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Ad Alberto Izzo e Renato De Fusco per averci incoraggiato, sostenuto e guidato con la sapienza e l’esperienza di autentici maestri in questo progetto.
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Università degli Studi di Napoli Federico II Dipartimento di Urbanistica e Progettazione Urbana Catalogo realizzato grazie al contribuito di: Associazione Costruttori Edili Napoli
Hanno contribuito e collaborato al corso di Master ed agli eventi connessi: Regione Campania Associazione Costruttori Edili Napoli Unione Industriali di Napoli Servizi d’Impresa S.r.l. Associazione Formazione Manageriale per l’Edilizia iGuzzini Vitra Projects Fondazione Ezio De Felice Eubeo
Si ringraziano: Tutti i docenti e gli assistenti del master. Giorgio Grassi, Raphael Moneo, Joseph Rykwert e Alvaro Siza y Vieira per le splendide lezioni magistrali. Elena Camerlengo, Stefano De Martino, Bruno Discepolo, Giancarlo Ferulano, Roberto Giannì, Robert Mull, Giulio Pane, Eirene Sbriziolo, Laura Travaglini, Claudio Varagnoli, Federica Zanco per il loro contributo scientifico. Felice Laudadio ed Isaia Sales per il loro intervento istituzionale. Lorenza Corti, Giuseppina Carfora, Claudia Coppola, Elisabetta Di Prisco, Eleonora Di Vicino, Elvira Tagliaferri per il sostegno tecnico-amministrativo fornito. Amalia Esposito, Carla Murante, Stefania Ragozino per aver collaborato ai lavori di ricerca del Master attraverso il loro tirocinio di laurea.
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Catalogo edito in occasione della mostra Progettare per la città storica Napoli 3/10 dicembre 2008 Centro Congressi Federico II via partenope, 36 Mostra a cura di: Stefania Ragozino Salvatore Argentino Filomena De Martino Livia Falco Marie Mincke Valentina Gentile Vincenzo Peluso Domenico Persico Sara Gina Salino Comitato scientifico: Alessandro Castagnaro Giovanni Francesco Frascino Roberto Vanacore Catalogo a cura di: Ferruccio Izzo Anna Sirica Direzione artistica progetto grafico: Anna Sirica Foto copertina: Sara Gina Salino Foto pagina 16 e 17: Giovannella Borselli Foto pagina 91 e 96: Federica Cerami Repertorio fotografico: Sabrina Abreu Diaz Salvatore Argentino Filomena De Martino Raquel Diniz Oliveira Livia Falco Valentina Gentile Meidong Li Marie Mincke Vincenzo Peluso Ugo Perillo Domenico Persico Qiguang Hu Sara Gina Salino Giovanna Togo ©Copyright Università degli Studi di Napoli Federico II codice ISBN 978-88-87111-95-8
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indice
13 Prefazione Benedetto Gravagnuolo 19 L’antica Neapolis come Cittadella degli Studi Renato de Fusco 23 Il Master: cultura e giovani per un contributo di qualità Alberto Izzo 25 Finanza di città e governance strategica Pasquale Persico 27 Verso un processo di attualizzazione della conoscenza Gaetana Cantone 33 Il progetto di architettura per la città storica Nicola Di Battista 35 La città storica: una risorsa per l’architettura e la città contemporanee Ferruccio Izzo 41 Il ruolo della storia dell’architettura nella progettazione contemporanea Alessandro Castagnaro 45 Il difficile dialogo tra antico e nuovo nei tessuti storici Renata Picone 47 Sicurezza strutturale e centri storici Gaetano Manfredi 51 Il progetto per il Centro Antico di Napoli Roberto Vanacore
Ascolto e ricerca nel Centro Antico di Napoli 53 Giovanni Francesco Frascino Studi preliminari 61 Masterplan 89 Il Collegio del Centro Antico 94 Due atteggiamenti per l’area dei policlinici 97 Giuseppe Moliterni Il sistema di risalita all’Acropoli 116 Un nuovo basamento per l’Acropoli 119 Anna Sirica Lanificio Sava 136 Il primato della sintesi tra progetto e restauro 139 Mino Vocaturo Residenze per studenti in via Armanni 158 Spazi porosi 161 Anna Sirica Riflessioni conclusive 178 Corvino+Multari, Nicola Di Battista, Ferruccio Izzo, Pasquale Persico, Roberto Vanacore Eventi e conferenze 182 Struttura 186 Studenti 2008 188
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prefazione Benedetto Gravagnuolo
L’antica Neapolis come cittadella degli studi. Questo è il tema prescelto per il primo anno del Master internazionale di II livello in Progettazione d’eccellenza per la città storica, bandito nel 2006 e svoltosi durante l’anno 2007-08. Proposto ed argomentato da Renato De Fusco nell’ampio discorso di Prolusione inaugurale del corso - tenutasi la mattina di venerdì 19 gennaio 2007, presso l’Aula Magna dell’Ateneo Federico II, con contributi metodologici di Claudio Claudi de Saint Miheil, Alberto Izzo ed Eduardo Souto de Moura - tale tema è stato condiviso all’unanimità dal Consiglio Scientifico del Master per la sua evidente rispondenza alla vocazione del ‘luogo’. Va da sé che un’intenzione progettuale, per quanto razionale, resti pur sempre da verificare in tutta la sua intrinseca complessità. Seguendo il tracciato logico di tale indicazione prospettica, sono stati pertanto quattordici architetti - provenienti non solo dall’Europa, ma anche da paesi lontani quali il Brasile e la Cina – a svolgere una lunga e paziente ricerca analitica, nonché un articolato lavoro ideativo sotto la guida di un collegio di docenti di alta caratura, a loro volta non solo italiani. Rinviando al colophon l’elenco completo dei nomi degli allievi e dei docenti che si sono impegnati in tale esperienza, ritengo che sia non inutile chiarire a scanso di equivoci la finalità eminentemente didattica e scientifica degli elaborati prodotti nel Master, da non confondere dunque con un’esercitazione di stampo professionalistico. Se è vero che, per evitare facili fantasie irrealizzabili, tra le disposizioni metodologiche di base è stato imposto a tutti il pieno rispetto delle regole urbanistiche vigenti e la realistica fattibilità dei progetti (non solo sotto il profilo tecnico, ma anche economico), resta però altresì innegabile che le proposte pubblicate in questo catalogo vanno intese come elaborati di studio rigorosamente autonomi dai condizionamenti di immediata operatività. Si tratta insomma di una prova da laboratorio di urban simulation, attendibile per la sua oggettiva verificabilità, ma esente dalla diretta dipendenza di una reale committenza. Ebbene, tra le varie innovazioni introdotte dalla riforma universitaria (D.M. 509/99), la formula dei Master resta una delle più riuscite. La finalità di questi corsi di alta formazione sta proprio nel dop-
pio obiettivo di trasmettere da un lato le conoscenze per la crescita culturale dei giovani laureati e, dall’altro lato, di promuovere ricerche atte a concorrere allo sviluppo civile, economico e sociale. In tal senso, la validità di un Master si misura sul gradiente di interesse che la tematica prescelta e la qualità dei docenti offrono sul mercato delle idee, attivando forme di collaborazioni con soggetti sia pubblici che privati. Non è irrilevante rimarcare che i Master si autofinanziano, non solo con le quote degli allievi, ma anche (e direi soprattutto) con la capacità di produrre un ‘sapere utile’ che va incontro alle attese sociali. Avventurarsi in un campo minato qual è quello di elaborare progetti per il Centro Storico di Napoli è stata una scelta che può, a prima vista, apparire temeraria. Il secolo che si è da poco concluso ci ha lasciato in eredità una notevole quantità e qualità di studi sull’argomento, ma anche l’eco di polemiche non sopite che hanno contribuito a determinare un sostanziale immobilismo. Si può tuttavia provare ad uscire dall’impasse riconducendo il confronto tra ‘pensieri diversi’ sui binari della semplice ragione, come d’altronde avviene in ogni ambito scientifico. Non abbiamo aggiunto la nostra voce al coro di proteste contro l’amministrazione comunale in occasione del recente crollo di un palazzo fatiscente in via Portacarrese a Monte Calvario, lesionato dal sisma del 23 novembre 1980 e rimasto puntellato con opere provvisorie per circa vent’otto anni fino al fatidico venerdì 11 luglio 2008. Quel trauma è però più eloquente di ogni retorica indignazione. Le specifiche responsabilità giuridiche andranno accertate dalla magistratura. Tuttavia non sono ulteriormente giustificabili le responsabilità etiche dell’incapacità di intervenire nella tutela ‘attiva’ del patrimonio storico, coerentemente con le scelte di piano e con le indicazioni emerse da poderose ricerche elaborate nel corso del tempo da studiosi di varie discipline. Il ritardo con il quale (prima o poi) verrà attuato un programma coordinato di interventi di restauri nel Centro Storico della nostra città offre solo un (involontario e direi consolatorio) vantaggio. Nel corso del tempo è aumentata la consapevolezza teoretica della necessità di tutelare e di trasmettere alle future generazioni l’inestimabile valore del nostro patrimonio
storico e paesaggistico (come ci chiede l’Unesco dal 1995). E il più suggestivo monumento del passato resta il rigoroso impianto logico-geometrico dei cardini e decumani della città di fondazione greca, ancor oggi leggibile con nitore dall’alto di Castel Sant’Elmo, a circa duemila e cinquecento anni di distanza dai tracciati primigeni. Senza perdere di vista la questione di più ampio respiro del Centro Storico, nel primo anno del nostro Master abbiamo deliberatamente concentrato la ricerca progettale solo su tre aree-studio incentrate nel cuore antico di Napoli. L’impegno ricognitivo è stato articolato in quattro laboratori diretti rispettivamente da: - Renato De Fusco per gli aspetti storico-critici; con un team di docenti formato da Gaetana Cantone, Joseph Rykwert, Stefano De Caro, Daniela Giampaola, Enrico Guglielmo, Mario De Cunzo, Ugo Carughi, Renata Picone, Marialuisa Margiotta e Alessandro Castagnaro. - Mimmo Jodice per gli aspetti relativi alla cultura visiva ed antropologica, con Marino Niola, Aldo Trione, Alfredo Pirri e Federica Cerami. - Pasquale Persico per le tematiche economiche, giuridiche e urbanistiche; con Guido D’Angelo e Luigi Fusco Girard. - Alberto Izzo per la sintesi progettuale; con David Chipperfield, Eduardo Souto de Moura, Rik Nys, Marco Petreschi, Nicola Di Battista, Pasquale Belfiore, Fabrizio Spirito, Claudio Claudi di Saint Miheil, Gaetano Manfredi, Antonello De Luca, Ferruccio Izzo, Vincenzo Corvino, Giovanni Multari e Roberto Vanacore. La seduzione del luogo è il titolo di un recente libro di Joseph Rykwert (Einaudi, 2003), che reca come sottotitolo Storia e futuro della città. E’ un saggio che può essere letto come un manifesto teorico del nostro Master. Non a caso, il celebre professore dell’Università della Pensylvania (e docente del nostro Master) ha tenuto a Napoli una conferenza su tale tema il 7 luglio del 2007 nella simbolica Sala Grande di Castel Nuovo, alla presenza del Sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino. All’incontro hanno preso parte anche Stefano De Caro, Mimmo Jodice e Aldo Trione all’insegna di quel dialogo tra saperi che ha contraddistinto il nostro approccio metodologico al tema dell’antico. Bisogna innanzitutto interpretare la vocazione del
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‘luogo’, per poter elaborare ‘idee’: non solo nuove, ma anche valide. Nell’ermeneutica del ‘luogo’ va interrogato non solo il muto linguaggio dei monumenti, ma anche l’enigma dei miti e l’anima della cultura antropologica che si è sedimentata, nel corso del tempo, dentro le pietre del passato. Proseguendo su tale sentiero noetico - nonostante le appassionate e reiterate discussioni svoltesi nei laboratori con David Chipperfield, Eduardo Souto de Moura, Nicola Di Battista e Marco Petreschi, oltre che con i summenzionati docenti napoletani abbiamo chiesto tre ‘lezioni magistrali’ sul rapporto tra antico e nuovo a figure della statura culturale di Rafael Moneo, Alvaro Siza y Viera e Giorgio Grassi. Abbiamo inoltre allestito una mostra sull’opera di Charles Eames nella Chiesa dell’Incoronata (ottobre 2007), con la diretta partecipazione di Rolf Fehlbaum e Federica Zanco della celebre Vitra Projects, nonché confrontato idee – sia nella nostra sede, che nello splendido Teatro di Palazzo Donn’Anna per gentile concessione di Eirene Sbriziolo, presidente della Fondazione Ezio de Felice – con Ambrogio Prezioso, presidente dell’Acen, con Felice Laudadio, Assessore al Centro Storico, con Giulio Pane, Ordinario di Storia dell’Architettura e promotore di un’associazione civica per la valorizzazione del sito Unesco e con vari altri esponenti del mondo imprenditoriale e culturale. Siamo stati inoltre gratificati del sostegno (non solo morale) di Giovanni Lettieri, Presidente dell’Unione degli Industriali della Provincia di Napoli, e di Adolfo Guzzini, Presidente dell’In-Arch nonché dirigente dell’omonima e notissima azienda di Recanati. Fin qui un accenno agli scambi dialettici già intercorsi. Ci auguriamo che i lavori documentati nella mostra, abbinata al presente catalogo, siano all’altezza delle attese. La mostra intende infatti non solo illustrare le nostre proposte progettuali, ma aprire auspicabilmente anche un dialogo con la cittadinanza. Certo, a noi sembra che il Centro Storico di Napoli mostri con lapalissiana evidenza la vocazione ad accogliere spazi di alta formazione e strutture di ricerca nei suoi suggestivi monumenti. Tant’è che già oggi ruota in tale ambito la costellazione delle sedi di ben cinque università, di nuovi musei e di fondazioni culturali, di istituti di ricerca scientifica o filosofica di livello internazionale. La semplice messa ‘a sistema’ di questo retaggio storico, rappresenterebbe già di per sé un passo in avanti. Senza dimenticare la necessità di realizzare alloggi per studenti e per docenti, nella prospettiva di una sempre più elevata competitività internazionale. Va infine precisato che la missione trainante della Civitas Studiorum non va intesa in senso esclusivo. Anzi. La destinazione universitaria andrebbe affiancata dalla messa a sistema delle attrezzature per lo spettacolo ed il tempo libero, dei luoghi destinati alla ricerca ed alla creatività, dell’artigianato
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di qualità, nonché delle strutture di ricezione alberghiere e turistiche. In conclusione, tale strategia d’intervento andrebbe fondata su una costellazione di valori riconducibile a ‘Quattro R’: il ‘Restauro’ del patrimonio monumentale; il ‘Recupero’ dei tessuti urbani minori; il ‘Riuso’ con adeguate destinazioni delle (non poche) architetture storiche non utilizzate o sotto-utilizzate; la ‘Rivitalizzazione’ del Centro Storico con l’immissione di nuove attività produttive compatibili con la tutela del patrimonio e con il sostegno alle attività esistenti mediante forme di credito agevolato o fiscalità di vantaggio o altri sussidi pubblici. Decisivo però per il processo di risanamento del degrado resta soprattutto il recupero di alcuni grandi complessi architettonici illogicamente sottoutilizzati. Valga ad esempio per tutti il complesso conventuale di San Paolo Maggiore che si staglia con la sua luminosa bellezza nella penombra labirintica del cuore antico della città. Dietro la facciata barocca della chiesa teatina (adornata dalle colonne del preesistente Tempio dei Dioscuri) si dischiudono due grandi chiostri alberati che invocano una destinazione d’uso più adeguata al loro fascino. Pochi ‘luoghi’ al mondo disvelano una così seducente stratificazione storica plurisecolare.
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L’antica Neapolis come Cittadella degli Studi Renato De Fusco
Che gli Studi di ogni ordine e grado abbiano avuto la loro sede originaria nella parte più antica della città è naturale; che essi siano quivi rimasti anche quando la città si espanse in altre direzioni è viceversa un fenomeno culturale degno di rilievo e di riflessione. Ma diamo un ordine al nostro sommario excursus. Tramontata l’età classica, quando si studiava nei Ginnasi, composti da palestre e da stadi, gli Studi trovarono sede nei conventi e nelle chiese. Nel 1224, com’è noto, fu fondata l’Università degli Studi di Napoli ad opera di Federico II, su suggerimento di Pier della Vigna, secondo alcuni autori, o di Roffredo Beneventano, secondo altri. L’istituzione sembra aver avuto la sua prima sede nel palazzo di Pier della Vigna. «S’ignora quale sia stata la sede dello Studio agli inizi della dominazione angioina. A partire dal 1343 era presso il Capo di Monterone, accanto alla chiesa di S. Andrea Apostolo (odierna via Nilo), quindi al centro della città, vicino ai chiostri nuovi o rifatti di S. Lorenzo, S. Domenico, S. Agostino, S. Pietro a Maiella, S. Chiara; a pochi passi dal luogo dove qualche rudere ricordava l’antico Ginnasio e non lontano dal Duomo, riedificato da Carlo II e da Castel Capuano sede del Sovrano»1.
Si ritiene che durante il regno di Giovanna II gli Studi fossero ospitati presso S. Giorgio Maggiore e successivamente trasferiti nell’arcivescovado. Nel primo periodo aragonese le sedi degli Studi si moltiplicarono. Più tardi, a partire cioè dal 1487: «le Cedole della Tesoreria segnalano la spesa di 20 ducati per ciascuno dei tre uditori di S. Pietro a Maiella, S. Domenico e S. Liguoro, e per un altro ancora, negli stessi locali di S.Pietro a Maiella. Qualche anno dopo gli uditori salirono a cinque; s’era aggiunto quella di S. Marcellino. Di tutte queste sedi, restarono più a lungo solo quelle di S. Domenico e di S. Pietro a Maiella»2.
Nell’iter storico dell’Università napoletana, va segnalato il progetto rimasto irrealizzato dell’edificio della Sapienza, voluto dal cardinale Oliviero Carafa nel 1515. Al vicerè conte di Lemos si deve il programma di concentrare gli Studi nell’omonimo palazzo progettato da Giulio Cesare Fontana e inaugurato nel 1615. In esso ebbe sede l’Università di Napoli fino al 1780, anno in cui fu trasferita nei locali del Gesù vecchio o del Salvatore, che
prima avevano ospitato il collegio dei Gesuiti. Queste vicende di peregrinazioni stanno ad indicare molte cose, due delle quali prevalenti e pertinenti al nostro discorso. La prima è che, nonostante i tentativi di trasferire gli Studi fuori dal centro storico, questi vi sono sempre ritornati: durante i centosettantacinque anni che l’Università risiedette nell’attuale edificio del Museo Archeologico, si ebbero varie interruzioni con relativo rientro in S. Domenico Maggiore. La seconda è che, per diverse cause, tutti i tentativi di mantenere le varie Facoltà in un unico edificio sono costantemente falliti; il che dimostra tra l’altro la vocazione degli Studi ad essere separati in diverse sedi architettoniche, ma ad essere uniti in una sola area urbanistica: la cittadella appunto degli studi. Non è questo il luogo per giudicare l’opportunità o meno di ogni insediamento nell’area del centro antico; sta di fatto che fin quasi ai nostri giorni abbiamo assistito all’ubicazione nella zona di Caponapoli del primo Policlinico, occupando gli spazi del convento della Croce di Lucca e a quella della Facoltà di Architettura a palazzo Gravina, non lontano da palazzo Giusso, già da tempo sede dell’Istituto Orientale. Accanto all’Università molte altre istituzioni didattiche hanno trovato posto nell’area in esame. Oltre alle scuole di ogni ordine e grado, generalmente, come s’è detto, gestite da chiese e parrocchie, la gran parte degli edifici dei vari ordini religiosi, dei collegi, delle sacre case, dei monasteri claustrali e dei conservatori di donne svolse anche un’alta funzione educatrice e didattica. Ancora, nel centro antico sorsero istituti di insegnamenti specializzati, quali il Conservatorio di musica, definitivamente ubicato a S. Pietro a Maiella, che prese origine da quattro scuole minori - S. Maria di Loreto, della Pietà dei Turchini, di S. Onofrio a Capuana, dei Poveri di Gesù Cristo - sorte tra il ‘500 e il ‘600 dapprima con lo scopo di togliere dalla strada i fanciulli abbandonati e successivamente con quello di fornire musici alle chiese, ai teatri, alle case dei nobili. Un’altra scuola di alta specializzazione, l’Accademia di Belle Arti, fondata da Carlo di Borbone nel 1754 con sede a S. Carlo alle Mortelle, rientrò più tardi anch’essa nell’ambito del centro antico al posto dell’ex convento di S. Giovanni delle Mona-
che. Sempre legati al mondo degli Studi sono il Grande Archivio, sorto nel convento dei SS. Severino e Sossio, già dei Benedettini e l’Archivio storico del Banco di Napoli in palazzo Ricca, fonte indispensabile per la vicenda economica e finanziaria della città e delle province meridionali; le biblioteche, quali quella dei Padri dell’Oratorio (Gerolomini), del Conservatorio, del Museo Filangieri, dell’università, quelle proprie di ciascuna Facoltà, di ciascun monastero, delle varie istituzioni pubbliche e private; i musei, come quello archeologico, insediatosi, come s’è detto, nel palazzo degli Studi, il Museo Filangieri, quello del Conservatorio, quelli scientifici di Paleontologia, di Zoologia, di Mineralogia. Una notevole funzione didattica ebbero le corporazioni e con esse ritorniamo un momento all’età classica: «così a Napoli» scrive Gino Doria «troviamo, ricercando nelle epigrafi notizie delle antiche corporazioni fortissima la classe degli architetti, i quali molto dovevano lavorare per conto dei romani, che popolavano le ville della costa; e quindi le arti sussidiarie i marmorarii, i fabri, sia lignarii, sia ferrarii, sia aurarii»3. Per le corporazioni medievali e moderne non occorrono antiche notizie perché molte botteghe e laboratori ne continuano ancora l’attività o, quanto meno, ne conservano le tracce. Insomma, nell’ambito del centro antico di Napoli, accanto ad una vasta serie di funzioni, proprie di una città con servizi necessari ad ogni epoca della sua storia, troviamo anche una notevole stratificazione delle istituzioni più strettamente pertinenti al mondo della cultura e in particolare di quelle aventi fini didattici e pedagogici di vario tipo e livello: dalla teologia che ebbe maestro san Tommaso presso il convento dei Domenicani alle arti applicate che s’imparavano presso le botteghe degli artigiani. Gli Studi, nell’accezione più generale, vanno considerati come una invariante nello sviluppo del centro antico di Napoli. È lecito pensare che questa tradizione si possa conservare ancora oggi? La risposta è senz’altro affermativa. Intanto, l’insieme delle strutture più o meno direttamente legate agli studi, ivi esistenti e fra loro assai spesso collegate, è impensabile trasferito altrove. Anzitutto per motivi urbanistici: il centro antico di Neapolis, per lo sviluppo che la
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città ha avuto ad est e a nord, è diventato più centrale di quanto fosse fino all’età barocca, donde la maggiore accessibilità della zona da masse di studenti provenienti dalla periferia. In secondo luogo perché, a voler riprodurre, al solo livello quantitativo, tutte le attrezzature e le istituzioni didattiche in un’altra località, si andrebbe incontro ad un dispendio di tempo e danaro insostenibile dalle risorse pubbliche e private. Ancora, posto che si abbiano queste disponibilità finanziarie e che si disponga di un piano per l’edilizia scolastica e universitaria all’altezza del compito - eventualità quest’ultima assai improbabile, visti gli esiti della pianificazione, specie in tale campo - quale destinazione d’uso dare a quegli edifici ora funzionanti, nel centro antico come scuole, istituti universitari, organismi didattico-culturali? E come utilizzare gli ex conventi, le chiese sconsacrate, la stessa edilizia residenziale che in molti casi è o dovrebbe essere abbandonata per la sua mancata rispondenza alle esigenze di oggi? Si tratta evidentemente di un patrimonio immobiliare enorme che non è consentito, da ogni punto di vista, abbandonare, degradare o, quanto meno, affidare ad usi impropri, provvisori e improvvisati. Ma ovviamente è l’aspetto qualitativo del problema quello che ci interessa maggiormente. Intanto va detto che la cultura architettonicourbanistica, la domanda della società, il rinnovarsi dei costumi hanno, per così dire, ‘riscoperto la città’, hanno riconosciuto che l’ ‘effetto urbano’ non è un fenomeno che si progetta a tavolino, ma nasce dalla valorizzazione del preesistente, hanno soprattutto smentito il preconcetto, anni fa assurto al valore di norma, per cui l’antico è proprio della città storica, mentre il nuovo si addice esclusivamente agli spazi liberi, periferici, senza storia, né genius loci. La questione dei centri storici pertanto non è più appannaggio dell’urbanistica specializzata in questo campo, del restauro, della pura conservazione, ma tocca gli interessi di tutti, dagli architetti ai costruttori, da chi è preposto alla tutela dei beni culturali alla comunità degli abitanti. Il dibattito architettonico-urbanistico più attuale è incentrato su temi quali quello di ‘costruire nel costruito’ o della ‘teoria della modificazione’ o del ‘ritorno alla città’. Si tratta in sostanza di salvaguardare il patrimonio del passato in pari tempo sfruttando tutto il suo potenziale, sia culturale che economico. Che questo duplice obiettivo non dia sempre esiti soddisfacenti si nota frequentemente e mi riferisco ad una corrispondenza troppo facile e talvolta meccanica di una vecchia ad una nuova tipologia: quasi ogni chiesa sconsacrata viene trasformata in una sala per concerti, ogni ex convento in un museo, ogni palazzo magnatizio in una sede per esposizioni. Ora, a parte l’immediato automatismo di queste destinazioni d’uso, abbiamo veramente bisogno di tante gallerie d’arte, di tanti musei, di tante sale per concerti? Tutte queste riutilizzazioni non costi-
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tuiscono forse un alibi, in definitiva pigro e moralistico, affinché cambiando poco o nulla, tutto il patrimonio resti allo status quo? Sono invece persuaso che se vogliamo realmente salvaguardarlo e rivitalizzarlo, non bastano queste soluzioni estetizzanti, ma occorre dare ad esso una funzione nuova, ‘forte’, crearvi intorno un valore, una proprietà cioè soddisfacente interessi più ampiamente condivisi. Detto in altre parole, ritengo che l’arte non si salva con l’arte, generando un debole circolo vizioso, ma associandola a compiti più utili e pratici: emblematico esempio è appunto quello di insediare in un ex convento una istituzione universitaria. A tale proposito e ritornando alla specifica proposta per il centro antico di Napoli, mi piace ricordare un passo di Pane che accenna all’atmosfera che circondava le cittadelle conventuali: «Chi attraversa la Napoli antica e barocca osserva come, ogni tanto, il trito chiaroscuro dei balconi e delle finestre sia interrotto da un’alta parete intonacata, senza alcuna apertura, che separa e protegge un silenzioso chiostro dalla tumultuosa angustia della strada adiacente. Tale contrasto fa pensare a quello che dovettero offrire le maggiori vie di Pompei lungo le quali, come testimonia la presenza di numerose botteghe, si muoveva una folla non molto diversa da quella della moderna Partenope: anche lì i rumori giungevano con un’eco affievolita, un incessante brusio, nei vari peristili delle case patrizie»4.
Come non pensare che in un simile ambiente, cioè in «un luminoso e intimo spazio verde, circondato da arcate, nel quale l’animo si sente invitato a raccogliersi in silenzio pur essendo così vicino ai suoni più clamorosi e diversi», possa trovare la sua sede più opportuna una moderna struttura universitaria? Ma la mia idea di destinare l’area di Neapolis prevalentemente a cittadella degli studi non si limita a prevedere questo o quell’istituto dell’Università o di altro organismo di ricerca inseriti in un palazzo rinascimentale o in un chiostro conventuale, così come è già stato fatto in passato; una novità semmai sarebbe quella di far coesistere in uno stesso convento con pochi religiosi il loro istituto con la sezione di una eventuale Università cattolica da fondare a Napoli. Queste ed altre ‘sistemazioni’ sarebbero comunque sporadiche ed occasionali, rientrerebbero in una politica edilizia e non urbanistica. Quando penso ad una cittadella degli studi considero i vantaggi e le sinergie che quest’ultimi riceverebbero dalle preesistenze monumentali, funzionali e tipologiche della zona: biblioteche, archivi, musei, ospedali, teatri, sale per conferenze, musica e spettacoli, nonché dalla ‘lezione’ ricavabile dallo stesso patrimonio storico-artistico. Se l’arte, oltre ad essere un piacere, è anche e forse soprattutto conoscenza, come non vedere il luogo ideale dell’insegnamento e dell’apprendimento quello più caratterizzato da reperti antichi, chiese famose, da palazzi storici, macchine da festa e da
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quant’altro abbonda nel nostro centro antico? Peraltro, l’insieme delle strutture didattiche quivi esistenti, distinte ma integrabili, risulterebbe particolarmente adatto all’organizzazione dipartimentale dell’Università che stiamo sperimentando e che, sia detto per inciso, nonostante i risultati tutt’altro che apprezzabili (forse per la stessa mancanza di ‘luoghi’ idonei), sarà difficilmente reversibile. Dal canto suo il patrimonio storico-artistico, ancorché valorizzato dalla sua componente economica, grazie all’industria turistica o ad altro, ritornerebbe in tal modo ad avere una funzione pratica, così come ebbe in origine, riproponendosi come un bene fruito da tutti e non contemplato solo da pochi. Inoltre, così valorizzato, non sarebbe più quell’onere che per ‘dovere’ gli enti preposti sono costretti ad assumersi, nel modo inevitabilmente insufficiente che tutti sappiamo. Nulla togliendo alle specifiche competenze, l’integrazione della tutela monumentale con l’organizzazione didattica dovrebbe essere un auspicabile obiettivo. Infatti, poiché sia la conservazione dei beni culturali sia l’edilizia per la pubblica istruzione competono in primo luogo allo Stato, un unico, coordinato programma di spesa potrebbe meglio assolvere questo duplice compito. Il che non esclude che lo stesso proposito potrebbe interessare, nella debita misura, anche istituzioni private. Il ‘progetto’ che vado esponendo, se auspica per il centro antico di Napoli l’integrazione del patrimonio monumentale con una più razionale organizzazione didattica, non intende ridurlo ad un luogo che ospiterebbe solo scuole e monumenti; conosciamo tutti i limiti di quartieri urbani a destinazione unica e specializzata. Tale centro comprende e comprenderà almeno altre due funzioni che lo caratterizzano fortemente: quella residenziale e quella terziaria. In fatto di residenza, tutto l’antico da ristrutturare e tutto il nuovo da edificare, tolti gli spazi necessari agli Studi, dovrebbe essere destinato a case per studenti e docenti, ricercatori e personale tecnico; a foresterie e a case-albergo per studiosi stranieri e professori a contratto, per tutti coloro insomma motivati a stare stabilmente o periodicamente a contatto coi centri di cultura napoletani. Quanto alla funzione terziaria, ad essa sarebbe affidata la ben nota vitalità dell’ambiente e con essa il fattore di continuità fra il passato e il presente: antiquari, restauratori, librai, commercio della carta, tipografie, botteghe artigianali di ogni tipo, mercati e mercatini, negozi di generi alimentari, ecc. continuerebbero ad esistere, non più al servizio di una popolazione in gran parte orientata a trasferirsi altrove quanto soprattutto di un’altra intenzionata a risiedervi per ragioni di studio e di lavoro. E’ proprio un’utopia pensare ad un campus universitario, non circondato da prati e da attrezzature sportive (che pure potrebbero impiantarsi), ma da templi e ruderi antichi, palazzi rinascimentali, chiese e conventi dell’età barocca?
Non ignoro le difficoltà per realizzare un simile ‘progetto’, ma non credo che vi siano molte altre alternative per la conservazione attiva del nostro centro antico. In attesa che le dispute culturali si compongano e che si formi la necessaria volontà politica, non ci resta che ricorrere alla fantasia, che comunque è all‘origine di ogni impresa umana. R. Trifone, L’Università a Napoli, dalla fondazione ai nostri giorni, Napoli 1954, pp. 15-16. 2 Ivi, p. 32. 3 G. Doria, Storia di una capitale, Napoli 1952, p. 189. 4 R. Pane, Napoli imprevista, cit., p. 29. 1
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Il Master: cultura e giovani per un contributo di qualità Alberto Izzo
Che l’Italia abbia un patrimonio storico-artistico fra i più ricchi del mondo, che da questa condizione si voglia ricavare oltre ad un valore di immagine anche un vantaggio economico e persino un’occasione occupazionale, è un’ipotesi che si può condividere. Il problema è piuttosto quello di coniugare queste legittime istanze di valorizzazione con un’attenzione autentica verso il tessuto urbano, la sua forma, la sua storia e la sua identità, nonché verso la contemporaneità, verso una visione del mondo auspicata nella pienezza della nostra qualità. Un malinteso senso di rispetto dell’identità dei centri storici ha determinato negli ultimi anni una condizione di immobilismo che in molti casi, come a Roma, a Firenze, a Venezia – solo per citarne i casi più eclatanti – ha condotto ad una loro museificazione. Questo processo si è associato, tra l’altro, ad uno sviluppo che, se da un lato ha alimentato un’economia fondata sul consumo occasionale con il proliferare di attività commerciali, ristoranti, alberghi, dall’altro ha fortemente impoverito quelle condizioni di commistione funzionale e sociale che, nel corso della storia, hanno determinato la vera ricchezza dei tessuti urbani storici. Soprattutto a Napoli, l’immobilismo che ha consegnato al degrado il Centro Antico è anche l’espressione ed il risultato dello scontro fra diverse, anzi opposte, opzioni operative: da un lato l’atteggiamento della conservazione ad oltranza, teso a preservare ogni frammento, anche il meno significativo; dall’altro la tensione verso l’intervento radicale, lo stravolgimento, che periodicamente ha alimentato le fantasie di tecnici quanto meno spregiudicati. In questo senso il nostro corso di Master, la cui origine è da ricondurre ad una serie di riflessioni condotte con Renato De Fusco sul senso dell’insegnamento dell’architettura fondato su una sintesi operante fra teoria e prassi, ha inteso ambiziosamente proporre un’alternativa concreta a quest’immobilismo, fornendo un segnale e nello stesso tempo proponendo un modello. Il segnale è quello di una nuova attenzione verso il nostro Centro Antico, un’attenzione non contemplativa, ma operante, tesa a riconoscere condizioni problematiche, delineare strategie di riqualificazione e proporre soluzioni progettuali all’interno di una visione chiara
che coinvolge tutto il Centro Antico ed il suo ruolo nell’ambito dell’intera città di Napoli. Il modello è quello di una scuola in cui si studia e si progetta, si analizza l’esistente e si propone il suo rinnovamento, si compiono delle scelte alla luce di un atteggiamento culturale che considera il Centro Antico come un tessuto urbano vivo, in continua trasformazione, un luogo dove qualsiasi ipotesi di riqualificazione deve collocarsi in una strategia di lunga durata, accompagnando le trasformazioni ed i cambiamenti che avvengono anche sul piano economico, sociale e culturale. Il progetto ha l’ambizione, più grande, di unire didattica e ricerca, teoria e prassi, per ritrovare senso e ragioni del nostro mestiere, per formare architetti che possano avere ambizioni e riprendere il filo della tradizione disciplinare attraverso una sintesi fra passato e presente nella percezione non solo di ciò che è trascorso nel passato ma della sua presenza e della sua continuità attiva nel nostro tempo. Il tema del Master, che si è sviluppato mediante un progetto sperimentale di studio e riqualificazione del Centro Antico, ha tenuto conto ed ha rielaborato criticamente quella grande e significativa produzione di studi e ricerche sviluppate soprattutto a partire dagli anni Cinquanta in Italia, e che a Napoli ha ricevuto una particolare linfa attraverso i contributi di Roberto Pane. Le parole di Pane sono state un riferimento fondamentale soprattutto quando egli affermava che:
telare siano museificate con l’alibi legato a quel che di pittoresco e sublime che spesso ha ispirato letterati ed artisti, per lo più di talento mediocre. La conservazione attiva non aspetta l’intervento di una protezione doverosa – sappiamo infatti quanto disattesi siano tali doveri da parte delle istituzioni – ma mira a far emergere dalla stessa realtà socio-culturale dei centri storici quei valori ed interessi che incidono sulla vita dell’intera comunità, traendo da questa la forza per imporsi alla pubblica opinione e all’attenzione dei quadri politici e amministrativi. Va chiarito che il citato valore aggiunto della stratificazione storica non deve essere interrotto, quindi bisogna consentire un intervento contemporaneo, segno del nostro tempo, realizzato naturalmente in maniera da rispettare e valorizzare il contesto esistente. Dai progetti realizzati dagli allievi del Master, che vengono presentati in questo volume, spero che emerga innanzitutto il nostro sforzo di trasmettere una chiara consapevolezza dell’utilità della storia per la conoscenza e per l’azione progettuale, una consapevolezza che non limiti il pensiero progettuale, ma che al contrario lo nutra e lo diriga verso soluzioni coerenti con l’identità dei luoghi.
«se il centro antico corrisponde all’ambito della stratificazione archeologica, il centro storico è la città stessa nel suo insieme. In altre parole ciò che è antico è storico, ma non tutto ciò che è storico è antico. Il concetto di antico esclude il nuovo e definisce, come si è accennato, il nucleo primitivo, dalle origini fino al Medioevo; ivi comprese ovviamente le forme rinascimentali, barocche e ottocentesche che sono state configurate dalle successive stratificazioni».
Questo patrimonio inestimabile ha un pregio essenziale e un valore aggiunto: la ‘storica. Un patrimonio con tale valenza va conservato modernamente. E’ chiaro che bisogna smentire la conservazione con vincoli passivi, tendente cioè a lasciare fabbriche ed ambienti così come sono; bisogna evitare cioè il rischio che le opere da tu-
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Finanza di città e governance strategica Pasquale Persico
Finanza di Città, il laboratorio di sostenibilità finanziaria e amministrativa del Master propone una rivisitazione del concetto di città per evidenziare la necessità di ricorrere ad una visione allargata e ad una scala dimensionale profondamente diversa nell’affrontare il tema del finanziamento dei progetti o della progettualità potenziale. Sebbene la finanza di progetto stia accelerando la sua fase operativa anche in Italia, l’Oice (l’0rganizzazione delle società di ingegneria) ha rilevato ben 1163 iniziative con risorse mobilitate pari a 16,6 miliardi di euro in Italia. Questo contributo intende prospettare i limiti di un approccio per progetti ai temi dello sviluppo e delle Città come ‘infrastruttura’ necessaria allo stesso. L’idea generale che si vuole rilanciare è che la finanza strategica sia uno degli strumenti indispensabili per lo sviluppo di lungo periodo e soprattutto per le città che vogliono segnalarsi come protagoniste del terzo millennio. Spesso, infatti, le idee più geniali, gli sforzi innovativi più tenaci, le organizzazioni complesse necessarie alla preparazione e allo sviluppo di grandi progetti, trovano nella fonte di finanziamento, o nelle ragioni della sostenibilità, il loro vincolo effettivo. Ripensare al tema della città ed alla città in particolare, è una strada obbligata. Ripensare la città significa restituire ad essa una nuova funzione storica, fuori dalle nostalgie, fuori dai luoghi comuni, fuori dalle ‘mura’ in cui normalmente si finisce per chiudere i temi dell’identità urbana. La civiltà contemporanea ha bisogno di città, intesa come sviluppo del pensiero urbano, ha bisogno di fondere il suo desiderio di progresso e di accumulazione culturale con l’ideale luogo immaginato e nello stesso tempo esorcizzare tutte le paure del vivere nelle città globalizzate. Le persone, ma anche le istituzioni e le diverse associazioni tra uomini (organizzazioni semplici e complesse), sono per fisiologia più nomadi dello spazio che occupano e solo le città possono soddisfare le loro potenzialità di sviluppo. La città è perciò la rete dei luoghi a supporto degli uomini e delle loro organizzazioni, spesso queste si evolvono temporaneamente in istituzioni durature che spesso definiscono l’identità delle città. L’architetto inglese Cedric Price, nelle sue preziose conversazioni sullo spazio urbano, proprio per la
tenacia con la quale ha voluto introdurre il tempo reale accanto alle dimensioni di altezza, lunghezza e profondità del progetto di architettura, propone anche di non usare più la parola città, ma di andare in cerca di un nuovo termine, per associare ad essa una parola che abbia più coscienza del tempo. Una città cambia di continuo e la parola nuova dovrà rendere l’idea della mutazione permanente. Ecco, l’idea della città in mutazione permanente presuppone una casualità evolutiva ed una finanza di accompagnamento all’evoluzione progettuale in atto, dato che il valore urbano ha pur sempre un suo metro di valutazione di tipo qualitativo o quantitativo. La Finanza di Città si propone come visione operativa di accompagnamento tra progetti soft ed hard della città per fare entrare in campo la città e dando a questa una visione di luogo dove spazio e tempo possono nuovamente essere percepiti come temporaneamente in armonia. Anche per Napoli possiamo fare un ragionamento per chiarire nuovamente il contenuto innovativo nella visione Finanza di Città. Napoli negli ultimi quindici anni è passata dal modello ‘opportunista’ cioè dal modello decisionale che si basa sulla possibilità di fare il free rider di opportunità venute dall’esterno (vedi G7 e prima i fondi del Terremoto) al modello della ‘città trainata’ da occasioni importanti (Fondi strutturali o Coppa America). La sua candidatura per la ‘Coppa America’ paradossalmente, oltre che mostrare tutte le potenzialità naturali mostra anche che la Città di Napoli come infrastruttura evoluta e flessibile, su cui poggiare una progettualità ampia, diffusa e competitiva, è carente. Non è chiara la scala dimensionale di questa infrastruttura ed è spiazzante il livello istituzionale dal quale affrontare i problemi. Si cercano perciò scorciatoie, come quella dell’area franca, che fanno salire la redditività dell’investimento, ma restringono la scala di riferimento spaziale e temporale della città, differendo perciò il problema della città come infrastruttura contemporanea. Il toro va affrontato dalle corna: Napoli come infrastruttura complessa, cioè non opportunistica né trainata, ha bisogno di nuove visioni strategiche dello sviluppo urbano e la finanza strategica di città può fornire nuovi parametri di riferimento per la fattibilità delle ambizioni della città.
Diversamente, alla progettazione mancherà sempre la dimensione temporale e, quindi, rimane una progettazione senza valore. Ecco, allora, che l’idea visionaria dell’architetto Cedric Price, «dell’architettura a tempo determinato», appare nella sua valenza operativa, la sua fattibilità la rivela come utopia possibile di una programmazione aperta. Non dobbiamo aver più paura di affermare che, se il progetto non ha spazio e tempo in relazione quantificabile, il progetto non esiste e con esso la città futura. Finanza di città è perciò prima di tutto una dimensione culturale da cui far scaturire, coordinandole, tecniche decisionali disponibili, per creare network operativi tra progetti di scala ampia e dare all’investimento per la città quella dimensione di valore aggiunto al valore della città, come infrastruttura complessa capace, in primo luogo, di dare valore al desiderio di crescita del progetti dell’uomo. Partendo da queste premesse teoriche il laboratorio del Master ha introdotto nuovi ragionamenti sul tema della fattibilità che hanno riguardato soprattutto il processo da mettere in campo, che è la vera fattibilità. Non, quindi, solo ragionamenti sull’estetica o la funzionalità del progetto, ma la sua capacità di coagulare interessi di più istituzioni capaci di sostenere tutti i processi di sussidiarietà necessari a non far cadere la tensione per il progetto. Ragionando sulle opportunità offerte dall’attuale piano regolatore si è allargata la base progettuale fino a trovare la massa critica di sostenibilità economica, ambientale e sociale, senza trascurare i processi di governance collaborativi da implementare. Tre progetti nel centro storico hanno avuto modo di segnalarsi per il loro potenziale in questa direzione, segnalando che le inerzie della città risiedono non tanto in ragioni tecniche e/o opportunità, ma soprattutto nella difficoltà di muoversi dentro processi di governance orientati all’efficacia (generatori di processi).
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Verso un processo di attualizzazione della conoscenza Gaetana Cantone
Il contributo, svolto attraverso una serie di lezioni nell’ambito del Laboratorio di Ricerca storico-critica, ha avuto per argomenti alcuni dei principali contesti urbani della città di Napoli, situati nel centro storico di antico impianto e, precisamente, quelli di San Paolo Maggiore, San Lorenzo Maggiore, Santa Caterina a Formiello, San Giovanni a Carbonara. Il ‘taglio’ di ciascuna lezione, determinato dall’esigenza del trasferimento della conoscenza storica come strumento di sostegno alle azioni di progetto, è stato conformato: - dall’analisi delle risorse architettoniche e urbane, definendo pertinenze e connessioni tra architetture e contesti urbani, tra contesti urbani e centro storico, nonché interazioni tra tipi, forme e ambiti culturali; - dall’analisi dei processi di stratificazione (architettonica e urbana) e, quindi, e dall’influenza delle sequenze cronologiche e linguistiche sulla configurazione dei singoli contesti e sulla qualità dell’impianto urbano; - dalla delimitazione dei contesti storici effettuata sulla base della presenza di beni culturali (archeologici, architettonici, urbani) e, in particolare, di opere influenzate dal condizionamento urbano: in pratica di opere nate in risposta alle condizioni al contorno (suoli e committenza, funzioni residenziali, di culto e produttive). Ho ripensato a modalità di sperimentazione, o meglio di riconversione, atte a innescare un reale processo di attualizzazione della conoscenza, da intendersi non come pretestuoso adattamento dell’obiettività storica ma come costruzione di un quadro di conoscenze che, superando aspetti e problemi specifici, approdasse a dati conoscitivi in grado di spiegare le vere ragioni delle architetture e dei contesti su cui doveva cimentarsi la ricerca progettuale del Master. Ciascun contesto è stato considerato sfondo di riferimento per esemplificazioni concrete, per esempio: individuando rinnovate funzioni dei siti e delle emergenze architettoniche; tenendo presente, attraverso la cartografia storica e l’iconografia disponibile, la realtà di contesti urbani e di singole opere nel rapporto tra passato e situazione attuale e gli ineludibili nessi tra ‘territori’ culturali e territori fisici. In altre parole, si è evidenziato quel circuito ‘virtuoso’, dove risorsa culturale e sviluppo possano sostenersi a
vicenda per: ricreare nuove forme e nuovi spazi di contemporaneità, compatibili con la vocazione dei luoghi, e l’utilizzo appropriato delle risorse architettoniche e urbane. Per la lezione tenuta nella giornata di apertura del Master, nel teatro di Palazzo Donn’Anna, si propone, qui di seguito, una sintesi. Il teatro nel teatro: palazzo Donn’Anna a Posillipo Due logge curvilinee con colonne ed archi, una grande rampa o scala cilindrica esterna, gli accessi da terra e da mare, richiedevano di ritornare su questa singolare residenza barocca, costruita da Cosimo Fanzago per il viceré negli anni quaranta del Seicento, con il rimontaggio di tutte le informazioni disponibili e di nuovi spunti di lettura rinvenibili in dipinti e vedute. Già noto per l’adesione al ‘luogo’, l’innovazione di pianta e per la vocazione ‘teatrale’, il palazzo1 assume una rinnovata importanza per la previsione dell’accesso da terra, con una strada avviata ma mai completata, che avrebbe dovuto raccordarsi all’alto blocco cilindrico di una rampa collegata ai vari piani del palazzo, e per due logge pensili nelle campate di raccordo tra facciata principale e facciate laterali. Palazzo Donn’Anna rappresenta un momento topico della produzione di Cosimo Fanzago che giunge nel mezzo di importanti opere: ha costruito il chiostro grande della Certosa (dove conduce molte altre opere), ha avviato il restauro della chiesa dei Certosini e di quelle dei Gesuiti, sta costruendo la guglia di San Gennaro e conduce numerose opere di ammodernamento. Insieme alla Certosa e alla guglia, per novità di impianto, per il rango della committenza e per quella vaghezza e bizzarria che spingeranno Celano a vederla come più importante residenza non solo della città ma «dell’Europa tutta», resta l’opera più citata nelle fonti storiografiche e, a partire dai primi decenni del Settecento, costituirà il fulcro di disegni e dipinti raffiguranti Posillipo dal mare. Oggi alla luce di nuovi documenti, che riconfermano anche la paternità dell’opera, si può rimeditare sulla configurazione di palazzo Donn’Anna nella veduta di Posillipo di Didier Barra, nella veduta Teatro (1685) di Federico Pesche e, soprattutto, nella veduta di Gaspare van Wittel, Posillipo con palazzo Donn’Anna, che raffigura l’ordine architettonico e il rivestimento a bugnato, nonché una delle due logge pensili al piano nobile, palchi del teatro esterno allestito sull’acqua in occasione delle feste. L’ultima ricerca sul palazzo, che ha riscoperto forme e significati che assegnano particolare rilievo alla progettualità di Cosimo Fanzago, caposcuola del Barocco napoletano, alle novità tematiche e compositive e agli
intrecci tra pittura e architettura, rafforza l’interpretazione dell’opera come teatro nel teatro: un’idea architettonica incentrata su rappresentazione e autorappresentazione, la prima con gli allestimenti nel teatro interno e gli allestimenti a mare, la seconda con la magnificenza del palazzo e con gli ospiti-attori della corte viceregnale, che Gaspare van Wittel mostra sul camminamento basamentale del palazzo, pronti a guardare e a farsi guardare. La situazione ambientale suggerisce l’adattamento della costruzione al banco roccioso che, anche se in parte mascherato dal basamento a bugnato, anticipava di circa venti anni la proposta di Bernini per la facciata orientale del Louvre che prevedeva tre ampie arcate al centro del primo registro e una base rocciosa. Della soluzione fanzaghiana è stata rilevata la derivazione dal repertorio di Le Lorrain, denso di edifici classicheggianti e di ambientazioni sull’acqua, come lo splendido Imbarco di Sant’Orsola, dipinto a Roma nel 1642 per il cardinale Poli, più vicino al Bernini che non a Fanzago per le architetture decisamente ‘romane’2. Fu la cultura del teatro a reclamare quella singolarità di temi compositivi che si concretizzò nella messa in forma delle facciate caratterizzate da campate con impaginati differenziati, nel ruolo giocato dalla loggia mediana a tre arcate, nelle logge pensili curvilinee, nelle terrazze e nelle varie forme di rappresentazione attivate nel palazzo. Delle facciate va evidenziata la sintassi del risvolto a due campate che, come torri, fiancheggiano il tratto obliquo ed hanno in tutti e tre registri aperture ad arco che guardano di fronte per la parte afferente alla facciata principale e verso Mergellina e il capo di Posillipo per le parti afferenti alle facciate laterali. Archi come ‘occhi’ per guardare e per farsi vedere, figura antropomorfica della retorica seicentesca. L’idea progettuale, improntata al guardare e farsi guardare, muove dal teatro, già presente in villa della Sirena al centro del banco roccioso e inamovibile perché in buona parte ricavato in una ‘galleria’ naturale, poi variamente modellata dal progetto fanzaghiano che lo separa dal mare con le tre arcate del primo registro e dal cortile verso terra mediante una parete articolata su motivo di serliana, che assicurava la visuale dell’acqua. Lo stesso tema compositivo si ripeteva nell’impaginato di stucco delle pareti laterali. Sulla galleria-teatro, sovrapposta a parte del canale d’acqua, e che poteva avvalersi anche dello spessore della loggia a tre arcate, presumibilmente, usata anche come scena oltre che come affaccio abbastanza ampio da ospitare numerosi spettatori, venne impostata la volta a botte, forse riutilizzando quella esistente. Sui lati lunghi furono sistemati i palchetti, inquadrati dalle unghie della volta, ai quali si accedeva direttamente dalle stanze del
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primo piano. Con palazzo Donn’Anna Fanzago si misura con complessi problemi tecnici e distributivi che risolve con l’esperienza maturata in venti anni di cantiere della Certosa e nell’attività imprenditoriale spesa nell’architettura civile, avviata con più interventi su via Toledo, tra cui le case dei Pandone, conti di Venafro. La residenza di Posillipo deve la sua conformazione alla necessità di convivere con l’acqua: il canale scavato dal mare, che si insinuava nel banco roccioso di fondazione e veniva utilizzato per i collegamenti con il retrostante cortile e con il piano della residenza, condizionò, insieme al teatro (già presente nella villa della Sirena ma qui ammodernato), la distribuzione degli ambienti. Nonostante collochi gli ambienti sulle parti più ampie o più facilmente spianabili del banco roccioso riesce a manifestare nel fronte principale verso mare e nelle due ali che si allungano verso la collina un’apparente simmetria di impianto, laddove invece l’ala occidentale aveva uno spessore minore di quella orientale ed era anche più corta come testimonia un rilievo di fine Ottocento e come dimostra il particolare scorcio adottato dalla veduta di Federico Pesche, Teatro (1685). Il piano di fondazione di palazzo Donn’Anna e lo svolgimento delle facciate che si elevano per tre registri, quello basamentale, il primo (corrispondente al piano del teatro), il secondo (piano nobile) e il terzo con una più ridotta volumetria, sono esiti di articolazioni di pianta particolarmente vincolanti, come si può riscontrare nell’incisione di Pesche, dove la volumetria dell’opera accuratamente inserita nel contesto ambientale è caratterizzata nei principali elementi tettonici, per quanto consentivano le dimensioni di un piccolo schizzo inserito in una inquadratura della costa (da Mergellina al Capo di Posillipo). Fu delineata tre anni prima del terremoto (1688) per illustrare una festa a mare allestita su una piattaforma galleggiante3, in prossimità del promontorio di Mergellina; nella parte inferiore della veduta sono rappresentate le imbarcazioni più importanti dei nobili residenti sulla costa e la scialuppa del viceré. Accanto a questa vanno attentamente lette due vedute attribuite a Didier Barra e una veduta di Gaspare van Wittel, Posillipo con palazzo Donn’Anna4, che mostra una delle logge pensili, curvilinee e circondate da colonne, che al secondo registro erano situate nelle ali oblique che chiudono la facciata principale e aprono alle facciate laterali; furono danneggiate dapprima dal terremoto del 1688, che causò vari crolli, e poi dallo stato di abbandono dell’opera. Le colonne, dapprima rimosse per motivi di sicurezza, furono vendute al duca di Maddaloni che voleva reimpiegarle nel suo palazzo allo Spirito Santo. Nell’incisione Pesche si intravede solo la loggia pensile dell’angolo a sinistra mentre nel dipinto di Gaspare van Wittel è delineato l’angolo orientale, dove vediamo: nel primo registro (corrispondente al piano terreno) una nicchia con modanature; nel secondo registro una loggia pensile (corrispondente a uno dei due ‘coccioloni’), convessa e delimitata da quattro colonne, collegata alla sotto- stante nicchia da una spessa sagoma di stucco, che maschera la struttura muraria a sbalzo (di cui è documentata l’armatura con ferri); nel terzo registro un terrazzino triangolare protetto da setti murari con passaggi ad arco. Da questa veduta emerge una immagine nuova di palazzo Donn’Anna rispetto a quanto raffigurato nelle vedute della seconda metà del Settecento, nell’alzato del duca di Noja, nei disegni ottocenteschi e nelle fotografie d’epoca, a causa del rivestimento a bugnato, che dall’ordine basamentale proseguiva sulle paraste, e delle due
logge che chiudevano l’impaginato del secondo registro. Fanzago intorno al 1660 replicherà, in maniera più semplice, questa chiusura alle estremità della facciata principale di palazzo Maddaloni con due balconi angolari5, retti da mensole aggettanti, delimitati da balaustre e schermati da ‘gelosie’, soluzione abbastanza diffusa non solo a Napoli - nella residenza seicentesca. Raffrontiamo ora le rappresentazioni di Pesche (1685) e di van Wittel (1700c.) con due vedute Posillipo e Napoli da levante attribuite a Didier Barra6, che dovrebbero datarsi agli anni quaranta del Seicento, dove palazzo Donn’Anna - fatta eccezione per una leggera variazione dell’inquadratura prospettica - appare assai simile. La prima accosta di più alla facciata del palazzo il complesso delle Scuole Pie e si dilata verso il lato destro, fino alla cavallerizza, mostrando: la predominanza del piano basamentale e dell’ingresso alla ‘peschiera’ nella facciata principale; le logge pensili di cui emerge quella dell’angolo a destra, accentuata per dimensione e per aggetto; il terzo piano sul fronte principale si solleva solo per lo spessore delle tre arcate, essendo privo dei setti angolari. La contrazione dell’impaginato, rispetto ai due registri sottostanti, enfatizza rispetto a Napoli da levante le novità compositive, come le logge e un blocco cilindrico, con tre registri traforati, che appare in fondo alla facciata laterale e accostato alla cavallerizza. L’ipotesi più realistica è quella di una scala o rampa a chiocciola, ideata - in previsione del prolungamento della strada carrabile - per collegare la quota della spiaggia a quella del piano nobile, mentre il livello superiore avrebbe dovuto allinearsi alla strada carrabile da costruire e che, invece, appena avviata, si interrompeva alla ‘lenza di terra’ più alta, dove nel disegno della veduta Pesche si vede una traccia di ‘pilieri’. Rispetto a questi esempi, forse approdati al repertorio tematico di Fanzago attraverso suggerimenti di Codazzi, e altri come la scala ‘del Bovolo’ in palazzo Contarini a Venezia7 e le scenografie teatrali, la vera innovazione consiste nel fatto che le logge pensili rientrano a pieno titolo nell’impaginato delle facciate di palazzo Donn’Anna. Di ordine ionico con festoni, erano unite da piccoli archi, come possiamo rilevare dalla raffigurazione fatta da Gaspare van Wittel, dove le prime due colonne appaiono addossate alle estremità della parete di fondo, le altre due sono nella parte mediana della struttura convessa. Il presumibile tipo di copertura, a calotta o con voltina ribassata, riconduce le due logge al tema del baldacchino degli apparati da festa. Ulteriori considerazioni vanno fatte sulle facciate angolari di palazzo Donn’Anna, articolate con la geometria del cerchio e del triangolo, per evidenziare una svolta significativa del linguaggio fanzaghiano. Una volta adottato il taglio obliquo delle ali che segue l’andamento della roccia sottostante, il triangolo consentiva a Fanzago di tracciare la bisettrice su cui appoggiare i centri di due curvature, quella delle logge del secondo registro e quello dei bastioni dell’ordine basamentale. L’ascendenza borrominiana di questi temi è in netto anticipo rispetto al suo soggiorno romano, che avevo datato dal 1647 al 1651 e che - alla luce di nuove acquisizioni - va protratto almeno fino al 1658 sia pure con vari intervalli e spostamenti. Dobbiamo quindi immaginare che, già negli anni del cantiere di palazzo Donn’Anna, da Napoli si guardasse con particolare attenzione all’opera di Borromini, considerando che l’altare Filomarino8 fu spedito da Roma a Napoli tra il 1639 e il 1642 e che l’ammodernamento del presbiterio della chiesa dei SS. Apostoli, voluto dal cardinale Francesco Boncompagni, fu messo in opera dal 1635 al 1639. Dob-
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biamo tenere inoltre nel debito conto la datazione (1638-41) della chiesa di San Carlino, la cui facciata angolare deve aver liberato, per palazzo Donn’Anna, una scelta già scaturita dalla sagoma del basamento roccioso. Nella logica di queste considerazioni possiamo mettere in campo altri raffronti tra la geometria di impianto di alcune opere fanzaghiane e quella borrominiana, come per il caso dei due triangoli equilateri accostati, che vediamo sovrapposti alla pianta della chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo. A suo tempo li ho spiegati con l’esigenza di controllare proporzioni e visuali per misurare la profondità dei cappelloni trasversali, naturalmente potremmo - forzando la mano - vedere la pianta di questa chiesa come semplificazione dell’invaso del San Carlino, ma quel segno grafico - che tale resta non sembra aver inciso sull’articolazione di pianta e di alzato, mentre realmente innovativi risultano lo strepitoso vestibolo di ingresso con la scala e la doppia facciata. Decisamente conformante invece appare la lezione borrominiana, anche se sacrificata da una distorcente esecuzione, nella chiesa dell’Egiziaca a Pizzofalcone, dove l’idea compositiva fanzaghiana giocava sull’effetto di tiburio ottenuto come prosecuzione del portico di ingresso e sul collegamento organico tra facciata e ‘quadriportico’. Ma è il disegno di progetto nella sua interezza a mostrare segni di derivazione dalla cultura architettonica romana e di contatti con il cantiere di S. Agnese in Agone. La veduta di van Wittel, insieme a quella di Pesche, è una preziosa testimonianza delle logge pensili e del bugnato dell’ordine basamentale, appena accennato nella veduta Pesche; questo paramento, che si raccordava con il bugnato degli ordini architettonici nei registri superiori marcando l’impaginato verticale - dava regola al basamento roccioso su cui fu impostata la costruzione. La loggia a tre arcate costituiva la parte principale di tutte e tre le facciate; nel fronte principale il primo registro apparteneva al teatro e nel secondo al salone9, chiuso verso il cortile da altre tre arcate poggiate su colonne; le logge delle facciate laterali proseguivano, verso l’interno, assorbendo il modulo dei corridoi; al primo piano si aprivano sul lungo grottone di collegamento; al secondo piano sul cortile. Per il loro esuberante spessore le logge erano il luogo privilegiato per affacciarsi e guardare le feste allestite a mare: fuochi d’artificio, piattaforme galleggianti, scenografica sfilata di imbarcazioni nobiliari. Che è poi quanto racconta il Teatro di Federico Pesche che esalta gli spazi del vedere, facendo dialogare l’apparato da festa allestito a mare con gli spazi ‘teatrali’ della residenza e i rituali dell’abitare barocco. Dal messaggio (1599) di Shakespeare in Come vi pare («Tutto il mondo è teatro») a La vita è sogno (1635) di Calderon de la Barca, venne consolidandosi un’idea di teatro totalizzante, fondata sui nessi tra letteratura e arti visive, volta a volta scrittura e riscrittura intercambiabili e strumenti di rappresentazione. A questa rinnovata cultura teatrale, cui appartiene il dramma de La vita è sogno e, ancora meglio, il più tardo Auto dallo stesso titolo, fa capo l’idea di progetto come metamorfosi perenne del Barocco10. Come ben esemplificato da palazzo Donn’Anna, progettato sotto il segno del teatro per rappresentare il grande spettacolo di magnificenza. Fanzago rimodella il teatro interno già di villa della Sirena e progetta il palazzo come un nuovo teatro riconducendo a palchi gli affacci; il primo era destinato alle rappresentazioni, mentre il secondo accoglieva gli ospiti
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della corte vicereale invitati per assistere alle feste esterne, allestite a mare e alle feste acquatiche, interne, documentate dall’acquisizione di legni e pezzi di vascello, funi, stoffe, remi, per le quali doveva usare un tratto del canale d’acqua, forse quella parte che nella documentazione è indicata come ‘peschiera’. Di questo uso per allestimenti variamente dislocati, proprio di una residenza da diporto, rende conto la singolarità delle forme con spazi snodabili per la rappresentazione e per l’autorappresentazione, spazi-scene di una doppia festa, all’interno e all’esterno della residenza, secondo la consuetudine delle ‘mascherate’ allestite nel salone di palazzo Reale e delle feste al Largo di Palazzo destinata a ritrovare a Posillipo nuovi spazi. Della magnificenza da rappresentare palazzo Donn’Anna mostrava tutti i segni-simbolo: le nicchie per le numerossime sculture acquistate dal viceré - in parte lavorate (o da lavorare) da Fanzago - l’impiego spropositato di colonne e di fontane, le logge pensili-palchi reali, il massiccio basamento e la mole della rampa cilindrica che alludevano al castello. La vera immagine-simbolo di tutti questi segni della magnificenza è raffigurata nella veduta Napoli con Castel dell’Ovo11, dove sul piano di copertura, giusto al centro, si eleva una cupola. E’ un colpo di scena, una cupola-corona che si radica nella pittura visionaria di De Nomé. 1 Questa sintesi della lezione tenuta nel teatro di Palazzo Donn’Anna è fondata sull’aggiornamento dei saggi che ho pubblicato in : Napoli barocca e Cosimo Fanzago,Edizione ESI per il Banco di Napoli, Napoli 1984, pp. 349-53 e 359-60; Napoli barocca, Laterza, Roma-Bari 1992; Un teatro sull’acqua. Palazzo Donn’Anna a Posillipo,in «Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Architettura», n.s., fascc. 15-20 (1990-92), pp. 729-736; scheda ad vocem in Campania barocca, Jaca Book, Milano 2003, pp. 137-41. In un’ultima stesura del saggio, in pubblicazione sulla rivista «Palladio», ritorno sulla lettura dell’opera utilizzando i dati provenienti dalla nuova documentazione che chiarisce la scelta del tipo di impianto in rapporto all’accesso da terra, dà notizia di alcune parti dell’opera andate perdute e riconferma, ove fosse necessario, la paternità dell’opera.
6 Cfr. M. R. Nappi, Francois De Nomé e Didier Barra, l’enigma Monsù Desiderio, Jandi Sapi Editore, Milano 1991, importante anche per la rassegna della bibliografia di riferimento. Per la veduta Posillipo, Napoli coll. privata, cfr. p. 213, scheda C 2; per la veduta Napoli da levante, Roma, coll. privata, cfr. pp. 233-34, scheda C 11. 7 La scala, attribuita a Giovanni Candi e datata al 1499 è raffigurata nella pianta di Venezia di Jacopo de’ Barbari. Già posta a raffronto con la Casa della Virtù e del Vizio di Filarete, cui deve aver guardato «l’architetto della Scala a Bovolo». Cfr. E. Bassi, Palazzi di Venezia, La Stamperia di Venezia Editrice, Venezia 1978. didascalie alle figg. 24 e 25, pp. 32-33. 8 Cfr. G. Cantone,Intorno a Filippo Juvarra: i disegni napoletani, in Filippo Juvarra e l’architettura europea, catalogo della mostra, a cura di A. Bonet Correa-B. Blasco-G. Cantone, Electa Napoli 1998, pp. 129-166, e la scheda di Karin Wolfe in R. Bosel-Ch. L. Frommel, a cura di, Borromini e l’universo barocco. Catalogo, Electa, Milano 2000, p. 228.
Fu distrutto a fine Ottocento durante la massiccia ristrutturazione promossa dal Genovois (1898) e progettata dall’ingegnere Guglielmo Giordano. 9
Per questi temi si rimanda a La Torre di Hugo von Hofmannsthal, riscrittura de La vita è sogno, da leggere nell’edizione Adelphi del 1978, con uno splendido saggio di Massimo Cacciari.
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E’ attribuita a Didier Barra, ma forse qualche ripensamento andrebbe fatto. Cfr. M. R. Nappi, Francois De Nomé e Didier Barra, l’enigma Monsù Desiderio, Jandi Sapi Editore, Milano 1991, anche per la veduta Posillipo, Napoli coll. privata, cfr. p. 213, scheda C 2; per la veduta Napoli da levante, Roma, coll. privata, cfr. pp. 233-34, scheda C 11. 11
Per i raffronti con Claude Gellée (Le Lorrain) cfr. A. Blunt, Neapolitan Baroque and Rococo architecture, London 1975, p. 84.
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Nella legenda Tablado sobre el mar; era delimitata dallo spazio destinato ai fuochi di artificio. Cfr. G. Cantone, Il segno dell’Effimero nella Napoli del Seicento, in «Annali del Barocco in Sicilia», n. 5 (1998), pp. 70-89. 3
Il dipinto, Veduta di Posillipo con palazzo Donn’Anna, che fu commissionato al van Wittel dal viceré Luis de la Cerda, duca di Medinacoeli, è delimitato al margine di sinistra da uno scorcio prospettico di palazzo Donn’Anna, dove compare il tratto di facciata obliqua del lato destro, con uno dei ‘coccioloni’ che aggetta rispetto al registro inferiore e al registro superiore. La più chiara riproduzione del dipinto è nel catalogo Sotheby del 13 dicembre 2001.
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Che si rilevano dall’incisione della facciata del palazzo, prospettante su via Maddaloni, pubblicata in P. Petrini, Facciate dei Palazzi più cospicui della città di Napoli, Napoli 1718. 5
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Il progetto di architettura per la città storica Nicola Di Battista
Alla metà degli anni ‘90, riflettendo sul nostro mestiere di architetti, scrivevo che non c’erano, in quel momento, le condizioni per definire di nuovo una teoria della progettazione in modo compiuto e che quindi in quel momento, non poteva essere quello l’obiettivo principale del nostro impegno. Ma scrivevo anche che quella impossibilità non poteva, e non doveva, essere per noi una scusa, seppur nobile, per rinunciare a basare il nostro lavoro su principi teorici condivisi. Per questo proponevo allora di basare il nostro lavoro su una tensione volta alla costruzione di una teoria, e questo come obiettivo principale di quel momento: tendere a qualche cosa che è essenziale e che ci manca. Ecco in quegli anni, questa ‘tensione a’, questa tensione alla ricerca di qualcosa di assolutamente indispensabile al farsi del nostro lavoro, era il massimo possibile, il massimo che si potesse fare. Oggi, alle condizioni attuali, completamente cambiate rispetto a quelle di allora, vogliamo cercare operativamente di creare di nuovo quelle condizioni collettive di lavoro che allora non era possibile ricreare. Vogliamo di nuovo provare a lavorare, insieme, alla costruzione di una compiuta teoria del progetto, e l’istituzione di questo Master a questo tende. Una teoria capace di far ripartire un discorso da troppo tempo oramai interrotto, un discorso intorno all’architettura, alla sua necessità e al suo farsi. L’obiettivo primario che cercheremo di portare avanti con il lavoro del Master, sarà allora quello di affrancare l’architettura stessa dai troppi personalismi, tecnici o artistici, o peggio ancora formalistici, che da qualche tempo sembrano essere gli unici presupposti del nostro mestiere. Quindi la costruzione di una teoria capace di fondare e realizzare di nuovo, un’architettura per il nostro tempo, ad esso conformata e indissolubilmente legata, e proprio per questo un’architettura chiara e comprensibile, in grado di individuare problemi e proporre soluzioni, indirizzando il lavoro del singolo, affinché sia libero di esprimere tutto il proprio talento, tutte le proprie capacità, ma all’interno di un discorso chiaro e condiviso. Crediamo che come architetti, se vogliamo ancora, con il nostro lavoro coltivare l’ambizione di trasformare in meglio, parti del nostro territorio, prima di parlare del lavoro stesso, dobbiamo innanzitutto parlare della
nostra maniera di lavorare. Ora per quanto riguarda il nostro mestiere di 1) architetti, e per quanto riguarda i contenuti di questo Master, lasciatemi fare una constatazione un po’ grossolana ma comunque chiara, che è la seguente: dalla metà degli anni ‘80 in poi, in Europa e non solo, si è andata sviluppando una linea di ricerca che ha sempre di più privilegiato lo studio di quelle parti di città e del territorio individuate con la fortunata definizione di ‘non luoghi’. Contro la ‘città bella’ di cui ci si era occupati negli anni precedenti, ci si è occupati sempre di più della ‘città brutta’. Questo interesse oltretutto aveva una sua forte plausibilità dovuta se non altro alle quantità dei due fenomeni, difatti con la prepotente avanzata dell’urbanizzazione contemporanea, la ‘città bella’, cioè la città storica, la città consolidata ha cominciato a rappresentare una percentuale bassissima rispetto all’altra, oramai onnipresente. Quello che ci preme oggi, è far notare che in questa maniera, non ci si è più occupati però della città storica, della città consolidata. Dove tutto questo ha portato, è oramai sotto gli occhi di tutti, nessuno, o quasi, ha oggi una qualche teoria o pratica che lo metta in condizione di lavorare sul corpo delle città con un sufficiente grado di consapevolezza che gli possa venire da un qualche sapere condiviso e trasmissibile. Qualcuno in realtà c’è ancora, e due di questi di sicuro sono con noi. Come posso infatti a questo punto, parlando del lavoro e del suo farsi, non citare i due giovani maestri dell’architettura contemporanea che hanno deciso di lavorare con noi in questa avventura? David Chipperfield ed Eduardo Souto de Moura. Sarà sicuramente prezioso per tutti, lavorare insieme a loro. Da qualche tempo si studia ‘la città brutta’, o la ‘non città’, ma si ha la presunzione di progettare nella ‘città bella’ come se fosse la stessa cosa. Noi invece abbiamo continuato a credere che per l’architetto ‘la città bella’ fosse comunque la sua vera pietra di paragone, dove verificare l’avanzamento del proprio lavoro, dove misurare le sue ambizioni, e dove anche scoprire le sue debolezze, per correggerle eventualmente. Questo vuol dire anche assumere oggi una posizione precisa e chiara, fondata sulla consapevolezza e la plausibilità, che non rinunci all’innovazione, ma allo stesso tempo si opponga in maniera catego-
rica al disperdersi della memoria collettiva di cui questi nostri territori, nonostante tutto, sono ancora portatori. Contro la ricerca, nel progetto, di un punto di vista sempre più individuale, più consono forse al mondo dell’arte, proponiamo di lavorare 2) di nuovo alla definizione di un punto di vista collettivo, di sicuro più adeguato invece al mondo dell’architettura. Ma comunque vogliamo con noi il mondo dell’arte e in questo la straordinaria arte di cui Mimmo Jodice è maestro, ci aprirà di sicuro nuovi orizzonti, insegnandoci di nuovo a vedere. Per concludere ci piace ricordare alcune note del filosofo spagnolo José Ortega y Gasset, note scritte circa mezzo secolo fa, ma oggi ancora incredibilmente attuali, in margine ai famosi colloqui di Darmstadt (1951). Dice Ortega parlando della città e del ruolo dell’architettura: «Si immagini una città costruita da architetti ‘geniali’, che operano però ognuno per conto proprio con un diverso stile personale. Gli edifici potranno anche essere magnifici presi singolarmente ma l’insieme risulterà bizzarro e intollerabile. Un tale insieme metterebbe fin troppo in risalto, quasi gridandolo, un elemento a cui non si è prestato troppa attenzione: il capriccio. Il capriccio si manifesterebbe in modo cinico, nudo, indecente, intollerabile. L’edificio non apparirebbe ai nostri occhi con la sovrana oggettività di un grandioso corpo minerale, ma nelle sue linee ci sembrerebbe di vedere l’impertinente profilo di un signore a cui ‘è venuta voglia’ di farlo così».
Ecco se non vogliamo fare la parte di quelli cui ‘è venuta voglia di farlo così’, e noi non lo vogliamo, è importante, ripartire da ciò che di buono le nostre città possono oggi offrirci e si capisce come, da questo punto di vista, la straordinaria città di Napoli, dove comunque si respira alto, può diventare in realtà un pozzo senza fine, un magnifico libro aperto che non aspetta altro che di essere letto. Per tutto questo, pensiamo allora che sia oggi necessario questo nuovo impegno per questa nuova sfida, ed il Master con la presenza delle tante personalità che lo sostengono, fonderà da oggi questo nuovo luogo di studio, di riflessione, e di lavoro, sull’architettura del nostro tempo.
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La città storica: una risorsa per l’architettura e la città contemporanee Ferruccio Izzo
La didattica e la ricerca del corso di Master si ricollegano a quella imponente produzione di contributi critici ed esperienze progettuali sviluppati dalla cultura architettonica italiana nella seconda metà del XX secolo sul tema del rapporto fra antico e nuovo, un rapporto nel quale progetto ed analisi scientifica della città come manufatto convergevano in un’unica concreta ipotesi d’intervento. L’attività didattica e di ricerca progettuale condotta nell’ambito del Master ha inteso rileggere criticamente quella felice esperienza culturale, individuandone possibili aggiornamenti ed operando una sua ri-sistematizzazione attraverso un aperto confronto con la cultura architettonica internazionale contemporanea, con un approccio teso a valorizzare nell’ambito del progetto di architettura i contributi di tutte le diverse discipline coinvolgibili ed aggregabili oggi sul tema dei centri storici delle città europee. Questo confronto dialettico è stato svolto alla luce delle esigenze della condizione contemporanea della città storica, dando forma ad una iniziativa in cui la progettazione architettonica ha integrato i contributi disciplinari della storia della città e dell’architettura con quelli del restauro, della manutenzione, della progettazione ingegneristica, delle arte visive,dell’economia, dell’archeologia, dell’urbanistica e del diritto, verso diverse ipotesi d’intervento in grado di esprimere una compiuta sintesi tra le istanze di conservazione e valorizzazione dell’identità della città storica e quelle di innovazione e riqualificazione. Il lavoro di rielaborazione critica di quel patrimonio culturale, che ha contraddistinto e caratterizzato un contributo specifico dell’architettura italiana può assumere oggi, nella particolare condizione dell’architettura – dove sembra prevalere spesso una ricerca tutta formalistica di un potere di persuasione fondato sulla facile spettacolarità, sull’eccentricità e sulla stravaganza piuttosto che una capacità di acquisizione di un’autentica consapevolezza del costruire - un valore ed un significato particolare, non solo per il rilancio di un’architettura autenticamente italiana, ma anche per una riflessione sulla cultura architettonica internazionale, e sulla città contemporanea e sul suo destino, riportando all’attenzione temi di grande rilievo quali ad esempio il rapporto tra Architet-
tura e Città, Civis e Civitas, spazio pubblico e privato, dimensione individuale e collettiva, tradizione e innovazione, identità locale e globalizzazione. Inoltre, un sistematico recupero della città storica, condotto attraverso la riscoperta del senso delle molte vocazioni della sua identità e sulla base di un accordo pieno fra amministratori, tecnici, imprenditori e collettività, può rappresentare la più grande opportunità di sviluppo e di riqualificazione del tessuto sociale, culturale ed economico della nostra città. In quest’ottica la città di Napoli, ed in particolare il suo Centro Antico, sono stati assunti come oggetto di studio e di verifica delle ipotesi teoricoprogettuali, attraverso l’elaborazione di un progetto di riqualificazione ed integrazione di alcune aree significative del Centro Antico. Le ragioni che hanno condotto alla scelta dell’ambito urbano di studio sono facilmente individuabili nella forza esemplare che il Centro Antico di Napoli è in grado di esprimere come campo di studio e di approfondimento delle teorie e tecniche del progetto di architettura nella città storica, fornendo un quadro complessivo in cui le problematiche di degrado e le correlate esigenze di recupero urbano richiedono un approccio altamente innovativo, sia sul piano dell’analisi che sul piano dell’articolazione della proposta progettuale. La complessità del tema, dettata soprattutto da una straordinaria integrazione fra aspetti architettonici, ingegneristici, archeologici, naturalistici, sociali e culturali, l’unicità delle fabbriche e del loro contesto – esito di una stratificazione plurisecolare - hanno richiesto dei progetti fondati su un metodo altrettanto complesso ma adeguato alla dimensione e al senso dei problemi posti. Lo sviluppo delle idee per il recupero e la riqualificazione delle tre aree di studio del Centro Antico di Napoli ha richiesto l’incontro e il confronto di diverse competenze specialistiche (architetti, storici dell’architettura, archeologi, artisti, ingegneri, urbanisti, economisti, amministrativi), in maniera tale da consentire l’incrocio di diverse discipline sui problemi del progetto e, quindi, della pratica del costruire, nella ricerca di soluzioni appropriate. Le ipotesi progettuali sono sostenute da una serie di attente analisi a supporto della validità delle scelte operate. Hanno ricercato congruenza e ap-
propriatezza rispetto ai principi costitutivi del tessuto urbano dalle sue origini a oggi, ma anche rispetto all’insieme delle relazioni tra edifici e luoghi, tra luoghi e città, considerando i diversi ruoli che il Centro Antico di Napoli ha svolto e può ancora svolgere. L’attività didattica e, quindi, la sperimentazione progettuale si sono sviluppate su cinque livelli di studio e di riflessione, fortemente interconnessi, ma distinti ed affrontabili separatamente: - la conoscenza della città antica, della sua storia e della sua identità, dei rapporti e delle dinamiche che caratterizzano la sua struttura fisica e quella sociale, culturale e produttiva; - la profonda attenzione per gli edifici in se stessi, per le loro vicende storiche, per il loro significato e ruolo, per le strutture materiali, tutti fattori incredibilmente complessi ma prodotti da moventi la cui logica deve essere compresa; - la riflessione sulle destinazioni d’uso che l’edificato propone e consente, nel suo insieme e nelle sue parti, a partire dalla comprensione della genealogia della situazione attuale, dalle variazioni tipologiche delle strutture depurate dagli ingombri ed aggiunte recenti (di natura puramente utilitaristica) e ciò tenendo conto della situazione e delle esigenze della città, nonché dello scenario economico nel più ampio contesto europeo. La messa a punto degli aspetti tecnici e tecnologici settoriali – impiantistici, strutturali, di prospezione archeologica, di prevenzione e di restauro, di manutenzione programmata, etc. – che, in se stessi e nel loro concatenarsi, influenzano o determinano la scansione dei programmi di intervento e, in base ad essa, la strategia delle fasi di attuazione. La sostenibilità sociale, economico/finanziaria ed amministrativa degli interventi. Il masterplan sviluppato ed i diversi progetti, che lo costituiscono, rappresentano una prima riflessione nei termini dell’architettura e dell’analisi urbana sulle tre aree prescelte nel Centro Antico a partire dalle ipotesi contenute nella variante al Piano Urbanistico Comunale. Nel loro insieme questi lavori sono espressione di un itinerario culturale, intendono ricercare quali possibilità sono contenute in questa parte di città, possibilità concrete che non si sono materialmente realizzate, ma esistono e sopravvivono in stati ancora flut-
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tuanti. Essi rappresentano più un modo di indagare, riflettere e definire le questioni per poter giungere alla chiarezza, all’essenzialità e quindi al fare, che delle vere e proprie soluzioni. Costituiscono le prime concretizzazioni di un’idea, in quanto il Master rappresenta essenzialmente un’idea, portatrice di una continuità tra passato, presente e futuro, sostenuta da forze e di resistenza e di avanzamento, da armonizzarsi nella nostra civiltà. Il Master fondamentalmente vuole mettere a confronto il patrimonio di cultura, civiltà, e fabbriche della città storica con le grandi domande contemporanee che vengano rivolte alla progettazione ed alla costruzione nell’epoca attuale ricercando così un presente in evoluzione motivato dalle possibilità di cambiamento, condizionato dalla memoria e dall’esperienza.
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Il ruolo della storia dell’architettura nella progettazione contemporanea nei centri storici Alessandro Castagnaro
Il tema dell’architettura contemporanea nei centri storici è oggi fulcro del più avanzato dibattito culturale europeo. L’interesse sul tema ‘antico e nuovo’ è iniziato nell’immediato dopo guerra quando, superata la polemica antitradizionale del razionalismo, per vari e complessi motivi si cominciò a rivedere il rapporto fra architettura moderna e tradizione. In un editoriale di «Casabella» del 1955 Ernesto Rogers scriveva: «Le prime manifestazioni del Movimento Moderno si limitavano a isolare i fenomeni e si mirò a una oggettività dell’espressione che rappresentasse ciascun prodotto artistico in se stesso, nei limiti autonomi della sua individuale esistenza […] si può dire che il problema della continuità storica (e cioè della consapevole storicizzazione dei fenomeni moderni per rispetto a quelli del passato e tuttavia permanenti nella nostra vita) è un’acquisizione abbastanza recente del pensiero architettonico»1.
L’Italia ha un patrimonio storico-artistico fra i più ricchi del mondo che non deve portare ad una museificazione delle nostre città, in particolare dei centri storici, ad una stasi nello sviluppo, con conseguente danno alla nostra qualità di vita. Per molti anni il concetto di conservazione passiva è stato attuato al punto da applicare nei centri storici, per le poche architetture realizzate, il principio del ‘dove era e come era’, un ritrovato anticulturale che non tiene conto della vera valenza di un centro abitato, bensì pratica delle vere mistificazioni, dei ‘falsi’ che riescono solo a segnare l’assenza del contemporaneo nella cultura del nostro tempo, con l’alibi di non poter toccare quel ‘che’ di pittoresco e sublime la storia ha trasformato. La conservazione deve al contrario essere attiva, deve tener conto di tutti i fattori sociali economici culturali, tradizionali, occupazionali, riconoscendo prima di tutto che solo con la presa di coscienza delle mutate esigenze della nostra epoca si può permettere il rinnovamento di tali centri. Con il pretesto del ‘rispetto della storia’ non si può paralizzare il progresso. Le più utili indicazioni su che cosa impariamo dalla storia e sul rapporto fra storia e progettazione forse ci vengono inizialmente proprio da coloro che negano o, meglio, pongono in termini dubitativi l’utilità della storia per la conoscenza e l’azione progettuale.
Sul fare architettonico,Vittorio Gregotti ha detto: «la interpretazione storicistica dei fenomeni, al di là dei suoi grandi meriti, ha finito per presentare tutta la storia come giustificazione di sé, un’immensa tautologia che può trasformarsi in una forma di paralisi delle capacità di decisione, di scelta di una propria tradizione in funzione della nostra azione futura. [...] Noi ci scontriamo con il problema della storia, anche se dobbiamo dire subito che occorre guardarsi dall’illusione che essa sia in grado di fornirci degli elementi di indicazione da cui dedurre le forme dell’architettura, attraverso le quali prendere le misure di sicurezza prima di muovere i propri passi. Il vero avanzamento è sempre discontinuità, disarticolazione, ma anch’esso si definisce come tale rispetto a qualche cosa, cioè rispetto alla sedimentazione storica.»2.
A prescindere dalla qualità delle architetture, esistono molteplici fattori eterogenei che concorrono e contribuiscono a caratterizzare il fascino, la ‘patina’ dei nostri centri storici: i colori, la luce, l’atmosfera, i materiali, talvolta gli stessi odori. Ma esiste un fattore aggiuntivo che potrebbe essere definito quello della ‘forma del tempo’, per prendere a prestito il titolo di un interessante libro di George Kubler. Questi invita a supporre che il nostro concetto di arte possa essere esteso a comprendere tutti i manufatti umani in genere e fa coincidere l’universo delle cose fatte dall’uomo con la storia dell’arte, con la immediata e conseguente necessità di formulare una nuova linea di interpretazione nello studio di queste stesse cose nuove: «dobbiamo a questo punto rivolgere la nostra attenzione alla natura della durata del tempo»3. In questo senso, si genera una stratificazione storica - di linguaggi, di tecniche architettoniche, di caratteristiche - che senza dubbio affonda le sue radici nell’antico, quell’antico che traspare ancora in maniera visibile nelle opere e che rappresenta un elemento peculiare e forse unico. Pertanto vanno evidenziate e differenziate le opere emergenti da quelle caratterizzanti contesti urbani, come sostiene Roberto Pane, riprendendo la tesi crociana: «la distinzione tra poesia e letteratura architettonica trova una sua significativa conferma nel nostro riconoscere che non sono i pochi monumenti a creare l’ambiente delle nostre antiche città, ma le tante opere che
contribuiscono a determinare un particolare carattere locale.»4.
Ne deriva che l’attenzione della salvaguardia deve essere riposta su tutto il patrimonio che rappresenta la letteratura architettonica e consente di esprimere il valore corale e l’impronta peculiare della civiltà, di ogni particolare epoca. L’ ‘opera’ va contestualizzata in un ambiente sociale, medio, diffuso, che rappresenti quel giusto coronamento di una significativa architettura emergente, anch’esso frutto del succedersi delle epoche. Gli spazi, gli ambienti urbani, i luoghi, le architetture hanno valore solo se mantengono in vita il sapore sociale e culturale che li ha generati, rinnovandosi, se necessario variando la destinazione di uso. In tal modo possiamo lasciare un segno del nostro tempo. Negli ultimi cinquant’anni, a causa di una politica talvolta troppo permissiva e concessiva, tal altra troppo proibizionista - ma priva di controlli al punto da causare uno sfrenato abusivismo - si è agito in maniera indiscriminata alterando, manomettendo e persino mutilando o scempiando interi centri. In taluni casi si potrebbe parlare di violenza su centri urbani, favorita da indifferenza istituzionalizzata, ma non per questo si deve ricorrere ad una paralisi generalizzata o alla citata conservazione passiva, altrettanto deleteria. In sostanza, per riprendere un assioma di Zevi, «senza il Moderno l’Antico resta anchilosato». Con queste premesse si è avviata la metodologia progettuale sperimentale di studio e riqualificazione dei centri storici - adottata dal Master di secondo livello dal titolo Progettazione di eccellenza per la città storica, che ha sperimentato in questo primo anno un progetto per una cittadella degli studi nell’antica Neapolis - proposto da De Fusco e da lui descritto nelle pagine di questo volume. Progettare nell’antica Neapolis ha una valenza in più in quanto ha come oggetto il ‘centro antico’ della città, la parte del centro ‘storico’ caratterizzata dalla fondazione greco-romana. Sempre Pane affermò che: «se il centro antico corrisponde all’ambito della stratificazione archeologica, il centro storico è la città stessa nel suo insieme. In altre parole ciò che è antico è sto-
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rico, ma non tutto ciò che è storico è antico. Il concetto di antico esclude il nuovo e definisce, come si è accennato, il nucleo primitivo, dalle origini fino al Medioevo»5.
Su questo tessuto antico si sono aggiunte le forme rinascimentali, barocche, settecentesche ed ottocentesche che sono state configurate dalle successive stratificazioni. Questo patrimonio inestimabile va «conservato modernamente». Bisogna progettare in modo che la citata stratificazione dell’intero patrimonio tramandatoci sia valorizzata ed integrata. Se analizziamo a modello l’insula di San Paolo, una delle aree del centro antico - anche se non oggetto di analisi e ricerca puntuale nella sperimentazione del primo anno di corso del master - quasi fosse una tessera di un mosaico, scopriamo che le tappe salienti della sua edificazione - che il Celano definì ‘la più bella e antica macchina’ architettonica della città storica6 - sono frutto di interventi stratificati eseguiti da molteplici artisti ed architetti nel corso dei secoli. Infatti: «La Chiesa e il Convento di San Paolo Maggiore costituiscono un complesso monumentale di straordinario interesse storico, non foss’altro che per la plurisecolare stratificazione di architetture sacre succedutesi nel corso del tempo sullo stesso luogo, in un nodo peraltro cruciale nel processo di costruzione del nucleo antico della città greco-romana: l’agorà (poi forum). Com’è noto infatti la Chiesa, con l’annesso Convento, assegnata ai Teatini a partire dal 1538 , fu da tale Ordine dedicata agli apostoli Pietro e Paolo in allegorica continuità con il preesistente Tempio dei Dioscuri, del quale occupa il sedime preservandone ancor’oggi, incastonate come antichi reperti nell’impaginato dell’attuale facciata ecclesiale, due delle sei colonne corinzie dell’originario fronte templare. Tutt’altro che trascurabile […] il contesto urbano in cui si colloca, contraddistinto da un vero e proprio “sistema” di memorie archeologiche e monumenti storici, tra i quali spiccano i tracciati del Teatro e dell’Odeon romani, riconoscibili nell’andamento planimetrico e fin’anche in alcune parti, nonostante la fitta coltre di edilizia residenziale che li ricopre, nonché i ruderi delle antiche botteghe del foro rinvenuti nell’ipogeo della splendida cattedrale gotica di San Lorenzo Maggiore.»7.
I progetti contemporanei, sperimentati nell’ambito del master, si sono confrontati con la storia del sito, degli abitanti, mirando a meglio valorizzare gli spazi, alla loro fruizione, evidenziando gli interventi, pur senza voler assolutamente sopraffare le preesistenze, anzi tentando di inserire la storia dell’architettura in un ‘sistema’ che diventi parte integrante della città. In sintesi l’obiettivo è stato quello di progettare in continuità e nel rispetto della storia per ambire ad una città d’arte modello. 1 E.N. Rogers, Le preesistenze ambientali e i temi pratici contemporanei, in «Casabella-continuità», n. 204. 2 V. Gregotti, Il territorio dell’architettura, Feltrinelli, Milano 1966, p. 119, 132. 3 G. Kubler, La forma del tempo, Einaudi, Torino 1972, p.69.
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4 R. Pane, Città antiche edilizia nuova, E.S.I., Napoli 1959, p. 50. 5 R. Pane, Ibidem. 6 Cfr.: C. Celano, Notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli, Napoli 1692 ( 2° ed. 1724); riedizione con ‘aggiustazioni’ di Giovan Battista Chiarini nel 1856-60; reprint Napoli 1974. 7 P. Belfiore, B. Gravagnuolo, Relazione al progetto di restauro dell’insula di S. Paolo, Sovraintendenza architettonica di Napoli.
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Il difficile dialogo tra antico e nuovo nei tessuti storici Renata Picone
Comprendere il percorso compiuto dall’architettura italiana nel suo rapporto col passato è importante per esaminare gli approcci e i metodi possibili, ma anche i limiti, di un’architettura contemporanea inserita tra preesistenze stratificate e di straordinario valore storico-artistico, come quelle che costituiscono il centro storico di Napoli; per delineare un qualsiasi intervento tecnicamente e culturalmente consapevole di inserimento del ‘nuovo’ nell’ ‘antico’. Gli architetti moderni e l’incontro tra Antico e Nuovo è il titolo di uno storico convegno tenutosi a Venezia nel 1965, in cui storici e critici dell’architettura come Bruno Zevi, Roberto Pane, Renato De Fusco e Leonardo Benevolo si incontrarono con progettisti come Giuseppe Samonà, Giancarlo De Carlo, Luigi Piccinato e Italo Insolera, fissando i nodi critici di questo difficile rapporto. Le posizioni dell’epoca furono molteplici, e sancirono l’avvio di un fecondo dibattito che durò anche negli anni seguenti. Un dibattito che assunse talvolta i toni aspri e concitati di uno scontro, in cui le posizioni di coloro che erano convinti della liceità di una legittima convivenza tra preesistenze e linguaggio contemporaneo incontrarono vivace opposizione in quelle di chi – come Brandi, Cederna e Benevolo – asseriva viceversa la impossibilità di dialogo, e la necessità che l’architettura contemporanea, con le sue geometrie e suoi materiali ‘estranei’ si potesse realizzare solo in periferia. Anche riportando la questione nell’alveo della disciplina del restauro, in essa, a partire dalla fase della ricostruzione post bellica, il tema della possibilità di un’addizione contemporanea e dunque peraltro distinguibile e non mimetica rispetto all’opera del passato è sembrata da subito cruciale e ampiamente condivisa, soprattutto da parte di quegli orientamenti disciplinari che vedono l’atto restaurativo intriso di responsabilità creative. Per questi ultimi il limite tra l’intervento tecnico di conservazione e quello creativo è talmente labile da risultare inesistente: sarebbe impossibile so-
stenere, ad esempio, che un consolidamento strutturale di un edificio storico o una pulitura di un prospetto siano operazioni creativamente neutre. Ma se da un lato è vero che un quoziente di creatività è presente in ogni atto volto alla conservazione di un edificio, è altrettanto vero che un quoziente di rigore metodologico dovrebbe essere alla base di ogni progetto che intervenga su un edificio a cui la collettività riconosca un valore. Pertanto il dialogo che l’architettura contemporanea tesse con l’antico non può giustificarsi col solo valore autoreferenziale del risultato finale, ma deve comunque tenere conto delle specificità dell’altro; affinché il dialogo esista l’altro non può essere ignorato menomato o soppresso, ma riconosciuto appunto nella sua diversità1. Ciò significa che un qualsiasi intervento contemporaneo su un’architettura del passato non può derogare da alcuni assunti fondamentali quali il rispetto dei rivestimenti e degli intonaci, l’attenzione per l’intero arco evolutivo dell’edificio, per i segni del deterioramento e delle patine, seguendo quei concetti di ‘minimo intervento’, compatibilità e reversibilità che nei casi migliori di restauro portano a risultai efficaci, massimizzando la permanenza. L’esperienza condotta nello scorso anno accademico (2007-2008) all’interno del Master in Progettazione di eccellenza per la città storica presso cui ho affrontato alcune di queste difficili questioni dal cotè dell’architetto restauratore, mediante lezioni, seminari e workshop, dimostra che il cammino da percorrere è ancora lungo ma ricco di implicazioni preziose e feconde sul fronte del dialogo tra tecnici che da vari punti di vista (economico-gestionale, strutturale, impiantistico, storico artistico, archeologico, etc.) si occupano dell’ intervento ‘tra’ e ‘su’ le architetture del passato. La sensibilità dei giovani architetti a recepire la complessità dei messaggi formativi contenuti in questi temi ha contribuito a creare un clima di vera collaborazione, senza steccati disciplinari o preconcette posizioni di chiusura, che per decenni
hanno relegato il rapporto tra progettisti e restauratori in uno sterile ‘discorso tra sordi’. La scelta poi di sperimentare teorie e metodi su casi concreti, alcune aree del centro storico di Napoli, ha arricchito di significato questa esperienza, costringendo i vari ‘attori’ del master a verificare gli esiti delle riflessioni effettuate nel concreto delle soluzioni progettuali. Certo, molto si può fare per migliorare un’esperienza che è alla sua prima edizione, ma le premesse appaiono promettenti e suscettibili di ulteriori interessanti sviluppi. C. Varagnoli, Edifici da edifici. La ricezione del passato nell’architettura italiana 1990-2000, in «L’Industria delle costruzioni», nov.-dic.2002
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Sicurezza strutturale e centri storici Gaetano Manfredi
Il costruito dei centri storici rappresenta da sempre non solo la risposta ad esigenze abitative che nel tempo si sono evolute, ma la stratificazione di secoli di civiltà e culture che, grazie anche al patrimonio architettonico giunto sino ai giorni nostri, rappresenta una risorsa economica e turistica insostituibile. Il centro storico, sia quello più o meno rimaneggiato inglobato nelle città, che quello più caratteristico del piccolo borgo, rappresenta una testimonianza unica della nostra storia e costituisce spesso di per sè un bene architettonico ed artistico dal valore unico. I centri storici italiani, e Napoli non fa eccezione, sono costituiti spesso da compatti aggregati edilizi, molto raccolti e strutturalmente massicci, con edifici strettamente connessi tra loro: alcuni elementi strutturali di collegamento, quali archi e contrafforti, sono stati anche introdotti a contrasto di meccanismi di danno attivati da eventi eccezionali o da manomissioni strutturali. Si tratta dunque di sistemi strutturali estremamente complessi, la cui vulnerabilità sismica risulta spesso di difficile valutazione e necessita, spesso, di un approccio unitario per l’intero aggregato, non essendo possibile estrapolare il comportamento del singolo edificio, che, anzi, può variare a seconda della posizione nell’aggregato stesso. A tale complessità si associa la necessità di contemperare differenti esigenze: conservazione del valore storico-artistico, necessità di rifunzionalizzazione degli immobili e garanzie di sicurezza per la collettività. Per questo motivo, il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio afferma che per i beni immobili tutelati, collocati nelle zone dichiarate a rischio sismico, il restauro comprende anche l’intervento di miglioramento strutturale. Ne deriva quindi che l’applicazione della Normativa Sismica agli immobili tutelati non può prescindere da un’attenta valutazione delle loro particolari caratteristiche e del loro valore intrinseco, elementi che ne hanno determinato il riconoscimento di beni culturali. Ciò comporta specifiche analisi dello stato dell’immobile, dei complessivi interventi di restauro attuati o da attuarsi, analisi sulle quali fondare l’intervento di miglioramento strutturale e comunque quegli interventi di consolidamento che, nel pieno rispetto delle esigenze di tutela del bene,
possano garantire la massima protezione del bene stesso a fronte di eventuali eventi eccezionali. Bisogna, infatti, sempre ricordare che ogni costruzione esiste per un tempo finito. Tale tempo dipende dalla vita fisiologica dei materiali e da una serie di eventi che interessano il manufatto e l’ambiente in cui è inserito, di origine naturale (terremoti, eruzioni, inondazioni) o antropica (trasformazioni, variazioni d’uso, interazione con nuovi manufatti o infrastrutture). La scala del tempo per le costruzioni storiche non coincide con quella della vita umana; essa coinvolge più generazioni e attraversa profonde trasformazioni sociali e culturali. Gli uomini del presente ricevono in consegna un patrimonio costruito con un passato spesso poco conosciuto ed un futuro incerto. Le incertezze del futuro, ovvero la nostra scarsa capacità di conoscere il progredire del degrado, valutare l’effetto delle trasformazioni e prevedere gli eventi naturali eccezionali, rendono problematica la stima della vita residua di un manufatto storico. Nel campo del restauro strutturale, il dibattito culturale degli ultimi anni è stato profondamente caratterizzato da una dannosa contrapposizione: si cerca di fermare il tempo (con interventi strenuamente ed ‘ideologicamente’ conservativi) o di realizzare una falsa eternità (con interventi eccessivamente invasivi). Paradossalmente, sia la negazione dell’importanza della sicurezza strutturale, che un’approccio esclusivamente ingegneristico alla sicurezza hanno in molti casi danneggiato il costruito storico. La strada da seguire è, invece, quella della conservazione strutturale, ovvero del mantenimento in vita della costruzione, della materia storica e delle proprie tecniche costruttive, facendo tesoro della funzionalità accertata, ma prendendo altresì in considerazione, in ottica preventiva, il rischio connesso agli eventi naturali, come quello sismico. Questo processo deve essere condotto utilizzando tutte le competenze necessarie, sfruttando tutte le opportunità offerte dalle nuove tecnologie nel rispetto della conoscenza storica del manufatto, senza contrapporre il nuovo al vecchio. In questa ottica, le Linee Guida per l’Applicazione al Patrimonio Culturale della Normativa Sismica, emanate recentemente dal Dipartimento della Protezione Civile e dal Ministero per i Beni e le At-
tività Culturali, definiscono una procedura per individuare l’intervento ottimale, ovvero quello che fornisce alla costruzione il massimo livello di protezione sismica compatibile con la conservazione. Pur confermando la non obbligatorietà del raggiungimento di un prefissato livello di sicurezza, il giudizio sull’idoneità dell’intervento emerge dal confronto tra la capacità della struttura, valutata a seguito di una conoscenza qualitativa e quantitativa della costruzione, e la domanda sismica, opportunamente quantificata e modulata in funzione di ragionevoli livelli di protezione sismica. L’obiettivo è quello di evitare interventi superflui, favorendo nella maggior parte dei casi l’intervento minimo, quello che conserva per quanto possibile il comportamento originario (l’osservazione sistematica dei danni ci ha dimostrato l’efficacia di tale approccio), ma anche evidenziare i casi in cui sia opportuno intervenire in modo più significativo, non perché ciò venga imposto semplicemente da un dettato normativo, ma perché risultato di una valutazione articolata e multidisciplinare. L’esperienza del Master ha rappresentato un prima ‘palestra’ di questo approccio che vede nella fattiva collaborazione di un team multidisciplinare la strada maestra da percorrere per realizzare progetti di recupero che siano funzionalmente efficaci, strutturalmente sicuri e storicamente rispettosi dell’anima antica degli edifici.
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Il progetto per il Centro Antico di Napoli Roberto Vanacore
Il tema generale che lega le tre ipotesi di intervento sviluppate nell’ambito del corso di Master è il disegno di Una cittadella degli studi nel Centro Antico di Napoli e trova il suo fondamento proprio nella storia di questa importante parte della città. La scelta del tema deriva dalla convinzione che il Centro Antico di Napoli è – per la ricchezza del sistema di preesistenze monumentali (biblioteche, archivi, musei, ospedali, teatri, sale per conferenze) di cui è costituito e per la densità e complessità del suo tessuto sociale - un luogo esemplare per lo sviluppo di attività legate alla cultura ed alla formazione. Tra l’altro, la presenza delle sedi e degli istituti di diversi Atenei è già diffusa nell’area, ma è priva delle necessarie dotazioni di servizi ed attrezzature. Inoltre il Centro Antico della città di Napoli, proprio per le sue caratteristiche, per la sua storia e per la sua condizione attuale rappresenta un caso emblematico che, nonostante la sua specificità, può costituire un interessante modello di riferimento per sviluppare teorie, metodologie, strumenti e prassi operative in grado di assumere valore e validità anche per altre realtà italiane ed europee. La parte del Centro Antico su cui si è concentrato il lavoro progettuale è il settore settentrionale, entro il quale sono stati scelti tre ambiti d’intervento: l’ambito dell’Acropoli e di Piazza Cavour, l’ambito dei Teatri e l’ambito delle mura nord-orientali. Per ciascun ambito sono state considerate le delimitazioni individuate dal Piano Regolatore vigente (con l’eccezione dell’ambito dei Teatri, per il quale si è preferito intervenire su un isolato di raccordo fra quest’ambito e quello dell’Acropoli), e sono state osservate le rispettive prescrizioni. Il settore considerato è quello che appare in una condizione di più forte interrelazione con il resto della città, proprio per la presenza ai suoi margini di nodi urbani di particolare rilevanza e significato: Nell’ambito dell’Acropoli e di piazza Cavour si trovano infatti Piazza Miraglia con il complesso del Policlinico a sud, e tutta la parte urbana che si attesta sul salto di quota fra il Centro Antico e Via Foria a nord; nella zona dei Teatri vi sono alcune delle più significative preesistenze archeologiche del Centro Antico, e immediatamente a nord di esso vi è il complesso dell’ Ospedale degli Incurabili ed il monastero ‘delle
Trentatré’, tutti complessi monumentali la cui presenza e la cui consistenza hanno ovviamente condizionato ed orientato lo sviluppo dei progetti. Nell’ambito delle mura nord-orientali, infine, ricadono l’ex Lanificio, la Caserma Garibaldi e Castel Capuano. In questa zona insistono inoltre anche numerose chiese attualmente dimesse che possono essere consolidate, restaurate e recuperate a funzioni compatibili con la loro storia e la loro natura, e nello stesso tempo possono integrare, con i loro spazi, la dotazione di servizi ed attrezzature dell’Università. Ciascuna di esse può diventare ad esempio un piccolo centro espositivo, una sala per convegni e conferenze stampa, un centro di diffusione e promozione delle iniziative culturali dell’Università, e così via. Un altro aspetto che ha orientato la scelta delle aree su cui sperimentare ipotesi di progetto consiste nel fatto che questa parte del Centro Antico è quella in cui fenomeni di degrado – pur diffusi in tutto il territorio del Centro – assumono caratteri particolarmente patologici, determinando un impatto estremamente negativo sulle principali zone della città storica. I criteri guida alla base dei progetti sono stati definiti dopo una serie di analisi su due diversi ordini di livello: quello a scala urbana generale (l’intero Centro Antico) e quello a scala urbana particolare (i tre diversi siti). Le analisi storiche, volumetriche, tettoniche, tipologiche, funzionali e viabilistiche, hanno contribuito alla chiarificazione della situazione esistente e hanno suggerito indirizzi per possibili scenari di intervento. Le analisi hanno costituito la base dell’impostazione dei progetti per una comprensione critica di questa parte della città, indagando le interrelazioni tra gli edifici dei diversi siti prescelti e il più ampio contesto dell’intero Centro Antico. Queste analisi hanno costituito due momenti distinti ma interrelati del processo di comprensione critica degli edifici e del loro contesto permettendo di individuare tre livelli di intervento: 1) identificare strutture e spazi da conservare; 2) razionalizzare e chiarire la composizione volumetrica e spaziale esistente; 3) intervenire con la nuova architettura per ri-orientare e ricomporre queste aree urbana. Nel complesso, si sono ela-
borati tre progetti, strettamente interrelati fra loro, uno per ciascun ambito. Nell’ambito dell’Acropoli e Piazza Cavour, la dimensione dell’area e la particolare condizione di complessità ivi rintracciabile ha permesso di approfondire nello stesso progetto due tematiche: il recupero e la riqualificazione del complesso dei policlinici, insieme alla valorizzazione delle presenze archeologiche nella zona di piazza Miraglia, e la proposta per un edificio-infrastruttura da destinare a parcheggio ed a nodo di connessione in corrispondenza del salto di quota fra l’Acropoli e piazza Cavour. Nell’ambito dei Teatri, invece, si è scelto di intervenire all’esterno del perimetro di ambito individuato dal PRG, in quanto è stato individuato in un isolato collocato immediatamente a nord di tale perimetro il possibile luogo urbano di relazione fra il nucleo delle emergenze archeologiche costituite dai teatri greco-romani ed il salto di quota fra l’Acropoli e Piazza Cavour. Per quest’isolato si prevede un intervento di ristrutturazione urbanistica. Nell’ambito delle mura nord-orientali, dove, ricadono l’ex Lanificio, la Caserma Garibaldi e Castel Captano, il progetto prevede la messa in luce, attraverso un attento lavoro di rimozione di superfetazioni e di elementi di degrado, delle strutture originarie da riutilizzare a fini compatibili. La principale scelta progettuale, comune all’intero sistema degli interventi previsti, è quella di ristabilire il senso delle tre aree a un doppio livello di definizione, guardando soprattutto agli aspetti che riguardano la loro realtà fisica. Pur ritenendo che un’analisi critica delle possibilità funzionali sia necessaria e debba informare la riflessione sul futuro di queste aree, si parte dalla convinzione che il progetto complessivo debba delineare una serie di interventi in grado di reinterpretare la condizione degli edifici esistenti, alcuni dei quali di particolare valore storico-monumentale - e consolidare sia le caratteristiche fisiche dei volumi che le potenzialità del luogo. In questo modo l’invenzione di uno scenario funzionale – quello della cittadella degli studi – si integra con un sistema di risposte coerenti alle caratteristiche fisiche dei diversi siti, derivanti da un vero e proprio processo di valutazione critica delle condizioni degli specifici contesti.
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Ascolto e ricerca nel Centro Antico di Napoli Giovanni Francesco Frascino
Napoli, la città delle contraddizioni, violenta convivenza di paesaggio, mondo sotterraneo, edifici costruiti e uomini. Il suo centro antico si rappresenta come la summa di stili tra superfetazioni e veracità del popolo, le architetture di qualità sono radicali, estreme, pure, accostate a costruzioni prive di senso. In questo contesto stratificato diventa difficile aggiungere, più facile sottrarre. Per poter entrare con successo in un luogo così complesso è necessario che il progetto si impadronisca delle ragioni che hanno determinato quel luogo, dei principi costruttivi che esso custodisce riconoscendo le cose di valore. Questa direzione del lavoro verso ciò che di valore il luogo custodisce non significa rincorrere una immagine, un linguaggio o restare necessariamente fedeli alle strategie che ne hanno determinato le caratteristiche ma altresì ancorarsi, lavorare in compagnia della storia, riconoscere per poter eventualmente mettere in discussione. Attraverso le risposte che il luogo ci fornisce quotidianamente è possibile capire i problemi, solo in una condizione di necessità del luogo è possibile il progetto. L’esperienza dell’architettura della città rappresenta per noi tutti un patrimonio tangibile, un esempio presente fisicamente giorno dopo giorno, i monumenti e gli elementi primari della città raramente si modificano e questo deve farci riflettere; le ragioni della loro esistenza sono legate alle necessità della città in quel momento, a motivazioni di carattere razionale, a questioni pratiche. Un atteggiamento progettuale fondato sul controllo dell’emozione e dell’istinto garantirà qualità, maggiore durata ed un interesse sempre vivo nel tempo. Il lavoro del master è partito da questi assunti con proposte spesso eterogenee ma con un unico filo conduttore: piccoli interventi in una più ampia strategia. Oggi il centro antico di Napoli attraverso le sue risposte mostra i suoi problemi ancora irrisolti, le sue risposte sono la sua forma attuale e proprio da questa forma il master tenta di ripartire.
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studi preliminari
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Città e territorio. Orografia 63
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a) Le Mura mura della città antica V sec. a.C. mura della città antica IV sec. a.C. mura della città romana mura della città angioina mura della città aragonese mura della città vicereale
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b) Modello Ippodameo+ mura V sec. a.C. c) Cardines+Decumani+ Insulae d) Cardines+DecumaniInsulae conventi e) Pieni f) Pieni e Vuoti g) Vuoti h) La maglia i) Invarianti l) Varianti m) Invarianti+varianti = la nuova Maglia
Tra Neapolis e Napoli. Strati di storia 65
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Impatto fisico 67
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LE RICERCHE SUL CENTRO STORICO Stratificazione Napoli, da più di 2000 anni, si sviluppa in verticale. Nel centro storico non esiste una città, ma tante città sovrapposte l’una sopra l’altra, una città in perpetuo movimento. Dallo strato della città romana dove si trovano i teatri, tutte le epoche si sovrappongono: manca soltanto quella contemporanea. Il livello sotterraneo, il livello della strada, livello dei passaggi sopra le strade e finalmente il livello dei tetti creano una rete tra spazi pubblici e privati. Tipologia Il palazzo a corte, per tutti, dal Monastero, al Palazzo Nobiliare, alla più modesta edilizia residenziale. Un grande portone d’ingresso, un piano terra commerciale, circolazione semi-esterna, piani di altezza minima di quattro metri, finestre di grande dimensione con balcone caratterizzano i palazzi del centro storico. Matericità Napoli è una città materica, dove attraverso il degrado si possono intravedere intonaci, piperno, mattone, tufo. Senza vergogna si sovrappongono l’uno sull'altro, regalando mille combinazioni di materia e di colore. Appropriazione dello spazio Napoli è una città vissuta. La popolazione abita lo spazio pubblico, se ne appropria. In una città dove lo spazio è un lusso, ogni metro quadro è preda della fantasia degli abitanti. Spazi commerciali, lavanderia, circolo di gioco, la strada è il teatro quotidiano. Edifici di nuova formazione o di degrado irrecuperabile Il centro di Napoli, con i sui edifici di recente formazione o in rovina totale, lascia lo spazio a nuovi progetti che rispondano alle esigenze di una vita urbana e contemporanea. Senza essere in conflitto con il piano regolatore e le esigenze di tutela.
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Funzioni intersecanti 69
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Funzioni Intersecanti 71
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metropolitana linea 1 metropolitana linea 2 Ferrovie dello Stato Circumvesuviana stazione autobus
principali assi di penetrazione percorso autobus parcheggi
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strade carrabili strade a traffico limitato percorsi pedonali
AccessibilitĂ 73
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a) Campioni di ricerca 1) Acropoli e piazza Cavour 2) Mura nord orientali 3) Teatri, San Lorenzo, San Carminiello ai Mannesi
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Isolati e Vuoti Interni
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Isolati
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Paragone Vuoti/Pieni
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Pieni e vuoti Le ricerche effettuate sono le basi del processo progettuale. Quelle sui pieni e vuoti al centro della città rivelano la presenza di un’importante percentuale di vuoti (30%) rispetto ai pieni. Il centro storico di Napoli, che sembra solido, è in realtà costituito da vuoti privati o semi pubblici. Corti, giardini, monasteri offrono un'altra visione della città, quella del silenzio,
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via Anticaglia
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via dei Tribunali
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Analisi sociale e culturale. Ricerca per strategia di programma 83
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Sopralluogo su via Benedetto Croce
Sopralluogo su via dei Tribunali
Sopralluogo su via Anticaglia
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Indagini sul campo Lo studio riportato si basa su una serie di interviste ai frequentatori dei tre decumani partenopei allo scopo di rilevare le problematiche socio-culturali che più interessano la popolazione locale. Il risultato che ne è scaturito pone l’accento su temi quali la sicurezza, il traffico veicolare, la carenza di spazi pubblici attrezzati e la scarsa manutenzione di quelli esistenti.
Analisi sociale e culturale. Ricerca per strategia di programma 85
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SCHEDA INDIVIDUALE DI ANALISI PROGETTO/ATTIVITA’*
Ente ospitante: Comune di Napoli. Denominazione progetto: definizione di un Masterplan per la zona delle mura nord-orientali di Napoli. Tipologia di progetto: programma di interventi per gli spazi pubblici e rifunzionalizzazione di ‘Macrocotenitori’ presenti nell’area. Soggetti promotori del progetto: Comunità Europea - Regione Campania - Comune di Napoli - Privati. Descrizione sintetica del progetto: progetto di riqualificazione degli spazi pubblici con realizzazione di nuovi punti di incontro e scambio anche all’interno di contenitori in disuso o in fase di dismissione come Castel Capuano, il Lanificio, la Caserma Garibaldi e la scuola in Piazza Cavour; razionalizzazione del sistema viario e dei parcheggi per residenti, riconnessione dell’area del ‘margine’ con la zona dell’Acropoli e riqualificazione del percorso che collega le torri dell’antica murazione Aragonese. Principali obiettivi del progetto: creazione di un nuovo spazio pubblico capace di connettere la zona delle mura con il resto del centro antico anche attraverso l’utilizzo e la riqualificazione di monumenti che stanno abbandonando la loro attuale funzione. Principali caratteristiche del sistema territoriale locale: si evidenzia la cesura operata da via Duomo e via Anticaglia che opera una sorta di ghettizzazione nei confronti della zona di Forcella e di Porta San Gennaro. Enorme densità dell’abitato e notevole importanza del salto di quota presente tra l’Acropoli e piazza Cavour. Collegamento del progetto con altre iniziative in corso nel territorio: il progetto si collega con le strategie progettuali del Comune di Napoli. Analisi SWOT ( S-trengs W-eakness O-pportunities T-hreats) Punti di forza: mantenimento della local life, riconnessione e riqualificazione di monumenti, miglioramento della vivibilità, integrazione delle attivita turistiche e commerciali. Punti di debolezza: difficoltà nella programmazione degli interventi. Opportunità: ricucire la cesura tra la zona delle mura e il centro antico e dare alla città nuovi spazi vitali. Rischi: difficoltà nel reperire i fondi necessari. Criticità amministrative per l’attuazione del progetto: continuità politica. Criticità organizzative per l’attuazione del progetto: coordinamento delle iniziative. Principali normative di riferimento, strumenti urbanistici e di programmazione: P.U.C. - P.U.A. - normative antisismiche - autorità di bacino - assetto idrogeologico. Fabbisogni locali a cui risponde l’intervento: carenza di spazi pubblici organizzati, maggiore chiarezza dei luoghi, fruizione dell’area ventiquattr’ore su ventiquattro, riconnessione tra piazza Cavour e Acropoli, riqualificazione degli spazi via Carbonara, rilancio di attività turistiche e commerciali. Bacino di utenza: ambito sovracomunale. Fonti di finanziamento: Risorse pubbliche e private. Risultati attesi e impatti previsti dal progetto: miglioramento delle condizioni di accessibilità, fruibilità e vivibilità del Centro Antico con l’obiettivo di una maggiore integrazione tra sfera domestica e civica con una rivalutazione della cultura come risorsa rigenerante. Modalità di coinvolgimento di operatori del settore privato: collaborazione tra settore pubblico e settore privato per la realizzazione del parcheggio interrato a servizio dei residenti nella zona di via Carbonara. * Le schede individuali di analisi e delle attività di progetto elaborate dagli allievi del master hanno un contenuto formativo che affronta fin dall’inizio dell’attività di progettazione il tema della fattibilità. Questa viene fin dal principio percepita come processo. La Governance di progetto infatti deve tener conto di tutte le difficoltà istituzionali, tecniche, finanziarie, amministrative e sociali che il progetto può incontrare durante il percorso che porterà alla realizzazione. La scheda progettuale accompagna il lavoro dei progettisti e si modifica durante il percorso allo scopo di ottenere la cosiddetta Compliance del processo di elaborazione allo scopo di favorire la comprensione completa del trade off tra identità del progetto e compromessi tecnici e finanziari per la sua realizzazione.
Pagina precedente: individuazione delle aree oggetto di studio 1. Acropoli e piazza Cavour 2. Mura nord orientali 3. Teatri, San Lorenzo, San Carminiello ai Mannesi
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Masterplan Nello studiare il nucleo fondativo della città di origine greco-romana, preoccupandoci di esprimere un giudizio su questa parte in primo luogo in termini di architettura e di analisi urbana, abbiamo ricercato - attraverso un confronto con i contenuti della Variante al Piano Regolatore Generale - delle aree significative su cui sviluppare un ipotesi progettuale di riqualificazione e di integrazione urbana. L’obiettivo di tale complessiva ipotesi progettuale è stato quello di innescare un più ampio processo di conservazione attiva del centro antico ed avviare una prima sperimentazione e verifica di una più generale idea di progetto urbano finalizzata a destinare l’area di Neapolis prevalentemente a cittadella degli studi. Naturalmente ciò è stato anche fondato sul presupposto di conservare quella attuale ricchezza e diversificazione di usi, confermando le attuali destinazioni residenziali e terziarie, mettendo in opera vantaggi e sinergie che un campus universitario riceverebbe dalle preesistente monumentali, funzionali e tipologiche del centro antico e dalla ‘lezione’ ricavabile dallo stesso patrimonio storicoartistico (vedi saggio Renato De Fusco, L’antica Neapolis come Cittadella degli Studi, pag. 90). L’attenzione progettuale si è soffermata su aree lungo i margini della città di fondazione greco-romana che per loro caratteri e collocazione presentano le maggiori potenzialità sia in termini di riqualificazione dell’intero centro antico che di connessione della sua parte più centrale con la città al contorno. Questi siti sono disposti lungo il perimetro settentrionale del centro antico, dall’estremo occidentale a quello orientale e costituiscono tre aree di potenziale polarità, in grado di sviluppare caratteri di nuova centralità urbana. L’idea complessiva di progetto per il centro antico si è sviluppata durante il corso di master attraverso la messa a punto di un masterplan appropriato, nel quale tutti gli elementi necessari in un progetto di tali dimensioni (ad esempio il traffico, i parcheggi, la rete dei percorsi pedonali, i sottoservizi) e l’organizzazione dei volumi edilizi e degli spazi pubblici e privati, sono stati posti in relazione fra di loro nell’ambito di una struttura di riferimento complessiva. Se normalmente lo sviluppo della volumetria edilizia nei progetti architettonici viene studiato al-
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l’interno della griglia di riferimento del masterplan e le regole espresse dal masterplan tendono a predeterminare le diverse tipologie architettoniche, ponendo rigide limitazioni al potenziale sviluppo delle proposte architettoniche stesse, nel nostro caso si è invece scelto di eleggere la dimensione architettonica e la necessaria, misurata diversità degli approcci progettuali – che può prodursi solo in un team eterogeneo di architetti ed in un ambito di sperimentazione reso possibile dalla libertà di linguaggi e di ricerca che un corso di studi consente – a strumento in grado di evitare la costrizione, la rigidità e l’appiattimento di un disegno di sviluppo uniforme ed omogeneo. Tale impostazione converge anche con un atteggiamento teso all’ascolto ed alla valorizzazione delle specificità delle diverse aree. La conoscenza di questa parte della città, fondata sull’impegnativo lavoro di analisi, lettura, descrizione ed interpretazione che è stato prodotto nelle prime fasi del corso di Master, ha costituito, in definitiva, la vera e propria teoria di riferimento entro la quale il progetto ha preso progressivamente forma. L’iter progettuale è stato organizzato di conseguenza in modo da valorizzare il più possibile le opportunità offerte dalla diversità dei singoli allievi coinvolti, consentendo a ciascun architetto del team non solo di creare edifici dotati di grande valenza architettonica, ma allo stesso tempo di istituire un processo dinamico fra proposta architettonica e masterplan. In questo modo ciascuno dei gruppi di progettazione è stato impegnato - allo stesso tempo – sia nell’evoluzione della struttura di riferimento del masterplan che nello sviluppo della sua specifica proposta architettonica, operando così su piani paralleli, verificando di volta in volta il rapporto dei diversi progetti architettonici fra di loro e il loro ruolo nell’ambito della struttura del masterplan. Siamo convinti che il risultato di questo processo sia evidente nella chiarezza e nella coerenza ottenute nel disegno della struttura generale di riferimento, al cui interno sono collocate proposte architettoniche di grande forza e varietà. Sul piano più strettamente architettonico, i progetti per le tre aree prescelte sono caratterizzati da una sorta di economia propria della metamor-
fosi, in base alla quale le nuove forme recuperano e rielaborano quanto più è possibile i materiali delle vecchie, assecondando ed accelerando un processo di naturale evoluzione, guidata però in questo caso da un rigoroso controllo progettuale. Grazie ad un’attenta conoscenza dei luoghi, dei loro caratteri e delle loro peculiarità, il masterplan mette così in opera un processo di riqualificazione e trasformazione molto semplice, costituito da una chiara procedura di operazioni ed un calibrato sistema di nuove architetture che risultano il più possibile semplici ed essenziali. In questo modo il masterplan ha avuto la funzione di guida e di verifica della strategia generale, realizzando un processo generativo di interazione e di confronto dialettico fra elementi che di solito vengono considerati isolatamente.
Modello di studio del masterplan. Foto di Federica Cerami. Pagine successive: masterplan con l’inserimento dei progetti elaborati durante il corso di master.
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Acropoli e piazza Cavour Il collegio del Centro Antico
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salvatore argentino Italia
filomena de martino
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valentina gentile
Italia
vincenzo peluso
Italia
Meidong Li Cina
Quiguang Hu Cina
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Modello di studio. Foto di Federica Cerami
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Due atteggiamenti per l’area dei policlinici Giuseppe Moliterni
Il tema che si va ad illustrare mette questo gruppo di giovani architetti di fronte ad un’eccezione della città antica, per cui non sono percepibili quei rapporti sempre leggibili all’interno della maglia greco-romana, tra lotto e strada, pieno e vuoto, che danno alla forma urbis una densità tale che lo stesso Roberto Pane definisce di una città stretta fuori e larga dentro. Nell’area dei Policlinici i caratteri, i rapporti e le tensioni urbane si interrompono drasticamente. Una condizione della città che il gruppo di architetti affronta utilizzando quelle che sono le regole stesse della città antica: ricucendo, ristabilendo continuità con la forma urbis, lasciando però che sia sempre il luogo a decidere cosa conservare e suggerire e cosa modificare. L’atteggiamento è stato quello di ricucire, facendo leggere la città, il suo tessuto ed i suoi rapporti, senza mai negare la condizione attuale, lavorando anche sulla conservazione e reintegrazione urbana ed architettonica dei Policlinici, riconoscendo in quest’eccezione un momento storico ed urbano della città. Non affrontano solo le questioni urbane ma studiano anche il piano ipogeo, intercettando eventuali resti archeologici e facendoli emergere non come elementi puntuali ma come parte integrante di un’unica strategia d’intervento. La forma urbis della città greco-romana, la condizione presente dei Policlinici e lo spazio ipogeo, attraverso confronti ed analisi danno luogo a due possibili atteggiamenti: quello della conservazione e reintegrazione dei Policlinici e quello della messa in opera del ‘Grande Vuoto’. Il primo atteggiamento vede la conservazione e la reintegrazione urbana e funzionale dei Policlinici: attraverso la demolizione puntuale delle superfetazioni edilizie e degli elementi avulsi e lo sfruttamento del collegamento ipogeo preesistente. Si è così intervenuto per layers: uno urbano che contempla la riconnessione al tessuto della città greco-romana e l’altro ipogeo che considera la possibilità di lavorare anche attraverso il ritrovamento di reperti archeologici. Le prime ipotesi prevedevano solo un intervento legato alla ricucitura e trasformazione dei Policlinici, mentre le successive analisi hanno poi evidenziato la necessità di una riconnessione urbana,
per risolvere quel vuoto amorfo creato dall’abbattimento del primo dei tre padiglioni. La seconda ipotesi, quella del ‘Grande Vuoto’ come condizione risultante dalla demolizione dei Policlinici, genera una serie di proposte in cui il costruito e la condizione orografica diventano gli elementi portanti delle soluzioni progettuali. Ricomporre tensioni e rapporti urbani ormai compromessi, come quello tra la Chiesa della Croce di Lucca e quella della Sapienza, uniche due testimonianze dell’insula monastica che insisteva sull’area, attraverso l’inserimento di nuovi corpi di fabbrica porticati o ristabilire un rapporto più intimo ed una misura più appropriata dell’edificato attraverso un sistema di corti chiuse porticate posizionate su tre piastre, suggerite dall’orografia dell’area, diventa il comune denominatore di queste ipotesi. Due condizioni, sempre in sinergia, caratterizzano l’incipit, il costruito come momento architettonico urbano ed un sistema di vuoti come sequenza di spazi urbani.
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Il collegio del Centro Antico
Acropoli e Piazza Cavour
SCHEDA INDIVIDUALE DI ANALISI PROGETTO/ATTIVITA’*
Ente ospitante: Comune di Napoli. Denominazione progetto: Collegio del Centro Antico. Tipologia di progetto: rifunzionalizzazione e adeguamento. Soggetti promotori del progetto: Comune di Napoli - Università. Descrizione sintetica del progetto: rifunzionalizzazione e adeguamento dei Policlinici, sistemazione esterne, realizzazione di un parco pubblico. Principali obiettivi del progetto: il progetto ha l’obiettivo di potenziare e migliorare l’immagine dell’Università (valore aggiunto), realizzare spazi verdi a servizio degli studenti e dei cittadini. Principali caratteristiche del sistema territoriale locale: l’area dei Policlinici è morfologicamente articolata e funzionalmente disgregata. Tale area presenta una dominante archeologica - culturale e si presenta come potenziale centro per la ripartenza della rete ecologica. Collegamento del progetto con altre iniziative in corso nel territorio: l’intervento ricade all’interno di un più ampio programma di riqualificazione del Centro Antico di Napoli. Analisi SWOT ( S-trengs W-eakness O-pportunities T-hreats) Punti di forza: presenza di un area archeologica; potenziale edilizio da rifunzionalizzare con il minimo intervento; edifici di valore storico-artistico come potenziali attrezzature collettive. Punti di debolezza: scarso legame con il contesto. Opportunità: nuovi spazi verdi; potenziare l’Università con residenze universitarie e una nuova immagine; nuovo modo di fruire l’archeologia e la città. Rischi: alterazione del tessuto urbano, sicurezza. Criticità amministrative per l’attuazione del progetto: coordinamento di Soprintendenza, Università e Amministrazione Comunale. Criticità organizzative per l’attuazione del progetto: dismissione dei Policlinici e acquisizione fondi per le prime iniziative. Principali normative di riferimento,strumenti urbanistici e di programmazione: variante al P.R.G. di Napoli: Norme tecniche di attuazione. Fabbisogni locali a cui risponde l’intervento: spazi pubblici organizzati; residenze per studenti, docenti e ricercatori; attrezzature pubbliche per la cultura e il tempo libero. Bacino di utenza: ambito comunale. Fonti di finanziamento: risorse pubbliche e private. Risultati attesi e impatti previsti dal progetto: miglioramento delle condizioni di vivibilità dell’area, miglioramento dell’università, rivalutazione del patrimonio archeologico.
* Le schede individuali di analisi e delle attività di progetto elaborate dagli allievi del master hanno un contenuto formativo che affronta fin dall’inizio dell’attività di progettazione il tema della fattibilità. Questa viene fin dal principio percepita come processo. La Governance di progetto infatti deve tener conto di tutte le difficoltà istituzionali, tecniche, finanziarie, amministrative e sociali che il progetto può incontrare durante il percorso che porterà alla realizzazione. La scheda progettuale accompagna il lavoro dei progettisti e si modifica durante il percorso allo scopo di ottenere la cosiddetta Compliance del processo di elaborazione allo scopo di favorire la comprensione completa del trade off tra identità del progetto e compromessi tecnici e finanziari per la sua realizzazione.
Pagina precedente: Individuazione dell’area di studio (in bianco) e di quella di progetto (in rosso).
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L’area oggetto dell’intervento era interessata da un’insula monastica che comprendeva i complessi della Sapienza e della Croce di Lucca. Nel 1886 nell’ambito delle trasformazioni che coinvolsero numerose strutture religiose i due monasteri furono demoliti risparmiando la Chiesa della Sapienza, con accesso da via Costantinopoli, e la Croce di Lucca in Piazza Miraglia. L’area resa libera fu destinata ai Policlinici che si completarono nel 1907 circa. La struttura ospedaliera in origine era costituita da tre padiglioni. In seguito al terremoto del 1980 uno dei tre padiglioni veniva abbattuto determinando la conformazione urbana ancora oggi visibile.
Nella pagina: planimetria dello stato di fatto dell’area di intervento
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Evoluzione storica Il progetto dell’area di piazza Miraglia ha inizio dall’analisi storica del processo di trasformazione che l’insula in oggetto ha subito nel corso del tempo: 1. Duca di Noya (1775) Insula monastica con la presenza dei monasteri della Sapienza e della Croce di Lucca.
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2. Giambarba (1880) Le dimensioni del complesso di S. Antonio di Padova mutano e vico Ficariola viene chiuso. 3. Catastale (1908) Nel 1886 vengono abbattuti i monasteri della Sapienza e della Croce di Lucca per ospitare gli edifici dei Policlinici. Restano le due chiese. 4. Catastale (1977) Croce di Lucca con i tre Policlinici. 5. Stato attuale Policlinici senza il primo corpo di fabbrica demolito a seguito dei danni del terremoto del 1980.
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Criteri guida La complessa configurazione del sito è stata chiarita da analisi storiche, volumetriche, tipologiche e funzionali disvelando scenari per nuovi possibili interventi. Dette analisi hanno permesso di individuare tre livelli di intervento: 1. individuazione delle strutture e degli spazi da conservare 2. semplificare e chiarire la configurazione volumetrica e spaziale esistente 3. intervenire con nuove architetture per ricomporre l’area
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Recupero dei Policlinici/ipotesi 1 soluzione A
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Ipotesi 1: recupero dei Policlinici La conservazione e la reintegrazione urbana e funzionale dei Policlinici e la lettura dei piani delle stratificazioni storico-archeologiche diventano un segno di continuità dove il Parco Archeologico è condizione scatenante per la riqualificazione urbana dell’impianto esistente: l’accessibilità e la fruibilità di quest’ultimo sono infatti le condizioni necessarie ai fini di un’opportuna connessione urbana, sia dei corpi di fabbrica con il contesto che del già presente collegamento sotterraneo con illivello stradale. In questo processo di lettura si è voluto integrare anche la Croce di Lucca e la Chiesa della Sapienza, enfatizzando condizioni storicamente distanti presenti nel medesimo ambito urbano. Dall’idea, quindi, la strategia di un progetto che lavorasse su due layer in cui il primo coincida con il piano in cui insistono i Policlinici e il secondo, ipogeo, risultante dalle indagini archeologiche ipotizzate in seguito all’analisi dei saggi su via del Sole e delle quote delle mura greco romane a piazza Bellini. Questa quota diventa l’ingresso-foyer al
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Parco ed il sagrato della chiesa della Croce di Lucca e della Pietra Santa in modo da restituire tensione urbana tra le due preesistenze e allo stesso tempo da qui accedere all’area archeologica. L’accesso sempre ipogeo - sfrutta il collegamento già esistente al di sotto dei Policlinici per poi disegnare un itinerario archeologico completamente dettato dai ritrovamenti dei reperti, in modo da avere sempre una lettura di questi mai distaccata dal tessuto urbano. A questo collegamento orizzontale se ne affiancherà uno verticale che garantirà l’accesso ai padiglioni dal livello sotterraneo risolvendo il salto di quota tra via Anticaglia e il piano dei Policlinici. In questo modo il piano ipogeo e quello di giacitura di questi ultimi saranno in continua connessione attraverso gli accessi ai padiglioni. Per i due edifici dei Policlinici si è pensato ad una riqualificazione urbana attraverso interventi di sottrazione delle superfetazioni e ad una rifunzionalizzazione volta alla realizzazione di strutture che facciano parte di un più ampio intervento che
veda sorgere all’interno del centro antico di Napoli una nuova cittadella universitaria. La tipologia preesistente, infatti, si presta facilmente ad ospitare un campus universitario contenente residenze per gli studenti ai piani alti e destinando i piani terra ad attività commerciali che insieme allo spazio verde circostante creino un sistema a servizio degli studenti e dei cittadini.
In queste pagine: planimetria di progetto, sezione e immagini dei modelli di studio raffiguranti la soluzione A relativa all’ipotesi di conservazione degli edifici dei Policlinici.
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In queste pagine: planimetria di progetto e immagini del modello di studio raffiguranti la soluzione B relativa all’ipotesi di conservazione degli edifici dei Policlinici.
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Il Grande Vuoto/ipotesi 2 soluzione A
Ipotesi 2: il Grande Vuoto La distruzione, avvenuta alla fine del secolo, dei conventi della Sapienza e della Croce di Lucca per consentire la costruzione dei padiglioni del Policlinico, ha costituito la mutilazione di una delle parti più importanti del Centro Antico di Napoli ed ha sempre rappresentato un problema per la progettazione a scala urbana. Dei tre padiglioni inizialmente costruiti ne restano solo due: si è così venuto ad evidenziare chiaramente il vuoto urbano residuo creatosi in questa zona. Tale scenario, unitamente alle riflessioni fatte nellavariante al Piano Regolatore Generale che prevede la realizzazione di un Parco Archeologico al fine di valorizzare l’aspetto storico-archelogico del sito, ci ha portato a riflettere sulla possibilità di dare al Centro Antico, densamente costruito, una pausa attraverso un ‘Vuoto’. A tal fine si abbattono i due padiglioni restanti del Policlinico e si organizza lo spazio su tre differenti livelli: il piano ipogeo, il piano del parco e il piano dell’università. Il piano ipogeo corrisponde alla quota di piazza Miraglia e trova nella Croce di Lucca e nella Pietrasanta gli elementi architettonici più importanti: lo spazio compreso tra le due chiese costituisce l’ingresso all’area archeologica che attraverso il sottopassaggio dei vecchi padiglioni si estende fino a via Anticaglia. Protagonista del secondo livello, che coincide con la quota d’imposta dei vecchi padiglioni, è il progetto del verde, che crea una pausa all’interno di un tessuto storicamente denso quasi a ricreare l’atmosfera del chiostro della Sapienza la cui unica testimonianza è rappresentata dagli archi presenti sul retro della omonima Chiesa. Il piano dell’Università coincide con la quota di via Anticaglia ed ha l’obiettivo di divenire una piazza al servizio della cittadella universitaria. Le tre aree fisicamente e funzionalmente distinte sono messe in collegamento da due elementi a scala urbana: il colonnato-fabbricato e la grande scala. Il primo elemento, a seconda delle aree che attraversa, diventa ora edificio ora percorso. In
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particolare, al primo livello diviene Museo della Musica e va a definire, con la Croce di Lucca (foyer dell’area archeologica) e la Pietrasanta (sala concerti), la prima corte. In corrispondenza del secondo piano diviene percorso e consente attraverso una passeggiata nel verde il collegamento tra il Museo e l’Università; infine nel terzo piano diviene residenza e servizi per quest’ultima. La scala a livello urbano, posta sul fronte ovest dell’area e coincidente con l’antica via Ficariola, ha la duplice funzione di fornire collegamento alternativo a via del Sole tra via Tribunali e via Anticaglia e accesso alle tre nuove aree. Le linee degli elementi architettonici progettati finiscono per mettere in tensione questi con i punti fissi della città ‘che era e che è’.
In queste pagine: piante di progetto e immagini del modello di studio raffiguranti la soluzione A relativa all’ipotesi di abbattimento degli edifici dei Policlinici.
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Il Grande Vuoto/ipotesi 2 soluzione B
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1. Sito archeologico 2. Piazza 3. Ingresso al piano archeologico 4. Area verde 5. Residenze per studenti con attività commerciali ai piani terra 6. Museo degli strumenti con attività artigianali ai piani terra 7. Complesso di San Marcellino- Conservatorio 8. Complesso della Pietra Santa - Auditorium 9. Chiesa della Croce di Lucca - Auditorium
In queste pagine: piante di progetto e immagini del modello di studio raffiguranti la soluzione B relativa all’ipotesi di abbattimento degli edifici dei Policlinici.
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Sezioni di progetto relative alla soluzione B dell’ipotesi di abbattimento dei Policlinici
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Acropoli e piazza Cavour il sistema di risalita all’Acropoli
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livia falco
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domenico persico
Italia
sara gina salino Italia
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Un nuovo basamento per l’Acropoli Anna Sirica
La ricerca progettuale presentata nelle pagine seguenti decisamente incarna tutto l’idealismo, le aspettative e le ansie di una nuova generazione di architetti napoletani, quali sono i tre autori dell’idea che ci viene proposta: nuove soluzioni architettoniche per la città di Napoli basate su un atteggiamento concreto, propositivo, fondato sull’immediata interpretazione delle contraddizioni urbane come avventurose potenzialità di evoluzione della città, attraverso un’attenta e sensibile lettura dei complessi - e talvolta in contrasto - segni incisi dalla storia nelle sue varie epoche, che fanno di questa città e del suo centro antico quell’affascinante caleidoscopio urbano che oggi si presenta ai nostri occhi. Consapevoli dunque dell’obbligatorietà di dialogare con la tradizione della forma urbis di questa millenaria città ai fini di un suo più consapevole sviluppo, alla ricerca di una sua opportuna – e necessaria - veste contemporanea, si pongono come obiettivo imprescindibile quello di ricucire antichi rapporti spaziali e visivi, scissi da precedenti interventi edilizi che – col senno di poi – si sono rivelati poco attenti alla conservazione di una visione e fruizione unitaria del contesto in cui sono stati inseriti, per recuperare e rilanciare il senso ed il carattere di questi luoghi. «Srotolare il Decumano Maior oltre il suo rettilineo sviluppo e rafforzarne il suo valore al di là della maglia»: questo l’intento della ricerca svolta che - insieme a quella in seguito presentata per il Lanificio Sava, a chiusura dell’excursus spaziale denominato Salto di Quota – suggerisce una possibile testa di ponte per un rinnovato sistema urbano: ricucire l’esistente attraverso il recupero degli spazi aperti interni di una serie di manufatti di pregio storico, le cui corti vengano messe in rapporto di continuità spaziale con alcuni interventi contemporanei di ‘agopuntura urbana’ (Madre, Lanificio 25), lungo un percorso che da piazza Cavour, risalendo verso l’Acropoli da via Settembrini, si riallacci a Castel Capuano e a san Giovanni a Carbonara. L’incipit di questo ambizioso sistema di percorsi viene pensato come uno stereometrico
elemento basamentale prospettante su via Foria che, grazie ad una mirata sostituzione edilizia, riconnetta visivamente e spazialmente il Centro Antico, letto nella sua primigena veste di Acropoli greco-romana, e piazza Cavour: una ‘risalita all’Acropoli’ che vede il rincorrersi, in superficie, di ampie rampe-piazza che configurino una precisa sequenza di spazi pubblici tra quelli preesistenti e quelli di progetto, ricostituendo un rapporto di continuità urbana ormai da tempo reciso al limite della Napoli intra ed extra moenia, e che al suo interno, specularmente, pure si presenta come una lunga e articolata sequenza di ampi spazi ad uso collettivo (insieme ad un capiente parcheggio interrato), risposta – non solo funzionale – alle carenze di una porzione di città attraverso un intervento di architettura che dimostra la propria contemporaneità grazie alla discrezione delle sue forme ed alla sensibilità progettuale nell’approccio alla complessa tematica affrontata.
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il sistema di risalita all’Acropoli
Acropoli e Piazza Cavour
SCHEDA INDIVIDUALE DI ANALISI PROGETTO/ATTIVITA’*
Ente ospitante: Comune di Napoli. Denominazione progetto: Piazza Cavour e la risalita all’Acropoli. Tipologia di progetto: programma di interventi nel settore pubblico e privato. Soggetti promotori del progetto: Comunità Europea - Regione Campania - Comune di Napoli - Consorzio di Commercianti (Privati). Descrizione sintetica del progetto: creazione di una nuova risalita che da piazza Cavour arrivi all’Acropoli attraverso un sistema di rampe e piazze che inglobino una serie di spazi espositivi e commerciali e ospitino anche un parcheggio interrato. Principali obiettivi del progetto: creazione di un nuovo sistema di connessione che possa riqualificare il territorio circostante creando un nuovo polo attrattivo all’interno del masterplan della zona delle mura nord-orientali. Principali caratteristiche del sistema territoriale locale: il sistema si presenta denso ma allo stesso tempo discontinuo: allo stato attuale un edificio scolastico costruito negli anni cinquanta ostruisce la visuale della risalita e Piazza Cavour non soddisfa pienamente le esigenze nate dal nodo di interscambio generato dalla confluenza di più linee metropolitane e di autobus. Collegamento del progetto con altre iniziative in corso nel territorio: il progetto si collega con le strategie progettuali del Comune di Napoli per la riqualificazione dell’asse di via Foria. Analisi SWOT ( S-trengs W-eakness O-pportunities T-hreats) Punti di forza: posizione strategica e orografia del luogo che permettono attraverso la creazione di un sistema di risalita la fruizione dello spazio antistante le rampe Maria Longo. Punti di debolezza: necessità di costituire un progetto di tale efficacia da giustificare l’abbattimento della scuola. Opportunità: creare un nuovo impianto che possa dare accesso all’Acropoli sia dalla strada che dalla metropolitana, la creazione di nuovi spazi espositivi e commerciali e di un parcheggio. Rischi: difficoltà da parte delle amministrazioni nella manutenzione di questa tipologia di impianti. Criticità amministrative per l’attuazione del progetto: coordinamento tra Provincia e Comune. Criticità organizzative per l’attuazione del progetto: coordinamento degli interventi previsti nel territorio. Principali normative di riferimento, strumenti urbanistici e di programmazione: P.R.G. - P.U.C. - P.U.A. Fabbisogni locali a cui risponde l’intervento: carenza di spazi pubblici organizzati, maggiore chiarezza dei luoghi, fruizione dell’area ventiquattr’ore su ventiquattro, rilancio di attività turistiche e commerciali. Bacino di utenza: ambito sovracomunale. Fonti di finanziamento: risorse pubbliche e private. Risultati attesi e impatti previsti dal progetto: miglioramento delle condizioni di accessibilità, fruibilità e vivibilità dell’area dell’Acropoli. Rivalutazione turistico/commerciale. Modalità di coinvolgimento di operatori del settore privato: concessione a consorzio di privati.
* Le schede individuali di analisi e delle attività di progetto elaborate dagli allievi del master hanno un contenuto formativo che affronta fin dall’inizio dell’attività di progettazione il tema della fattibilità. Questa viene fin dal principio percepita come processo. La Governance di progetto infatti deve tener conto di tutte le difficoltà istituzionali, tecniche, finanziarie, amministrative e sociali che il progetto può incontrare durante il percorso che porterà alla realizzazione. La scheda progettuale accompagna il lavoro dei progettisti e si modifica durante il percorso allo scopo di ottenere la cosiddetta Compliance del processo di elaborazione allo scopo di favorire la comprensione completa del trade off tra identità del progetto e compromessi tecnici e finanziari per la sua realizzazione.
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Il salto di quota:una nuova porta per la città L’arco ideale che lega Castel Capuano a S.Aniello a Caponapoli, tracciato seguendo lo sviluppo dell’antica murazione vicereale, è la direttrice lungo la quale vive un’area di Napoli che, pur presentando importanti testimonianze storiche ed emergenze architettoniche, è sempre rimasta in posizione marginale rispetto al cuore del centro antico. La maglia ortogonale di cardini e decumani ha sempre mantenuto nel tempo una sua piena e autonoma immagine in contrapposizione con le zone extramurali. Tale distinzione dovuta, sia alla natura stessa dei luoghi, sia alla loro genesi ed alle condizioni sociali ed economiche dei tempi passati ancora oggi è ben visibile. L’area oggetto di studio, frammentaria e degradata, tuttavia, nasconde grandi potenzialità e manifesta puntuali episodi di riscatto sociale e culturale (Madre, Lanificio25) che dovrebbero fungere da traino per ulteriori sviluppi dell’area. Il progetto, pertanto, si muove su una duplice direzione: riallacciare questi luoghi al nucleo del centro antico e conferire loro una qualità architettonica e sociale, recuperando e valorizzando le rilevanti preesistenze. Via dei Tribunali: è da qui che il progetto muove i suoi passi ipotizzando di srotolare il decumano maior oltre il suo rettilineo sviluppo e rafforzandone il suo valore al di là della maglia. Un fil rouge che, attraversando spazi pubblici e soprattutto le corti degli edifici, leghi e tenga a sé le parti, seguendo un percorso che parta da Castel Capuano, e passando per porta Capuana investa il complesso di Santa Caterina a Formiello con il Lanificio, risalendo lungo S. Giovanni a Carbonara, riallacciando a differenti quote le torri della murazione vicereale, abbracciando la caserma Garibaldi e lungo via Settembrini giunga infine a S. Aniello a Caponapoli. Tale percorso si esplica attraverso il recupero delle corti dei manufatti interessati dalla proposta: gli spazi aperti di Castel Capuano, del Lanificio, della Caserma Garibaldi, infatti, potrebbero essere restituiti alla collettività, grazie all’inserimento ed allo sviluppo di attività artigianali, di
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svago, turistiche. Gli stessi manufatti esistenti, dimessa la loro attuale funzione - ad eccezione del Lanificio per la sua attuale complessità funzionale - potrebbero diventare nuove polarità culturali ed artistiche per la città, inserendovi laboratori, centri di ricerca universitaria, sedi di visual art e altro ancora. Il progetto inoltre ridisegna anche gli spazi pubblici legati alla mobilità viaria: il dilatato spazio di S. Giovanni a Carbonara, oggi ridotto ad un parcheggio selvaggio e disordinato, nega la possibilità di usufruirne ai residenti ed agli occasionali avventori. Collocando al di sotto della quota stradale un parcheggio e liberando pertanto gli spazi esterni si manterrebbe la percorrenza viabilistica accompagnata dal ridisegno degli spazi pubblici.
Infine risalendo lungo via Settembrini, che assume il valore di quarto decumano, si effettua un immaginario salto dalla storia alla contemporaneità. In corrispondenza, infatti, delle rampe di M. Longo il progetto propone un intervento di sostituzione edilizia, ipotizzando l’abbattimento dell’edificio scolastico realizzato dall’architetto Guerra e realizzando un nuovo sistema di spazi aperti. Questi, articolati in una serie di rampe, non solo completano la promenade lungo la murazione vicereale, ma consentono anche un nuovo sistema di risalita all’Acropoli, ponendosi come una nuova porta alla città antica. In alto: planimetria dell’area d’intervento Sopra: concept del masterplan
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mura vicereali Viceroyal Walls demolizione delle mura vicereali demolition of Viceroyal Walls giardini pubblici Public Gardens edificio scolastico di Camillo Guerra School Building by Camillo Guerra metropolitana e sistemazione di piazza Cavour Underground Station and new design of piazza Cavour
XVI secolo Già dal 1532 la cinta muraria vicereale è spostata in avanti lasciando uno spazio considerevole tra l’abitato e le nuove mura; questa configurazione cinquecentesca si manterrà, nelle successive edificazioni.
XVI secolo XVI century
XIX secolo XIX century
XIX secolo secondo ventennio XIX century second twenties
1947-1954
1999-2005
2007
XIX secolo Nel XIX secolo Gioacchino Murat realizza una cortina a soli due piani. Questa nuova situazione della città, superando l’antico rapporto intra moenia ed extra moenia, si estende verso l’esterno mantenendo l’antico rapporto volumetrico e di paesaggio. XIX secolo secondo ventennio Nella seconda metà del XIX secolo il progetto murattiano si interrompe: lungo via Foria comincia a configurarsi un giar-
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dino parallelo all’andamento dell’opposto fronte e quando nel1860 si delinea il taglio di via Duomo prende forma l’isolato trapezioidale tra porta S.Gennaro,via Foria e via Settembrini. 1947-1954 Nell’immediato dopoguerra la situazione edilizia cambia notevolmente la percezione della città antica: l’accesso a questa viene celato dall’enorme edificio di Camillo Guerra avvolto dalle rampe Maria Longo ed arretrato rispetto al profilo stradale. 1999-2005 Nel 1999 Gae Aulenti progetta la stazione museo della nuova metropolitana collinare e il ridisegno degli spazi esterni, riconfigurando l’intera piazza.
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Incurabili, ma l’intervento di Camillo Guerra, arretrato rispetto al profilo stradale, li cela, insieme all’antica Acropoli. Le diverse quote che l’orografia della città offre diventano importante spunto progettuale: è da questo salto di quota ed anche dalla volontà di restituire alla città l’antica Acropoli che nasce l’idea di creare un sistema di risalita al centro antico. Questo si articola in una serie di rampe che nel loro sviluppo accompagnano il naturale andamento del suolo, consentendo una promenade all’aperto che si snoda dalla quota inferiore di piazza Cavour a quella più alta di S.Aniello a Caponapoli.
2007 Nella variante al Piano Regolatore Generale redatto per la città di Napoli è prevista la demolizione dell’edificio scolastico. Questo permetterebbe alla città antica di poter essere nuovamente disvelata. La sezione stradale mostra chiaramente il salto di quota esistente. L’andamento orografico metterebbe in evidenza naturalmente gli edifici dell’ospedale degli
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L’area interessata dalla proposta progettuale è quella su cui attualmente sorge l’edificio scolastico, realizzato nel 1954 dall’architetto Guerra, la cui imponente mole non solo scompagina le regole compositive della cortina edilizia murattiana su via Foria, ma nasconde soprattutto l’area dell’antica Acropoli che si sviluppa alle sue spalle. Questa forte cesura costituisce un muro invalicabile che nega ogni possibile rimando visivo e percettivo tra la quota più bassa, corrispondente a piazza Cavour, area extramurale nell’antica Neapolis, e la più alta, coincidente con il pianoro scelto dai greci 2300 anni prima per l’insediamento della città. Ricevendo le indicazioni della variante al Piano Regolatore Generale, che prevede tra i possibili interventi anche quello della ristrutturazione edilizia, si ipotizza a base del progetto la demolizione di tale fabbricato. Tale scelta apre pertanto uno scenario progettuale non solo limitato all’area di sedime dell’edificio in questione, ma esteso anche all’immediato contorno, costituito attualmente dalle rampe Maria Longo. L’intento progettuale muove dalla volontà di conferire a questi luoghi il carattere di una nuova porta alla città storica, in continuità con la ben più antica e vicina porta S.Gennaro che proprio su questo fronte consentiva nell’antichità il passaggio attraverso l’imponente bastione. Di questo sono ancora evidenti nell’area di progetto pochi ma importanti elementi di diverse epoche, lasciati purtroppo in stato di degrado, nascosti ora dalle costruzioni ora dallo stesso manto stradale della carreggiata. Queste testimonianze storiche, riportate in luce nel progetto, diventano veri punti di forza , cardini intorno a cui si organizza il nuovo sistema di risalita all’acropoli, rafforzando ed avvalorando le nuove spazialità in gioco. L’ubicazione strategica del sito, l’attestarsi su un asse viario ad alto scorrimento, la vicina presenza della stazione della metropolitana del Museo, la
Risalita all’Acropoli: planimetria e sezione longitudinale di progetto
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spazi polifunzionali piano tipo parcheggio rampe esterne collegamenti
necessità di decongestionare la zona al margine del centro cittadino, sono in sintesi alcuni dei tanti fattori che inducono alla scelta di dotare quest’area di un parcheggio multipiano. Questo, distinto in parcheggio di destinazione e ad uso privato, è costituito da cinque livelli, di cui quattro interrati ed uno fuoriterra per un totale di circa 600 posti. Il cuore del progetto è costituito dal sistema dei percorsi e collegamenti, sia al chiuso che all’aperto. All’interno il sistema dei collegamenti muove i suoi passi dalla metro del Museo, prevedendo la realizzazione di un sottopasso che colleghi questa, e di conseguenza anche la metro di piazza Cavour, al nuovo manufatto. Inoltre, gli assi di progetto che conformano le rampe esterne prendono forma e struttura accogliendo al loro interno scale, nonché servizi, che distribuiscono l’utenza ai differenti livelli. Superati, infatti, i primi tre piani del parcheggio si articolano spazi polifunzionali (bar, libreria, sale espositive), All’esterno questi collegamenti diventano rampe che, attestandosi longitudinalmente sul fronte stradale di via Foria e ridisegnandone l’allineamento perso, si dilatano quasi ad assumere le dimensioni di piazze inclinate. Tale promenade, ad
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uso pedonale ed affiancata da una corsia di emergenza, collega piazza Cavour, via Settembrini ed infine S.Aniello a Caponapoli, posti a differenti quote. Viene così consentito al cittadino, ora costretto a superare questo forte salto di quota lungo piccoli marciapiedi il più delle volte occupati da auto in sosta vietata, di riappropriarsi di tali spazi.
Sopra: pianta tipo del parcheggio interrato A destra: schema funzionale del progetto Pagina a fianco: sezioni di progetto
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Sotto: pianta dello spazio pubblico polifunzionale; a sinistra: dettaglio dell’ipotesi di arredo urbano; sopra e nella pagina a fianco: viste dello spazio pubblico polifunzionale
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In questa pagina: viste dei plastici di studio A destra: immagine dell’ingresso dello spazio pubblico polifunzionale
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Mura Nordorientali Lanifico Sava
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raquel diniz oliveira
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Italia
giovanna togo
Italia
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Il primato della sintesi tra progetto e restauro Mino Vocaturo
Il percorso formativo compiuto dai giovani allievi architetti, attraverso il corso di laurea, risulta estremamente frammentato in diverse discipline disconnesse tra loro. Per i più fortunati di essi, la tesi di laurea rappresenta la sintesi delle conoscenze, il punto in cui convergono tematiche generali del progetto, come il rapporto tra il manufatto di architettura e il suo contesto, l’esigenze di tutela e d’innovazione del patrimonio storico architettonico posto alla base della stratificazione e della vita delle città contemporanee. L’esperienza del gruppo di lavoro qui presentato si è manifestata come un’occasione per operare concretamente all’interno di un tessuto urbano consolidato da una stratificazione millenaria, quale è il centro antico di Napoli, fornendo soluzioni che non vogliono essere per loro stessa natura ‘uniche’, ma, nella loro concretezza, sviluppare attraverso la sperimentazione progetti capaci di innescare dibattito sulla riqualificazione dei tessuti urbani. La ricerca progettuale sviluppata da tre dei quattordici giovani architetti partecipanti al corso di master, investe una vasta area contraddistinta nella Variante al P.R.G. come Ambito 22: Mura nord-orientali. In essa sono leggibili i vari strati che la storia ha depositato non solo attraverso i monumenti, come la cinta fortificata aragonese, la chiesa di Santa Caterina a Formiello e il complesso costituito dai chiostri, o ancora le trasformazione in fabbriche ottocentesche del lanificio Sava, ma anche un insieme di valori ambientali costituiti da cunicoli, passaggi, corti, che creando intersezioni spaziali a differente quota, forniscono una lettura oltre che urbanistica e architettonica anche sociale e culturale del centro antico partenopeo. La ‘metamorfosi’ a cui tende l’intervento è quella di lavorare ai ‘margini del centro antico’, organizzando e mettendo a sistema una successione di spazi, infiltrando ramificazioni all’interno della maglia compatta e regolare di matrice greco-romana, con lo scopo di ricucire il sistema urbano, attraverso il riuso e la riconversione di edifici, corti e spazi di pertinenza, lungo un percorso che da Castel Capuano a San Giovanni a Carbonara attraverso via Settembrini e risalendo verso piazza Cavour, si riallacci all’Acropoli suggerendo con quest’ultima una possibile testa di ponte per un
rinnovato sistema urbano. L’indirizzo pluridisciplinare dei laboratori attivati al corso, e l’esperienza di professionisti di diversi settori disciplinari, sono confluiti, nel progetto di seguito presentato, attraverso un processo di sintesi da ‘primato’. L’attività di ricerca progettuale, certosinamente imbastita dagli studenti sul tema proposto, ha ribadito il principio che l’operazione di restauro è un momento fondamentale di pensiero. Saper leggere i vari strati di storia depositati nella straordinaria fisicità della città di Napoli, ha indicato una metodologia d’intervento minimalista, procedendo, principalmente, per sottrazione di piccole parti con l’intendo di esaltare il rapporto tra ‘antico e nuovo’ in una dialettica tutta protesa al futuro.
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Lanificio Sava
Mura Nordorientali
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Ente ospitante: Comune di Napoli. Denominazione progetto: complesso multifunzionale Lanificio - centro per le arti e le arti applicate Tipologia di progetto: progettazione / Riqualificazione di un complesso esistente. Soggetti promotori del progetto: sovvenzione globale: Comunità Europea - Regione Campania - Comune di Napoli - Privati. Descrizione sintetica del progetto: intervento soft sull’esistente, eliminazione degli abusi per maggior salubrità e fruizione dello spazio - mantenimento della local life - concetto di balance dell’esistente (tutte le funzioni attualmente esistenti se spostate al fine dell’eliminazione degli abusi vengono ricollocate in spazi oggi abbandonati). Principali obiettivi del progetto: miglioramento delle condizioni di vita, mantenimento delle funzioni, incremento della connettività tra i luoghi. Principali caratteristiche del sistema territoriale locale: si evidenzia la presenza all’interno del complesso di quattro torri della murazione Aragonese, di un chiostro risalente al 1501 e rimanenti elementi del vissuto industriale sovrapposti a quelli monasteriali. Collegamento del progetto con altre iniziative in corso nel territorio: il progetto si collega attraverso una strategia di masterplan ad altre iniziative all’area delle mura nord-orientali. Analisi SWOT ( S-trengs W-eakness O-pportunities T-hreats) Punti di forza: mantenimento della local life, riconnessione e riqualificazione di edifici abbandonati, miglioramento della vivibilità. Punti di debolezza: eccessiva frammentazione della proprietà pubblica e privata. Opportunità: nuove opportunità di lavoro e apprendistato. Rischi: difficoltà nel reperire i fondi necessari. Criticità amministrative per l’attuazione del progetto: burocrazia. Criticità organizzative per l’attuazione del progetto: coordinamento tra i proprietari - coordinamento tra Europa e Regione - coordinamento tra Europa e organismo intermedio. Principali normative di riferimento, strumenti urbanistici e di programmazione: P.U.C. - P.U.A. Fabbisogni locali a cui risponde l’intervento: maggiore connettività tra gli spazi, migliori condizioni di luce e igiene,messa in sicurezza delle parti pericolanti. Bacino di utenza: ambito sovracomunale. Fonti di finanziamento: risorse pubbliche e private. Risultati attesi e impatti previsti dal progetto: miglioramento delle condizioni di accessibilità,fruibilità e vivibilità dei vari ambienti. Rivalutazione economica.
* Le schede individuali di analisi e delle attività di progetto elaborate dagli allievi del master hanno un contenuto formativo che affronta fin dall’inizio dell’attività di progettazione il tema della fattibilità. Questa viene fin dal principio percepita come processo. La Governance di progetto infatti deve tener conto di tutte le difficoltà istituzionali, tecniche, finanziarie, amministrative e sociali che il progetto può incontrare durante il percorso che porterà alla realizzazione. La scheda progettuale accompagna il lavoro dei progettisti e si modifica durante il percorso allo scopo di ottenere la cosiddetta Compliance del processo di elaborazione allo scopo di favorire la comprensione completa del trade off tra identità del progetto e compromessi tecnici e finanziari per la sua realizzazione..
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1 Evoluzione storica 1501-1543 (fig.1) La chiesa di S. Caterina a Formiello e il suo chiostro risalgono al XV secolo, ma è all’inizio del 1500 che parte l’espansione del complesso che oggi chiamiamo Lanificio. Infatti nel 1501 vennero realizzate sul lato nord orientale del chiostro la Sagrestia e la Sala Capitolare. 1543-1571 (fig.2) Nel cuore dell’insula monastica viene innalzata l’imponente fabbrica del Chiostro Grande dell’Ospedale Nuovo, realizzata nell’arco di trent’anni, mentre nel 1556 viene costruita la Porta Maggiore del Convento e la Cisterna Grande del Formale, per portare l’acqua alla quale verrà scavata una rete di cunicoli nel banco di tufo. 1571-1575 (fig.3) L’Infirmaria Nuova sarà ultimata solo nel 1571: l’opera interessava il margine orientale dell’Insula e si sviluppava dalla torre fortificata della Duchesca lungo la strettoia di S. Caterina, dove oltre agli orti del convento vi erano una serie di edifici privati che vennero acquistati. Nel 1620 il corpo dell’Infirmaria verrà allungato e si avvierà la costruzione del nuovo Refettorio sul lato corto del chiostro. Nel 1611 viene aperta la Spetiaria, con la quale si avvia un processo di addizione che salda le fabbriche claustrali agli edifici che prospettano su via Giovanni a Carbonara, determinando una trasformazione degli spazi aperti del convento. 1575-1880 (fig.4) Nel 1823 il complesso viene destinato ad ospitare il Lanificio dei Sava: nel 1845 viene realizzata la ciminiera tronco piramidale e l’edificio a forma di tempietto con serliana sul fronte. Nella metà del XIX secolo vengono tamponati gli archi del chiostro piccolo e si realizza una singolare copertura lignea che trasforma la corte monastica in ambiente per la lavorazione della lana.
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1880-1993 (fig.5) Questi sono gli anni successivi alla cessazione della produzione della lana e del ritorno dell’immobile al Demanio. Alla fine del 1800 erano state avviate all’interno dei locali dell’ex-lanificio numerose attività: drogherie, vendita di pasta, colorifici, fabbriche di guanti, di lime, di sapone, laboratori, scuole e depositi. 6
1993-2007 (fig.6) Gli ultimi anni fino ad oggi vedono l’ex lanificio svuotarsi dalle miriadi di funzioni presenti e lasciar posto all’abbandono e all’abuso. Ci troviamo di fronte un complesso che, se al di fuori ha conservato un’omogeneità formale, all’interno è un confuso e degradato microcosmo urbano.
sotto: immagini del modello di studio
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concept sistema delle connessioni orizzontali
sistema delle connessioni verticali
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sistema degli spazi aperti
sistema delle funzioni
spazi per la cultura spazi espositivi ristoro+foresteria
aree in uso aree inutilizzate centro interuniversitario nuove residenze
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A sinistra e in alto: planimetria e pianta del piano terra del Lanificio Sava Sopra: foto del modello di studio di una delle torri
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Recupero del Lanificio Sava Le prime notizie documentate di un convento e di un ospedale dei Celestini risalgono al 1451 e al 1477, ma è nel 1514 che si inizia a portare a compimento il chiostro grande con due piani di arcate. Tra il 1611 e il 1617 viene totalmente ricostruita un ala del convento e, in ambienti vicini alla farmacia, viene allestito un museo. Il monastero è soppresso e addetto, nel 1806, ad uso di padiglione degli ufficiali della Guarnigione; ma nel 1814 diviene Opificio, destinazione che provoca modifiche del complesso e nuova edificazione dal lato dei ‘fossi’ lungo la murazione tra il 1830 e il 1840. Con un decreto reale del 1823, il Monastero viene concesso a Raffaele Sava che vi impiantò un lanificio nel quale lavoravano detenuti provenienti dal reclusorio dell’albergo dei poveri. Nel 1833 i detenuti cresciuti di numero abitarono nel monastero che era ormai una prigione; dopo l’Unità d’Italia e un contenzioso con i Sava, il Monastero, nel 1876, torna al demanio. Da allora, con il progressivo smantellamento della struttura del lanificio, il complesso si è smembrato nella struttura proprietaria ed è utilizzata per parziali, disomogenee proprietà. Il progetto di recupero del Complesso di Santa Caterina a Formiello opera su un doppio livello: urbanistico ed architettonico. Si basa su un’ attenta analisi storica del processo di trasformazione dell’area delle mura nord-orientali e pone attenzione in particolare a due aspetti fondamentali: - la presenza nell’area di quattro torri e degli ultimi tratti, ancora oggi visibili, di murazione aragonese. - un complesso sistema di corti semi-pubbliche che costituiscono il vero motore per una riqualificazione funzionale e sociale dell’area, diventando luogo privilegiato di quel modo tutto napoletano di ‘ vivere la strada’. Questi elementi vengono considerati come punti di partenza e di arrivo dell’intero progetto. Il tratto rimanente della murazione che affaccia su Piazza San Francesco di Paola e le torri di Porta Capuana e Sant’Anna vengono inserite in una nuova logica funzionale; la scelta di inserirvi attività di tipo culturale ed espositivo suggerisce oltre ad un tradizionale intervento di pulitura e recupero, una volontà di restituire uso e vitalità a parti della città attualmente non utilizzate, suggerendo la possibilità anche di sfruttare l’antico percorso sopra le mura all’interno di un circuito turistico.
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A oggi sono già evidenti interventi ad opera di privati e di Istituzioni locali, in piccole parti del complesso, segni di un interesse, che si sta consolidando, seppur lentamente per questa zona della città. Le corti del Lanificio e l’intervento su di esse vanno inevitabilmente lette in relazione alle suggestioni progettuali ipotizzate per l’intera area delle mura nord-orientali, ed in particolare per Castel Capuano, imponente edificio storico. Le corti del grande Castello ci suggeriscono nuove funzioni ai piani terra, nuove attività pubbliche, anche di tipo commerciale che possano far vivere i vuoti interni non come spazi chiusi ma come proseguimento dello spazio pubblico, delle strade e delle piazze. Nella stessa logica, si opera all’interno del Lanificio, in cui nuove destinazioni d’uso e la liberazione dei porticati e di altri spazi negati dall’abuso, riqualificano e restituiscono alla città una sua parte sconosciuta. Il Lanificio Sava, complesso fortemente stratificato, in cui storia e modernità si intrecciano, vive oggi di contrasti, convivenze funzionali ed abbandono; caratterizzato da una condizione strutturale complessa di relazione tra residenza e monumento, pubblico e privato, antico e moderno, costituisce uno dei punti nodali, più difficili e decisivi d’intervento nella città storica. Le sue corti, oggi depositi, affaccio di laboratori e parcheggi, conservano antichi porticati, cui la luce viene negata, svettanti ciminiere, torri e mura, segni di una ‘ricchezza’ passata. Artisti, operai, residenti si incontrano nei meandri dei corridoi e tra scale impro-
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babili; tutto questo costituisce un patrimonio fisico e culturale ignorato da gran parte della città, che il progetto intende riscoprire, recuperare e restituire alla comunità. L’intervento prevede la rifunzionalizzazione dei settori abbandonati attraverso l’introduzione di
laboratori per artigiani che si affianchino a quelli esistenti; alcuni spazi del complesso, un tempo convento, poi industria ed infine carcere, saranno destinati ad attività universitarie inserendovi laboratori multidisciplinari (modellistica, visual art, scenografia, fotografia,…).ed una foresteria loca-
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Pagina precedente: modelli di studio di una delle facciate della corte interna del Lanificio Sava. A sinistra: piante di progetto del Lanificio. Sotto: schema distributivo. centro espositivo centro interuniversitario bar laboratori residenze spazi per la cultura commercio ristorante foresteria artigianato esistente residenze esistenti
lizzata nel corpo adiacente la chiesa di S. Caterina a Formiello. La volontà di far rivivere questi luoghi sia di giorno che di notte si esplica attraverso la localizzazione di attività di tipo commerciale, culturale ed espositivo e di ristoro soprattutto nelle corti.
Si prevede, inoltre, all’interno della corte dei Cetrangoli di ripristinare il sistema di arcate e passaggi porticati, oggi negato, al fine di una migliore connessione tra le corti e fruibilità degli spazi.
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A sinistra: modelli di studio della rifunzionalizzazione della Torre S. Anna Pagina accanto: sezioni di progetto
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A destra: schema assonometrico delle connessioni al piano terra. Sotto: sezioni di progetto. Pagina accanto: viste a confronto dello stato attuale e di progetto dell’ingresso al Lanificio Sava.
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A destra e nella pagina accanto: viste a confronto dello stato attuale e di progetto degli spazi aperti interni al Lanificio Sava. .
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Insula Incurabili Residenze per studenti in via Armanni
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sabrina abreu diaz Spagna
marie mincke
Belgio
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Spazi Porosi Anna Sirica
L’affascinante ricerca che di seguito viene presentata nasce dalle forti suggestioni che il centro antico napoletano ha indelebilmente impresso nelle due giovani professioniste straniere (Marie, belga, sedotta a tal punto dal fascino della città da lamentarne, oggi che è altrove, la lontananza e la spagnola Sabrina, la cui algida espressione si scioglie in un caldo sorriso quando la si interroga sulla sua esperienza italiana) il cui lavoro è riprova dell’effetto da ‘Alice nello specchio’ che Napoli provoca nei suoi avventori, generosamente rivelandosi con tutte le proprie contraddittorie meraviglie. Tutte le immagini elaborate, gli schizzi, le foto, i modelli di studio, le didascalie, le indagini svolte sul campo riportano d’istinto alla mente le parole con cui Walter Benjamin il secolo scorso raccontava Napoli, definendola ‘città porosa’: «L’architettura è porosa quanto questa pietra. Costruzione e azione si compenetrano in cortili, arcate e scale. Ovunque viene mantenuto dello spazio idoneo a diventare teatro di nuove impreviste circostanze. Si evita ciò che è definitivo, formato … Nulla viene finito o concluso … I cantieri vengono usati come teatro popolare. Tutti si dividono in un’infinità di ribalte animate simultaneamente. Balcone, ingresso, finestra, passo carraio, scala e tetto fanno contemporaneamente da palco e da scena … La porosità è la legge che questa vita inesauribilmente fa riscoprire … La vita privata è frammentaria, porosa e discontinua … La strada penetra all’interno delle case … Compenetrazione di giorno e notte, rumori e silenzio, luce esterna e oscurità interna, di casa e strada»1.
La ‘Porosità’ sembra essere infatti la sineddoche preminente in questa loro sperimentazione progettuale, alla ricerca di una modalità d’intervento sul tessuto urbano che permetta, grazie ad una rielaborazione di istanze proprie della forma urbis, di individuare delle proposte che abbiano come fine quello della rigenerazione dell’esistente, riaffermandone la contemporaneità senza perderne anzi enfatizzandone – l’identità. Il loro intento è difatti quello di integrare nuovo e antico attraverso una sequenza di spazi che «gradualmente passino da una condizione pubblica ad una semi-pubblica fino a quella privata, generando un’alternanza di edifici antichi, nuova architettura e spazi pubblici aperti […] sviluppando ed
interpretando la tipologia edilizia ricorrente dell’edificio con corte e giardino interno, molto diffusa nell’intero Centro Antico» partendo «dall’esperienza delle condizioni urbane del Centro Antico e dall’atmosfera delle sue strade e dei suoi spazi pubblici, dalla loro scala e dalle loro dimensioni». Lo stesso tipo di atteggiamento viene riservato alla sperimentazione architettonica, dove la reinterpretazione degli elementi compositivi più consueti eseguita attraverso un opportuno dinamismo modulare permette di assistere al dialogo tra equilibrate forme contemporanee e consolidate preesistenze. Risultato dell’esperimento progettuale è un’interessante susseguirsi in pianta, in alzato, in sezione, di pieni e vuoti, di luci e ombre, di ambienti collettivi e domestici, che dinamicamente si trasformano gli uni negli altri dando vita ad un organo architettonico che felicemente si colloca all’interno del corpo urbano al quale si riallaccia con precisione nel condividerne i flussi vitali. Walter Benjamin e Asja Lacis, Immagini di città, in AA. VV., Anni Venti e dintorni, Guida, Napoli 1979 1
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Residenze per studenti in via Armanni Insula Incurabili
SCHEDA INDIVIDUALE DI ANALISI PROGETTO/ATTIVITA’*
Ente ospitante: Comune di Napoli. Denominazione progetto: residenze per studenti in via Armanni. Tipologia di progetto: variazioni sulla tipologia a corte napoletana. Soggetti promotori del progetto: CEE, Regione Campania, Comune di Napoli, Università, privati. Descrizione sintetica del progetto: riqualificazione, per fasi, dell’area attraverso l’aggregazione di tipologie edilizie a corte in relazione ad una struttura preesistente attraverso una diversificata organizzazione dei piani terra, contemplando la possibilità di coinvolgimento di diversi progettisti nello sviluppo della strategia generale. Principali obiettivi del progetto: pianificazione dei piani terra attraverso usi diversificati relativi sia alla vita domestica che civica per sviluppare ipotesi di trasformazione e riqualificazione del costruito. Principali caratteristiche del sistema territoriale locale: riuso della tipologia residenziale edilizia dominante, adattata a condizioni di vita contemporanee ed alle attuali esigenze di sostenibilità a partire dalla forma urbana (densità/vuoto, infrastruttura, materialità, tipologia edilizia predominante). Collegamento del progetto con altre iniziative in corso nel territorio: il progetto è sviluppato in accordo con gli strumenti urbanistici vigenti per quanto concerne la demolizione e ricostruzione degli edifici e la creazione di una nuova relazione tra l’antica Acropoli e il centro antico nel suo insieme. Analisi SWOT ( S-trengs W-eakness O-pportunities T-hreats) Punti di forza: flessibilità, adattabilità, commistione funzionale, diversità, contestualizzazione, sviluppo per fasi successive. Punti di debolezza: difficoltà di impianto e conduzione del cantiere in un contesto densamente edificato ed abitato. Opportunità: inserimento di architettura contemporanea in contesti storici. Rigenerazione dell’area e di uno dei principali percorsi storici di accesso al centro antico attraverso edifici che ospitino differenti funzioni e creando nuovi flussi di movimento. Rischi: speculazione connessa all’aumento di valore degli immobili limitrofi. Criticità amministrative per l’attuazione del progetto: trasparenza nell’assegnazione degli incarichi e degli appalti. Manutenzione degli spazi pubblici e semipubblici. Criticità organizzative per l’attuazione del progetto: coordinamento in rapporto agli edifici esistenti e alle diverse fasi di costruzione. Principali normative di riferimento,strumenti urbanistici e di programmazione: PUC, PUA, normative antisismiche, … Fabbisogni locali a cui risponde l’intervento: non costituisce una risposta ma un’integrazione ai bisogni locali. Bacino di utenza: studenti e docenti universitari. Fonti di finanziamenti: pubblici e privati. Risultati attesi e impatti previsti dal progetto: più ampia relazione tra piazza Cavour e il cuore del centro antico e le varie strutture universitarie e riqualificazione della strada. Modalità di coinvolgimento di operatori del settore privato: da definirsi sulla base di una chiara struttura di finanziamenti pubblico-privati del progetto.
* Le schede individuali di analisi e delle attività di progetto elaborate dagli allievi del master hanno un contenuto formativo che affronta fin dall’inizio dell’attività di progettazione il tema della fattibilità. Questa viene fin dal principio percepita come processo. La Governance di progetto infatti deve tener conto di tutte le difficoltà istituzionali, tecniche, finanziarie, amministrative e sociali che il progetto può incontrare durante il percorso che porterà alla realizzazione. La scheda progettuale accompagna il lavoro dei progettisti e si modifica durante il percorso allo scopo di ottenere la cosiddetta Compliance del processo di elaborazione allo scopo di favorire la comprensione completa del trade off tra identità del progetto e compromessi tecnici e finanziari per la sua realizzazione..
Pagina precedente: Individuazione dell’area di studio (in bianco) e di quella di progetto (in rosso).
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area disabitata
stratificazione della città_masterplan
studio sulla densità
ingresso su piazza Cavour
matericità
modello concettuale
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area d’intervento
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corte
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Confronto delle sezioni stradali
Sequenza di spazi Il progetto riguarda l’area compresa fra l’Ospedale degli Incurabili e l’area dei Teatri greco-romani. Il PRG consente la demolizione di due edifici del XX secolo che ricadono nell’area, attualmente in grave stato di degrado, e prevede il restauro di due piccoli edifici, anch’essi in grave stato di abbandono ma di rilevante valore storico. Questi ultimi fanno parte del complesso monastico ‘delle Trentatré’ e appartengono alla Curia. Tutta l’area presenta condizioni di bassa densità edilizia ed è caratterizzata da condizioni locative degli edifici estremamente basse. Attraverso un dialogo fra l’architettura antica e quella nuova, un intervento progettuale in questa zona può configurare un nuovo tessuto di connessione fra il Centro Antico e l’area di Piazza Cavour, rivitalizzando le attività presenti nella zona e così contribuendo alla sua rigenerazione. Dopo tutta una serie di analisi e di studi riguardanti l’architettura del Centro Antico, le sue condizioni di densità, la sua stratificazione, le sue condizioni fisiche, la sua storia, è stato elaborato una sorta di masterplan dell’area, che tiene conto delle indicazioni del PRG ed individua la possibilità di introdurre nuova architettura in questo contesto storico.
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confronto delle tipologie di finestre
Sopra: confronto pieni e vuoti in planimetria In alto a destra: modelli di studio
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Il progetto intende proporre una successione di spazi che derivano dall’esperienza delle condizioni urbane del Centro Antico e dall’atmosfera delle sue strade e dei suoi spazi pubblici, dalla loro scala e dalle loro dimensioni. Dal Chiostro degli Incurabili a Via Anticaglia, una sequenza di spazi, che gradualmente passano da una condizione pubblica ad una semi-pubblica fino a quella privata, genera un’alternanza di edifici antichi, nuova architettura e spazi pubblici aperti, con corti e giardini, sviluppando ed interpretando la tipologia edilizia ricorrente dell’edificio con corte e giardino interno, molto diffusa nell’intero Centro Antico. In relazione all’obiettivo finale del complessivo progetto per il Centro Antico, che prevede la realizzazione della Cittadella degli Studi, con la realizzazione di residenze per studenti e docenti, il progetto per quest’area sta attualmente sviluppando una serie di modelli di studio che ricercano il modo di adattare la tipologia conventuale del monastero alla funzione residenziale. Il progetto prevede la suddivisione dell’area d’intervento in sei nuovi edifici, due dei quali sono integrati con gli edifici storici da restaurare; i piani terra sono concepiti per ospitare una serie di funzioni pubbliche, sia per gli studenti che per i cittadini, come biblioteche, teatro all’aperto, spazi per il commercio, ristoranti, caffè, internet point, etc. Gli spazi per la residenza sono ipotizzati come risultanti di un si-
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stema modulare, in analogia con la successione di celle del monastero, ma con un più generoso volume complessivo; la dimensione di ciascun modulo-cellula è di 3x6x5 metri, il che consente la realizzazione di un doppio livello in alcuni casi ed una varietà di aggregazioni e di tipologie di utenza. Ciascuna cellula è dotata di uno spazio all’aperto, che si ispira – proponendone al contempo una reinterpretazione – ai balconi delle abitazioni storiche napoletane. Questo spazio privato all’aperto permette una flessibilità dello spazio della residenza, resa possibile dal modo in cui esso viene usato, e permette anche di controllare le condizioni di ventilazione e di soleggiamento all’interno dell’abitazione. Il disegno degli edifici, sia all’interno che all’esterno, scaturisce dalla successione di oltre cento cellule abitative, con l’eccezione di una serie di spazi comuni per i residenti. Ciascun piano ospita servizi comuni, come cucine, spazi di relazione, terrazzi. La potenziale varietrà di usi degli spazi aperti privati e la composizione delle facciate offrono un’interessante dinamicità all’ambiente esterno. Il sistema di nuovi edifici intende dialogare con il contesto storico mediante la rielaborazione di condizioni storicamente diffuse nel Centro Antico, sia fisiche (i materiali, ad esempio) che distributive (cortili, passaggi aerei) che semantiche (porosità, stratificazione).
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In queste pagine: modelli di studio della residenza per studenti
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In queste pagine: pianta, sezione di progetto e modelli di studio della residenza per studenti
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In queste pagine: immagini e modelli di studio della residenza per studenti
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riflessioni conclusive
Nicola Di Battista
« Si era capito subito, sin dall’inizio di questa avventura, che l’idea di lavorare oggi, nel 2008, di nuovo sui centri antichi delle città potesse sembrare un po’ folle;
Corvino+Multari
C: «A me piace immaginare l’inizio di una storia, piuttosto che un bilancio di una storia finita.
Quindi, com’è stato detto, la possibilità di creare con le nostre mani un luogo dell’apprendimento più che un luogo della didattica, con i contributi di Rafael Moneo , Alvaro Siza, Edoardo Souto de Moura, David Chipperfield che sono stati occasione per un accrescimento di tutti. Mi piace immaginare, il centro storico di Napoli come pretesto, come un luogo del confronto, della collaborazione, della ricerca,della conoscenza, affidando al progetto la capacità di esplicitarsi sul caso per caso, e prendere quest’occasione come un laboratorio per continuare a contaminarsi, indipendentemente dall’età anagrafica, perché si è architetti sempre, anche quando si scrive, si parla o semplicemente quando si ascolta .
»
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M: «A conclusione del Master, più che parlare di bilanci, mi piace sottolineare l’emozione che oggi, nella giornata conclusiva, abbiamo vissuto insieme
con Alvaro Siza y Vieira, che ci ha parlato in modo straordinario di quello che è il rapporto con il contesto, un contesto come quello del centro storico di Napoli, risultato di una storia straordinaria, una storia che esiste e che ritengo in questo Master i giovani architetti hanno intensamente indagato, attraverso un attento e, in alcuni casi, consapevole lavoro di conoscenza, costruendo un laboratorio di idee e proponendo un loro racconto del contesto, nei progetti, nei modelli, nelle immagini che testimoniano una storia vissuta intensamente e concretamente. Da questa prima esperienza possiamo riflettere in modo nuovo sul centro storico, attraverso una rinnovata idea del progetto e della sua capacità di interazione con l’esistente, come possibile strategia di un sistema dinamico che svela la fisicità, la luce, la dimensione di una città così antica e così attuale. Possiamo ritenere questo un primo contributo alla riflessione sulla città che cambia, che i giovani architetti, provenienti da diversi paesi, attraverso un continuo confronto, hanno avuto occasione discutere con i grandi contemporanei, docenti del Master, David Chipperfield, Edoardo Souto de Moura, Alvaro Siza y Vieira e Rafael Moneo .
»
se non altro in rapporto alla fantasmagoria che interessa invece il dibattito contemporaneo. Ora dopo i tanti mesi passati con voi a lavorare, e viste le tante difficoltà incontrate, possiamo dire che forse un po’ pazzi lo siamo stati davvero. Ma oggi visti i risultati, possiamo anche affermare di aver vinto la nostra scommessa, che era quella di creare insieme a voi un ‘luogo’, un nuovo luogo di Napoli dove lavorare e discutere delle città e dei suoi abitanti, dell’architettura e del suo farsi. E tutto questo a partire di nuovo dal corpus della ‘città bella’. Aver creato con il Master questo luogo, credo sia il nostro maggior risultato. E’ importante sottolineare poi la scelta di campo operata culturalmente, invitando alcuni maestri e non altri a condividere e chiudere il lavoro di questo primo anno. Rafael Moneo, Giorgio Grassi, Alvaro Siza, sono stati per noi una scelta precisa che non vorremmo una tantum, ma ampliata e resa più solida attraverso altri eventi, come la pubblicazione del lavoro fatto, che documenti l’accumularsi di esperienze progettuali che possano servire da base per i lavori futuri. La nostra ambizione maggiore è che questo ‘nuovo luogo’ diventi permanente ed accumuli conoscenza e lavoro, buoni per noi e per altri, architetti, cittadini, imprenditori, amministratori, studenti, sul progetto contemporaneo d’architettura per la città storica .
»
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Pasquale Persico
«Ho scritto una lettera agli allievi, in cui, ho rivolto a me stesso delle domande su quanto abbiamo fatto e su quanto dobbiamo ancora fare,
Ferruccio Izzo
«Penso che, alla fine di quest’anno, il master nel suo complesso abbia messo a fuoco tutta la ricchezza e tutte le lezioni che un centro antico, come quello di Napoli, può offrire,
formando, naturalmente, un potenziale ancora da approfondire e sviluppare. Studiare in questo momento il centro antico di Napoli può costituire una delle più grandi lezioni di architettura e per architetti maturi e per i più giovani. A mio avviso è servito a capire veramente quale deve essere il senso dell’architettura ed a riscoprirne oggi la sua dimensione urbana, evidenziandoci che non è importante l’edificio come oggetto o la sua forma legata ad una condizione estemporanea ed effimera, ma la sua capacità di recuperare ed interpretare l’identità di una città, il senso di un vivere civile. Acquisire tutt’insieme, docenti e studenti, la consapevolezza che il lavoro degli architetti oggi richiede soprattutto un senso di responsabilità civica ed una dimensione che deve essere necessariamente pubblica, ha costituito a mio avviso il più grande arricchimento che la prima edizione del master potesse offrire. L’architetto non può lavorare da solo ed il suo operato acquista senso solo in una condizione di continuità, dove il suo lavoro viene dopo quello di altri e avviene in un tracciato rapportato ad una dialettica tra innovazione e tradizione, avendo consapevolezza della dimensione etica di ciò che si costruisce e si mette in opera .
»
anche in termini di salita di scala soprattutto, del tema che io ho più a cuore che è quello della fattibilità. Abbiamo fatto molta strada perché ci siamo calati nelle regole della città. Abbiamo dovuto riconoscere che la regolamentazione è un valore aggiunto, anche se spesso si tenta in qualche modo di superarla con varianti o con altri meccanismi, che noi pensiamo essere semplici. Se chi ha fatto la regola è una persona colta ed ha avuto delle idee sulla città contemporanea, in qualche modo dobbiamo fare lo sforzo di riconoscere dentro questa regola la possibilità di parlare di città contemporanea. E come noi tutti abbiamo capito, il tema del centro storico, è il vero tema contemporaneo e del futuro .
»
Roberto Vanacore
«Un bilancio dell’esperienza compiuta nel primo anno del master, comprende principalmente una riscoperta del Centro Antico di Napoli come tema di architettura,
collocato tuttavia nell’ambito di un ragionamento progettuale complessivo che si estende anche oltre i suoi limiti fisici. Dallo studio che abbiamo effettuato con gli allievi del Master, il Centro Antico emerge come un organismo sensibile nel quale le tracce chiaramente presenti di un processo di trasformazione millenario – che disegna gli strati di una vera e propria geologia urbana - costituiscono lo sfondo di uno scenario sociale in continua evoluzione. Sembra che in questo luogo si concentrino tutti gli aspetti più conflittuali, più contraddittori, ma anche più potenzialmente dinamici della nostra città. In questo senso si può affermare che il Centro Antico rappresenti oggi la parte più contemporanea della città di Napoli, quella parte dove, secondo me, accanto agli aspetti di crisi e di conflitto, sono maggiormente rintracciabili opportunità di cambiamento e di riqualificazione perseguibili senza imporre modelli di intervento unificanti e totalizzanti, ma sensibili alle infinite, talvolta impercettibili, sollecitazioni del contesto .
»
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eventi e conferenze
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eventi e conferenze
19 gennaio 2007 Inaugurazione master – Presentazione dei temi di ricerca Benedetto Gravagnuolo - Renato De Fusco Ferruccio Izzo - Gaetana Cantone Eduardo Souto de Moura - David Chipperfield 25 gennaio 2007 Gli artifici storiografici per la progettazione architettonica Renato De Fusco 1 febbraio 2007 Gli artifici storiografici per la progettazione architettonica Renato De Fusco Analisi e lettura del Centro storico di Napoli Gaetana Cantone 6 febbraio 2007 Appunti sul Centro storico Fabrizio Spirito 7 febbraio 2007 Laboratorio di arti visive Mimmo Jodice 8 febbraio 2007 Gli artifici storiografici per la progettazione architettonica Renato De Fusco Analisi e lettura del Centro storico di Napoli Gaetana Cantone 02-03 marzo 2007 Revisione critica dei progetti del Master Eduardo Souto de Moura e Nicola Di Battista
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08 marzo 2007 Gli artifici storiografici per la progettazione architettonica Renato De Fusco Appunti sul Centro storico Daniela Gianpaola 15 marzo 2007 Antico e nuovo nel dibattito architettonico contemporaneo Claudio Varagnoli, Introduce Renata Picone 22 marzo 2007 Gli artifici storiografici per la progettazione architettonica Renato De Fusco 29 marzo 2007 Gli artifici storiografici per la progettazione architettonica Renato De Fusco Il piano regolatore di Napoli Roberto Giannì e Laura Travaglini 17 aprile 2007 L’antica Neapolis come cittadella degli studi dibattito con Ambrogio Prezioso, presidente ACEN 17 aprile 2007 Storia e controstoria dell’architettura Pasquale Belfiore Revisione critica dei progetti del Master Pasquale Belfiore e Marco Petreschi 18 aprile 2007 Preesistenza e innovazione nel progetto di architettura Marco Petreschi
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19 aprile 2007 Gli artifici storiografici per la progettazione architettonica Renato De Fusco Antico e nuovo nel dibattito architettonico contemporaneo Renata Picone 10 maggio 2007 Il centro antico di Napoli Giulio Pane Intervento di restauro nel Centro antico di Napoli Mario De Cunzo Sant’Aniello a Caponapoli Ugo Carughi 15 maggio 2007 Revisione critica dei progetti del Master Robert Mull e Stefano De Martino 16 maggio 2007 Revisione critica dei progetti del Master Robert Mull e Stefano De Martino 17 maggio 2007 Appunti sul Centro storico Giancarlo Ferulano 18 maggio 2007 Recent works Corvino + Multari 22 maggio 2007 Appunti sul Centro storico Elena Camerlengo
23 maggio 2007 Appunti sul Centro storico Bruno Discepolo 28 maggio 2007 Revisione critica dei progetti del Master David Chipperfield 09-10 luglio 2007 Revisione critica dei progetti del Master Eduoardo Souto de Moura 25 novembre 2007 Revisione critica dei progetti del Master David Chipperfield, Rafael Moneo, Eduoardo Souto de Moura 16 giugno 2007 La seduzione dell’antico Joseph Rykwert Marino Niola Stefano De Caro 24 novembre 2007 ciclo di conferenze: Architettura contemporanea nella città antica Rafael Moneo 30 novembre 2007 ciclo di conferenze: Architettura contemporanea nella città antica Giorgio Grassi 12 dicembre 2007 ciclo di conferenze: Architettura contemporanea nella città antica Alvaro Siza y Vieira
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struttura
Coordinatore del corso di master Benedetto Gravagnuolo Direttore laboratorio di ricerca progettuale Alberto Izzo Direttore laboratorio di ricerca storico-critica Renato De Fusco Direttore laboratorio di sostenibilità finanziaria e amministrativa Pasquale Persico Direttore laboratorio di arti visive Mimmo Jodice Comitato scientifico Pasquale Belfiore Gaetana Cantone David Chipperfield Claudio Claudi de Saint Mihiel Renato De Fusco Nicola Di Battista Benedetto Gravagnuolo Alberto Izzo Joseph Rykwert Eduardo Souto de Moura Marco Petreschi Fabrizio Spirito Consiglio di direzione Alessandro Castagnaro Vincenzo Corvino Ferruccio Izzo
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Giovanni Multari Roberto Vanacore Docenti laboratorio di ricerca progettuale Alberto Izzo Pasquale Belfiore David Chipperfield Vincenzo Corvino Nicola Di Battista Ferruccio Izzo Giovanni Multari Rik Nys Renata Picone Eduardo Souto de Moura Roberto Vanacore Giuseppe Zampieri Docenti laboratorio di ricerca storico-critica Renato De Fusco Gaetana Cantone Alessandro Castagnaro Benede0o Gravagnuolo Joseph Rykwert Docenti laboratorio di arti visive Mimmo Jodice Alan Fletcher Sol LeWitt Alfredo Pirri Docenti laboratorio di sostenibilità finanziaria e amministrativa Pasquale Persico Guido D’Angelo Luigi Fusco Girard
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Coordinatore Assistenti ai laboratori di ricerca Giovanni Francesco Frascino Assistenti al laboratorio di ricerca progettuale Giovanni Francesco Frascino Giuseppe Moliterni Anna Sirica Mino Vocaturo per gli interventi di restauro: Gianluca Vitagliano Arianna Spinosa Assistenti al laboratorio di ricerca storico-critica Paola Jappelli Giuseppe Maria Montuono Assistente al laboratorio di arti visive Federica Cerami Assistente al laboratorio di sostenibilità finanziaria e amministrativa Felicia Sembrano
contributi disciplinari antropologia culturale Marino Niola archeologia Stefano De Caro, Daniela Giampaola aree verdi storiche Marialuisa Margiotta composizione architettonica Marco Petreschi estetica e critica dell’arte Aldo Trione progettazione urbana Fabrizio Spirito restauro e valorizzazione dei beni culturali Ugo Carughi, Mario De Cunzo, Enrico Guglielmo strutture Gaetano Manfredi tecnologia dell’architettura Claudio Claudi de Saint Mihiel
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studenti 2008
Sabrina Abreu Diaz Spagna Salvatore Argentino Italia
Ugo Perillo Italia Domenico Persico Italia
Filomena De Martino Italia
Qiguang Hu Cina
Raquel Diniz Oliveira Brasile
Sara Gina Salino Italia
Livia Falco Italia
Giovanna Togo Italia
Valentina Gentile Italia Meidong Li Cina Marie Mincke Belgio Vincenzo Peluso Italia
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Tirocinanti per la tesi di laurea: Amalia Esposito Carla Murante Stefania Ragozino
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Finito di stampare dalle Arti Grafiche Gercap per conto della Paparo Edizioni nel mese di novembre 2008, Napoli