UniversitĂ degli studi di Modena e Reggio Emilia FacoltĂ di Scienze della Comunicazione e dell'Economia
Corso di laurea in Scienze della Comunicazione a.a. 2009/10
Tesi di Laurea
L'abito fa il monaco? Il dandismo, fenomeno sociale e culturale.
Relatore: Prof.ssa Elena Esposito
Laureando: Matteo Gilioli matr. 32047
L'abito fa il monaco? Il dandismo, fenomeno sociale e culturale.
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INDICE
INTRODUZIONE
pag. 5
ORIGINE DEL DANDISMO
pag. 8
COSA È LA MODA?
pag. 15
LE MOTIVAZIONI DELLA MODA
pag. 19
IL DANDY: FETICCI, LEGGENDE, RITUALI
pag. 33
DANDIES DI OGGI
pag. 42
LA CADUCITÀ
pag. 52
CONCLUSIONE
pag. 54
BIBLIOGRAFIA
pag. 55
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INTRODUZIONE Il presente lavoro vuole prendere in esame un fenomeno, il dandismo, tenendo conto delle sue origini, di come si è manifestato nel tempo e di che cosa è, in particolare oggi; di cosa significa dunque, nella nostra società, essere un dandy. Nel corso della ricerca ho cercato di approfondire le basi del fenomeno, attraverso studi e approfondimenti
di
vari
studiosi,
e
ricercando
testimonianze relative al modo di vivere e di esprimersi di cosiddetti dandy, di personaggi della cultura, dell'arte, della letteratura che abbiano incarnato la figura del dandy. Attraverso questa analisi ho cercato di mettere in evidenza quali siano anche i risvolti psicologici e sociologici che attengono alla figura del dandy, e più in generale alla moda, poiché il dandismo è strettamente legato alla moda e all'abbigliamento. Si potrebbe
desumere
che
il
dandismo
è
legato
all'apparenza; per certi versi può sembrare così, ma in realtà non lo è. Approfondendo il fenomeno ho potuto rendermi conto – come tanti studi mettono in evidenza – che il dandismo è un fenomeno complesso e ricco di contrasti e contraddizioni. È difficile, in realtà, dare una definizione univoca del dandy, perché il dandy può essere una cosa e il suo contrario; forse l'unico punto
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fermo è proprio il suo essere contraddittorio. Dietro la superficialità si nasconde l'essenza, dietro l'esibizione c'è un desiderio di celarsi; accanto alla mondanità c'è un senso di solitudine, insieme alla ricercatezza si intravede la sobrietà. Il dandy appare così un personaggio ricco di sfaccettature, un personaggio non banale, che non ama stare nel coro. Certo, a volte il voler uscire dal coro può esprimersi attraverso provocazioni, o atteggiamenti estremi, come possiamo riscontrare in tanti dandy dei nostri giorni, che amano la ribalta dei rotocalchi, e che per far parlare di sé non temono di suscitare scandalo o scalpore. Come disse Oscar Wilde, <<Che si parli di me, nel bene o nel male, purché se ne parli>>. Il dandismo è considerato un fenomeno tipicamente maschile, ed è in questo modo che anch'io l'ho trattato in questo lavoro, anche se pure qualche donna è stata annoverata tra i dandies. Per concludere, mi viene da dire che il dandismo,
a
connotazione
cui
spesso
negativa
o
viene
attribuita
comunque
una
leggermente
dispregiativa, può essere letto come espressione di una tensione alla singolarità, all'univocità. Inoltre i suoi aspetti contraddittori possono essere interpretati come simbolo della contraddittorietà dell'essere umano tout cour, e come tali degni di attenzione. Sottolineo inoltre come, dal mio punto di vista, tra ciò che era il dandismo delle origini e quello che può essere
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considerato il dandismo di oggi ci siano sia punti in comune sia punti di differenza, che nel corso della trattazione cercherò di mettere in evidenza. Mi
viene
da
aggiungere
un'altra
considerazione: la moda, l'abbigliamento, l'apparenza, per il loro continuo essere in trasformazione, sono un segnale della precarietà della vita stessa; nulla è mai stabile, fermo, dato una volta per tutte. Come scrisse Eraclito, <<Il sole è nuovo ogni giorno>>. E il dandy, con le sue contraddizioni e con il suo continuo adattarsi alle mode e con il suo stesso influenzare e modificare le mode, ne è l'emblema.
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ORIGINE DEL DANDISMO Lord Brummell, Oscar Wilde, Charles Baudelaire
Il dandismo è un movimento culturale e di costume sorto in Inghilterra alla fine del diciannovesimo secolo. <<È nelle vie londinesi intorno a Hide Park che, nei primi anni dell'Ottocento, cominciano a circolare quei passanti vestiti in modo ricercato e talvolta bizzarro, con un'eleganza spesso accompagnata da voluta trasandatezza. È un'eleganza spuria, che non vorrebbe dare nell'occhio quanto 'far pensare'; presto accolta nell'alta società britannica dominata dalla presenza epifanica del frac blu, della bianca cravatta inamidata, dei pantaloni color crema e degli stivali neri dal risvolto alto dell'arbiter elegantiae George Brian Brummel (1778-1840).>>1 E Dandies venivano definiti coloro che prendevano a modello Lord Brummell. Il termine dandy si è poi diffuso nell'uso comune col significato di uomo elegante, alla moda, che dà molta importanza al proprio aspetto e cura soprattutto lo stile, il buon gusto, le belle maniere. Con una connotazione negativa, il termine dandy si usa anche per definire una persona un po' snob, che disprezzi i modi borghesi. In altra accezione può definire anche un certo tipo di intellettuale, individualista e distaccato dalla realtà.
1 Stefano Lanuzza, Vita da Dandy. Gli antisnob nella società, nella storia, nella letteratura, Viterbo, Stampa Alternativa Nuovi Equilibri, 1999, pag. 23
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Damerino, elegantone, figurino, gagà, bellimbusto, esteta, tanti sono i modi utilizzati per definire il dandy. L'etimologia del termine 'dandy' non è certa. Come scritto ne La Piccola Treccani2, il termine deriverebbe da una forma vezzeggiativa del nome proprio Andrew, ma c'è tutto un florilegio di ipotesi che circola nei salotti e nei dialoghi tra intellettuali. Umberto Eco collega il dandismo al 'culto dell'eccezionale'. Come Scrive in Storia della bellezza, <<Brummel non è un artista, né un filosofo che rifletta sul Bello e sull'arte. In lui l'amore per la Bellezza e l'eccezionalità si manifestano come costume (nel doppio senso del termine, in quanto abito e in quanto pratica di vita). L'eleganza, che si identifica con la semplicità (spinta sino alla bizzarria), si unisce al gusto per
la
battuta
paradossale
e
per
il
gesto
provocatorio.>>3 Questo voler provocare, questo voler stupire e sorprendere ricorda alcun personaggi dei nostri giorni... Come non pensare a Fabrizio Corona, o a Vittorio Sgarbi? Come continua a spiegare Eco, <<mentre alcuni artisti del XIX secolo intendono l'ideale dell'Arte per l'Arte, … il dandy (e anche artisti che si vogliono al tempo stesso dandy) intende questo ideale come culto della propria vita pubblica, da “lavorare”, modellare come un'opera d'arte per farne un esempio trionfale di
2 La Piccola Treccani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1995, vol. , pag. 3 Umberto Eco, Storia della bellezza, Borgaro Torinese (TO),Bompiani, 2004, pag. 333
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Bellezza. Non è che la vita sia dedicata all'arte, è l'arte che viene applicata alla vita.>>.4 E anche Eco mette in evidenza le contraddizioni del dandismo: <<In quanto fenomeno di costume,
il
dandismo
presenta
le
proprie
contraddizioni. Non è rivolto contro la società borghese e i suoi valori (come il culto del denaro e della tecnica), perché di questa società rimane in fin dei conti una manifestazione
marginale,
non
certamente
rivoluzionaria bensì aristocratica (accettata come ornamento eccentrico). Talora il dandismo si manifesta come opposizione ai pregiudizi e ai costumi correnti, ed ecco perché per alcuni dandy appare significativa la scelta dell'omosessualità, che all'epoca era totalmente inaccettabile e penalmente punibile (celebre rimane il doloroso processo a Oscar Wilde).>>.5 Una significativa definizione del dandy ci è fornita dallo stesso Baudelaire in Il pittore della vita moderna. <<Il dandy non aspira al denaro come a una cosa essenziale; un credito infinito gli potrebbe bastare; egli lascia volentieri questa banale passione agli uomini volgari. Il dandismo non è, come molte persone poco riflessive vogliono credere, un difetto eccessivo della toeletta e dell'eleganza materiale. Queste cose non sono per il perfetto dandy che un simbolo della superiorità aristocratica del suo spirito. Così ai suoi occhi,
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desiderosi soprattutto di distinzione, la perfezione della toeletta consiste nella massima semplicità, che è, in realtà, il miglior modo di distinguersi. … È prima di tutto il bisogno ardente di crearsi un'originalità, contenuto nei limiti esteriori delle convenienze. Una specie di culto di se stesso, che può sopravvivere alla ricerca della felicità che si trova negli altri, nella donna, per esempio: che può sopravvivere anche a tutto ciò che si chiama illusione. È il piacere di meravigliare e la soddisfazione di non essere mai meravigliati.>>.6 In Lord Brummell è molto spiccato il contrasto tra cura e noncuranza, tra interesse e distacco, tra essenza e apparenza. Il dandy è colui che, in apparenza, si disinteressa totalmente di quello che possono pensare gli altri, dello scalpore o delle eventuali critiche che può generare; gli piace ostentare e provocare, ma avendo l'aria che non gli interessi assolutamente la reazione della gente. Recita per un pubblico, come se un pubblico non ci fosse. Di fatto questa esibizione è fatta proprio per essere vista, notata; <<l'apparenza è la sostanza>>7, afferma Brummel. Egli, come afferma Lanuzza, è <<incarnata sintesi dell'impertinenza fusa con la grazia, è distaccato dal potere oppure verso di questo critico fino all'insolenza.>>8. Si racconta che egli avesse modi impertinenti verso la nobiltà,
6 Charles Baudelaire, Il pittore della vita moderna, 1869 7 Stefano Lanuzza, Vita da Dandy. Gli antisnob nella società, nella storia, nella letteratura, Viterbo, Stampa Alternativa Nuovi Equilibri, 1999, pag. 23 8 - pag. 24
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addirittura permettendosi di snobbare il futuro re, figlio di re Giorgio III, e rifiutandosi di inchinarglisi, per non sgualcire la giubba. Il dandismo, come si diceva piÚ su, è un movimento culturale ma anche un fenomeno di costume, che ha le proprie basi in una rivisitazione della moda. Lord Brummell e i suoi proseliti determinarono la moda del tempo e modificarono i gusti. Furono in molti a seguire il suo stile, certamente eccentrico e originale, talvolta perfino scandaloso. Si deve a lui l'introduzione dei pantaloni lunghi al posto delle braghe al ginocchio e delle giacche da frac; fu lui ad adottare il colore blu per gli abiti, quando all'epoca dominavano i colori sgargianti. Inoltre, particolare non da poco, aveva molto a cuore l'igiene intima, che era considerata poco virile dai suoi contemporanei; aveva l'abitudine di lavarsi con acqua e sapone (gli odori cattivi venivano coperti da abbondante uso di profumo... sic!), e si cambiava la camicia ogni giorno! E se il dandy è una figura ricca di contrasti, chi meglio avrebbe potuto incarnarne lo spirito se non Oscar Wilde, che ha fatto del paradosso, tra le altre cose, una sua cifra stilistica, e che ha avuto come fulcro della propria arte e della propria vita l'estetica, la bellezza, l'artificio? Oscar
Wilde
(1854-1900)
<<considera
l'artificiositĂ l'unico dovere che riscatta l'individuo dal suo destino di vittima della natura, della storia e della
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società, facendone qualcosa di unico e distinto.>>9. Arte e vita sono così legate che l'una sfocia nell'altra, e viceversa. Tra i suoi aforismi più famosi ricordiamo infatti <<La vita imita l'arte più di quanto l'arte imiti la vita.>>, e <<Il primo dovere nella vita è quello di essere il più artificiali possibile. Quale sia il secondo, nessuno lo ha ancora scoperto.>>. In Wilde il culto della bellezza e dell'estetica, assume un valore etico; non si tratta semplicemente di un apparire, ma di un essere attraverso un apparire. In qualche modo si potrebbe pensare che in Wilde la bellezza, coincidente con l'armonia, coincida anche con il buono, così come lo intendevano gli antichi greci quando parlavano di kalokaghatia. era l'espressione usata per definire l'uomo eroe, l'uomo di valore, in particolare secondo Platone, per il quale bellezza e bontà, bellezza e valore morale coesistono inscindibilmente, e si rispecchiano a vicenda. Secondo questo principio, dunque, etica ed estetica si fondono. Una delle opere più famose di Oscar Wilde è Il ritratto di Dorian Gray. La storia è conosciuta ai più; si racconta del giovane Dorian Gray, dall'aspetto bellissimo e dall'animo puro che, affascinato dal culto della bellezza e della giovinezza, si trova un giorno a desiderare che il suo ritratto invecchi al posto suo; e, in una sorta di patto demoniaco, questo è ciò che accade veramente. Ma mentre il ritratto invecchia, lasciando
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integro l'aspetto del giovane, questi si lascia andare agli istinti peggiori, compiendo gesti e atti ingiusti e crudeli. Il ritratto non solo invecchia, ma porta i segni anche del degrado morale del giovane; e quando questi vede nel ritratto ciò che egli realmente è, lo colpisce con un coltello. Sarà ritrovato ucciso dallo stesso coltello, invecchiato e irriconoscibile, mentre il quadro avrà riacquistato l'aspetto originario. In questo racconto non si evince forse il legame tra etica e bellezza? Non era possibile, per il protagonista, continuare a far coesistere un aspetto bello e puro con una condotta immorale, tanto che alla fine gli equilibri si sono ricomposti. Questo era l'unico esito possibile, secondo Wilde. <<È molto meglio essere belli piuttosto che buoni. Ma è molto meglio essere buoni piuttosto che brutti.>>, e ancora <<I due punti più deboli della nostra epoca sono la mancanza di principi e la mancanza di immagine.>>.
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COSA È LA MODA? Significato sociale e valenza psicologica
La moda, intesa come fenomeno sociale, ha avuto inizio in occidente alla fine del Medioevo, intorno alla seconda metà del Trecento; in quel momento storico, in particolare, <<l'abito si è infatti liberato dalle catene del passato ed è diventato espressione di valori, status, identità. Si è passati dall'abito come costume pressoché immutabile in forma, colori e tessuti (manifestazione di una società statica basata sul passato come valore), all'abito come forma di espressione autonoma; da un capo informe e senza colore usato per coprirsi e per proteggersi, ad un abito come forma di comunicazione sociale, colorato, adornato, ricco di accessori e di particolari.>>10
Come
spiega
anche
Umberto
Galimberti, <<In origine l'abbigliamento era uniforme perché il mondo non era differenziato: una pelle d'animale serviva per tutte le situazioni e tutte le circostanze. La metamorfosi comincia quando il valore protettivo delle vesti cede il posto a quello simbolico, per cui ogni variazione delle vesti del corpo rinvia a una variazione del mondo. Si assiste così alla trasformazione dell'ordine vestimentario in un sistema rigoroso di segni, che di volta in volta descrivono l'ordine culturale e sociale di
10 Paola Pizza, Psicologia sociale della moda. Abbigliamento e identità, Verona, QuiEdit, 2010, pag. 11
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appartenenza che il corpo nudo non potrebbe esprimere.>>11 La moda, quindi, ha rappresentato la libertà di scegliere, ed è diventata veicolo di comunicazione sociale; l'abito ha cominciato ad essere indicatore di classe sociale, ruolo, appartenenza a un gruppo, così come anche di volontà di seduzione, di potere. <<La foggia dell'abito può, ad esempio, comunicare ruolo e identità, mentre la qualità dei tessuti e gli accessori indicare il potere e il successo.>>12 L'abbigliamento, dunque, fornisce molte informazioni sulle persone. <<L'abbigliamento quindi parla>>, afferma Umberto Eco in un suo breve articolo13. Prosegue poi il celebre studioso, che ha approfondito lo studio del segno e della semiotica: <<La semiologia … ci permette ora di inserire la nostra consapevolezza della comunicatività dell'abbigliamento in un quadro più ampio, nel quadro di una vita associata in cui tutto è comunicazione.>>14 Queste
considerazioni
sembrerebbero
smentire quel vecchio proverbio, tante volte citato, secondo cui 'l'abito non fa il monaco'? Non sarà forse che la saggezza popolare voglia esprimere, con questo
11 Umberto Galimberti, Il mito della moda in I miti del nostro tempo, Milano, Feltrinelli, 2009, pag. 96 12 Paola Pizza, Psicologia sociale della moda. Abbigliamento e identità, Verona, QuiEdit, 2010, pag. 11 13 Umberto Eco, L'abito parla il monaco, in Il linguaggio della moda, a cura di Luciana Diodato, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino Editore, 2000, pag. 105 14 - pag. 104
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motto, un pio desiderio, una dichiarazione d'intenti, un riferimento a un ideale non concretizzabile nella realtà, e che invece dobbiamo accettare il fatto che 'l'abito fa il monaco', eccome? Del
resto
numerosi
studi
sociologici
confermano che l'abbigliamento e la pettinatura sono tali da determinare la percezione che gli altri hanno di noi, e quindi di condizionare il giudizio. Magari può dare fastidio a quella parte di noi che aspira all'ideale pensare che, ad esempio, un ragazzo che si presenti a un colloquio di lavoro con jeans a vita bassa e capelli lunghi sciolti abbia molte meno probabilità di essere scelto che non se si presenta vestito con pantaloni sobri, camicia, e capelli corti. “Ma io sono esattamente la stessa persona, oggi con i capelli corti e ieri con i capelli lunghi!”, verrebbe da dire... Questo che significa? Che forse talora bisogna scendere a compromessi, o semplicemente prendere atto dei meccanismi della psiche umana. E poi, aggiungiamo che se questo 'pregiudizio' dell'aspetto riguarda gli altri, probabilmente riguarda anche noi, perché la mente dell'essere umano funziona per tutti nello stesso modo. <<L'aspetto di una persona, o determinati suoi comportamenti,
richiamano
immediatamente
nella
mente una rappresentazione cognitiva, uno schema che contiene la conoscenza accumulata nella memoria. L'aspetto fisico offre molti indizi sulla personalità, sulle
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preferenze e sui ruoli, che vengono raccolti e interpretati sulla base delle precedenti convinzioni.>>15 <<Le prime impressioni sono determinate dal modo di apparire e di agire delle persone e attivano degli schemi della nostra mente in base ai quali associamo una caratteristica fisica ad uno stile di vita, a un tratto di personalità, a un ruolo sociale, o all'appartenenza ad un gruppo.>>16.
Anche
Eugenie
Lemoine-Luccioni
ribadisce questo concetto. Afferma infatti che <<Così il corpo parla, qualunque sia la posizione scelta, proprio a causa della sua scelta. Il vestito è la sua lingua.>>17
15 Paola Pizza, Psicologia sociale della moda. Abbigliamento e identità, Verona, QuiEdit, 2010, pag. 94 16 - pag. 96 17 Eugenie Lemoine-Luccioni, Psicoanalisi della moda, Milano, Bruno Mondadori Editore, 1983, pag. 37
18
LE MOTIVAZIONI DELLA MODA Oggi la moda riveste significati molteplici, così come molteplici sono le sue funzioni. Essa infatti, come teorizza Paola Pizza, è uno strumento per raggiungere degli obiettivi, serve per creare una identità, ed è fonte di conoscenza sociale. Un gesto semplice come aprire l'armadio e scegliere un paio di pantaloni, o una gonna, o una camicia, contiene in sé molteplici significati. E affermare che non è così è da ipocriti. Attraverso ciò che indossiamo, ognuno di noi intende comunicare qualcosa, sia agli altri sia a sé stesso; che ci sia un pubblico oppure no, l'abito che indossiamo fornisce, prima di tutto a noi stessi, una determinata immagine, che è quella che in quel preciso momento si attaglia al nostro stato d'animo, o a determinati effetti che vogliamo raggiungere. Decidere cosa indossare <<vuol dire fare i conti con il desiderio di apparire migliori e unici, ma nello stesso tempo anche con quello di essere uguali agli altri, accettati e integrati, per non sentirsi soli; con la voglia di esibirsi e farsi notare, ma nello stesso tempo con quella di nascondere parti di sé; con la voglia di imitare, di cambiare, ma anche con quella di essere coerenti; di trasgredire, ma anche di essere seri.>>18
18 Paola Pizza, Psicologia sociale della moda. Abbigliamento e identità, Verona, QuiEdit, 2010, pag. 16
19
Nello scegliere l'abbigliamento intervengono
dunque
complementari,
due
cioè
elementi
contrari
l'autovalutazione
e e
l'eterovalutazione, reale o fantastica che sia. È come quando uno scrittore scrive; egli scrive per un pubblico, ma un pubblico che si rispecchia in lui stesso, che passa attraverso di lui, un pubblico che potrebbe essere lui se dall'esterno giudicasse la propria opera. Così è spesso anche nella moda, in quanto si immagina uno spettatore, le cui valutazioni sono filtrate attraverso le nostre, o a cui attribuiamo le nostre. <<Il bisogno di ridurre il disagio derivante dalla differenza tra come ci sentiamo e come pensiamo dovremo essere per essere accettati o apprezzati dagli altri, ci porta spesso a comprare oggetti di moda. Un abito nuovo, una sciarpa di un colore di tendenza, un paio di scarpe particolari, una spilla luccicante, ci danno il potere di eliminare, almeno parzialmente, la dissonanza e quindi di aumentare
il
nostro
benessere
e
la
nostra
autostima.>>19. Cambiare la propria immagine è più semplice che non modificare la nostra organizzazione cognitiva; un abito nuovo, un paio di scarpe alla moda, ci fanno sentire più adeguati, e più sicuri di noi. Anche Roland Barthes, nel suo Sistema della moda, afferma un concetto analogo, spiegando che <<Facendo variare l'indumento si fa variare il mondo, e viceversa.>>20. C'è un costante rapporto tra il
19 - pag. 18 20 Roland Barthes, Sistema della moda, Torino, Einaudi, 1970, pag. 248
20
segno vestimentario e il mondo significato da quel segno, per cui, facendo variare l'indumento, il corpo che lo indossa fa variare il mondo. E Jean Paul Sartre, a sua volta, osserva che, come la persona produce l'indumento, in quanto si esprime attraverso di esso, così l'indumento produce magicamente la persona, per cui, al limite, trasformando l'indumento si trasforma il proprio essere. Quali sono gli effetti della moda sulla costruzione e il mantenimento dell'identità personale? <<In un mondo dove gli oggetti durevoli sono sostituiti da
prodotti
destinati
all'obsolescenza
immediata,
l'individuo, senza più punti di riferimento o luoghi di ancoraggio per la sua identità, perde la continuità della sua vita psichica, perché quell'ordine di riferimenti costanti, che è alla base della propria identità, si dissolve in una serie di riflessi fugaci, che sono le uniche risposte possibili a quel senso diffuso di irrealtà che la cultura della moda diffonde come immagine del mondo. … Declinandosi sempre più nell'apparire, l'individuo impara a vedersi con gli occhi dell'altro. Impara che l'immagine di sé è più importante della sua personalità. E dal momento che verrà giudicato da chi incontra in base a ciò che possiede e all'immagine che rinvia, e non in base al carattere o alle sue capacità, tenderà a rivestire la propria persona di teatralità, a fare della sua vita una rappresentazione, e soprattutto a percepirsi con gli occhi degli altri, fino a fare di sé uno
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dei tanti prodotti di consumo da immettere sul mercato.>>21. <<Qui la differenza tra realtà e apparenza diventa sempre più vaga, come vaga diventa la propria identità e indefinito lo spazio della libertà, intesa ormai non più come la scelta di una linea d'azione che porta all'individuazione, ma come la scelta di mantenersi aperta la libertà di scegliere, dove è sottinteso che le identità possono essere indossate e scartate come la cultura della moda ci ha insegnato a fare con gli abiti.>>22 Come scrive Paola Pizza, la moda è uno strumento per raggiungere determinati obiettivi sociali, e questi obiettivi sono essenzialmente tre: acquisizione della
padronanza,
ricerca
della
affiliazione
o
appartenenza, ricerca della valorizzazione. Acquisire la padronanza significa possedere le informazioni che permettono di comprendere e prevedere gli eventi sociali; possedere le informazioni corrette permette di integrarsi nel gruppo e di ottenere riconoscimento. Possedere informazioni adeguate, dunque, contribuisce ad allentare l'ansia e ad aumentare la sicurezza. <<L'abito giusto ci fa muovere con disinvoltura ad una festa, ci fa sentire sicuri ad un'importante riunione di lavoro e interessanti ad un incontro sentimentale.>>23 E
21 Umberto Galimberti, Il mito della moda in I miti del nostro tempo, Milano, Feltrinelli, 2009, pag. 108 22 - pag. 109 23 Paola Pizza, Psicologia sociale della moda. Abbigliamento e identità, Verona, QuiEdit, 2010, pag. 25
22
R.W. Emerson (1803-1882) scriveva nella sua raccolta Letters and Social Aims: <<Ho ascoltato con un senso di umile ammirazione l'esperienza della signora la quale dichiarava che la sensazione di essere ben vestita le dava un sentimento di tranquillità interiore che la religione
non
poteva
conferirle.>>
La
ricerca
dell'affiliazione deriva dal bisogno di sentirsi parte di un gruppo. <<L'uomo è per natura un animale sociale>> scriveva Aristotele, e Bertrand Russell affermava che <<L'uomo non è un animale solitario>>, e Seneca diceva che <<L'uomo è un animale sociale. Le persone non sono fatte per vivere da sole>>. I gruppi che ci attraggono e ci interessano rappresentano fonte della nostra identità, perciò abbiamo bisogno di conformarci ai processi di gruppo, e di identificarci con regole, norme, stili di comunicazione, atteggiamenti. In base all'abbigliamento riconosciamo non soltanto coloro che sono simili a noi, ma anche coloro che sono diversi da noi, i nemici, gli estranei. Un determinato abbigliamento è una sorta di codice, che ci permette di essere immediatamente riconosciuti come appartenenti ad un determinato gruppo. Come scrive Galimberti, l'abbigliamento ha un valore che lui definisce 'etnico', cioè tale da sancire l'appartenenza a un gruppo. <<Scegliere di vestirsi all'europea, ad esempio, è da almeno un secolo il segno di volere appartenere alla civiltà considerata egemone, se non addirittura alla
23
personalità sociale idealmente umana.>>24 La ricerca della valorizzazione <<ci spinge a vedere sotto una luce positiva noi stessi, le persone collegate a noi, il nostro gruppo. Tendiamo perciò ad enfatizzare gli aspetti positivi del nostro gruppo, e dei leader con i quali ci identifichiamo e che emuliamo, e in questo modo, parallelamente miglioriamo anche la nostra immagine e il nostro benessere. La moda aiuta a raggiungere anche questo obiettivo: gli abiti, gli accessori, la cosmetica, migliorano la nostra immagine e contribuiscono ad accrescere il nostro valore.>>25 Come detto più su, la moda risponde a dei bisogni, che nel corso del tempo si sono modificati; le motivazioni all'acquisto cambiano da epoca a epoca, da periodo a periodo. Tra le motivazioni più forti dobbiamo ricordare anche il desiderio di sedurre. La seduzione viene esercitata lasciando vedere ciò che è nascosto, o evidenziando ciò che sta sotto l'abito; gli abiti indicano una nudità nel momento stesso in cui la nascondono, sottolineano i caratteri sessuali che ricoprono. Proprio perché copre, il vestito suscita il desiderio di scoprire. Il corpo nudo non lascia spazio all'immaginazione, che invece è uno dei tratti essenziali della seduzione; il gioco tra visibile e non visibile, tra nascosto ed esposto, sollecita la capacità immaginativa,
24 Umberto Galimberti, Il mito della moda in I miti del nostro tempo, Milano, Feltrinelli, 2009, pag. 97 25 Paola Pizza, Psicologia sociale della moda. Abbigliamento e identità, Verona, QuiEdit, 2010, pag. 30
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che accende il desiderio. Come scrive Jean Baudrillard, <<Nel gioco della seduzione, il desiderio non è un fine ma un'ipotetica posta in gioco. Anzi, più precisamente, la posta in gioco è provocare e deludere il desiderio, la cui unica verità è brillare e restare deluso. Un desiderio che abusa del suo potere, un potere che gli è stato dato solo per essergli tolto. Non riuscirà neppure a sapere cosa gli stia succedendo. Certo, colei o colui che seduce può amare o desiderare realmente, ma più in profondità (o in superficie, se si vuole, nell'abisso superficiale delle apparenze) si gioca un altro gioco, che nessuno dei due conosce e in cui i protagonisti del desiderio sono soltanto comparse.>>26 È interessante chiedersi e analizzare quali siano le differenze tra gli obiettivi delle 'vittime della moda' e quelli dei consumatori oculati e consapevoli. Per fare ciò dobbiamo entrare nel campo della psicologia, e riferirci alle teorie delle motivazioni, in particolare a quella di Maslow. La teoria di Maslow individua cinque categorie di bisogni posti in ordine gerarchico, che sono bisogni fisiologici, sicurezza, affettività, stima, autorealizzazione. Nello specifico, e in relazione alla presente trattazione, tale teoria permette di evidenziare come si sia passati da un'economia del bisogno (dove l'acquisizione di prodotti di moda è determinata dai bisogni primari)
26 J. Baudrillard, Il destino dei sessi e il declino dell'illusione sessuale, in AA. VV, L'amore, Milano, Mazzotta Editore, 1992, pag. 87
25
all'economia dei desideri (dove gli acquisti sono guidati da motivazioni, cioè bisogni secondari). I bisogni secondari <<derivano dal desidero di qualcosa e non dalla mancanza di qualcosa. Una volta soddisfatti la loro energia continua a crescere e a dirigere il comportamento soddisfazione
verso può
nuove
essere
mete, anche
e
la
loro
differita
nel
tempo.>>27. È un tipo di bisogno che si autoalimenta, e che, una volta soddisfatto, si sposta verso un altro oggetto. Non si può a questo proposito non citare Erich Fromm, che in Avere o essere? parla del consumismo contrapposta
come
di
una
all'essere,
modalità
dell'avere,
dell'avere
come
'incorporazione'. <<Incorporare una cosa, ad esempio mangiando o bevendo, costituisce una forma arcaica di possesso della cosa stessa. Lo stesso rapporto tra incorporazione e possesso è reperibile in molte forme di cannibalismo. A esempio, divorando un altro essere umano ne acquisisco i poteri.>>28. Ma ci sono anche incorporazioni simboliche, o magiche, come scrive Fromm, quale per esempio l'incorporazione legata al consumismo.
<<L'atteggiamento
implicito
nel
consumismo è quello dell'inghiottimento del mondo intero. Il consumatore è un eterno lattante che strilla per avere il poppatoio: una condizione che assume ovvia
27 Paola Pizza, Psicologia sociale della moda. Abbigliamento e identità, Verona, QuiEdit, 2010, pag. 33 28 Erich Fromm, Avere o essere?, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1977, pag. 45
26
evidenza in fenomeni patologici come l'alcolismo e l'assuefazione alle droghe.>>29 Aggiunge Fromm: <<Il consumo ha caratteristiche ambivalenti: placa l'ansia, perché ciò che uno ha non può essergli ripreso; ma impone anche che il consumatore consumi sempre di più, dal momento che il consumo precedente ben presto perde il proprio carattere gratificante. I consumatori moderni possono etichettare se stessi con questa formula: io sono = ciò che ho e che consumo.>>30. Quindi, riprendendo ciò che scrive Paola Pizza, possiamo affermare che <<Il prodotto moda non è più semplicemente un prodotto utile e sicuro con una funzione strumentale, ma una esperienza simbolica che permette di trasformarsi, di appartenere alla comunità dei migliori e identificarsi con chi ha successo, di condividere l'esclusività e sentirsi parte del gruppo degli eletti, di identificarsi con un oggetto o una griffe per aggiungere valore a se stessi, di condividere i valori di un gruppo frequentando i luoghi di moda, di essere riconosciuti come vincenti, di gratificarsi e divertirsi e di essere felici.>>31. Dalle considerazioni sin qui fatte deriva che la moda, come molte altre espressioni dell'essere umano, è intrisa di contraddizioni e di paradossi. Come fa notare Elena Esposito ne I paradossi della moda, da una parte, essa è ricerca di individuazione, e dall'altra bisogno di integrazione; da una parte tende al
29 - pag. 46 30 - pag. 47 31 - pag. 34
27
cambiamento e dall'altra alla permanenza; da un lato sembra essere ragionevole, e dall'altro assolutamente casuale; da una parte è rigida e dall'altra priva di regole. La moda, quindi <<sembra essere caratterizzata più dai suoi paradossi che da determinazioni positive – più dall'ambiguità
che
funzionamento
da
della
indicazioni 32
moda.>>
univoche Occorre
nel
quindi
accogliere e valorizzare i paradossi, e considerarli non come semplici contraddizioni o incoerenze, ma come aspetti essenziali e funzionali della moda. Tornando al tema centrale di questo lavoro, il dandismo, è evidente che proprio nel dandy sono presenti, in modo eclatante, tutti i paradossi e le contraddizioni di cui si diceva prima. Elena Esposito mette in contrapposizione honnête homme - l'uomo del buon gusto, dell'educazione, della buona nascita, della gradevolezza, della trasparenza - e dandy. <<L'honnête homme non si riferisce mai a se stesso, e non si singolarizza … Egli si definisce al contrario nel riflesso dell'osservazione
altrui
nella
pratica
della
conversazione. Cionostante la sua honnêteté si fonda sull'interiorità, sul suo essere vero e spontaneo che lo qualifica come uomo di gusto e gli fornisce un orientamento universale e stabile. Il dandy, invece, afferma la propria singolarità facendosi notare per la stravaganza e imponendosi agli altri. Il rifiuto dell'amor proprio si è trasformato in un narcisismo dichiarato ed ostentato, indice di un nuovo livello di riflessività
32 Elena Esposito, I paradossi della moda, Baskerville, Bologna, 2004, pag. 16
28
dell'auto-osservazione. L'atteggiamento del dandy, però, è pura esteriorità e non esprime una sua natura interiore e autentica. Cambia infatti con le mode e con le circostanze, a cui lui si adegua come al primo criterio di riferimento: il suo tempo non è l'eternità, ma kairos sempre mutevole e fuggitivo.>>33. <<Il dandy … coltiva e valorizza la differenza: si vuole diverso dagli altri e diverso dall'immagine che gli altri si possono essere fatti di lui. Risulta allora spesso sgradevole e fastidioso, ostentando distanza e a volte anche disprezzo nei confronti degli altri e dei loro criteri, e coltivando apertamente la devianza. … il dandy non vuole piacere ma sorprendere. Non vuole essere gradevole, ma nuovo, e in questo unico. Rischia il ridicolo con disinvoltura.>>34. Il dandy trae sicurezza e forza dal non passare inosservato; ha bisogno che gli altri lo notino, che gli attribuiscano una identità che lui, in sé stesso non possiede. Se vogliamo fare un'incursione nella filosofia kantiana, potremmo dire che il dandy è 'eteronomo' e non 'autonomo'; non è lui che dà la legge a sé stesso, ma la legge, la legittimazione, il riconoscimento, gli derivano dagli altri. È come se solo attraverso lo sguardo degli altri egli potesse avere forma, forza e identità. Questo aspetto rappresenta un altro punto di contraddizione del dandy; egli infatti dipende dal giudizio degli altri, ma nello stesso tempo è esasperatamente individualista, e anzi proclama e 33 - pag. 123 34 - pag. 123
29
reclama il suo diritto a essere e sentirsi unico. Come spiega Elena Esposito, <<E ovviamente, in questa esasperata singolarità, il dandy non può attenersi a regole fisse e condivise dagli altri. Il dandy si fa da sé le sue regole, che sono regole mobili e puntano ad esprimere le “leggi del capriccio”. Non è che si rifiutino le regole in quanto tali, ma si rifiuta ogni regola determinata … il dandismo fa una regola del mero rifiuto della regola, e in questo modo la riconosce ancora, per quanto in negativo.>>35. Ancora il dandy ci sorprende, con le sue tante facce e sfaccettature... Anche se apparentemente mostra di snobbare gli atri, in realtà ne dipende, e – se è lecito aggiungere – probabilmente li teme. In un bellissimo saggio su Baudelaire, Jean Paul Sartre racconta come l'artista francese si coprisse di ornamenti e gioielli non tanto per mostrarsi, quanto piuttosto per nascondersi. <<La vistosa bizzarria degli abiti e della pettinatura è un'affermazione decisa della sua
unicità.
Vuol
sbalordire
l'osservatore
per
sconcertarlo. L'aggressività del suo abbigliamento è quasi un atto; quella sfida è quasi un'occhiata smargiassa: il canzonatore che lo osserva si sente previsto e preso di mira da tale stravaganza; se si scandalizza è perché scopre sulle pieghe della stoffa un pensiero pungente che si rivolge contro di lui e gli grida: <<Sapevo che avresti riso>>. Indignato, è già un po'
meno
<<osservatore>>,
già
un
po'
più
35 Elena Esposito, I paradossi della moda, Baskerville, Bologna, 2004, pag. 124
30
<<osservato>>. Se non altro, si sbalordisce esattamente nel modo in cui si voleva che si sbalordisse; è caduto in una trappola; quella coscienza libera e imprevedibile che poteva frugare Baudelaire fino in fondo al cuore, scoprire i suoi segreti e formular su di lui i giudizi più capziosi, ecco che è guidata come per mano e che la si diverte col colore d'un abito, col taglio di un paio di calzoni. La carne disarmata del vero Baudelaire è nel frattempo al riparo.>>.36 E di seguito: <<Il suo modo di abbigliarsi è, per la vista, quello che sono per l'udito le sue menzogne: un peccato clamoroso e strombazzato che lo fascia e lo dissimula. In pari tempo, si curva sull'immagine da lui stesso dipinta nella coscienza degli altri, ed essa lo affascina. È pur sempre lui, quel <<dandy>> perverso ed eccentrico! Il solo fatto di sentirsi fissato da quegli occhi lo rende solidale con tutte le sue menzogne. Si vede, si legge negli occhi degli altri e l'irrealtà di codesto ritratto immaginario piacevolmente lo eccita. Così il rimedio è peggiore del male: per paura d'esser visto, Baudelaire s'impone agli sguardi.>>.37 Scrive ancora Sartre: <<Resta che la sua civetteria, mentre è una difesa contro gli altri, diviene in pari tempo lo strumento dei suoi rapporti con se stesso. Baudelaire, ai suoi propri occhi, non esiste abbastanza. … Così Baudelaire si mette in fronzoli per travestirsi; … Non tollera in se stesso la minima spontaneità: immediatamente la sua lucidità lo trapassa da parte a parte ed egli si mette a recitare il sentimento 36 Jean-Paul Sartre, Baudelaire, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1989, pag. 122 37 - pag. 123
31
che stava per provare. Così è sicuro d'essere il proprio padrone: la creazione proviene da lui; e in pari tempo egli è l'oggetto creato.>>38 Attraverso questa esibizione, egli attirava l'attenzione delle persone che incontrava, ma in qualche modo la dirottava; la dirottava sugli anelli, sui collari, sui pizzi e su altri orpelli, distogliendola dal vero sé. Temeva che gli altri potessero andare aldilà dell'esteriorità, e entrare nei suoi recessi più intimi. In qualche modo è quello che accade anche a tanti di noi, talora o più spesso...
38 - pag. 125 e 126
32
IL DANDY: FETICCI, LEGGENDE, RITUALI Quando si parla del dandy, come abbiamo visto, si fa riferimento
a
una
serie
di
comportamenti,
di
atteggiamenti, di usi che gli sono propri, e che permettono di identificarlo proprio come 'dandy'. Passiamo in rassegna qualcuno di questi luoghi comuni, oggetti, rituali, che sono ormai assunti come collegati all'immagine del dandy, e che in qualche caso, potremmo aggiungere, ne hanno fatto una sorta di macchietta. In questo caso facciamo riferimento in particolare al lavoro di Giuseppe Scaraffia, che si è spesso occupato del dandismo, e che nell'opera intitolata Gli ultimi dandies39 ha indagato ed esposto in modo esauriente e sistematico una serie di termini e di temi, evidenziando per ognuno ciò che lo collega al dandismo. Abbiamo selezionato quelli che ci parevano più arguti, spiritosi, attinenti al tema. AGIO:
Sempre
se
stesso
e
sempre
mutevole, il dandy è a suo agio in qualsiasi situazione, in qualunque momento. Come Eliogabalo, sa vivere ogni istante come se fosse l'ultimo. ALBERGHI: Il dandy fronteggia il vuoto con degli oggetti simbolici. Vivere in un albergo legittima l'illusione di una perpetua libertà. La possibilità di lasciarlo in ogni momento irride alle illusorie certezze della borghesia.
39 Giuseppe Scaraffia, Gli ultimi dandies, Palermo, Sellerio editore, 2002
33
AMULETI: Nella sua immonda perfezione, il dandy è attratto dal frammento e dalle incrinature, ironici echi del caos e del disordine della vita. Lui che non sopporta una cravatta lievemente storta affida la sua sorte a oggetti stravolti dall'impatto col mondo. Nessuno meglio di lui sa che la fortuna è cieca e che l'eccezione va coltivata e onorata. ANELLO: Montesquieu portava sempre un anello semplicissimo e strano. Wilde e Lorrain esibivano anelli vescovili. Cocteau disegnò per sé e per Radiguet il celebre anello a tre vene di oro bianco, giallo e rosso intrecciate insieme. ATTUALITA': Il dandy è sempre, allo stesso tempo, un po' più avanti e un po' più indietro dell'attualità. BAGAGLIO: La vocazione del dandy all'essenzialità spoglia i suoi desideri di ogni inutile peso, creando una cerchia eletta d'oggetti. Nel bagaglio del dandy il superfluo sopravvive simbolicamente in pochi oggetti destinati a quella specifica funzione. E in effetti l'essenzialità del bagaglio del dandy è l'arma di un incessante duello con il tempo e con le mode, un manifesto d'indipendenza puntato contro la vana accumulazione degli oggetti, cui si sottopone l'uomo moderno per brandirli contro la morte. BASTONE: Il dandy è uno degli ultimi a deporre il bastone da passeggio, erede della spada e del gentiluomo dell'Ancien Regime. CINISMO: <<Per me il cinismo è la forma intellettuale della lealtà>> sostiene Roger Vailland.
34
CONTRADDIZIONI: Charles Baudelaire reclamava per il dandy il diritto di contraddirsi. CONTROCORRENTE: Il fascino delle cause perse, l'inesauribile nobiltà della sconfitta attraggono pericolosamente il dandy, sempre ostile ai nuovi
travestimenti
del
progresso.
<<L'estetica
dell'insuccesso è l'unica durevole. Chi non capisce l'insuccesso è perduto>> sentenzia Cocteau. CRAVATTE: <<Il primo serio passo nella vita deve essere una cravatta bene annodata>> spiegava Wilde. DENARO: Indifferente al peso crescente assunto dal denaro dopo la caduta delle bellicose virtù dell'Impero, Stendhal stupiva chi lo frequentava per la dignità con cui sopportava la modestia del suo reddito. Il dandy rifiuta di abbandonarsi alla corrente focosa del denaro: il minimo necessario o l'eccesso sono i lati opposti del medesimo profilo, riassunto nel motto dannunziano di Andrea Sperelli: <<Habere non haberi>>. DEMODE': Il demodé, abbandonato dalle folle incalzate dall'attualità e ancora immune dal riciclaggio della moda, s'inserisce nell'abbigliamento dandystico come una citazione in un saggio. L'alleanza segreta del dandy con il passato contro il futuro s'esprime allora nella scelta di un particolare, di un accessorio fuori moda appena percepibile da un occhio non addestrato. DETTAGLI: Lo sguardo ironico del dandy sa cogliere nell'altro il sintomo impercettibile, il
35
simbolico nel suo più minuto, inconsapevole incarnarsi. L'attenzione micrologica del dandy rifiuta la distinzione abusiva tra le grandi e le piccole cose della vita. L'apparente frivolezza del dandy, la sua abitudine di giudicare gli altri da particolari apparentemente insignificanti nasconde la sua fiducia in una sorta di <<fisiognomica dell'abito>>, in cui l'omissione, la scelta errata, sono significative quanto l'arroganza del cattivo gusto. DROGA: Il rapporto del dandy con la droga è
contraddittorio.
Da
un
lato
la
sua
lucidità
sull'inconsistenza e la volgarità della vita lo spingono verso i paradisi artificiali, dall'altro il suo spirito d'indipendenza non sopporta di sottomettersi nemmeno alla droga, che rimane per lui una sorta di osservatorio privilegiato, inaccessibile ai pavidi, e nient'altro. ESOTISMO:
Incastonato
come
un
<<solitario>> in una preziosa dimora, o vagante, sperduto nei paesi più esotici, il dandy rimane sempre un viaggiatore, un esule momentaneamente posatosi in un mondo da cui non si lascia dominare. La sua estraneità
alla
società
gli
conferisce
un
tocco
d'esotismo. ESTRANEITA': Il dandy ribadisce la sua estraneità a qualsiasi invito, il suo invincibile essere fuori posto e quindi a suo agio. FAMIGLIA:
Al
contrario
degli
aristocratici, dei borghesi e dei popolani, il dandy non ha bisogno della famiglia. FUNERALE:
Il
36
funerale
è
l'ultima
passeggiata del dandy, che spesso cura minuziosamente la sobrietà della cerimonia. Ancora una volta il suo trionfo consiste nella scarsità e non nell'abbondanza dei presenti. INAFFERRABILITA': Il dandy è riluttante a farsi afferrare dalle categorie mentali, preferisce incidersi nella memoria altrui con uno choc in cui piacere e disagio si fondono inestricabilmente. INTERNI: Le case dei dandies possono essere semivuote o stracolme. In ogni caso l'essenziale è ribadire la superiorità del dandy sugli oggetti che, dal più sublime al più banale, ruotano tutti intorno a lui come muti pianeti intorno a un sole inquieto. LAVORO: Nell'epoca della borghesia e della mistica del lavoro, il dandy non rinuncia a lavorare, ma sottrae alla vista altrui quello che la retorica del tempo ha reso osceno fino a svuotarlo di ogni contenuto. LETTERATI: Il dandismo dei letterati tradisce l'aspirazione ad essere all'altezza della propria creazione. È un problema morale: bisogna che la cattedrale sia degna dell'altare. Il dandismo diventa allora la custodia del genio. MISOGINIA: La poligamia è l'altro volto della misoginia del dandy. Una pluralità di legami che non ne esclude, come nel caso di Morand, Drieu e Vailland, uno permanente. MODA: Il dandy domina la moda e ne è dominato al tempo stesso. Ma la moda è l'incarnazione variopinta del capriccioso susseguirsi degli istanti in cui
37
caso e necessità, libertà e totalità si fondono inestricabilmente. La sensibilità del dandy alla moda è quindi una sensibilità al presente. NOIA: La noia è la malattia mortale del dandy che è pronto a tutto pur di evitarla. PASSATO: Figlio di se stesso, ricreato ogni giorno dal rito inesauribile dell'eleganza, il dandy è un aristocratico senza passato. Cognomi inventati o modificati e ascendenze fittizie esprimono il bisogno dei dandies di crearsi un passato immaginario. PITTORESCO:
Il
dandy
detesta
il
pittoresco, contraltare della seriosità borghese e sua legittimazione. Baudelaire prende volutamente le distanze dal fasto bohémien degli artisti dell'epoca. Drieu La Rochelle intimidisce i surrealisti con la sua sobria eleganza britannica. PULIZIA: Trasformati in una vera e propria cerimonia di purificazione, i riti della toeletta ribadiscono un confine continuamente insidiato dalle infiltrazioni del mondo esterno. In epoche poco scrupolose in fatto di pulizia, il dandy si difende dalla marea invisibile della sporcizia e della trascuratezza con l'accanimento di un esploratore sperduto nella giungla. Nel suo universo la lucidità interiore coincide con lo scintillio dei denti e delle scarpe, debitamente lucidate anche sulle suole. SCELTE: nella sua regale indipendenza dal senso comune, l'estetica domina le scelte del dandy. SEMPLICITA': L'estrema discrezione del dandismo novecentesco è un ritorno alle origini:
38
Brummell, spiega Boulenger, era di una tremenda semplicità, <<ogni eccentricità, ogni colore imprevisto, un taglio troppo ardito gli sembravano il segno di un intollerabile cattivo gusto>>. SGUARDO: La secchezza voluta del dandy traduce il tentativo di sottrarsi alla piena dilagante dell'orrore quotidiano del dominio. L'impassibilità del suo volto è la lucida superficie che respinge l'assalto dell'assediante rimandandogli l'ottusità irrimediabile della propria immagine: la decisione di non patire è la versione elegante della desolazione. SNOB: <<Tra snob e dandy>> ammonisce Benjamin <<va fatta una distinzione nettissima>>. Il dandy non si lascia definire dalle sue relazioni, ma, come un astro splendente, rischiara di volta in volta, con i suoi imprevedibili bagliori, gli individui più vari, nobilitati per un istante dal suo sguardo. SOLO: La solitudine del dandy, il suo volontario isolamento dalla marea montante della massificazione lo rafforzano invece di indebolirlo. Nessuno meglio di Drieu sapeva che <<tutto quel che esiste è la solitudine>>. SPECCHIO:
Il
dandy,
come
diceva
Baudelaire, vive e muore davanti a uno specchio. SPERPERO: Lo sperpero apparente del dandy, sempre vestito con la più assoluta eleganza, cela una profonda saggezza. Nella sua bandiera di seta è profondamente impresso il sentimento che ogni attimo che si vive è unico e imprevedibile, e come tale non può essere messo da parte o tra parentesi. Il borghese,
39
che riserva alle grandi occasioni la sua tenuta di gala, è in realtà il vero sperperatore, colui che consente a non vivere pienamente per la maggior parte del tempo che gli è dato in sorte nell'insana fiducia di poter rinunciare a una parte della sua esistenza per migliorare l'altra. A volte solo il dandy sembra sapere che si vive una volta soltanto. SPIRITO: Lo spirito del dandy aspira ad essere discreto e irripetibile come il suo abbigliamento. Oltre alle parole, sono essenziali il tono, lo sguardo, l'abito e il portamento di chi le proferisce. STRUMENTI: la minuziosa toeletta, le attenzioni e le ricercatezze del dandy sono gli strumenti di una continua liberazione interiore. Queste apparenti perdite di tempo servono a richiamarlo ai suoi doveri verso se stesso, rallentando lo slancio verso il mondo esterno. SUICIDIO: Ogni dandy sa che, come spiegava Scott Fitzgerald, <<tutta la vita è un processo di demolizione>>. Per questo rivendica la libertà di scegliere il momento di andarsene. TURISMO: nel secolo del turismo di massa, il dandy ribadisce che ogni viaggio avviene sempre intorno a se stesso. UNICO: Il dandy non ama il trasudare del denaro dagli oggetti. Quel che gli basta è molto meno e molto di più. Il suo gusto, singolare mistura di austerità e di voluttà, come l'impossibile replica della perfezione, miracolosamente realizzata dal suo abbigliamento, rivela l'aspirazione all'oggetto unico, supremo vertice e
40
compendio di tutti gli altri. L'ampio spazio concesso al vuoto nelle abitazioni di Drieu La Rochelle tradiva un'aspirazione all'assoluto. Il dandy è uno stoico del lusso, condito arditamente con la povertà. VIOLAZIONI: Il dandy, sostiene Barbey d'Aurevilly, si prende gioco della regola, e tuttavia la rispetta. Non è un rivoluzionario, ma un raffinato frondista, intenzionato a dimostrare che quello che agli altri è interdetto può essere trasformato nel massimo dell'eleganza. La sua scelta sfiora il cattivo gusto per tramutarlo con la bacchetta magica della sua personalità in un nuovo gusto.
41
DANDIES DI OGGI Il Vip, lo Chic, la Griffe, i Mass-media Cosa significa parlare di dandismo ai giorni nostri? Come può essere definito il dandy? Come ampiamente indicato
precedentemente,
il
dandy
è
connesso
strettamente alla moda, ma anche al mondo del design, della grafica, della musica, dello sport, dello spettacolo. Tra i dandies moderni, scelti tra i personaggi famosi, potremmo citare il calciatore David Beckham, il designer d'interni David Carter, l'attore Jude Law, e i nostri Fabrizio Corona, Morgan, Vittorio Sgarbi, insieme a tanti altri. Certamente il dandy di oggi non scinde il proprio aspetto dal successo e dal seguito che può ottenere, che si tratti di un personaggio famoso o meno. Di David Beckham Alice Cicolini dice che <<He is acutely aware of the importance of his appearance in the development of his celebrity status.>>. “Egli è ben consapevole dell'importanza del suo aspetto nello sviluppo del suo stato di celebrità.”40. È importante sottolineare quanto sia importante, per i personaggi pubblici, il ruolo della griffe nella creazione della propria immagine e nella cura del proprio aspetto. I personaggi popolari, o che ambiscono a essere popolari,
40
Alice Cicolini, The new English Dandy, Londra,
Thames & Hudson, 2005 pag. 45
42
vestono marchi di stilisti. <<La parola magica è la griffe indossata, tutto il resto scompare, è sufficiente il nome dello Style per far dimenticare il fatto che poi in quei panni non si rende narcisisticamente al 100% delle proprie possibilità estetiche e magari non ci si sta neppure così comodi, ma tant'è la potenza della griffe che ci si guarda con una vista nuova, una seconda vista: insomma, si è quella griffe e ci si eleva dinanzi all'altra griffe, sempre considerata se non la si indossa in quel momento meno prestigiosa. Per questo si diventa protagonisti, attori, uomini-donne spettacolo che hanno un nome conosciuto da tutti: si diventa il <<tal dei tali>> in griffe che fa tanto nobile, apprezzato, aristocratico, conosciuto da tutto il jet-set internazionale; un bisogno di emergere, di farsi riconoscere ...>>41 C'è da dire che, al di là dei personaggi pubblici e vip a cui si faceva ora riferimento, il dandismo è un fenomeno esteso e generalizzato, che facilmente può riguardare chiunque, giovane o vecchio, studente o lavoratore, poiché è un atteggiamento mentale, un modo di essere e di immaginarsi; e, in quanto tale, credo che non morirà mai, pur assumendo, in tempi diversi, sfumature differenti. Dunque, chi è il dandy oggi? Prendendo spunto da alcune riflessioni raccolte su siti dedicati al
41 Giancarlo Grossini, Firme in passerella. Italian style, moda e spettacolo, Bari, Edizioni Dedalo, 1986, pag. 9
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neodandismo, possiamo delineare questo ritratto del dandy moderno. <<Cosa possiamo dire del dandy di oggi? Di certo possiamo dire che egli ama la libertà che respira avidamente - ed in relazione alla quale edifica la propria vita. Ciò si manifesta nella sua vita sentimentale, dove, almeno per i primi trentacinque anni, preferisce rimanere single, o sul piano lavorativo, dove preferisce essere libero professionista piuttosto che impiegato o operaio. Per questo oggi il dandy è preferibilmente grafico, web designer, architetto, musicista.>>42. Il dandy è un esteta, ama il bello, e ritiene che la vita, come già affermò Oscar Wilde, debba essere vissuta come un'opera d'arte. <<La continua ricerca della bellezza e del sublime diventa così una costante nella vita del dandy.>>. Bei quadri, bell'arredamento, bella musica, cibi raffinati, il dandy ama circondarsi di bellezza. E a proposito di cibo, vediamo la divertente descrizione che MaxCube Designer dà del dandy ai fornelli: <<Nella megalomane impresa di trasformarsi egli stesso in opera d'arte, il dandy trova assolutamente necessario non lasciare al caso la propria alimentazione. Specialmente al giorno d'oggi, in cui spietati gruppi economici immettono continuamente sul mercato tonnellate e tonnellate di cibi avvelenati ed adulterati, la cura per il cibo riposta dal dandy assume il carattere della missione. Coltivando direttamente sul proprio terrazzo quello che può, il dandy cerca di acquistare,
42 Dal sito www.ildandy.it
44
nei limiti del possibile, soltanto cibo genuino e di stagione. Il rapporto di amplesso dandiano col cibo inizia la mattina, quando il dandy mangia abbondante. Poco latte, cosciente di essere un uomo e non un vitello, niente biscotti sterilizzanti, si passa direttamente ad un uovo, o a del pane imburrato con marmellata, quella che lui stesso si è confezionato, ed occasionalmente anche una spremuta. Spremuta vera, quella che lui spreme con le sue mani naturalmente. A pranzo, si conferma il tipico italiano. A cena, dipende dalla compagnia... Ma la cucina è soprattutto per il dandy, per il moderno dandy, l'ennesima occasione di sfoggiare le sue propensioni artistiche. Il dandy si sbizzarrisce ai fornelli, e con spirito artigianale crea la sua
ennesima
opera,
da
sfoggiare
magari
e
preferibilmente in un incontro galante. Il dandy infatti, non ama portare le proprie amanti a cena fuori, il conto sempre troppo salato, ed il servizio sempre troppo pacchiano. Meglio una cena a casa sua, dove diventa finalmente regista di una cena indimenticabile. La fortunata di turno si troverà già all'ingresso subito affascinata dal buon gusto del dandy, nel posizionare quadri e mobilie. Estasiata dal corridoio, arriverà alla cucina/salotto del dandy. Si siederà, comodissima, mentre le più sublimi musiche jazz inebrieranno l'atmosfera. Sorseggiando del vino, ormai persa in un'atmosfera di magia, vedrà finalmente avvicinarsi il suo dandy/chef, con in mano due piatti dallo straordinario gioco di colori. Finalmente a tavola, il gusto non la deluderà, mentre il vino, leggero ma
45
inebriante, comincerà a dare i suoi effetti, facendo ormai perdere qualsiasi confine tra realtà e sogno. Di solito, con la donna che non si concede alla fine della cena dandiana, il dandy taglierà, con delicatezza e savoir faire dandyano, qualunque contatto. Non immolarsi come prelibato dessert alla fine di una cena dandiana è un atto di maleducazione ed insolenza irreparabile. Non concedersi alla fine di una cena dandiana, non significa infatti soltanto infrangere un desiderio erotico, ma distruggere con una scellerata pennellata finale una vera e propria irripetibile opera d'arte,
riuscita
rifiuto.>>.
perfettamente
fino
all'ignobile
43
Questa descrizione, naturalmente, vuole delineare una sorta di macchietta, esasperando alcuni aspetti del nostro personaggio dandy. Ma certamente contiene anche del vero. E in ogni caso, aldilà di considerazioni scherzose, è un dato di fatto che il dandy è colui che non trascura i particolari. <<Il vero gentleman,
infatti
—
scrive
Nick
Yapp
nella
presentazione al libro Il Gentleman — è colui che non lascia nulla al caso. Non basta vestirsi in maniera impeccabile e curare ogni aspetto alla perfezione. Tutto l'insieme
dev'essere
compiuto.>>44
E
aggiunge:
<<Nemmeno il potere più grande e la ricchezza più ingente possono fare di un uomo un gentleman. Ma a chi si impegna e vede i propri sforzi ricompensati dal
43 44 Bernard Roetzel, Il Gentleman, Il manuale dell'eleganza maschile, Oldenburg, Konemann, 1999, pag. 8
46
successo...! A lui sì che si svela un mondo affascinante, un mondo al quale solo pochi possono accedere. E allora ci si accorge che per essere un gentleman non basta vestirsi secondo certi canoni, nonostante sia un requisito indispensabile. Occorre anche comportarsi di conseguenza. Perché un gentleman è rispettabile in ogni circostanza, fa sempre la cosa giusta per istinto. … Un piccolo
avvertimento,
perfezionismo
esteriore
tuttavia... può
portare
Il
semplice a
qualche
eccesso.>> Yapp cita a questo punto Bertrand Russell, il quale diceva del giovane Anthony Eden che non era un gentleman, anche se ben vestito. Eden, a detta di Russell, segnava il passo nella moda, ma non vantava certo qualità morali all'altezza del suo abbigliamento. Come ribadito nella prefazione, <<un uomo non diventa gentleman per l'abito che indossa e, viceversa, un vero gentleman resta tale anche senza abito. Ma concludere da questa osservazione che il nostro aspetto esteriore non sia importante, sarebbe un errore. L'abbigliamento è il biglietto da visita della nostra personalità. E perciò dovrebbe corrispondere a una personalità.>>45 Da queste considerazioni, così come da altre
già
evidenziate,
emerge
una
caratteristica
importante che dovrebbe attenere al dandy (dandy nel senso più alto della parola), cioè la misura. Sembrano proprio essere la misura, l'equilibrio, l'armonia, il giusto dosaggio, per così dire, le caratteristiche che informano
45 - pag. 11
47
lo stile tout cour, e lo stile del dandy in particolare. Abbiamo usato il termine 'dovrebbe', perché spesso accade che proprio il dandy si faccia vanto proprio della non misura, cioè degli eccessi. Riferendoci ancora a quello che è il dandismo oggi, potremmo aggiungere che i dandies fanno parte, per lo più, del mondo dei VIP, delle celebrità, del 'bel mondo', o comunque di cerchie esclusive, quali circoli, club, ecc. E, diversamente che in passato, non possono prescindere dal ruolo dei 'mass media', di mezzi di comunicazione, che permettono di essere sempre in vetrina, e fungono da cassa di risonanza, e da preziosissimo strumento di visibilità. È ormai acquisito che la posizione, il 'successo' di tantissimi personaggi deriva oggi non tanto (o non solo) da reali capacità e qualità, quanto piuttosto dalla abilità di sapersi vendere bene, e dalla scaltrezza di utilizzare la propria immagine. Come scrive Patrick Mauriès, <<i vip appartengono a diversi circoli, che non comunicano tra loro: in primo luogo, quello degli eletti, figure internazionali la cui qualità principale è accumulare le qualità, <<aver tutto per sé>> - gioventù, ricchezza, bellezza – ed essere speciali anche nei piccoli atti e gesti (Madonna, i Beckham, i regnanti di Monaco, la defunta Lady D, eccetera). … I vip sono, per definizione, limitati: hanno un senso, e un'esistenza, solo se questi sono sostenuti, creati, tessuti, accresciuti da un organo essenziale, che è il loro corollario: la stampa (più importante, in quanto meno istantanea, rispetto ai media caldi, televisivi, dei quali comunque
48
segue l'impulso.>>46. Le occupazioni dei VIP sono anch'esse
'esclusive',
come
aggiunge
Mauriès:
<<Ristretto com'è, questo piccolo mondo si dedica ad attività anch'esse poco numerose, non più di tre a quanto pare, sulla cui successione sono strutturati i rotocalchi. Vanno in vacanza, sempre a Saint-Barth o in un'isola segreta delle Antille, per sfuggire al pesante fardello della loro celebrità>>47. Con altre parole, il dandy potrebbe essere definito anche 'radical chic'. Vediamo la descrizione che ne fa Serge Raffy. <<Chi si immagina il radical chic sotto forma di un adolescente sensibile come una fanciulla si sbaglia di grosso. Perché il radical chic fa il doppio gioco. Bara senza vergogna. Il radical chic cammina mascherato. Fa pettegolezzi. Si dissimula dietro un abito da hippie riciclato nell'informatica, gioca agli ecologisti senza frontiere, conosce la bibbia dello sviluppo sostenibile a memoria, fa i gargarismi con i diritti umani in continuazione. Ama l'Abbé Pierre, Bernard Kouchner, MC Solaar, Suzanne Vega, versa il suo obolo a una ONG lontana, detesta le guerre. Ma, in fondo, è un terribile predatore. Un difensore agguerrito e feroce del suo territorio, solitamente situato nella prima periferia, in un loft riconvertito da una fabbrica di scarpe dismessa. ...>>48. Sono descrizioni abbastanza impietose, ma probabilmente veritiere, anche se intrise di ironia e sarcasmo. E anche sulla base di queste
46 Patrick Mauriès, I VIP, in Nuovi miti d'oggi, Milano, Il Saggiatore, 2008, pag. 105 47 - pag. 106 48 Serge Raffy, I radical chic, in Nuovi miti d'oggi, Milano, Il Saggiatore, 2008, pag. 135
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considerazioni vorrei tirare un po' le somme. Cosa dandismo
accomuna
delle
e
origini
cosa
distingue da
il
quello
attuale?Indubbiamente, ora come allora, il dandy ha come punto fermo la cura del proprio aspetto. E pure, ora come allora, il dandy è un personaggio che ama distinguersi; mi pare di poter dire che le componenti psicologiche, pur tenendo conto del variare delle epoche, siano simili. Le contraddizioni che ho messo in evidenza credo riguardino sia il dandy del passato che il dandy di oggi. Vorrei però esprimere una considerazione; mi sembra che il dandismo del passato fosse (più che oggi) un'espressione intellettuale, facesse riferimento a uno spessore culturale che oggi, spesso, mi sembra manchi. Il dandy delle origini era un artista, un esponente di pensiero, e con il suo atteggiamento voleva comunicare un'eccellenza; egli voleva distinguersi, ma sulla base di una differenza che si fondava su reali qualità. Forse è presunzione pensare di voler guidare, dirigere, influenzare le masse... Ma certamente, se questa presunzione si fonda su una vita di studi e di desiderio di imparare e migliorare, ha per lo meno qualche giustificazione dalla sua. Il dandy di oggi è spesso un personaggio che ha successo e popolarità, quel successo e quella popolarità che facilmente vengono attribuiti sulla base di un bel fisico, di modi accattivanti, di grande disinvoltura, di capacità di stare in pubblico e di curare la propria immagine. Forse, ancor più che in passato, il
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dandy oggi può fare tendenza, grazie alla grande visibilità offerta, come si diceva prima, dai mass media. Se fosse lecito generalizzare, mi verrebbe da dire che, delle varie accezioni del termine dandy, al dandy di oggi si addicono quelle più dispregiative. Sicuramente anche ai nostri giorni ci sono 'dandy' di spessore, ma forse si è perduto quello spirito di “rottura” con il sistema, che avevano personaggi come Oscar Wilde, Charles Baudelaire o Lord Brummell.
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LA CADUCITÀ Nell'introduzione
dicevo
come
la
moda
e
l'abbigliamento siano continuamente in trasformazione, quindi segnale della precarietà della vita stessa, dove niente è mai dato una volta per tutte. A questo proposito, e in chiusura, vorrei citare le parole che scrisse Leopardi, nel Dialogo della Moda e della Morte, parole che mi sembrano particolarmente significative.
MODA: Io sono la Moda, tua sorella. MORTE: Mia sorella? MODA: Sì: non ti ricordi che tutte e due siamo nate dalla Caducità? MORTE: Che m'ho a ricordare io che sono nemica capitale della memoria. MODA: Ma io me ne ricordo bene; e so che l'una e l'altra tiriamo parimente a disfare e a rimutare di continuo le cose di quaggiù, benché tu vadi a questo effetto per una strada e io per un'altra. … MODA: … Dico che la nostra natura e usanza comune è di rinnovare continuamente il mondo, ma tu fino da principio ti gittasti alle persone e al sangue; io mi contento per lo più delle barbe, dei capelli, degli abiti, delle masserizie, dei palazzi e di cose tali.49
49 Giacomo Leopardi, Dialogo della Moda e della Morte in Operette morali, Milano, Arnoldo Mondadori editore, 1988, pag. 57
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CONCLUSIONE In conclusione di questo lavoro, posso dire che per me è stato davvero un percorso di ricerca e di acquisizione di conoscenze e consapevolezze nuove. Dico così perché, quando mi sono avvicinato a questo argomento, avevo già determinate conoscenze e determinate idee, in base alle quali avevo immaginato l'organizzazione del lavoro e i vari punti da trattare, così come la tesi di fondo. Poi, nel corso del lavoro, mi sono trovato a modificare le mie opinioni, e ad allargare la mia visuale. Questa ricerca non è stata quindi soltanto una relazione, ma una ulteriore opportunità per scoprire e imparare.
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