Società (a) Prefabbricata

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Scuola di Architettura e SocietĂ Corso di studi in Scienze della Architettura Tesi di Laurea - a.a. 2013-2014 Relatore Prof. Arch. Massimiliano Nastri

Andrea Filippo Cremonesi - 778252 Matteo Gullo - 776716


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INDICE 1. Inquadramento della società contemporanea. Analisi delle evoluzioni sociali a diverse scale in rapporto al contesto architettonico. 1.1. individuo 1.2. città 1.3. globo 2. Inquadramento del contesto architettonico contemporaneo in risposta allle evoluzioni della società odierna. 2.1. energia 2.2. materia 2.3. utopia 3. Studio di architetture attuali. Analisi di casi studio corrispondenti ad una società contemporanea. 4. Macchine per abitare: Diogene. Analisi del progetto della residenza prefabbricata. 5. Risposte teoriche ad una società pratica. Linee guida derivanti dalla ricerca percorsa.


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Continue innovazioni tecnologiche, la scomparsa dei totalitarismi del secolo scorso, i nuovi flussi migratori, gli acquisiti mezzi di trasporto, la globalizzazione ed altri grandi macro eventi che hanno caratterizzato gli ultimi decenni sono il motivo scatenante di profondi cambiamenti all’interno della società odierna. Dalla nascita di internet all’utilizzo di massa dell’aereo, dalla caduta del muro di Berlino all’invenzione del telefono cellulare, abbiamo assistito a mutazioni costanti ed incontrastabili che grazie alla loro globalità rendono la società odierna un oggetto liquido (Bauman, 2000) senza possibilità di mantenere una sua identità. Le popolazioni che abitano oggigiorno le nostre città sono profondamente diverse rispetto a quelle che le hanno popolate nel secolo passato. L’identità di un’etnia nella quale riconoscersi, legata al luogo di residenza o di appartenenza, sta andando sempre più scomparendo a causa del crescere della mescolanza che abita uno stesso luogo (Bauman, 2000). Utilità, lavoro, necessità e nuove possibilità, anche tecnologiche, hanno spinto l’individuo a muoversi ed abitare luoghi nuovi inserendosi in comunità già radicate che, a loro volta, tendono a spostarsi. « Il numero di automobili circolanti e di passeggeri trasportati dall’aviazione civile commerciale nel mondo ha raggiunto per la prima volta il miliardo di unità nel 2012. Considerando tutte le modalità di trasporto, nel 2010 ogni cittadino dei 27 stati membri dell’unione europea ha percorso in media 35 km ogni giorno, cui si devono aggiungere 21 km di merci trasportate per un totale di circa 56 km pro capite. [...] Sono circa sei miliardi i telefoni cellulari nel mondo, di cui 741 milioni in europa. Il 34% della


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popolazione mondiale - 2,5 milioni di abitanti - utilizza Internet e quasi il 70% della popolazione Europea ha usato Internet settimanalmente nel 2011. Sono questi i numeri di una società che trova nelle molteplici forme della mobilità il proprio fondamento economico, sociale, culturale.» (Zani, 2014) Questi fenomeni hanno quindi condotto ad una molteplice reazione della società a diverse scale, la facilità di mobilità ha, ad esempio, scaturito il problema della convivenza spesso problematica fra diverse etnie e popolazioni (Zukin, 1995) ed al meccanismo di rigetto o di assorbimento da parte di una sull’altra. (Bauman, 2000). I nuovi mezzi di comunicazione hanno creato le basi per un continuo scambio di informazioni ed interessi, che a loro volta hanno portato ad un continuo crescere di necessità comuni. Siamo passati dal consumismo al sistema consumistico (Bauman, 2007) per il quale tutto assume una data di scadenza e diventa labile, dove il concetto di proprietà assume valenze differenti in base al luogo ed al preciso momento storico rispecchiandosi anche sui luoghi e creando sempre diversi modi di intendere il pubblico ed il privato (Braga, 1991). E’ in un contesto come questo che l’architettura si è abituata a rapportarsi con una utenza in costante mutevolezza, che oltre a modificarsi in se stessa è anche più abituata a cambiare luogo di appartenenza o di fruizione e che rinnova le proprie esigenze a ritmi sempre più veloci. Diventa quindi difficile vedere nella società odierna i meccanismi di forza, stabilità e potenza che hanno caratterizzato il secolo scorso esasperandosi poi nell’avanguardia del futurismo.


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In un contesto ricco di cambiamenti, l’utente odierno abbandona il concetto di monumento in quanto elemento di riconoscimento della propria identità in funzione della abitudine ad essere circondato di oggetti anche architettonici più mutevoli (Branzi, 1997) La stessa città assume valenze differenti. Il modello classico di abitante/cittadino riconosciuto nel luogo che abita è superato da modelli più frammentati fra loro (Bonini Lessing, 2010). L’ambiente urbano è oggi un oggetto come un altro da usare per le proprie necessità giornaliere in base ai servizi che offre in relazione agli interessi perseguiti. Il termine city users (Bonini Lessing, 2010; Mareggi, 2011) indica perfettamente una tipologia di utenti che hanno necessità ben diverse da quelle del cittadino residente e stabile per il quale ed in funzione del quale le nostre città sono state costruite. Da questi mutamenti deriva quindi un nuovo modo di vivere, fruire ed abitare i luoghi che ci sono proposti. Analizzando i flussi ed i cambiamenti di questa società odierna ci si accorge di quali caratteristiche si può richiedere oggigiorno agli spazi che vengono abitati ed in che cosa queste differiscono da quelle riconosciute nel secolo passato. Dalle necessità dell’utenza derivano quindi nuovi modelli progettuali messi in campo non solo da architetti di riconoscimento internazionale come Norman Foster, Renzo Piano o Rem Koolhas, ma anche da architetti di minor fama che si sono affacciati a questi mutamenti ingegnandosi per dare la propria soluzione. Oltre alle naturali necessità trapelate dall’evoluzione della società odierna, si sono affacciate poi sul panorama architettonico quelle richieste dovute invece all’ambiente che hanno quindi portato


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al problema energetico/prestazionale intervenendo anche ad un livello normativo. Analizzando diversi casi studio (cap. terzo) che si sono occupati di risolvere questo tipo di problematiche ci si accorge che spesso la soluzione, oltre ad essere in un diverso metodo progettuale e di organizzazione generale degli spazi, è soprattutto nell’innovazione tecnologica delle metodologie costruttive. Problemi come quello della necessaria velocità del costruire, della possibilità di adattamento degli spazi a diverse utenze, del costo di realizzazione, della mutabilità funzionale dello spazio ed anche del fattore energetico sono spesso risolti attraverso l’utilizzo di sistemi costruttivi in prefabbricazione evoluta progettati a volte singolarmente; usati non come pezzi di una composizione standardizzata e replicabile ma come elementi singoli studiati in funzione dell’esigenza specifica in rapporto con la struttura del progetto. Si sono formate quindi due diverse tipologie di prefabbricazione: la prima riguarda l’utilizzo di elementi in sè, progettati al momento e prodotti, in serie o meno, lontano dall’aria di cantiere per poi essere assemblati in loco (cap. terzo); mentre la seconda si basa sulla produzione di elementi già conclusi, studiati in base alle proporzioni ed alle necessità comuni dell’uomo come ad esempio il progetto della Zero House o il progetto Diogene di Renzo Piano. Queste ultime spesso sono oggetti composti da elementi ad alta tecnologia dove il problema energetico è maggiormente indagato e le prestazioni sono portate al massimo. All’interno, tutto è studiato in funzione dell’uomo e delle sue necessità arrivando quindi a rendere l’oggetto architettonico un qualcosa molto simile a quello che nel secolo passato era inteso come macchina per abitare (Le Corbusier, 1923).


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Queste nuove tecnologie costruttive hanno quindi spinto la ricerca verso l’analisi e l’utilizzo di nuovi materiali e nuovi sistemi di impiego. Tali differenze si riscontrano anche nel cantiere stesso che assume oggi una valenza differente rispetto a quello che era un tempo il suo ruolo ed anche sulla preparazione di chi lo viveva. Questo scritto è quindi un percorso fra quelli che sono stati i mutamenti della società odierna, rifacendosi spesso a sociologi quali Zigmunt Bauman, Sharon Zukin, Federico Boni o ancora Roberto Zani, fra un contesto architettonico moderno e contemporaneo che ha visto progettisti e studiosi quali Renzo Piano, Rem Koolhas, Maurizio Unali, Andrea Branzi ed altri, per arrivare a quelle che sono le modificazioni che sono state necessarie all’interno del momento progettuale e costruttivo analizzando quindi opere dei nostri giorni. Da questa analisi è inevitabilmente scaturita una seconda parte propositiva che si è occupata di elencare quali concetti chiave derivavano da questa analisi per poter operare una progettazione in linea con il contesto sociale ed architettonico appena analizzato.


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società (a)prefabbricata CAPITOLO PRIMO Inquadramento socio-economico e culturale del contesto attuale. Analisi di una società in immobile frenesia.

Questo capitolo vuole essere uno studio all’interno della società attuale passando attraverso i fenomeni che la governano e la regolano. Una profonda analisi del contesto sociale all’interno del quale l’architettura opera oggigiorno, col fine di analizzare le differenti necessità ed i rinnovati bisogni degli individui che ne fruiscono oggigiorno. Nelle pagine seguenti si tratterà infatti, attraverso una raccolta di analisi sociali, di quali siano i nuovi modelli, se questi sono ancora distinguibili, ai quali oggi il mondo si riconduce. Partendo dall’individuo come singolo, rifacendosi spesso agli studi di Zygmunt Bauman si passerà di scala per arrivare a capire quelle che sono state le convinzioni che hanno portato agli attuali assetti urbani, per arrivare, in fine, alle macro evoluzioni riguardanti la società nella sua globalità. Questo primo studio sarà la base per capire come e quanto l’architettura risponda attualmente a necessità sicuramente diverse dall’ormai lontano ventesimo secolo, e per capire, attraverso anche quello che è il contesto attuale architettonico, quali possano essere in seguito le linee guida da seguire per rispondere ad una società sicuramente diversa non solo nel suo modo di essere ma anche, e soprattutto, nel suo modo di evolvere. Se fino ad oggi l’architettura si è occupata di analizzare il preciso momento storico, culturale, sociale ed economico all’interno del quale avveniva il momento progettuale, oggi, come già a metà degli anni novanta veniva spiegato da Branzi, l’architettura risponde ad


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una società in evoluzione continua, che non può essere bloccata in poche mura ferme e che non è in grado di prevedere la propria mutevolezza. Come spiega Bauman, quella di oggi non è più la modernità delle avanguardie novecentesche in continua crescita, ma è altresì una modernità liquida (Bauman, 2000).


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« Sono i modelli di dipendenza e di interazione per i quali è oggi scoccata l’ora di essere liquefatti. Oggi tali modelli sono malleabili in una misura mai sperimentata o finanche immaginata dalle generazioni passate, ma al pari di tutti i fluidi non conservano mai a lungo la propria forma. E’ molto più facile plasmarli che mantenerne la foggia. » Bauman, 2000 Inevitabili evoluzioni tecnologiche hanno condotto a mutamenti importanti nella nostra società, se fino a ieri si era abituati a vivere in un mondo diviso, dove le culture e le etnie erano radicate nei loro luoghi o ne avevano uno a cui fare riferimento, oggi questo non accade. La facilità del trasporto di merci e persone ha segnato il nostro modo di relazionarsi; un diverso e facilitato approvvigionamento di informazioni ha portato a insediare nelle popolazioni bisogni sempre nuovi e sempre diversi (Zani, 2014). Per iniziare a descrivere questa società è necessario partire da quelle che sono le sue prime diversità con quella moderna del novecento; a differenza di quello che si può pensare rifacendosi alle terminologie utilizzate, la società attuale non è meno moderna di quella del XX secolo : « Ciò che la rende altrettanto moderna di quanto lo fosse un secolo fa è ciò che differenzia la modernità da tutte le altre forme storiche di coabitazione umana: la compulsiva e ossessiva, continua, irrefrenabile sempre incompleta modernizzazione, l’inestinguibile sete di distruzione creativa. » (Bauman, 2000)


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Si può affermare, quindi, che viviamo in una società che necessita di modernizzarsi ogni giorno, per la quale non è più possibile accettare di rinchiudersi in funzioni pre-determinate (come l’architettura ha fatto e continua a fare) ma necessita di poter spaziare in attività sempre in evoluzione e spesso incontrollabili. Come anticipavano scrittori quali Orwell e Huxley all’inizio del secolo scorso, il futuro prometteva solo di essere sempre controllati, «Il Grande Fratello ti guarda!» (Orwell, 1941), un sistema che ha portato avanti i totalitarismi dai quali oggi, in questa nuova modernità, si tenta di scappare attraverso libertà che sono state ritrovate spesso nel consumismo e nella possibilità di ottenere sempre quello che qualcuno avrebbe potuto negare. Un popolo di consumatori però è un popolo che ha sempre nuove necessità: « La vita organizzata intorno al consumo, per contro, è priva di norme: è guidata da capricci volubili, non più da una regolamentazione normativa. [...] Una società di consumatori è una società di raffronto universale e il cielo è il suo unico limite.» (Bauman, 2000) Nel suo saggio La crisi della qualità del 1996, Andrea Branzi, anticipa le conclusioni di Bauman indicando che «dal potere ai cittadini, si era passati al potere ai consumatori» e da questo ne trae delle conclusioni a livello urbano per le quali la città dovesse uscire, già a metà degli anni novanta, da uno schema funzionale che negava le interazioni per passare ad un più articolato meccanismo di attività che potessero convivere affiancate (Branzi, 1996). Quello del consumo e dell’emancipazione non è però l’unico grande cambiamento dell’individualità odierna. I nuovi mezzi di


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comunicazione e trasporto hanno portato ad un nuovo modello di convivenza fra religioni e culture. Se fino a pochi anni fa le etnie erano radicate nei propri luoghi di appartenenza, oggi questi sono meno rigidi; opportunità di studio e di lavoro, la condivisione di informazioni e conoscenze hanno portato le popolazioni a spostarsi iniziando un processo di rimescolamento e di coabitazione. Secondo una definizione di Richard Sennet una città è «un insediamento umano dove è probabile che gli individui umani si incontrino» (Sennet, 1978). Questo implica che le persone sono in qualche modo costrette a relazionarsi fra loro: la differenza sostanziale rispetto ai tempi in cui Sennet scriveva è che oggi queste persone si conoscono meno rispetto ad allora. (Bauman, 2000). Secondo il sociologo Bauman esistono due strategie diverse per risolvere il problema della diversità altrui: una è quella antropoemica che consiste nel rigettare totalmente ogni contatto alieno rifiutando il dialogo, i rapporti sociali ed il contatto fisico mentre la seconda è invece al contrario antropofagica e consiste nel rendere l’estraneo parte di sé assorbendolo nel proprio organismo mettendolo in relazione quindi con tutte le attività già presenti (Bauman, 2000). E’ ovvio che in una situazione come quella attuale dove il fenomeno delle convivenze è in costante crescita, l’architettura è costretta a sopperire a diverse necessità; dalle più banali a quelle più profonde. E’ in questo momento storico che diventa importante studiare i flussi delle popolazioni e capire quanto queste siano disposte ad abitare un luogo ed in base a che cosa possano compiere le loro scelte; basti pensare a quanto diverse possano essere le necessità di una comunità ricca di city users invece che di abitanti stazionari (Mareggi, 2011).


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Utilità politiche hanno portato spesso a indicare l’estraneo come il pericolo, instaurando una sempre più forte xenofobia che si ripercuote quotidianamente nelle vite di ognuno. Invece che occuparsi di come risolvere il problema della convivenza di diverse culture che, in Italia soprattutto, è uno degli avvenimenti che più ha rivoluzionato la società; « Dalle cose da fare la politica passò sul piano delle cose da dire. » (Branzi, 1996) innescando quindi un meccanismo comunicativo del terrore che negli anni ha popolato le nostre città di gabbie e cancelli oltre che le nostre menti. Già nel 1991, Carlo Braga, rifacendosi a studi antropologici del tempo, indicava che in architettura lo spazio della persona si stava riducendo a quello dell’individuo stesso, nascosto da altri sguardi e lontano dal pubblico (Braga, 1991). La società attuale sta appunto attraversando un momento di disorganizzazione sociale che «considerandolo dal punto di vista dell’individuo è un processo di individualizzazione » (Braga, 1991). Questa frenesia continua della società passa anche da un nuovo e diverso modo di vivere le attività quotidiane come il lavoro per il quale la precarietà diventa condizione essenziale della vita e quindi impronta importante non solo sul come vivere una città ma anche uno spazio in generale. La precarietà è diventata quella macchia che gestisce ogni scelta ed alla quale ogni scelta è rivolta. Il posto di lavoro è infatti oggi vissuto come «un camping nel quale si pianta la tenda per qualche giorno ma che si potrebbe abbandonare in qualsiasi momento qualora i confort offerti siano ritenuti insufficienti o comunque non soddisfacenti, anziché come un domicilio comune con cui si è inclini a risolvere i problemi e a stabilire con pazienza regole di coabitazione accettabili.» (Bauman, 2000).


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Questa continua precarietà porta sempre ad una mutabilità continua per la quale nulla è certo e nulla è duraturo. Una situazione per la quale i matrimoni non esistono più e sostituiti dalle unioni, dove l’individuo perde il coraggio di fare scelte durature. «[...] l’odierna incertezza è una forza individualizzatrice. Divide anziché unire, e poiché non c’è alcun modo di sapere chi domani si sveglierà in quale categoria, l’idea di interessi comuni diventa sempre più nebulosa e perde qualsiasi valore concreto. » (Bauman, 2000) E’ in questo sistema che l’individuo oggi valuta ed abita i progetti che giornalmente vengono prodotti e costituiscono le nostre città, una società dove nulla è fisso e tutto è mutevole, dove nessuno può sapere chi e come vorrà utilizzare una architettura negli anni successivi e dove prevedere diventa quasi impossibile.


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« La Polis al centro della questione politica: nel senso che essa non può essere il risultato incontrollato dei rapporti economici e sociali. La Polis è il progetto complessivo che quei rapporti economici e sociali contiene e a cui dà più senso. I pericoli di un possibile disastro ecologico delle società democratiche e opulente dimostra proprio questo: il progetto deve essere la Polis, e non la politica. » Andrea Branzi, 1996 Salendo di scala, il punto di vista passa alle modificazioni che sono intervenute nelle città nel corso degli anni; queste sono il frutto di una modernità diversa ed in corso di evoluzione, dove è cambiato il modo di spostarsi e soprattutto il modo di vivere una città. Quello che un tempo era il piccolo ecosistema all’interno del quale un individuo trascorreva buona parte della sua vita, oggi è diventato un oggetto come altri che viene interpretato, abitato ed utilizzato in modi sempre differenti. Anche in Italia, nazione più di altre radicata a livello locale, si apprezzano sempre di più esempi di città vissute in base alle attività alle quali meglio si relazionano. La nuova modernità e la nuova individualità sopra analizzata è il fattore principale di questo meccanismo di causa-effetto continuo attraverso il quale le città si modificano e modificano l’individuo. Per tutto il novecento le città hanno subito una lenta suddivisione per funzioni, lo zoning, che rinchiudeva ogni attività nel suo luogo prescelto: la residenza lontana dalla produzione, a sua volta lontana dal commercio, ecc. ecc. Questa impostazione urbana ha sicuramente consegnato i suoi importanti risultati in


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una società novecentesca, statica, dove l’individuo non aveva modo di spostarsi, informarsi, relazionarsi ed evolversi come ora; dove il ruolo dell’architettura era quello di scegliere il luogo e conformarlo ad una singola attività che si sarebbe sempre svolta in quel determinato posto. Oggi però la società è profondamente cambiata, e la città divisa per funzioni non è più in grado di rispondere alle necessità dell’uomo, anche solo il concetto di città stesso è cambiato come è cambiato il modo di essere vissuta. Il mescolarsi di attività e popolazioni differenti nel solito luogo rendono impossibile individuare una funzione precisa da assegnare ed i luoghi che forzano questo limite si trasformano lentamente in luoghi dell’abbandono (Branzi, 1996) dove la popolazione, ricca di stimoli differenti da quelli offerti, fa suo il luogo modificandolo ed adattandolo in modo discontinuo, senza una precisa progettazione urbana. Nel 1996, Branzi scriveva : « Lo spazio relazionale non è costituito da zoning funzionali, ma nasce anzi dalla fluidificazione di questi zoning prodotta dalle strumentazione elettroniche e dalle loro molteplicità relazionali.» (Branzi, 1996). Lo spazio relazionale, appunto, funziona se esistono relazioni fra gli individui e le attività. La società attuale è una società veloce, frenetica, in continuo mutamento. Non è più vissuta come un luogo proprio ma, in una situazione dove tutto è precario, anche la città diventa un luogo di passaggio, da utilizzare per un breve periodo per poi passare altrove e le città che meglio riescono ad esprimere questa velocità sono quelle che rapiscono l’utenza, offrendo sempre nuovi stimoli e nuove prospettive, città mai ferme che continuano a supportare le loro attività durante il giorno e la notte, consapevoli delle


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diverse utenze e delle diverse popolazioni. Koolhaas, appunto, in Delirious New York, nel 2001 parlando di Manhattan : « La Metropoli è una macchina che da assuefazione, da cui non vi è scampo, a meno che non lo conceda lei stessa...» (Koolhaas, 2001). Insieme alla società sono quindi cambiate anche le popolazioni che abitano i luoghi; non soltanto per quanto riguarda le culture, le etnie e le religioni; ma i nuovi mezzi di trasporto, veloci e continui hanno permesso di percepire la città in un nuovo modo, quello di un oggetto da sfruttare nel momento in cui occorre e per l’attività che meglio riesce a supportare. Oggi le persone che abitano stazionariamente un luogo sono sempre meno, le città più grandi sono diventate città da utilizzare solo durante la settimana o addirittura durante la giornata. Nel 2011, Marco Mareggi imputa le cause di questo nuovo modo di vivere la città a tre principali cambiamenti. Per primo cita «gli orari di lavoro e i mutamenti intercorsi nella loro morfologia» spiegando quanto questi influiscano e, citando Antonio Maria Chiesi spiega che molte di queste modificazioni riguardano per lo più l’economia sommersa, aggiunge però Mareggi che: « Ad esso si affianca, a partire dagli anni Ottanta, lo sviluppo del terziario che aumentò il suo peso occupazionale (in Italia si passò da una quota del 48,7% al 57,6% della popolazione attiva), in buona parte con orari atipici. Inoltre, la lenta riduzione della settimana lavorativa, per la maggior parte della popolazione nei cinquanta anni che hanno preceduto l’ultimo decennio (decennio in cui ci sono segnali di controtendenza) ha incrementato il tempo liberato al lavoro, producendo a sua volta nuove occupazioni legate alle


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attività di svago e ricreative, ma anche di ripristino del disordine che ciò produce, come sostiene il sociologo Jonathan Gershuny (1993).» (Mareggi, 2011) Come seconda causa invece sono imputati i nuovi stili di vita e di consumo (Mareggi, 2011) in quanto, producono sempre nuovi desideri e nuove necessità (Bauman, 2007), facendo della città un grande supermercato dove la popolazione arriva in cerca di qualcosa e si muove sempre in base a questo obiettivo; tale concetto è frutto di una società liquida che ricerca la sua emancipazione nel consumismo. (Bauman, 2000) Terza causa sono invece i nuovi mezzi di trasporto, che permettono dei nuovi modi e tempi di raggiungere i luoghi. Questo nuovo sistema, non è solo un banale cambiamento nello spostarsi, ma, per la sua forza, implica anche un enorme cambiamento nel modo di svolgere le proprie attività in un luogo. E’ oggigiorno facile pensare di lavorare in maniera interurbana, il lavoro, come l’istruzione o lo svago sono diventate oramai attività in grado di mescolarsi fra loro e di essere compiute in posti ogni giorno differenti. Queste tre cause hanno portato ad avere individui che popolano le città in maniera totalmente differente da quella che è stata la concezione fino al novecento. Secondo Giampaolo Nuvolati, professore di sociologia presso l’università degli studi di Milano, le popolazioni si dividono oggi in cinque classi : - abitanti: ovvero i soggetti che abitano la città consumando all’interno di questa frequentandola tutti i giorni ed utilizzandone tutti i servizi. - pendolari: individui che non abitano nella città ma ci lavorano e ne sfruttano mediamente i servizi offerti durante i giorni feriali,


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consumando relativamente all’interno di questa. - city users: sono ad esempio gli studenti che occupano le università durante la giornata; ancora soggetti che non abitano la città, non ci lavorano, consumano all’interno di questa e ne utilizzano tutta la gamma dei servizi. - turisti: non abitano all’interno della città, non ci lavorano ma ne sfruttano i servizi principalmente nei giorni festivi. - businessmen: soggetti che vivono la città allo stesso modo dei pendolari ma consumando maggiormente all’interno di questa. - flàneurs: è una parola introdotta dal poeta Charles Baudelaire ed indica quelle persone che vagano per le vie cittadine in cerca di suggestioni; questi abitano il luogo per un tempo ridotto, consumano all’interno della città con frequenza continua ed utilizzano tutta la gamma di servizi offerti. - immigrati: anch’essi abitano la città per un tempo limitato spesso lavorando all’interno di questa e sfruttando a pieno i servizi offerti (Nuvolati, 2007 cit. in Mareggi, 2011). Attraverso questa spiegazione si capisce che le utenze che popolano la città sono molto differenti da quelle tipiche e che quindi l’architettura è anche risposta ad esigenze spesso temporanee e che magari non perdurano nel tempo. Non essendo più una città popolata soltanto da abitanti,l’architettura si trova nella situazione di occuparsi di tutti gli individui che nella città hanno bisogno di altro e che, se rinchiusi in funzioni ancora legate ad una impronta funzionale di una progettazione ancora basata su un concetto di utenza novecentesco, finiscono per modificare l’ambiente a proprio modo eliminando la possibilità di una progettazione organizzata e continua in grado di unire le diverse utenze.


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La città odierna ha bisogno di adattarsi ed offrire spazi di relazioni dove la funzione non è più generatrice ma dove il cittadino o utente può far proprio il luogo senza stravolgerne la struttura; « Il territorio odierno è, al contrario, una somma di luoghi fisici e virtuali che restano fra loro autonomi e rispondono a logiche organizzative diverse, compenetrandosi e riadattandosi costantemente. » (Branzi, 1996)


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« Nelle società in cui tutti si credono uguali, l’inevitabile superiorità di pochi fa sì che gli altri si sentano dei falliti. Al contrario, nelle società in cui la disuguaglianza è norma, ciascuno si colloca nella propria differenza senza sentire il bisogno, né concepire la possibilità, di paragonarsi. Solo una struttura gerarchica è compassionevole con i mediocri e gli umili. » Gòmez Dàvila, 1977 Alcune rivoluzioni tecnologiche hanno condotto nella società attuale mutamenti forti. Oggi diventa difficile parlare di una società locale, quella basata sulla città. E’ la nascita del concetto di società globale. Le barriere fisiche che hanno da sempre suddiviso etnie e nazioni si stanno rendendo sempre più valicabili mentre le separazioni culturali stanno diventando sempre più labili a causa di mezzi di comunicazione più forti e veloci che uniformano le informazioni e danno vita ad un processo di globalizzazione. Oggi far parte di un’etnia è divenuta una scelta (Bauman, 2000). Lo scambio di informazioni è uno dei sistemi che più si sta evolvendo in questi ultimi anni: ad eccezione delle situazioni culturali (come la Cina) dove questo è bloccato per questioni economico-politiche, le infrastrutture e la ricerca che regolano le comunicazioni dirette ed indirette sta procedendo ad enormi velocità. Con un nuovo modo di scambiare informazioni sta evolvendo anche tutto il sistema delle relazioni fra individui, fatto che si ripercuote quotidianamente negli spazi adibiti alle relazioni stesse. I luoghi pubblici, dove l’interazione era il fulcro dell’impronta progettuale sembrano non essere più sufficienti o quanto meno sembrano non rispondere più alle abitudini delle


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utenze che le popolano. Oggi, spiega il sociologo polacco Bauman, gli spazi di relazione si lasciano sostituire da quelli del consumo: una nuova emancipazione ed una nuova individualizzazione della società spingono le masse a relazionarsi più con gli oggetti dei quali si contornano che di altri individui (Bauman, 2007). I luoghi del consumo stanno però prendendo le sembianze di non luoghi ovvero luoghi di passaggio non definiti dove che l’utente non può sentire proprio, « [...] i nonluoghi accettano l’inevitabilità di una loro frequentazione (e a volte anche di un prolungato soggiorno) da parte di elementi estranei e dunque fanno tutto il possibile per rendere la propria presenza meramente fisica, vale a dire del tutto irrilevante da un punto di vista sociale; cancellare, azzerare, rendere nulle le soggettività idiosincratiche dei loro passeggeri.» (Bauman, 2000) A questo nuovo mondo comunicativo va ad unirsi una veloce innovazione infrastrutturale che mette in collegamento spazi e quindi culture e popolazioni che prima sembravano lontanissime, oltre a rendere possibile lo sfruttamento temporaneo di luoghi che sino a poco tempo fa erano considerati solo per un utenza stazionaria. Soltanto negli ultimi trent’anni si sono avvicinate nazioni e quindi etnie che sino a poco prima si ritenevano profondamente distanti; lingue diverse, culture diverse, gerarchie sociali diverse si sono incontrate in breve tempo grazie alle nuove infrastrutture dando vita ad una società che è difficile considerare più rinchiusa nei limiti della sua nazione ma che sta pian piano diventando, appunto, globale (Zani, 2014). Il tunnel della Manica che collega la Francia con l’Inghilterra, il ponte di Oresund che ha collegato la Danimarca alla Svezia, o più in piccolo le grandi rotte di alta velocità ferroviaria, o andando ancora indietro l’introduzione del trasporto aereo; hanno avvicinato le popolazioni in maniera


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allarmante. La stessa architettura si trova a dover rispondere ad esigenze oggi nuove e condivise, di una società non più divisa tra piccoli stati, ognuno con le sue diverse necessità. Queste due nuove modernità dei trasporti e delle comunicazioni hanno portato all’unione di diverse popolazioni; il fenomeno dilagante che sta prendendo piede in questi tempi, infatti, è quello della diversità. Unire diverse etnie, secondo Claude Levì-Strauss, è un processo pericoloso che può essere vissuto in maniere differenti dalle popolazioni ospitanti, o che tali si riconoscono; queste potrebbero arrivare a rigettare l’estraneo escludendolo completamente dalla società, portando quindi alla ghettizzazione di quest’ultimo. Questa opzione, spesso strumentalizzata da una politica assetata di problemi da risolvere e di terrori da divulgare, ha portato alla paura dell’estraneo (Zukin, 1995), spesso costringendo l’individuo a rinchiudersi e a cercare riparo nella politica e nell’architettura che compone la città: « [...] usare il pugno di ferro contro il fenomeno della criminalità costruendo più istituti penitenziari e comminando la pena di morte sono le fin troppo comuni risposte alla politica della paura. “Mettete sotto chiave la popolazione”, ho sentito dire a un uomo sull’autobus, portando così in un solo colpo la soluzione del problema al suo ridicolo estremo. Un’altra risposta è privatizzare e militarizzare lo spazio pubblico: rendere strade, parchi, e finanche negozi più sicuri ma meno liberi. » (Zukin, 1995)


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33 CAPITOLO SECONDO Inquadramento del contesto architettonico contemporaneao in risposta allle evoluzione della società odierna.

Dopo l’analisi della società odierna e di come questa sia cambiata nel corso degli ultimi anni in modo netto e drastico, vengono affrontate qui di seguito le modifiche e le esigenze che l’architettura contemporanea si è trovata a dover assolvere. Metabolizzato, quindi, il fatto che l’utenza media è cambiata notevolmente, l’innovazione della tecnica e della tecnologia nel panorama edilizio permettono di rispondere pragmaticamente alle sempre più incalzanti richieste che questa avanza. Inoltre da I limiti dello sviluppo al protocollo di Kyoto la questione ambientale assume, finalmente, un’importanza nettamente maggiore, che porta ad un cambiamento di richieste nell’intero campo dell’architettura. Qualunque cambiamento nella società si riflette, dunque, direttamente sulla progettazione, che si trova oggi a fronteggiare un panorama mutevole, in forte cambiamento, insomma inedito. Le pagine che seguono sono quindi un percorso che parte dall’analisi sociologica appena affrontata per arrivare a capire quali modificazioni questa abbia apportato al contesto architettonico nel corso degli ultimi decenni. L’utenza attuale è frenetica, abituata agli spostamenti, frutto di una società multietnica e nella quale è difficile riconoscere un modello (Bauman, 2000). I nuovi mezzi di trasporto hanno consentito una rinnovata mobilità nel corso degli ultimi decenni (Zani, 2014), questo ha in-


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dubbiamente portato alla condivisione delle necessità, a livello globale, anche da un punto di vista architettonico. Viene qui di seguito fatto un percorso nel quale sono portate alla luce tre condizioni, una insita da sempre nell’uomo, che sia esso progettista o cliente, è il caso di utopia; un’altra strettamente legata all’innovazione tecnica e tecnologia, che prende il titolo di materia e un’ultima riferita alle problematiche legate all’ambiente, intitolata energia. All’intera totalità delle questioni enunciate in questo capitolo può esser posta soluzione, come spiegato in ogni sottocapitolo, attraverso la cosiddetta prefabbricazione evoluta.


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« When your house contains such a complex of piping, flues, ducts, wires, lights, inlets, outlets, ovens, sinks, refuse disposers, hi-fi reverberators, antennae, conduits, freezers, heaters – when it contains so many services that the hardware could stand up without any assistance from the house, why have a house to hold it up? When the cost of all this tackle is half of the total outlay (or more, as it often is) what is the house doing except concealing your mechanical pudenda from the stares of folks on the sidewalk? » Banham, 1965 Nell’articolo apparso su Art in America nel 1965 Banham, con la teorizzazione della un-house in stretta collaborazione con l’architetto Dallegret, esprime il dissenso e disagio nei confronti dell’utilità dell’involucro edilizio. Questa estrema separazione fra apparato tecnologico e componente strutturale, ormai intesa come un confine effimero rispetto all’ambiente esterno, trova un suo precursore solo con Buckminster Fuller, il quale nel 1949 già elaborava lo Standard-of-Living-Package, un complesso di mobili portatili ed apparecchiature che dovevano attrezzare una cupola geodetica con controllo microclimatico interno. A partire dalle note crisi petrolifere degli anni Settanta, la questione energetica ha cominciato a mettere in discussione i capisaldi circa l’approvvigionamento e il sostentamento delle attività dell’uomo, avvalorando la tesi di un’inedita urgenza. Dunque il concetto di benessere coniugato ad una vita fondata su un’illimitata crescita economica e materiale viene a mancare del tutto. È in questi anni che si può datare l’inizio di una vera e propria


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contestazione ecologica, che nell’arco di un decennio comporterà risvolti politici e sociologici di rilevanza internazionale (Gauzin-Muller, 2003). Dunque non è possibile oggigiorno fare la separazione prima enunciata sull’involucro per le sempre crescenti richieste di abbattimento dei consumi a livello energetico, come è stato scoperto alla fine degli anni sessanta anche con il Club di Roma che l’energia non è illimitata, tutt’altro. In particolare, si introduce nel dibattito il concetto di limite, in riferimento alla disponibilità delle risorse terrestri a soddisfare le necessità della crescente popolazione mondiale. Il problema sarà definitivamente portato all’attenzione dell’opinione pubblica nel 1972, attraverso i toni forti del libro The limits to growth, commissionato dal Club di Roma al MIT, che denuncia i rischi della società consumista, prospettando per i decenni successivi uno scenario di degrado ambientale ed esaurimento delle risorse (Tiezzi, 1984). Da allora quindi sono nati sempre nuovi studi a riguardo, che hanno portato tutti gli Stati a fare un uso cosciente e razionale dell’energia. La stessa UE continua a stilare piani di azione ambientale e l’architettura risponde di conseguenza. Negli anni si è risposto a quest’esigenza in maniera e approcci diametralmente opposti: basti pensare all’high-tech e al low-tech. L’attività edilizia, agli occhi delle istituzioni, comincia quindi a rivestire un ruolo critico nella riduzione dell’impatto ambientale, per prima la Direttiva 2002/91/CE regolamenta il rendimento energetico nel settore delle costruzioni, imponendo requisiti minimi di efficienza sia per gli impianti di regolazione microclimatica sia per l’involucro degli edifici. Il progressivo incremento delle prestazioni energetiche delle nuove costruzioni, guidato in parte da una normativa incalzante e


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in parte dalla richiesta ‘dal basso’ di comfort ambientale a basso prezzo, porta verso consumi d’esercizio sempre minori. Questo processo culmina negli anni Novanta, con la sperimentazione di sistemi- edificio tanto sofisticati tecnologicamente quanto delicati nei loro meccanismi fisiologici, come la cosiddetta Passivhaus (linea temporale anno 1991), con un fabbisogno energetico tendente a zero, o la Plusenergiehaus (termine coniato dallo stesso architetto Rolf Disch), che rappresenta il più elevato standard di efficienza energetica, addirittura in grado di immettere nella rete il surplus di energia prodotta (Gauzin-Müller, 2003). Dall’unità abitativa plug-in di qualche decennio prima sembra ora avvicinarsi il sogno dell’autoproduzione, nell’idea di un edificio che inverte il sistema ordinario di distribuzione dell’energia. Questi nuovi modelli di riferimento sembrano, però, anche sottolineare come i provvedimenti necessari per far fronte alle dispersioni energetiche, con il minimo impiego della componente impiantistica, da un lato abbiano contribuito a restituire un ruolo di primo piano all’involucro edilizio, ma dall’altro ne abbiano imposto allo stesso tempo condizioni vincolanti dal punto di vista compositivo. Entrambe le tipologie sopracitate, infatti, presentano la necessità di massimizzare gli apporti energetici durante il periodo invernale, derivanti sia dalle attività domestiche interne sia dalla radiazione solare che penetra attraverso le superfici trasparenti, così da ridurre l’utilizzo di impianti di riscaldamento. Ciò comporta, oltre ad un’attenta valutazione dell’orientamento dell’edificio nel sito d’intervento, la realizzazione di un involucro fortemente caratterizzato nei rapporti geometrico-dimensionali e nella consistenza delle sue parti; ad esempio, si rilevano precisi rapporti fra superficie esterna e volume dell’edificio, i quali ne determinano volumetrie piuttosto compatte con superfici fine-


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strate ridotte all’essenziale, corrispondenti ai requisiti di illuminazione e di captazione di energia solare. L’involucro è ermetico e la qualità dell’aria interna è rigidamente controllata da un impianto di ventilazione meccanica con recupero di calore. In molti paesi europei è nata la conoscenza di utilizzare sistemi prefabbricati che risolvessero il problema posto dalla questione ambientale relativamente all’energia. Questo, per anni, però ha prodotto un linguaggio architettonico notevolmente standardizzato che limitava le volontà del progettista, che doveva essere adeguata a quanto la costruzione richiedesse. Negli ultimi anni invece si è visto una notevole costruzione in officina di elementi che non precludono la progettazione, ma anzi, la assecondano: quindi anche nel campo dell’energia è possibile parlare di progettazione integrata (Shulitz, 2001). La produzione in aziende specializzate di elementi prefabbricati, complessi e non, consente anche un efficiente controllo numerico. Questo comporta un notevole abbattimento dei cosiddetti errori di cantiere, che li porta praticamente ad annullarsi. Elementi complessi che un tempo sarebbero risultati estremamente costosi e avrebbero richiesto l’impiego di materie prime selezionate e perfettamente stagionate, nel caso di utilizzo del legno come materiale preponderante.


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« Ci sono (e ci saranno sempre) oggetti di granito, di bronzo, di noce massiccio: oggetti muti, che parlano solo con il loro esistere nel tempo, silenziosi compagni della memoria. Ma, a differenza che in passato, questo loro modo materiale e statico di contribuire alla definizione del nostro ambiente spazio-temporale è ormai soltanto una delle possibili forme di esistenza degli oggetti: una componente all’interno di un sistema ben più largo e differenziato » Manzini, 1986 Quanto affermato da Ezio Manzini nella sua opera La Materia dell’Invenzione sta ad indicare che, già negli anni ’80 e oggi più che mai, materiali cosiddetti classici come quelli elencati dall’autore saranno sempre parte della nostra storia e continueranno ad essere utilizzati, ma si vedranno affiancati da un sempre crescente numero di novità. Si tratta infatti di materiali creati ad hoc (Manzini, 1986), che il progresso scientifico continuerà a far crescere in maniera esponenziale, arrivando ad istituire una vera e propria competizione tra materiali. Questa concorrenza, che può essere definita come iperscelta (Bertolini, Carsana, 2014), ha avuto origini con l’introduzione delle materie plastiche, capaci di prestazioni nettamente migliori rispetto a quanto prima disponibile. L’iperscelta di materiali permette oggi di arrivare a sviluppare una progettazione sempre più efficace e direttamente rispondente alle richieste della committenza. Il ritmo con cui si presenta il nuovo materiale è frenetico ma, soprattutto, è convergente e coerente con il progetto architettonico e quindi il processo edilizio. Infatti il materiale è pensato e concepito secondo il compito di dare struttura (Bertolini, Carsana, 2014), creando qualcosa, ed è


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quindi il progetto che vaglia le scelte possibili e, opportunamente scelte, da vita al sistema più complesso. Da sempre i materiali insieme alle tecniche di costruzione hanno rivoluzionato l’architettura, basti pensare all’incendio della città di Chicago nel 1871, riconosciuto all’unanimità come una delle più grandi catastrofi statunitensi del XIX secolo, in cui più di 6 km quadrati di città andarono persi, insieme alla vita di centinaia di persone. In quel momento serviva una riorganizzazione e ricostruzione della città: se al primo punto ci pensarono illustri architetti e urbanisti, che diventarono famosi proprio per il nuovo concetto di centro della città, ovvero il loop, alla seconda i progettisti dovettero appoggiarsi solo ed esclusivamente ai materiali uniti alle tecniche di costruzione più avanzate per l’epoca. La città rivestiva un ruolo fondamentale da diverso tempo: centro culturale ed economico, oltre che nodo di interscambio di merci, era quindi necessario che la sua ricostruzione avvenisse nel più breve tempo e sfruttando sapientemente lo spazio a disposizione. Questo fu possibile grazie alle tecniche di costruzione abbinate ai materiali, infatti il ruolo del ferro è stato egemone: da ricordare che i brevetti dei telai in ferro, notevolmente più resistenti e versatili dei precedenti in ghisa, sono di pochi decenni precedenti. Viene qui citato l’esempio di Chicago, oltre che per la modernizzazione del cantiere e tecniche di costruzioni estremamente avanzate, per il fatto che il curtain wall, ovvero il sistema di involucro continuo autoportante liberato dal telaio strutturale, apre la scena su un forte concetto di prefabbricazione; se in questo caso specifico i componenti del corpo architettonico venivano prodotti in cantiere era solo per l’estrema necessità del contingente fatto storico, che rese necessaria anche l’apertura no-stop degli stes-


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si, ma da lì quegli elementi vengono prodotti in serie in aziende specializzate, per poi essere assemblati sul posto. Rappresentano quindi una vera e propria soluzione progettuale, da intendersi non solo come tecnologia edilizia innovativa e parte integrata alla progettazione, ma anche e soprattutto come metodo migliore per la gestione dello stesso. La prefabbricazione di questi moduli ha permesso nel tempo, infatti, l’ottenimento di prestazioni standard superiori anche sotto il profilo ambientale ed economico. Il primo punto viene soddisfatto in quanto la produzione di questi elementi va di pari passo con il sempre più attuale e incalzante problema della qualità e sostenibilità dell’ambiente, quindi i materiali utilizzati rispondono ogni volta in modo più efficiente ai consumi. Questo influenza anche i costi, che diminuiscono nettamente: parallelamente ai costi di costruzione calano anche quelli di gestione, essendo quindi prodotto un edificio più rispondente ai fattori sopraelencati, e quelli di manutenzione, grazie all’uso di questi pannelli è possibile sostituire un singolo componente, magari danneggiato dal tempo, con un altro, senza bisogno di un intero cantiere per il rifacimento della facciata, come per gli edifici di edilizia tradizionale.


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« Ho imparato fin da piccolo che non si deve parlare agli altri con aria di sufficienza. È stata mia madre, credo, a insegnarmelo quando abitavamo in Canada. Fra noi c’erano molti stranieri. Sa come parla la gente con gli stranieri, no? Parla in pigdin, in un inglese infantile. Nel nostro quartiere queste scene avvenivano di continuo e la mamma non le sopportava. Io provo la stessa sensazione in architettura. Con il tuo lavoro non devi mai parlare con sussiego. Devi sempre partire dal presupposto che ti capiranno. L’equivalente del pigdin in architettura sono le costruzioni ottuse, piatte, che sai che saranno comprese e piaceranno. E questo significa guardare gli altri dall’alto in basso. In questo modo uno non sa se ha talento oppure no. Non saprà mai se è bravo. Si limita a pensare che deve fare una certa cosa e la fa. » Gehry, 2009 Quanto detto da Frank O. Gehry durante l’intervista a lui fatta è una testimonianza recente di un concetto da sempre radicato nell’essere umano e di cui da sempre se ne hanno prove: il voler fare qualcosa di diverso, di poter cambiare qualcosa, senza limitarsi a riproporre cose già dette o già fatte, insomma, dar vita ad un sogno, un’utopia. Il termine utopia nasce dal greco ου + τοπος, che sta a significare non-luogo, quindi un concetto difficile, se non impossibile, a realizzarsi. Già nel 1516, Thomas More, poi latinizzato e conosciuto ai più come Tommaso Moro, scrisse un libro, intitolandolo proprio Utopia, in cui spiegava quanto la città reale non funzionasse e proponeva delle linee guida per quella da lui chiamata perfetta.


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Questo intento è dunque insito nella natura dell’uomo, il voler sempre migliorare la situazione presente, soprattutto nel panorama architettonico. Che è quello oggi più critico, come afferma Andrea Branzi in La casa calda, la città oggi è in continuo mutamento, ciò che in questo momento funziona potrebbe peccare in funzionalità nei giorni successivi, o addirittura cessare di essere quello che è sempre stato. L’architetto italiano prosegue affermando che lo choc urbano stimola la creatività individuale e fornisce significato a tutti i modelli di comportamento, li brucia per poi rigenerarli. Quindi la città ha una diretta influenza su chi la vive, anche se per poche ore. L’utopia è il modo più veloce di arrivare a pensare ad un cambiamento, perché, come detto prima, è insito in noi ma rappresenta un qualcosa che non esiste e quindi spesso irrealizzabile, che, parallelamente, il genio umano vorrebbe realizzabile e quindi realizzato. Troppo spesso invece si è posto fine a questi progetti attraverso una critica semplicistica (Wolfler Calvo, 2007): è il caso della stagione delle utopie architettoniche, manifestatesi in tutto il loro fulgore, nel periodo che va dalla fine degli anni ’50 agli anni ’60, rappresentate soprattutto dagli inglesi Archigram e dai giapponesi Metabolism, etichettati indistintamente come proposte architettoniche irrealizzabili (Wolfer Calvo, 2007). I due presentano differenze notevoli su più fronti, dal punto di vista disegnativo, dove gli anglosassoni presentano progetti disegnati da colori estremamente vivaci il movimento giapponese predilige prospettive monocromatiche, al punto di vista di realizzazione, è importante infatti ricordare che Archigram non riuscì mai a tradurre nulla in opere concrete a differenza di Metabolism, seppur non raggiungendo pienamente gli scopi prefissati. Entrambi i movimenti però si rivolgono direttamente alla tecno-


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logia come parte integrante e integrata al progetto. Per Archigram la componente tecnologica è da considerarsi nell’ottica di casa intesa come oggetto di produzione e consumo di massa, un bene indispensabile (Sadler, 2005), dove un pezzo può esser sostituito come fosse quello di una cucina. Metabolism invece ragiona su quello che sta succedendo in quel tempo nel Sol Levante, ovvero una crescita demografica dilagante e allarmante , che quindi richiede costruzioni veloci e in grado di rispondere al sempre crescente numero di futuri utenti. Entrambi quindi, seppur spinti da motivazioni differenti, convogliano il loro pensiero sullo strumento tecnologico come trampolino di lancio per le economie delle rispettive nazioni, entrambe decadute nel secondo dopo-guerra. Per assolvere a queste necessità entrambi i gruppi propongono architetture dove la prefabbricazione gioca un ruolo dominante (Wolfler Calvo, 2007): solo in questo modo è possibile, infatti, assolvere ai bisogni estremizzati di manutenzione, domotica e modularità. Quindi questa tecnologia deve essere in grado di produrre una nuova realtà, espressa unicamente attraverso progetti dal peso-leggero, dotati di un approccio infra-strutturale e focalizzato a migliorare la qualità della vita di chi la abita. Il gruppo inglese è stato fonte di ispirazioni per architetti che, a differenza loro, sono stati in grado di produrre innumerevoli forme concrete di quell’utopia, che ora può essere definito modello, quali Norman Foster, Steven Holl, Renzo Piano e Richard Rogers ad esempio. « Per Archigram la nuova forza sociale è il nomadismo, dove il tempo, i cambiamenti e la metamorfosi rimangono in stasi, dove il


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consumismo, lo stile di vita e la transitorietà diventano programmate, e dove il regno pubblico è una superficie elettronica chiusa nella terra » (David Greene, cit. in Sadler, 2005) Le parole usate circa Archigram da un componente dello stesso gruppo sono più che mai attuali, eccezion fatta per la programmaticità dello stile di vita che oggi non è possibile effettuare. Infatti, come afferma Zygmunt Bauman nel suo libro Modernità Liquida, la società odierna è un continuo divenire, è in continuo mutamento, e con sé anche chi la abita, viviamo un periodo storico in cui nulla è determinato e, tantomeno quindi, è possibile programmare gli stili di vita (Bauman, 2000). Questo non toglie però che parte di questo modello possa essere applicata anche durante il contingente periodo storico: le utopie sono sempre dei modelli in quanto, seppur non realizzate o addirittura irrealizzabili, rappresentano degli stimoli a crescere e migliorare sotto quel determinato punto di vista, parzialmente o totalmente. Non è da escludere che utopie di oggi possano essere realizzate in un secondo momento. Come spiegano Bertolini e Carsana nel loro manuale è possibile creare nuovi materiali per l’edilizia le cui proprietà vengano definite intervenendo sulla loro microstruttura o macrostruttura. Ci troviamo quindi in un’epoca nella quale i materiali a disposizione sono infiniti (Bertolini, Carsana, 2014) e il cui numero andrà sempre crescendo esponenzialmente. In questo modo dunque sarà sempre più possibile andare a creare dei componenti in prefabbricazione cosiddetta evoluta che rispondano alla richiesta del progetto, creati in aziende specializzate, per assolvere alla costruzione dell’edificio. La prefabbricazione


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oggigiorno può riguardare quasi l’intera totalità degli elementi che compongono la costruzione di un edificio: dal rivestimento di facciata, al giunto strutturale, a fondazioni, ad addirittura l’intero corpo architettonico. È quindi un’innovazione tecnica ma soprattutto una modernità mentale, che permette la costruzione di edifici apportatori di quest’utopia-modello e qui di seguito sono elencati alcuni progetti che hanno adottato la prefabbricazione evoluta come risoluzione di esigenze specifiche, altrimenti tutt’ora irrisolte.


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società (a)prefabbricata CAPITOLO TERZO Studio di architetture attuali. Analisi di casi studio corrispondenti ad una società contemporanea.

Dalla ricerca condotta, sia da un punto di vista socio-culturale che architettonico, emergono delle importanti esigenze nuove con le quali l’architettura si confronta quotidianamente a diverse scale. Temi come quelli trattati nelle pagine precedenti sono, direttamente o indirettamente, analisi importanti che costituiscono il lavoro di molti progettisti. In questi anni molte sono le innovazioni tecniche e tecnologiche che costituiscono le nuove costruzioni ed i nuovi interventi ad ogni scala, coinvolgendo il livello urbano ma anche quello del singolo edificio. Diversi sono i soggetti che ad oggi rendono proprie queste considerazioni per costruirne la matrice del progetto. Norman Foster, Rem Koolhas, Renzo Piano sono solo la punta di un iceberg che comprende una serie di progetti di innovazione fortemente studiata; progetti dove l’individuo è al centro dello studio e il suo quando e come fruire del luogo generano il disegno architettonico. Queste caratteristiche sono risolte mediante l’utilizzo di tecniche costruttive in prefabbricazione evoluta. E’ di questi esempi, schematizzati e focalizzati sulle caratteristiche che maggiormente rispondono allo studio condotto che trattano le pagine seguenti. Con l’intento di governare l’attenzione sul piano tecnologico, segue un insieme di progetti che hanno come fondo uno studio preciso su quelle che sono le necessità attuali della società descritta.


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House in Sakurajosui, Toyo Ito & Associates, Tokyo, 2000 Il progetto in questione era stato inizialmente ideato con una struttura in cemento armato gettato in opera, in seguito ripensata in un sistema prefabbricato in alluminio. Sempre del solito materiale è formato anche l’involucro esterno della abitazione, che suddiviso in pannelli di lamiera di 4 mm custodisce anche parte del sistema di elevazione verticale. Il resto della pilastratura è anch’essa in

IMG 12 tubolare metallico mm 70x70x4. Questo sistema di elevazione è interamente smontabile: una serie di agganci, sempre in alluminio si incastrano fra loro; all’interno del profilo tubolare è nascosto un pilastro di sezione cruciforme per migliorare la portata dei carichi. La prima orditura del solaio è affidata ad una sezione ad ipe di altezza mm 146 mentre per la secnda troviamo una sezione a T anch’essa di anima mm 146.

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Collegamenti www.toyo-ito.co.jp


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55 Temporary bank AML Architects, Norimberga, 2001

La banca, denominata Blue Box a causa della sua colorazione è un espressione di architettura prefabbricata modulare. La sua costruzione progettata dallo studio AML è infatti un insieme di moduli di dimensioni tre metri per 9 (tre in questo caso) appoggiati su un basamento costituito da tre fasce. Le pareti esterne sono costituite di legno così come le lamelle, che ruotando su dei perni, riparano

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l’interno della struttura dall’irraggiamento solare. La copertura, anch’essa in materiale ligneo è sorretta, oltre che dalle pareti perimetrali da una fila di pilastri al centro della struttura. Ogni modulo può contenere al suo interno un’apertura a tutta altezza oscurabile con il sistema che si rivede in fotografia delle lamelle. Questo progetto risponde al concetto di velocità di fruzione ed è progettato per poter ospitare al suo interno anche mostre ed altri eventi. Collegamenti IMG 16 www.aml-architecture.com


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Datev - Servicezentrum Shulitz Architekten, Norimberga, 1997 La progettazione di questo complesso urbano deriva dalla vittoria di un concorso del 1992. La struttura è composta da quattro blocchi allungati ed un edificio a torre tutti interamente composti e costruiti di elementi prefabbricati progettati anche nei loro nodi strutturali dallo studio Shulitz. Questi particolari metodi progettuali hanno permesso di contenere i costi di costruzione

IMG 18 affidando la struttura degli edifici a singolo piano ad elementi in cemento armato prefabbricato mentre la struttura multipiano è costituita da un sistema flessibile ad ampie luci di elementi in acciaio. Un percorso coperto collega le varie strutture del complesso. Lo studio si è occupato anche del problema energetico studiando un accumolo dei carichi da parte del c.a. durante il giorno che li rilascia tramite ventilazione la notte.

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Collegamenti www.shulitz.de


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59 London City Hall Norman Foster, Londra, 2002

L’edificio svolge la funzione di uffici per il comune di Londra e sorge nella zona che Foster immagina come collegamento fra la vecchia e la nuova Londra. La progettazione è sviluppata soprattutto da un punto di vista energetico; in principio, la forma stessa è stata dettata, attraverso l’ausilio di sistemi informatici, come miglior esposizione all’irradiazione solare per un minor utilizzo dei sistemi di

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climatizzazione durante tutte le stagioni. Un sistema di ventilazione naturale genera un flusso di aria che si muove dall’alto verso il basso attraverso il corpo scale, maggiormente in ombra. La membrana è composta da un sistema di elementi prefabricati per la maggior parte in acciaio e vetro mentre la parte più alta prende le sembianze di una “cupola energetica” dove dei pannelli solari sono utilizzati per riscaldare le riserve d’acqua situata sotto l’edificio. Collegamenti IMG 22 www.fosterandpartners.com


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Remodeling Falkestrasse, Coop Himmelb(l)au, Vienna, 1988 Trattasi di un intervento ad un edificio storico nel centro di Vienna dove la committenza voleva inserire dei nuovi uffici. Il progetto occupa circa 400 mq ed è situato all’ultimo piano della struttura. La messa in opera è stata affidata ad elementi in acciaio e pannellature in vetro imbullonati all’edificio preesistente. Lo studio decostruttivista dell’intervento che tende ad imitare la forma di un

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uccello ha costretto ad utilizzare elementi tutti diversi tra loro costringendo quindi ad una progettazione completa di tutto il sistema. Come in diversi altri progetti dello studio la costruzione si basa su una spina principale di acciaio alla quale poi si aggancia buona parte del sistema costruttivo. Su un edificio storico come quello in oggetto risulta poi interessante l’utilizzo di un sistema costruttivo prefabbricato ed assemblato in loco a secco quindi smontabile. Collegamenti IMG 25 www.coop-himmelblau.at


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63 Academie MWD, Carlos Arroyo, Dilbeek, 2012

In questo progetto viene spesso riconosciuta la particolare attenzione che l’architetto ha speso nel relazionarsi col difficile contesto in termini di proporzioni (le altezze dei culmini riprendono quelle delle abitazioni vicine) e in termini di colore (andando verso il bosco le pareti perimetrali prendono i colori degli alberi). Non solo queste caratteristiche però rendono particolare questo

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progetto; al suo interno, infatti, la struttura è studiata, in termini di spazio, di impiantistica, di volumi e di movimentazione per poter ospitare diverse attività legate al mondo della musica rivoluzionandosi in tempi brevissimi: questo edificio punta al modello del place making; è infatti studiato per rendere l’utente abile a modificare lo spazio in base alle sue necessità come lo spazio pubblico che crea la sala principale, fatto proprio ancor prima della costruzione. Collegamenti IMG 28 www.archdaily.com


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65 Turbolence House Steven Holl, New Mexico, 2005

In questo progetto spesso considerato a metà fra architettura e scultura, Steven Holl ha abbandonato le tecniche costruttive locali « esplorando nuove tecnologie che sfruttano i processi informatici e di produzione » (Pearson, 2005). In questo studio, infatti, l’architetto ha deciso di disegnare un guscio composto da pannelli metallici prefabbricati e trasportati in loco per essere assemblati.

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La gestione tradizionale di elementi come la luce i pieni ed i vuoti vanno a scontrarsi con una tecnica costruttiva innovativa formata dall’utilizzo di trentuno pannelli prodotti in Kansas City ognuno di dimensione differente dall’altro. Questa tecnica costruttiva forma un guscio esterno che può dare all’opera la conformazione simile a quella di una scultura, tanto che la seconda Turbolence House si trova all’interno di un parco privato in Italia. Collegamenti IMG 31 www.stevenholl.com


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Allianza Riviera Wilmotte & associated, Nizza, 2010 Lo stadio fa parte di un progetto più grande denominato Eco Valley attraverso il quale l’amministrazione locale ha iniziato una riqualificazione urbana di questo quartiere di Nizza. La struttura ospita 35 mila spettatori. Sono stati parte del progetto i percorsi ciclabili e pedonali che si immettono poi nel resto del quartiere. Accoglie anche al suo interno delle zone di interazione con la città come

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uffici e vendite al dettaglio; l’atrio dello stadio funziona da collegamento con il resto della città. La struttura è affidata ad un sistema di elementi prefabbricati in acciaio che formano uno scheletro sul quale viene poi appoggiata una membrana trasparente, anch’essa prefabbricata. Questo insieme di elementi garantisce un filtraggio di luce naturale durante il giorno e rende lo stadio un punto luminoso e quindi attrattivo di notte facendone un faro della città. Collegamenti IMG 34 www.wilmotte.com


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Sede Freitag A. Spillmann, H. Echsle, Zurigo, 2006 Il negozio Freitag a Zurigo è uno dei migliori esempi di come un’architettura che si rispecchi nel marchio che rappresenta possa essere di grande importanza per la vendita dell’oggetto proposto. In questo negozio, l’azienda committente ha infatti duplicato le vendite prospettate. L’edificio, inizialmente richiesto molto più basso, si trova in una zona periferica di Zurigo, immerso in un raccordo

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autostradale, ed è stato poi progettato dell’attuale altezza per diventare un simbolo luminoso nella zona. Nove container, di semplicissima posa, movimentazione e rimozione sono infatti stati disposti uno sopra all’altro garantendo all’interno un passaggio in elevazione e guadagnando la luce attraverso l’apertura di grandi vetrate su uno dei due lati corti dell’oggetto che fungono poi anche da punti attrattori per chi si trova all’esterno. Collegamenti IMG 37 www.freitag.ch


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Industriehalle Frerichs glass, Shulitz Architekten, Verden, 2009 Trattasi di un capannone industriale per una fabbrica di vetri. Al momento del progetto era già presente la gru a carrello per lo spostamento dei materiali che è stato un forte limite per la forma ed il posizionamento degli elementi verticali. La struttura ha una membrana di vetro soretta da un intelaiatura in acciaio mentre la luce arriva da lucernari alti esposti a nord per evitare il surriscaldamento

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dell’ambiente interno. Le dimensioni dell’ambiente sono studiate e ridotte al minimo per ridurre la quantità di calore necessario a riscaldare tutto l’ambiente. Le travi secondarie dell’edificio sono sagomate a formare una catenaria in modo da ridurre la quantità di materiale utilizzato mentre tutte le pannellature in vetro che formano la membrana sono ricoperte da una pellicola ad ombra per bloccare la vista ed evitare l’irraggiamento diretto. Collegamenti IMG 40 www.shulitz.de


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Capitolo 3

73 Prada Transformer Rem Koolhaas Seoul, 2009

Il padiglione studiato da Koolhaas ha la particolarità di essere progettato in maniera versatile per essere ruotato e posizionarsi quindi ogni volta su una diversa pianta. L’oggetto presenta infatti quattro diverse figure geometriche : un rettangolo, un cerchio una croce ed un esagono. Al suo interno, il padiglione ospita diverse attività come eventi artistici, cinematografici e di moda e la diversa

IMG 42 conformazione della pianta dell’edificio, modificabile grazie alla rotazione permette di sfruttarlo al meglio e di offrire la miglior struttura dell’ambiente a seconda dell’attività in programma. La possibilità di essere ruotata fa quindi di questo progetto un’ottima risposta alle richiesta di multiutenza e multiattività adattandosi sempre al massimo alle necessità dell’utente .

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Collegamenti www.oma.eu www.prada-trasformer.com


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Office Block in Fellbach Dollmann + Partner, Fellbach, 1998 L’edificio presenta una pianta quadrata sulla quale si elevano quattro piani fuori terra. Inizialmente questa struttura era studiata senza avere un luogo specifico di costruzione ma in maniera generica cercando di rispondere alle esigenze dei lavoratori che avrebbero dovuto utilizzarla. Al suo interno presenta diversi uffici e sale riunioni. Costruttivamente, la struttura, è composta da soli

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elementi prefabbricati, per la maggior parte in acciaio, prodotti ed assemblati in loco attraverso bullonature e saldature. La scelta dei materiali è stata studiata in funzione di future modificazioni o riparazioni del costruito. Sono stati quindi utilizzati tutti oggetti e materiali semplici e facilmente reperibili anche in un secondo momento. La scelta costruttiva ha anche permesso di mantenere i costi inferiori alla norma. Collegamenti Detail 2001/4 IMG 46 www.detail.com


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House M Caramel Architekten, Linz, 2007 Situata nella valle del Danubio, sul pendio di Pöstlingberg, la casa M occupa un’area di dodici metri per dodici. La residenza è aperta verso sud con una grande vetrata spezzata dall’utilizzo di pilastri snelli inclinati mentre ha un rapporto molto pieno nel versante ovest dove si trova una parete quasi interamente chiusa. Anche in questo caso il metodo costruttivo è di particolare interesse in quanto la

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struttura è composta da pannelli prefabbricati ad alte prestzioni strutturali ed isolanti che sono stati installati sulla lastra di cemento che funge da pavimento in poche ore mediante l’ausilio di una gru montata su un camion. Attraverso l’utilizzo di questo metodo di realizzazione, la residenza, presenta ottime prestazioni da un punto di vista energetico, per le quali contribuisce anche la copertura anch’essa costituita da elementi prefabbricati. Collegamenti IMG 49 www.caramel.at


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Center for Molecular Studies University of Cincinnati Frank O. Gehry, Cincinnati, 1999 L’edificio di Gehry si pone come un modello innovatore nel campus della università di Cincinnati: si riconosce subito la linea dell’architetto che gioca con le forme in maniera plastica. Per il rivestimento il progetto ha previsto di mantenere un contatto con il difficile contesto e quindi anche con la storia del luogo nel quale è immerso utilizzando un materiale

IMG 51 familiare nella zona : il mattone rosso. La plasticità decisa da Gehry e l’utilizzo di questo particolare materiale molto solido porta sicuramente ad una sfida realizzativa risolta in questo caso attraverso l’utilizzo di pannelli prefabbricati, disegnati e prodotti a monte ed installati sul cantiere. Questo edificio, è però stato uno degli edifici più costosi del campus, arrivando alla spesa di 46 milioni di dollari.

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Collegamenti www.gehrytechnologies.com


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Capitolo 3

81 Solar City, T.Herzog , Linz, 2004

Solar City è un quartiere della città di Linz per il quale l’amministrazione ha deciso di creare una zona della città con una elevata attenzione del problema energetico ma che non fosse rinchiuso in se stesso ai margini della città: un quartiere dinamico in grado di collegarsi e di esser parte integrante del resto della città urbanizzata. Per il masterplan di questa area, l’amministrazione comunale si

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è avvalsa di progettisti quali T. Herzog, R. Rogers, R. Piano e N. Foster che insieme hanno studiato un ambiente capace di supportare l’abitare di circa 3000 persone.. In questo quartiere, le attività, per la maggior parte residenziali, si dispongono in modo radiale intorno ad un centro che ospita i servizi accessori; il problema energetico è studiato in ogni campo a partire da quello della mobilità al recupero dell’acqua o al rivestimento delle facciate Collegamenti IMG 55 Urbanistica n 141, 2010


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CAPITOLO QUARTO Macchine per abitare: Diogene. Analisi del progetto della residenza prefabbricata.

LocalitĂ Campus Vitra, Weil am Rhein, Germania Architetto progettista Renzo Piano Committente Vitra GmbH Design team Renzo Piano Building Workshop, S. Scarabicchi, E. Donadel (partner and associate in charge), M. Rossato-Piano, M. Menardo, P. Colonna Project Management Vitra AG, Aja Huber Progetto strutturale Favero & Milan Ingegneria Ingegneria ambientale TRANSSOLAR Energietechnik GmbH (MEP)


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« […]the idea of a small house always came back, because it’s kind of a primitive idea. it’s the idea of basic shelter– the minimum living shelter you need as a human being–then you can go and make many places for collective activity. civic places, places for people to enjoy music, to enjoy university, to enjoy education, a civic center. you can do many, many things; but it sticks, this idea somewhere, this one different image– it’s called silence.» Renzo Piano, Daily Mail, 5 novembre 2009

Renzo Piano, come spiega nell’intervista rilasciata al Daily Mail, è stato da sempre attratto dall’idea di creare uno spazio abitabile di piccole dimensioni, un apparato sperimentale volto a testare le potenzialità della casa minima. Già verso la fine degli anni Sessanta, quando l’architetto italiano insegnava all’Architectural Association di Londra, costruì con i suoi studenti case in miniatura sulla Bedford Square. La casa minima diventa quindi un’ossessione, un’idea che continua ad affascinare Piano, soprattutto in un momento in cui il suo ufficio si occupa di progetti di grandi dimensioni, come quello che, al momento del suo completamento nel 2012, era il grattacielo più alto d’Europa, lo “Shard” di Londra. Il progetto Diogene, che riprende il nome del filosofo che viveva in una botte aborrendo il superfluo, nasce attorno all’anno 2000, dopo che Piano ha già alle spalle la realizzazione di sei imbarcazioni che, come afferma egli stesso, gli sono notevolmente servite nello sviluppo di questo prototipo. Nel frattempo lo studio RPBW di Vesima ha conosciuto il concepimento di vari prototipi, realizzati con ogni materiale possibile, dal compensato al cemento, dal legno all’alluminio.


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A fine giugno 2010, Renzo Piano e Rolf Fehlbaum, che in quel periodo facevano parte della giuria del Premio Pritzker, si incontrarono e decisero di promuovere il progetto Diogene. Dopo tre anni di progettazione e sviluppo, in occasione di Art Basel 2013, è stato presentato un nuovo prototipo di Diogene nel Vitra Campus, nell’area verde antistante la VitraHaus. Nasce così un prodotto complesso, adatto alla produzione industriale di serie. Il prototipo, infatti, dopo qualche mese di prove ha subito destato l’attenzione di un alto numero di visitatori e possibili acquirenti, obbligando Vitra ad anticiparne il debutto in serie sul mercato. Il progetto condensa sulla superficie minima di 296 cm x 240 cm tutto il necessario per vivere sfruttando al massimo ogni spazio e ogni risorsa energetica. Il modulo è autosufficiente e, come ogni costruzione totalmente prefabbricata, pone la facilità di trasporto tra le premesse essenziali: le dimensioni e il peso (la casa è alta 3,5 m e pesa solo 1,2 tonnellate) ne permettono infatti il trasporto con elicottero o autocarro. La casa è divisa in tre ambienti fondamentali anche se tutto può essere trasformato cambiando utilizzo: si passa da una stanza trasformabile da uso diurno a notturno, a una mini cucina accessoriata, a un piccolo bagno. Come lo stesso Renzo Piano spiega, non è difficile intravedere l’influenza formale di movimenti e architetti quali Le Corbusier, Archigram, Cedric Price, Kisho Kurokawa. Nonostante l’apparenza semplice si tratta in realtà di una struttura complessa sia dal punto di vista materico che impiantistico. L’impianto fotovoltaico, i pannelli per la produzione di acqua calda, il serbatoio per l’acqua piovana, la toilette biologica sono solo alcuni degli accorgimenti che rendono quest’oggetto completamente indipendente e trasportabile. All’esterno, sopra e sotto l’unità, una serie di impianti garantiscono l’autosufficienza


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energetica mentre il posizionamento e passaggio degli impianti è stato condensato nei pochi spazi e intercapedini disponibili. I pannelli solari e fotovoltaici producono l’acqua calda e l’elettricità che viene accumulata in batterie che alimentano luci a led, un fornelletto elettrico ed un piccolo frigorifero. L’impianto di riscaldamento è predisposto per l’impiego di una pompa di calore geotermica. L’acqua piovana viene raccolta in appositi contenitori, filtrata, pompata ed utilizzata per la doccia e la cucina mentre la toilette biologica si utilizza con uno speciale compost senza consumo di acqua. La struttura, come spiega lo stesso Piano, è semplice e leggera ma al tempo stesso solida e resistente, può sopravvivere a temperature torride come al gelo ed al carico di parecchi metri di neve. Il guscio portante – il cosiddetto Shelter - è realizzato con elementi di XLAM di cedro, il pannello di fibre incrociate, che crea uno spazio interno luminoso e rivestito esternamente da un sottile film di alluminio. Tra le due superfici si inserisce uno strato di pannelli super-isolanti a vuoto di pochi centimetri che consentono un isolamento termico estremo al costo di un minimo ingombro: lo spessore complessivo della parete è di soli 8 cm e le finestre sono a camera doppia. All’interno ogni accorgimento è ingegnoso e ricercato: l’area di cottura è predisposta per contenere le stoviglie appese, il bagno è fornito di spazi ricavati nella parete divisoria interna mentre il fondo della doccia è di alluminio e la ventilazione è garantita da una botola apribile sul tetto. Il divano della zona giorno è formato da un elemento apribile con due file di sei cuscini collegati tra loro: in questo modo l’impacchettamento del materasso e il


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risparmio di spazio risultano estremamente rapidi. La struttura lignea ripiegabile funge da seduta e schienale in modalità diurna e da letto a due piazze in modalità notturna. Il tavolo di legno è diviso in tre moduli di vario formato che ne permettono l’apertura a seconda delle esigenze. Ogni tavola è dotata di un profilo di acciaio che ne garantisce l’irrigidimento inferiore ma che rimane tuttavia nascosto quando gli elementi sono impacchettati. Inoltre la zona living è dotata di contenitori di alluminio ultraleggeri che possono essere facilmente appesi ai ganci di acciaio inossidabile già predisposti con un richiamo più che evidente alla filosofia Shaker. Complessivamente Diogene offre un ampio ventaglio di possibilità di impiego: può essere una casa di vacanze per il fine settimana, ai bordi di un lago o su qualche promontorio lontano, così come può diventare un modulo ufficio da installare insieme a tanti altri nel cortile di una fabbrica abbandonata. Può formare un agglomerato di stanze per un hotel nel deserto o lungo i bordi di un’autostrada, una dependance da collocare in giardino, o addirittura, nella sua forma semplificata senza copertura, all’interno di un ufficio open-space. Inoltre, a livello economico, viene gestita come un’abitazione vera e propria. Come spiega infatti Paolo Guarischi, neo-direttore della Banca Popolare di Lodi, è possibile farsi erogare la somma necessaria all’acquisto di Diogene, ovvero 20 mila euro, tramite mutuo o finanziamento. Continua il direttore: « Il fatto che sia stata progettata da un architetto di assoluto rilievo internazionale e le infinite possibilità di personalizzazione della stessa la rendono appetibile anche in un ipotetico mercato di seconda mano. Quindi non prevediamo ci sia una notevole differenza tra il costo del


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nuovo e quello dell’usato, nonostante resti comunque un prodotto dell’industria realizzato in serie.» La struttura non soddisfa però l’intera totalità delle esigenze umane, la comunicazione dovrà avvenire altrove, spingendo a ripensare la relazione tra individuo e comunità. Resta quindi sempre sullo sfondo il pensiero del filosofo greco: il primo cittadino del mondo che era disposto a rinunciare ad ogni tipo di lusso pur di ritrovare se stesso.


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società (a)prefabbricata CAPITOLO QUINTO Risposte teoriche ad una società pratica. Linee guida derivanti dalla ricerca percorsa.

Attraverso i capitoli precedenti, sono state analizzate le caratteristiche e le modificazioni che i giorni d’oggi hanno rispetto al secolo precedente e quanto queste siano influenti nella architettura. Le macro evoluzioni hanno provocato grandi cambiamenti all’interno della società odierna, anche a diverse scale. Queste modificazioni sono riscontrabili nell’individuo singolo, nella città e nelle utilità nuove che assume, ed anche a livello globale. Queste differenze innescano automaticamente delle alterazioni nell’architettura dei nostri tempi; le diverse necessità ed i nuovi tempi di risoluzione di queste portano inevitabilmente ad un nuovo modo di fruire gli spazi. Come esposto nel capitolo secondo, l’architettura del secolo passato ha immaginato certi cambiamenti attraverso cambiamenti utopistici, spesso diventati modelli per la progettazione odierna. Nei nostri giorni, invece, si assiste ad una attenzione dilagante riguardo al tema dell’energia e quindi delle prestazioni di un edificio, chiamato oggi a rispondere a livelli sempre più elevati in risposta ad un problema altrimenti incontrastabile come quello ambientale. Le innovazioni tecnologiche, unite ai limiti ambientali che impongono un attenzione particolare al tema della energia, hanno provocato negli ultimi decenni un proliferare di nuovi materiali che hanno permesso, a loro volta, la possibilità di studiare tec-


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niche costruttive altrimenti irrealizzabili, dando vita spesso a sistemi prefabbricati in nodi ed elementi, progettati e prodotti in seguito a studi precisi ed assemblati in cantiere. L’utilizzo di questi nuovi mezzi ha quindi risolto le esigenze di flessibilità, mutabilità, velocità di costruzione, adattabilità alle diverse utenze che la società odierna richiede, riuscendo anche a risolvere in parte la questione ambientale. Diversi casi studio di oggetti architettonici (capitolo terzo) che hanno usato metodologie di questo tipo si trovano anche nelle opere di architetti di fama internazionale quali Piano, Koolhaas, Foster, Gehry ed altri, ma anche nel lavoro di architetti minori che a livello nazionale hanno operato spesso in funzione dell’utilizzo di queste tecnologie costruttive, come ad esempio lo studio Shulitz. Casi studio come quelli precedentemente citati rispondono a delle esigenze specifiche della società odierna e segnano un innovativo metodo non solo costruttivo ma anche progettuale. Dallo studio effettuato, sia da un punto di vista sociale che architettonico, e dall’analisi di diversi casi studio, derivano dei concetti chiave che rendono funzionali certi progetti, e secondo i quali è possibile rispondere a necessità precise dell’utenza che abita le architetture oggigiorno. Questi concetti sono stati analizzati e ristretti in parole chiave di seguito elencate ed analizzano l’oggetto architettonico sia da un punto di vista concettuale che costruttivo. Concetti quali frenesia o multietnia derivano dagli studi sociologici precedenti supportati dalle tesi di autori quali Bauman, Sennet Zukin ed altri ; concetti quali energia o database, invece, sono il frutto dell’analisi del


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lavoro di progettisti contemporanei e dello studio di autori quali Presutti, Evangelista, Bertolini, Carsana ed altri. Le pagine che seguono sono quindi un percorso di linee guida e paradigmi derivati dall’analisi affrontata, attraverso il quale si ricompone le doppia visione riguardante sia le tecniche costruttive che il momento progettuale. Unendo i due ambienti, si deduce quindi che attraverso l’utilizzo di tecniche costruttive studiate in prefabbricazione attraverso le quali è possibile produrre oggetti architettonici flessibili e mutabili nel corso degli anni, è possibile rispondere alle necessità che derivano dalla analisi della società condotta.


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« Bisogna sempre ricordare che fare architettura significa costruire edifici per la gente, università, musei, scuole, sale per concerti: tutti luoghi che diventano avamposti contro l’imbarbarimento. Sono luoghi per stare assieme, sono luoghi di cultura, di arte e l’arte ha sempre acceso una piccola luce negli occhi di chi la frequenta. » Renzo Piano, 2010 Come afferma Renzo Piano l’architettura è un intervento atto a migliorare la qualità della vita di chi vive, dove il termine è inteso non solo a livello residenziale, ma da estendersi anche a chi frequenta quel posto solo di passaggio. Questo miglioramento dunque deve essere continuo e senza tempo, così come l’architettura stessa che ha innestato il cambiamento. Non si tratta però di pensare al mestiere dell’architetto come quello dello stilista (Franco La Cecla, 2008), ovvero incentrato prettamente sul design della sua opera e non all’ habitat in cui la stessa va ad insediarsi. L’habitat della contingente società è più che mai difficile, come afferma lo stesso architetto La Cecla, in quanto è esito di una commistione infinita di stili di vita, pensieri e tendenze. « Eppure mai come adesso l’architettura è lontana dall’interesse pubblico: incide poco e male sul miglioramento della vita della gente, a volte ne peggiora le condizioni dell’abitare. Questo accade perché l’architettura è diventata un gioco autoreferenziale, incentrata sulla “firma”, sulla genialità del singolo architetto, genialità che è quotata nella borsa della moda al pari di un qualunque


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brand. Gli architetti si rifugiano in un’artisticità che li esclude da qualunque responsabilità. Purtroppo spesso viene affidata loro la trasformazione di interi pezzi di città, trasformazioni che spesso compiono con leggerezza, superficialità e convinti si tratti di un gioco formale. Ma le città funzionano diversamente: sono il territorio profondo su cui agisce l’inconscio collettivo, sono il luogo delle appartenenze e dei conflitti. » (La Cecla, 2008) Per fare architettura oggi è quindi necessario tornare a toccare con mano (La Cecla, 2008) l’interesse pubblico, conoscere le dinamiche del luogo in cui l’intervento va ad insediarsi, in che cosa esso è carente, per farne appieno il suo bene e migliorare la vita delle persone che attorno ad esso ruotano. Un esempio recente di come l’architettura possa cambiare in maniera più che positiva la contingente situazione è quello del Corviale, simbolo per molti di sconcerto e orrore metropolitano, concepito a metà anni Settanta nella periferia Ovest di Roma, che sta per conoscere una nuova esistenza, grazie ad un concorso cui hanno partecipato innumerevoli architetti di spicco internazionale, raccontata all’attuale Biennale di Venezia. È questo un intervento di rigenerazione, come afferma Renzo Piano, totalmente slegato dall’idea di un’espansione illimitata, ma anzi, che va a trovare nel suolo e la relativa posizione la più grande potenzialità. Rigenerare significa quindi ricreare un tessuto urbano, non pensare ad un oggetto isolato. Legare l’intervento all’ambiente che lo contiene, creare una mescolanza fra abitazioni, servizi e altre funzioni che soddisfino i bisogni di quel contesto. Non esiste però solo una rigenerazione positiva, come avverte l’urbanista Edoardo Salzano: una cosa è proporsi di migliorare le condizioni fisiche di parti della città e la vita delle persone, altro è preoccuparsi di moltiplicare il volume di affari e i valori immo-


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biliari. Se la prima strada è rigenerazione nel senso più profondo, la seconda è diametralmente opposta. L’urbanista continua affermando che Corviale sarà, indipendentemente dall’esito del concorso, un esempio di rigenerazione urbana senza tempo, dove si riprende la coscienza che la città non è fatta solo di abitazioni ma anche, e soprattutto, di spazi dove stare insieme. Allargando poi lo sguardo un altro esempio simile di rigenerazione è stata quella che ha travolto (Tancredi, 2014) la città di Medellìn, in Colombia. Qui, nella capitale del narcotraffico, si è avviata da qualche anno una rigenerazione che, come racconta a Repubblica (27 Maggio 2014) Mario Tancredi, architetto italiano docente in Colombia, ha fronteggiato la segregazione sociale con una rete di trasporto pubblico e una linea di cabinovie che a ogni stazione realizza uno spazio di convivenza che si arrampica su un’altura raggiungendo sei nuove biblioteche, progettate e realizzate in breve tempo, essendo interamente prefabbricate, e un parco urbano. Tutto questo accompagnato da piazze, strade, scuole, fognature e dalla ristrutturazione di tante abitazioni sorte negli anni precedenti in maniera incontrollata e in luoghi pericolosi. Gli effetti di questo intervento possono essere facilmente compresi da due dati rilevati nello scorso anno: omicidi crollati di più di tre decine di punti percentuali e crescita del commercio del 300 per cento. Quest’ultimo esempio va inteso come rigenerazione alla macro-scala, ma interventi anche di scala minore, come un singolo edificio, sono in grado di trasformare un’intera città o più: il Guggenheim di Bilbao, progettato da Frank O. Gehry, esito di una progettazione complessa sotto tutti i punti di vista (modellazione, realizzazione e ingegnerizzazione) che si è basata ampliamente sulla prefabbricazione, anche a secco, come nel caso della facciata


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di pannelli in titanio. Basti pensare che la realizzazione del museo ha prodotto, nel solo triennio (1998-2000), un indotto sull’economia locale di oltre 635 mlioni di dollari (Martini, 2001). Sono tutti quindi interventi ex-tempore, da intendersi nel significato latino originario, ovvero senza tempo, dove il miglioramento della qualità della vita di chi abita o frequenta il luogo non è solo immediato, continua anche nel lungo termine, garantendo così una crescita sempre costante e attrazione. Questo sottocapitolo, più generico rispetto ai successivi, ha lo scopo di introdurre le potenzialità della prefabbricazione evoluta, in grado di garantire cantieri più efficienti, velocità di posa in opera, efficienza massima rispetto gli standard ambientali ed energetici in qualunque fase di vita dell’edificio. L’orientamento verso questa tecnologia è in grado quindi di portare ad una netta soluzione delle condizioni elencate nei capitoli precedenti, realizzando architetture ex-tempore, in grado di perdurare efficacemente nel tempo o predisposte al cambiamento, come viene spiegato in seguito.


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100 Frenesia

« La precarietà è il tratto distintivo della condizione preliminare di tutto il resto: la qualità di vita, e in particolare quella derivante dal lavoro e dall’occupazione. Tale condizione è già diventata estremamente fragile, ma continua di anno in anno a farsi sempre più instabile. » Bauman, 2000 Questo passo del saggio di Bauman riassume il concetto di una nuova società in continua evoluzione, dove la precarietà non è un tratto passeggero della vita ma una condizione costante che prosegue negli anni. Un modo così instabile di essere è facilmente esportabile anche su un piano quotidiano; una vita instabile in sé costituisce instabilità anche nello svolgere ogni tipo di attività, nel modo di fruire di luoghi e di spazi, di percezioni riscontrabili differenti ed anche nell’utilità riscontrata in un oggetto architettonico. Il progetto architettonico, spiega Gehry in un’intervista, deve oggi essere qualcosa di continuo, mai finito, un eterno cantiere che con gli anni possa essere in grado di essere modificato in base ad utenze differenti con altrettante identità. « A noi tutti piacciono le opere in costruzione molto più che terminate » (Gehry, 1995). Quella di oggi è una società precaria, quindi frenetica, l’individuo moderno ha esigenze in continua evoluzione come in continua evoluzione sono le proposte offerte dalla tecnologia. Nall’architettura odierna si rispecchiano le contemporanee necessità dettate da questo continuo mutamento: Oggi sembra essere inutile progettare spazi fermi, statici, bloccati nel loro stesso progetto.


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Il caso delle università è fra i più eclatanti: ogni anno le strutture degli atenei italiani sono chiamate ad ampliarsi o restringersi in base alla domanda del momento. Le nuove aperture delle frontiere hanno fatto diventare gli atenei dei poli internazionali, dove la lingua ufficiale diventa l’inglese al posto di quella locale, dove le strutture devono essere in grado di accogliere studenti dalla Cina o dalla America per l’anno in corso ma essere allo stesso tempo pronte ad ospitare altre attività, magari totalmente differenti, pochi anni dopo, quando la richiesta calerà drasticamente. Il caso del Politecnico di Milano è esemplare: una struttura inizialmente rinchiusa in un isolato cittadino che, col crescere del numero degli studenti, cresce anch’esso prima in elevazione e successivamente attraverso l’allargamento in pianta dislocandosi e modificando strutture pre-esistenti. Una crescita quindi non organica che dà vita a tanti nuovi elementi difficili da collegare fra loro ed inserire in una visione unica; impronte singole e forti di edifici bloccati nella città dove tutto è solo alterabile e non mutabile rischiando di essere un giorno finalmente insufficiente, o al contrario inutile. Oltre all’utilità in sé che si rispecchia nei casi come quello sopra citato cambiano anche i modelli nei quali la società odierna si identifica, o addirittura, come spiega il sociologo Bauman nella prefazione di Modernità liquida, questi modelli sono a tal punto mutevoli che smettono di esistere. E’ per questo che un elemento oggi considerato di elevato valore estetico come possono essere i progetti decostruttivi come quelli di Frank O. Gehry o di Zaha Hadid, rischiano di diventare antichi in breve tempo (La Cecla, 2008). Essendo quella di oggi una società del consumo, ci troviamo davanti a ritmi nuovi e quindi difficili da accontentare attraverso una progettazione statica ed immobile, immutabile.


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In questa società l’individuo, spiega Bauman in Consumo dunque sono, edito nel 2007, tende ad annoiarsi molto più facilmente. Il consumatore è abituato ad accogliere sotto ai suoi occhi una proposta nuova ogni giorno da parte di azienda come Microsoft o Apple in grado di studiare un telefono o un computer tecnologicamente innovativo a ritmi impressionanti; e così come cambia il proprio oggetto di consumo, il consumatore, appunto, vuole modificare anche i luoghi che abita, o le attività che svolge. Luoghi che non supportano questa mutevolezza o che non sono in grado di reggere il ritmo finiscono per diventare luoghi dell’abbandono, non più utilizzati, in continua riqualificazione o adattamento che spesso finiscono per deturpare il luogo attraverso logiche diverse e mai progettate. « Siamo passati dal potere dei cittadini al potere dei consumatori » (Branzi, 1996). La grande sfida oggi per l’architettura è governare il futuro, e progettare un sistema che possa mutare negli anni, stando al passo con la società che lo richiede e che lo deve vivere. E’ proprio questo il contesto all’interno del quale i progetti che maggiormente attirano l’utenza sono appunto quelli che si rifanno a questa mutevolezza. Uno degli esempi più espliciti è da ricercare in Rem Koolhaas che nel suo Prada Transformer ha portato all’esasperazione l’idea di precario: nel suo spazio, infatti non si può identificare una vera e propria pianta od una sezione, entrambe cambiano in pochi giorni, quando la struttura viene ruotata da una gru ed attraverso questi cambiamenti di spazialità cambiano anche le attività che si possono svolgere coinvolgendo quindi un’utenza continua. La frenesia di oggi, però, non è solo in ciò che viene richiesto, ma anche in ciò che viene prodotto. La globalizzazione ha portato ad un ritmo di innovazione tecnologica velocissimo. L’elemento


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tecnologico inserito all’interno di un progetto diventa già vetusto al momento della edificazione. Temi come l’ambiente, l’energia ed i costi, che verranno affrontati in seguito, crescono sempre di importanza come crescono le certificazioni energetiche richieste. Oggigiorno è possibile costruire, come è stato esposto negli esempi del capitolo precedente attraverso l’utilizzo di elementi in prefabbricazione evoluta facilmente sostituibili e modificabili. Questi, non sono elementi composti che obbligano il progetto ad una direzione pre-impostata, ma elementi tecnologici, progettati in sé sul momento, che il progettista è in grado di sfruttare per le loro caratteristiche migliori nell’ottica di diventare parte integrante del progetto. La frenesia di questa società, per concludere, deve essere accolta dai progetti in un sistema di interscambio dove la società detta i ritmi e l’architettura gli spazi, in una società così mutevole o liquida (Bauman, 2000) è necessario che una scuola come quella della architettura, da sempre impostata sul concetto di immobile inizi ad aprirsi, passando attraverso la componente tecnologica, ad un nuovo modo di essere concepita e vissuta.


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105 A-standardizzazione

« Il futuro della tecnologia sarà lavorare con le tecniche di montaggio delle costruzioni aeronautiche. In un futuro lontano le parti di edificio verranno costruite in fabbrica da robot o da uomini, lontano dal cantiere e poi trasportate e montate da uomini o robot. Il lavoro architettonico si concentrerà quindi sullo sviluppo di tecnologie. Il modo di assemblare un edificio è stato sempre un fattore distintivo in architettura. E tale fattore si modificherà. » Horden, 2001 Come afferma Richard Horden, nell’intervista fattagli da Heide Wessely, il numero di componenti di prefabbricazione evoluta usati per la costruzione di un’architettura andrà sempre crescendo. Questo è dovuto al fatto che la tecnologia è in continua espansione ed è in grado, ora più che mai, di istituire una relazione diretta e biunivoca con la progettazione architettonica: quanto viene progettato su carta può essere realizzato grazie a elementi, materiali e brevetti che, coniugati nella maniera più sapiente da aziende specializzate, vengono costruiti e testati in azienda per poi essere portati in cantiere e montati in loco. « I consulenti dell’iniziativa statale Operation Breakthrough sostenevano un sistema chiuso, che in parte comprendeva tecnologie modulari e di pannelli prefabbricati utilizzate anche in Europa, io spostai il mio interesse sullo sviluppo e la coordinazione di subsistemi e di elementi edili che erano adatti ad una produzione industriale o in serie in imprese industrializzate specializzate. » (Schulitz, 2001) Christian Schittich, nella sua intervista ad Helmut Schulitz, fa


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capire chiaramente quanto la prefabbricazione non significhi l’utilizzo esclusivo di elementi modulari già standardizzati, anzi. Per anni si è creduto che ricorrere alla prefabbricazione significasse far uso di prodotti disponibili sul listino di una qualche azienda più o meno specializzata e dover adattare il proprio progetto a quanto imposto dallo stesso prodotto, come ad esempio la struttura di aggancio, rivestimenti finali di facciata, modalità di posa, ecc. ecc. In realtà, come afferma Schulitz nella stessa intervista, l’industrializzazione edile procede a grandi passi, senza che gli architetti se ne accorgano. È quindi possibile oggi creare l’elemento finale che serve alla realizzazione dell’opera o parte di essa partendo da zero, un prodotto costruito ad hoc (Bertolini, Carsana, 2014) per l’esigenza, questo ovviamente sprigiona una serie di fattori determinanti per la progettazione e l’intero sistema edilizio. Rivolgendosi così ad un’azienda per la creazione di uno o più elementi si offre lavoro alla stessa e agli innumerevoli ingegneri che ivi lavorano, infatti le aziende già da anni specializzate in prefabbricazione evoluta si stanno evolvendo ed espandendo e, parallelamente, ne nascono di nuove. Essendoci una concorrenza sempre più alta e nascendo sempre più macchine per la realizzazione di prodotti tecnologicamente avanzati, i costi di produzione di elementi pensati e realizzati ad hoc è in forte calo. Un’altra positività di quella che possiamo chiamare a-standardizzazione è che questa non genera, come invece si potrebbe pensare, incomprensioni durante la fase della posa in opera: infatti l’elemento tecnico viene realizzato da aziende che creano dei prototipi testati con diversi controlli, quindi di fatto il prodotto arriva in cantiere solo dopo uno studio accurato, corredato dalle tavole tecniche necessarie per il suo montaggio. Quest’ultima


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fase del processo edilizio, in particolare, rappresenta un altro forte punto a favore di questa tesi: gli elementi vengono montati in tempi brevissimi rispetto alla costruzione in loco. D’altronde come affermò già nel 1982 Renzo Piano: il prototipo è ordinato nella costituzione pezzo per pezzo all’interno del laboratorio, montato, smontato, per capirne i comportamenti, le compatibilità, le tecniche e il funzionamento nell’insieme del progetto. Oggi quasi l’intera totalità degli architetti fa uso di questi elementi, da Renzo Piano a Frank O. Gehry, e il loro utilizzo è molteplice e variegato: basti pensare che solo quest’ultimo dichiara di utilizzare sistemi di prefabbricazione evoluta ad hoc per agganci movibili, rivestimenti di facciata o interi sistemi di strutture autoportanti. Come indica, e insegna, Gehry a livello architettonico questi elementi possono essere combinati in maniera tale da realizzare un edificio complesso, fuori dagli standard e per niente subordinato all’uso della tecnologia. Ci si trova quindi di fronte a edifici non-standard realizzati con elementi esiti del cosiddetto processo di a-standardizzazione. Insomma, come affermò Arata Isozaki durante la Biennale di Venezia del 2004: non c’è più un’unica strada che conduce al futuro, ognuno si cerca la propria.


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108 Multietnia

« Ci sono Altri che sono ancora più Altri degli Altri, gli estranei. Escludere persone in quanto estranei perché non siamo più capaci di concepire l’esistenza di un Altro è il sintomo di una patologia sociale. » Benko, 1997 Come abbiamo analizzato nel primo capitolo, ci troviamo oggi in una società che oltre ad essere dinamica nel suo modo di evolversi lo è anche nei suoi spostamenti. Le emancipazioni sociali economiche e culturali dell’occidente fungono oggi da attrazione per quelle popolazioni ancora arretrate economicamente o sottomesse a regimi politici privi di democrazia. Questo fenomeno ha portato negli anni ad avere un’intensificazione continua degli spostamenti dall’Africa verso l’Europa andando a creare quel fenomeno di rigetto studiato dal sociologo Sennett per il quale una popolazione già formata ed abituata a conoscersi tende ad allontanare l’estraneo (Sennet, 1970), soprattutto se questo si presenta in massa e non come singolo. Ridurre però il problema delle molteplicità di etnie che possono popolare oggi un ambiente architettonico solo analizzando le popolazioni che si spostano per necessità può risultare insufficiente; le comunità di oggi sono abituate anche ad abitare i luoghi in maniera diversa dal passato spostandosi anche solo per la durata della giornata o della settimana. L’innovazione tecnologica ha portato ad una efficenza maggiore anche nei trasporti, oggi arrivare da Roma a Milano, per esempio, non è più un viaggio da programmare e preparare con anticipo, è diventata quasi una tratta giornaliera, una meta pendolare. Marco Mareggi, nel 2011 parla di City Users riferendosi ad una nuova forma di abitanti del-


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la città prima inesistente. Queste nuove necessità di spostamenti e questa velocità nel farlo hanno oggi portato le comunità ad essere molto più eterogenee rispetto a quello che abbiamo visto nel passato le quali a loro volta hanno un modo di relazionarsi fra loro sempre in evoluzione. Ogni città contiene oggi al suo interno etnie di tipo differente ed ognuna ha il suo modo di arginare le differenze. Spesso le comunità estere vengono ghettizzate in luoghi chiusi quasi recintati dei quali, ad esempio, ne è piena Manhatthan (little Italy, China Town ecc. ecc.); oppure queste diversità si uniscono appiattendo spesso le conformazioni della città stessa. L’architettura è però un fattore importante all’interno di questi cambiamenti in grado di definire la maggior parte delle regole che queste evoluzioni vanno a creare (Boni, Poggi, 2011), essendo la principale fonte di identità di un luogo: « L’architettura infatti, come vedremo, contribuisce alla definizione di appartenenze identitarie fondate su più aspetti della vita quotidiana, all’interno di uno scenario che è - inevitabilmente - quello di una società che si vuole globalizzata. Da più parti si mostra oggi come le identità siano delle produzioni in larga parte discorsive , che dipendono cioè non solo dai discorsi della vita quotidiana, ma anche da modalità linguistiche che sono socialmente condivise e regolate. » (Boni, Poggi, 2011) . Se non controllata infatti, questa eterogeneità delle comunità, rischia di trasformarsi in odio come il secolo appena trascorso ci ha insegnato e di portare quindi al rigetto studiato da Sennet. L’architettura ha oggi ottenuto spesso la funzione di controllo sull’individuo ed è in questo che è chiamata ad affrontare il problema:


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« [...] è possibile leggere alcune architetture come dispositivi di controllo e di disciplina degli individui, in un regime di visibilità che non risparmia praticamente nessuno, considerata la varietà (anche tipologica) e la pervasività di tali strutture. L’aspetto interessante di queste “istituzioni totali” (per dirla con Goffman) o di queste strutture “panoptiche” (per dirla con Faucault), è che riguardano tutte le fasce della popolazione, anche quelle che saremmo indotti a ritenere libere dal regime di controllo delle società contemporanee. » (Boni, Poggi, 2011). In sostanza l’architettura è il mezzo migliore e più incisivo che l’uomo ha per governare questo fenomeno. E’ quindi importante per ogni amministrazione conoscere a fondo il problema nelle sue parti tecniche ed anche sociologiche per poter definire una linea da seguire come risposta a questo fenomeno da portare avanti anche attraverso l’architettura. Attraverso il piano regolatore di una città, ad esempio, un’amministrazione decide percorsi, emargina o inserisce nuovi quartieri, può permettersi di dare valore o meno a zone abitate, per esempio da una particolare comunità; un architetto singolo chiamato a progettare un edificio è chiamato invece a decidere quanto questo debba essere a disposizione della città e quanto invece può essere introspettivo, un singolo progettista può permettersi di creare o meno degli esclusi (Boni, Poggi, 2011). Il modo di trattare lo spazio pubblico ad esempio è una grande opportunità per risolvere scontri che possono crearsi fra diverse etnie all’interno di una popolazione: progettare uno spazio pubblico adeguato ad usi e costumi di una sola comunità, quella ospitante ad esempio, è un tipo di risposta che sicuramente provocherà effetti diversi rispetto alla progettazione di uno spazio ambivalente in grado di soddisfare le esigenze di un utenza di-


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versa e multietnica. Oggi individuare un’utenza specifica diventa sempre più difficile in quanto i singoli individui che abiteranno un luogo sono spesso diversi fra loro e cambieranno sempre, si sposteranno e saranno sostituiti da altri individui ancora più differenti. Un tipo di scelta possibile che l’architettura può portare avanti è anche quella della emancipazione, sicuramente più facile e veloce che rischia però di ripresentarsi in seguito come ad esempio nel caso delle città americane : « [...] gli appelli alla legge e all’ordine si levano più forti quando le comunità sono totalmente isolate dal resto della popolazione urbana [...]. Negli ultimi vent’anni le città americane sono cresciute in modo tale che le aree etniche sono diventate relativamente omogenee; non è un caso che la paura dell’estraneo sia cresciuta anch’essa nella misura in cui queste comunità etniche sono state totalmente isolate. » (Sennett, 1970).


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113 Multiutenza

«Abitare un luogo vuol dire impossessarsene? Che significa impossessarsi di un luogo? A partire da quando un luogo diventa veramente vostro? Quando si sono messe in ammollo tre paia di calzini in un catino di plastica rosa? Quando si fanno riscaldare degli spaghetti su un camping-gas? [...] Quando vi si sono provati i tormenti dell’attesa o l’esaltazioni della passione o i supplizi del mal di denti? Quando si sono appese alle finestre le tende di proprio gusto e tappezzati i muri e levigati i parquet ? » Perec, 1974, cit. in Boni, Poggi, 2011 Già nel secolo scorso la percezione di proprietà di un luogo (Perec, 1974) iniziava ad essere una percezione labile, difficile da definire in quanto l’utenza iniziava a non essere più un concetto fisso, immodificabile e statico. Insomma dal testo di Perec si evince un profondo cambiamento novecentesco rispetto a quell’idea di proprietà continua, soprattutto negli edifici residenziali, per la quale l’utenza era padrona dell’oggetto sin dal primo momento e l’oggetto architettonico era studiato in base a quegli individui specifici che la avrebbero abitata, come nelle residenze di Frank Lloyd Wright o come si evince dallo scritto Parole nel vuoto di Adolf Loos dove si legge « Una casa ve la potete arredare per conto vostro. Perché solo così diventa la vostra casa. » (Loos, 1898). Oggigiorno la situazione è ancora diversa rispetto a quella descritta da Perec nel 1974. Se è vero che prima era difficile definire come e quando un edificio residenziale diventava proprietà di un individuo o di un gruppo, oggi diventa difficile progettare un composto architettonico pensandolo in funzione di un utenza particolare e stabile; oggi i ritmi sono talmente veloci che diventa


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limitato e limitante inserire in un composto architettonico nel momento progettuale caratteristiche pensate in particolare per un gruppo di individui. Le possibilità e le strade che può intraprendere il ciclo di vita di un edificio sono talmente tante che lo rendono un oggetto comune anche nella residenza, la sua espressione da sempre reputata più privata. Le popolazioni sono oggi abituate a spostarsi, a trasferirsi. L’utente è oggi pronto a cambiare il luogo dell’abitare con grande facilità e l’oggetto architettonico deve quindi essere pronto ad accogliere utenze differenti considerandone la possibilità di rotazione; deve essere pronto ad accogliere etnie e culture differenti che si portano con sé abitudini fra le più diverse fra loro. « Il trasloco è letto come una delle prima volte nella formazione giovanile (Desjeux, 2002): considerando la crescita della mobilità studentesca universitaria a livello internazionale, può essere utile notare come questa si traduca in continuo adattamento a modalità culturali di abitare e coabitare con individui di diversa provenienza nazionale ed etnica. » (Boni, Poggi, 2011). I luoghi dove oggi si trova la maggior varietà di utenza sono i luoghi del consumo e tutti i loro spazi accessori. Questi sono luoghi dove l’interazione diventa un obbligo : « Gli incontri, inevitabili in uno spazio affollato, interferiscono con quanto ci è proposto di fare. Devono essere brevi e superficiali; non più lunghi e non più superficiali di quanto si desidera che siano. » (Bauman, 2000). La concezione di questi spazi è però cambiata anche nell’arco di soli dieci anni: quelli che erano e sono considerati non-luoghi, spazi vuoti perché vuoti di significato (Bauman, 2000), acquistano oggi una nuova importanza frutto delle interazioni che riescono ad instaurare al loro interno.


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« Frequentare un centro commerciale ha certamente motivazioni legate al consumo, ma la vita sociale che si sviluppa rivela oggi punti di attrazione connessi pure al loisir e al tempo libero. Le modalità di fruizione di questi spazi, la sociabilità di contesti nati come privati ma via via caricati di un ruolo pubblico (Gazzola, Venturini, 2005), mostrano la tenuta di differenti profili identitari che hanno contribuito a rimettere in discussione la nozione negativa di nonluogo [...] » (Boni, Poggi, 2011) Oggi quindi gli spazi sono abitati sia contemporaneamente che in momenti separati da individui con usi e costumi diversi ed è quindi diventata una sfida quella di progettare un composto architettonico in grado di soddisfare non solo le esigenze dell’utenza committente o che comunque abiterà il luogo nel breve periodo ma anche di quegli individui che successivamente si relazioneranno col progetto. Casi studio come la Temporary Bank progettata dallo studio AML a Norimberga o il blocco di uffici in Fellbach progettato da Dollmann sono esempi nei quali la tecnica costruttiva utilizzata ha permesso un’adattabilità continua al susseguirsi delle necessità portate dalle diverse utenze. Un altro luogo dove la problematica della diversità degli individui che avrebbero popolato lo spazio è stata fortemente sentita ed analizzata è quello dell’ospedale: uno spazio pubblico, di ricambio continuo, dove si può essere costretti a permanere per brevi o lunghi periodi abitandolo nello stesso modo di una residenza, portandone al suo interno i propri usi e le proprie abitudini in uno spazio che è però fortemente diverso ed è chiamato ad accontentare le necessità di più persone. La sfida, soprattutto sull’arredamento, di progettare elementi in grado di soddisfare questa enorme varietà di utenza può essere un trampolino di lancio verso il resto della progettazione possibile.


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« Nella sua accezione più ordinaria l’ospedale è stato per altro l’ambito da cui si sono iniziati a sviluppare gli studi sulle proprietà sociofughe, repulsive, e sociopete, attrattive, di particolari disposizioni degli interni e degli elementi di arredamento, più volte riprese dalla successiva sociologia urbana (Osmond, 1957, trad. it. cit. in Amendola, 1984). Si tratta dello stesso ambito in cui il paziente “morente” di Elias (1982) si trova ad affrontare la delicatezza o il trauma di un momento simile lontano dai contesti tradizionalmente domestici intimi che vi erano deputati in tempi premoderni. » (Boni, Poggi, 2011)


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117 Accelerazione

« Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia. » Marinetti, 1909 Il ventesimo secolo è stato un periodo che ha analizzato profondamente il concetto di accelerazione. Le avanguardie nel loro intento di modifica e di modernizzazione si sono spesso fondate sul crescere, sulla velocità. Il Futurismo per tutte è stato sicuramente uno degli esperimenti che più ha portato avanti queste intenzioni attraverso le sue diverse forme come l’arte, la pittura o la poesia. Dal dipinto La Città che Sale (Boccioni, 1910-1911), ad esempio si possono estrapolare tratti ben precisi della società dell’epoca; analizzando il quadro si capisce la voglia di crescita sovrastante, tutto il retroscena dell’azione è costituito da una città in costruzione che punta sempre più in alto. Dalla scena principale invece trapela la voglia di velocità, di accelerazione: i cavalli in primo piano sono tesi, potenti, non sono fermi; anche il colore nella sua stesura e nelle sue tonalità aiuta a lanciare il messaggio di una società rapida, forte, veloce. Le differenze però con l’epoca attuale sono sostanziali. Le caratteristiche della società che prima riguardavano pochi oggi riguardano tutti. L’accelerazione oggi non è nel creare ma anche nel cambiare: dall’analisi della società dei nostri giorni effettuata nel primo capitolo si evince che ogni necessità arriva, si crea e si modifica in tempi rapidissimi. La società occidentale di oggi non


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è più quella del riparare, ma anzi quella del cambiare. Oggi le produzioni sono a basso prezzo, di bassa qualità, fatte per durare poco ed essere sostituite in breve tempo; gli arredi sono smontabili, di facile trasporto, destinati alle masse. La società odierna è, insomma, abituata cambiare, a sostituire ed ha bisogno di farlo in tempi rapidi. L’idea di un edificio irremovibile inizia ad essere preoccupante per chi non sa cosa chiederà l’utenza nella distanza di pochi anni, prima che l’edificio stesso necessiti di alterazioni. La velocità dell’utenza di cambiare le proprie necessità è quella dei mobili di Ikea o degli orologi prodotti in Cina a basso costo, non si rispecchia nelle tempistiche classiche di alterazione o distruzione di un edificio. E’ da questo che deriva la necessità di tecniche costruttive innovative, forti di uno studio importante su qui possano essere i tempi di gestione di una necessità e di evoluzione dell’utenza, che sia in grado di fare del costruito architettonico un elemento alterabile e modificabile, leggero, che passi sul terreno senza lasciare impronte perenni. La stessa progettazione, oltre alla tecnica costruttiva in sé, diventa parte integrante ed agisce in base alla consapevolezza di non essere mai completa; le strade che un progettista lascia aperte dopo la conclusione dell’opera sono oggi parte integrante del progetto. L’accelerazione è oggi necessaria ed in buona parte già presente nel momento costruttivo di un oggetto architettonico; le tempistiche di costruzione sono oggi uno dei punti fondamentali discussi dalle aziende edili nella contrattualizzazione di un lavoro. In molti estremi l’edificio residenziale assume le caratteristiche di una macchina. Nel caso di Diogene, ad esempio, la residenza è un oggetto di produzione, prodotta al massimo delle possibi-


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lità tecnologiche del momento e da sostituire nel momento in cui la tecnologia raggiunge standard più elevati: un oggetto quasi di consumo, smontabile e trasportabile studiato in ogni dettaglio per rispondere al meglio ad ogni singola necessità del momento. Il problema tecnologico ha infatti un’importante rilevanza anche nel tema dell’accelerazione e della velocità in architettura. La tecnologia, avendo un mercato migliore di quello dell’edilizia dispone di un ottima velocità nell’innovazione: i materiali di isolamento acustico o termico, ad esempio, sono in continuo rinnovo, offrendo la possibilità di avere standard energetici sempre più alti. Diventa quindi necessario oggi garantire la velocità di adattabilità delle strutture anche da un punto di vista tecnologico in modo da sfruttare a pieno le innovazioni presenti nel campo in questione senza dover stravolgere la struttura. In definitiva, l’accelerazione delle tempistiche richieste, la velocità della società odierna nello spostarsi e nell’evolversi, il continuo innovamento tecnologico e diversi altri fattori riguardanti i caratteri dell’utenza che si prepone di abitare un luogo obbliga l’architettura ad aprirsi ad un metodo progettuale e costruttivo innovativo, in grado di soddisfare esigenze diverse da quelle del secolo passato. I casi di studio discussi nel capitolo terzo, sono frutto di uno studio che analizza questi punti, anche in epoche passate: il concetto di accelerazione, infatti, tende a potersi estraniare dal momento preciso di progettazione in quanto questo paradigma tende ad essere un punto di inizio che permette un’evoluzione temporale in contesti successivi.


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121 Preparazione

« Le domande su cui occorre indagare più da vicino riguardano cosa “vogliamo”, “desideriamo” e “agognamo”, e come - nel corso (e in conseguenza) del passaggio al consumismo - la sostanza del nostro volere, desiderare e agognare si modifichi. » Bauman, 2007 Oltre ad essere più variegata, meno stabile o più influenzabile; l’utenza che fruisce degli spazi che vengono progettati oggigiorno è un utenza differente anche in se stessa. Si tratta oggi, infatti, di un’utenza più preparata, più organizzata e più informata. Col crescere della scolarizzazione e della libertà di accesso all’istruzione, col velocizzarsi dei mass media e delle comunicazioni, l’utente di oggi è diventato un utente critico, in grado, o quantomeno cosciente, di poter giudicare lo spazio dove si trova, soprattutto se si tratta della residenza, e sicuramente in grado di informarsi, soprattutto grazie ad internet, riguardo a migliorie o modifiche adottabili. Oggi giorno, data la sua preparazione, il livello di qualità richiesto dall’utente medio è quindi più alto. Tutto il novecento è stato un secolo incentrato sulla macchina inteso come quell’oggetto in grado di rispondere ad un comando per facilitare un’azione umana, un oggetto quindi in stretto contatto con l’uomo. Già all’inizio del novecento Le Corbusier aveva capito che anche l’oggetto dell’abitare, la residenza, sarebbe dovuta diventare a breve una macchina per abitare (Le Corbusier, 1923) un qualcosa che risponde all’uomo, studiata per le sue esigenze.


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«Una grande epoca è cominciata. Esiste uno spirito nuovo. L’industria, irrompente come un fiume che scorre verso il proprio destino, ci porta gli strumenti nuovi adatti a quest’epoca animata da un nuovo spirito (…). L’architettura ha come primo compito, in un’epoca di rinnovamento, quello di operare la revisione dei valori, la revisione degli elementi costitutivi della casa. » ( Le Corbusier, 1923). Da questo scritto, si intuisce anche il senso di rinnovamento e di potenza che il secolo passato esprimeva, una forza forse andata esaurendosi ma dalla quale se ne possono estrapolare alcuni concetti utili come quello di affidare la revisione degli elementi costituitivi della casa all’utente stesso. L’abitazione, secondo Le Corbusier, ma anche secondo Adolf Loos che un ventennio prima scrive « Sulla vostra casa avete sempre ragione voi. Nessun Altro. » (Loos, 1898), è quindi l’abitazione dove l’utente non è soltato colui che utilizza l’oggetto architettonico, ma anche colui che lo fa suo inserendoci giorno per giorno parte delle risposte ai suoi bisogni. In definitiva, già dall’inizio del secolo scorso, l’utente non è una persona terza esterna al momento progettuale ma parte integrante di questo ed alla quale la residenza deve poter rispondere in modo adeguato. In cento anni di storia però si è aggiunto anche il fatto che l’utenza media che abita le architetture odierne è anche diversa da quella a cui si riferivano Le Corbusier o Adolf Loos; oggi l’utente medio ha una velocità maggiore ed una preparazione maggiore anche nell’usare l’oggetto abitativo. E’ quindi pronto all’utilizzo di una residenza concepita davvero come una macchina come nel caso di Diogene, progetto dell’architetto Renzo Piano oggi esposto al museo Vitra concepito sia da un punto di vista spaziale che elettronico per rispondere a delle richieste specifiche dell’utente.


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Le residenze odierne sono infatti invase dal fenomeno della domotica il cui significato è ben ripreso dall’architetto designer Pierluigi Molinari in un intervista del 2002 : « Il problema grosso della domotica è la comunicazione del servizio che ne è anche l’identificazione. La domotica non si esaurisce nel poter accendere la luce a distanza col telefonino. Ciò che ci interessa è una casa sicura, una casa che dà un certo tipo di servizi a certe categorie di utenti. Le persone anziane piuttosto che gli handicappati sono fortemente interessati a queste “utilities”, se col telefonino possono aprire e chiudere le finestre o accendere la cucina a gas, allora vuol dire che questa tecnologia è utile e quindi tanto più valida anche per un utente “sano”. » (Molinari, 2002) Insomma, la direzione tracciata sembra quella di un ambiente responsivo, frutto di una accurata progettazione eseguita non soltanto in base a caratteristiche statiche ma anche a possibili richieste dell’utente nel corso della fruizione dell’ambiente. Una nuova sfida dell’architettura è quindi quella di confrontarsi con un’utenza differente, abituata ad avere un oggetto che risponda a dei comandi anche nel momento intimo dell’abitare la propria residenza; possiamo quindi allargare il tutto con facilità agli spazi pubblici dove l’utente tende sempre più a considerarsi quello che agisce a livello mentale per risolvere ogni qualsiasi problema riguardante lo spazio che lo circonda in attesa che l’oggetto risponda al suo comando svolgendo il lavoro necessario deciso a priori.


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« Il problema del costo di costruzione degli edifici è annoso. Come si può pensare di ridurre il costo di un oggetto, l’edificio, il cui valore dipende per il 50% dalla manodopera e per il 50% dai materiali? E come pensare di ridurre il costo di un oggetto costruito per durare decine di anni, che ha elementi di involucro che pesano 200 –300 Kg al m2 e nel quale devono essere realizzati gli impianti e le finiture? » Rogora, 2009 Il pensiero di poter abbattere o comunque diminuire i costi delle costruzioni è più che difficile e sono state percorse diverse strade negli ultimi anni: migliore organizzazione di cantiere, logistica, pianificazione dei lavori e autocostruzione. Quest’ultima può interessare solo le strutture destinate ad ospitare chi ha meno possibilità economiche e, quasi nell’intera totalità dei casi, si trova privo di un lavoro, in modo tale che si possa dedicare appieno alla costruzione della propria abitazione, il tutto grazie ad un progetto architettonico che tenga conto della realizzazione da parte di maestranze inesperte. Le altre appaiono invece come possibili e percorribili in qualunque situazione si voglia operare. In particolar modo la costruzione di un edificio che comincia con un cantiere ottimamente organizzato costa dal 5% al 20% meno: vengono infatti diminuiti drasticamente i cosiddetti errori da cantiere, che un tempo le aziende di costruzione cominciavano a mettere in conto dal preventivo. E ora più che mai, visto il contingente periodo storico, nessuno vuole pagare per l’errore di altri. Il progetto viene pensato anche a livello logistico, quindi la repe-


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ribilità dei materiali, se annosa e particolarmente costosa, viene cambiata in favore di aziende limitrofi al cantiere in questione. Oggi gli edifici, nella prospettiva del contenimento del costo complessivo, considerano come fattori determinanti, oltre ai costi di costruzione, anche quelli di gestione, di manutenzione e di consumo energetico. Questi compiti che il progetto di architettura è ora chiamato ad affrontare ed assolvere, vanno dalla comprensione profonda dei caratteri ambientali, dei fattori climatici e degli equilibri dei luoghi oggetto di modificazione, alla riflessione critica sulla trasformazione dell’operazione di costruzione in termini qualitativi e quantitativi. Tutto questo non è da intendersi come sostitutivo di quanto finora ritenuto necessario per l’elaborazione e stesura di un progetto, ma come necessità della contingente società e quindi da integrare nelle fasi del processo progettuale perché ne diventino parte attiva. « La situazione dell’architettura italiana appare non in linea con quanto sta avvenendo nel resto d’Europa; la qualità del costruito del nostro Paese è mediamente bassa, indipendentemente dai costi, in quanto non è ancora maturata una cultura politica, imprenditoriale e progettuale che, a prescindere dalla scala e dalla dimensione dell’intervento, sappia affrontare il processo costruttivo nel rispetto di tre parametri fondamentali, tra loro interagenti: tempi, costi e qualità. » (Massimo Perriccioli, Low-cost(ruction), Detail Online, 16-09-2009). Come spiega il progettista e docente di Sistemi Costruttivi, presso la Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno, l’Italia su questi


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temi si trova arretrata. Infatti in molti paesi europei l’obiettivo della cosiddetta economia di costruzione è oggi posto alla base di molte sperimentazioni progettuali condotte da giovani architetti, (fra cui MVRDV, Lacaton & Vassal, Ábalos & Herreros, Rolf Disch, solo per citarne alcuni) che puntano fortemente sull’impiego originale di materiali poor and cheap (Perriccioli, 2009) di provenienza industriale, sulla definizione di nuove modalità di utilizzo e di assemblaggio di prodotti e sistemi tecnologici reperiti dai cataloghi di prodotti edilizi, o personalizzati, e sulla messa a punto di dispositivi in grado di ridurre i consumi energetici e di ottimizzare lo sfruttamento delle forme di energia rinnovabile. L’impiego di elementi prefabbricati costruiti off-site e montati a secco direttamente in cantiere, ovvero on-site, è una possibile e pragmatica risposta ai costi di costruzione. In questo modo infatti si scavalca l’alto costo della manodopera, l’incertezza dei tempi di realizzazione dell’opera e vengono azzerati totalmente gli errori di cantiere. Per costruire un edificio prefabbricato bastano pochi operai specializzati ed una semplice gru, il tutto montato alla perfezione in quanto l’intera totalità dei prodotti che giungono in cantiere, che siano prodotti in serie o personalizzati secondo le esigenze specifiche, sono esito di una progettazione integrata, fra architetto progettista e aziende specializzate, che mira a portare sul sito prodotti con già un percorso di montaggio chiaro ed esemplificato. È necessario specificare che tutti i prodotti prefabbricati offrono oggi prestazioni ambientali elevate. Dopo le esperienze fallimentari a livello pragmatico degli anni ’70, la prefabbricazione si presenta oggigiorno con un volto totalmente rinnovato: il modello universalmente riconosciuto di


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“casa” ha lasciato spazio all’introduzione di prodotti prefabbricati di costo contenuto, concepiti per qualunque tipo di utente finale. Il mercato delle abitazioni unifamiliari prefabbricate sta registrando anche in Italia una crescita sensibile, grazie anche alla diffusione di sistemi di prefabbricazione in legno che garantiscono una spesa pari ad un terzo dei prezzi di mercato, ovvero circa 1000 euro per metro quadrato (Presutti, Evangelista, 2014). Inoltre, per garantire il rispetto dei tempi di consegna ed un buon rapporto tra costi e qualità, molte aziende italiane operanti in questo settore offrono oggi una molteplicità di servizi: dalla ricerca del terreno alla progettazione, dalla presentazione dei preliminari fino all’ottenimento di tutti i permessi necessari alla realizzazione. In questo modo viene garantita la consegna di una casa di qualità addirittura in poche settimane. Questo mercato sta andando espandendosi anche, e soprattutto, grazie al fatto che è più facile, oggigiorno, ottenere mutui o finanziamenti da banche per l’acquisto di immobili di questa tipologia, le quali riconoscono in questi le doti innovative dal punto di vista della sicurezza, del comfort abitativo, dell’efficienza energetica e della sostenibilità ambientale. Inoltre, nella prefabbricazione a secco, i materiali vengono assemblati senza alcun uso di colle o malte, il che significa un cantiere più pulito e notevolmente più economico anche nel caso di dismissione dell’edificio, dove i materiali possono addirittura essere reimpiegati in altre strutture. Se fino a poco tempo fa l’idea di casa prefabbricata fosse forte-


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mente legata ad un pensiero di emergenza e precario, oggi significa qualitĂ ad un ottimo prezzo (Rogora, 2009).


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« La ricerca della qualità ambientale è un’attitudine ancestrale a stabilire un equilibrio armonico tra l’uomo e la natura che lo circonda. Praticata per necessità per molti secoli, in particolare nell’architettura locale e vernacolare, è caduta in disuso dopo la rivoluzione industriale, un’epoca in cui l’uomo ha creduto nella propria onnipotenza e ha attinto senza misura alle risorse del pianeta. » Gauzin-Müller, 2001 Come è stato spiegato nel capitolo dedicato all’energia, l’uomo, con la rivoluzione industriale ha sfruttato la totalità delle risorse dell’ambiente senza tregua, non ponendosi il problema che in un futuro, nemmeno tanto prossimo, possano finire. Con l’avvento dell’era della comunicazione globale, oltre che con la crescente consapevolezza dei rischi ambientali che incombono sul nostro pianeta, l’architettura ha cercato e sta cercando con soluzioni energetiche innovative e un approccio sostenibile alla progettazione e nella realizzazione, di ridimensionare il problema, perché la completa risoluzione risulta oggigiorno un’utopia, soprattutto per le generazioni future. La tecnologia ha permesso di costruire edifici sempre meno impattanti a livello ambientale, sostenibili anche nel lungo periodo, e che garantiscono buone condizioni di vita e lavoro ai suoi abitanti. Laura Pedrotti, architetto e dottore di ricerca in Ingegneria Ergotecnica Edile, spiega nel suo libro La flessibilità tecnologica dei sistemi di facciata come, grazie alla prefabbricazione sia possibile


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realizzare edifici sempre più efficienti dal punto di vista energetico e della sostenibilità ambientale. Progettare con aziende specializzate in prefabbricazione evoluta oggi significa avere una flessibilità dimensionale e morfologica, grazie alla quale è possibile realizzare l’edificio senza essere legati a prodotti standard. Inoltre, a livello prestazionale, i componenti industrializzati prefabbricati sono posti a innumerevoli prove, atte a testare anche la durabilità nel tempo degli stessi, con simulatori di temperatura e variazione del calore specifico. Questi componenti prodotti off-site giungono quindi in cantiere, che avrà tempi nettamente inferiori, già con l’estrema consapevolezza delle loro performance per il sito specifico in cui andranno collocati. Progettare con elementi di prefabbricazione evoluta significa quindi garantire sempre una qualità ambientale, grazie ai loro comportamenti dinamici, e produrre edifici che hanno impatti minimi a livello energetico, durante tutto il ciclo di vita degli stessi. A livello energetico è recente, del 2010, il brevetto di nuovi pannelli a taglio termico dell’azienda italiana MC Prefabbricati, composti da una crosta esterna appesa ad uno strato interno portante e con interposto uno strato di polistirene passante. Questi pannelli vengono prodotti su misura, sono utilizzabili per la costruzione di nuovi edifici, di qualunque tipologia, ma anche applicabili a strutture già esistenti per migliorarne l’attuale livello energetico. Infatti il sistema di produzione di questi pannelli permette la libera dilatazione della crosta esterna soggetta alla variazione di temperatura dell’ambiente esterno in cui si trova e lo scorrimento viene garantito tramite inserti posizionati all’interno


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del pannello in grado di sopportare sia i carichi ciclici dovuti alle dilatazioni termiche sia i carichi orizzontali derivanti dalle azioni di vento. Hanno poi valori di trasmittanza termica che li pongono ai vertici della categoria: l’azienda effettua il calcolo pannello per pannello, garantendo così un’elevata efficacia prestazionale. MC Prefabbricati lancia anche un’utopia, ovvero la possibilità di avere delle periferie sempre efficienti e sempre appetibili dall’utenza. Analizza infatti il contingente periodo che stanno attraversando le periferie urbane italiane, dove edifici, anche solo di una decina di anni addietro, non vengono più venduti perché ormai già arretrati a livello prestazionale. Il progressivo miglioramento delle tecniche di costruzione e la migliorata preparazione dell’utente spinge colui che vuole andare a vivere in periferia a scegliere un edificio sempre più giovane, anche se ancora più lontano dalla città, perché è proprio questo che cerca chi decide di migrare dalla città: minori costi. Si vengono dunque a formare quartieri per lo più disabitati. Se gli edifici, invece, venissero progettati con elementi in prefabbricazione evoluta, sarebbe possibile, ad esempio, il cambiamento della facciata di rivestimento con pannelli più evoluti e con valori di trasmittanza termica migliori, dove i precedenti verrebbero smontati per riusarne delle parti o riciclarli nell’intera totalità. In questo modo si avrebbero quindi delle periferie sempre efficienti, caratterizzate da un minore consumo di suolo, e sempre appetibili dal mercato di interesse. Risale invece al 2008 il progetto di un edificio che va oltre la cosiddetta Casa Passiva: la Zero House di Specht Harpman. Questa abitazione è progettata e viene realizzata interamente con componenti prefabbricati ed è in grado di garantire autosufficienza, velocità di montaggio e flessibilità.


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L’aspetto dell’autosufficienza a 360 gradi è sicuramente uno dei più interessanti e viene garantito a livello energetico da pannelli solari presenti sulle ali del tetto collegati ad un sistema di auto-ibernazione che rende possibile la conservazione dell’energia necessaria anche durante lunghi periodi di assenza di chi la vive, parallelamente, ad una riduzione al minimo dei consumi grazie a un sistema automatizzato di controllo del clima e pannelli prefabbricati che garantiscono una sempre efficienza di isolamento delle pareti e della copertura. È estremamente flessibile in quanto può essere personalizzata secondo le dirette esigenze dell’utente finale, fatto che comporterà, di conseguenza, la variazione dei prodotti prefabbricati, in modo che possa essere collocata ovunque. La Zero House può essere trasportata on-site facilmente, viene montata in un solo giorno, e comporta un minimo impatto ambientale grazie all’utilizzo di fondazioni elicoidali che poggiano sul terreno solo in quattro punti, non richiedendo alcun lavoro di scavo e consentendo di essere montata in qualunque contesto, anche di emergenza, fino a 10 metri di profondità nel mare. È con il potere della tecnica che riusciremo a risolvere, o quantomeno affrontare nel migliore dei modi, gli odierni problemi ambientali, purché siano abbinati ad un cosciente intelletto, come afferma Pippo Ciorra, Senior Curator MAXXI Architettura, all’inaugurazione della mostra intitolata Energy nel 2012: « Il potere salvifico della tecnica, dunque, risiede solo nella nostra capacità di ascolto, di riflessione e di testimonianza. Vivere la tecnica moderna come una minaccia significa non credere nella capacità umana di ascoltare e discutere. Umanità che naturalmente costituisce di per sé una varietà di punti di vista, che deve impegnarsi reciprocamente alla comprensione della tecnica e al suo uso ».


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« Con materiali compositi si indicano dei materiali, non naturali, che rispondono a tre requisiti: consistono di due o più materiali fisicamente distinti; questi sono dispersi l’uno nell’altro in modo controllato; il materiale risultante presenta una combinazione di proprietà che non si può ottenere con i singoli materiali. » Bertolini,Carsana, 2014 Dalla stessa definizione è possibile capire la difficoltà di avere un database sempre aggiornato sui materiali utilizzabili in edilizia. Il numero di questi cresce costantemente grazie all’avanzamento della tecnica e alla necessità di rispondere in maniera sempre più efficace alle questioni ambientali e, di conseguenza, alle norme vigenti. Inoltre l’impiego di fibre per rinforzare i materiali da costruzione, continuano Bertolini e Carsana, ha origini nel passato: già i popoli antichi sapevano che si poteva aumentare la resistenza dei materiali fragili attraverso l’introduzione di fibre naturali di vario tipo, ad esempio aggiungendo paglia all’impasto d’argilla dei mattoni. Nascono quindi anche combinazioni di materiali, naturali e non, che danno vita a nuovi prodotti per l’edilizia. Di particolare rilievo nel panorama della prefabbricazione è il pannello portante in XLAM, nato a fine anni ’90 in Germania, che, dopo un avvio piuttosto lento in Europa è diventato negli ultimi dieci anni la vera novità dell’intero settore dell’edilizia (Presutti, Evangelista, 2014). « Con il termine XLAM si intende un pannello di legno (gene-


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ralmente di conifera) realizzato accoppiando strati di tavole incrociati fra di loro. La sigla XLAM sta per l’appunto a indicare un incrocio (la “X”) di lamelle (“LAM”) di legno. […] Le singole lamelle vengono giuntate a pettine, piallate e posate sciolte l’una accanto all’altra e gli strati così ottenuti vengono incollati a tutta superficie con orientamento perpendicolari. » (Presutti, Evangelista, 2014) Il pannello è in grado quindi di risolvere importanti esigenze di partenza per qualunque tipo di progetto come resistenza meccanica, sicurezza in caso di incendio, sostenibilità, facilità di esecuzione e contenimento energetico. La sequenza esecutiva atta a realizzare un edificio in XLAM è, indipendentemente dal livello di prefabbricazione scelto dal progettista, simile a quella di una struttura a pannelli portanti prefabbricati in calcestruzzo. La potenzialità rispetto a questi ultimi è che, a parità di volume e superficie, la manodopera e i macchinari di cantiere richiesti sono nettamente inferiori: tutte le pannellature e pareti risultano nettamente più leggere, quindi più facilmente trasportabili e gestibili sul sito d’interesse. Un altro notevole abbattimento avviene sulle tempistiche di stoccaggio: se, ad esempio, un bancale di forati di laterizio ha tempi differenti tra la posa e il rinnovo del carico, in questa tipologia di struttura lignee lo stoccaggio di un autotreno di materiale per il solaio dura al massimo tre ore e il tutto è programmato nei minimi dettagli, grazie all’eliminazione quasi totale degli errori di cantiere. Ne consegue quindi la diretta eliminazione di aree di stoccaggio: gli elementi in XLAM vengono dislocati direttamente in prossimità della zona di montaggio specifica. Circa il legno in generale è nota la sua durabilità, come è stato testimoniato anche da un recente intervento di demolizione e ri-


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costruzione di una residenza unifamiliare a Fiumicino (Roma) da parte dell’architetto Aquilina Santini. Una costruzione risalente agli anni sessanta, in abete massiccio di scarso valore qualitativo, che non ha mai subito opere di manutenzione straordinaria, questa la descrizione della progettista, che non si aspettava di trovare in essa una forte peculiarità: l’intera totalità del legname utilizzato per la sua edificazione è stato trovato integro e in perfette condizioni di stabilità. È importante, come in questo caso, infatti, la protezione del legno al contatto con l’umidità, una volta assicuratisi di questo, il materiale può durare a lungo. In particolare il materiale ligneo è stato riusato interamente per la costruzione di un ricovero agricolo per ovini a Tivoli (Roma). Uno degli aspetti che più spaventa della progettazione con il legno, dopo che ne è stata comprovata la efficacia su terreni sismici e la durabilità (come anche la storia dell’architettura ci insegna), è l’esposizione a incendi. In realtà gli edifici in legno garantiscono maggiori tenute dopo un incendio ed è anche più facile il suo recupero o smaltimento rispetto a strutture realizzate con altre tecniche. Conoscendo la combustione del legno, indicativamente 0,7 mm/minuto (Bertolini, Carsana, 2014), è possibile conoscere la sua reazione in accadimenti di questo tipo e arrivare a calcolare con precisione il grado di resistenza al fuoco per ottenere lunghi tempi di sgombero. Non deve quindi stupire che esso venga utilizzato per la copertura di teatri, grandi centri sportivi e commerciali, proprio laddove l’affollamento è alto e l’arredo non sempre idoneo a contenere le fiamme. A giocare un ruolo egemone resta comunque il costo, soprattutto nel contingente periodo economico, il quale viene abbatutto dal 50% al 70% rispetto a interventi di edilizia tradizionale, e che potrebbe essere motivo di riavvicinamento tra tutti coloro che


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compongono il nucleo famigliare, come spiega Sandy McLendon nel suo “Prefab elements”: « Mom and Dad can end up working sixty or more hours apiece, leaving no time for child rearing. To take up the slack, children are often scheduled for every after-school activity their community offers. As an unfortunate result, what should be a family can become merely a collection of people housed under one roof who meet only when their schedules permit; the effort of paying for the house controls every family dynamic found in it, and not for the better. »


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società (a)prefabbricata CONCLUSIONI Riflessioni, obiettivi e traguardi

Lo studio intrapreso ha visto la definizione di alcuni concetti chiave che sono in grado di assolvere le necessità attualmente avanzate dall’utenza. Dopo l’analisi del primo capitolo, in cui la ricerca si è concentrata inizialmente su quelli che sono i punti cardine della cultura dei nostri giorni, si è poi arrivati allo studio dei fattori esterni all’utenza, che hanno caratterizzato il contesto architettonico degli ultimi anni. È stato poi possibile passare ad una ricerca basata su organismi architettonici in grado di assolvere alle necessità riscontrate. Analizzando questi progetti è emerso che, per poter sostenere i ritmi della società precedentemente descritta, oggigiorno la risposta è non solo nel progetto in sé, ma soprattutto nelle tecniche costruttive utilizzate. Questi progetti, infatti, sono frutto dell’utilizzo di elementi costruttivi prefabbricati; ideati e concepiti apposta per l’edificio in questione, prodotti in aziende specializzate, per poi essere assemblati in cantiere. Emerge quindi una vera e propria forma mentis, già all’inizio della fase progettuale, che da importanza agli elementi in prefabbricazione evoluta, consapevole anche di altre potenzialità prettamente tecniche: efficienza massima rispetto agli standard ambientali ed energetici, velocità di posa in opera, cantieri più organizzati, meno impattanti e meno costosi (dove i cosiddetti errori di cantiere vengono annullati), ciclo di vita dell’edificio prevedibile e meno oneroso, in qualunque fase presa in analisi. Attraverso l’utilizzo di diversi metodi costruttivi, si è quindi dimostrato essere possibile realizzare organismi architettonici


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in grado di assolvere esigenze nuove e differenti. Grazie all’utilizzo di elementi prefabbricati, ad esempio, diventa possibile progettare edifici mutevoli, adattabili all’utenza in continuo cambiamento o, addirittura, altri che quotidianamente possono modificarsi nel loro interno per supportare attività differenti. Il metodo costruttivo prende quindi un’importanza sempre maggiore nel momento progettuale; elementi tecnici differenti possono essere ideati e prodotti da aziende specializzate in quel preciso campo, senza alcun vincolo dimensionale e/o morfologico, aumentando al massimo l’efficienza dell’edificio. Gli obiettivi quindi di questa Tesi di Laurea Triennale sono stati, innanzitutto, arrivare a formulare delle linee guida finali, che rispondano alle necessità elencate nel corso del testo, attraverso l’utilizzo di tecniche costruttive in prefabbricazione evoluta, e quello, forse ambizioso, di aver metabolizzato la stessa forma mentis.


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s.a., (2001), Office Block in Fellbach in Detail n.4 pp. 658/663, Detail, Monaco. IMMAGINI Immagine 1 - Operaio intento a costruire un grattacielo, Charles Clyde Ebbets, New York, 1932. Immagine 2 - Elaborazione grafica tratta da btechclub.ca con successive modifiche, autore e data sconosciute. Immagine 3 - Fotogramma del film Tempi Moderni, raffigurante l’attore e regista dello stesso, Charlie Chaplin, 1936. Immagine 4 - Fotografia di uno dei primi attraversamenti del muro di Berlino dopo la sua apertura, autore sconosciuto, Berlino, 1989. Immagine 5 - Elaborazione grafica tratta da btechclub.ca, autore e data sconosciuti. Immagine 6 - Fotografia di operai intenti a costruire un grattacielo, Charles Clyde Ebbets, New York, 1932. Immagine 7 - Manifesto della esposizione This is tomorrow, autore sconosciuto,1956. Immagine - Esterno del Miyakonojo civic center, Kiyonori Kikutake, 1966.


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Immagine 9 - Disegno di metropoli, tratto da S, M, L, XL : Small, Medium, Large, Extra-Large, Rem Koolhaas, 2006. Immagine 10 - Fotografia scattata durante la costruzione della Tour Eiffel, Gustave Eiffel, Parigi, 1886-1889. Immagine 11 - Esterno di House in Sakurajosui, Toyo Ito, Tokyo, 2001. Immagine 12 - Sistema costruttivo prefabbricato in alluminio di House in Sakurajosui, Toyo Ito, Tokyo, 2001. Immagine 13 - Nodo della travatura prefabbricata ad IPE di House in Sakurajosui, Toyo Ito, Tokyo, 2001. Immagine 14 - Particolare del sistema oscurante prefabbricato in lamelle di legno di Temporary Bank, AML Architects, Norimberga, 2001. Immagine 15 - Esterno di Temporary Bank, AML Architects, Norimberga, 2001. Immagine 16 - Esterno di Temporary Bank, AML Architects, Norimberga, 2001. Immagine 17 - Esterno di Datev - Servicezentrum, Shulitz Architekten, Norimberga, 1992. Immagine 18 - Percorso coperto in elementi prefabbricati flessibili ed oscuranti di Datev - Servicezentrum, Shulitz Architekten, Norimberga, 1992.


Bibliografia - Immagini

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Immagine 19 - Sistema di montanti e traversi di Datev - Servicezentrum, Shulitz Architekten, Norimberga, 1992. Immagine 20 - Esterno di London City Hall, Norman Foster, Londra, 2002. Immagine 21 - Corridoio di London City Hall, Norman Foster, Londra, 2002. Immagine 22 - Sala consiliare dell’amministrazione di London City Hall, Norman Foster, Londra, 2002. Immagine 23 - Esterno di Remodeling Falkestrasse, Coop Himmelb(l)au, Vienna, 1988. Immagine 24 - Struttura interna in elementi prefabbricati di Remodeling Falkestrasse, Coop Himmelb(l)au, Vienna, 1988. Immagine 25 - Struttura interna in elementi prefabbricati di Remodeling Falkestrasse, Coop Himmelb(l)au, Vienna, 1988. Immagine 26 - Esterno di Academie MWD, Carlos Arroyo, Dilbeek, 2012. Immagine 27 - Interno di Academie MWD, Carlos Arroyo, Dilbeek, 2012. Immagine 28 - Rivestimento di facciata di Academie MWD, Carlos Arroyo, Dilbeek, 2012. Immagine 29 - Esterno di Turbolence House, Steven Holl, New Mexico, 2005.


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Immagine 30 - Ingresso centrale di Turbolence House, Steven Holl, New Mexico, 2005. Immagine 31 - Esterno di Turbolence House, Steven Holl, New Mexico, 2005. Immagine 32 - Esterno di Allianz Riviera, Wilmotte & associated, Nizza, 2010. Immagine 33 - Nodo strutturale in elementi prefabbricati di Allianz Riviera, Wilmotte & associated, Nizza, 2010. Immagine 34 - Sistema strutturale di Allianz Riviera, Wilmotte & associated, Nizza, 2010. Immagine 35 - Esterno di Sede Freitag, Spillmann, Echsle, Zurigo, 2006. Immagine 36 - Ingresso di Sede Freitag, Spillmann, Echsle, Zurigo, 2006. Immagine 37 - Esterno di Sede Freitag, Spillmann, Echsle, Zurigo, 2006. Immagine 38 - Esterno di Industriehalle Frerichs glass, Shulitz Architekten, Verden, 2009. Immagine 39 - Esterno di Industriehalle Frerichs glass, Shulitz Architekten, Verden, 2009. Immagine 40 - Corte esterna di Industriehalle Frerichs glass, Shulitz Architekten, Verden, 2009.


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Immagine 41 - Esterno di Prada Transformer, Rem Koolhaas, Seoul, 2009. Immagine 42 - Rotazione tramite gru di Prada Transformer, Rem Koolhaas, Seoul, 2009. Immagine 43 - Vista esterna durante proiezione cinematografica all’interno di Prada Transformer, Rem Koolhaas, Seoul, 2009. Immagine 44 - Interno di Office Block, Dollman + Partner, Felbach, 1998. Immagine 45 – Chiusura verticale opaca di Office Block, Dollman + Partner, Felbach, 1998. Immagine 46 - Chiusura verticale trasparente di Office Block, Dollman + Partner, Felbach, 1998. Immagine 47 - Esterno di House M, Caramel Architekten, Linz, 2007. Immagine 48 - Elementi verticali snelli di House M, Caramel Architekten, Linz, 2007. Immagine 49 - Esterno di House M, Caramel Architekten, Linz, 2007. Immagine 50 - Esterno di Center for Molecular Studies, Frank O. Gehry, Cincinnati, 1999. Immagine 51 - Rivestimento di facciata Center for Molecular Studies, Frank O. Gehry, Cincinnati, 1999.


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Immagine 52 - Esterno Center for Molecular Studies, Frank O. Gehry, Cincinnati, 1999. Immagine 53 - Residenza plurifamiliare all’interno di Solar City, Thomas Herzog, Linz, 2004. Immagine 54 - Residenza plurifamiliare all’interno di Solar City, Thomas Herzog, Linz, 2004. Immagine 55 - Residenza plurifamiliare all’interno di Solar City, Thomas Herzog, Linz, 2004. Immagine 56 - Esterno di Diogene, Renzo Piano, Weil am Rhein, Germania, 2013. Immagine 57 - Esploso assonometrico di Diogene, Renzo Piano, 2013. Immagine 58 - Interno di Diogene, Renzo Piano, Weil am Rhein, Germania, 2013. Immagine 59 - Sezione verticale di Diogene, Renzo Piano, 2013. Immagine 60 - Vista dall’interno verso l’esterno di Diogene, Renzo Piano, Weil am Rhein, Germania, 2013. Immagine 61 - Parque Biblioteca España, Giancarlo Mazzanti, Medellìn, Colombia, 2011. Immagine 62 - Interno di Prada Transformer, Rem Koolhaas, Seoul, 2009.


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Immagine 63 - Pratica religiosa in Piazza del Duomo, Milano, autore sconosciuto, 2013. Immagine 64 - Forme uniche della continuitĂ nello spazio, Umberto Boccioni, Museo del Novecento, Milano, 1913. Immagine 65 - Schizzo di Maison CitrĂśhan, progetto senza luogo definito, non realizzato, 1920. Immagine 66 - Posa in opera di solaio prefabbricato New Floor di Edilcemento, Sondrio, 2013. Immagine 67 - Render esterno Zero House, Specht Harpman, 2008.



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