. Nel 1926 nasce il primo network: la Nbc , collegato alla Radio Corporation of America (Rca). In questo periodo si vede una prima organizzazione per le trasmissioni, dovuta ad un motivo economico. Le stazioni infatti, per trasmettere devono pagare una tassa. Allora due o più stazioni cominciano ad unirsi tra loro per trasmettere gli stessi programmi, dividendosi così le spese e riuscendo a proporsi come veicoli più appetibili, perché in grado di raggiungere un pubblico più vasto. A questo punto, le grandi corporation iniziano ad offrire i loro programmi ai network minori, sparsi per il territorio. La coesistenza all’interno dei network, di una programmazione nazionale e locale, consente alla radio di raccogliere pubblicità dalle grandi marche a livello nazionale, ma anche le piccole realtà legate strettamente alla situazione locale. La crescita del sistema porta ben presto a problemi dovuti al sovraffollamento. Le interferen-

Radio e pubblicità. La radio è il primo vero mezzo di comunicazione di massa, in grado di raggiungere livelli di diffusione eccezionali e di mettere in crisi la raccolta pubblicitaria. Nasce da un’evoluzione del telegrafo di Gugliemo Marconi e viene sviluppata di due americani nel 1920. Sin dagli inizi, la radio negli Stati Uniti è gestita da privati e diviene in breve tempo, indipendentemente dall’ascolto, un vero e proprio status symbol e un oggetto anche d’arredo, che conferisce alla casa un carattere di modernità. Gli utenti più vari – grandi magazzini, giornali, compagnie d’assicurazione fanno a gara o si consociano alle prime stazioni di trasmissione radio. Sin dall’inizio i rapporti tra radio e pubblicità sono strettissimi negli Stati Uniti, infatti, questa è considerata la naturale fonte di finanziamento e negli anni Venti si scoprono le grandi potenzialità del nuovo mezzo. Innanzitutto la radio ha un ampio bacino d’utenza, una gran quantità d’ascoltatori reali o potenziali. In secondo luogo permette di rivolgersi a quell’utenza che per ignoranza o indifferenza, è restia ai messaggi della carta stampata. Infine, è un mezzo fortemente presente nella vita quotidiana: le trasmissioni e le pubblicità in essa contenute, coprono una fascia oraria molto più ampia del tempo che invece dedica la maggior parte della popolazione alla lettura, inoltre la percezione dei messaggi può convivere con altre attività. La prima pubblicità radiofonica risale al 1922, quando per 300 dollari furono venduti degli annunci che lodavano i benefici della campagna

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ze tra una trasmissione e un'altra, in particolare, rendono sempre più difficile la ricezione delle trasmissioni. Si rende necessaria una nuova legge: il “ Radio Act” del 1927 che, con l’istituzione della Federal Radio Comission , regola la designazione dei canali, vieta le stazioni portatili, blocca le interferenze e consente di controllare l’uso “morale” della radio. A partire dagli anni Trenta la crisi della crescita è superata. La pubblicità incomincia ad assumere prevalentemente la veste di sponsorizzazione. La maggior parte dei programmi è prodotta direttamente dalle agenzie pubblicitarie, allo stesso modo in cui esse pianificano e realizzano le affissioni e gli annunci sulla stampa. I network, adesso, vendono totalmente un determinato spazio di programmazione e lo considerano a tutti gli effetti proprietà dello sponsor che può farne ciò che vuole. Nel dopo guerra, con l’avvento della televisione si assiste ad una nuova riorganizzazione dei media. I grandi network come l’Abc, la Cbs e la Nbc, cominciano a concentrarsi sul nuovo mezzo di comunicazione e finiscono per trascurare la radio, rompendo i contratti e riducendo le risorse per i giornali radio. Benché il contraccolpo sia notevole, la radio non viene soppiantata totalmente dalla televisione, ma piuttosto è costretta a ridefinire il suo rapporto con il pubblico. In questo importanti innovazioni tecnologiche saranno d’aiuto. La radio, prima negli Stati Uniti, poi in Europa, inizia una segmentazione e specializzazione del proprio pubblico, ancora più accentuata. Innanzitutto, assume più di prima, la funzione di riempire il vuoto di quelle fasce di pubblico come le donne e i bambini, costretti dai feno-

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meni di suburbanizazione, ad un maggiore isolamento in casa per buona parte della giornata. Soprattutto riesce ad intercettare il nuovo pubblico giovanile che si va strutturando come un grande mercato potenziale. Nasce negli anni 50, una nuova cultura giovanile, basata principalmente sulla musica, che si rivolge ai programmi delle stazioni FM condotti dai disk-jokey che usano lo stesso linguaggio dei giovani e trattano temi specificatamente dedicati a loro. Sono gli anni del rock’n’roll in cui la radio diventa il veicolo pubblicitario privilegiato per pubblicizzare un nuovo prodotto: il disco. La radio è inoltre un canale particolarmente adatto a propagandare qualsiasi merce legata al consumo giovanile. Oltre ciò, vede la luce tutta una serie di canali ultra specializzati per un’ utenza ancora più ristretta, ma estremamente fedele: è la radio a sperimentare per prima la monotematica dedicata esclusivamente alle news, o a generi musicali particolari. Si diffondono, infine, i cosiddetti call-in, canali in cui è possibile al pubblico interloquire attraverso il telefono. Televisione e pubblicità. Negli anni successivi al primo conflitto mondiale giunge a compimento il processo di massificazione, inaugurato dall'esplosione della rivoluzione industriale. La pubblicità dal canto suo accompagna tale processo, vivendo profonde trasformazioni che tendono sempre più a adeguarla ai ritmi e agli stili dei nuovi modi di vita. La data fondamentale della tv è il 1939, quando Vladimir Zworykin , inventa il tubo a raggi catodici. Il mercato inizia a svilluparsi: si producono rice-

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vitori (tv) domestici e molte stazioni acquistano la licenza per trasmettere. Lo sviluppo dell'industria televisiva viene sicuramente favorita dalla preesistente esperienza radiofonica. Al nuovo mezzo vengono trasferiti gli apparati produttivi e organizzativi, le competenze e i mezzi finanziari, l'inquadramento giuridico e legislativo, già acquisiti con la radiofonia. Come era stato per quello radiofonico, così anche il sistema televisivo americano è in mano a privati. Nbc, Cbs e Abc essi offrono la loro programmazione, con la pubblicità già inserita, alle stazioni locali che le trasmettono per un certo numero d’ore al giorno, in questo modo le stazioni locali trasmettono programmi di qualità aumentano l'audience, per poter poi vendere spazi pubblicitari nelle ore di programmazione autonoma. Gli alti costi richiesti dalla produzione spingono molte emittenti locali a consorziarsi tra loro per la produzione di programmi e la raccolta della pubblicità. Nascono i syndications . Il 1° luglio 1941 nasce la prima tv commerciale del mondo: la Wnbt, affiliata alla Nbc . All'inizio la strategia pubblicitaria più diffusa è quella delle sponsorizzazioni dei programmi. In questo modello il ruolo della rete televisiva è assolutamente marginale. Nelle ore a lui cedute, lo sponsor è il monarca assoluto, decide delle programmazioni e ne determina contenuti ed eventuali cambiamenti. I programmi sono spesso ideati e creati dalle agenzie pubblicitarie, il regista di solito è un loro dipendente e nello studio c'è sempre un dirigente della società di sponsorizzazione con il compito di ratificare le scelte degli autori o modificarle all’ultimo

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momento. Un esempio di strapotere degli sponsor, nella creazione dei programmi televisivi, può essere: Man against crime andato in onda nel 1949, sponsor delle sigarette Camel. In questa serie era vietato citare gli incendi, tossire e nessun "cattivo" poteva essere un fumatore. Negli anni Quaranta e Cinquanta la televisione americana e completamente asservita alle esigenze della pubblicità, non solo sul piano dei contenuti, ma anche su quello dei linguaggi, dei formati e delle modalità di comunicazione. A scapito dei concerti e delle rappresentazioni teatrali , tipici della tv del primo periodo, s'impongono varietà, quiz, fiction , generi più graditi agli sponsor e più aderenti alla filosofia e ai messaggi pubblicitari. L'era della sponsorizzazione entra in crisi negli anni Cinquanta, quando i costi di produzione hanno modificato il sistema delle sponsorizzazioni, per finanziare un programma ora occorrono due o tre sponsor; inoltre le emittenti cercano d’imporre il sistema dell’interruzione pubblicitaria, separando in maniera netta lo spazio dedicato alla pubblicità da quello del programma, così da liberarsi dall’influenza pervasiva degli sponsor e acquisire il controllo della gestione e della programmazione televisiva. Lo scontro va avanti a lungo e si risolve a favore del modello propugnato dalle emittenti, con lo scandalo Revlon . Da qui prende il sopravvento il sistema dell'interruzione pubblicitaria: lo spot diventa il mezzo principale attraverso cui la pubblicità finanzia la televisione americana e di tutto il mondo. In questo periodo nasce un programma più adatto ad accogliere al suo interno lo spot: il telefilm che è diverso dai program-

mi precedenti, perché è in differita e rappresenta l’ingresso nella televisione dei grandi produttori di contenuti e dei professionisti della narrativa per immagini. Verso la meta degli anni Cinquanta, i network, che per legge non possono produrre in proprio, stringono accordi con gli studi cinematografici di Hollywood . Nasce così i l serial , un prodotto dalla rigida struttura formale, basata sulla serialità e la standardizzazione delle situazioni narrative, sull’utilizzo del “lietofine”. Il programma è costruito in modo da accogliere in maniera organica le interruzioni pubblicitarie, dato che queste ultime sono già previste dalla sceneggiatura in determinati punti della storia. Il telefilm, attuando l’incontro tra la serialità del mezzo televisivo, l’integrazione e la funzionalità del messaggio pubblicitario, rappresenta il genere tipico della tv commerciale.Un genere che ha sempre avuto un enorme successo, tanto che ancora alla fine degli anni Novanta la sua presenza nella fascia oraria di maggiore ascolto si attesta attorno al 70% della programmazione dei network. Ancora negli anni Cinquanta e Sessanta il pubblico è visto come una massa tendenzialmente omogenea, tranne che per le sue caratteristiche socio-economiche, nella mentalità e nelle aspirazioni. Si ritiene che esista uno stile di vita uniforme della maggioranza media con piccole variazioni, basato su quell’ insieme di merci e servizi come il mobilio, la radio, il frigo e marche standardizzate di cibo e vestiario. Si pensa, soprattutto da parte di chi critica le tecniche di suggestione pubblicitaria, che il pubblico può essere eterodiretto, in altre parole sottoposto ad ogni sorta di condizionamenti sociali e pubblici-

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tari. Emerge la questione dei “falsi bisogni”, indotti nella massa passiva e amorfa dei consumatori dalle manipolazioni della comunicazione pubblicitaria .

I persuasori occulti. Nel 1957, Vance Packard , quarantatreenne insegnate di giornalismo all’università di New York, pubblica un libro dal titolo intrigante: I persuasori occulti. Il volume analizza la perversa alleanza tra psicologia e pubblicità, denunciando l’uso di tecniche derivate dalla psicologia del profondo per manipolare i comportamenti degli individui. Il successo è enorme e il testo viene ben presto tradotto in tutto il mondo; Packard diventa l’esponente più autorevole di quella corrente di pensiero che mira a mettere in guardia sui rischi rappresentanti dallo strapotere della comunicazione commerciale nei confronti della liberta degli individui. Sin dalle prime pagine sono esposte le finalità del lavoro, utilizzando un tono apocalittico: << Questo libro prende in esame un aspetto nuovissimo, ancora misterioso, si potrebbe dire esotico della vita americana. Molti di noi sono oggi influenzati assai più di quanto non sospettino, e la nostra esistenza quotidiana è sottoposta a continue manipolazioni di cui non ci rendiamo conto. Sono all’opera su vasta scala forze che si propongono, e spesso con successi sbalorditivi, di convogliare le nostre abitudini inconscie, le nostre preferenze di consumatori, i nostri meccanismi mentali, riccorendo a metodi presi a prestito dalla psichiatria e dalle scienze sociali>>. Il problema è che quello di Packard non è un


romanzo. Il libro, sviluppa polemiche durissime, anche sulla base della diffidenza che larghe fasce della società conserveranno a lungo nei confronti della comunicazione pubblicitaria. Peculiarità della pubblicità in Europa. Negli Stati Uniti il sistema televisivo, come quello radiofonico, nasce e si sviluppa con l’intervento decisivo della pubblicità, in Europa la situazione è completamente diversa. Nel vecchio continente i mezzi di comunicazione sono considerati un bene pubblico, gestito dallo Stato, a beneficio dell’intera comunità: d’altronde le finalità sia della radio che della tv restano quelle di “informare, educare, divertire”. E’ in quest’ottica che la comunicazione pubblicitaria, in quanto espressione del mercato e interessi economici, è vista come elemento corruttore, incapace di assolvere, o quanto meno di partecipare, alle funzioni d’elevamento culturale del pubblico che la televisione deve garantire. Nel Regno Unito la pubblicità entra in televisione solo nel 1955 quando, con la nascita d’ Itv ,il monopolio si trasforma in quello che è comunemente definito “duopolio morbido”. Itv è una tv privata costituita da una federazione di quindici compagnie indipendenti, il nuovo assetto regge economicamente grazie alla raccolta pubblicitaria. Itv è responsabile per la qualità dei suoi programmi, nei confronti del Ita (Indipenden Telavision Authority ), la quale ad esempio, le impone di trasmettere nelle fasce orarie di maggiore ascolto programmi di attualità o notiziari.

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Il sistema televisivo inglese, composto dalla BBC 1 e BBC 2 , Itv e Channel Four , rimane a lungo in equilibrio tra esigenze commerciali e di qualità. Nella metà degli anni ottanta, il sistema televisivo, anche grazie a nuove tecnologie come il satellitare, è costretto a cedere alla pressante commercializzazione. Altre Tv europee vivono una vicenda simile a quella Britannica, caratterizzata dalla scelta del monopolio statale: aprendosi da prima timidamente alla pubblicità negli anni Cinquanta, per poi accogliere spot e commercial soltanto a partire dagli anni Ottanta. Le differenze nella genesi e nei successivi sviluppi, sommato ad altre motivazioni d’ordine politico, sociale ed economico, possono spiegare come la pubblicità è cresciuta e sia divenuta un fenomeno maturo negli Stati Uniti rispetto all’Europa. I pubblicitari americani devono fare i conti le con strategie di vari mezzi ( radio, tv, affissioni, annunci), i pubblicitari in Europa possono usare in sostanza la stampa e la cartelonistica e solo in misura ridotta, radio e televisione. All’interno di questa situazione, un pò ristretta è gioco-forza che i pubblicitari europei debbono affinare le armi della creatività e della fantasia, piuttosto che seguire modelli collaudati: appoggiarsi a test e ricerche o sfruttare le nuove possibilità offerte dalle scienze sociali e psicologiche. La strada della creatività è quella scelta da tutti i pubblicitari europei: è quanto mette in evidenza anche David Ogilvy , il quale a proposito della pubblicità inglese, sottolinea come questa sia meno competitiva, meno diretta e meno emotiva di quella americana, ma anche più sottile e divertente. A proposito di quella

francese afferma. << si distingue per il suo spirito e il suo fascino e la bella art direction, qualità che emergono in massimo grado nella pubblicità per riviste e manifesti …. I copywriter e gli art director francesi non sono limitati dal tipo di ricerca con la quale devono fare i conti i loro colleghi americani, che non possono permettersi di alzare il tiro sopra la testa del gran pubblico>>. La creatività è la base di quella che è stata definita l’esplosione pubblicitaria negli anni Ottanta. Una delle figure centrali di questo rilancio e rinnovamento reso possibile dalle nuove condizioni economiche e sociale e dall’enorme ampliamento di spazi. Un importante figura in questo periodo fu senza dubbio Jacques Sèguèla . Egli infatti ha messo appunto una filosofia creativa e una metodologia di lavoro definita “star strategy” tale concezione si oppone concretamente alla “ copy-strategy”, incentrata sulle ricerche per identificare il target di riferimento sulla comunicazione dei benefit che il prodotto offre. La star-strategy , innanzitutto mira a pubblicizzare le marche, piuttosto che i prodotti. Questo perché la standardizzazione di questi ultimi rende difficile, se non impossibile, individuare i pregi da mettere in evidenza, da qui la necessita di demandare alla comunicazione pubblicitaria la creazione di quelle differenze che possono spingere gli utenti a scegliere una marca piuttosto che un'altra. La marca deve essere considerata come una persona dotata di un proprio carattere di un proprio stile e fisico. Quest’ultimo rappresenta cio che la marca, o il prodotto effettivamente è, le sue caratteristiche reali. Il carat-

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tere è l’anima che la pubblicità può infondere. Lo stesso Sèguèla, fautore della star-strategy, quale esempio di carattere, cita il cowboy della Malboro di Leo Burnett . Grazie alle caratteristiche acquisite dalla marca, attraverso l’identificazione con quel determinato carattere ( il cowboy ), la campagna pubblicitaria non aveva più bisogno di reason why o di benefit, in quanto potevano produrre risultati controproducenti. La star-strategy , già nel nome si rifà allo starsystem Hollywoodiano e ne condivide gli obiettivi: far diventare star dei marchi, sfruttando a fondo i meccanismi della comunicazione e della costruzione dell’immagine. Come nel caso degli attori il carattere deve rimanere immutabile, il fisico e lo stile possono cambiare. John Wayne può essere invecchiato o fare l’astronauta invece del cowboy, ma il suo personaggio avrà sempre lo stesso carattere, allo stesso modo il Bibendoom che è la Michelin può cessare di essere un disegno, un fumetto, e diventare un pupazzo tridimensionale che parla, si muove e interagisce con gli esseri umani, ma deve sempre mantenere le proprie caratteristiche di affidabilità e sicurezza. Accanto a Séguèla occorre ricordare anche Claude Bonnage uno dei tre soci della T.B. W.A il quale sulla scorta delle teorie communicazionali di Paul Watzlawick e la Scuola di Palo alto, propone una comunicazione pubblicitaria che non miri semplicemente ad informare o a convincere con la propria invadenza ossessiva, ma punti piuttosto a sedurre l’utente, promettendo il godimento nell’acquisto e rivolgendosi a quella parte del cervello che presiede all’affettività. La merce diventa oggetto di contemplazione estetica portata al di fuori del suo contesto e separata dalla sua funzione


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originaria. Non soltanto ogni oggetto può essere arte, ma l’arte fa sua anche la riproducibilità stessa, il carattere seriale del prodotto industriale, questo avviene sia dal punto di vista figurativo, con le varie serie della Coca-cola o delle zuppe Campbell; sia nell’uso di procedimenti seriali e standardizzati, come la serigrafia, in cui l’intervento “artigianale” dell’autore è ridotto al minimo. Il nuovo rapporto che, a partire dagli anni sessanta, è andato instaurandosi tra arte e pubblicità, sembra ben spiegato da una affermazione di Andy Warhol rimasta celebre: << A volte penso che i supermercati siano molto simili ai musei. >> Globalizzazzione. Negli anni Novanta il mondo subisce una serie di trasformazioni che modificano in modo sostanziale la struttura economico\sociale, prima dell’Occidente industrializzato e di conseguenza del resto del pianeta. Alla base di questo cambiamento c’è un nuova struttura produttiva e uno stile di vita determinato dall’esplosione delle nuove tecnologie informatiche. Entrata in crisi la centralità della fabbrica fordista, basata sulla parcellizzazione del lavoro, la razionalizzazione dei processi lavorativi, sia come unità produttiva, sia come modello principale dell’organizzazione sociale. Questo nuovo sistema, chiamato anche “ post-fordista”, si caratterizza dalla flessibilità e dalla capacità di mettere in rete, integrandoli, modalità, tempi e luoghi di produzione molto diversi, dalla fabbrica robotizzata al laboratorio ad alta tecnologia e ai distretti industriali, ai monumenti della finanza mondiale. La vera verità del post-fordismo è

forse quella di aver messo a lavoro i saperi abolendo, in qualche modo la tradizionale divisione tra tempo di lavoro e tempo libero, e integrando quest’ultimo nel circuito di produzione della ricchezza. Competenze e conoscenza capacità di relazionarsi agli altri: sono queste le caratteristiche più richieste sul mercato del lavoro e rappresentano una serie di funzioni che possono venire acquisite nell’ambito lavorativo tradizionale. Il modello post-fordista si fonda sulla capacità d’essere planetario e universale e mette in moto i meccanismi inarrestabili della globalizazzione . Ignace Ramonent , direttore di “Le Monde Diplomatique”, ha coniato a questo proposito l’espressione “ pensiero unico”, che sintetizza il processo d’unificazione dell’intero pianeta ai moduli dell’occidente, con la conseguente riduzione di tutte le diversità, locali, economiche, ambientali, etniche e culturali alla ragione tecnico-scentifico dominati dai paesi sviluppati e l’opposizione generalizzata della logica delle imprese multinazionali e del capitale finanziario.

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Capitolo 2.

LA

Sui dati raccolti, si decidono i contenuti e i media, da utilizzare per la campagna pubblicitaria. I principali media, sono: -la stampa ( quotidiani, periodici, pubblicazioni specializzate ); - la televisione ; - la radio e le affissioni ( manifesti e cartellonistica stradale ); -il cinema - Internet - Altri canali: il direct marketing , la pubblicità diretta : inserti stampa, materiale al punto vendita, elenchi telefonici, biglietti degli incontri sportivi e la pubblicità mobile : tram, taxi, cellulari, ect.. Le campagne pubblicitarie possono essere distinte anche per la loro tipologia. Per arrivare al pubblico è fondamentale la scelta del mezzo con cui comunicare che deve essere considerato secondo le caratteristiche del messaggio, del target e del mezzo stesso. - campagne di prodotto dove si pubblicizza un determinato bene o servizio. -campagne di marchio (o branding ), in cui s’intende promuovere il nome dell’azienda, dette anche istituzionali . -pubblicità tecniche , prodotti e servizi appartenenti ad ambiti specifici che utilizzano la stampa specializatta. -campagne di sponsorizzazione , quando eventi sportivi o culturali sono sostenuti economicamente da un azienda. -pubblicità sociali , finalizzate a stimolare l’attenzione su problematiche sociali; -piccola pubblicità o inserzioni , finalizzate all’informazione diretta.

P UBB LICI TÀ N EL V E N T E S I M O S E C O -

L O.

Che cosa è la pubblicità?

C ercare una definizione di cosa sia la pubblicità non è cosa facile. Esistono molteplici definizioni come altrettanto sono le persone che si sono occupate della questione nei suoi più vari aspetti: economico, sociale e anche come proposta di linguaggio. In ambito commerciale, per pubblicità s’ intende l’insieme delle iniziative che mirano a favorire e a stimolare la vendita di un impresa, raggiungendo il maggior numero di potenziali clienti, mediante varie forme di comunicazione. Una definizione forse più esaustiva è quella proposta da Alberto Abruzzese e Fausto Colombo: la pubblicità è una. << pratica sociale volta all’esibizione di contenuti simbolici, con funzione di persuasione o di socializzazione. Solitamente realizzata nel contesto di un più vasto scambio di stampo economico e/o comunicativo. >> Il nodo centrale è rappresentato dalla comunicazione: in ogni caso si voglia analizzare, dal punto di vista commerciale o sociologico, la pubblicità mette sempre in moto un processo comunicativo. Quindi gli elementi fondamentali da prendere in esame sono: 1. la natura del prodotto , del servizio o del marchio ; 2. il segmento di consumatori o target ; 3. il budget disponibile.

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in lingua inglese, perchè semplice e compreso da tutti. Tale fenomeno si presta ad attirare il consumatore medio, gratificato dal fatto che la pubblicità si rivolga a lui in maniera “esotica” e suadente. Oggi la pubblicità si avvale di codici espressivi che rispondono all’esigenza di stupire e scioccare il pubblico. Tale fenomeno potrebbe essere imputabile alle seguenti ragioni: - all’affollamento pubblicitario. - alle caratteristiche dei nuovi utenti. Alcuni di questi interventi sono propedeutici, antecedenti alla pubblicità vera e propria. E’ il caso dello studio del marchio o del packaging , elementi questi che devono essere decisi prima della campagna. Altri si rivolgono ad un determinato settore del pubblico, molto ristretto e selezionato direttamente dall’emittente del messaggio pubblicitario. Si pensi alle operazioni di mailing , in pratica l’invio di stampati, questionari ad un campione di potenziali acquirenti. Altre ancora, come le sponsorizzazioni , mirano a stimolare il ricordo della marca e a rafforzare l’ immagine, mirando a suscitare la simpatia nei confronti dell’azienda produttrice. In Inglese la differenza tra la pubblicità e le altre forme di comunicazione è espressa in maniera chiara grazie all’ utilizzo di due termini diversi: la pubblicità e detta Advertising per il resto si usa la locuzione below the line ( sotto la linea del budget tradizionale, speso con i media classici. ) A partire dagli anni ottanta si è assistito, soprattutto negli Stati Uniti, ad un grande sviluppo di alcune azioni di below the line , principalmente

Quindi, non si limita a vendere prodotti, ma veicola e impone immagini, sogni, stili e modelli di vita idealizzati. Spesso la pubblicità è vista come una pericolosa arma in favore del consumismo. La sua funzione principale e quella d’innescare nuovi desideri che potrebbero tramutarsi in ansie e in disaggio sociale. Alla pubblicità in ogni modo va riconosciuto il merito di aver accelerato l’introduzione di nuove tecnologie ad una cerchia sempre più ampia di consumatori, allargando i mercati, riducendo i prezzi dei beni di consumo, accelerando i cambiamenti. Il linguaggio pubblicitario. Quello pubblicitario è un linguaggio specifico , perché non si rivolge a persone del settore, ma ad un ampio pubblico con la funzione di convincerlo. Ogni messaggio pubblicitario viene costruito da professionisti del settore ( art director e copywriter ), che assemblano tra loro linguaggi diversi: verbali, iconici, musicali . Il rapporto che si è istaurato tra la lingua comune e il linguaggio pubblicitario è duplice: da una parte quello pubblicitario sfrutta e valorizza le capacità espressive della lingua nella quale si esprime, dall’altra, poiché tende a creare parole-merce , favorisce l’impoverimento della lingua d’origine e quindi può essere definito anche una mercificazione linguistica . Il linguaggio pubblicitario è sintetico, e quindi può essere essenziale ed accattivante. Vi abbondano i superlativi (altissima ), i prefissi ( extraforte ) e le figure retoriche, mentre gli aggettivi ten. dono a sostituirsi agli avverbi ( mangia sano ) Nella pubblicità televisiva abbondano i termini

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del direct marketing , con investimenti aumentati tanto, da raggiungere quelli dell’ advertising . Da quel momento la comunicazione delle aziende verso i consumatori è strutturata in maniera da assegnare ampi spazi a questo settore della comunicazione, come sponsorizzazioni, azioni di relazioni pubbliche, organizzazione d’eventi, etc. La pubblicità come elemento del m a r k eting mix. La funzione della pubblicità non si esaurisce a livello della comunicazione. Affinché una campagna pubblicitaria possa risultare efficace è necessario che si inserisca in perfetta sintonia con gli altri elementi del marketing . Se il prodotto non viene cappilarmente distribuito nei punti vendita, l’ efficacia della comunicazione risulterà comunque nulla. Quindi la pubblicità e da considerare uno degli elementi del marketing mix: un mezzo attraverso il quale le aziende comunicano con il pubblico. Il Marketing mix è l’insieme delle funzioni del marketing presenti in un’ azienda. Il marketing è un processo che mira ad anticipare e sviluppare e soddisfare il trend della domanda e dei consumi, attraverso la realizzazione, lo scambio e la distribuzione di tali beni o servizi. Poiché elemento del marketing mix, la pubblicità deve lavorare in piena sintonia con la distribuzione, il punto vendita, il packaging, il costumer care (assistenza ai clienti) etc. La promozione deve inoltre contribuire al raggiungimento degli obiettivi di marketing: acquisizione di nuove quote di mercato, consolidamento della posizione gia acquisite, l’ingresso in nuovi mercati. In fine, influenza tutti gli altri

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Un caso emblematico, è la relazione tra la stella del basket Michael Jordan e la Nike , dove ognuna delle parti in causa è alla base del successo dell’altra, grazie ad un rapporto di reciproca promozione. Jordan rafforza Nike e Nike rafforza la notorietà dell’immagine Jordan, trasformando l’atleta in un’icona mediatica e in un mito dell’immaginario collettivo. Per quanto riguarda l’Italia, la tendenza è da ricercare all’interno dello sport più popolare: il calcio. Oggi gli introiti di una squadra non arrivano più dal numero di tifosi paganti, ma ruotano intorno alle forme di sponsorizzazione diretta o alla vendita dei diritti tv, il cui prezzo è determinato dal livello della raccolta pubblicitaria che può generare. Un altro aspetto del rapporto che lega la pubblicità al sistema economico, è la sua capacita di funzionare da stimolo alla continua evoluzione tecnologica delle imprese, diventando così una forma d’investimento indiretto, poiché stimola i consumi e contribuisce in maniera decisiva a far espandere i mercati esistenti e a crearne dei nuovi.

elementi ma ne rimane influenzata. Quindi, ogni volta che si cambia un elemento del marketing mix, ci si trova, a dover modificare l’intero sistema. Il motore delle imprese. La pubblicità come tutti gli altri elementi del terziario si pone all’interno di una filiera che coinvolge tutta una serie di servizi-clienti e fornitori e genera flussi economici d’importanza rilevante. Il settore pubblicitario è divenuto un elemento strutturale nella creazione di profitti per tutta la struttura dei media. Infatti, distribuendo gli investimenti delle aziende su più mezzi di comunicazione. La stampa, la televisione, la radio: non ce circuito comunicativo che non sia legato agli investimenti pubblicitari. Come anche i portali, i motori di ricerca e i siti web. E’stata, proprio questa possibilità di ottenere redditi dagli investimenti pubblicitari ad incrementare i media dalle radio libere, alla televisione commerciale, sino alle più moderne strutture di comunicazione on-line. Inoltre, la pubblicità rappresenta un importante canale economico anche per il mercato della fruizione artistica e culturale. Rappresentazioni teatrali, restauri d’opere d’arte e manifestazioni culturali in genere, hanno spesso luogo grazie all’intervento degli sponsor. Un processo analogo avviene nel mondo dello sport. Olimpiadi, campionati nazionali o internazionali, singole gare, rientrano nel circuito della sponsorizzazione e della comunicazione pubblicitaria che non risparmia neanche il singolo atleta.

Pubblicità come informazione. Secondo David Ogilvy, famoso creativo statunitense: << la pubblicità, non va considerata come qualcosa d’artistico o divertente, ma come un mezzo d’informazione. Quando scrivo un testo non voglio che sia considerato creativo, ma tanto interessante da far comprare il prodotto>>. In questa sua affermazione Ogilvy pone l’accen-

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Le marche sono ormai divenute delle vere e proprie super-star. Come Hollywood ha inventato lo star-system, così è arrivato il momento di usare la star-strategy in grado di donare agli oggetti un’aurea che li umanizzi, affinché il pubblico si possa immedesimare come ha fatto per le star del cinema dei tempi d’oro. Ecco le parole Sèguèla : << Noi siamo i soldati dell’inatteso, non ci arruoliamo mai nell’esercito dell’abitudinario>>. Anche Claude Bonnage , uno dei fondatori dell’agenzia internazionale T B W A , accosta la pubblicità all’arte, ma ad un’arte effimera è limitata nel tempo. << Come la bellezza e l’umorismo, anche la pubblicità, arte e tecnica dell’effetto immediato, traccia incisiva l’istante, è un fenomeno con una durata storica>>. In quest’ottica la pubblicità non deve solo condizionare ed informare il consumatore, ma sedurlo. La tendenza a “informare” vive e produce significativi mutamenti nella struttura del messaggio: privilegiando la comunicazione relativa al marchio, rispetto a quella del prodotto. Sempre più i marchi, all’interno, del circuito comunicativo rivestono una funzione di “traino” nei confronti dei beni prodotti dell’azienda.

to sul carattere informativo della pubblicità: per essere efficace il messaggio deve informare sulle caratteristiche del prodotto. Si è insistito sulla necessità di presentare con la giusta evidenza i plus del prodotto ( cio che lo differenzia dalla concorrenza ) e i benefit per il consumatore ( i vantaggi che trae dal prodotto o servizio ). Quando la pubblicità mira a persuadere attraverso l’informazione, i creativi sono attenti a coniugare gli aspetti informativi con stilemi linguistici e iconografici, questo per coinvolgere e convincere il pubblico. Infatti, la pubblicità informativa risultava vincente in situazioni di mercato molto diverse da quelle di oggi. La standardizzazione dei prodotti, che non era cosi elevata come oggi, permetteva rimarcare le peculiarità e le differenze di un prodotto rispetto a un altro. I cambiamenti odierni non hanno pero eliminato la necessità di comunicare dati e informazioni sui prodotti o servizi all’interno dei messaggi pubblicitari. Anche quando si tende a privilegiare le tecniche comunicative che sfruttano l’emotività del potenziale cliente, rimane fondamentale comunicare i plus ei benefit dei prodotti. La pubblicità come seduzione. La tendenza ad instaurare un rapporto emozionale con il consumatore si è affermata dagli anni 60 agli anni 90 e ha trovato in Europa uno dei maggiori estimatori e teorici. Jacques Séguéla , il più celebre pubblicitario europeo, il quale non esita a definire la pubblicità come l’ottava arte, perché porta allo scoperto i miti, i desideri, i bisogni inespressi della società. Ed è un’arte strettamente legata alla cinematografia.

Pubblicità e stili di vita. Le relazioni che intercorrono tra pubblicità e società, sono molteplici. Un primo livello è facilmente intuibile: stimolando il consumo la pubblicità induce il pubblico a comprare, contribuendo in maniera diretta alla costituzione di

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determinati stili di vita. La pubblicità non si limita a stimolare comportamenti d’acquisto, ma funziona anche come elemento di socializzazione di categorie mentali: la famiglia felice, il giovane ribelle, il single sicuro di se, l’uomo o la donna raffinati, raffigurati in tanti annunci pubblicitari, esibiscono un ideale reale o presente nelle aspirazioni sociali della gente. Si determina così il diffondersi di certe pratiche sociali, a discapito di altre. In questo la pubblicità svolge un doppio ruolo: da un lato è parte costitutiva della realtà sociale, dall’altro ne restituisce un’immagine “iperritualizata”, proponendo situazioni-tipo, comportamenti stereotipati e soprattutto facilmente decifrabili, in modo che possano essere accolti e replicati dal pubblico senza difficoltà. Spesso la pubblicità ha colto tendenze di fondo dell’ evoluzione della società, rendendole evidenti e contribuendo alla loro realizzazione. Una volta ratificato questo mutamento, descrivendolo come un’esperienza soggettiva arricchente, lo porta alla considerazione di tutti attraverso l’universo dei mass media. Questa - direbbe Séguéla è: la missione artistica della pubblicità che realmente l’avvicina al cinema, coglie le mutazioni della società e del costume, per esibirle. Del resto si pensi all’influenza che ha avuto il linguaggio pubblicitario sulla lingua parlata o ancora, come il montaggio rapido, nervoso e sintetico degli spot, abbia contribuito a determinare un nuovo linguaggio visivo in campo cinematografico, basata sull’istantaneità.Secondo alcuni, con la carente autorità delle istituzioni come la Chiesa o la scuola, la pubblicità è diventata una specie di guida sociale.

Comunica e agisce all’interno di tre tipi di conoscenze: 1. la conoscenza pratica, che consente di risolvere le difficoltà della vita quotidiana; 2. l’ autoricoscimento , in pratica come possibilità di conoscersi ed esplorarsi; 3. la chiave per il mondo, ossia come forma di “galateo”, utile a gestire con efficacia le molteplici relazioni sociali che una società, sempre più complessa, comporta. La pubblicità, dunque, non può essere considerata solo una ricercata strumentazione espressiva della civiltà dei consumi: è anche un insieme d’affetti, simboli e valori. E’ una waltanschauung , ossia una visione del tempo. Poiché, insieme complesso di strategia e linguaggi, è una forma diffusa di potere e cultura, risorsa economica e sociale. La pubblicità è entrata ormai a far parte del sentire comune, di conseguenza la professione del comunicatore rientra, a pieno titolo, tra le forme più avanzate di lavoro intellettuale.

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Capitolo 3.

IN T E R F E R E N Z E

CU LT UR A LI .

Sfideremo i grandi contaminatori mentali e li vinceremo sul loro stesso terreno. Getteremo discredito sui loro multimiliardari con delle contropubblicità sulle televisioni, dei controannunci sulle riviste e dei giganti contromessaggi disposti accanto ai cartelloni pubblicitari sui muri delle città. Ci approprieremo degli spazi e dei ruoli che ora sono prerogativa, delle corporation, e organizzeremo diversamente i loro organismi di produzione. Ribalteremo il sistema degli emissari della cultura popolare e metteremo per sempre la parola fine ai loro meccanismi di creazione d’immagini. Costruiremo una nuova cultura sulle macerie di quelle vecchia, ma con un cuore e un’anima non commerciali.

Culture Jamming. Nel 1991 il critico d’arte, Mark Dery conia per la prima volta il termine Culture Jamming . Il termine si rifaceva ad un gruppo di radioamatori americani definiti Jammer, che riempivano le onde radio di terribili imitazioni di Mickey Mouse e altri personaggi della culture pop. I primi “ culture Jammer” disegnavano graffiti sui muri, strappavano i cartelloni pubblicitari, riassettavano a modo proprio gli scaffali dei

supermercati. Una nuova generazione di Jammer ora si dà da fare per realizzare grandi raduni di massa e proteste di strada. Per lanciare campagne televisive di marketing sociale, coordinare eventi globali come il “Buy Nothing Day” e la “ TV turnoff Week”, ostacolare i summit economici, varare azioni legali per revocare le licenze ad alcune corporations e aprire la strada ad un dispiegamento sempre più massiccio di interventi culturali. La maggior parte delle persone non ha mai sentito parlare di culture Jamming . Eppure, non è una novità. Il loro movimento s’inserisce in un continuum rivoluzionario che ha come precedenti i primi ribelli punk , il movimento hippy degli anni Sessanta, il gruppo d’ attivisti intellettuali e concettuali che andavano sotto il nome d’Internazionale Situazionista (nati dalle ceneri dell’ Internazionale Letterista ), i surrealisti, i dadaisti, gli anarchici e una moltitudine di altri agitatori sociali che nel corso dei secoli si sono battuti per sfidare la mentalità dominante con modalità talmente originali e sentite, da non poter essere che autentiche. Ciò che essi hanno in comune con i loro predecessori è una chiara ostilità verso l’autorità, è la volontà di assumersi dei rischi anche molto grandi e l’impegno per conquistare dei pur minimi, ma essenziali, spazi di verità. Le poche azioni spontanee spiccano in mezzo al dilagare di belle maniere e dell’ipocrisia, che stanno alle basi della nostra cultura postmoderna. < < In un piccolo gruppo quando tutti i presenti tengono una cospirazione del silenzio» ha detto il premio Nobel Czeslaw Milosz «una singola parola di verità risuonerà come un colpo di pistola.» Nel suo libro Lipstick Traces , il critico americano Greil Marcus cita Johnny Rotten , leader dei Sex Pistols , come uno dei più grandi profeti ribelli, della storia. Rotten era un vivace anarchico che usava liberamente la parola “fottere” in televisione, cantava canzoni che volevano cambiare il mondo o almeno distruggere l’irreale ottimismo dilagante in stile

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Beatles e lasciare un segno nella storia del rock. In qualche modo Rotten riuscì a sollevarsi sopra i luoghi comuni che circondavano i Sex Pistols, quelli che li vedevano come una band stravagante e commerciale senza troppo talento, ma dare origine a qualcosa di veramente importante non si sa se Rotten sapesse qualcosa dell’ Internazionale Situazionista . Certo è che, filosoficamente parlando, i Sex Pistols e i Situazionisti stavano decisamente dalla stessa parte della barricata. La canzone Anarchy in the U.K. abbracciava, in una ruvida sintesi poetica, le idee chiave del movimento. I Sex Pistols volevano vivere, per usare le parole di Marcus , «non come oggetti, ma come soggetti della storia». Ecco la migliore definizione esistente del pensiero del Culture Jamming . Marcus richiama alla memoria l’immagine di Johnny Rotten che, insieme alla sua band, canta a squarciagola di fronte al muro di Berlino. Al tempo, quella scena gli fece capire che «il suo intento... era quello di prendere su di sé tutta la rabbia, la forza e l’intelligenza della sua generazione, per poi rovesciarla di nuovo sul mondo; per far sì che la gente capisse e mettesse in dubbio le sue certezze più radicate e profonde» . Sono convinto che la Culture Jamming attingesse molto dal movimento punk. Essi infatti furono fra i primi, ad avvertire il senso di nichilismo di un mondo incapace d’offrire prospettive, e per alcuni anni la loro rabbia seppe realmente scuotere le coscienze. I punk , così come gli hippy , gli yippie ,i beat , gli anarchici ,i dadaisti ,i surrealisti ,gli automatisti ,i fluxisti e molti altri ribelli idealisti, erano i portavoce di uno spirito secolare d’aperta sfida contro l’ordine costituito. E’ stato merito dei situazionisti applicare quello spirito d’anarchia alla moderna cultura mediatica. Questi sono stati i primi a rendersi conto di come lo spettacolo dei media stesse lentamente corrodendo la psiche umana. Sono stati, in un certo senso, i primi rivoluzionari postmoderni.

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I Situazionisti, sono nati come un gruppo di otto ragazzi, fra scrittori e artisti, in maggior parte europei, che un giorno di luglio del 1957 si sono ritrovati a bere assenzio e fumare Gauloise in un paesino italiano chiamato Cosio d’Arroscia . Il gruppo durò poco (alla fine degli anni Settanta quasi più nessuno si ricordava di loro), eppure riuscì a infondere una “nuova coscienza anarchica” che un’ intera generazione di studenti, artisti ed estremisti, l’avrebbe assunto come modello. I Situazionisti dichiararono il proprio impegno per vivere “una vita di continue scoperte ”. L’unica cosa che li interessava era la libertà da perseguire a qualunque prezzo. La creatività della gente comune, infiacchita, ma non annientata del tutto dal comunismo e dal capitalismo dei consumi, aveva un disperato bisogno di trovare una nuova voce. Era necessario battersi contro le gerarchie e le burocrazie che avevano soffocato la spontaneità e la libertà d’azione. Peri Situazionisti ciascun individuo era una sorta di teatrante, “ un creatore di situazioni” e il palcoscenico non era altro che la vita umana. Per riappropriarsi di un’esistenza autentica essi proponevano una serie di “ numeri” particolari: abbattere le chiese e costruire spazi dove i bambini potessero giocare in libertà, installando degli interruttori sui lampioni, così che la gente potesse controllare l’illuminazione delle strade. Per i Situazionisti ciascuno di noi in più di un’occasione al giorno si trova di fronte a dei piccoli bivi. La scelta può essere quella di agire normalmente, automaticante, di comportarsi in maniera magari un po’ folle e rischiosa ma spontanea. La vita, allora, può trasformarsi in un rifiuto morale, poetico, erotico e quasi spirituale e di lottare contro le richieste della cultura dei consumi. I Situazionisti parlavano spesso, di “ spettacolo” della vita moderna, con questo termine si riferivano ad ogni tipo di manifestazione: dai cartelloni pubblicitari alle mostre, dalle partite di calcio alla radio e alla televisione. Il concetto chiave era quello dello “spettacolarizzare” il livello dei consumi e della pub-

blicità della società moderna. Tutto ciò di cui gli esseri umani facevano un tempo esperienza diretta si era trasformato in uno show manovrato da qualcun’ altro. Il vivere autentico era stato rimpiazzato da esperienze preconfezionate e da eventi pilotati dai media: l’immediatezza era scomparsa. Tutto quel che rimaneva era “mediatico” : un’ esistenza filtrata da elementi estranei, una creazione dei Situazionisti che usavano a questo proposito il termine “ rapito” in quanto lo spettacolo mediatico aveva “ rapito” le nostre vite reali, appropriandosi dell’ autenticità che un tempo ci apparteneva. Questo aiuta a spiegare la violenta e viscerale reazione che molte persone ebbero quando la Nike decise di utilizzare per le proprie campagne il motivo dei Beatles Revolution e più avanti, quando l’ Apple propose alcune canzoni; Bob Dylan o The Gap alcune citazioni di Jack Kerouac recitate dalla sua stessa voce registrata. Forse questi yuppies nostalgici e offesi non riuscirono ad articolare alla perfezione il proprio risentimento, ma senza dubbio si accorsero che era stata rubata loro una parte fondamentale della loro vita. Nel film di Richard Linklater , Before Sunrise , il giovane eroe (interpretato da Ethan Hawke ) ha una crisi esistenziale: all’improvviso non riesce più a sopportare la presenza di se stesso. A qualunque festa vada, su qualunque autobus salga, ogni lezione che decida di frequentare non può fare a meno di incontrare se stesso. La sua identità si è trasformata in una specie di spettacolo Linklater lancia uno sguardo sull’abisso aperto dai Situazionisti , rimanendone sconvolto. Per parafrasare il leader del movimento Guy Debòrd : << se l’identità è vissuta per procura, allora è come se non esistesse più . > > Ciò può anche spiegare perché in tale sistema i consumatori più appetibili sono gli “emulatori”: uomini e donne in cerca di prodotti che possono farli sentire altro da quello che in realtà, sono qualcuno di più importante; ma, dato che nessun prodotto può eliminare del tutto l’identità di una persona, ecco che le frustrazioni aumentano. Fanno estratte le carte di

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discussione continua di tutte le distrazioni e delle occupazioni di una società, una critica totale della sua stessa idea di felicità». Un altro concetto chiave dei Situazionisti era quello del détournement , che Debord propose come mezzo ideale per riappropriarsi dello spettacolo che aveva rapito le vite delle persone. Letteralmente: “ spiazzamento”, il détournement si proponeva di invertire o rovesciare il significato di determinate immagini, ambienti ed eventi per poi recuperarli. La sua incredibile portata d’idee, che spaziavano dal riscrivere le battute delle strisce di fumetti al modificare l’ampiezza delle strade, l’altezza dei palazzi, i colori e la forma, porte e finestre, fino alla rilettura d’eventi mondiali come le sommosse del quartiere Watts a Los Angeles nel l965. L’Internazionale Situationniste la rivista che il pubblico fra il 1958 e il 1969 costituì un vero e proprio lavoro, profondo e a volte assurdo, di provocazione e détournement . Una volta Debord modificò una nota immagine di Lenin , incollando sulla fronte dell’uomo la figura di una donna dal seno scoperto che portava la scritta: «L’universo ruota sulle punte di due seni» . Il leader situazionista, inoltre volle che la copertina delle sue Mémoires fosse in carta vetrata, così che ogni volta che il volume fosse riposto sulle mensole delle biblioteche, avrebbe pian piano distrutto gli altri libri. Un famoso atto di détournement fu quello che ebbe luogo nella cattedrale di Notre Dame la domenica di Pasqua del 1950. In quell’occasione un militante letterista, travestito da monaco domenicano, riuscì a salire sull’ altare e, di fronte a migliaia di persone, tenne un sermone in cui accusava la Chiesa cattolica di «essersi mortalmente allontanata dall’ originaria forza vitale e di propugnare un paradiso vuoto» . Quindi, dichiarò solennemente che «Dio è morto». Fu con questo spirito di détournement che i Situazionisti entrarono in territorio nemico e tentarono di «sottrarre valore al corso della spettacolarizazzione» .Fu con questa sfida che essi vollero dare inizio a una rivoluzione culturale, a un’imponente

credito e il ciclo d’alienazione s’ingrandisce sempre più. I Situazionisti direbbero che questa è la prova di un’involuzione dei costumi: dall’ essere all’ avere ; quindi, dell’ avere ,all’ apparire. Debord resta un visionario, in gran parte inascoltato: ridicolizzato nei suoi ultimi anni di vita, quasi “canonizzato” in Francia dopo il suo suicidio nel 1967, gradualmente dimenticato. Debord gode solo in questi anni di una certa fama postuma, specialmente in Francia, dove un gruppo chiamato Perpendiculaires si è proposto come discendente ideale dei Situazionisti . Questi sostengono che la cultura dovrebbe diffondersi orizzontalmente (attraverso discussioni sul modello dei salotti), anziché verticalmente (come accade con la televisione e Internet). In un certo senso, Debord era molto più interessato agli sviluppi psicologici del suo tempo, rispetto al suo famoso contemporaneo, Marshall McLuhan che si limitava a descrivere l’ipnosi della cultura di massa, Debord invece riuscì a sviluppare delle effettive tecniche di resistenza. Una di queste tecniche era la “ dérive” , letteralmente la “ deriva”, un concetto formulato dai Dadaisti che i Situazionisti riformularono secondo i termini di “movimento senza meta ”. In quanto “ dèriveste” , un individuo doveva vagare, a caso, per la città in uno stato d’animo aperto a ogni sollecitazione e lasciarsi trasportare dal flusso di tutte le possibili sensazioni che si facevano spazio dentro di lui. < < L’apertura mentale era il fattore chiave, segui tutto ciò che ti attrae, così facendo, capirai cos’è ciò che detesti.>> I Situazionisti erano convinti che la “ dérive” potesse prendere il posto delle vecchie logiche del lavoro e del divertimento e diventare un modello per la “gioiosa creazione” di un nuovo stile di vita. Il “ déreviste” è uno scansafatiche nella migliore accezione del termine; non un povero emarginato depresso, ma un individuo che sappia andare oltre e vivere fuori da certi canoni imposti dalla società. Vivere, in questo modo, dice Debord , comporta: < <la messa in

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inversione di tendenza nelle condizioni di vita della società moderna . I Situazionisti avevano dei punti di vista piuttosto radicali che, se analizzati da vicino, erano abbastanza sensati. Credevano che le vacanze, salutate dalle masse come una specie d’antidoto contro la follia del lavoro, servissero in realtà solo a rinforzare «il legame fra dominio e alienazione» e simboleggiassero « le fallaci promesse della vita moderna» . Se un individuo vive una vita completa, perché mai dovrebbe voler “evadere” da essa? Un famoso slogan neoSituazionista recita: «Club Med, un viaggio economico nella miseria degli altri». The Revolution of Everyday Life , che oltre al testo di Debor: “The Society of Spectacle”, rappresenta il principale libro lasciatoci dal movimento situazionista. Raul Vaneigem porta avanti l’idea secondo la quale la vita quotidiana è definitiva “misura di tutte le cose”, terreno sul quale, ogni rivoluzione deve agire, un senso di triste e alienante auto-consapevolezza che si è fatta strada nelle nostre vite. «I gesti più semplici: come aprire una porta, afferrare una tazza, un’espressione facciale; così come quelli più personali : tornare a casa, preparare il tè, parlare con il proprio partner , ci sono già stati mostrati e rappresentati dalla società dello spettacolo, di conseguenza, le nostre azioni più intime sono diventate stereotipi, e le nostre vite dei cliché>>. Vaneigem era convinto che tale spettacolo stesse per raggiungere un tal punto di saturazione e di crisi dal quale sarebbe poi fiorita «una nuova poetica dell’esperienza e una rinnovata gioia di vivere». Attualmente l’assurda passività e l’alienazione delle nostre vite sono cresciute fino a proporzioni che né Vaneigem , né Debord credevano possibili. Il grande e insidioso potere della spettacolarizazzione consiste nel fatto che dà origine ad una forma di schiavitù mentale alla quale saremmo tutti liberi di sottrarci, se solo lo volessimo. Il mondo porno è un ambiente saturato dai media, nel quale la comunicazione scorre in un’unica direzione, dal più forte verso il più

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debole e crea una massa di spettatori rassegnati e tutti uguali: «uomini e donne moderni, membri delle società più civilizzate che si siano mai viste al mondo, fremono per qualsiasi cosa venga data loro da guardare», Il mass-mediologo Greil Marcus la definisce « la democrazia del falso desiderio» . La spettacolarizazzione è uno strumento di controllo sociale, che offre l’illusione di una scelta illimitata, ma che di fatto riduce il campo ad alcune esperienze preselezionate: film d’azione, spettacoli naturali, pettegolezzi sulle celebrità, scandali politici, partite sportive, Internet eccetera. Come emerge dai loro scritti per i Situazionisti la noia è uno dei Grandi Nemici . Infatti vedevano un mondo schiacciato sotto il peso del proprio potenziale sprecato. Per esempio, si pensava che la meccanicizazzione di massa avrebbe prodotto dei vasti spazi di tempo libero, nei quali le persone avrebbero potuto costruirsi vite più ricche e libere, invece la gente avrebbe finito per dare il proprio tempo libero in pasto ai divertimenti programmati, così che lo svago si sarebbe trasformato in qualcosa fuori dal loro controllo. La soluzione dei Situazionisti, allora, era: « Riprendiamoci lo show ». Creiamoci le atmosfere, gli ambienti, le situazioni che preferiamo, costruiamo qualcosa di «provvisorio e reale» .Per fare un esempio, un’individuo potrebbe prendere una città che conosce già benissimo, e ripensarla secondo una sorta di “mappa emotiva” : ecco allora il quartiere “bizzarro” , quello “sinistro” , il quartiere “tragico” , quello “felice” e quello “utile” . Qualsiasi cosa avesse pensato di Guy Debord , seppe indubbiamente creare un modello di vita libero dalla cultura dello spettacolo (fatta eccezione per i suoi ultimi anni ,quando, malato e sofferente, inscenò un suicidio “spettacolare” sparandosi un colpo di pistola dritto al cuore). Non ebbe mai un lavoro, trascorse tutto il suo tempo nelle bettole a discutere di filosofia e a scrivere, si rifiutò sempre di farsi intervistare e pubblicò solo sei libretti. «Scrivo molto meno

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Giappone a girare un documentario chiamato Satori in the Right Cortex, ho chiesto al maestro di un monastero zen di Kamakura di poter filmare i sui discepoli mentre meditavano. «Sì, ma prima anche tu devi meditare.» E con questo non intendeva un veloce “namaste” e un paio di “koan” borbottati fra i denti. Per lui meditare significava starsene là seduti per due giorni interi. Accettai la sfida. Rimasi seduto sul pavimento a meditare fino a che la schiena s’ indolenzì, le giunture cominciarono a farmi male e i crampi a rodermi i muscoli. Era una tortura fisica e psicologica al tempo stesso - un inferno che non riuscirò mai più a dimenticare, ma alla fine del secondo giorno qualcosa era davvero cambiato. Il monaco aveva provocato un’interruzione dolorosa alla mia normale routine, traendone dei benefici. Forse solo quando si è costretti ad un nuovo modello di comportamento, dal quale ci s’impegna a non tirarsi indietro - quando si tengono ben ferme le mani nelle fiamme - cominciano i veri benefici. Quando la trance viene interrotta, riusciamo a capire come sia possibile vivere in maniera diversa.>> Quali analogie esistono con la rivoluzione e il Culture Jamming ? Rompere gli schemi comodi ai quali siamo ormai avvezzi non è né facile né piacevole: è come alzarsi dal proprio letto una fredda mattina di dicembre alle cinque, e immergersi in una vasca di acqua gelida. Un vero shock al sistema: ma a volte lo shock è necessario. Senza dubbio, è ciò di cui la nostra egocentrica cultura dei consumi ha più bisogno. Il Culture Jamming si propone, in sostanza, di sospendere il flusso dello spettacolo postmoderno per un tempo sufficiente a riaggiustare i nostri punti di vista. Tale interruzione si basa necessariamente su un elemento di sorpresa. Ecco perché inaspettatamente un maestro può decidere di dare una risposta enigmatica, strana, quasi ripugnante a una semplice domanda. Magari vi risponderà togliendosi una scarpa e mettendosela in testa, o tirandovela contro. Oppure, dicendovi che se incontrate il Buddha per

della maggioranza delle persone che scrivono, ma bevo molto di più della maggioranza di quelli che bevonò» aveva detto una volta. Per lui la vita era veramente una festa continua. Egli credeva con passione nel destino suo e dei suoi amici. «Saremo i primi a brillare comete nel cielo di una nuova vita». Gli eroi dell’era dei Situazionisti erano individui anarchici senza briglie, dei vascelli di pura espressione poetica che vivevano, in qualche modo, fuori dal tempo. Erano l’opposto di chi era comunemente viene considerato esemplare nella nostra epoca di lavoro maniacale: gli individui competitivi e ambiziosi che, come ha scritto lo storico gallese L.T.C. Rolt nel suo High Horse Riderless , « credono nella velocità e nel traffico sempre più caotico, distruggono la natura mentre affermano di proteggerla, disintegrano mentre dicono che quella è la loro priorità, santificano il lavoro mentre incrementano la disoccupazione. Tutto questo perché hanno rinunciato a credere nella spiritualità degli esseri umani e non hanno la volontà di affrontare il rischio di vivere una vita vera, ma aspirano solamente a superare i propri rivali». Lo psicologo Abraham Maslow parla di determinate esperienze centrali nell’esistenza di un essere umano completo o pienamente realizzato. Si tratta d’esperienze talmente forti che in questi attimi si sente di vivere fuori dal tempo. Il Buddismo Zen li definisce “satori” , hanno da sempre bramato la sensazione di essere tutt’ uno con il mondo e il motivo per cui molti Culture Jammers compiono ogni giorno gesti di fede, o di coraggio che gli ingranaggi del mercato, non permettono loro di vivere ritmi di vita vera. Chiamiamola come ci pare, quando è autentica, non ci sono dubbi che questa sia l’unica forza in grado di rendere la nostra vita degna d’essere vissuta e che il capitalismo dei consumi ci sottrae ogni qual volta tenta di venderci prodotti che ha decretato essere cool , o atteggiamenti sovversivi che hanno finito per diventare moda. Kalle Lasn racconta : <<Quando mi trovavo in

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strada dovete assolutamente ucciderlo. Il maestro zen intende rompere il vostro stato di trance: sta mostrando una nuova traiettoria per il flusso vitale che è in voi. Debord affermava che questo genere di tecniche sanno « spezzare la vecchia sintassi », per sostituirla con una nuova che istruisca << a un modo completamente nuovo di stare al mondo ». Cosa comporta questo cambio di prospettiva? Pensiamo ad un’anima disperata che all’improvviso trovi Dio . Proviamo a immaginare il processo opposto. Questo momento di rinnovata consapevolezza non significherà tanto vedere il paradiso in un mondo che si credeva essere un’inferno, quanto piuttosto accorgersi dell’inferno in un mondo che si credeva essere un paradiso. Il mondo delle grandi speculazioni edilizie, dei Super Ball (una pubblicità di trenta secondi arriva a costare un milione e mezzo di dollari ) il mondo spettacolare del sogno americano, quello che ci hanno fatto credere sia il miglior mondo possibile, crolla in un attimo se si guarda con un minimo di attenzione. Se si osserva a fondo l’immagine riflessa nello specchio ci si accorgerebbe che il volto assumerebbe quello di un mostro. Nel film “The Truman Show” (1998), una corporation, adotta Truman Burbank fin dalla nascita e, secondo un preciso copione, dispone nella sua vita di una serie di prodotti e d’impressioni pilotate. La sua esistenza viene osservata da alcuni circuiti televisivi ventiquattro ore al giorno. L’unico momento in cui Truman riesce a sconvolgere quell’ordine prestabilito e ad accorgersi del mondo reale, che esiste oltre la sua falsa esistenza, è quando fa qualcosa di spontaneo. Lentamente egli comincia a capire che solo una serie d’azioni spontanee potrà salvarlo. Il Culture Jamming moderno è preso da un simile senso d’ urgenza. E’ disposto a qualsiasi cosa pur di liberarsi dalla sceneggiatura dei consumi nella quale è rimasto intrappolato. La mitologia buddhista narra la storia dell’illuminazione di Buddha . All’inizio, questi era un individuo

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ricco e ben nutrito che viveva in uno sfarzoso palazzo. Di tanto in tanto, mentre passeggiava per i suoi giardini, si fermava a spiare, attraverso alcune fessure nei muri del palazzo, il mondo reale fatto di sofferenza, dolore e malattia. Tale vista l’inorridiva, ma al tempo stesso lo affascinava. Alla fine, Buddha decise di abbandonare il suo bellissimo palazzo e di andare a vivere nel mondo reale. Questa storia racchiu de un insegnamento per quanti vogliono risvegliare il mondo dalla trance consumistica nella quale è sprofondato. Ogni volta che il flusso d’immagini e d’informazioni viene interrotto (vuoi per un gesto spontaneo individuale, vuoi per un détournement giocato ai danni dei media ) è come se Buddha guardasse fuori da una fessura del muro. Con il tempo si potrà avere un’idea abbastanza dettagliata di quella che è la vita fuori dal palazzo. Il credo dei Situazionisti era che se un numero sufficiente di persone avesse aperto gli occhi e, avesse deciso di agire spontaneamente, il risultato sarebbe stato un risveglio di massa, che avrebbe immediatamente tolto valore all’intera cultura dello spettacolo. “Il détournement giusto, al momento giusto e nel posto giusto può rovesciare completamente le prospettive” , sostiene Greil Marcus . Improvvisamente, tutti potremmo vedere lo spettacolo per quel che è in realtà: un vuoto totale. Ecco, rompere l’incantesimo è come iniziare la rivoluzione: alcune persone iniziano ad abbandonare i vecchi schemi di vita, a sognare a occhi aperti, a mettere m discussione le cose e a ribellarsi. Quel che segue, per usare le parole dei Situazionisti , sarebbe un’ondata di sostegno per questo nuovo modo d’essere, con sempre più persone in grado di compiere gesti nuovi e “ slegati dalla storia ”. Una nuova generazione d’individui che, finalmente, « non lascino più nulla al caso ». La cultura dello spettacolo sta trionfando ovunque. Il sogno americano si è trasformato esattamente in


quello stato di vuoto oblio di cui parlavano i Situazionisti - una sorta di felicità di facciata che può crollare in un attimo. In questo sistema, se una persona riesce a mantenere salve le apparenze, a distrarsi con acquisti e divertimenti sempre nuovi, a tenersi ben narcotizzato e a indietreggiare ogni qual volta sente il soffio della vita reale intrufolarsi nelle fessure, allora quella persona è a posto. Se il vecchio sogno americano voleva ricchezza e benessere, quello nuovo chiede a gran voce naturalezza e spontaneità.

Ecologia della mente Le nostre comunità post-moderne si trovano alla deriva in un periodo storicamente significativo. I due secoli passati hanno segnato un cambiamento radicale nello stile di vita delle persone ci i è allontanati dall’ambiente naturale, e abituati a vivere in un ambiente artificiale. Le generazioni odierne sono le prime in assoluto a dover vivere quasi interamente condizionate da un ambiente di comunicazione di massa elettronica. Lo spettacolo post- moderno ha cambiato le persone la maggior parte, passa il proprio tempo, dentro ambienti fittizi, creati dall’immaginazione e dal capriccio. Succesivamente, l’iperrealtà di tali luoghi comincia a divenire normale,l a vistosità, l’ampiezza, l’eccesso smodato e brillante, divengono una seconda natura, e l’ambiente , cio che ci circonda, è una finzione: una sottospecie d’ambiente. Nel momento stesso in cui non riuscite più perché il mondo naturale possa avere una certa importanza nella vostra vita quotidiana, si diventate, < < una pallina da tennis persa tra le erbacce >> allontanandoci dalla natura, ci allontaneremmo da quello che c’è di divino in noi. Lo scrittore Jim Windolf dalle pagine del < < T h e New York Observer>>, tuonava,<< Siamo tutti impazziti>> , dati alla mano tento di darsi una risposta, giunse alla conclusione che << Il settanta percento della popolazione adulta americana, a seri problemi >>. La conclusione di Windolf non lascia

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spazi a mezzi termini. U n’incredibile quantità di persone si sente depressa e non sa perché. Qualcosa sta prosciugando le loro menti e le confonde ma nessuno sa bene cosa. Una recente ricerca dell’ American National Institute of Menthal Heath , conferma che i “disturbi dell’umore” sono aumentati di generazione in generazione durante tutto l’arco del Ventesimo secolo. L’umore è variabile, l’attenzione va e viene, in questi tempi molte persone soffrano di sbalzi di umore. I ricercatori danno colpa allo stress dei nostri giorni ad agenti chimici presenti nell’aria, nel cibo, nell’acqua. Lo scrittore Saul Bellow , si domanda come possa l’occidente affermare a cuor leggero di “soffrire” tanto, quando, se paragonati al resto del mondo, sembrano immensamente fortunati. La sua risposta, è l’abbondanza, pesante fardello della società occidentale. Quando tutto è a portata di mano e niente viene conquistato con fatica, significa che non sia ha più soddisfazione, e senza questa le nostre vite diventano vuote e prive di significato. Secondo un detto buddista << Mangia ogni volta che hai appetito e non saprai più ascoltare la tua fame>>. L’ abbondanza riempie gli stomaci e nutre il malessere. Nell’ultimo quarto di secolo l’insaziabile ingordigia della cultura consumistica è aumentata ancora di più. Per soddisfare la richiesta, i mass media si sono dati da fare per colonizzare le coscienze, scacciando in secondo piano, i reali situazioni storiche. Al loro posto c’è solo un surplus d’informazioni sconnesse: << I mercati stanno crescendo >>, << Il pianeta si sta scaldando sempre di più…>>. La prima causa del nostro malessere non è altro che la fittizia dei consumi. Torniamo da lavoro, esausti, automaticamente accendiamo la televisione restiamo seduti passivamente per ore intere, muovendoci a malapena per raggiungere qualcosa da mangiare, riceviamo e non trasmettiamo. Una serie d’immagini tutte uguali si riversano nelle nostre menti e uniformano le nostre sensazioni, le nostre conoscenze, i

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gusti e i desideri. Strato dopo strato questo artificio si frappone tra noi e il mondo, fino a paralizzarci, il disagio aumenta in maniera talmente graduale, che non c rendiamo conto della sua tossicità. Dieci anni fa ,non ci curavamo molto della quantità di sostanze chimiche presenti nel nostro cibo, o degli inquinamenti atmosferici, oggi giorno potremmo compiere un errore simile a proposito del “inquinamento mentale ” e continuarne ad assorbirne passivamente enormi dosi senza curarcene più di tanto. L’ambiente psicologico in cui viviamo è un patrimonio comune alla pari dell’acqua e dell’aria. Abbiamo imparato molto tempo fa a prestare attenzione a quel che riversiamo nell’ambiente o assorbiamo nei nostri corpi; ora occorre essere altrettanto attenti a quello che lasciamo entrare nella nostra mente. La pubblicità è il più diffuso e tossico degli inquinamenti mentali. Da quando la nostra radio sveglia suona al mattino, fino all’ultimo instante di televisione, la sera, minuscole particelle dell’ inquinamento pubblicitario si riservano nel nostro cervello a un ritmo di circa 3000 messaggi al giorno. Nell’arco di 24 ore l’inconscio collettivo della società occidentale viene bombardato da circa 12 miliardi di annunci pubblicitari su stampa, 3 milioni via radio, e più di 200 mila via televisione. La pubblicità rappresenta il più vasto progetto psicologico mai intrapreso dalla razza umana. I mezzi di comunicazione hanno esercitato molta influenza nell’arco di questi anni. Esempi possono essere gli esperimenti del lavaggio del cervello che il dottor Ewen Cameron condusse in un ospedale psichiatrico di Montreal negli anni 50. L scopo di questi esperimenti di “decostruzione” sponsorizzati dalla CIA era di fornire a soggetti in stato cosciente, incosciente o semicosciente degli auricolari, e bombardarli poi con un flusso continuo di ripetuti messaggi mirati, in grado di modificare il loro comportamento nel tempo. La pubblicità ha uno scopo identico. Tutti pazienti del dottor Cameron, uscirono dagli esperimenti con seri danni psicologici. Ci fu un grande scandalo. Eppure, nessuno apre

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bocca a proposito dei continui esperimenti hai quali ci sottopone la pubblicità. Di fato, nuovi pazienti subiscono volontariamente questi trattamenti ogni giorno. La proliferazione dei messaggi pubblicitari è avvenuta in tempi cosi rapidi e in maniera cosi spietata che non ci si è accorti dell’assurdità di tutto ciò. Gli annunci non sono più confinati nei loro spazi abituali, quali autobus, tabelloni, o stadi nella società dei consumi, ogni luogo dove i nostri occhi hanno occasione di posarsi può e deve essere occupato da un logo o una pubblicità di un prodotto. Mentre il flusso di messaggi pubblicitari si diffonde a macchia d’olio la gente rimane a guardare affascinata. Questo tipo di pubblicità non significa niente. Sono un “antilinguaggio” che, non appena incontra un briciolo di verità o di significato lo annienta, senza risparmiare nessuno. Abbiamo a che fare con un numero sempre maggiore di stimoli e d’ occasioni di passare il nostro tempo nella realtà virtuale, o di lasciare che la televisione pensi al posto di ognuno di noi. Questo è lo spazio dell ’”irrealtà” : un ambiente mediato, cosi accogliente e intrigante che è difficile resistervi. In un mondo del genere, può capitare di dimenticarvi di essere degli individui con responsabilità, normalmente portati a interagire con gli altri. Di recente, la nostra società è stata investita da una tale ondata di provocazioni, che per la quale, non si è ancora trovata una definizione adatta. Si tratta di una macchina imbastita dai pubblicitari, i quali si sono accorti che i consumatori non rispondevano più con tanta prontezza a stimoli puramente sessuali o trucchetti mentali. Quindi i nuovi annunci pubblicitari dovevano colpire dritto all’anima. Il loro punto di forza non doveva essere l’intelligenza, ma la capacità di turbare lo spettatore in modo profondo e morboso. Bob Garfield , editorialista di < < Advertising Age>> , li ha chiamati << pubbliciattrocità >>. Basti pensare, ha immagini sbandierate da Benetton raffiguranti malati terminali d’AIDS o cadaveri di soldati bosniaci. O le modelle di Clavin Klain , che si aggirano per le passerele di moda con


gli occhi pesti, e scavati dall’eroina. Questi annunci agiscono ad un livello cosi profondo da rimanere sconosciuto e incomprensibile perfino ai pubblicitari che gli hanno creati. L’effetto che provocano e l’erosione della nostra capacità empatica di considerare seriamente la questioni sociali, di essere toccati da mostruosità. Questi spot ci abituano alla sofferenza (o la gioia ) delle altre persone, e fanno nascere in noi un senso d’insofferenza per ciò che ci rende più umani. La prima volta che abbiamo visto un bambino denutrito, comparire in uno spot televisivo a tarda notte siamo rimasti sconvolti. Forse abbiamo mandato dei soldi. Ha mano a mano che queste immagini ci apparivano sempre più familiari, la nostra compassione evapora. Alla fine cio che proviamo è un senso di fastidio. Non vogliamo più vedere bambini che muoiono di fame. La nostra sensibilità alla violenza è stata erosa da un logoramento simile a quello che affievolisce la nostra recettività sessuale. Quando Claudia Schiffer sfilava per la campagna dei jeans Guess era in grado di attirare la nostra attenzione, ora la sua bellezza, cosi come quella delle altre top model, non ci stupisce più. In compenso, le donne comuni hanno finito per sembrarci delle perfette asessuate. La scheda madre della nostra libido è stata modificata. Questo cambiamento emotivo è un processo che si perpetua da sé. Quanto più le nostre menti sono corrose, tanto più è necessario aumentare il voltaggio per sbloccarsi. Continuiamo in questo processo, e la nostra mente si trasformerà in un altro teatro dell’assurdo. E noi diventeremo insensibili ad ogni provocazione. L’ eccesso d’informazioni, l’inquinamento di dati che si accumulano nel substrato della nostra società, richiama alla nostra mente lo sconcertante motto studentesco: << Non ho bisogno di conoscere nulla di più , so di più di quello che posso cap ire >>. L’eccesso d’informazioni ha causato al Johnny Mnemonic di William Gibson fenomeni quali i “tremori neri” . << La maggior parte delle informazioni

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trasmesse ha smesso da tempo di esserci utile .>> ha scritto Neil Postman , autore di Amusing Ourselves to Death. L’informazione i definitiva è divenuta una sorta di gigantesco mondezzaio. Arriva da chissà da dove non si rivolge a nessuno in particolare, è slegata da ogni forma di utilità. Siamo inondati da un flusso incontrollabile di notizie e non sappiamo bene che farcene, in primo luogo perché non abbiamo più una percezione coerente di noi stessi, del nostro rapporto con gli altri. Non sappiamo né da dove siamo venuti, né dove siamo diretti o perché. Non abbiamo alcun sistema di riferimento nel quale poter esprimere i nostri problemi, ne sappiamo dove cercare la soluzione a questi ultimi. Quindi, non abbiamo alcun criterio per giudicare quelle che sono le informazioni importanti, utili e significative. Le nostre difese contro l’eccesso d’informazioni si sono spezzate; il nostro sistema immunitario di ricezione non è più in grado di funzionare.

Il nuovo attivismo. Il Culture Jammer è una vasta rete globale di artisti, militanti, ambientalisti , ecologisti Verdi, docenti di comunicazione, downshifters, redivivi sinistroidi, agitatori di scuola superiore, universitari indipendenti, emarginati, ribelli, poeti, filosofi . Copriamo l’intero spettro che va dalle classi medie degli intellettuali più e, alle frange di attivisti più violenti, dalle Raging Grannies con le loro litanie da corteo, ai guerriglieri urbani che organizzano feroci battaglie di strada. Siamo economisti ecologisti, disturbatori televisivi, investitori etici. Ci costruiamo da noi le nostre piste ciclabili, sistemiamo le strade, “demoliamo” le pubblicità di Calvin Klein e appiccichiamo adesivi con la scritta “100% Grasso” sui tavoli e i vassoi dei McDonald’s . Organizziamo incontri per fare scambi e baratti, riordiniamo a modo nostro i prodotti sugli scaffali dei supermercati,diffondiamo gratuitamente il nostro software su Internet, e in generale ci diamo da fare giornalmente perché la cultura dei consumi si

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morda da sé la coda. Siamo idealisti, anarchici, strateghi di guerriglia, pagliacci, burloni, neo-Luddisti, insoddisfatti, punk. Siamo un’accozzaglia di avanzi della cultura d’opposizione - ciò che rimane dell’impulso rivoluzionario nell’esausta «atmosfera di fin de millénium dell’era postmoderna», che si pensa non possa più ospitare alcuna rivoluzione. Condividiamo tutti un grandissimo senso di rabbia verso il capitalismo dei consumi e siamo convinti che sia giunto il momento di agire di comune accordo. In parole più semplici, siamo un gruppo sempre crescente di persone che hanno rinunciato a venire a patti con il sogno americano. Ecco, in sintesi, alcuni dei nodi centrali del nostro pensiero: Limitarsi a sbeffeggiare con delicata ironia la cultura consumistica televisiva non basta. È giunta l’ora di affrontare il terribile spettro di una nazione dipendente dalla televisione, la selvaggia anemia di una società caduta in trance, intrappolata e costretta a vivere in una menzogna. È giunto il momento di ammettere che nel NordAmerica la televisione è la prima causa di problemi di salute, e che una società nella quale gli individui trascorrono un quarto del loro tempo di veglia (più di quattro ore al giorno) davanti alla televisione, ha urgente bisogno di un violento scossone. Ricicliamo le lattine di birra, la carta dei giornali, le bottiglie di vodka. Dividiamo fra noi le spese e l’utilizzo delle automobili. C’iscriviamo alle cooperative di consumo. Teniamo spenti i termosifoni di notte. Facciamo del nostro meglio. Perché allora le condizioni ambientali continuano a peggiorare? Forse è giunto il momento di smettere d’investire le proprie energie in piccole buone azioni quotidiane, e di accettare invece il fatto che molti dei modelli secondo i quali viviamo - modelli culturali, sociali, economici - sono ormai sorpassati e disfunzionali. La maggior parte delle “soluzioni” per l’ambiente non sono altro che piste false. Deviano energia altrove dalle questioni più importanti. Ciò di cui si ha bisogno non

è solo un numero minore di macchine sulle strade, ma città totalmente nuove, costruite in primo luogo per i pedoni, le biciclette e i trasporti pubblici. Non servono solo nuovi prodotti che rispettino l’ambiente, ma nuovi schemi di consumo e nuovi stili di vita. Non solo nuove tasse sull’emissione di monossido di carbonio, ma un sistema organizzato e globale di prezzi che tenga conto dei reali fattori ecologici. La nostra è una società piena d’individui eccezionali, di ricche comunità, di grandi affari, di università di primo ordine i e di fantastiche città. Tutto ciò non è più abbastanza. Il concetto di eccellenza deve essere ora applicato all’intera cultura. Non abbiamo mai avuto paura di opporci ai sistemi che non andavano più bene: abbiamo rieducato i lavoratori, gettato discredito sui governi, rinnovato completamente e con passione intere culture d’impresa - come quella dell’ ÌBM - quando avevano perduto il senso della propria missine. Proviamo a riconsiderare i fattori per noi vitali - i sistemi di trasmissione delle informazioni, le nostre idee in merito all’alimentazione, ai trasporti, all’economia. Impegniamoci pienamente, appassionatamente a ridurre l’impatto ambientale, a misurare con accuratezza il progresso, a opporci ai virus dell’informazione che si diffondono nei nostri cuori. Impariamo a incoraggiare coloro i quali si ribellano alla cultura corrente, anche se a volte ci fanno paura. Divertiamoci a riformulare i nostri schemi di vita, o quanto meno non rifiutiamoci di metterli in dubbio. Ma più esattamente, più precisamente, che cosa significhiamo noi Culture Jammer ? Cos’è che vogliamo? Forse il modo migliore che abbiamo per autodefinirci è spiegare chi - o che cosa - non siamo.

Non siamo cool. Un tempo il temine cool significava unico, spontaneo, avvincente. A scuola, la bambina più cool era quella alla quale tutti volevano rassomigliare, ma che nessuno riusciva a eguagliare. La sua individualità era nettamente distinta. Poi l’idea di cool è cambia-

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ta. L’economia di mercato se ne è impossessata, e ha mutato il suo significato. Ora si è cool solo se non si è unici - se ci si porta addosso l’inconfondibile timbro dell’ America™ . Il taglio di capelli dev ’essere Paul Mitchell . I pantaloni cachi di The Gap. La macchina, una B m w . L’atteggiamento dev ’essere in stile Nike. Il modo d’esprimersi in stile Letterman . Le idee politiche devono ispirarsi a Bill Maher . Il cool è l’oppio dei nostri tempi: nel giro di un paio di generazioni ne saremo diventati dipendenti a tal punto da non poter più vivere senza. Le persone veramente cool sanno bene che la psicologia del servilismo - il meccanismo di seduzione del marchio -può solo rimbecillirci. Al giorno d’oggi, persone simili sono una specie in via di estinzione. Ma allora, cos’è cool oggi? La storia è sempre la stessa. È cool ribellarsi. Il fatto è che molte persone, che credono di essere dei ribelli, in realtà non lo sono. Ecco un abile trucco che il Cartello Culturale si è inventato per offrire, per usare le parole di To m Frank, direttore di « Baffler», «Sicurezza e Resistenza in un colpo solo». La gente crede di portare avanti ideali anarchici mentre in realtà non fa altro che aderire al prefabbricato conformismo d’impresa. Aderisce a uno schema di ribellione precostituito, invece di formularne uno nuovo e originale. Ammettiamolo. Quando ci vestiamo con estrema eleganza, guidiamo a tutta velocità, ordiniamo una bottiglia di Cabernet Sauvignon che costa più di un fine settimana nel New England, lo facciamo solo per esibizionismo. E, come fa notare l’economista di Harvard Juliet Schor nel suo libro The Overspent American, esibirsi è, a conti fatti, un gesto politico.Sono sempre di più le persone che avvertono con grande fastidio l’abisso esistente fra il mondo dei ricchi e quello dei poveri. Scialacquare con ostentazione il proprio denaro a destra e a manca non fa che focalizzare ancora di più l’attenzione su questo problema, sul fatto che noi ci troviamo dalla parte dei fortunati. La cosa rende insensibili, inumani, menefreghisti e arroganti.

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La disuguaglianza e l’esclusività non sono cool: l’opulenza del Primo Mondo non è cool. Una cultura che spinge con insistenza la gente a consumare sempre di più non è cool. “E quanti si lasciano abbindolare dai meccanismi della pubblicità sono il peggio del peggio: non solo non sono cool.”

Non siamo scansafatiche. U n’intera generazione di americani, quelli nati fra il 1965 e il 1980 - secondo la definizione dello scrittore canadese Hai Niedzviecki , la «generazione del malessere » sembra aver rinunciato da tempo all’idea che la Terra possa produrre ancora qualcosa di buono. Considerati nell’insieme (e tenuto conto del fatto che ci sono sicuramente eccezioni, che però non fanno che confermare la regola), questi individui rappresentano il più grande spreco di potenziale umano in termini d’energia, passione, creatività e intelligenza dei nostri tempi. Questa generazione, che nelle società primitive avrebbe svolto il grosso del lavoro della tribù, si è volontariamente ritirata dalla vita della comunità, perché sforzarsi? Scansafatiche simili passano giornate intere ad affilare le proprie taglienti vedute contro la pietra dura dell’apatia. Filosofeggiano sul significato del cibo Kraft , pescano scarpe Hush Puppies in offerta dai cesti dei supermercati Walmart o, in rari momenti d’ispirazione, mettono in circolazione delle fanzine con nomi come “A.d.i.d.a.s ”(A// Day I Dream About Suicide) per questi individui non c’è niente di peggio che ammettere di credere in qualcosa, perché questo li farebbe sembrare seri, e nella serietà non c’è ironia. Non è cool. Quindi, forse è meglio andarsene a Santa Monica, per «starsene seduti in riva all’oceano e guardare il mondo morire». Nel frattempo, negli ambienti universitari americani - le grandi sale d’attesa, i luoghi storici delle più feroci dimostrazioni radicali - nessuno muove un dito. Mentre in Indonesia, in Cina e in Corea gli studenti si battono caparbiamente contro la corruzione e l’ingiustizia dei propri governi, gli universitari ame-


ricani sonnecchiano nelle biblioteche. Non hanno una reale premura di finire gli studi, perché cosa li aspetta nel mondo reale se non debiti da pagare, e la vergognosa prospettiva di un effetto boomerang al loro ritorno a casa? I membri della « generazione malessere» sanno di essere fantocci nelle mani della cultura dei consumi. Lo sanno bene. Il problema è che non hanno voglia di Muovere un dito. È questa la cosa che più deprimente. “ La vita fa schifo.” D ’accordo. Allora, anche solo nel nostro piccolo, facciamo qualcosa. Quando la posta in gioco è così alta, com’è possibile starsene con le mani in mano?

Non siamo accademici. Perché la gente si sente così insicura e confusa? Da dove provengono il malessere e il cinismo? Cosa c’è che non funziona nel ricco mondo occidentale? Le risposte abbondano. Scienziati ed esperti riempiono le relazioni accademiche e i dibattiti televisivi con un’infinità di spiegazioni e teorie. Hanno studiato le dimensioni tangibili e psicologiche del problema, e posto le carte in tavola. Se i disordini psicologici continuano ad aumentare, le causa sono le sostanze chimiche che ci ritroviamo nell’aria, nell’acqua e nel cibo. Ma gli scienziati ci avvertono: di non confondere le correlazioni con le cause, nel trarre le vostre conclusioni. Una piena comprensione di questi recenti fenomeni richiede ricerche ben più approfondite. Richiede più attenzione, più esami, più fondi. La temperatura del globo sta crescendo perché le nostre automobili rilasciano troppo monossido di carbonio nell’atmosfera. Ma non possiamo permetterci di allarmarci, non ancora. Dobbiamo studiare la questione più a fondo, prima di parlare con certezza. C’è una correlazione diretta fra l’esposizione allo smog e l’asma, fra la dipendenza cronica dalla televisione e il senso d’apatia. Sono fatti che meritano di essere studiati con serietà. Si può dimostrare in un’infinità di modi che la nostra società è piena zeppa di mancanze. E allora, ecco a voi grafi-

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ci e tabelle. Quelli disposti a far sentire una voce o a muovere un dito sono solo una minoranza. I docenti di comunicazione spiegano ai propri studenti tutto ciò che non va nel sistema globale dei monopoli dell’informazione, ma non fanno parola di come poter migliorare le cose. I docenti di economia blaterano senza fine a proposito dei loro modelli di macroeconomia, mentre nel mondo reale la gente continua a saccheggiare le riserve naturali del pianeta e a vivere sulle spalle delle generazioni future. I ricchi abitanti del mondo occidentale - figli di Socrate, Platone, Pascal, Cartesio, Hegel, Nietzsche, Marx e Wittgenstein - siamo abituati a usare quasi esclusivamente la corteccia sinistra dei nostri cervelli. La personalità dominante della nostra cultura è il fanatico del ragionamento: il macroeconomista, il perito di biotecnologie, il guru degli investimenti, l’esperto di computer, il pensatore spassionato. Stregati dalle duplici alternative di bianco e nero, buono e cattivo, giusto e sbagliato, inferno e paradiso, uno e zero, ci siamo trasformati in una civiltà alla McLaughlin . Non facciamo altro che parlare. Per il resto, non muoviamo un dito. E perché poi dovremmo? Viviamo nelle migliori condizioni al mondo, quindi perché dovremmo desiderare di cambiare? Perché rinunciare alle comodità, quando possiamo benissimo fare finta di essere seriamente preoccupati e continuare a fare analisi, intascando in cambio buoni salari e ottime parcelle? Migliala di delegati delle diverse nazioni si recano a Rio de Janeiro, a Kyoto e a New York per i summit sulle condizioni ambientali della Terra, producendo ogni volta tonnellate di rifiuti e grandi quantità di fumi di scarico. Vengono fatte dichiarazioni importanti e stilate intere risme di relazioni. I delegati hanno l’occasione di partecipare a grandi cene e gustare diverse portate di piatti di cucina regionale. Niente cambia. La gente comune, regolare, ragionevole, rimane disgustata da simili messe in scena. Sanno già bene che cosa sta succedendo. Riescono a capirlo dalle


questioni che i loro politici evitano di discutere. Dagli uragani e dalle inondazioni che indicano un serio sconvolgimento della struttura dell’ecosistema terrestre. Dall’impressionante aumento, sotto Natale, del consumo elettrico per l’illuminazione delle strade. Dal modo in cui lo sguardo dei propri figli si perde nel vuoto, dopo tre ore di televisione. Abbie Hoffman aveva colpito nel segno quando, dopo che gli fu detto che gli esperti e gli accademici stavano studiando la questione delle “attività rivoluzionarie”, aveva sbottato: « Cosa diavolo avete bisogno di analizzare? Uscite e datevi da fare!». Allo stesso modo, lo scrittore Edward Abbey ha centrato l’obiettivo quando ha affermato: « II pensiero che non sia seguito dall’azione è la rovina dell’anima».

Non siamo femministi. Le femministe dagli anni Sessanta e Settanta, furono travolgenti, entusiasmanti e agguerrite, ponendo in discussione praticamente ogni aspetto del modo di vivere. Ma, forse proprio a causa del suo notevole successo, il femminismo ha finito per trasformarsi in un’ideologia, in un “ismo” stranamente estraneo, rimasto bloccato in un’altra era, troppo focalizzato su questioni particolari e sempre più diviso al suo interno. Il femminismo entra in crisi quando, una decina di anni fa, apparve cartello con la scritta sole donne appeso sulla porta di una sala riunioni alla Simon Fraser University di Vancouver. Con il tempo l’attenzione del movimento si è implacabilmente spostata su problemi specifici e marginali, e si è allontanata sempre più dalle maggiori questioni sociali. Il femminismo ha ancora un forte potere intellettuale, continuerà a giocare un ruolo fondamentale nello stemperare il predominio maschile in campi quali la scienza, la medicina e la filosofia, e nel promuovere una visione politica e un rapporto più profondo con il mondo naturale. Ma resta il fatto che, nell’insieme, il femminismo odierno non è più quel movimento ad ampia base sociale che era un tempo, e si è trasfor-

mato in uno dei tanti gruppi particolari di “vittime” in gara per un minimo di attenzione, e di denaro.

Non siamo militanti di sinistra. Molti attivisti, sono cresciuti a stretto contatto con le ideologie di sinistra. Erano ideologie che abbracciavamo con entusiasmo. Ma, da quindici anni a questa parte, la sinistra non è stata altro che una grande delusione. Ha perso vigore. Si è compiaciuta di sé, è diventata dogmatica. (Ci viene in mente Allen Ginsberg quando, di fronte alle semplicistiche vedute politiche della madre, si sentì crescere in petto un senso di nausea e di diffidenza non solo per la sinistra, ma per la politica in generale.)10 La sinistra degli anni Cinquanta e Sessanta era idealista e ribelle. Oggigiorno tutto l’entusiasmo è andato in fumo. Il movimento non funziona più. Cosa è successo? Sicuramente, il collasso dell’Unione Sovietica ha minato l’intera base filosofica della sinistra. Il controllo governativo la proprietà pubblica (oltre allo stato assistenziale e alla democrazia sociale) si sono rivelati sistemi difettosi e fallimentari. Le nazioni si stanno pian piano liberando di questi residui ideologici per adottare filosofie di libero mercato che, pur con le loro gravi carenze, sono di gran lunga meglio del controllo centralizzato di ogni aspetto della vita economica. Ma la vecchia sinistra è dura a morire. In «Mother Jones», «The Nation», «Z», «Extra», «The Mul-tinational Monitor» e in dozzine di altre riviste e notiziari di orientamento sinistroide, troviamo sempre gli stessi autori che ripetono le stesse idee anno dopo anno. Il problema non è che questi individui non siano dei giornalisti capaci o non abbiano una buona conoscenza delle materie. Semplicemente, non ci mettono passione. C’è un non so che di incolore, di prevedibile in loro. Questi individui Non desiderano più con passione un reale cambiamento della situazione. Quello, è ormai un sogno. Un’utopia. Anzi, se una trasformazione ci

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dovesse mai essere, non saprebbero nemmeno come comportarsi. Si accontentano di continuare a riempire i convegni con i propri discorsi, o di scrivere sbiaditi articoli di giornale con l’intento di mettere in ridicolo gli avversari di destra. I militanti di sinistra, compresi alcuni dei migliori, si sono ridotti allo status di ragazzini impegnati a tirare palle di neve contro le automobili in corsa. Il direttore di «Harper’s», Lewis Lapham , rappresenta la quintessenza dell’uomo liberale di sinistra. Ogni mese, egli si da fare per analizzare con passione e, spesso, eloquenza lo stato di salute morale della nazione. Ma quando gli si chiede chiarimenti su quanto fosse etico far pubblicità alle compagnie di tabacco sulle pagine della sua rivista, egli si è prontamente rifiutato di farsi coinvolgere nel dibattito. ” Per anni interi ha snobbato lettere, chiamate telefoniche e le richieste, giocando al gatto e al topo sui media. Non è riuscito a spianare un affronto morale nemmeno in un’area di sua proprietà.” La sinistra liberale ha un modo tutto suo di prendere parte a battaglie che le possa tornare utile. Negli ultimi deceni le sue bandiere sventolare sopra le teste di militanti neri, delle femministe, degli ambientalisti. I suoi uomini si sono intromessi con prepotenza nelle maggiore parte delle proteste sociali degli ultimi cinquanta anni. Le questioni cruciali dei nostri tempi non sono né di destra né di sinistra, né maschili né femminili, né bianche né nere. Gli attivisti del nuovo millennio devono trovare il coraggio di abbandonare ogni precedente ortodossia, ogni “ismo” e ogni vacca sacra, per coltivare uno spirito di «spietata critica di tutto ciò che esiste.» La grande sfida che abbiamo di fronte è quella di far rinascere nel mondo moderno una coscienza e una contestazione realmente rivoluzionarie. Di alzarsi in piedi e gridare a squarciagola quel che i ribelli di Parigi avevano dichiarato una trentina d’anni fa: «Metteremo in ginocchio il mondo!» .

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Guerre di memi. Un “meme” è un’unità di trasmissione culturale (uno slo-gan, un pensiero, una melodia, un concetto di moda, filosofia, politica) che si trasmette di cervello in cervello, memi lottano per riprodursi e si diffondono fra la popolazione in maniera molto simile al modo in cui i geni vanno a caratterizzare una specie biologica. I memi più potenti sono in grado di cambiare le menti, di alterare i comportamenti, di catalizzare cambiamenti collettivi d’opinione e di trasformare intere culture. Ecco perché la guerra di memi, è diventata la principale battaglia geopolitica dell’era dell’informazione. Chiunque sia in grado di controllare i memi ha, di fatto, il potere fra le mani. Gli attivisti possono inscenare sit-in, organizzare proteste di massa e allestire violente battaglie contro la polizia. Ma questi eventi faranno al massimo una fugace quanto ingloriosa comparsa nei telegiornali della sera, e poi spariranno senza lasciare traccia. Sono spettacoli con un periodo radioattivo limitato. Le vere rivolte, quelle importanti, in grado di cambiare le alleanze, scuotere i governi, far vincere (o perdere) le lezioni, obbligare le corporation e le industrie a ripensare ai propri piani, si pianificano ora nella testa delle persone. La prossima rivoluzione “ la Terza guerra mondiale” sarà, come ha predetto Marshall McLuhan, «una guerriglia dell’informazione», combattuta non per le strade o nei cieli, non nei boschi o in alto mare, in prossimità delle frontiere , ma sui giornali e sulle riviste, sulle radio, e nelle televisioni e su Internet. Sarà una feroce guerra di propaganda a tutto campo fra contrastanti idee del mondo e del suo futuro. I Culture Jammer possiamo vincere questa guerra, per noi stessi e per il pianeta Terra. Ecco come. Costruiamo una nostra centrale di produzione di memi, creiamo un prodotto migliore e battiamo le corporation sul loro stesso terreno. Identifichiamo dei macromemi e dei metamemi - le idee fondamentali, necessarie alla prospettiva di un futuro sostenibile - e schieriamo le nostre armi.


Ecco cinque dei più potenti metamemi attualmente presenti nell’arsenale dei Culture Jammer: Costo reale: Nel mercato globale del futuro, il prezzo dei prodotti dovrà rispecchiare il loro costo in termini ecologici. Demarketing: Le strategie di marketing hanno fatto il loro corso. Ora è giunto il momento di svendere i prodotti e far rivoltare l’incredibile potere del marketing contro se stesso. Meme della “macchina infernale”: L’economia globale è un meccanismo di autodistruzione che deve essere fermato e riprogrammato. Soggetto d’impresa: Le corporation non sono “soggetti” legali con propri diritti costituzionali e proprie libertà, ma finzioni giuridiche create dall’uomo e, quindi, da questo necessariamente controllate e governate. Media Carta: Ogni essere umano ha il “diritto di comunicare” - di ricevere e trasmettere informazioni attraverso tutti i media. Cosa succederebbe se il 10 per cento degli americani cominciasse a credere e ad appoggiare anche solo una di queste idee? Le cose cambierebbero. Un metameme diffuso nella fascia oraria di maggior ascolto - una grande e sconvolgente granata in grado di catturare in un attimo l’immaginazione pubblica e diventare essa stessa un super-spettacolo - avrà un effetto simile a quello di una bomba atomica. Provocherà dissonanze cognitive d’altissimo livello. Sconvolgerà gli abituali schemi di vita delle persone e spingerà la società verso nuove e coraggiose direzioni. L’ultima volta che gli attivisti sociali hanno agito in massa sulle reti televisive hanno riportato una grande vittoria. Mi riferisco alla guerra contro il fumo, iniziata storicamente negli anni Sessanta, e conclusasi a ridosso del nuovo millennio con la sconfitta delle grandi multinazionali del tabacco. Questa guerra ha

rappresentato la prima (e finora ultima) tappa nella vittoria contro la pubblicità commerciale nel campo aperto della battaglia di memi. Improvvisamente, la multimiliardaria industria americana delle sigarette si era ritrovata a dover fronteggiare la prima lobby antitabacco. Nel 1969 i crociati di tale gruppo, con ostinati sforzi e continue pressioni, riuscirono ad appropriarsi di spazi televisivi per i propri spot contro il fumo, al tempo ancora pubblicizzato legalmente in tutta l’America. Ricordiamo bene quegli spot - i primi piani ravvicinati delle sigarette fumanti, le immagini ai raggi X dei polmoni carbonizatti.L’estremo gesto di Yul Brynner il quale, avendo un cancro ai polmoni, è apparso in televisione poco prima di morire, guardando il mondo dritto negli occhi e ha annunciato gravemente: «Fate ciò che volete, ma non fumate». Quel meme riuscì a collegare per la prima volta indissolubilmente le sigarette all’idea della morte. I telespettatori capirono che Brynner aveva detto la verità. Quegli spot ,hanno aiutato milioni di persone , a smettere di fumare. Quel che è ancora più importante, hanno dimostrato che anche un cartello multimiliardario può essere battuto in campo aperto. Il meme a favore del fumo era stato annientato da quello contrario. Da allora in poi l’industria del tabacco, nonostante la sua enorme potenza finanziaria, non sarebbe più stata in grado di reggere il confronto. Aveva perduto la sua presa sull’opinione pubblica. L’incantesimo era spezzato. Fumare non era più cool, e nessuna campagna pubblicitaria avrebbe più potuto riportare indietro le cose. Nel 1971 le multinazionali del tabacco accettarono “volontariamente” l’interdizione federale dei propri spot dai canali radiotelevisivi. Da quel momento le pubblicità delle sigarette sono scomparse da tali media. Per gli attivisti della lobby antifumo - i primi Culture Jammer - la chiave del successo è stata combattere il nemico in televisione. Tale vittoria ha dato inizio alla grande svolta del ventennio successivo, che ha visto un numero sempre maggiore di fumatori fare dietro

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front. Oggigiorno, una nuova generazione di Culture Jammer prende ispirazione da quella vittoria. Se la potente industria del tabacco si è dimostrata vulnerabile agli abili, ben studiati attacchi degli attivisti televisivi, allora è possibile senza dubbio ripetere con successo azioni simili contro altre industrie dannose. I jammer si stianno mobilitando per portare le loro battaglie anche in molti altri settori della nostra vita. Sono pronti ad andare contro le grandi industrie automobilistiche, i colossi della moda le potenti industrie alimentari, le corporation della pubblicità e’i manipolatori dell’opinione pubblica. Con la speranza di dar vita a un nuovo modello in grado di battere l’America™ con una guerra di memi. Il guerrigliero dei memi. La prossima volta che vi sentite nello stato d’animo giusto, provate a farvi questa semplice domanda: cosa significherebbe per me compiere un gesto spontaneo, essenziale, a sostegno di qualcosa in cui credo? C’è qualcosa in cui credo fino a tal punto? L’azione diretta è una dichiarazione d’indipendenza individuale, che scatta quando la nostra coscienza e la nostra tolleranza si sentono entrambe schiacciate da pressioni troppo forti. Allora reagiamo. Ci lanciamo e facciamo qualcosa. Ci mettiamo nella condizione di sentirci pronti ad affrontare qualsiasi cosa ci troviamo di fronte. In quel momento è come Se rinascessimo. Il nostro mondo interiore s’illumina improvvisamente. Siamo come gatti in cerca di una preda: vivi, attenti, e un po’ selvaggi. È divertente lottare contro i titani. È un vero spasso stendere al tappeto megacorporation come McDonald’s, Nike o Calvin Klein utilizzando il fortissimo impatto delle loro stesse immagini e la notorietà dei loro prodotti - e facendo leva su quel meccanismo di riconoscimento del marchio che è stato costruito con tanta assiduita nel corso degli anni. È un’impresa affascinante sfidare grandi cartelli come quelli delle maggiori case automobilistiche e mettere

in dubbio la loro legittimità. È esaltante tentare di obbligare un’intera disciplina accademica come l’economia neoclassica a rivedere i propri assiomi. In simili conflitti, il più debole è nella posizione ideale per valutare i rischi e mettere alla prova le proprie teorie. I Culture Jammer sono continuamente alla ricerca di nuove strategie per le loro guerre di memi. Eccone alcune. Punti su cui far leva. Salvo poche eccezioni, non esiste problema sociale che, per quanto in apparenza difficile, non possa essere risolto con tempo, studio e impegno sufficienti. C’è sempre una piccola fessura nella quale è possibile far entrare un perno, e aprirsi un varco. Questo è il punto di leva. Quando si esercita su tale punto la pressione necessaria, si mette in moto un processo per cui i memi cominciano a moltiplicarsi, le idee a mutare e con il tempo, l’intera cultura a cambiare. Fra gli studiosi circola una storiella piuttosto famosa, che illustra come anche solo una piccola pressione su uno di questi punti di leva possa cambiare significativamente le cose. Una volta, l’amministratrice di una cooperativa immobiliare s’era trovata in una situazione piuttosto imbarazzante. Per quanto continuasse a riprenderli, ad assillarli, a organizzare riunioni su riunioni, e per quanta buona volontà la donna ci mettesse, i suoi inquilini non volevano, o non potevano, ridurre i consumi di energia. Alla fine a quell’amministratrice venne un’idea. Cosa succederebbe, pensò, se togliessi i contatori dell’elettricità dagli scantinati e decidessi di metterli in un punto più visibile, accanto alla porta d’ingresso, dove la gente non potrà fare a meno di notarli? I contatori furono spostati. Nel giro di poche settimane i consumi di energia calarono del 30 per cento. Questa è una storia che ha un certo significato per i Culture Jammer, perché fa pensare allo scopo primo del nostro movimento: trovare dei punti di leva. Se qualcosa non funziona come dovrebbe possiamo fare qualcosa, ma a condizione che si guardi la situazio-

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ne in maniera diversa. «Non si tratta di rivedere un parametro, di rafforzare o indebolire un circuito esistente ma di varare una nuova strategia che sappia insistere su nuovi punti.» C o m’è possibile far sì che la gente utilizzi un numero minore di automobili? Si Potrebbero incoraggiare le persone a usare le biciclette come mezzi di trasporto, e organizzare delle settimane nelle quali si propone ai lavoratori di spostarsi in bici anziché in auto. Potremmo dare dei fondi ai datori di lavoro perché sovvenzionino i pendolari all’utilizzo della bici per muoversi. Sarebbero tutte mosse utili. Ma il vero punto di leva potrebbe essere una trovata che sappia screditare in blocco uno dei rituali centrali della cultura automobilistica - come la 500 miglia di Indianapolis. Se abbiamo gettato discredito sulle sfilate di bellezza, perché ora non possiamo fare la stessa cosa con le corse auto-mobilistiche? Entrambe sono relitti di un’era passata. II mondo è pieno di altri esempi simili. Se la gente è vittima dell’industria della moda, possiamo smantellare i cartelloni pubblicitari, organizzare “Settimane antimoda” , o dirottare la gente verso i negozi di articoli usati. Ma se concentriamo le nostre energie su uno dei grandi magnati della moda -come Calvin Klein - e proviamo a screditare la sua linea di abbigliamento e il suo logo, allora probabilmente avremo trovato il modo di fare leva sull’intera industria. Un calo anche minimo delle vendite di Ck , significherebbe un’importante inversione di rotta. Tali punti di leva si trovano più facilmente se si è pronti ad ascoltare le proprie intuizioni e ad agire su grande scala. Perché non battersi contro i produttori di cibo-spazzatura, che inondano le nostre reti televisive? Perché non intraprendere azioni legali contro le emittenti che non ci vogliono vendere spazi televisivi? Perché non portare il nostro caso alla Corte di giustizia internazionale? Perché non provare a lanciare un movimento globale di riforma dei mezzi di comunicazione? Perché non tentare di abrogare la

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licenza della Philip Morris ?

Détournement . Le corporation fanno pubblicità. I Culture Jammer disfano pubblicità. Una “contropubblicità” ben fatta fa il verso alle j immagini e al timbro di un certo spot, provocando la classica : reazione a scoppio ritardato nel pubblico, che si accorge di trovarsi di fronte l’esatto opposto di quel che si aspettava. Una “contropubblicità” è un potente esplosivo. Spezza il magico incanto costruito dalla realtà mediata e, per un attimo, svela in maniera chiarissima il triste spettacolo che questa nasconde. Supponete di non avere il denaro necessario per organizzare una vera e propria campagna pubblicitaria, però potete prendere le pubblicità del vostro nemico e farne la parodia, modificando l’originale preparato con tanta attenzione: Internet è uno dei più potenti mezzi di diffusione di memi che siano mai stati inventati. Dato che il cyberspazio cresce a una velocità pari a quella di un neonato - raddoppiando le proprie dimensioni ogni dieci mesi - e che il passaparola fra gli utenti di Internet è una pratica comune, i memi hanno la possibilità di propagarsi in i maniera vorticosa. Nel 1997 il “Buy Nothing Day” s è trasformato da piccola campagna di controcultura del nordovest qual era, in una delle principali manifestazioni di anticonsumismo al mondo. Chiunque possieda un PC e un modem può visitare il sito della Media Foundation (www.adbusters.org) , scaricare un poster del “Buy Nothing Day” , le immagini delle magliette, e vedere on line dei brevi filmati della loro campagna televisiva. Il cyberjamming sta crescendo a ritmi vertiginosi. Ecco alcune interessanti tecniche in voga di questi tempi: Cyber-petizioni. Usate Internet per entrare in contatto immediato con milioni di animi affini che possano approvare la vostra proposta, firmare la petizione, e rispedirvela in men che non si dica via e-mail.

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Proteste virtuali. Fate sapere a quanti visitano il vostro sito del’opportunità di collegarsi direttamente al sito della compagnia incriminata (sia essa la Monsanto, McDonald’s, la Philip Morris o la nbc ), dove potranno sbizzarrirsi a dare sfogo diretto alle proprie proteste. Sit-in virtuali. Mandate in tilt un sito Internet nemico indirizzandovi qualche dozzina di cyberjammer che, nello stesso momento, comincino a richiedere più testi, immagini, animazioni ed elementi multimediali di quanti esso sia in grado di gestire. Siti di protesta. Create e mantenete attivo un sito dedicato a screditare una particolare corporation o un particolare logo.

Jamming televisivo . Uno spot di quindici, trenta o sessanta secondi creato da un gruppo di registi entusiasti è l’arma più potente dell’arsenale dei Culture Jammer. Un messaggio televisivo intelligente e ben fatto è una vera e propria “bomba mentale” : può esplodere nell’immaginario collettivo e creare autentiche ondate di dissenso cognitivo. Una buona “contropubblicità” (o pubblicità non commerciale) è talmente diversa dagli spot ordinari, da riuscire ad attirare immediatamente l’attenzione degli spettatori. Rompe lo stato di trance in cui questi sono intrappolati e, per un attimo, sconvolge il loro punto di vista sulle cose. Avvia una guerriglia di memi sul terreno del più potente mezzo di comunicazione sociale dei nostri tempi. Può prendere a sorpresa intere industrie, provocare ripensamenti nelle mosse governative, mandare in frantumi le leggi, dare il via a nuove iniziative politiche. Una campagna televisiva di trenta secondi è un buon mezzo legale grazie al quale i privati o i gruppi d’attivisti possono sfidare l’operato di governo, corporation e industrie. E la consapevolezza che, in uno stato democratico, chiunque possa usufruire di tale diritto è assolutamente esaltante.

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moda sulla nostra idea di bellezza, richiede un’impegnativa guerra di memi su più fronti e lunga diversi anni. La “strategia della pinza” è un valido modo per organizzare le nostre forze, e si propone di lavorare in questo modo: 1. Si colpisce l’industria dall’alto, con violenti attacchi sui media. Le si toglie il predominio televisivo mandando in onda spot di dissenso. Si riempiono le riviste d’immagini e messaggi sovversivi. Si dispongono pannelli di contropubblicità esattamente accanto ai grandi cartelloni pubblicitari. 2. Contemporaneamente, la si attacca dal basso. Si fanno pressioni a livello locale. Si contattano alcuni gruppi cittadini (ciclisti, vegetariani, cristiani contro la violenza televisiva, ambientalisti) e si organizzano azioni di protesta (raduni antiautomobili, parate di strada, attacchinaggio di adesivi, settimane antimoda, cyberpetizioni) per attirare l’attenzione di stampa e televisione. 3. Si prende l’industria in tale morsa e non si molla la presa per almeno due anni.Se ben organizzata, un’azione di questo genere spingerà milioni di persone a ripensare al proprio stile di vita a mangiare più sano, guidare di meno, fregarsene della moda, prendersi più tempo per sé. Alla fine, lo stato d’animo della nazione migliorerà. I pendolari che sono soliti andare al lavoro in auto finiranno per somigliare sempre più all’immagine che abbiamo oggi dei fumatori. Chi, per pranzo, ama trangugiare un Big Mac con patatine fritte e CocaCola , si sentirà un po’ colpevole, un po’ malato, un po’ stupido. Gli adolescenti che vanno pazzi per i cappellini Nike e i jeans Calvin Klein non si sentiranno più così fighi. Ecco allora che queste industrie cambieranno. Ecco che le case automobilistiche mondiali capiranno d’un tratto che non c’è futuro per i pendolari che usano singolarmente la propria auto per recarsi al lavoro. McDonald’s la smetterà di offrire diete a base di grassi e fritture. Il mito della bellezza a tutti i costi inizierà a perdere colpi. Gli ingranaggi delle corpora-

Non è detto che una dimostrazione di centinaia di persone di fronte a McDonald’s faccia notizia sui telegiornali della sera. Ma una campagna televisiva anche modesta), che spieghi come un Big Mac contenga più del 50 per cento di grassi, può colpire dritto al cuore l’industria dei fast-food. Un coraggioso spot contro le automobili che venga trasmesso a ripetizione durante le dirette internazionali delle corse può snervare le case automo-bilistiche di mezzo mondo. Una pubblicità non commerciale mandata in onda nelle settimane precedenti un incontro del G 8 , che parli dell’economia mondiale in termini di autodistruzione, può originare un enorme dibattito pubblico riguardo l’insostenibile eccesso dei consumi nei ricchi paesi del “ Primo Mondo” . L’obiettivo è quello di conquistare il libero accesso alle onde radiotelevisive e il “diritto di comunicare” l’uno con l’altro in un ambiente di libera informazione. Nel frattempo, la guerriglia televisiva rimane senza dubbio una tattica doppiamente vincènte. Se si potessero comprare spazi televisivi e a far trasmettere questi spot, si avrebbe la possibilità di conseguire l’obbiettivo perché centinaia di migliaia di telespettatori riceveranno il nostro messaggio. Se le reti rifiutano di vendere il tempo di trasmissione, allora pubblicizziamo il fatto, ritrovandoci così fra le mani un grande scandalo a proposito del diritto di accesso della gente alle televisioni pubbliche. Forse ciò attirerebbe più attenzione sul problema di quella che avremmo ottenuto se le emittenti avessero accettato senza tante storie.

La “strategia della pinza”. Per liberarsi dal ferreo dominio di un’industria che controlla parte delle nostre vite e pianifica da sé il proprio funzionamento, è necessario qualcosa di più di un violento spot televisivo e di un po’ di rabbia. Spezzare la presa che l’industria automobilistica ha sulle nostre politiche dei trasporti e dell’ambiente, o l’influenza dell’industria alimentare sulle nostre scelte nutrizionali, o ancora quella dell’industria della

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esperienza di un grande risveglio. A poco a poco, la gente s’impegna a demolire lo Stato di corporation e a riappropriarsi del potere che gli è stato sottratto nel corso del secolo passato. «Un popolo nel pieno dei suoi poteri non fa l’elemosina né scende a trattative con entità subordinate di sua stessa creazione,un popolo sovrano è alla guida di tali entità» dice Richard Grossman , direttore del Program on Corporations , Law and Dernocracy , uno degli architetti di questa grande’svolta epocale. «Quando un’entità subordinata viola le leggi che stanno alla sua base e minaccia la nostra capacità di auto-governarci, bisogna agire in maniera rapida e mirata per eliminare al più presto questo cancro dal corpo politico della nazione.» Il quarto atto della storia d’America spezza l’ipnosi consumistica indotta dai media. Toglie il simbolo “™” dal nome America e fa indietreggiare le corporation, revocando molti dei diritti costituzionali che sono stati concessi loro nel corso degli ultimi due secoli. Riduce queste entità subordinate all’obbedienza. Scopo di questo seminario è suscitare un importante cambiamento di mentalità nel modo con cui la gente si rapporta al sistema. Una volta fatta esperienza di tale cambiamento, si proverà un senso di vergogna per essere stati finora tanto arrendevoli e remissivi. Le giornate saranno investite da un nuovo senso d’indipendenza e da nuovi scopi. Si proverà immenso piacere dalla lotta contro le corporation, e dal rispedire queste ultime al proprio posto. Si capirà quel che significa avere nuovamente potere e responsabilità. Impareremo a tener presente che siamo esseri umani, mentre le corporation sono solo delle finzioni legali inventate dall’uomo. Alla fine, avremmo sviluppato la capacità di riprenderci la libertà e la dignità che ci spettano di diritto. Tali cambiamenti avverranno per gradi. La presenza delle corporation è intrecciata a tal punto nella nostra esistenza che è difficile accorgersene e ancor più ostacolarla (non siamo forse abituati a dare per

tion cominceranno all’improvviso a incepparsi e, in un grande slancio di autodeterminazione, la gente reclamerà la propria indipendenza e la propria cultura. Può darsi che il movimento Culture Jamming sarà ricordato dai nostri nipoti come il catalizzatore della grande trasformazione globale che ha saputo scuotere il mondo agli albori del nuovo millennio. Allora, gli incantesimi dell’economia neoclassica saranno ormai roba vecchia, e la paura di abbattere il dominio delle corporation un ricordo del passato. I nostri nipoti godranno della libertà e dell’indipendenza per le quali ci siamo battuti e che abbiamo saputo conquistare. «Come avete fatto?» ci chiederanno. «C’eravate quando la Philip Morris Inc. ha dovuto mangiare la polvere? O quando il Partito americano per la trasparenza dei costi ha vinto le elezioni? Oppure quando il “diritto di comunicazione” è stato inserito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo? » Quindi, come guerrieri, ci alzeremo le maniche e mostreremo le nostre cicatrici.

Seminario per l’educazione al Culture Jamming. Proviamo a ripensare alla storia degli Stati Uniti come a un’opera teatrale in quattro atti. Nel primo, l’America è una nazione fantoccio controllata in tutto e per tutto dall’impero britannico. Nel secondo, l’America si ribella. Una grande rivoluzione restituisce potere alla gente, che si organizza in una forma nuova e più democratica di governo, un esempio per il mondo intero. Nel lungo e tragico terzo atto, che proprio ora sta toccando il suo drammatico finale, l’America è provata dal consumismo e sta lentamente morendo. Schiacciata dal sistema, questa democrazia un tempo gloriosa sta lasciando il posto a uno Stato di corporation: la gente è ormai stanca, debole, e non sa più vivere in libertà. Il quarto atto comincia qui. È una fase di rovesciamento, recupero e redenzione. Gli americani fanno

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scontati il potere e le prerogative delle corporation, proprio come un centinaio d’anni fa si dava per scontato il potere il delle case reali? ). Sarà necessariamente un processo di lenta disintossicazione. Comincerà con semplici atti di resistenza, ma alla fine saprà cambiare completamente la nostra autoconsapevolezza all’interno della cultura dei consumi. Ci troveremo di fronte a un’alternativa: o comportarci proprio come le corporation vogliono che ci comportassimo , oppure prendere in mano la situazione, capovolgerla e cominciare ad agire come individui liberi e indipendenti. Ma, ci sono diversi gradi di libertà e indipendenza: nel ambito di questi percorsi non troveremo facili soluzioni utili a modificare completamente la nostra auto-consapevolezza all’interno della cultura dei consumi.

suo numero di casa la richiamerete quella sera stessa. E, quando lei si rifiuterà, non faremo altro che ribattere: « Se lei ha chiamato a casa mia, perché io non posso chiamare a casa sua?» . Oppure si potrebbero cambiare le carte in tavola dicendo: «Ok, prima di continuare, però, è giusto che lei sappia che il mio apparecchio è stato programmato per far pagare le telefonate in entrata venti euro l’ora, con un minimo di quindici minuti di conversazione. Quindi, se proprio vuole parlare con me, sappia che ciò costerà alla sua compagnia almeno cinque euro. Il contatore è partito. Veda lei ». Ecco un’ elegante tattica di détournement. Quando un numero sufficiente di persone avrà cominciato a dirottare in maniera simile gli assalti di telemarketing delle corporation, siate pur certi che a queste passerà la voglia di tormentarvi nelle vostre case. Impariamo a mettere in atto il détourne- Il modo in cui affrontiamo i normali problemi quotidiani ci pone in un “continuum” di lotta. Da un lato m e n t. troviamo le piccole baruffe, al telefono o nelle banLunedì sera. Squilla il telefono. All’altro capo c’è una che; all’altra, prese di posizione cruciali come queldonna che lavora per una grande compagnia di assile relative all’ ingegneria genetica, alle leggi sul comcurazioni. <<Siete interessati a saperne di più su un mercio e al riscaldamento globale. Il modo in cui piano di risparmio che sembra proprio adatto a voi, reagiamo individualmente ai problemi minori deterdato il vostro stile di vita e il vostro reddito?>> La mina su scala più ampia, il nostro modo di reagire donna ha un tono piuttosto aggressivo. Si capisce collettivamente alle questioni maggiori. La nostra che sta leggendo un foglio prestampato. esistenza di ogni giorno comincia la dove ha inizio la Qui scelte sono limitate esclusivamente dalla vostra rivolta. Ecco, allora, il terreno sul quale è necessario fantasia e dall’umore del momento. Possiamo rimacombattere la vera battaglia: ecco dove, alla fine, la nere ad ascoltare le sue proposte per poi rifiutare “Terza guerra mondiale” di cui parla Marshall educatamente. Possiamo scegliere la via più facile, e , sarà vinta, oppure persa. McLuhan mentire: oppure potete scegliere di dire la verità. «Va bene, parlerò con lei ,» cominciate, « ma solo se la cesserà di leggere quel foglio prestampato e Impariamo a combattere. cominciare a parlare con me come si parla a un esse- Venite chiamati in una squadra, e scoprite che ciare umano. » Se in quel momento ci sentiamo partico- scun giocatore del gruppo deve indossare una maglia larmente brillanti, possiamo intavolare con l’opera- che porta impresso un enorme logo della Nike . La trice una discussione sui motivi che l’ hanno spinta divisa è obbligatoria. Giocate per una “squadra della ad accettare quel lavoro di telemarketing , e tentare Nike” . di convincerla a trovarsene un altro. Oppure possia- Chiaramente, la cosa più semplice da fare sarebbe mo dirle, in tutta franchezza, che al momento siamo fregarsene e indossare quella dannata divisa. occupati, ma che se lei è così gentile da lasciarvi il L’alternativa è discutere con l’allenatore e lasciare la

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squadra in segno di protesta. Non sapete che fare. Ecco un’altra soluzione. Parlate in privato con ciascun membro della squadra, quindi organizzate un’assemblea. Sostenete che è degradante per dei giocatori essere ridotti allo status di cartelloni pubblicitari umani. Poi rimboccatevi le maniche. Affiggete manifesti. Descrivete la vicenda sul giornale. Allestite una feroce e ben fatta campagna che sappia attirare l’attenzione di tutti. Poi chiedete un appuntamento con i dirigenti della squadra per spiegare il vostro punto di vista. Dite loro che ci saranno belle somme da pagare se non la smetteranno immediatamente di mescolare sport e pubblicità. Le corporation sanno bene come comportarsi con dei contestatori del vostro calibro. Allora, occorre conoscere in anticipo quanto si è disposti a rischiare. Non accettate una sfida se poi non avete il tempo di portarla avanti. Organizzate la lotta con cura. Decidete fino a dove avete intenzione di spingervi e quale sarà la vostra mossa finale se il vostro attacco dovesse arrivare a un punto cieco. Siete disposti a chiudere il vostro conto in banca, a rinunciare a un’ordinazione, ad allestire una protesta pubblica? Siete pronti a compiere atti di disobbedienza civile, a promuovere azioni legali, o prendere appuntamenti, per parlare a quattrocchi con i direttori generali? Se decidete di fare scelte impegnative di questo tipo, comincerete a sentirvi più vivi, spontanei e liberi a vincere più schermaglie di quante ne posiate perdere e scoprire cosi la vera gioia di mettere in pratica il Culture Jamming: quella di avere fra le mani il grande, fantastico potere di cambiare le cose.

Riformuliamo le discussioni. Se stanchi dell’imperialismo dominante dei fast food, si decidesse di prendere parte a una dimostrazione nei pressi del McDonald’s locale, di solito, manifestazioni simili seguono una procedura standard. I contestatori distribuiscono volantini che criticano la corporation di promuovere una cattiva alimentazione e la distruzione delle foreste del Sudamerica per


trarne terre da pascolo. Da una parte della barricata c’è McDonald’s , famosa corporation multimiliardaria, dall’altra, un manipolo di contestatori, che urlano i loro stanchi slogan. I leader della manifestazione provocano deliberatamente la polizia, per essere arrestati. I cronisti riportano alcune frasi infuriate. La storia finisce per fare notizia sulle pagine di cronaca dei giornali locali, o forse persino al telegiornale della sera. Ma nulla cambia. McDonald’s continua ad aprire nuovi ristoranti dove e quando gli pare, ad abbindolare i ragazzini bombardando di spot con i cartoni animati del sabato mattina, a impegnare un miliardo e mezzo di dollari l’anno in pubblicità, e, in larga parte, a dettare legge nell’alimentazione del pianeta. Forse è il caso di pensare a un nuovo modo di fare protesta. Questa volta, i dimostranti marceranno attorno al ristorante in maniera ordinata. Non violeranno la proprietà privata di McDonald’s . La polizia non avrà il diritto di arrestare nessuno. Quando un cronista chiederà: «Contro cosa protestate, esattamente?» , voi risponderete: «Per cortesia, diciamo le cose come stanno. Non siamo contestatori. Siamo dei semplici cittadini preoccupati del fatto che McDonald’s spinge i nostri bambini a mangiare sempre più fast food. Vogliamo dire la nostra sul numero esorbitante di fast food che ci sono nel nostro quartiere, e sulle licenze che questi dovrebbero pagare per il privilegio di cui godono». Incredibile! All’improvviso i termini della questione sono cambiati. All’improvviso, non siamo più un gruppo di contestatori di McDonald’s , ma un gruppo di cittadini che rivendicano il proprio diritto a difendere la vita della comunità. I cittadini sono ancora una volta i nativi, i proprietari terrieri, i coloni di un tempo, e ad essere violati sono i loro diritti, non quelli della corporation. Il cronista, ora non sarà più autorizzato a usare la parola “contestatori” ; dovrà scrivere un articolo diverso, perché un attivista particolarmente acuto ha saputo cambiare i termini della questione.

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visitare le antiche foreste vergini costruendo percorsi nella natura sotto i tetti delle foreste: nel corso degli anni, migliaia di attivisti sono stati arrestati per aver bloccato le principali arterie di disboscamento, o per essersi incatenati ai macchinari delle compagnie. Gli ambientalisti hanno vinto molte piccole battaglie. Intere aree di foresta pluviale sono state risparmiate grazie a ordinanze governative. Sono stati costruiti dei parchi. Alcune pratiche di deforestazione sono state abolite. Eppure, il problema di fondo rimane. Le compagnie continuano a disboscare a ritmi insostenibili, a mettere a ferro e fuoco le rotte dei salmoni, e lasciare in eredità alle generazioni future terreni in condizioni disastrose. Quando le proteste cominceranno a farsi sentire in maniera pressante, quando l’ambiente non riuscirà più a sostenere i ritmi di disboscamento, quando le nostre care, vecchie foreste saranno scomparse del tutto, le compagnie di legname si sposteranno in altri luoghi da sfruttare. «Quanti danni deve provocare una compagnia prima che il suo diritto di esistere venga messo in discussione?» chiede Paul Hawken , autore del libro The Ecology of Commerce . Questa domanda ha gettato una nuova luce sulla disputa contro le corporation. Teniamo strette le redini del potere. Nel Pacific Northwest una manciata di giganti del Una luce stimolante. Invece di sferrare battaglie conlegname, che hanno fra le mani il potere di “gestire” tro problemi singoli, invece di chiedere alle compale risorse naturali, hanno alle spalle una lunga storia gnie del legname di smettere di fare danni in questo di crimini ecologici di ogni genere, che vanno dal e in quest’altro caso specifico, poniamo in discussiodisboscamento selvaggio alla rovina di interi bacini ne la loro legittimità, il loro diritto legale di contiidrici. L’eredità che ci lasciano sono brulli panorami nuare a operare nel nostro stato o nella nostra prodi ceppi recisi e fiumi melmosi pieni di salmoni in vincia. Riformulare il problema così da essere noi, e non agonia. Per oltre un ventennio gli ambientalisti hanno attua- una corporation, a farla da padroni è un po’ come to la loro controffensiva. gruppi come Greenpeace , osservare dei test di psicologia: quello che si vede è Sierra Club o Western Canada Wilderness un bicchiere a calice o sono due facce disposte naso Committee hanno dato alle stampe migliaia di studi contro naso? Una volta che il punto di vista cambia e nel tentativo di esporre nei dettagli i danni causati noi riusciamo a vedere le due facce, il bicchiere alle foreste dalle compagnie del legname. I giovani scompare. ecologisti hanno accompagnato migliaia di persone a Per farvi un’idea, della portata emotiva di un simile

Il giorno dopo un altro cittadino leggerà il giornale e dirà: «Già, è proprio vero. Ci sono troppe catene di fast-food nella nostra zona. È giusto mettere dei limiti, ed è giusto che i ristoranti affiliati a colossi come McDonald’s paghino alla cittadinanza tasse più alte. Forse bisognerebbe far pagare loro cinquantamila euro l’anno, o anche di più. Fa parte dei nostri diritti chiedere una cosa del genere. È il nostro quartiere, e la nostra città. A pensarci bene, forse non è nemmeno giusto che i nostri figli, quando guardano la televisione, si debbano sorbire così tante pubblicità di fast food» . Riformulare una disputa è una cosa tanto semplice, anche rendersi conto dei nodi centrali di una questione. Gandi è riuscito a ridefinire il conflitto nell’India colonia- «Lo scopo della resistenza civile è di provocare una reazione» diceva alla sua gente «e noi continueremo a provocare fino a quando otterremo una reazione, o fino a che le leggi non saranno modificate.» Il punto di forza di questa strategia fu che la “resistenza” seppe trasformarsi in parte attiva, mentre il governo britannico diventò quella reattiva. Le dinamiche di forza vennero invertite. Da quel momento in poi furono gli esponenti della resistenza a decidere le cose.

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cambiamento, basta pensare al rapporto che avete con vostra madre o con vostro padre. Ripensate alle tante piccole scaramucce che avete avuto con loro negli anni. Poi ripensate a quando, improvvisamente e per qualche misterioso motivo, le dinamiche sono cambiate. Probabilmente è successo nell’adolescenza. Forse vostro padre aveva esagerato con i divieti, con i rimproveri, o nell’imporre la propria autorità. Una molla dentro di voi è scattata. Lo avete guardato dritto negli occhi e non avete visto né forza, né fiducia, né sicurezza, ma incertezza, confusione e paura. Per la prima volta nella vostra vita, gli avete risposto male, anche se ciò significava doversene stare per un po’ lontano da casa, far piangere vostra madre, o venire alle mani. In passato una cosa simile vi sarebbe sembrata inconcepibile, ma le cose all’improvviso sono cambiate. Quel giorno, per la prima volta, siete diventati degli individui. Da allora in poi nessuno - nemmeno vostro padre , avrebbe più potuto comandarvi a bacchetta. La dichiarazione d’indipendenza di un ragazzino è uno dei grandi riti di passaggio universali. Ciò di cui ora il mondo ha bisogno non è altro che un rito simile da parte d’individui contro la prepotenza delle corporation. Cinquant’anni fa i neri dell’ Alabama occupavano senza fiatare speciali posti sugli autobus e particolari tavoli nei bar. Molte donne un tempo erano convinte di non meritare il diritto di voto. Alle donne era sconsigliato guidare le automobili perché era opinione comune che non sarebbero state in grado di farlo. Quelle sorridevano, ci scherzavano sopra e lasciavano tranquillamente che a guidare fossero i loro uomini. Oggi giorno siamo tutti tenuti in uno stato di simile rinuncia. Pensiamo sia normale che le corporation abbiano più diritti di noi, è leggitimo che esse radano al suolo le nostre vecchie foreste, o influenzino le elezioni o gestiscano i mezzi di comunicazione, offrano vacanze alle Bahamas ai politici per condizionare le leggi del commercio mondiale.


No, non lo è. Una volta che ci saremo ripresi la capacità di riformulare le questioni di sovranità, potere, privilegio, non daremo per scontato che lo fosse. Ora, riassettato lo schema mentale, si è pronti a passare al livello successivo ,manipolare, il codice genetico stesso del sistema delle corporation.

Come limitare lo strapotere delle corporation. Una corporation non ha né cuore, né anima, né principi morali. Non sente dolore e non si lascia intimidire. Una corporation non è un essere umano, ma un processo , un mezzo per ottenere un guadagno. Prende energia dall’esterno (capitali, forza lavoro, materie prime) e la trasforma in diversi modi. Per la sua “sopravvivenza” è necessaria una sola condizione: sul lungo termine, le entrate devono per lo meno eguagliare le uscite: la corporation è un organismo che, potenzialmente, può esistere all’infinito. Quando una corporation fa del male alla gente o danneggia l’ambiente, non sente alcun dolore o rimorso, dato che è incapace di provare emozioni. (Certe volte, può darsi che chieda scusa, ma questo non è rimorso - sono relazioni pubbliche.) David Loy , studioso di dottrine buddhiste presso la Bunkyo University in Giappone, sostiene : « Una corporation non sa né ridere, né piangere; non sa né divertirsi, né soffrire. Quel che è ancora più importante, non sa amare.»! Ciò è dovuto al fatto che le corporation sono azioni legali: i loro “corpi” sono “costrutti giuridici”, questo secondo Loy, è il motivo per cui sono così pericolose. Fondamentalmente, esse sono svincolate dalla terra e dai suoi abitanti, dalle gioie e dalle responsabilità tipiche degli esseri viventi.» Le corporation sono “distaccate” nel senso più letterale e spaventoso del termine. Siamo soliti demonizzare le corporation per la loro insaziabile ricerca d’espansione, potere e ricchezza. Eppure, guardiamo le cose come stanno: esse non fanno altro che mettere in atto degli ordini impartiti. È questo il motivo per cui sono state create. Tentare

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di rieducare una corporation, forzandola ad agire in maniera responsabile, è una cosa insensata. L’unico modo per correggere il suo comportamento è riorganizzarla dalle fondamenta, riformulare la sua licenza, riprogrammarla. Quando delle corporation come la General Electric, la Exxon ,la Union Carbide o la Philip Morris infrangono la legge, provocano una catastrofe ambientale o mettono a repentaglio gli interessi della comunità, di solito non succede granché. Forse la corporation in questione viene obbligata a pagare una multa, a rinnovare i suoi impianti di sicurezza, ad affrontare un boicottaggio. Nel peggiore dei casi, ma si tratta di un’eventualità molto rara, sarà costretta a chiudere. Gli azionisti perderanno i propri soldi, e gli impiegati il posto di lavoro. Solitamente, però, succede che gli azionisti s’interesseranno ad altri investimenti, i dirigenti troveranno lavoro presso altre compagnie. Nella maggior parte dei casi, quando una corporation fallisce, a risentirne sono solo gli impiegati dei livelli più bassi. Cosa succederebbe se tali fallimenti tenessero conto delle reali responsabilità? Se ciascun azionista fosse giudicato personalmente responsabile dei costi collaterali ricaduti sulla compagnia, o dei danni arrecati all’ambiente? perché, poi, non dovrebbe essere così? Se sei un azionista, un comproprietario di una corporation, e intaschi i compensi quando le cose vanno bene, perché non dovresti essere chiamato in causa anche quando la tua compagnia ha dei guai con la giustizia? Se riscrivessimo le regole relative alla costituzione di attività commerciali in modo che ogni azionista si assuma parte delle responsabilità, i mercati finanziari subirebbero immediatamente una drammatica trasformazione. Ci sarebbero meno trattative azionarie. Invece di limitarsi a rincorrere le vacche più grasse, i potenziali azionisti vedrebbero di studiare con attenzione la storia e i trascorsi delle compagnie alle quali sono interessati. Ci penserebbero due volte prima di affidare i propri soldi alla Philip Morris Inc. o alla R.J.

Reynolds, oppure alla Monsanto . Troppi rischi. Meglio scegliere compagnie che abbiano un minore impatto ambientale e meno problemi. Le multinazionali che impiegano manodopera infantile o che vanno contro le basilari leggi del lavoro sarebbero snobbate. In altre parole, gli azionisti sarebbero messi in ginocchio - sarebbero obbligati a essere prudenti e ad assumersi le proprie responsabilità. Il mercato azionario la smetterebbe di assomigliare a un grande casinò. L’intera economia tirerebbe un sospiro di sollievo. È stato un errore tremendo quello di permettere agli azionisti di essere svincolati da ogni obbligo legale. Ma non è troppo tardi per aggiustare il tiro. Siamo stati noi, la gente, a creare le corporation e a dettare le norme che regolano l’acquisto di titoli e azioni; è compito nostro, ora, darci da fare per cambiare le cose. Lo stesso discorso vale per i reati delle corporation. Quando un essere umano commette un crimine grave la società si preoccupa di fare giustizia. Il criminale automaticamente perde i suoi diritti politici (come votare e assumere un incarico ministeriale) e, se il reato è molto serio, finisce dentro. Quando esce di prigione, egli è marchiato a vita. Nessuno lo vorrà più assumere. Chi verrà a sapere del suo passato farà fatica a fidarsi di lui. Non gli sarà permesso viaggiare liberamente. In alcuni stati americani, se una persona commette tre crimini viene condannata all’ergastolo. Vediamo ora quel che può succedere, nel peggiore dei casi, a una corporation colta ad infrangere la legge. Nasce uno scandalo pubblico. I direttori vengono licenziati su due piedi. Il consiglio di amministrazione viene completamente riorganizzato. La compagnia è obbligata a fronteggiare un grande processo giudiziario e pagare un sacco di soldi. Ma, in fin dei conti, i proprietari di tale corporation possono dormire sonni tranquilli. Le probabilità che finiscano in prigione sono quasi zero. La stessa corporation non perde nemmeno uno dei suoi diritti politici

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o legali e può continuare a fare affari, a influenzare il Congresso degli Stati Uniti o le elezioni. Alla fine, la compagnia assume un altro direttore d’azienda, sistema i problemi legali, lancia una campagna di relazioni pubbliche per riguadagnare la fiducia della gente. Spesso si pensa che questo sia solo il prezzo degli affari. Ecco perché gli amministratori di corporation criminali come la Philip Morris possono continuare a ingannarci, nascondendo le informazioni e facendosi beffe della legge anno dopo anno. Non temono punizioni di alcun tipo. E compito nostro trovare il modo di intimorirli. Dobbiamo promulgare nuove e severe leggi contro i crimini delle corporation. Ai trasgressori incalliti dovrebbe proibirsi, per molti anni, di attivarsi nella vita economica e politica, costringendoli a rinunciare ai propri diritti. Dobbiamo riscrivere le regole della costituzione di società commerciali, in modo che ogni compagnia colta più volte con le mani nel sacco a scaricare volontariamente materie tossiche, danneggiare bacini idrici, violare le leggi contro l’inquinamento, recare danno a impiegati, clienti, o a quanti vivono nelle vicinanze delle sue fabbriche; a fissare i prezzi, derubare i clienti, o nascondere informazioni fondamentali, si veda automaticamente revocare la licenza, sia costretta a svendere i propri beni, e a risarcire le vittime. Questo genere di misure ha dei precedenti, sebbene occorra fare un salto indietro di un secolo per trovarli. Nel 1884 gli abitanti di New York City, facendo riferimento a un episodio di abuso indiscriminato, chiesero al loro procuratore generale di revocare la licenza di commercio alla Standard Oil Trust di New York. La richiesta fu accolta. Lo stato della Pennsylvania revocò le licenze ad una serie di banche che, come fu scoperto, agivano contro l’interesse pubblico. Gli stati del Michigan, Ohio e New York tolsero le licenze ai cartelli del petrolio, dello zucchero e del whisky. Nel 1890 la Corte suprema dello Stato di New York soppresse la licenza della North

River Sugar Refining Corporation , con queste motivazioni: «La punizione che è stata decisa contro l’imputato è lo scioglimento della compagnia stessa. Lo Stato che l’ha creata ci chiede ora di distruggerla, e la pena invocata rappresenta la somma inflessibilità della legge. L’esistenza di una compagnia commerciale ha, infatti, minore importanza di quella dell’ultimo dei cittadini... » Fondamento stesso della nostra democrazia: <<il processo elettorale». Oggigiorno, dopo un secolo d’inerzia, gli statuti delle corporation stanno per essere messi nuovamente in discussione. Nel maggio del 1998, il procuratore generale di New York Dennis Vacco ha abrogato le licenze del Council for Tobacco Research e del Tobacco Institute , sulla base del fatto che erano entrambe organismi di copertura per i produttori di tabacco, e che quindi servivano da «armi di propaganda dell’industria» . In Alabama, l’unico stato americano dove un privato può presentare un’istanza legale per sciogliere una corporation, il giudice William Wynn è riuscito, da solo, a vincere una battaglia di questo genere. Nel giugno del 1998, muovendosi nelle vesti di cittadino privato (e comportandosi come se dovesse arrestare un individuo singolo) W y n n fece i nomi di cinque compagnie di tabacco di sua conoscenza, che avevano infranto le leggi di stato sull’abuso di minori e che, quindi, dovevano essere abolite. «L’olio ha continuato a friggere in pentola per oltre un anno, ora è giunto il momento di catturare il pollo» furono le sue parole. Il 10 settembre 1998, in quello che è stato forse il più grande tentativo del secolo di annientare una corporation, trenta fra cittadini e organizzazioni (tra le quali la National Organization for Women, Rainforest Action Network e National Lawyers Guild ) chiesero al procuratore generale della California Dan Lungren che la Unocal Corporation mettesse finalmente le carte in tavola. La compagnia era accusata

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di devastazione ambientale, maltrattamento dei lavoratori, e violazione dei principali diritti umani. Martedì 3 novembre dello stesso anno, nell’agguerrita cittadina universitaria di Arcata, in California, i risultati della prima iniziativa elettorale di questo genere nella storia degli Stati Uniti diedero 3139 voti contro 2056 per «assicurare il controllo democratico di tutte le corporation operanti nella zona» . Fu una grande vittoria. Mentre in città si moltiplicavano le riunioni e i dibattiti collettivi, la gente di Arcata veniva chiamata a decidere quale ruolo sarebbe spettato alle corporation. Nel 1886, nel corso della disputa fra la contea di Santa Giara e la Southern Pacific Railroad , la Corte suprema aveva ufficialmente dichiarato che le corporation erano da considerarsi come “individui” di fronte alla Costituzione. Improvvisamente, le corporation erano “nate”. Da quel momento in poi, esse avrebbero cominciato a usufruire degli stessi diritti e delle stesse libertà di quanti le avevano create. Uno dei principali obiettivi a lungo termine dei Culture Jammer è quello di rimettere mano a quella dè quello di rimettere mano a quella dichiarazione ufficiale, di rovesciarla, e di riportare l'importanza delle corporation entro i giusti limiti. Sarà una battaglia lunga e feroce, e della quale non si conoscono ancora i risultati. In futuro l'occidente si evolverà verso una forma di democrazia radicale, o in uno Stato dominato ancor più dalle corporation? L'economia mondiale sarà sempre più "controllata dalle mega-corporation globali"? Quello in cui vivremo e lavoreremo sarà il Pianeta Terra o il Pianeta Inc. ? L'unico modo che abbiamo per evitare tali scenari da incubo è cominciare a pensare e ad agire come individui realmente nel pieno dei loro poteri e dei loro diritti.

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La creazione dei memi. La prossima volta che vi sentite nello stato d’animo giusto, provate a farvi questa semplice domanda: cosa significherebbe per me compiere un gesto spontaneo, essenziale, a sostegno di qualcosa in cui credo? C’è qualcosa in cui credo fino a tal punto? L’azione diretta è una dichiarazione d’indipendenza individuale, che scatta quando la nostra coscienza e la nostra tolleranza si sentono entrambe schiacciate da pressioni troppo forti. Allora reagiamo. Ci lanciamo e facciamo qualcosa. Ci mettiamo nella condizione di sentirci pronti ad affrontare qualsiasi cosa ci troviamo di fronte. In quel momento è come se rinascessimo. Il nostro mondo interiore s’illumina improvvisamente. Siamo come gatti in cerca di una preda: vivi, attenti, e un po’ selvaggi. Lottare, facendo leva su quel meccanismo di riconoscimento del marchio che è stato costruito con tanta assiduita nel corso degli anni. È un’impresa affascinante sfidare grandi cartelli come quelli delle maggiori case automobilistiche e mettere in dubbio la loro legittimità. È esaltante tentare di obbligare un’intera disciplina accademica come l’economia neoclassica a rivedere i propri assiomi. In simili conflitti, il più debole è nella posizione ideale per valutare i rischi e mettere alla prova le proprie teorie. I Culture Jammer sono continuamente alla ricerca di nuove strategie per le loro guerre di memi. Eccone alcune.

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ELENCO IMMAGINI. “Il cavaliere dell’apocalisse”- anonimo. “Sun live soap”- anonimo. “Fernet Branca”- anonimo. “Loden dal Brun”- Beltrami. “Moulin Rouge”- Enry Toulousse Lautrec. “Jardin”- Enry Toulousse Lautrec. “Corriere della sera”- Beltrami. “Le secret”- Enry Toulousse Lautrec. “Antenne”- Gungui Marcello. “Radio”- Gungui Marcello. “Radio Broadcast”- anonimo. “TVedo”- Gungui Marcello. “Tv”- Gungui Marcello. “Manifesto”- Adbuster. “Save the Earth”-Adbuster. “Police”- Marcello Gungui. “Get your hands…”- Adbuster. “Naike”- Gungui Marcello. “Buy nothing day”- Adbuster. “Malboro”- Adbuster. “Global human crisis…”- Adbuster. “Tv man”- Gungui Marcello. “TvTunerOff”- Gungui Marcello. “Phillip Morris”- Adbuster. “Reality for man”- Adbuster. “Obsession for woman”- Adbuster. “Urban”- Gungui Marcello. “The true product”- Gungui Marcello.

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B I B L I O G R A F I A. " La pubblicitĂ " di Namo Zotta, edizione Ilissi. " Comunicare per vendere" De Vecchi, editore. " Abbassa la tua radio per favore". Giani Isola, edizione la nuova Italia. " Cultur Jam" Kalle Lens, edizione Mondatori.

S I T O G R A F I A. www.adbusters.org www.militatcompany.it www.bteam.org

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QUESTA TESI È DEDICATA: AD ELISABETTA E ALL'INT.55. I MIEI RINGRAZIAMENTI VANNO ALLA MIA FAMIGLIA, ALLA RELATRICE SALINA DANIELA, PER L'AIUTO E IL SOSTEGNO DATO.


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