Materia Prima - Il disagio di chi cura

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AUTRICE: Raffaella Restelli – Studiosa nell’ambito delle Scienze Umane, linguista e psicologa iscritta alla British Psychological Society con la quale collabora attivamente. Laureata in Lingue e Letterature Moderne presso Università Cattolica di Milano e in Psicologia presso Università Newcastle UK. Counselor ad indirizzo ecobiopsicologico. Traduttrice area Editoriale ANEB.

Quando il dolore rimane sospeso l’importanza del rito nell’elaborazione del lutto Formarsi, trasformarsi, eterno giuoco dell’eterno senno Goethe, Faust, parte II, atto I, scena 5

«Al giorno d’oggi “non è normale essere morti”. Essere morti è un’anomalia impensabile, rispetto alla quale tutte le altre sono inoffensive. La morte è una delinquenza, una devianza incurabile» scrive Baudrillard, (Baudrillard, 1979, p. 139). «Per la cultura contemporanea la morte costituisce un’anomalia, un’incongruenza insopportabile. Non rientra tra i problemi che ritiene importanti, non fa parte delle categorie che caratterizzano il suo apparato concettuale, non è tenuta in alcun conto dalle concezioni ideologiche dominanti, è incomprensibile tanto per le scienze della natura quanto per le scienze umane, sfugge al controllo della tecnica. È il solo evento umano che, pur essendo per tutti certo ed insormontabile, non è per nessuno prevedibile. E perciò si sottrae non soltanto a qualsiasi tentativo di ipotizzare quando e dove si verificherà, ma anche a qualsiasi progetto di pianificazione e di programmazione. La morte inoltre contravviene al rigido ordine razionale che, alla luce degli straordinari successi raggiunti dalle scienze che si occupano dei fenomeni naturali, si presumerebbe di poter rinvenire anche tra le cose umane, tra gli accadimenti che scandiscono l’esistenza sia a livello individuale che sociale» sottolinea Pieretti (Pieretti, 2018). Di conseguenza, soprattutto in Occidente, non riuscendo a dominarla e a ricondurla entro la logica di un pensiero che tutto vuole chiarire e di tutto pretende di rendere conto, si preferisce ignorarla relegandola tra gli eventi imprevedibili e misteriosi della vita. Ma la morte resta di fatto la più sconvolgente dissacrazione degli assoluti e delle certezze della cultura contemporanea, la nemica dichiarata dei suoi costumi e delle sue mode.

Anne-Louis Girodet de Roussy-Trioson, I funerali di Atala, Parigi, Museo del Louvre, 1808

Per questo si tende a rimuoverla dalla coscienza e a giudicare riprovevole il solo parlarne bandendone perfino i segni esteriori e i rituali ad essa connessi. Oggi però che il mondo è stato colpito da un virus silenzioso, invisibile e insidioso identificato come Sars-Co-V-2 che è riuscito a uccidere migliaia di persone, l’uomo sembra aver perso le proprie certezze, spaventato e bloccato dalla paura della malattia e soprattutto della morte: nessuno avrebbe mai pensato che nel 2020 considerati gli sviluppi della medicina degli ultimi decenni, il personale sanitario fosse obbligato persino a scegliere chi curare, considerato il grande numero di malati. Magari in Cina dove sembra abbia avuto origine il tutto, o in Africa, non certo in Europa o in America. La pandemia è come segnasse la fine del grande sogno dell’uomo moderno che ora si trova persino a reclamare la possibilità di accompagnare i propri cari alla morte e di poter celebrare i riti funebri sospesi per ragioni di sicurezza. Proprio quei rituali che sembravano aver perso di senso, in un’epoca contraddistinta dalla negazione stessa dell’esperienza della morte, in un’epoca in cui gli anziani e i malati vengono sempre più spesso


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