Materia Prima - Il disagio di chi cura

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AUTRICE: Alda Marini – Psicologa, Psicoterapeuta, Psicologa analista (CIPA, IAAP), esperta in psicosomatica (ANEB). Docente e supervisore (ANEB, CIPA), Responsabile dei contatti con le istituzioni scientifiche e della rete interdisciplinare.

Dalla sofferenza dell’anima alla sofferenza del corpo, riflessioni sull’interazione mente-corpo e sugli effetti delle limitazioni della libertà individuale. La natura umana non è una macchina da costruire secondo un modello e da regolare perché compia esattamente il lavoro assegnatole, ma un albero, che ha bisogno di crescere e svilupparsi in ogni direzione, secondo le tendenze delle forze interiori che lo rendono una creatura vivente. J. Stuart Mill - Saggio sulla libertà

Queste mie riflessioni sono nate e si sono sviluppate in successione a tante analisi fatte insieme a colleghi, sull’emergenza Covid-19 come fenomeno collettivo e si sono alimentate per tutto il periodo di sviluppo di questa grave vicenda. Come psicologa analista, la mia attenzione si è focalizzata sulla dimensione dell’anima e delle ferite che ad essa venivano inflitte prima da una pandemia, mai sperimentata a nostra memoria, poi dalle modalità con cui veniva fronteggiata l’emergenza sanitaria. Ma come psicosomatista ecobiopsicologica mi sono sentita chiamata a porre l’attenzione anche al corpo e alla malattia nel suo valore simbolico. Quando l’emergenza sanitaria per l’inasprirsi della pandemia è diventata pervasiva, e l’ordinaria struttura della vita personale e di quella collettiva ha cominciato ad essere radicalmente, e pesantemente sovvertita, si è generato un cambiamento di passo. Un’attenzione ossessiva alla salute fisica ha finito per riproporre una modalità settoriale della relazione corpo-psiche, che pareva superata dai più recenti sviluppi di una psicosomatica avanzata. L’intima connessione di mente-corpo ormai assodata e radicata nelle più recenti implicazioni del pensiero junghiano, quale l’Ecobiopsicologia è, mi hanno portata a ridare spazio a riflessioni che la paura di “prendere la malattia” sembrava aver fatto dimenticare. Sono ormai quasi due anni che il mondo come noi lo conoscevamo dal dopoguerra in poi, con le sue sicurezze, punti di riferimenti, consuetudini, si è dissolto e al suo posto abbiamo un mondo imprevedibile, con mu-

tamenti continui, cambiamenti delle regole di convivenza, allarme sanitario, attenzione e controllo dei comportamenti, evitamento dei contatti umani. Molto si è detto sull’“emergenza” sanitaria (che forse, dopo tutto questo tempo, non dovremmo più definire tale) presente in modo decisamente pervasivo nella nostra vita, diventando quasi ossessivamente il tema con cui quotidianamente siamo costretti a confrontarci. Le modalità con cui la pandemia è stata affrontata hanno determinato una serie di restrizioni, di cui non entro nel merito, che, se hanno aiutato a limitare il contagio dal virus, sul piano psicosociale hanno determinato tutta una serie di misure (isolamento fisico, isolamento sociale, percezione persecutoria della vicinanza dell’altro, focus ossessivo sul tema) i cui esiti non sono stati altrettanto indagati. Si è inoltre creato un vocabolario e la dotazione di una nuova semantica e di un nuovo giudizio di valore per alcuni termini quali “assembramento”, “fare festa”, “libertà”; vi è la sottolineatura di un continuo rapporto causa-effetto fra eventi non necessariamente connessi e l’attivazione della colpa associata a comportamenti che implichino divertimento, soddisfazione, gratificazione. In un rinnovato modello frammentato e calvinista della vita l’uomo ha cominciato a soffrire. Se la sofferenza creata dal Covid-19 è stata quantificata con una precisione millimetrica e ossessiva, giorno dopo giorno, non vi è cenno alla sofferenza che tali misure hanno implicato a livello psicologico, né è stata quantificata, né gli effetti avranno durata breve. Il mondo si sta comportando come se ci fosse una rimozione dello psichico, una disattenzione alla dimensione psicologica. Tutto ciò non avviene senza conseguenze, tutto ciò ha un effetto sulla popolazione, non meno di quanto possa averlo un virus, per quanto gravi possano essere i suoi esiti. Il disagio psicologico è pesante da reggere,


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