Libro fotografico di Verona

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Verona

giulio scolari

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cambiare?


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Alla fine del mio libro “Sognando un Negroni” ho decantato le lodi della mia città, la bella Verona, quel luogo per cui anche Shakespeare ha calato le braghe e ha detto che altrove non c’è mondo. 19

Per fare ciò non ho parlato di locali, giovani festaioli, belle donne e peti in libertà, come ho fatto per tutto il resto del libro. Ho parlato invece di luoghi silenziosi al calare della sera, di squarci e angoli, di Via Cappello con i negozi chiusi, di Piazza Erbe illuminata, dei Portoni Borsari sornioni, di Castelvecchio che riposa. Ho consigliato di fare una passeggiata fra quei luoghi per capire la vera anima della città. Per capire perché Verona piace così tanto. Poi Giulio Scolari mi ha fatto vedere le foto di questo libro e mi sono detto: “Beh, ma allora non sono l’unico matto che di sera tardi si fa le passeggiatine per Verona farneticando sull’anima di questa città”. In effetti il mio giro per Verona me lo immagino proprio come raffigurato dall’autore di questo libro. Queste foto rappresentano esattamente quello che mi piace di questa città. Intendo dire che è fin troppo facile fare belle foto su Verona. Diciamo che è più o meno come fotografare Cameron Diaz nuda: a meno che il fotografo non la immortali sul water in preda ad una crisi di dissenteria disossante, sarà ben difficile che le foto siano brutte, visto che il soggetto è assai grazioso. Orbene, allo stesso modo è molto facile fare belle foto su Verona, dato che obiettivamente è una città bellissima. Molto più difficile sarebbe riuscire a fare belle foto, che so, su Isernia o Savona. Insomma, aldilà di questo sfrenato campanilismo, fare belle foto di Verona è facile. Ma le foto di Scolari, oltre ad essere belle, hanno un che di particolare che mi ha colpito. Non sono né le classiche foto della guida da 20 euro per tedeschi creduloni e spendaccioni, né le foto nostalgiche che si trovano nelle vecchie tabaccherie del centro che odorano di polvere e morositas. Queste foto riprendono scorci intimi di Verona, vedute oblique e personali. Sembra quasi che il fotografo spii Verona dal buco della serratura. Ecco, direi proprio che Giulio Scolari è un guardone di Verona, un voyeur della città della pearà. La fotografa allo stesso modo in cui


guarderebbe una bella donna di nascosto. Ci mostra luoghi famosi e meno famosi di Verona con gli occhi appassionati e un po’ nervosi di un amante. Fra le foto presenti in questo libro, me ne sono rimaste impresse particolarmente tre. La prima è quella in cui Madonna Verona è ripresa da dietro, di fronte alla Torre dei Lamberti. I due monumenti, osservando la simpatica fauna ruttatrice che popola le notti di Piazza Erbe, sembrano guardarsi e interrogarsi con malcelato ribrezzo e rassegnata disperazione, e sembrano dirsi uno sconsolato “Diàolo can…”, pensando ai tempi in cui in quella piazza si compravano solo ortaggi, panzerotti, e 20

brutti occhiali da sole, e non anche Havana Cola e Gin Lemon. Diciamo che i due monumenti raffigurati mi sembrano un po’ come quelle vecchiette che si scambiano catastrofiche battute sui giovani, maledicendoli con offese da scaricatrici di porto e lanciando maledizioni da Apocalisse sul mondo futuro lasciato in mano a questi butèi maleducati e nullafacenti. Che poi, va detto, spesso non è vero che i giovani siano maleducati e nullafacenti e dire che il mondo futuro andrà a rotoli, per noi giovani è una cosa che porta pure una bella dose di sfiga. Insomma, la foto è molto bella e quindi ammiratela. Se invece sentite delle vecchiette parlar male dei giovani, non credeteci e, se siete giovani, toccatevi. La seconda foto che mi piace particolarmente è quella della statua di Dante ripresa da vicino nell’omonima piazza. Più che altro il buon Dante mi suscita ilarità: è incredibile come sia austero e incrollabile in quella sua posa nonostante sia da tempo immemorabile il ricettacolo degli escrementi di tutti i volatili che sorvolano i cieli di Verona. Se il sommo poeta è conosciuto in tutto il mondo come artista impareggiabile, in Piazza Dante altro non è che una specie di secolare custode di un bagno pubblico per animali pennuti. Eppure è proprio questo suo incrollabile cipiglio che mi piace. Fa capire che si può vivere per tutta la vita mangiando feci e resistere comunque. Altro che Divina Commedia, Dante insegna ai Veronesi la perseveranza e la forza d’animo. E a proposito di Dante, nel retro di copertina del recente best seller “Il Circolo Dante” di Matthew Pearl c’è scritto che quando l’autore parla di Dante sa quello che fa. Io allora da par mio rispondo da queste righe che anche Giulio Scolari quando fotografa Verona sa quello che fa. La terza foto è in realtà un gruppo di foto, ovvero quelle che riguardano l’Arena. Io amo l’Arena. La amo visceralmente. E sia ben chiaro che non sono un tedesco: sono nato in Valpolicella. Quel monumento, e le foto di questo libro che lo riguardano, mi ricordano che per me qualsiasi cosa si svolga in Arena è affascinante. Io ci andrei a vedere anche una partita di Scarabeo giocata da due mufloni. Non è lo spettacolo in sé, è proprio la cornice che dà l’Arena. Se la magia fosse un corpo solido, sulle gradinate dell’Arena se ne troverebbe a chili. Anzi, da queste pagine vorrei suggerirvi che uno dei posti più belli al mondo per innamorarsi di una ragazza è proprio l’Arena. Bisogna poi sperare che la ragazza ci stia.


L’anfiteatro mi fa venire alla mente sia le opere liriche, che i concerti rock. Di per sé la musica lirica è un’arte che mi affloscia le gonadi, ma mio padre ne è un grande appassionato e dunque ho assistito a parecchie opere in Arena e sono riuscito, e qui sta il miracolo, a trovarle anche piacevoli. In particolar modo il Rigoletto, che consiglio anche ai meno melomani in quanto è una specie di greatest hits delle arie più famose di Verdi. La visione delle opere liriche in Arena presenta solo due difetti. Il primo è che dopo tre ore sulle gradinate avrete i glutei a cassettoni. Quindi, o vi prendete i cuscini dagli usurai che li vendono all’ingresso, o comprate il biglietto in platea. Ma anche per i biglietti in platea, sempre di usurai stiamo parlando. L’altro difetto è che durante il cambio-scena fra un atto e l’altro trascorre così tanto tempo che si fa in tempo ad andare a Schio e tornare. Comunque, per età e formazione culturale, sono più legato ai concerti rock che si svolgono in Arena. Invero tali concerti non sono più numerosi, e credo che ciò sia dovuto al fatto che come Sovrintendente ai Beni Culturali di Verona è stata nominata Nonna Papera. Escludendo il Festivalbar, che, data la tipologia di cantanti, il play back e il misero volume, non è un concerto rock ma un grosso juke box per bambini con l’amplifon, ricordo con piacere i concerti di Ligabue, dove si respirava una bella aria. Il Liga non è certo il capofila dei raffinati, ma ha sempre qualcosa da dire. Vorrei infine concludere parlando brevemente dell’autore delle foto. In primo luogo, Giulio Scolari dirige un grosso studio fotografico nel quale ha fatto costruire una cantina in cui banchetta con sontuosi aperitivi. Direi che già questo dovrebbe bastare per far capire come l’autore di questo libro sia uno che ha capito tutto della vita: il dovere insieme al piacere. Meglio ancora, il dovere deve essere piacere. Altrimenti è frustrazione. E poi posso dire che guardando le foto di questo libro si capisce che Giulio Scolari ha un’anima romantica e guarda la sua città con quest’anima. Giulio ama la sua città. A me ha detto che con queste foto voleva trasmettere emozioni. E’ un obiettivo semplice e allo stesso tempo ambizioso da raggiungere. Per quel che può valere, con me sicuramente l’ha raggiunto.

Alberto Fezzi

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giulio scolari

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Questo non è un classico libro di fotografie dove le immagini si susseguono secondo un ordine topografico e ogni immagine ha la sua descrizione. In questo libro non cercate le didascalie alle foto, non cercate qualcuno che vi spieghi quello che state guardando, non cercate di fare abbinamenti tra quello che c’è scritto e quello che è fotografato: guardate le immagini, pensate alle emozioni che vi suscitano e immaginatevi le mille storie che raccontano.


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Potevi dirmelo che volevi fotografarmi, Giulio. Mi sarei fatta pi첫 bella. Certo, non sono come quelle donne fintamente modeste, quasi tutte direi, che dicono di venire male in fotografia, ma solo per farsi dire che invece vengono benissimo.


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Io so di essere bella, a volte lo so fin troppo bene, però se me lo dicevi prima che volevi farmi tutte queste foto, mi sarei sistemata un po’ di più. Per esempio, all’Adige avrei detto di non diventare mai troppo grosso: quel ragazzo sa essere così dolce e sa sussurrare delicate parole di luce quando la luna lo illumina la sera,


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e tuttavia ci sono delle volte che proprio non lo capisco. Quando c’è brutto tempo e piove e lui diventa grande, agitato, scuro, improvvisamente cosĂŹ irascibile. Meglio non guardarlo neanche in certe occasioni, anche se sembra sia lui a voler guardare te.


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Certo, il Teatro Romano sa come rabbonirlo, sa come dirgli di fare silenzio, o magari solo di cantare piano, quando lui vuole ascoltare le opere di Shakespeare. Già , Shakespeare: è per colpa, o merito, suo, che mi stai fotografando?


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No, vedendo queste foto, direi di no. Non solo almeno. Quel grande poeta certamente mi ha reso piÚ bella, e anche piÚ famosa, che certamente non guasta: non sono nemmeno come quelle donne, quasi tutte direi, che all’apparenza vorrebbero far credere di essere timide e schive, ed invece in ogni occasione anelano ad essere al centro della scena.


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Ma tu mi guardi da tante parti, Giulio. Non vedi solo Giulietta. In questo sono come tutte le altre donne: sono gelosa, di tutte le altre donne. E di Giulietta in particolare.


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Insomma, arriva questo simulacro di donna, che non è altro che l’immagine, creata da un abilissimo artista, dell’amore puro che tutti cerchiamo ma che raramente troviamo, e quasi oscura la mia fama.


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In fin dei conti, chi sarebbe Giulietta senza di me? E non dirmi che in realtà è viceversa, che sono io che non sarei nessuno senza Giulietta! Ma in effetti con queste foto non me lo dici, tu mi guardi in tanti altri modi.


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Hai visto che bella Piazza Erbe? Se mi avessi detto che mi avresti fotografato, li mandavo via per una sera quei ragazzi (ma poi possiamo chiamarli ragazzi proprio tutti? Anche quelli che hanno 45 anni?) che ridono con il bicchiere in mano, e non si sa bene perchÊ, non si sa bene cos’abbiano da ridere tutte le sere. E anche cos’abbiano da bere tutte le sere.


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Non che mi stiano antipatici, io non sono come i residenti della Piazza che vorrebbero che dalle nove e mezza in poi di ogni sera si parlasse solo con l’alfabeto muto, non ne ho un’idea negativa, ecco magari oggi William non troverebbe tra di loro Giulietta e Romeo, al massimo una commessa e un agente immobiliare,


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ma è che qualche volta preferisco anch’io un po’ più di silenzio, perché quando c’è silenzio Madonna Verona sussurra qualcosa. Non ho mai capito bene cosa, è una specie di soffio, un sibilo, che si innalza fino alla Torre dei Lamberti, e poi scende, dietro, in Piazza Dante. E poi corre tra i vicoli, arriva in Via Sottoriva, e si dilegua. O meglio, si diffonde.


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Come ti ho detto, non so bene cosa sia, ma so che un tempo si diceva che l’anima, il soffio vitale, poteva scappare dalla bocca, con un respiro. Ecco, forse Madonna Verona qualche volta fa scappare quel soffio, quell’anima.


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Tu dici di no, Giulio? Pensi che quell’anima parta magari da San Zeno? Può essere, può essere. Certo, se mi avessi detto che mi avresti fotografato allora ti avrei detto di scattare una foto del Carnevale con tanta gente allegra, ma senza pazzi in libertà.


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Lo so cosa dicono dei veronesi, che sono tutti matti. Ma questa cosa comincia un po’ a darmi noia, non vorrei che diventasse un modo autoassolutorio e bonario per giustificare una certa grettezza. Scusa, ma a volte anch’io, come l’Adige, mi arrabbio.


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Ti colpisce molto anche Via Cappello? Certo, se mi avessi detto che mi avresti fotografato, facevo scomparire quella matta bassa baffuta e tarchiata che vestita in modo impressionante percorre la via urlando frasi stentoree e senza senso. O quello che passa suonando la chitarra, invocando la scoperta del Santo Graal. O la vecchia che con voce stridula vende in tutte le stagioni i mazzolini della primavera. SĂŹ, sĂŹ, tutti matti, lo so.


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Se me lo dicevi, univo in un’unica coreografia i peruviani che suonano i flauti, i mimi che si animano se gli dai una moneta, e i venditori ambulanti di colore che scappano appena vedono qualcuno vestito di blu. Potevo organizzare una specie di strano balletto, e avrei reso la via ancora piÚ fascinosa.


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Anche se già così è molto bella, sa essere austera e vivace allo stesso tempo. E non provare a dire che è merito solo del balcone di Giulietta! Certo, certo, lo so a cosa stai pensando, e la risposta è no: non mi sono dimenticata dell’Arena. E’ ancora il mio gioiello più grande, non c’è che dire


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Sono io a dirlo: non sono neanche come quelle donne, quasi tutte direi, che quando hanno un prezioso anello nuovo al dito non te lo dicono, ma ti sventolano la mano sotto il naso fino a quando, stremato da tanta ostentazione, non gli chiedi di fartelo vedere e loro, cadendo da nembi di ipocrisia, si fingono sorprese.


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Io lo so bene di avere il mio gioiello, e me ne vanto. Sotto la luce delle stelle è il mio diamante; con la musica dei suoi spettacoli è la mia melodia; con le sue pietre è la mia storia.


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Certo ci sono anche i turisti, ma in fondo io so essere anche ospitale. SĂŹ, a volte sono chiusa, ma solo quando ho la luna storta. Quando mi accorgo di essere troppo provinciale cerco di cambiare, o almeno so che dovrei farlo.


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Dunque i tedeschi sono i benvenuti, anche se si ingozzano di pizze sul Liston alle cinque del pomeriggio. Il mio Liston li accarezzerĂ sempre, e le sue pietre bianche sono il mio sorriso per loro. In effetti tutta Piazza BrĂ pare un abbraccio per chi ci vuole passare, o restare.


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Purtroppo qualche volta anche gli spacciatori la scambiano per un abbraccio, e poche volte c’è chi riesce, per questi, a farla diventare uno schiaffo. Anzi no, troppo poco. Meglio una lama. Anzi no, una lama no, quella ce l’hanno già loro.


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Meglio un calcio nel culo. Oh, scusa, sono stata volgare. Ma, se non lo sai, a volte mi capita di essere anche volgare.


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In Piazza Brà, il Municipio fa la sua figura, ma le sue scale non le salgo più tanto spesso, la politica che ci vedo è da anni un pollaio di provincia. Meglio la Gran Guardia, restaurata, bella.


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Come vedi, io non sono a priori contro il lifting, se ben fatto. Non sono come quelle donne, non quasi tutte questa volta, che sono contro il lifting però solo dopo che se lo sono fatto. O che dicono di non gradire le donne rifatte, ma se potessero si rifarebbero.


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E’ bello anche come è sdraiato Castelvecchio, così grande, così sereno. Ha quella bellezza inspiegabile di una madre addormentata, tranquilla e però allo stesso tempo, anche nel sonno, seria e cosciente delle sue responsabilità. Un riposo autorevole.


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Tu mi preferisci con la neve o con il sole? Bianca o rossa? Oppure nera, come la notte, di notte, con le luci che volano sui tetti? Tu in realtà non mi preferisci in un modo o in un altro, tu sai che sono tutte queste cose insieme: pigra quando c’à la neve, sorridente quando c’è il sole, seducente quando cala la notte. Quanti angoli hai spiato senza dirmelo, Giulio. I miei cortili, in particolar modo.


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Cortile Mercato Vecchio e la Scala della Ragione li avrei illuminati un po’ di più se me lo avessi detto. Pensa che ci sono veronesi che non sanno neanche di avere posti così belli nella propria città. No, non tu Giulio, tu li conosci, lo vedo che li conosci. Ma qualche veronese, matto che matto non è ma semmai è solo ignorante, sa a malapena dell’Arena, di quella egocentrica di Giulietta e di Piazza Erbe perché ci beve l’aperitivo.


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E certi cortili li ignora, o li ha visti solo di sfuggita un giorno che passava distratto, magari per andare in banca a contare i suoi soldi.


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D’altronde a questi veronesi non si addice in alcun modo la Scala della Ragione. Questi sono i veronesi che le uniche scale che conoscono sono quelle mobili dei centri commerciali. Ma questa è un’altra storia, che non ti voglio raccontare adesso. Ho la mia età, certo, ma non sono ancora una vecchia rancorosa.


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Tu comunque hai salito anche le scale della Torre dei Lamberti, vedo. E l’hai spiata anche da sotto, e da sopra, e da vicino, e da lontano.


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Non è che hai un debole per lei, Giulio? Guarda, potresti anche avercelo, di lei non sono gelosa. In fin dei conti lei mi fa spiccare il volo e quando ci sei sopra mi puoi guardare distesa, serena, quasi lasciva.


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Io sono lì sotto, con tutti i sogni e le speranze che posso regalare a chi mi guarda come mi guardi tu, Giulio. Con i tuoi occhi discreti ma curiosi. Con tutto il tuo affetto per me. O posso dire amore? D’altronde, come ripetono tutti e sempre a causa di Giulietta, io sono la città dell’amore. E allora, se posso ricambiare Giulio, vorrei almeno lasciarti una dedica in fondo a questa tua serenata di foto per me. Quello che provi guardandomi io cerco sempre di restituirtelo, con amore, Verona.


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