La Percezione del Tempo

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L a Pe r c e z i o n e d e l Te m p o Una Ricerca della RealtĂ Sensibile, Mentale e Spaziale della TemporalitĂ



L a Perce z ione del Tempo Un S M S d e

a Ricerca della Realt e n s i b i l e e n t a l e p a z i a l l l a T e m p o r a l i t

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Scuola di Architettura, Urbanistica e Ingegneria delle Costruzioni_Sede Milano Leonardo Corso di Laurea in Progettazione dell’Architettura

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Relatore _ Prof. Ermes Invernizzi



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1. Pe r c e p i r e i l Te m p o a t t r a v e r s o i l C a m p o d e i S e n s i 1.1 E s p e r i e n z e

della Percezione 1.2 L o S p a z i o d e r i v a t o d a i S e n s i 1.3 S c o l p i r e l a m a t e r i a , i l m a t e r i a l e 1.4 P e r c e z i o n e d e l M o v i m e n t o 1.5 L o S p a z i o v i s s u t o 1.6 S e q u e n z e d i S p a z i

2. L a D e s t a b i l i z z a z i o n e d e l l a M e n t e 2.1 Lo Spazio diviene immagine Cronologica

2.2 L a C a p a c i t à d i A s t r a r r e 2.3 L i n g u a g g i o e S c r i t t u r a 2.4 R e a l e e V i r t u a l e

3. S p a

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C o s c i e n z

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3.1 L e

Singolarità degli Spazi 3.2 I n c o n g r u e n z e t r a P e r c e z i o n i 3.3 O s c u r i t à e S i l e n z i o 3.4 S p a z i o e M o r t e

4. R i f l e s s i o n i

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P r o g e t t i

1_1.6 Il Palazzo del Cinema, Venezia, 1990

2_2.3 L a V i l l e t t e , P a r i g i , 1 9 8 7 3_2.4 C a s a d a M u s i c a , O p o r t o , 2 0 0 5 4_3.2 C a n L i s , M a l l o r c a , 1 9 7 4 5_3.3 Cappella Bruder Klaus, Colonia, 1988

5. C 6. B

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“Noi creature umane siamo un effetto di questa grande storia dell’aumento dell’entropia, tenuti insieme dalla memoria permessa da queste tracce. Ciascuno di noi è unitario perché riflette il mondo, perché ci siamo formati un’immagine di entità unitarie interagendo con i nostri simili, e perché è una prospettiva sul mondo unificata dalla memoria. Di qui nasce quello che chiamiamo il «fluire» del tempo. Questo ascoltiamo, quando ascoltiamo lo scorrere del tempo” Cap. 13 “L’ordine del tempo”, Carlo Rovelli Il tempo non esiste, non è mai esistito. Questa è la sintesi de ‘l’ordine del tempo’ di Carlo Rovelli.

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Ma è davvero così? Cioè noi vediamo il presente, il passato e il futuro in maniera chiara e distinta. Gli edifici invecchiano, noi invecchiamo, eppure il tempo come lo intendiamo noi è una nostra invenzione, una percezione di un’approssimazione di come funziona il mondo vicino a noi. Cercherò di parlare del tempo, riferendomi allo spazio percepito, attraverso i sensi, il corpo e la mente. Queste due entità per certi versi divise, ma profondamente unite, producono idee differenti di tempo e spazio. La percezione sensibile e il suo universo fatto di suoni, materiali, odori, colori, è lineare, pulito, semplice. Vive qui e ora, trascende il senso lineare del tempo che viene però integrato dalla mente, dai ricordi, dalle memorie. L’intelletto immagina, astrae, scrive, legge; lavora su tempi e spazi virtuali e reali. La percezione mentale è complessa, contraddittoria, disorientante. La produzione di spazi nasce nei meandri della mente con esiti inattesi, fortemente legati al tempo: misura del valore umano.

1 Juhani Pallasmaa, Gli occhi della pelle, Jaca Book, Milano, 2007

La trascendenza del tempo in architettura si manifesta attraverso quegli “spazi di coscienza”, ambienti capaci di far vibrare le corde interne della vita per qualche istante. “Identifichiamo noi stessi con questo spazio, questo posto, questo momento, e queste dimensioni diventano ingredienti della nostra esistenza più vera. L’architettura è l’arte della riconciliazione tra noi stessi e il mondo[…].”1


“Liberarsi dell’autorità esclusiva che la scienza cerca di esercitare sulla realtà e rivendicare il primato dell’esperienza.”

M. Merleau-Ponty

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Pe r c e p i r e i l Te m p o a t t r a v e r s o i l C a m p o d e i S e n s i


E s p e r i e n z e

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“Alla fine quindi, invece di molti tempi possibili, possiamo parlare di un solo tempo: il tempo della nostra esperienza: uniforme, universale, ordinato. ”

P e r c e z i o n e 1.1

Carlo Rovelli “L’ordine del tempo” “[…] L’architettura si manifesta nella percezione. L’esperienza che irretisce o la fusione tra campo e oggetto, sono una forza elementare dell’architettura” Steven Holl, Parallax La percezione che abbiamo del tempo è connessa alla percezione dello spazio in cui viviamo e viceversa. La percezione dello spazio è compresa soprattutto attraverso l’esperienza del nostro corpo, attraverso due tipi di percezioni: una interna ed una esterna. La prima è la parte emozionale, mentre la seconda è il ‘campo’ dei sensi. Nella Confutazione dell’Idealismo, Kant spiega come “la percezione interna è impossibile senza percezione esterna, che il mondo (o nel nostro caso lo spazio) […] è anticipato nella coscienza della mia unità.” Il mondo fenomenico è fortemente connesso con quello interiore, la coscienza di noi, del nostro corpo e della parte emotiva. Deduttivamente si giunge a pensare al tempo come qualcosa di relazionato con la coscienza del corpo e dello spazio; ma questo ragionamento sembra appartenere al ‘campo’ delle sensazioni, ovvero quegli oggetti o sistema di avvenimenti che danno l’impressione di essere qualcosa come la sensazione di massa, volume, vuoto, ornamento, leggerezza, pesantezza. La sensazione è parte del processo della percezione la quale si basa su una relazione tra se stessa e il percepito in uno scambio continuo. Secondo M. Merleau-Ponty, “per costruire la percezione ricorriamo al percepito. E poiché il percepito è accessibile solo attraverso la percezione, […] non comprendiamo ne l’uno ne l’altro” 2. Tutto è pervaso dalla soggettività, delle proprie esperienze e vissuti. Il concetto di tempo suddiviso in presente, passato e futuro è coerente con una idea di percezione interna, emotiva; i sensi non possono che essere vincolati al presente dove non è possibile toccare un pezzo di granito nel passato, ma la memoria

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2 Maurice Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano, 2003

Immagine a fianco Maurits Cornelis Escher, Moebius Strip II, 1963


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3 Maurice Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano, 2003

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Immagine a fianco Chiesa do Carmo, Lisbona, Portogallo

dell’emozione che si è provata (derivata della percezione interna). A livello materiale, concreto, il punto di contatto tra queste due percezioni sembrerebbe essere lo strato epidermico: la pelle. L’involucro che contiene il corpo che “tocca” la realtà. Non si può dividere la pelle dal corpo e tantomeno una facciata dal suo spazio interno. Il corpo non viene percepito come oggetto fra oggetti all’interno dello spazio in cui è immerso, ma è concepito attraverso una spazialità di situazione non di posizione. “Se sto in piedi di fronte alla scrivania e mi appoggio su di essa con entrambe le mani, solo le mie mani sono messe in risalto e tutto il mio corpo si trascina dietro a esse come una coda di cometa. Non che io ignori la posizione delle spalle o dei reni, ma essa non è che implicata in quella delle mie mani e tutto il mio atteggiamento si legge, per cosi dire, nell’appoggio che esse prendono sul tavolo.” 3 Lo schema corporeo aiuta a comprendere lo spazio ponendo se stesso come misura: una continuità tra il corpo e l’opera d’arte.


L o

S p a z i o

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“[…] Conviene distinguere il tempo relativo, apparente e banale da quello assoluto, vero e matematico. Il tempo relativo, apparente e banale è una misura sensibile ed esterna della durata per mezzo del moto, che comunemente viene impiegata al posto del vero tempo: tali sono l’ora, il giorno, il mese, l’anno. Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura scorre uniformemente senza relazione ad alcunché di esterno”

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S e n s i 1.2

Carlo Rovelli. “L’ordine del tempo” La percezione è resa possibile attraverso l’uso del campo dei sensi. Ancestralmente il “senso” padre degli altri è il tatto che ricopre tutti gli altri sensi,“il tocco è la modalità sensoriale che integra l’esperienza che abbiamo del mondo con quella che abbiamo di noi stessi” 4, tramite la pelle riusciamo a percepire noi e l’architettura. I sensi danno la giusta (e unica) comprensione di noi e degli spazi architettonici nei quali viviamo. Possiamo considerare lo spazio interiore di una qualsiasi costruzione come un’estensione del nostro corpo, perché avvolge la pelle con l’aria. La superficie di uno spazio interno è metaforicamente lo strato più esterno del nostro corpo: la pelle, che abitiamo.

4 Juhani Pallasmaa, Gli occhi della pelle, Jaca Book, Milano, 2007.

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Ciascun spazio architettonico esalta i sensi (uno o più o nessuno), a seconda di determinate predisposizioni e abitudini. Il senso che maggiormente nella cultura contemporanea viene utilizzato e forse l’unico che riesce a reggere il ritmo della crescita tecnologica contemporanea è la vista. In architettura è contemplata sia la vista periferica che ci unisce “alle fibre del mondo”, ci ingloba in esso, sia la vista focalizzata che ci permette di prenderne le distanze e guardare il mondo con oggettività e confronto. Nella piazza di San Pietro a Roma, osservando la facciata della Basilica, dal Colonnato, notiamo in noi una certa contrapposizione (vista focalizzata), mentre parte del colonnato ci pervade e quasi entra in noi (vista periferica). La vista pare essere il più importante dei sensi e molti filosofi ne hanno dato molta importanza a partire da Platone. La vista propone al cervello forme, presa singolarmente offre un tipo di percezione piatta e senza profondità. L’occhio da solo non può farci percepire a

Immagine a fianco Herbert Bayer, Metropolitano solitario, 1932



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sufficienza, o almeno dovrebbe essere così. L’udito ci rende consci dello spazio e del suo volume, il tempio di Mercurio nella Baia di Pozzuoli ne è maestro. Mostra come il suono possa caratterizzare completamente uno spazio, nel suo caso ci troviamo di fronte ad un aula emisferica con quattro fori quasi quadrati posti a metà altezza e uno circolare in cima, da cui entra la luce che si infrange nel suolo invaso dall’acqua; la peculiarità di questa forma unita con la superficie d’acqua, amplificano i suoni producendo echi. È uno spazio che senza dubbio lascia colpiti per l’eco profondo dei propri passi nel silenzio del luogo. Un religioso eco silenzioso, dove si riconosce la volumetria dello spazio anche ad occhi chiusi. L’olfatto, d’altro canto, ci rende partecipi di spazi e atmosfere passate, ci proietta all’indietro come un flashback, in stanze dei nonni, armadi dei genitori, mansarde degli zii. L’odore della laguna veneziana è Venezia, l’odore della cenere dei morti cremati, unito all’aroma degli oli e il sapore del Gange è Varanasi. Tra tutti i sensi il gusto è forse quello più complesso da indagare in architettura, anche se biologicamente non possiamo “mangiare” gli edifici, rimane l’idea di gustare i materiali: marmi bianchi, grigi, rosa, neri o altre pietre lavorate in modo così pregevole da divenire sensuali; come nell’opera di Carlo Scarpa o Francisco Alonso de Santos, architetti che costruiscono tendendo ad una ricerca materiale ed ad un’esecuzione maniacale. Su tutti, il tatto prevale emotivamente. Percepiamo gli spazi interni ed esterni immaginando di toccare la superficie, di afferrare, di sentire la materia con la quale sono costruiti. Nelle architetture sacre islamiche, come il Jama Masjid, la moschea maggiore del centro storico di Old Delhi, prima di entrare anche solo nello spazio antistante la moschea bisogna togliere le scarpe, questo (secondo loro) è un gesto di rispetto, ma pare un mezzo per sentire un contatto diretto con la materia nel quale sono intinti. In questo caso particolare vi è una attenzione maniacale al Bau-Kunst. Lo spazio interiore è modulato secondo una pavimentazione formata da lastre di marmo dove i fedeli musulmani pregano perpendicolarmente alla Qibla, ovvero quel tratto orizzontale che disegna la

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direzione verso cui guardare: la parte di muro posta ortogonalmente rispetto alla Mecca. Il rito della preghiera direziona interamente il fedele verso il suolo, che tocca con mani, piedi e testa: è uno spazio generato dal volume dei fedeli. I sensi percepiscono il sensibile, mentre il visibile appartiene solamente al mondo dell’occhio. Essi sono il nostro mezzo per percepire il mondo, singolarmente hanno la peculiarità di trascendere il “flusso” del tempo canonico (passato, presente e futuro), invenzione dell’uomo, e si realizzano costantemente nel momento presente. Gli unici ricordi che possiedono i sensi sono quelli tramandati nel corso di migliaia di anni da cellule a cellule per la sopravvivenza: istinto di fuga alla visione di certi colori combinati, o suoni o forme.

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Immagini precedenti (a) Carlo Scarpa, Fondazione Querini, Venezia (b) Jama Majid, Old Delhi, India (c)Paco Alonso, Zapateria, Madrid (d) Tempio di Mercurio, Pozzuoli, Napoli (e) Varanasi, india



Scolpire la Materia, il Materiale 1.3

“La nostra introspezione può facilmente immaginare di esistere senza che esista lo spazio o senza che esista la materia, ma può immaginarsi di non esistere nel tempo?” Carlo Rovelli. “L’ordine del tempo”

5-6 Fernando Espuelas, Madre Materia, Christian Marinotti, Milano, 2012

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Immagine a fianco Gino Valle, Palazzo Rosso, Udine, 1964

Lo spazio nel quale vi trovate, o vi troverete nel giro di pochi istanti è formato dalla materia: “[…] il registro primordiale del tempo in architettura” 5. C’è da fare una distinzione tra materie e materiale. Edifici e spazi si costruiscono con i materiali, la materia è il legno, la pietra, l’acciaio, la ceramica; i materiali sono l’X_LAM, i blocchi di pietra squadrati, i profilati in acciaio, i blocchi in laterizio. La differenza risiede nel tempo inteso come valore del lavoro umano, perché, parafrasando A. Loos nel suo saggio del 1898, I materiali da Costruzione, un blocco di pietra ha bisogno di un grande lavoro per essere estratto, tagliato, lavato, pulito, levigato e successivamente posato in opera. Prima la materia? No, il lavoro umano. La cultura occidentale concepisce in maniera differente il tempo dei materiali rispetto alla cultura giapponese. In Giappone il rapporto con la storia non è fisico: il santuario scintoista di Ise viene ricostruito esattamente com’era ogni 20 anni, non hanno il bisogno fisico di sapere che quell’edificio durerà per secoli, senza bisogno di grosse manutenzioni. Al contrario la cultura occidentale sta sperimentando solo recentemente un distacco con gli edifici secolari, ciò è dovuto in parte ad una concezione consumistica del nuovo, ma tendenzialmente gli occidentali vedono con ammirazione gli edifici sopravvissuti ai millenni. Un rapporto molto più fisico con la storia, per noi il tempo del materiale è Kronos “[…] contenuto nella materia concreta che conforma la realtà fisica, che in architettura è materia costruita. È il tempo passivo e paziente che subisce l’azione dell’intorno. […] Kronos si fa carico delle rughe, delle crepe, delle cicatrici. Kronos è il tempo del sensibile e dei sensi” 6. La nostra dimensione storica fa riferimento ad una poetica tipicamente kahniana di “bontà del tempo” che produrrà, se le architetture sono belle, delle belle rovine; idea perpetuata anche da Francesco Venezia nell’intuizione che la materia trasforma la sua dimensione di tempo in seguito alla conversione in materiale.


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Mentre “la tradizione dell’architettura lignea giapponese di sostituzione continua dei singoli componenti, non è solo la dimostrazione di una diversa idea di tempo che antepone una durata ideale a una durata fisica, ma anche la dimostrazione della necessità di una continuità di rapporto concreto del corpo con la materia” 7. I progettisti contemporanei del paese del Sol Levante (ad esempio SANAA), realizzano architetture eteree improntate a condensare “[…] in un’unica immagine, la contemporaneità più diretta e un tempo sospeso, lento, non definibile.” 8 Ciò è rivolto a un atteggiamento di esplorazione delle possibilità del rallentamento del tempo, soprattutto in un’epoca dove si cercano nuove possibilità materiche per migliori prestazioni degli edifici. Vi sono due idee (semplicistiche per alcuni versi) di materiali a tempo lungo e a breve durata, solitamente vengono accostati i primi a materie come la pietra, i marmi, il legno, ovvero quei materiali cosiddetti tradizionali; gli altri sono considerati come effimeri: la plastica e polimeri vari (industria petrolchimica). I materiali tradizionali, naturali sono maggiormente legati ad una idea di deterioramento provocato dagli agenti atmosferici e dall’utilizzo; i materiali artificiali vengono associati ad un’idea di transitorietà, anche se intrinsecamente pensati per durare nel tempo. Un’ultima questione che vuole rimanere aperte, è la misura che abbiamo del tempo per confrontaci con il mondo concreto. Quando guardiamo un edificio, la sua materia, abbiamo questo impulso primitivo a considerarlo all’interno di un determinato periodo, quasi categorizzarlo all’interno di una corrente di pensiero. Avviene in maniera inconscia associare lo spazio in cui siamo a un determinato tempo (cronometrarlo), da un lato la cultura occidentale tende a valorizzare il tempo in maniera fisica come presenza, mentre l’oriente lo valorizza come coscienza, infatti i loro templi non hanno 2 000 anni. Al contrario per il mondo naturale non abbiamo questa propensione a chiederci quanti anni effettivamente ha un albero, una pietra, sembra quasi che ci siano sempre stati e sempre ci saranno. Solamente nelle situazioni in cui l’architettura viene divorata dalla natura, dalla vita, e diventa rovine, case abbandonate dagli uomini e abitate dagli dei, notiamo lo scorrere del tempo

7-8 Marco Ferrari, Architettura e Materia realtà della forma costruita nell’epoca dell’immagine, Quodlibet Studio, Macerata, 2013

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Immagini precedenti (a) Selgascano, Auditorium e Centro Congressi, Placencia, 2013 (b) Luis Kahn, Sede del Parlamento del Bangladesh, Dacca, 2018 (c) Santuario di Ise, Giappone (d) Cava del Rio Tinto, Huelva, Spagna (e) Adolf Loos, Villa Müller, Praga, 1930 (f) Calakmul, Messico, ca 600-700 d.C.


Ryue Nishizawa, Teshima Museum, Giappone, 2010


P e r c e z i o n e

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“ […] Il movimento delle cose si dirige naturalmente là dove il tempo passa più lento, come quando corriamo dalla spiaggia al mare e la resistenza dell’acqua sui piedi ci fa cadere a faccia in giù nelle onde. Le cose cadono verso il basso perché in basso il tempo è rallentato dalla Terra.”

M o v i m e n t o 1.4

Carlo Rovelli, “L’ordine del tempo” La gravità è l’elemento che l’architettura deve combattere con i materiali e la struttura. Il tempo spinge verso il basso e l’architettura si sposta verso l’alto, o almeno cerca di non cadere, come un’albero che rimane ancorato al suo spazio ed è in costante movimento verso il sole. La gravità è il movimento dall’alto al basso (o dal basso all’alto a seconda del punto di vista), i materiali devono resistere e nello sforzo costante si consumano, si logorano, si rovinano. La percezione del movimento può essere divisa in quattro momenti distinti. Il primo dove si ha la percezione del movimento dell’edificio nella sua durata temporale, ovvero la percezione del cambiamento dei materiali che si usurano nel tempo. I ricordi fomentano questo tipo di percezione che alle volte può essere anche distorta da un’immaginazione complessa della mente e che quindi i campi dei sensi ricordano a malapena. Il secondo tipo di movimento riguarda la mutevolezza della luce, del sole, della luna, della pioggia e del vento: restiamo, per quanto sia possibile, immobili e lo stesso cerca di fare l’edificio, mentre tutto muta secondo un ordine preciso. “Per un edificio l’immobilità è un’eccezione: il nostro piacere viene dal camminarci intorno facendo in modo che l’edificio si muova a sua volta, godendo di ogni combinazione delle sue parti. Mentre queste variano, la colonna gira, le profondità indietreggiano, le gallerie scorrono: la fuga di migliaia di visioni.” 9, questo è il terzo tipo: il movimento concreto del proprio corpo nello spazio. L’ultimo movimento è quello “astratto”, prodotto a posteriori della percezione di tale spazio attraverso l’abilità di ricomporre mentalmente il volume. L’edificio così si muove all’interno dell’intelletto formando una sequenza di spazi. Il tempo, nelle sue diverse forme di percezione del movimento nello spazio, diviene misura del cambiamento sia interiore che esteriore.

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9 Paul Valery, Introduzione al metodo di Leonardo da Vinci: Nota e digressione, Abscondita, Milano, 2007

Immagine a fianco Steven Holl, Kiasma, Museo di Arte Contemporanea, 1998




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“Lo abitiamo come i pesci l’acqua. Il nostro essere è essere nel tempo. La sua nenia ci nutre, ci apre il mondo, ci turba, ci spaventa, ci culla. L’universo dipana il suo divenire trascinato dal tempo, secondo l’ordine del tempo.” Carlo Rovelli “L’ordine del tempo”

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10-11 Bruno Zevi, Saper vedere l’architettura, Giulio Einaudi, Torino, 1953

Immagine a fianco Monastero di San Lorenzo de El Escorial, Madrid, Spagna

La manipolazione del territorio è un’attitudine tipicamente umana per migliorare le condizioni di vita. Secondo Heidegger, nel suo saggio Costruire, Abitare, Pensare, l’uomo è l’unico essere che abita il mondo, non gli animali, ne tantomeno gli dei. L’abitare non è un comportamento fra molti, ma al contrario il modo di stare al mondo. Abitare, secondo la radice tedesca della parola, deriva dalla stessa radice semantica di essere, coltivare, curare e costruire; che da una connotazione molto più profonda alla parola ‘abitare’. Non importa dove siamo, il nostro unico modo di vivere è abitare le costruzioni prodotte dalla società, i nostri alloggi, anche i luoghi più remoti della terra vengono abitati (nei limiti biologici) dall’uomo. Secondo Rovelli, l’uomo vive completamente immerso nel tempo, non ammettendo altro modo di essere. La percezione di abitare lo spazio è cambiata drasticamente a seconda dello Zeitgeist (spirito dell’epoca), ad esempio i greci del III sec. a. C. privilegiavano un’architettura visiva basata sulla proporzione e la bellezza della natura e un’idea plastico-scultorea di architettura. Entasi, scanalature alle colonne, sculture nelle trabeazioni, nei timpani, ma non si faceva esperienza degli spazi interiori. I riti religiosi venivano celebrati maggiormente all’esterno, e la loro ricchezza spaziale si basava sulla relazione urbanistica tra i templi, i propilei e il territorio. “La lacuna consiste nell’ignoranza dello spazio interno, la gloria nella scala umana.”10. Al contrario i romani utilizzano un nuovo linguaggio basato sulla grandiosità dello spazio interno. Spazio che lascia completamente spaesato il fruitore, non sono spazi umani, bensì statici e grandiosi. “[…] Non avevamo la vibrata raffinatezza degli scultori-architetti greci, ma avevano il genio dei costruttori-architetti, che in fondo è il genio dell’architettura.”11 Abitare quegli spazi è vivere in quel determinato tempo.


Attualmente la nostra civiltà produce costruzioni troppo vincolate alla personalizzazione e alla soggettiva espressione dell’individuo. Inevitabilmente non vi è un senso comune di costruzione, ma spesso una ‘moda’ nel progettare edifici distanti a livello sensibile, oppure quei casi dove il progettista ricerca alcune idee spaziali trascendendo o inglobandosi al contesto nel quale è inserito. Inevitabilmente il nostro modo di vivere lo spazio è lo stesso modo di vivere il tempo, legato ad un’idea di velocità nel movimento dello spazio e del tempo.

30 Herman Hertzberger, Apollo School, Amsterdam

Immagine a fianco in alto Francisco Javier Sáenz de Oiza al Partenone in basso Villa Adriana, Tivoli, Roma



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“Di solito chiamiamo «reali» le cose che esistono adesso. Nel presente. Non ciò che è esistito tempo fa o esisterà in futuro. Diciamo che le cose nel passato o nel futuro «erano» reali o «saranno» reali, ma non che «sono» reali.”

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i 1.6

Carlo Rovelli “L’ordine del tempo” Risulta complesso indagare la vera essenza della nostra epoca e questo approccio fenomenologico al XXI secolo potrebbe risultare senza via d’uscita: una domanda che non pretende avere risposta. Un filo rosso unisce la percezione dello spazio alla cultura occidentale e orientale del cinema. Percepiamo il cinema come qualcosa di reale nonostante comprendiamo il suo essere finzione. I film parlano oggigiorno del reale forse ancora più della realtà, perché di fantasy e sci-fi se n’é già parlato abbastanza. La peculiare soggettività dell’atto di vedere e ascoltare una pellicola può essere paragonata ad una sequenza di emozioni percepita all’interno di uno spazio o di una città. È un’arte che si avvicina alla progettazione architettonica. Il progettista incarna un direttore cinematografico di sequenze spaziali emozionanti, che lo spettatore/fruitore percepisce attraverso i campi dei sensi. Questi si deformano in merito a determinati vettori-forza presenti in parte già nell’opera e altri provocati dal percepente.

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Nelle chiese bizantine, come San Vitale a Ravenna, si manifesta questa volontà scenica dell’interpretazione spaziale dell’architettura: l’ingresso conduce in uno spazio compresso e buio, per poi passare allo spazio centrale maggiormente dilatato e illuminato da vetrate colorate. Queste ‘ricette’ venivano utilizzate per dare valore alle “soglie emozionali”, e risaltare l’effetto scenico dell’edificio religioso: sono giochi di luce e ombra, rumore e silenzio, senso di compressione e dilatazione che fanno parte integrante dell’esperienza dell’architettura.

Immagini a fianco Peter Zumthor, Terme di Vals, 1996


2 1

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3


Un caratteristica comune ad entrambe le arti è il tempo e la sua percezione. I film durano pochi istanti se rapportati alla durata di un edificio, ma ciò nonostante, hanno la capacità di raccontare in un tempo così limitato molto: vanno oltre il semplice cronometraggio preso da un orologio arrivando diretti agli osservatori. Rendono possibile la creazione di luoghi su una superficie piatta, hanno “la capacità […] di condensare quarant’anni in dieci minuti o di dilatare un minuto in un’ora”12; L’architettura ha la potenzialità di raccontare la storia dell’uomo, togliendo i limiti psicologici del tempo e arrivando direttamente al momento presente, tralasciando il passato.

12 Steven Holl, Parallax: Architettura e percezione, Postmedia, Milano, 2004

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(vedi pg. 78)

Immagini a fianco Sequenze spaziali del film, Birdman, Alejandro González Iñárritu , 2014



“Da tempi immemorabili lo scopo culturale della narrazione, letteratura e arte, è stato quello di produrre e mantenere “l’altra dimensione della realtà” : quella dei sogni, delle credenze, dei miti e degli ideali, allo scopo di creare un contrappunto mentale essenziale all’esperienza quotidiana della realtà mondana, di solito deprimente.” J. Pallasmaa, L’immagine incarnata

2


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r a z i o n a l i t à

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D a v i d B o h m , D o v e i l Te m p o f i n i s c e

La Destabilizzazione della Mente


Lo Spazio diviene immagine Cronologica “Per descrivere il mondo non serve la variabile tempo. Servono variabili che lo descrivono: quantità che possiamo osservare, percepire, eventualmente misurare”

2.1

Carlo Rovelli, “L’ordine del tempo” Parole e immagini sono l’aspetto rilevante della contemporaneità, a discapito della corporalità completa. Il tempo serve per cronometrare il ritmo dei pensieri che fluttuano in una dimensione immaginaria, lontano dalla realtà oggettivamente condivisa giornalmente con gli altri esseri viventi. La percezione dello spazio è innescata istintivamente dai sensi, per poi essere analizzata e compresa dalla mente. L’immaginazione è il linguaggio primitivo con cui la mente è riuscita nel corso dei secoli ad evolversi. Le immagini, per quanto possano sembrare statiche e prive di profondità, contengono anche tracce degli altri sensi e sono capaci di far rivivere sensazioni provate in un determinato spazio. Le immagini sono il prodotto attivo e incessante della mente che ripropone la realtà vissuta in maniera più o meno conscia: sono un’azione innata, a partire dal paleolitico in poi, e svolte a posteriori rispetto alla percezione sensibile. Facciamo in continuazione esperienze di spazi, ma solo una parte delle persone riesce a comprendere volumetricamente la geometria. Per quanto possa sembrare intuitivo per alcuni, la comprensione spaziale deriva da studio e pratica per anni: la conoscenza ha bisogno di tempo (quantità di vita dedicata a). Tempo dedicato a disegnare uno spazio, a vederlo, ad ascoltarlo, quanto più ci mettiamo vero interesse in ogni singola ‘stanza’ o edificio, tanto più siamo consci del perché e del come sono state costruite molte architetture. Ciò rimane scolpito in noi e ci cambia un po’, e la somma delle esperienze ci abitua a vedere sempre più nitidamente e a capire. Questo tipo di percezione è frutto della mente che analizza, semplifica, sintetizza, astrae, ma soprattutto ricorda. I ricordi permettono all’uomo di percepire uno spazio già visto e capire la differenza che poteva avere 5 anni fa rispetto ad ora. Educare a sentire gli spazi per immaginarne di altri, in altri ambienti, è un po’ questa la conquista del progettista, possibile grazie alla comprensione spaziale operata dalla mente con l’esperienza. Senza i ricordi non vi sarebbe percezione e quindi tantomeno progettazione consapevole e indirizzata, sviluppatasi nel corso dei secoli. La percezione sensibile lascia il posto all’impero della mente.

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Dimitar Karanikolov, Myanmar Temples from Above, 2018



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2.2

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A s t r a r r e

“Il pensiero astratto può anticipare di secoli ipotesi che trovano impiego – o conferma – nell’indagine scientifica.” Carlo Rovelli, “L’ordine del tempo” “La casa ‘stessa’ non è nessuna di queste apparizioni, ma è, come diceva Leibnitz, il geometrale di queste prospettive e di tutte le prospettive possibili, cioè il termine senza prospettiva da cui è possibile derivarle tutte, è la casa vista da nessun luogo.” Maurice Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione

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Immagine a fianco Pianta Palazzo Arabo dell’Alhambra, Granada, Spagna

La rappresentazione di spazi con immagini quali piante, sezioni e prospetti denota una peculiarità tipica dell’uomo: l’astrazione. Questa dote permette alla mente di ‘vedere’ la volumetria, la forma e il vuoto senza trovarsi al suo interno. Nella progettazione architettonica vengono spesso utilizzati modelli che ripropongono l’oggetto rappresentato nella realtà ad una scala molto piccola, in maniera tale da riuscire a materializzare noi stessi nel volume e immaginare la sensazione che si avrebbe nello stare all’interno di quello spazio. Questi processi sembrano abbastanza intuitivi, anche se propriamente non lo sono per le altre specie animali, ci è voluto molto tempo per codificare questo nuovo tipo di scrittura. La pianta è un processo mentale che equivarrebbe a ‘tagliare’ un edificio ad un’altezza desiderata e a vederlo dall’alto, non da un singolo punto di vista che produrrebbe una vista prospettica, bensì da tutti i punti di vista, alla stessa altezza, secondo un piano di riferimento. È un’operazione complessa se descritta a parole, ma che qualsiasi progettista, o aspirante architetto riesce banalmente a fare e a percepire in maniera corretta e oggettivamente condivisa. Lo stesso vale per la sezione e il prospetto; solo che il luogo geometrico del taglio è diverso e permette la comprensione dell’altezza dello spazio (sezione) e della composizione (prospetto). Leggere architettura è intuire l’ipotetica sequenza di spazi e di esperienze spaziali che si avrebbero nello stare al suo interno o esterno, o meglio ancora passare da un esterno ad un interno e/o viceversa.


Scrivere architettura è un lavoro complesso che può originarsi da infiniti punti, ma il fine ultimo è produrre un’immagine che possa essere compresa in maniera oggettiva per la realizzazione nel mondo concreto. I motivi di tale produzione sono anch’essi vasti e si perdono nei meandri della volontà umana sia da parte del progettista che del committente.

Immagini a fianco Estratto di La Tavola Peutingeriana

Leggere e Scrivere sono due tipi di movimento diversi: il primo dal mondo esteriore all’intelletto e il secondo dal mondo interiore per materializzarlo nella realtà (molto più elaborato del primo). L’astrazione ha permesso all’uomo di immaginare come sia possibile migliorare l’ambiente intorno a lui, immaginando utensili e case in un tempo decontestualizzato dall’oggetto in sé. La percezione elaborata dall’intelletto è anche e soprattutto memoria, viene catalogata nell’intelletto come passato, questi ricordi di esperienze vengono inconsciamente inserite all’interno di un’ipotetica linea del tempo che involontariamente abbiamo costruito per comprendere il mondo in divenire, per poi essere organizzate e catalogate. Abbiamo visto come il tempo può essere inteso come cambiamento delle capacità, perseveranza per apprendere, ma è anche vero che nel momento stesso della percezione egli non è presente, se non come l’ombra futura di ciò di cui abbiamo bisogno per la comprensione dell’esperienza. Il tempo è nella nostra mente, e la mente è abituata a mentire, perché la mente mente.

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L i n g u a g g i o

e

“Lo scopo è produrre significato”

S c r i t t u r a 2.3

G. Deleuze “Capire l’architettura diventa allora un dialogo con la società. Un edificio non è che una lunga conversazione, della quale l’architetto stabilisce il tono e suggerisce la prima frase. La materia è invece il timbro della voce, la sua modulazione e intensità. Quanto più le risposte che ottiene saranno varie e variate, tanto più la conversazione risulterà interessante” F. Espuelas, Il vuoto L’immaginazione e l’astrazione non hanno limiti, con essi si manifesta una nuova capacità umana: la descrizione. Descrivere un oggetto equivale ad essere consci di come, in parte o totalmente, è fatto e in che ambito è inserito. La descrizione necessita di un mezzo attraverso il quale manifestarsi e comunicare, proprio per questo nasce la lingua e successivamente la scrittura. Descrivere l’architettura è un modo per ricontestualizzare il significato che essa ha all’interno del proprio contesto. L’architettura è un genere di scrittura, intrisa di significato, e si legge (o meglio si leggeva) come un libro. La cattedrale era un ‘libro sacro’, e con l’avvento del ‘libro di carta’ la diffusione della conoscenza avviene in tutto il mondo occidentale molto più semplicemente ed in maniera più duratura; non c’è più il bisogno di frequentare piazze, agorà, chiese, messe per essere ‘colti’ o interessati a conoscere. In Oriente“[…] la scrittura cinese […] conserva un valore ideografico indipendente dalla lingua parlata, e fornisce un sistema di segni codificati sia al mondo letterario che a quello delle arti visive”13, il parallelismo tra scrittura e architettura è molto più forte nel contesto cinese. Contemporaneamente allo sviluppo degli ideogrammi si costruiscono diverse scuole di pensiero come Confucio, Mo-tse, Mencio e Lao-tse le quali influenzano significativamente l’architettura del tempo che forma la dottrina del Feng-shui e dell’architettura biodinamica, che si allinea alle regole del cosmo.

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13 L. Benevolo, B. Albrecht, Le origini dell’architettura, Edizioni Laterza, Roma, 2002

Immagini a fianco Temple of Amun, Karnak, Egitto



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L a s c r i t t u r a p r e c e d e l a p a r o l a , codificazione che precede il libero pensare


La scrittura utilizza due forme diverse per manifestarsi: la prosa e la poesia. In architettura, P. Valery, parla di edificio-prosa o edificio-poesia, dove la prosa possiede una funzione strettamente comunicativa mentre la poesia una espressiva. La diversità emerge col passare del tempo che consuma e fa dimenticare la prosa, mentre la poesia perdura all’interno dei ricordi. Nel panorama contemporaneo è abbastanza difficile trovare edifici-poesia, a meno che non siano legati a noi per un qualche legame affettivo e quindi soggettivo.

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I tempi recenti hanno cambiato ulteriormente il ruolo dell’architettura, i messaggi che tenta di inviare sono immagini di pubblicità, (riproponendo il modello di libro), per riottenere il peso culturale che ha avuto nella storia, e che tuttora parzialmente possiede. In parte ritorna il concetto di ornamento dell’immagine, tanto odiato da Loos, e la materia fisica degli spazi si tramuta ben presto in spazzatura (Junkspace). Derrida invita a pensare ad un’architettura liberata dal modello di libro, e arrivare ad una scrittura pre-discorsiva, una ‘writing architecture’, che non è solo scritta, ma anche scrivente (attivamente); oggetto e soggetto della scrittura. Si potrebbe pensare di re-inscrivere il testo dell’architettura all’interno di un nuovo spazio dell’attuale Zeitgeist, decostruendo il modello classico precedente, arrivando ad un’architettura che non diventa più oggetto della scrittura, ma è essa stessa il tracciato, è lingua. Il discorso assurdo di Derrida, nega la concretezza della realtà, cerca di dare degli strumenti agli architetti per costruire una nuova architettura decostruendola, ovvero riprendere i passi di questa disciplina per scardinarli rimettendo in discussione tutti i valori economici, sociali, etici, estetici e capire la loro relazione con il modello primitivo. Sottraendo questi valori, cosa rimane? Rimane l’architettura stessa, libera da preconcetti e costruzioni. La storia dell’architettura è una storia infinita di destabilizzazioni e decostruzioni dei pensieri del tempo. Continui rinnovamenti delle percezioni sensoriali e mentali derivate da assorbimenti di culture, scoperte scientifiche e nuove realtà filosofiche. L’aspetto di interdisciplinarietà dell’architettura la rende facile preda di tutte le correnti di pensiero filosofico, poetico, artistico, poiché non vi è un pensiero che possa essersi definito concreto che non abbia il suo riscontro in spazio.



“L’architettura del prossimo millennio, può mantenersi all’altezza del suo compito soltanto nell’idea, paradossale, di rinunciare a definire lo spazio. Ma allora, probabilmente dovrebbe rinunciare anche al nome di architettura” J. Derrida, “Adesso l’architettura” Il linguaggio del codice binario, già adottato da migliaia di anni dai cinesi, usato nel campo dell’informatica per il dialogo tra uomo e macchine virtuali contagia, alla fine del XX secolo, la progettazione architettonica. Una scrittura semplice basata su 0 e 1 che permette di ‘creare’ forme e volumi visualizzati tramite un’interfaccia all’interno del monitor di un computer. La percezione del tempo arriva in un nuovo mondo così concreto e così distante dal progettista.

(vedi pg. 82)


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“La visione della realtà è il delirio collettivo che abbiamo organizzato, si è evoluto, ed è risultato abbastanza efficace per portarci almeno fino a qui. Gli strumenti che abbiamo trovato per gestirlo e accudirlo sono stati molti, e la ragione si è rivelata fra i migliori. È preziosa.”

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e 2.4

Carlo Rovelli, “L’ordine del tempo” Intorno all’inizio del XV sec. Alberti, pubblicò una mappa nell’opera Descriptio urbis Romae la cui peculiarità risiede nella sua codificazione: una lista di coordinate di punti, dove chiunque poteva ridisegnarla in scala seguendo le istruzioni, questo metodo può essere comparato con gli odierni computer e i sistemi di coordinate di punti usati con i programmi GIS. È la prima volta dove il concetto di durata nel tempo trascende la fisicità dell’oggetto per prolungarsi nel tempo attraverso un sistema di punti, il mondo inizia gradualmente (poi esponenzialmente) a spostarsi in una realtà virtuale percepita solo dall’occhio della mente ma che non appartiene né all’immaginazione, né alla realtà fenomenica. Le origini risiedono forse nelle discipline pittoriche del rinascimento, dove per la riproduzione di un oggetto reale si utilizza un sistema di coordinate ortogonali sovrapposte ad una superficie trasparente che punta alla quantificazione e alla misurabilità, ciò implica la possibilità di tradurre un’immagine intera su uno schermo in una cornice di linee e punti, e di registrare la posizione e il valore di ciascuno di questi punti come un insieme di numeri: i pixel dei monitor. I computer sostituiscono a partire dalla fine del XX sec. la progettazione manuale, passando a quella a CAD, con una dissociazione abbastanza significativa tra il disegno e la costruzione: una destabilizzazione nei sistemi di rappresentazione, con annessa dislocazione tra spazio virtuale e costruito. P. Eisenman apre la strada alla ricerca formale dello spazio utilizzando programmi computerizzati che simulano il movimento ipotetico delle superfici e delle masse che si scontrano con vettori forza provenienti dalle griglie preesistenti nel tessuto cittadino, svincola definitivamente il progetto dalla costruzione e apre il campo a R. Koolhaas e alla materializzazione dei diagrammi che fino ad allora erano

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Immagini a fianco Peter Eisenman, Church of the Year 2000, Roma, 1996




utilizzati come semplici dispositivi di spiegazione della geometria latente del progetto. La realizzazione di geometrie complesse derivate da sistemi informatici virtuali modifica la percezione del mondo classico che fino ad allora eravamo soliti osservare o meglio vedere in uno stato di distrazione perenne.

14 Marco Ferrari, Architettura e Materia realtà della forma costruita nell’epoca dell’immagine, Quodlibet Studio, Macerata, 2013

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La produzione di spazi virtuali conduce ad una percezione molto più semplice e intuitiva delle costruzioni pensate, proprio perché simula la realtà concreta ad una scala molto inferiore (o fuoriscala), ma purtroppo non riesce a dare la dimensione. Nonostante si cerchi di controllare quanti più aspetti si possa con gli strumenti che ci vengono forniti, rimane il fatto che l’ultima parola rimane nelle mani dei costruttori veri e propri. La capacità di controllo è sempre limitata, non importa quanti modelli BIM si faccia, dematerializzare un edificio o materializzarlo nella realtà virtuale ci rende troppo distanti dalla costruzione in sé. “Non si tratta infatti di un’architettura senza materia o non materica, quanto di un’architettura che si nutre del tentativo di allontanare ed indebolire le connotazioni tipiche del dato materico”14 e dei suoi materiali. Forse dovremmo imparare da ciò che riteniamo passato e non lasciarlo scritto come passato, interpretarlo come un’opportunità di miglioramento, senza rischiare di dare così tanto di noi, così tanto tempo a realtà virtualizzate.

Immagine a fianco Diagramma digitale del progetto de la Très Grande Bibliothèque di OMA

(vedi pg. 84)


“Non è il caos. Si avv icina piuttosto all’ordine delle stelle, che si muovono all’incirca in uno spazio senza fine, sconfinato e universale. Le nette giustapposizioni di dimensioni e di tempi sono accettate con la massima naturalezza. Tu t t o è m o s t r a t o i n u n e t e r n o p r e s e n t e , p e r p e t u o f l u s s o d i o g g i , i e r i e d o m a n i . ”

S. Gideon, L’eterno presente

3


“ N o n è m a l a

l a c o s c i e n z a c h e d e t e r m i n a l a v i t a , v i t a c h e d e t e r m i n a l a c o s c i e n z a . ”

F r a n c i s c o

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C o s c i e n z a


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S i n g o l a r i t à

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“[…] Il mistero del tempo si interseca con il mistero della nostra identità personale, con il mistero della coscienza. Il mistero del tempo ci inquieta da sempre, muove emozioni profonde. Così profonde da nutrire filosofie e religioni.”

S p a z i 3.1

Carlo Rovelli, “L’ordine del tempo” Possibilità di nominazione, così Derridà inizia il suo discorso riguardo le singolarità degli spazi. La nominazione è una peculiarità tipica della specie umana per dare valore a oggetti, cose o avvenimenti, necessitiamo di una controfirma della società. Questi oggetti posseggono una propria aura, che li rende ‘speciali’, ciò che li rende unici è l’iterazione, ovvero il processo di copia subìto. La distanza temporale, in termini di anni dalla realizzazione, permette di capire il suo ruolo all’interno del contesto in cui si trova e come si è evoluto all’interno del tessuto connettivo della città. P. Eisenman parla di presentness (presenza), ovvero quella “condizione che permette all’oggetto di non essere assorbito nella normalizzata interiorità dell’architettura… La presenza fa sì che l’oggetto rimanga fuori dal suo tempo come uno strumento critico”. La singolarità dello spazio risiede nel rimanere il più tempo possibile estraneo al contesto. Oggigiorno vi sono presenti molte architetture che stanno subendo un turismo sempre più sfrenato degli ultimi anni; la bellezza di molti spazi sfiorisce sempre più velocemente a colpi di macchine fotografiche, self-stick, guide turistiche con ombrellini rosa e quant’altro. All’interno di questa produzione singolare si possono inserire un certo numero di spazi e atmosfere trascendenti per il loro fascino incomprensibile nonostante la semplicità espressiva. La nudità dei materiali negli spazi evocata dal tempo che elimina il superfluo, li rende ancora più emozionanti. La variabile del tempo lascia la natura dello spazio intonsa, ciò disorienta a posteriori l’analisi logico-razionale prodotta per comprendere tale vuoto. Grazie alla percezione dello spazio e al movimento riusciamo a comprenderne le singolarità, che tanto ci affascinano. Scomponiamo, scardiniamo, decostruiamo lo spazio, la materia, l’epoca per comprendere i meccanismi, ma non sempre tutto ha una spiegazione chiara e limpida. Le atmosfere sono uniche, nessun architetto può riprodurre un’atmosfera.

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15 Rafael Moneo, Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’opera di otto architetti contemporanei, Mondadori Electa, Milano, 2005

Immagini a fianco Chiesa di San Giorgio, Lalibela, Etiopia




I n c o n g r u e n z e 3.2

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P e r c e z i o n i

“L’intero divenire cosmico è un graduale processo di disordine, come il mazzo di carte che inizia in ordine e poi si disordina mescolandolo.” Carlo Rovelli, “L’ordine del tempo” La famosa frase di René Descartes, Cogito ergo Sum, sintetizza la visione filosofica della certezza del soggetto sui propri pensieri. L’unica cosa che trascende l’inganno sembra essere il pensiero, anche se necessariamente abbiamo avuto bisogno dei sensi per sviluppare i pensieri. Questi molto raramente, a meno che non possediamo un qualche tipo di malattia come l’allochiria (il soggetto sente nella mano destra gli stimoli applicati alla mano sinistra) sbagliano.

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Gli Spazi delle incongruenze percepite sono davvero singolari, essi giocano su una comprensione profonda di certi meccanismi interni a noi. Riutilizzandoli in modo da disorientare il fruitore di tale spazio, il soggetto percepente non comprende la relazione tra esperienze passate e quello che sta succedendo in quel preciso istante. Cerca di compensare questo bug attraverso il movimento nello spazio. I sensi ricalibrano costantemente lo spazio percepito per arrivare a un equilibrio tra la sensazione che esercita e la comprensione volumetrica. L’incongruenza tra i sensi viene rielaborata dalla mente in maniera costante per trovare i punti discontinuità. Generalmente queste tipologie di spazi cercano di dare uno spaesamento di breve durata, poiché alla fine si svelano per quello che sono: fulmini a ciel sereno. Principalmente il senso che maggiormente può essere ingannato è la vista, essa è il punto di base per la costruzione di spazi-ossimori tra il vedere il sentire (suoni o materia). Categorizziamo, per semplificare l’analisi, questi spazi in tre tipologie: distorsione visiva, visivo-acustico e visivo-tattile. La prima è stata utilizzata a partire dalla scoperta del punto di vista nella prospettiva per dare profondità su superfici piatte o comunque con uno spessore esiguo.

Immagine a fianco Pianta Palazzo Arabo dell’Alhambra, Granada, Spagna

La Basilica di Santa Maria presso San Satiro a Milano del


Bramante coniuga necessità urbane e funzionalità religiose, disegnando un abside secondo la tecnica del trompe-l’œil in uno spessore di appena 70cm. L’artista contemporaneo Pierre Delavie gioca con la sovrapposizione di teli sulle superfici di architetture monumentali e simbolo del potere dello stato, un mix tra storia, lusso (Dior sponsorizza l’opera de la Chapelle Royale du château de Versailles) e crisi del Baukunst. Il movimento nello spazio è il tempo rivelatore dell’inganno, questo paradigma temporale vale anche per le restanti tipologie. Lo spazio visivo-acustico è quel tipo di ambiente dove si vede il movimento degli elementi, ma non si percepisce il rumore prodotto da essi, o viceversa. L’ultimo spazio visivo-tattile racchiude la sorpresa nascosta nella percezione di un determinato materiale. Nel progetto iniziato e mai terminato del centro Culturale El Molar di Paco Alonso, i plinti portanti vengono realizzati ponendo dei blocchi enormi di granito sopra ad una base in cemento armato ad alta resistenza (H1000), a vedersi questo materiale sembra essere un comune getto in cemento, ma possiede le stesse caratteristiche dell’acciaio. Spazi del genere ci rimbombano nella mente come l’eco delle automobili in un tunnel, rimangono in noi anche se il momento è passato.

(vedi pg. 86)

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Immagini a fianco Francisco Alonso de Santos, Centro Cultural di El Molar, Madrid, Spagna



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“Ogni cosa che vedo e faccio prende senso in uno spazio della mente dove regna la stessa calma di qui, la stessa penombra, lo stesso silenzio percorso da fruscii di foglie.”

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o 3.3

Italo Calvino, Le Città Invisibili Con il paleolitico mondiale coincide l’uscita dal buio della coscienza del genere umano, le grotte ritrovate in tutti i continenti e l’arte rupestre lo dimostrano. Ovviamente non è solo una questione spaziale, c’è anche il contesto, il clima, gli animali, il linguaggio, le comunità che vanno formandosi; però sappiamo anche che l’evoluzione del cervello è direttamente collegata con la percezione e comprensione spaziale. Benevolo parla del superamento di tre soglie avvenute in questo periodo: l’autocoscienza, la rappresentazione simbolica e la capacità di riproduzione su supporti vari. Parleremo del primo e dell’ultimo punto unitamente. Con la posizione eretta abbiamo liberato le mani dalla loro costrizione al suolo e le abbiamo fatte diventare la manifestazione dell’intelligenza nel mondo sensibile. Ora il cervello ha dieci dita di cui due opponibili, è il motivo della volubilità del pensiero, hanno la capacità di comunicare, creare, afferrare e materializzare la volontà. L’arte rupestre è la manifestazione dell’autocoscienza che poco a poco si stava sviluppando. Gli artisti/cacciatori si appartavano dal mondo fenomenico per addentrarsi in luoghi oscuri e completamente privi di vita per trovare il silenzio. Qui, nello spazio più oscuro dei silenzi più profondi l’uomo trova la coscienza di sé, la vera arte all’interno del suo essere e la trasporta nel mondo reale. L’oscurità obbliga a spostare l’attenzione dal mondo esteriore al mondo interiore, il silenzio zittisce qualsiasi forma di pensiero. L’orecchio ha la straordinaria capacità di “scolpire un volume nel vuoto dell’oscurità”, la mano materializza l’astrazione prodotta dal mondo reale all’interno dell’autocoscienza: la mano che pensa. I metodi con cui eravamo abituati a misurare il tempo non sono più utili, non c’è la luce solare così bianca calda e dinamica, né la luna, né le stelle. I minuti cominciano a confondersi tra loro al suono del battito cardiaco, che riecheggia nell’oscurità delle caverne. Lo spazio scolpisce la coscienza di chi dipinge, di chi intaglia la roccia, di chi immagina gli animali.

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La percezione del corpo come la grotta dei sensi.


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Spostandoci verso culture lontane da quella occidentale, germogliano correnti di pensiero spirituali improntate all’automiglioramento, come ad esempio il taoismo che adottò il tè come bevanda per lo spirito; e con essa si evolve la progettazione dello spazio: la sala della cerimonia del tè derivata dallo stile Sukiya (vuoto). “Il padiglione del tè ci interessa come ambiente messo a punto per stimolare sensazioni che provochino un cambiamento nella coscienza della persona che le sperimenti”16. È un processo che permette di eliminare il tempo (psicologicamente) dall’intelletto e aprire i sensi al momento presente. La cultura giapponese spesso gioca con il tema dell’ombra, poiché l’occhio è il senso della distanza, e la distanza non permette alla coscienza di espandersi. Ogni spazio è modulato secondo definite regole spaziali, e l’oscurità è l’elemento fisso. Il tempo viene stirato poiché l’ombra avvolge la luce e non vi è la percezione chiara del cambiamento temporale. Questo genere di spazi gioca sul tema della deprivazione dei sensi e della mente. Questi metodi vengono utilizzati tutt’ora per curare il corpo in apposite vasche che non permettono di ascoltare, di sentire o di vedere, semplicemente si fluttua a mezz’aria sopra all’acqua, i nervi del corpo si rilassano e la mente si svuota. La percezione dello spazio e del tempo varia a seconda di come ci approcciamo agli spazi nel quale siamo immersi.

Immagini precedenti Book of Copies, SanRocco Magazine

16 Fernando Espuelas, Il Vuoto, riflessioni sullo spazio in architettura, Christian Marinotti, Milano, 2004

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Spazi del genere conducono la percezione a destabilizzarsi a tal punto da cambiare radicalmente la concezione di sé e degli ambienti. Il tempo ci cambia e questi spazi hanno avuto la forza di cambiare le radici della storia umana. Abitare per qualche istante in luoghi così densi di esperienze vissute riempie tutto il vuoto delle caverne di Lascaux, Altamira e Chauvet.

(vedi pg. 90)

Immagine a fianco Pittura rupestri nella Grotta di Chauvet, Francia



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“Ogni giorno muoiono innumerevoli persone, eppure quelli che rimangono vivono come se fossero immortali”

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e 3.4

Dal terzo libro della grande epica indiana, il Mahābhārata (tratto da “L’ordine del Tempo”) La morte affascina e viene temuta dall’uomo. Il ‘nostro’ tempo viene scandito dalla consapevolezza che, presto o tardi, moriremo. Esistere, a livello etimologico, è un verbo connesso strettamente con l’uomo e va inteso come stare fuori, trascendere la realtà. Questa parola ci ricollega ad un discorso molto ampio che va a toccare diverse discipline umanistiche e non solo. L’uomo è conscio della morte, ed è quindi essa che ha psicologicamente generato il tempo. Molto probabilmente senza la morte non ci sarebbe il tempo. Negli ultimi secoli la cultura occidentale ha guardato con disdegno o disinteresse il morire, per distaccarsi il più possibile dalla sua angoscia. Molte altre culture vedono in maniera diversa la morte, per esempio in India la gente è contenta per la morte e la conseguente fine del ciclo di resurrezioni, fanno feste con fiori, colori e riti di ogni genere.

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Questo dispositivo ha avuto durante tutto il processo dell’uomo un aspetto chiave per la generazione degli spazi. Concependo la morte come elemento sacro per la comunità si sono erette architetture di ogni genere, eterne, per compensare ciò che noi non sappiamo trascendere. È l’importanza di renderci consapevoli della vita attraverso la morte, dandone valore col tempo. La società contemporanea sostiene che il tempo è denaro, ma ancestralmente lo associavamo al dono della vita. All’interno di questa cornice mistica e incomprensibile per la natura umana, si allineano molte culture ed epoche che hanno generato spazi unici. In oriente vi è la tradizione per gli spazi aperti dove cremare, o lasciare che le carcasse dei corpi vengano divorate. Gli Sky Burial in Tibet e le Torri del Silenzio in Iran e Mumbai ne sono un esempio. In Tibet non c’è terra che possa assorbire il grasso del corpo, perché c’è troppa roccia, inoltre mancano le foreste dove recuperare in maniera costante la legna per gli eventuali

Immagine a fianco Taj Majal, Agra, India


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Sigurd Lewerentz, Gunnar Asplund, Cimitero di Woodland, Stoccolma, Svezia


Immagini precedenti (a) Scheletri mummificati catacombe di Napoli, Italia (b) Piramidi di Giza, Egitto (c) Torri del Silenzio, Iran (d) Torri del Silenzio, Mumbai, India (e) - (f) Manikarnika Ghat, Varanasi, India

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17 Francesca Ceccoli, Abitare la Morte, Tesi Magistrale, Polimi, 2004

rapaci per ‘pulire’ l’anima dal corpo oramai privo di vita. Questi riti ai nostri occhi sono davvero macabri, ma cercano solo di non intaccare l’ambiente. Gli spazi che si manifestano hanno un forte potere evocativo. La percezione del tempo in questi spazi è memoria pura del genere umano. Ci sentiamo tutti connessi in questo grande cerchio del tempo prefissato ad ognuno, ma la vita deve andare avanti e la danza del tic toc, continua. In occidente, le architetture dedicate ai riti funebri o comunque connesse in qualche modo con la morte, avevano un carattere maggiormente introvertito. La Basilica di San Pietro a Roma è eretta sopra alle catacombe cristiane e al centro dell’ipotetica tomba di Pietro. Il Taj Mahal di Agra rappresenta l’amore incondizionato per la sposa preferita dell’imperatore che costruisce un complesso enorme con una intensità emozionale impressionante. Il giardino precede l’accesso al mausoleo il quale è posto sopra al vero spazio dove è sepolta. Internamente al mausoleo gli spazi frammentano la luce secondo le diverse geometrie delle transenne. Il tempo viene incarnato dal percorso che si intraprende per attraversare il giardino (vita) per arrivare alla candida morte. Le piramidi sono le tombe dei faraoni. Il solido geometrico formato da migliaia di blocchi di pietra è posto esattamente sopra allo spazio del corpo del faraone. Altre architetture seguono questa tipologia, dove prima si crea uno spazio oscuro e silenzioso, e attorno a questo si costruisce l’architettura che trascende la vita umana. La grotta come lo spazio ancestrale della coscienza umana. La sintesi tra questi due generi di spazi si condensa nell’opera del cimitero di Woodland a Stoccolma di G. Asplund e S. Lewerentz, dove “pongono l’umanità di fronte alla morte ed ai suoi dubbi, dando al tempo la certezza della trascendenza”17, il cimitero si organizza come una città con architetture al suo interno e strade. La percezione del tempo si smaterializza in un ambiente dove non vi è vita umana, non c’è tempo scandito, ma semplice attesa di chi passeggia per le vie del luogo osservando quella miriade di siepi che richiamano i versi di un leopardi ammalato.


Sempre caro mi fu quest’ermo colle, E questa siepe, che da tanta parte Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce Vo comparando: e mi sovvien l’eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s’annega il pensier mio: E il naufragar m’è dolce in questo mare. G. Leopardi XXI - L’Infinito



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I l P a l a z z o d e l C i n e m a , Ve n e z i a , 1 9 9 0 _ S t e v e n H o l l È un progetto che esprime la soggettività e universalità della percezione del tempo. Il punto di partenza è appunto una riflessione dell’arte che maggiormente manipola il tempo e lo spazio all’interno di uno schermo rettangolare ben definito: il cinema, appunto. Il lotto del progetto si trovava a metà del lido veneziano e un canale costeggiava uno dei due lati corti, guardando verso il centro storico di Venezia e dando l’opportunità di inserire un accesso anche dalla laguna. Il contorno dell’edificio coincide con il limite dell’area di progetto, ovvero una forma ad imbuto con il lato corto aperto sul canale. Questa forma base è rigida e squadrata, contiene, all’interno delle 3 piante, gli accessi, i servizi di risalita, i bagni e la maggior parte della parte strutturale. Compositivamente, all’interno di questo “imbuto”, e sospese rispetto al livello dell’acqua, si trovano le sale di proiezione. L’accesso principale avviene dalla laguna passando sotto le sale di proiezione che tentano di giocare con i riflessi della luce che si infrange nell’acqua. Il limite spaziale della forma conica in questo progetto è molto simile al concetto di schermo nel cinema o della tela in pittura.

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Le varie distorsioni spaziali, deformazioni, compressioni, dilatazioni e altre alterazioni che sembrano essersi adattate nelle sale del cinema, avvengono all’interno di un limite ben definito. Le compressioni e le dilatazioni temporali e spaziali avvengono all’interno dello schermo, e non interagiscono con la sua forma. Guardando la pianta del Palazzo del Cinema, il movimento del tempo e dello spazio delle sale cinematografiche, è sia inteso come limite che come vuoto contenuto al suo interno: una percezione di movimento, derivata da una composizione geometrica quasi cubista, in cui le sale cercano la giusta e complessa armonia per convivere tra di esse. Lo stesso principio di movimento è applicato allo schermo che rimane immobile e “a danzare” sono gli oggetti, i soggetti, gli sfondi. La compenetrazione spaziale avviene all’interno di un perimetro fisso e chiuso che ordina. Se questo elemento non vi fosse non ci sarebbe nemmeno la percezione del movimento. L’incongruenza spaziale tra l’esterno e l’interno è una delle caratteristiche proprie del progetto, dove si insinua una certa

Immagine a fianco Modellino



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Pianta Piano Nobile e Sezione


tensione. Il campo dei sensi viene destabilizzato: l’occhio percepisce un disorientamento dettato dalla presenza di uno specchio d’acqua; l’orecchio non comprende a pieno la geometria dello spazio sottostante le sale perché il suono viene amplificato dall’acqua, e perso per via dei rumori esterni; il tatto percepisce una superficie dura, umida e fredda come Venezia d’inverno; l’olfatto sente la brezza lagunare e l’adriatico. I tre spazi principali (le sale, l’embarcadero, l’atrio) manipolano tre idee di tempo: 18 Steven Holl, Parallax: Architettura e percezione, Postmedia, Milano, 2004

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Prospetto Nord-ovest

“Il tempo compresso e dilatato del cinema trova espressione nella distorsione e nella tessitura a maglia larga dell’edificio che simula la capacità del cinema di comprimere il tempo o di dilatarlo. Il tempo diafano si riflette nella luce solare che piove attraverso le fessure che dividono le sale cinematografiche poste nel sottostante bacino lagunare. Questa imponente grotta pubblica è animata dalle increspature dell’acqua e dal riverbero della luce naturale. Il tempo assoluto si misura in un fascio di luce naturale che si proietta attraverso il ‘pantheon cubico’ dell’atrio.”18


La Villette, Parigi, 1987 _ Peter Eisenman and Jacques Derrida Il progetto parte da riflessioni profonde sulla tema del tempo nell’architettura del passato presente e futuro. Il tempo è la lingua del progetto; scaling, analogie e relazioni nascoste la scrittura. Questo genere di scrittura rimanda ad una sovrapposizione stratificata di epoche diverse. La forma di rappresentazione è molto importante a tal punto che la maniera in cui viene presentato e disegnato è il progetto. Il progetto viene così composto da un processo di layering, che è il modo in cui si percepisce il tempo (psicologicamente): sovrapposto ma allo stesso tempo unito in un’unico punto. Le mura di Parigi del 1848 un primo strato, assieme ai condotti del treno, le strade; superiormente ad esso vengono inseriti griglie, vettori, assi che fomentano l’idea concettuale di architettura che solo grazie all’astrazione della pianta è possibile capire. Le griglie principali sono quelle che P. Eisenman ricicla dal progetto di Cannaregio e dell’Ospedale di Le Corbusier, le griglie vengono fortemente condizionate dal contesto di una città scolpita nel tempo come Venezia.

2 _ 2.3

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Immagine a fianco Modellino Immagine a lato Diagramma basato sul Layering



C a s a

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Mu s ic a ,

O p or t o

2 0 05

_

OM A 3 _ 2.4

Nasce dalla necessità incessante di produrre sempre più e sempre in minor tempo, il progetto parte dall’idea di “scalare” una casa olandese, per produrre forme e volumi che non stessero all’interno della linea tipologica della “scatola di scarpe”. Trovano la soluzione proponendo dei diagrammi che funzionano come immagine commerciale e schema progettuale assieme. Il diagramma materializzato o la de-materializzazione del costruito sono linee guida presenti nel progetto. La virtualità del progetto si basa molto sull’utilizzo di certi materiali traslucidi che danno idee visuali-volumetriche diverse. Tende di vetro, piastrelle con texture sovradimensionate, la scala umana viene messa da parte per far posto alla scala della città. La città astratta dei diagrammi e dei campi di forza virtuali.


Immagine a fianco Modellino Immagine superiore Diagramma basato sul Layering


Can Lis, Ma l lorca, 1974 _ Jørn Utzon Sopra una scogliera vicino a Porto Pedro, sull’isola di Mallorca, si trova una casa formata da cinque pezzi indipendenti che si adattano alla topografia irregolare e cercano differenti orientazioni. Spazialmente, i diversi padiglioni si costruiscono secondo le geometrie dei materiali. Il modulo spaziale si basa sulle dimensioni delle travi in calcestruzzo prefabbricato, su un’elemento curvo in ceramica e sulle dimensioni base delle pietre di Mares. Le sequenze degli spazi apprese dalla cultura araba, producono filtri di luce differenti. La parte della casa che maggiormente colpisce è il salotto che è posto all’interno di un pezzo indipendente, i vari filtri di luce si dispongono secondo la successione luminosa presente nell’Alhambra: luce - penombra - ombra - penombra - luce. La sala è un cubo di vuoto, con 5 coni di materia che ci proiettano verso il mare. Entriamo in questo spazio e percepiamo solamente il suono dei nostri stessi passi, l’occhio vede una parete d’acqua e il vento che fa muovere i rami degli arbusti, ma tutto tace. Sedendoci sul divano che guarda verso sud, ascoltiamo, come se fossimo in una sala di registrazione completamente insonorizzata, il battito del cuore e il respiro del corpo. La mente non è abituata a trovarsi in spazi così, dove ciò che vedi non corrisponde a ciò che senti. L’incongruenza sensoriale è inaspettata, e l’emozione travolgente. Ci sono pochi ambienti dove possiamo dire di avere avuto queste sensazioni e Can Lis insegna la profondità dell’esperienza umana come punto di partenza del progetto.

4 _ 3.2

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Immagine a fianco Veduta Interna Sala Immagine a lato Schizzo dell’idea



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La casa sembra essere pensata come una gigantesca meridiana. Si percepisce il passare del tempo, ogni colonna, ogni foro, ogni riferimento al mare mostrano il susseguirsi delle ore del giorno. Quando siamo all’interno della sala principale noteremo per 15 minuti al giorno un raggio entrare dal foro in alto, e percepire il tempo come un ricordo di ciò che quello spazio ci ha lasciato.


L a C app e l l a Br ud e r K l au s , C olon i a , 19 8 8 _ Pe t e r Zu mt hor Lo spazio è dedicato alla meditazione individuale, e non avvengono riti religiosi o pagani; l’ambiente necessita di rimanere in silenzio. L’oggetto è posto al centro della campagna tedesca, in un contesto quasi surrealista. Al valicare la soglia diventiamo seri, veniamo condotti all’interno di uno spazio completamente oscuro, e un’odore di legno bruciato ci avvolge. Lo spazio inizialmente è compresso poi si dilata, la geometria della pelle interna è irregolare formata dai 112 tronchi di alberi, che hanno formato il negativo e i 24 getti giornalieri in calcestruzzo sono il positivo.

5 _ 3.3

Una fenditura posta in alto, lascia passare un raggio di luce che bagna debolmente l’interno. Come per le sale per la cerimonia del tè o per le caverne, oscurità e silenzio è una ricetta per far prendere coscienza di sé.

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Immagine a fianco Veduta Interna Lucernaio Immagine a lato Schizzo della Pianta



5

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C o n c l u s i o n i “Dal verbo suchen (cercare) i Tedeschi fanno il participio presente, suchend, e lo usano sostantivato, der Suchende (colui che cerca), per designare quegli uomini che non s’accontentano della superficie delle cose, ma d’ogni aspetto della vita vogliono ragionando andare in fondo, e rendersi conto di se stessi, del mondo, dei rapporti che tra loro e il mondo intercorrono. Quel cercare che è già di per sé un trovare, come disse uno dei più illustri fra questi «cercatori», e precisamente sant’Agostino; quel cercare che è in sostanza vivere nello spirito.” Herman Hesse, Siddhartha

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Il viaggio iniziato nei meandri della pelle, passato attraverso i sensi, il materiale, il movimento per giungere all’astrazione e altre realtà virtuali, si è concluso con le singolarità di alcuni spazi. Grazie a questa ricerca sulla natura degli spazi, il nostro modo di sentirli, codificarli, immaginarli e astrarli, abbiamo visto il cambio radicale della nostra percezione di tempo. Il tempo è apparso come una risorgiva durante il discorso, una specie di soggetto sottinteso, che variava a seconda del verbo, ma era sempre presente all’interno di qualsiasi frase. Il tempo emerge così confuso e complesso da analizzare, che forse la sua bellezza è contenuta all’interno di tutte le esperienze provocate da infiniti modi di percepirlo attraverso la spazio, ognuno singolare.


6 Jacques Derrida, Adesso l’architettura, Motta Cultura, Milano, 2008; Marco Ferrari, Architettura e Materia realtà della forma costruita nell’epoca dell’immaginazione, Quodlibet Studio, Macerata, 2013; Carla Molinari, Architettura in sequenza. Progettare lo spazio dell’esperienza, Quodlibet, Macerata, 2018; Chiara Scortecci, Cino Zucchi, Bau-Kunst-Bau, Clean Edizioni, Napoli, 1994; Jacques Derrida, Peter Eisenman, Chora L Works, The Monacelli Press, New York City, 1997; Vittorio Prina, Cinema architettura composizione, Maggioli Editore, Rimini, 2009 Alberto Morell, Despacio, Nobuko, Buenos Aires, 2011; J. Krishnamurti, David Bohm, Dove il tempo finisce, Ubaldini Editore, Roma, 1986; Peter Eisenman, Eisenman Architects: Selected and Current Works, Stephen Dobney, New York, 1996; Maurice Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano, 2003; Juhani Pallasmaa, Gli occhi della pelle, Jaca Book, Milano, 2007; Martin Heidegger, Il concetto di tempo, piccola biblioteca Adelphi, Milano, 1973; Fernando Espuelas, Il Vuoto, riflessioni sullo spazio in architettura, Christian Marinotti, Milano, 2004;

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B i b l i o g r a f i a Rafael Moneo, Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’opera di otto architetti contemporanei, Mondadori Electa, Milano, 2005; AAVV, Jørn Utzon 1908-2018, 205, Arquitectura Viva, Madrid, 2018; L. Benevolo, B. Albrecht, Le origini dell’architettura, Edizioni Laterza, Roma, 2002; Juhani Pallasmaa, L’ immagine incarnata, immaginazione e immaginario nell’architettura, Safarà Editore, Pordenone, 2014; Carlo Rovelli, L’ordine del tempo, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano, 1973;

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Fernando Espuelas, Madre Materia, Christian Marinotti, Milano, 2012; AAVV, OMA, 1996-2007, 134-135, El Croquis, Madrid, 2007; Steven Holl, Parallax: Architettura e percezione, Postmedia, Milano, 2004; AAVV, Peter Eisenman 1990-1997, 83, El Croquis, Madrid, 1997; Bruno Zevi, Saper vedere l’architettura, Giulio Einaudi, Torino, 1953; AAVV, Steven Holl, 1986-1996, 78, El Croquis, Madrid, 1996; Mario Carpo, The alphabet and the algorithm, The MIT press, Massachusetts, 2011; David Lewis-Williams, The Mind in the Cave: Consciousness and the Origins of Art, Thames & Hudson, Londra, 2004;


A Ugo e Percy




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