POLITECNICO DI TORINO FACOLTA’ DI ARCHITETTURA 2 corso di laurea in Architettura per il progetto Tesi di Laurea
BIVACCHI storia, attualità, futuro di unità abitative minime delle Alpi
relatore: Prof. Arch. Roberto Dini
Luglio 2013
candidato: Matteo Ponsetti
INDICE
0. Premessa 1. INTRODUZIONE AL TEMA DEI BIVACCHI 1.1. Introduzione cenni sulla colonizzazione delle terre alte 1.2. La storia dei bivacchi fissi: passo dopo passo, scatola dopo scatola. 1.2.1. Anni ‘20-’30: c’era una volta… 1.2.2. Anni ’40-’50: la nascita di un mito 1.2.3. Anni ’70-’90: il boom economico e la nostalgia
2. IL BIVACCO NEGLI ANNI 2000 2.1. CASI STUDIO: sperimentazione ad alta quota 2.1.1. Bivacco Boarelli 2.1.2. Bivacco Kovoto Seaddle 2.1.3. Bivacco Denis Gerard 2.1.4. Bivacco Legarji 2.1.5. Bivacco Pian Vadà 2.1.6. Bivacco Chentre-Bionaz 2.1.7. Bivacco Jubilaumsgrat 2.1.8. Bivacco Gervasutti 2.1.9. Bivacco Danilo Sartore 2.1.10. Bivacco Ugo Blanchetti 2.2.FAMIGLIE PROGETTUALI 2.2.1. Capanne (B.Luca Vuerich,B.Pian Grand, B.Kobariški Stol) 2.2.2. Chalet (B.Cecchini-Val Loga,B.Coldosè,B.dell’Asta) 2.2.3. Ricostruzioni a l’identique (B.Lampugnani-Grassi,B.Zullo,B.Marmol) 2.2.4. Recuperi di alpeggi (B.Molline,B.Aldo Cravetto,Biv.Serena) 2.2.5. Case in legno (B.Paolo e Nicola,B.Regondi-Gavazzi, Biv. Antoldi-Malvezzi) 2.3.TEMI PROGETTUALI 2.3.1. Trasporto e montaggio 2.3.2. Basamento 2.3.3. Strutture 2.3.4. Rivestimenti interni ed esterni 2.3.5. Organizzazione spaziale 2.3.6. Aperture 2.3.7. Dotazioni tecnologiche
3. ELEMENTI DI DIBATTITO IN ALTA QUOTA 3.1. CONTESTUALIZZAZIONE: quota o distanza? 3.2. PROGETTUALITA’ progettare nel vuoto? 3.3. PAESAGGIO un ago in un pagliaio 3.4. EVOLUZIONE buona la prima! 3.5. UN VALORE ETICO PER IL BIVACCO sostenere la sostenibilità
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0.PREMESSA
PERCHE’
COSA
COME
La voglia di unire piccole strutture, che richiamano spesso a una progettualità più attenta e votata a una migliore ottimizzazione delle risorse e a un’ approccio ambientale costruttivo e fruitivo più rispettoso, alla passione per l’ambiente montano, in questo caso quello particolare dell’ alta quota, mi ha portato a riflettere sui modi in cui è possibile infrastrutturare ambienti così particolari in modo non impattante e consapevole. Questi temi sono racchiusi e sviluppati dai Bivacchi.
I Bivacchi-fissi sono strutture ricettive essenziali. Sono posti in luoghi isolati o difficilmente accessibili, principalmente in corrispondenza di itinerari escursionistici o alpinistici della durata di più giorni. Hanno la funzione di ricovero per la notte e/o avamposto per operazioni di soccorso. Offrono una dotazione minima: una piccola struttura coperta, un piano d’appoggio sul quale preparare un pasto, da 3 a 15 posti letto con materassi e coperte. Non dispongono di servizi igenici e l’approvigionamento idrico è fornito da fonti naturali nelle vicinanze. Non hanno servizio di custodia e sono aperti tutto l’anno, per tutti.
Questa breve ricerca vuole fornire una panoramica di quella che è stata e sarà l’evoluzione di questo tipo di strutture relativamente giovani e poco considerate, dagli albori della loro storia, attraverso le recenti realizzioni e le ricerche attuali che guardano al futuro. L’analisi è trattata attraverso la proposizione di elaborati progettuali, dai primi schizzi dei primi anni del ‘900 fino a quelli dei giorni nostri, utilizzati come fulcro per comprendere non solo la natura architettonica ma anche il loro rapporto con il paesaggio, l’ambiente naturale e l’uomo. L’obbiettivo è quello di tracciare le basi per una ricerca più approfondita e continua e una documentazione dettagliata.
foto: ■□□ Bivacco Ivrea | □■□ Bivacco Ferrario | □□■ Schalijoch Biwak
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1.INTRODUZIONE AL TEMA DEI BIVACCHI
1.1.INTRODUZIONE
cenni sulla colonizzazione delle terre alte
Le prime costruzioni di montagna situate a una quota più elevata rispetto a quella dei centri abitati e per bisogni diversi da quello della residenza, escludendo le costruzioni semi-permanenti dei pastori, hanno origine essenzialmente nel periodo romano, dove i più importanti valichi alpini (piccolo e gran San Bernardo in primis) vennero dotati di ricoveri dove alloggiavano le cosidette “scolte” piccoli gruppi armati che sorvegliavano questi importanti punti strategici commerciali e militari, offrendo una prima forma di supporto per l’attraversamento delle montagne. Distrutti dai barbari, gli avamposti cedono il ruolo di sorveglianti delle valli di valico, nel Medioevo, alle più imponenti e robuste Abbazie costruite dagli ordini monastici (passi
Sempione, Bernina e Gottardo) che offrono per secoli un indispensabile supporto ai viandanti che si avventuravano lungo le impervie vie montane. Con lo sviluppo dei mezzi di trasporto, che rendevano molto più veloce l’attraversamento dei valichi, soprattutto con l’avvento delle prime ferrovie, tutte queste strutture persero la loro funzione di supporto. All’inizio dell’ 800, Napoleone Bonaparte, dal suo esilio tornò a ordinare di costruire rifugi sui valichi alpini con il compito di sorveglianza militare (Rifugi al Col di Noyer, Colle dell’Agnello, Col de Vars solo per citarne alcuni). Tutte queste costruzioni insistevano a quote “medie” , non c’era motivo, di salire alla cosidetta “alta quota” , ed erano strutture pur
sempre indirizzate a un’utilizzo commerciale o militare. L’ evoluzione dell’ Alpinismo, nella seconda metà dell’ 800, crea la necessità di “colonizzare” i luoghi fin’ora inviolati, quelli dell’alta quota, tendenzialmente al di sopra dei 2500 metri sul livello del mare, per la prima volta con finalità esplorativo-sportive. E’ da questo momento che si incomincia a sviluppare una tipologia costruttiva “d’alta quota” che prendendo spunto tanto dalle tipologie prettamente ricettive quanto da quelle tradizionali pastorali e militari, trova nel rifugio alpino la sua maggiore espressione.
foto: ■□□ mappa delle strade di valico da Aosta | □■□ Abbazzia di Novalesa: passo del Moncenisio | □□■ Capanna Regina Margherita (4559m)
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1.2.LA STORIA DEI BIVACCHI FISSI passo dopo passo, scatola dopo scatola.
Sebbene le prime strutture costruite in alta montagna, esclusivamente con fini esplorativi-alpinistici (Rifugio dell’ Alpette al Monviso nel 1886, e Rifugio della Cravatta al Cervino) abbiano avuto tutte le caratteristiche specifiche del bivacco-fisso: assenza di custodia, dimensioni ridotte, costruzione per prefabbricazione, facile divisione e trasportabilità degli elementi, collocazione in posti poco frequentati (l’alpinismo era ancora un’attività riservata a pochi eletti), in realtà la storia dei bivacchi-fissi, nasce del tutto separatamente, e per concreta volontà di creare strutture dalle caratteristiche sopra elencate. Il contesto è quello Torinese, l’occasione è quella di una riunione del CAAI (Club Alpino Accademico Italiano), per natura votato a un’
attività alpinistica di alto livello e lontana dai fenomeni “di massa”, quindi più vicina alla pratica del bivacco, nella quale Lorenzo Borelli, propone in prima persona l’idea di istituire punti di bivacco prestabiliti (o fissi) in cui posizionare l’attrezzatura base per poter superare la notte all’aperto. Per rendere concreta questa prima generale idea, viene istituita una commissione tecnica composta dallo stesso Lorenzo Borelli, l’ideatore, Francesco Ravelli, artigiano e Adolfo Hess, ingegnere, nonchè tutti alpinisti di altissimo livello, i quali propongono di posizionare in questi punti prestabiliti una “cassa stagna” di legno foderata in zinco, nel cui interno poter lasciare il materiale base per trascorrere la notte in quota, soprattutto in caso di cat-
tive condizioni atmosferiche “un sacco-letto impermeabile, due coperte di lana e un copertone impermeabile che doveva servire da tetto in caso di maltempo” . L’ideazione di questi punti attrezzati, che non escludono quindi il fatto di dormire all’aperto, ovvero di bivaccare, spiegano il perché le seguenti strutture coperte vengano tutt’ora erroneamente identificati con l’appellativo di “bivacchi”. Umberto Novarese, in una successiva riunione del direttivo CAAI propone da subito di estendere l’idea del punto attrezzato, poi mai realizzata, in unità abitativa minima, prendendo spunto dalle baracche militari in lamiera già ampiamente utilizzate nel periodo della guerra, le più conosciute sono denomi-
foto: ■□□ Biv. Cravero alle Dames Anglaises, Pietro Ravelli, 1933 | □■□ Biv. Adolfo Hess al col d’Estellette | □□■ Laboratorio Ravelli, corso Ferrucci 70 a Torino
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fonte: Archivio storico del CAI, Biblioteca Nazionale del CAI di Torino
1.2.1.Anni ‘20-’30: c’era una volta...
nate “modello Damioli”, le quali già offrivano le caratteristiche di prefabbricazione, leggerezza e resistenza agli agenti atmosferici ricercate per la costruzione dei bivacchi, erano solitamente costruzioni a semibotte, di varie dimensioni, con struttura in legno e copertura in cartone catramato o in lamiera zincata, interamente smontabili e trasportabili in spalla o su dorso di muli, all’interno si potevano trovare indifferentemente tutte le attività del campo: dalla camerata, alla cucina, all’ “ufficio”, erano quindi strutture molto versatili e con una certa efficacia provata in ambiente di alta montagna, delle quali alcune, finita la guerra, vengono prese in affidamento dal CAI e utilizzate come punto d’appoggio per l’ attività alpinistica.
Parallelamente all’”attività di recupero” il 15 dicembre 1924 un’assemblea del CAAI delibera la progettazione costruzione e collocazione dei primi bivacchi-fissi costruiti ex novo. Delle vere e proprie unità minime essenziali progettate appositamente per il supporto all’attività alpinistica. La progettazione è affidata direttamente ai costruttori, l’Officina metallurgica Fratelli Ravelli di Torino, che fino agli anni ’70 saranno indiscutibilmente il maggiore punto di riferimento per la costruzione di questo tipo di strutture, non solo in Italia ma anche in Spagna e Francia. Il “modello Ravelli” è una piccola struttura a semibotte, alta 1.25m al colmo (non è ancora possibile stare in piedi al suo interno) e di dimensioni 2.25m x 2m, con struttura in legno,
involucro in lamiera di zinco rivestito internamente da perline o tavole di legno rivestite in cartone catramato, possono ospitare una cordata di 3-4 persone e le dotazioni tecnologiche essenziali sono ridotte a un sistema di circolazione naturale dell’aria (due aperture opposte) e di tiraggio per un fornello ad alcool. I primi vengono inaugurati il 27 e 30 Agosto 1925: Bivacco Hess (all’ora Col d’Estellette, 2958m) tutt’ora esistente, e Bivacco al Fréboudze (2500m).
foto: ■□□ Primi esempi: costruzione\schizzo | □■□ Baracca mod. Damioli rivestita in cartone catramato | □□■ Ricostruzione baracca mod. Damioli
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sopra: modello Apollonio, sotto: modello Fondazione Berti - fonte: Archivio storico del CAI, Biblioteca Nazionale del CAI di Torino
1.2.2.Anni ‘40-’50: la nascita di un mito
Un passaggio fondamentale avviene negli anni a cavallo della seconda guerra mondiale, e vede protagonista l’ingegner Giulio Apollonio, che elabora un nuovo modello di bivacco a 9 posti, il nuovo modello, che non apporta sostanziali novità nei materiali e nelle tecniche di costruzione, (struttura prefabbricata in legno e involucro in lamiera zincata), sviluppa invece la volumetria, che viene aumentata e modificata, abbandonando la copertura a botte per una meglio utilizzabile copertura archi-voltata a raggio variabile, e attraverso pareti verticali viene raggiunta un’ altezza interna maggiore: circa 2,30 m (è possibile stare in piedi), le dimensioni, 281,5 x 228 cm2, non aumentano di molto, ma lo spazio interno è molto più flessibile, grazie ai
piani delle brande ribaltabili sulle pareti, che permettono di configurare due diverse soluzioni per il giorno e per la notte offrendo un comfort nettamente superiore. All’incirca nello stesso periodo, a Padova, viene sviluppato dall’ Ing. Giorgio Baroni, un modello analogo per dimensioni e posti letto, che però invece di una copertura archi-voltata utilizza sei piani con diverse inclinazioni, e utilizza due aperture laterali, al posto delle classiche aperture sul lato corto, nel quale lascia però apposite bocchette per la ventilazione. Si creano così due attività realizzative parallele, la prima nelle alpi occidentali con il CAAI, attraverso il progetto dell’ Ing. Apollonio e l’attività artigiana dell’Officina Fratelli Ravelli,
e la seconda, attiva prevalentemente nella zona orientale delle alpi che vede promotore la Fondazione Antonio Berti, che si avvale dei progetti dell’ Ing. Baroni e della maestranza della Falegnameria Barcellan di Padova. Questi due “sodalizi” furono protagonisti della gran parte dell’ attività di realizzazione di bivacchi fino agli anni ’70. Il “modello Apollonio” e il “modello Fondazione Berti- Baroni” sono i modelli più replicati nella storia delle costruzioni di alta quota, per il loro ottimo rapporto tra capacità, facilità di costruzione e economicità, la loro diffusione è stata, ed è ancora talmente ampia che rappresentano tutt’ora lo stereotipo de “il bivacco”.
foto: ■□□ Biv. Pol al Ghiaccio della Tribolazione (Apollonio) | □■□ Biv. Ivrea nel Vallone di Noaschetta (Apollonio) | □□■ Biv. Aldo Moro al Passo Rolle (Baroni-Fond.Berti)15
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fonte: Archivio storico del CAI, Biblioteca Nazionale del CAI di Torino
1.2.3.Anni ‘70-’90: il boom economico e la nostalgia
Gli anni ’70 vedono comparire nell’ambito della progettazione d’alta quota un’ importante serie di soluzioni progettuali innovative, che mettono in discussione i “modelli canonici” per spingersi verso modelli estremamente legati al periodo storico di appartenenza, infatti il benessere portato dal boom economico, in alta montagna come in pianura, permette di aumentare enormemente l’attività costruttiva, e architetti e designer possono sperimentare senza timore le nuove tendenze dettate dall’avanzamento tecnologico delle tecniche costruttive, dei materiali e della forma, prendendo spunto tanto dalla terra quanto dallo spazio, la cui conquista suscita immaginari futuristici composti da unità abitative iper-tecnologiche totalmente estra-
nee all’ambiente circostante. Le realizzazioni più significative sono in ambiente svizzero, come il Bivacco dello Stockhorn (2598 m) del 1974, il Bivacco del Dolent (2667 m) del 1973 e il Bivacco Grassen (2650 m) del 1970, ma anche in Italia come il famoso Bivacco Ferrario (2184 m) del 1978 sulla cima della Grignetta. Un altro interessante esempio, che precorreva di vent’anni le suddette sperimentazioni, e forse anche per questo di non molto successo, è il Refuge Tonneau, del 1938, di Charlotte Perriand e Pierre Jeanneret, oggetto di recenti ricostruzioni dimostrative, che propone un’organizzazione spaziale e un design alternativo. Questi modelli, rimangono però solo utili sperimentazioni, nessuno diventerà un mo-
foto: ■□□ Stockhorn Biwak | □■□ Bivacco Ferrario | □□■ Bivacco Grivola
dello replicato. Negli anni ’80 e ’90 non si hanno sostanziali innovazioni per quanto riguarda la tipologia del bivacco-fisso, si continuano sostanzialmente a utilizzare i modelli più rodati (Apollonio e Fondazione Berti) di cui vengono minimamente ammodernati i materiali, soprattutto gli isolanti. Si cominciano a vedere i primi recuperi di Baite in pietra (Bivacco Arno, a Pila, 1997), e le prime “nostalgiche” costruzioni simil-chalet interamente in legno (Bivacco Regondi Gavazzi, 1995, al Piano di Breuil), adibiti prevalentemente a punti di appoggio per itinerari escursionistici a media quota.
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2.IL BIVACCO NEGLI ANNI 2000
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mappa dei casi studio
2.1.CASI STUDIO
sperimentazione ad alta quota
BL ANCHET TI
H A N WA G
BOARELLI
C HENTRE-BIONA Z
G E R VA S U T T I
KOVOTO SEA D DLE
SAR TORE
P I A N VA D A ’
GERARD
LEGARJI
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2.1.1.BIVACCOBOARELLI
PO SI Z I ON E localitĂ Vallone delle Forciolline, Pontechianale, CN quota 2820 m cammino 3.30 ore
DIMENSIONI superficie 44.5 m2 posti letto 12 organizzazione spaziale 6 locali
PR O GE T TO progettista Giorgio Rossi e Enrico Cornaglia committente ComunitĂ montana Valle Varaita anno (2003)2004 fonti: www.giorgiorossi.net
MATER IA L I basamento Calcestruzzo struttura Acciaio involucro Zinco-tianio, legno, vetro 23
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disegni di Giorgio Rossi e Enrico Cornaglia
Nella filisofia del “date a Cesare quel che è di Cesare” la realizzazione del Bivacco Boarelli restituisce alla Val Varaita, sebbene dopo molto tempo, la paternità di quella “Via al Monviso” percorsa dai primi salitori italiani nel 1863 sulla parete Sud, che per vari motivi fu fino a oggi la fortuna della sola vicina valle Po e del rispettivo Rifugio Quintino Sella che si attestano però ai piedi della meno frequentata parete Est. Intitolato ad Alessandra Boarelli, prima donna a raggiungere la vetta, è posizionato nel vallone delle Forciolline, nel presso degli omonimi laghi, sulla classica via normale del Monte Viso (3841m) con partenza da Castello di Pontechianale passando per l’ Alevè, il bosco di pini Cembri più grande d’Europa in uno degli ambienti più suggestivi
del gruppo. Il progetto si basa su tre obbiettivi: reversibilità, autonomia, non-contaminazione. Il basamento, realizzato attraverso 8 plinti puntuali di pochi centimetri quadrati, solleba il bivacco di 60-80cm dal suolo, ed è riempito da muretti a secco in pietra reperita in loco. La struttura portante è in acciaio, il rivestimento esterno è realizzato con lamiera in lega di zinco-rame-titanio color zinco come le pareti laterali e la parete a monte, mentre la parete a valle presenta grandi vetrate composte da serramenti monoblocco in legno. L’interno è rivestito e arredato completamente in legno. E’ composto complessivamente da 5 locali: il locale soggiorno, con 2 grossi tavoli ribaltabili, sgabelli, e 2 posti letto,
foto: ■□□ vista del vallone e dei laghi delle Forciolline | □■□ vista frontale | □□■ interni:zona soggiorno e zona letto
la zona letto con 10 letti disposti su 2 livelli, il vano WC, il vano batterie per l’impianto fotovoltaico che permette l’illuminazione interna e l’alimentazione della radio d’emergenza, il vano rifiuti e il locale sottotetto, adibito a magazzino. Un impianto a collettori ad aria in facciata e le grandi aperture a Sud con vetrocamera forniscono calore all’interno e la camera di ventilazione tra rivestimento interno ed esterno (chiudibile) permette un corretto allontanamento dell’umidità. E’ dotato di 2 entrate/ uscite opposte, una sul fronte e una sul retro uitlizzabile anche come uscita di emergenza. E’ stato interamente assemblato in loco.
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2.1.2.BIVACCOKOVOTO SADDLE
PO SI Z I ON E localitĂ Kovoto Saddle, Valle Tamar, Slovenia quota 2000 m cammino 2.30 ore
DIMENSIONI superficie 8 m2 posti letto 4-6 organizzazione spaziale Volume unico
PR O GE T TO progettista Miha Kajzelj committente Kranjska and Ratece rescue service anno (2004)2005 fonti: Arch. Miha Kazjzelj
MATER IA L I basamento Acciaio struttura Acciaio involucro Lamiera Galvanizzata 27
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disegni Arch. Miha Kajzelj
Situato nella valle Tamar, su un plateau roccioso dove il ghiacciaio depositò grossi massi e come sfondo il cristallo splendente dello Jalovec (Gialuz, 2645m), la terza montagna della Slovenia, in uno degli scenari più selvaggi delle Alpi Giulie. A causa della particolare irregolarità del terreno, costituito da massi singoli disseminati ovonque, la struttura è poggiata su un piano costituito attraverso l’appoggio di profilati metallici su rocce preesistenti che fungono da travi “volanti” che sorreggono il bivacco. Il posizionamento a ridosso di un grande masso, anche per questioni di protezione, condiziona la forma, che si plasma per aderire al lato strapiombante del masso, venedo a diventare una parte di esso.
L’aspetto del bivacco, con i suoi oblo circolari, vuole affermare che l’alta quota è una parte di spazio che è più in relazione con le navicelle spaziali piuttosto che con le architetture vernacolari del fondovalle, sostiene il progettista, ma l’idea è stata quella di cercare di creare un manufatto che lasciasse intaccato l’ambiente così severo in cui è inserito, e così che si è cercato di creare una sorta di masso che si fondesse con gli altri, una pietra che allo stesso tempo fosse uno spazio in cui vivere. Il sistema costruttivo è semplice, una struttura leggera in acciaio scatolato a telaio, a cui è stato applicato un pacchetto preassemblato che funge da rivestimento esterno e interno e isolamento, i pannelli Trimoterm
foto: ■□□ il rapporto con il masso | □■□ situazione invernale | □□■ interni con i letti trapezoidali
della Trimo, azienda leader nelle soluzioni costruttive innovative. Gli interni spartani ed essenziali offrono un ambiente dove tutto è minimo, anche i posti letto sono trapezoidali e utilizzabili da un solo lato per ottimizzare lo spazio. La struttura è stata elitrasportata completamente assemblata in loco.
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2.1.3.BIVACCODENIS GERARD
PO SI Z I ON E localitĂ Vallone Bardoney, Cogne, AO quota 2775 m cammino 4.30 ore
DIMENSIONI superficie 11 m2 posti letto 9 organizzazione spaziale Volume unico
PR O GE T TO progettista Studio Tecnico Allera committente Gerard Adolfo anno 2007 fonti: Studio Tecnico Allera
MATER IA L I basamento Pietra struttura Acciaio involucro Lamiera/legno 31
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disegni di Studio tecnico Allera scala 1:100
Il posizionamento di un nuovo punto di appoggio per l’ascensione alla Torre di Lavina (3308m) dal versante valdostano, che “dimezzasse” il lungo itinerario di salita che spesso faceva desistere i potenziali fruitori, da tempo richiesto dalla Società Guide Alpine di Cogne, trova accoglimento nel Sig. Gerard Adolfo, che desiderava da tempo realizzare un’opera in ricordo del figlio Denis, prematuramente scomparso in un incidente di montagna. Il luogo scelto è il Vallone di Bardoney su un piccolo ripiano naturale alla base della cresta Nord-Est della Torre, all’interno del parco Nazionale del Gran Paradiso. La costruzione poggia su una massicciata in pietrame reperito in loco. La struttura portante è realizzata interamen-
te con profilati metallici, è rivestita esternamente da un doppio tavolato in legno tra il quale è stato interposto uno strato di 10 cm di isolante termico (polistirene), e internamente da strato perlinato. Il volume con tetto “a capanna” e pareti leggermente strombate che richiama formalmente uno dei modelli più utilizzati nella storia delle costruzioni di alta quota, è rivestito da lamiera zincata su tetto e pareti dei lati maggiori, e con un inedito rivestimento in scandole di legno sui lati corti, che, secondo i progettisti, aiuta l’inserimento nell’ambiente e richiama le tipologie costruttive locali. L’ interno, come l’esterno, ripropone l’organizzazione dei primi bivacchi essenziali, anche se con dimensioni e spazi maggiori, offrendo
foto: ■□□ vista laterale | □■□ arrivando al bivacco | □□■ vista frontale
complessivamente 9 posti letto, un tavolone, centrale, e altri spazi di servizio, mantenendo un’altezza media di 2,77m, tutto in un volume unitario. Le aperture sono limitate a quelle essenziali all’areazione sopra la porta d’entrata e sul retro. La costruzione è sata interamente assemblata in loco.
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2.1.4.BIVACCOLEGARJI
PO SI Z I ON E localitĂ Alpi di Kamnik-Savinja, Slovenia quota 2080 m cammino 3.45 ore
DIMENSIONI superficie 14 m2 posti letto 6-8 organizzazione spaziale 3 livelli in unico volume
PR O GE T TO progettista Miha Kazjzelj committente Mountain Rescue Team Kamnik anno (2008) 2009 fonti: Arch. Miha Kazjzelj
MATER IA L I basamento Calcestruzzo struttura Legno involucro Alluminio verniciato 35
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diseni di Miha Kazjelji
Il bivacco, che sostituisce una vecchia struttura del 1972, è situato su un altopiano erboso dominato dai Monti Skuta (2440m) e Grintovec (2558m) nel gruppo delle Alpi di Kamnic-Savinja a 30 Km da Ljubljana, la capitale della Slovenia. Presenta un basamento in calcestruzzo gettato in opera dalle dimensioni minime (minori della pianta in larghezza) il quale crea il piano di appoggio e ancoraggio della struttura, nonchè un piccolo spazio rialzato d’entrata. La struttura portante è costituita da un telaio in legno, rivestito all’esterno da pannelli di alluminio verniciato, e all’interno, da pannelli di legno traforato. L’esterno della struttura si presenta come un volume verticale sfaccettato dal colore
scuro, ben visibile da distanze elevate sia per l’altezza che per il contrasto cromatico con l’ambiente prevalentemente bianco invernale e il grigio-verde estivo. L’interno risulta un unico volume suddiviso in 3 zone da piani orizzontali, che creano due zone letto (livello 1 e 2) e a livello terra una zona soggiorno, anch’essa trasformabile in zona letto. Le grandi aperture verticali, posizionate a ridosso degli angoli , permettono una visuale completa sul panorama circostante e guadagni solari durante il giorno. L’involucro è pensato per mantenere un comfort interno elevato, grandi aperture e isolamento termico aiutano a sfruttare le fonti di riscaldamento disponibili (sole e calore umano) e i pannelli traforati di legno per-
foto: ■□□ lato entrata | □■□ Retro: Grega Zorz | □□■ Interni: Matevž Paternoster
mettono la traspirazione dell’umidità verso l’esterno. L’intera struttura è stata trasportata in elicottero completamente assemblata.
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2.1.5.BIVACCOPIAN VADA’
PO SI Z I ON E località Pian Vadà, Aurano, Valgrande, VCO quota 1710 m cammino 2.10 ore
DIMENSIONI superficie 103.5 m2 posti letto 14 organizzazione spaziale 2 piani
PR O GE T TO progettista AreArchitettura, Carlo Ghisolfi committente Parco Nazionale della Valgrande anno 2009 fonti: www.europaconcorsi.it | ec2.it/arearchitettura
MATER IA L I basamento Calcestruzzo struttura Legno involucro Lamiera/legno 39
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disegni di AreArchitettura
Nell’ampio programma di valorizzazione storico-ambientale della linea Cadorna, fortificazione Nord della prima italia, vi è la necessità di ricostruire i suoi antichi punti focali, come il rifugio Pian Vadà, costruito dal CAI sezione Verbano nel 1889, completamente distrutto dalle rappresaglie Nazifasciste nell’estate del ‘44 e mai più ricostuito. Le molteplici strutture, recuperate o ricostruite, per la maggior parte incustodite, inserite in un complesso organizzato di itinerari e luoghi di sosta, offrono la possibilità di affrontare agevolmente escursioni di più giorni all’interno del Parco Nazionale della Valgrande. Le scelte progettuali si incentrano sul tema della riduzione della cosidetta energia grigia, non solo durante il funzionamento della
struttura finita, ma anche nella fase realizzativa e di cantiere, attraverso un accurato studio di tempistiche, modalità e tecniche di prefabbricazione. Ne risulta un volume monolitico ligneo dalle linee nette, interroto dai vuoti delle grandi aperture, il quale, secondo i progettisti, ricalca per forma la tipologia rurale del luogo, reinterpretando però la tecnologia costruttiva, e mantenendo come elemento fondante l’ultilizzo di materiali naturali. Il bivacco poggia su fondazioni in calscestruzzo gettate in opera, struttura, serramenti, rivestimento esterno e interno (pannelli OSB) sono realizzati in legno, mentre la copertura a doppia falda di notevole pendenza è rivestita da lamiera grecata grigia. La trama delle
foto: ■□□ vista lato corto | □■□ vista complessiva con scala | □□■ interni: piano primo
facciate varia per dimensioni e giunti tra le assi di legno che compongono il rivestimento in corrispondenza dei due diversi piani. Le grandi aperture, disposte principalmente sul lato a valle, creno vuoti nella continuità dell’involucro e enfatizzano l’orizzontalità del lato maggiore e la verticalità del lato minore. L’interno è molto grande, composto da due piani da 51,75 m2 che suddivono zona soggiorno, al piano terra, e zona letto, al piano primo. Il Bivacco è dotato di riscaldamento con stufa a legna.
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2.1.6.BIVACCOCHENTRE-BIONAZ
PO SI Z I ON E localitĂ Praz de Dieu, Bionaz, AO quota 2530 m cammino 3.30 ore
DIMENSIONI superficie 54 m2 interni + 6.5 m2 coperti esterni posti letto 16 organizzazione spaziale volume unico
PR O GE T TO progettista Arjen Bakermans, Francesco Pascuzzi committente Fond.Bivacco Valpelline, Guide Valpelline anno (2005-2009) 2010 fonti: Arjen Bakermans | www.bivacco-valpelline.nl
MATER IA L I basamento Calcestruzzo struttura Legno involucro Rame/legno 43
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disegni di Arjen Bakermans e Geom. Francesco Pascuzzi
L’ idea di Arjen Bakermans, scultore e ceramista olandese, amante e frequentatore delle montagne della Valle d’Aosta, che la montagna sia un luogo perfetto per creare oggetti che sono già paesaggio, la land-art, viene prontamente accolta dal Comune di Bionaz, nella figura di Armando Chentre, dall’ associazione Guide della Valpelline che da tempo necessitava di un punto d’appoggio nella valle e dall’ associazione olandese bivacco Valpelline creata ad hoc dall’ artista per supportare il progetto, in accordo con la regione Valle d’Aosta e il NKBV, il Club Alpino Olandese. Dopo un lungo iter di “progetto partecipato” che vede contribuire attivatemente i promotori e finanziatori, la comunità locale e
il parroco, la soluzione definitava ricade su di un grosso volume ligneo dalla sommità tondeggiante, posto al di sopra di una prominanenza al centro della valle, sulla via per la becca di Luseney (3504m), che, per forma e naturale colorazione dei materiali, richiama la morfologia dell’ambiente cisrcostante e sembra “uscire dal terreno” in una sorta di continuità con l’intorno. Un grande piano leggermente rialzato in calcestruzzo gettato in opera, raccordato al terreno da una piccola rampa, realizza il basamento di appoggio. La struttura è realizzata da grossi elementi lignei disposti a telaio, le pareti sono completate da pannelli osb e rivestite esternamente da tavole di legno disposte orizzontalmen-
te, mentre la copertura è completata da un tavolato ligneo e rivestita esternamente da liste di lamiera di rame disposte trasversalmente alla pendenza. L’interno è molto spazioso, a livello terra una grande zona soggiorno con 2 tavoli, 12 posti letto disposti su due livelli, e altri 4 letto su un livello superiore nella parte alta. Grandi aperture panoramiche disposte unicamente verso valle e altre aperture minime sui lati. La struttura è corredata da opere artistiche di Arjen Bakermans, calchi di volti che sussurrano “buonanotte” e un oculo decorato in facciata. La struttura è provvista di energia elettrica fornita da un impianto fotovoltaico posizionato in facciata.
foto: ■□□ copertura e parete laterale | □■□ vista frontale | □□■ interno, particolare delle opere artistiche: Arjen Bakermans
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2.1.7.BIVACCOJUBILAUMSGRAT
PO SI Z I ON E località Jubiläumsgrat, Germania quota 2684 m cammino 3.00 ore
DIMENSIONI superficie 13 m2 posti letto 12-16 organizzazione spaziale Volume unico
PR O GE T TO progettista Homann-Zehl Architekten committente Hanwag Outdoor Footwear anno 2010 fonti: www.hanwag.de | www.homannzehl-arch.de
MATER IA L I basamento Calcestruzzo struttura Legno involucro Alluminio/acciaio 47
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disegni di Homann-Zehl Architekten
La volontà di riqualificare il bivacco preesitente, la Grathütterl (oggi conservato nel Museo delle Alpi a Monaco di Baviera), da anni in balia delle intemperie, si trasforma in realizzazione di una nuova struttura quando Hanwag Outdoor Footwear, azienda tedesca leader nel settore delle calzature da montagna, decide di finanziare la costruzione di un bivacco per celebrare i 90 anni di attività (per questo motivo si è gadagnato il simpatico appellativo di “scatola di scarpe più grande del mondo”) Nasce così la collaborazione tra l’azienda e il DAV (Club Alpino Tedesco) sezione di Monaco, che ha coordinato la realizzazione dell’intero progetto, e ne è l’attuale proprietario. La progettazione, in questo caso, non è sta-
ta solo condizionata dalla trasportabilità della struttura con elicottero, ma anche con camion, poichè prima di essere posizionato nel luogo definitivo, il bivacco doveva fungere, all’interno di eventi sportivi dislocati in tutta la Germania, da stumento di promozione dell’immagine e dell’attività di Hanwag. La struttura è posizionata su un crinale denominato Jubiläumsgrat fra le vette dell’ Hochblassen (2706m) e della Zugspitze (2962m) la montagna più alta della Germania. La forma del bivacco, con copertura a arco ribassato che si sviluppa sul lato lungo, è studiata per minimizzare le azioni del vento in posizione di cresta, inoltre ha permesso di
foto: ■□□ crinale Jubilaumsgrat | □■□ vista dalla cresta retrostante | □□■ interni
aumentare da 4-8 posti della vecchia capanna a 12-16 dell’attuale con un piccolo aumento di volume. La costruzione poggia su sei plinti minimi in calcestruzzo, la scocca esterna è in alluminio saldato stagno (realizzata da un fabbro in Austria) tranne la porta a anta unica che è costruita con più robusto acciaio., la struttura a telaio, i tavoli e i piani letto sono in legno, e il rivestimento interno in compensato marino (fenolico). Le aperture sono ridotte a due oblò posizionati sulle pareti maggiori. La struttura è stata interamente costruita a valle e trasportata completa in loco con l’ausilio dell’elicottero.
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2.1.8.BIVACCOGERVASUTTI
PO SI Z I ON E località Ghiacciaio del Fréboudze, Val Ferret, AO quota 2835 m cammino 4.30 ore
DIMENSIONI superficie 30 m2 posti letto 12 organizzazione spaziale 3 locali
PR O GE T TO progettista Luca Gentilcore e Stefano Testa (LEAP) committente CAI Torino e SUCAI Torino anno (2009)2011
MATER IA L I basamento Calcestruzzo struttura Sandwich composito involucro Sandwich composito
fonti: www.bivaccogervasutti.com | www.gandolfigentilcore.com | www.leapfactory.it
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disegni di Gandolfo Gentilcore Architetti
il terzo capitolo della storia del bivacco intitolato a “il fotissimo”, Giusto Gervasutti, grandissimo alpinista friulano degli anni ‘30-’40, lo scrive la Sottosezione Universitaria del CAI di Torino, realizzando questa struttura a sbalzo sui ghiacci del Fréboudze, sotto le pareti est delle Grandes Jorasses (tutte attorno ai 4000m), nel massiccio del Monte Bianco. La cellula è ancorata attraverso tondini di acciaio inseriti nella roccia viva che permettono la stabilità del getto di calcestruzzo sovrastante sul quale sono fissati i sei appoggi della struttura. L’involucro strutturale forma-resistente è realizzato con un sistema di scocca modulare in Sandwich composito (base di vetroresina), nella quale parte superiore sono integrate
cellule fotovoltaiche per l’alimentazione delle apparecchiature (2.5KW di picco). L’interno è composto da 3 ambienti. ingresso, locale soggiorno e camerata. E’ dotato di 2 ingressi con doppia apertura e oblò fissi, altri 9 oblò apribili e una grande chiusura trasparente fissa in PMMA (tipo plexiglas) che inqudra l’immenso paesaggio visibile dalla Val Ferret. La dotazione tecnologica è elevatissima, oltre che al sistema di piastre a induzione per cucinare, il bivacco è dotato di un sensore di CO2 e di un estrattore d’aria automatico con scambiatore di calore per il controllo della salubrità dell’aria interna, e di un computer con connessione a internet che gestisce la parte tecnologica, anche in remoto, e permette la
foto: ■□□ situazione invernale | □■□ zona cucina e computer | □□■ dormitorio
compilazione del “libro di vetta”. Questo bivacco è la prima realizzazione facente parte di un progetto più ampio denominato LEAP Factory (Live Ecological Alpine Pod), che si prefigge l’obbiettivo di ricercare nuove soluzioni per l’ infrastrutturazione della natura a impatto zero, questi studi hanno portato all’ elaborazione di questo sistema a moduli standard assemblabili a seconda delle necessità e replicabile, in questo caso un modulo panoramico, un modulo cucina, un modulo entrata e due moduli letto. Il bivacco è stato assemblato interamente a valle, separato nuovamente nei moduli standard completi e elitrasportabili (il peso di ciascun modulo non supera gli 800-900 Kg) e riassemblato in quota in 1 giorno.
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2.1.9.BIVACCODANILO SARTORE
PO SI Z I ON E localitĂ Loc. Croce Paesana, Acceglio, CN quota 2450 m cammino 2.30 ore
DIMENSIONI superficie 25 m2 posti letto 8 organizzazione spaziale Volume unico
PR O GE T TO progettista Maurizio Sartore (Studio Prograf) committente Teresio Sartore e Giovanna Galizio anno (2010)2011
MATER IA L I basamento Legno (su calcestruzzo preesistente) struttura Legno involucro Lamiera/legno
fonti: www.bivaccodanilosartore.eu | Studio Pirograf | Geom. Maurizio Sartore
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disegni di Geom. Maurizio Sartore
Il ricordo di Danilo Sartore, alpinista, istruttore, atleta dell’ Esercito italiano, scomparso prematuramente in un incidente in montagna, viene tenuto più vivo che mai dalla volontà di tutta la famiglia Sartore, che dal 2009 lavora per la realizzazione e la manutenzione di questo bivacco. Dopo molte possibili ubicazioni si sceglie questo spiazo cementato, a ridosso dei ruderi di una vecchia caserma, sul sentiero per il Colle Sautron (2579m), in alta Val Maira. La conformazione a triangolo si ispira alle primordiali tipologie di ricoveri di fortuna, dalla capanna di frasche alle più recenti tende canadesi, simbolo di libertà per intere generazioni. Il contesto, di grande valenza naturalistica
e paesaggistica, suggerisce l’uso del legno come materiale principale, utilizzato per la quasi totalità degli elementi componenti la costruzione (con la sola esclusione della copertura). Cinque capriate (in legno lamellare di abete) compongono la struttura portante, poggiante al suolo per la sola dimensione di tre longheroni dello stesso materiale. I tamponamenti sono realizzati con un pacchetto composto da tavolato di larice, pannello osb (a scaglie orientate) e isolamento con doppio materassino in fibra di legno, rivestite esternamente da lamiera grecata coibentata verniciata di rosso (per migliorarne la visibilità) sulle falde laterali, e in tavolato di larice sulle testate.
foto: ■□□ situazione invernale | □■□ vista laterale | □□■ interni (www.bivaccodanilosartore.eu)
L’ interno, organizzato in un unico volume versatile, è organizzato con plance ribaltabili fissate alle pareti utilizzabili indifferentemente come piani di appoggio per il materiale/ pasto o come posti letto. E’ dotato di due aperture opposte triangolari sotto il colmo per l’aereazione e l’illuminazione dell’ambiente, e una sulle porta d’ingresso a due ante per matenere il contatto con l’ esterno, un piccolo pannello fotovoltaico posizionato su una falda della copertura fornisce l’elettricità per l’illuminazione notturna. L’arretramento della facciata principale di circa 1,50 m realizza uno spazio coperto esterno. La struttura è stata costruita interamente a valle, smontata, e riassemblata in loco.
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2.1.10.BIVACCOUGO BLANCHETTI
PO SI Z I ON E località Passo dell’Orso, Chateau Beaulard, TO quota 2481m cammino 3.15 ore
DIMENSIONI superficie 10m2 posti letto 8 organizzazione spaziale 2 ambienti
PR O GE T TO progettista Marco Jacod committente Maria Blanchetti, Famiglia Blanchetti anno 2011 fonti: Marco Jacod
MATER IA L I basamento Acciaio struttura Acciaio tubolare involucro Lamiera Rink-Zinc 59
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disegni di Marco Jacod
Situato nel cuore dell’ alta val Susa, tra Oulx e Bardonecchia, al passo dell’Orso, ai piedi della Grand’Hoche (2804m), il bivacco Blanchetti coniuga il legame indissolubile ad una tradizione formale e innovazione tecnica, funzionale e organizzativa realizzando un’ interpretazione della tipologia che descrive perfettamente la contemporaneità dell’immaginario collettivo. infatti, come spiega il progettista: “Il progetto riprende la tipologia dei bivacchi leggeri di alta quota, cercando in una moderna interpretazione, di mantenere gli aspetti tradizionali e storici più rilevanti, così da indurre gli escursionisti occasionali, esperti o no, ad una riflessione, anche minima, sullo sviluppo di queste tipologie di costruzione.” Un accurato studio degli spazi ha
permesso di ottenere una capacità quasi doppia rispetto ai classici “bivacchi a botte” (12 posti) pur risultando di dimensioni ridotte, le quali hanno consentito di ridurre le operazioni di trasporto e installazione nonchè il suo impatto ambientale, mentre l’utilizzo di materiali non particolarmente tecnologici ne contiene la manutenzione. La costruzione poggia su tre travi di acciaio zincato, che, rialzandolo dal suolo, permettono di realizzare una camera d’aria stabile con funzioni di vespaio. La struttura è composta da tubolari in acciaio saldati in un unico blocco monolitico, mentre i’ involucro è costituito da isolanti riflettenti extraleggeri e lamiera Rink-zinc, una particolare lega di acciaio, piombo e zinco, con proprietà anticorrosive e resistenza
foto: ■□□ passo dell’Orso con il bivacco | □■□ bivacco e Grand Hoche | □□■ interni
alle basse temperature. Tutti i fissaggi sono meccanici senza colle o adesivi, per consentire le grandi dilatazioni dell’acciaio. Gli interni sono rivestiti in legno: abete bianco per le pareti e multistrato marino per il pavimento. Future predisposizioni per un sistema fotovoltaico che potrà alimentare un segnale di localizzazione e per l’aggancio di teli che ne aumenterebbero la capienza lo configurano come una vera cella salvavita. L’idea generatrice sta nelle parole del suo progettista: “Questi bivacchi sulle nostre montagne, devono semplicemente rappresentare un valido e collaudato rifugio, rispettoso dell’ambiente circostante, fruibile e comprensibile nelle sue forme, anche se un po’ datate.”
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2.2.FAMIGLIE PROGETTUALI
CE CC H I N I
COL D OSE’
A STA
PAO LO E NI C O L A
R E GON D I- G AVA Z ZI
ANTOLDI-MALVEZ ZI
PIAN G R A N D
VUE R I C H
KOBARIŠKI STOL
Z U L LO
LAMPUGNANI-GRASSI
MAR MOL
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2.2.1.Capanne
BIVACCOLUCA VUERICH
BIVACCOPIAN GRAND
BIVACCOKOBARIŠKI STOL
località Foronon del Buinz, Montasio, UD quota 2531m cammino 3.50 ore anno 2011 posti letto 6
località Val Melsoncina, Grigioni, Svizzera quota 2398m cammino 3.00 ore anno 2005 posti letto 14
località Stol Mountains, Slovenia quota 1580m cammino 2.50 ore anno 2002 posti letto 4-8
La nuova costruzione triangolare sulle Alpi Giulie, realizzato da Giovanni Pesamosca e Diemme Legno.
Nuova struttura del SAC dalle forme pure e dal carattere spartano adiacente a un’altra di simile fattura.
Il primo bivacco dell’architetto Miha Kajzelji, dall’anima essenziale e dalla forma che riprende la cresta su cui è posizionato.
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2.2.2.Chalet
BIVACCOCECCHINI-VAL LOGA
BIVACCOCOLDOSE’
BIVACCODELL’ASTA
località Val Loga, Montespluga, SO quota 2750m cammino 3.30 ore anno 2009 posti letto 9
località Forcella di Coldosè, Predazzo, TN quota 2463m cammino 1.30 ore anno 2012 posti letto 6-9
località Forcella dell’Asta, Maniago, PN quota 1518m cammino 2.00 ore anno 2011 posti letto 4
Piccola costruzione in legno che sostituisce il vecchio omonimo bivacco a botte ai piedi del pizzo Ferrè.
Nuovo rifugio in legno voluto e realizzato dal Gruppo Alpini Caoria di Trento, dotato di stufa, elettricità e lavandino.
Piccolo bivacco escursionistico, interamente in legno, dotato di stufa a legna.
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2.2.3.Ricostruzioni a l’identique
BIVACCOLAMPUGNANI-GRASSI
BIVACCOFEDERICO ZULLO
BIVACCOMARMOL
località Val Veny, Monte Bianco, AO quota 3852m cammino 5.30 ore anno 2010 posti letto 6
località Colle Carrel, Charvensod, AO quota 2897m cammino 4.00 ore anno 2005 posti letto 9
località Bassa valle di Zoldo, Schiara, BL quota 2266m cammino 3.00 ore anno 2012 posti letto 6
Ricostruzione de “il bivacco” in senso assoluto, un punto d’appoggio che ha fatto la storia dell’alpinismo.
Ricostruzione della classica struttura a botte, punto di appoggio per la Ferrata del Monte Emilius che domina Aosta dai sui 3559m.
Ricostruzione analoga dl bivacco precedente punto d’appoggio dell’ Alta via 1 delle Dolomiti, nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi.
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2.2.4.Recupero di alpeggi
BIVACCOMOLLINE
BIVACCOALDO CRAVETTO
BIVACCOSERENA
località Vallone Menouve, Etroubles, AO quota 2415m cammino 2.30 ore anno 2012 posti letto 16
località Vallone di Stolen, Gressoney, AO quota 2422m cammino 4.30 ore anno 2006 posti letto 8
località Corte Buè, Val Grande, VB quota 888m cammino 1.30 ore anno 2012 posti letto 4
Costruzione in pietra e legno, punto d’appoggio dell’ itinerario dell’alta via n° 1 e del Tour des Combins.
Recupero di un’alpe storica, da parte della Comunità Montana Walser, CAI Gressoney e famiglia Cravetto.
Recupero di una vecchia baita contadina, da parte del gruppo escursionistico Val Grande, dotato di stufa e elettricità da solare.
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2.2.5.Case in legno
BIVACCOPAOLO E NICOLA
BIVACCOREGONDI-GAVAZZI
BIVACCOANTOLDI-MALVEZZI
località Forcella di Valmaggiore, Predazzo, TN quota 2200m cammino 2.45 ore anno 2011 posti letto 6-8
località Valpelline, Aosta, AO quota 2650m cammino 3 ore anno 2009 posti letto 15
località Valeille, Lillaz, Cogne, AO quota 2920m cammino 4.30 ore anno 2003 posti letto 12
Ricostruzione dell’ ananloga struttura del 1974, a opera del CTG di Predazzo, interamente in legno con tetto a falda unica.
Una “nuova tipologia” di bivacco in legno che sta prendendo piede recentemente in Valle d’Aosta.
Ricostruzione del vecchio rifugio del 1935, nel “modello Accademico” del CAAI, nel Parco Nazionale del Gran Paradiso.
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2.3.TEMI DI PROGETTO 2.3.1.TRASPORTO E MONTAGGIO
Questi 25 casi studio, 10 di questi selezionati perchè significativi della sperimentazione architettonica contemporanea di questo tipo di strutture, approfonditi con elaborati progettuali e informazioni aggiuntive tratte da progettisti, collaboratori e pubblicazioni, e 15 dal valore documentale corredati delle informazioni essenziali, rappresentano un campione molto significativo delle realizzazioni degli anni 2000. Attraverso l’aiuto di elementi prettamente tecnici e progettuali, suggeriti dall’esame dei casi studio, si cominceranno a delineare quelli che sono i caratteri che contraddistinguono il progetto di bivacco contemporaneo, gli elementi che lo influenzano e quelli che lo radicano al passato o lo proiettano nel futuro.
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Il trasporto è una delle ultime operazioni che si devono effettuare, sancisce la fine dei lavori a valle e l’inizio di quelli, più problematici, in quota. In realtà fin dall’inizio è uno dei processi di cui tener maggiormente conto. Anche se l’ormai onnipresente elitrasporto semplifica di gran lunga le operazioni, il progetto è comunque soggetto a limiti di peso e dimensione, sia per il trasporto con elicottero standard, che si aggira sui 900 kg, ma può variare di molto a seconda della quota e delle condizioni atmosferiche, sia per quello su camion fino al luogo dove inizierà il trasporto con l’elicottero, più per la sagoma che per il peso. In molti casi la soluzione è stata quella di progettare strutture, complete di tutto, dal peso e dalla sagoma che rientras-
se in questi limiti, in modo da ottimizzare i trasporti sia su gomma che su elicottero, vedi il bivacco Jubiläumsgrat che ha dovuto effettuare un tour pubblicitario su camion, ma anche i bivacchi Legarji, Kovoto Seaddle, Blanchetti tutti elitrasportati completi di materassi e coperte. Per strutture più grandi (bivacchi Boarelli, Sartore e Chentre-Bionaz) si devono ripartire le intere costruzioni, quasi sempre assemblate a valle e smontate per il trasporto, in colli elitrasportabili, ottimizzati il più possibile per limitare i costi del trasporto, spesso molto oneroso. Il caso del bivacco Gervasutti è emblematico perché permette di unire le due metodologie prima descritte realizzando moduli completi e elitrasportabili, solamente da ri-assemblare in quota.
foto: ■□□ Operazioni di carico su camion del bivacco Blanchetti | □■□ Elitrasporto del bivacco Kobariški Stol | □□■ Aggancio del bivacco Legarji
2.3.2.BASAMENTO
Il basamento è sicuramente una delle parti più delicate della costruzione, poiché va a intaccare il cosiddetto terreno vergine, a volte irreparabilmente, anche se in quantità minime, inoltre tutte le operazioni necessarie per la sua realizzazione tradizionale, scavo, trasporto di pietre, realizzazione della malta cementizia, comportano la mobilitazione di mezzi ben più pesanti e invasivi della semplice manodopera umana, e il loro trasporto in loco tramite elicottero (molto costoso). La soluzione migliore rimane sempre quella di scegliere un luogo che per le sue caratteristiche permetta di non realizzare il basamento, nel caso del Bivacco Sartore viene sfruttata una preesistente base in calcestruzzo su cui vengono impostati solamente
3 longheroni in legno, il bivacco Kovoto Seaddle sfrutta le negatività del terreno (pietraia con grossi massi irregolari) utilizzandole a suo vantaggio come basi per due profilati metallici che realizzano il piano di appoggio per la costruzione e sono innumerevoli le installazioni direttamente su roccia (per es. Bivacco Lampugnani-Grassi). Nei casi in cui è necessario realizzare un sistema di fondazioni, una soluzione efficace è quella di piccoli plinti puntuali (Bivacchi Hanwag, Boarelli e Vuerich), questo sistema, facilmente realizzabile con l’utilizzo di pozzetti prefabbricati in cemento utilizzati come casseforme a perdere, permette di avere una piccola zona di scavo e quindi di deterioramento del terreno (realizzabile an-
che senza l’ausilio di escavatori meccanici) e di ridurre al minimo le zone di contatto della struttura con il terreno con tutti i vantaggi termici che ne conseguono. Nel caso di costruzioni più complesse come il Bivacco Gervasutti, il basamento-ancoraggio, è realizzato con tondini di acciaio “annegati” direttamente nella roccia viva.
foto: ■□□ Scavi del bivacco Gervasutti | □■□ scavi del bivacco Chentre- Bionaz | □□■ Plinti del bivacco Jubilaumsgrat
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2.3.3.STRUTTURE - 2.3.4.RIVESTIMENTI INTERNI ED ESTERNI
La struttura gioca un ruolo fondamentale, oltre alla resistenza ai grandi carichi di neve e vento presenti alle elevate altitudini, deve essere facilmente divisibile in elementi assemblabili in colli elitrasportabili, nonché essere manovrabile in cantiere senza l’ausilio di sollevatori meccanici, per questo non si prediligono strutture monolitiche o pre-assemblate. Il legno offre caratteristiche di resistenza e leggerezza ed è effettivamente largamente utilizzato nella maggior parte dei bivacchi nella forma del telaio, anche per la sua comprovata durabilità. Altre possibilità si possono riscontrare nel Bivacco Gerard che utilizza una struttura in profilati di acciaio, o nel Bivacco Gervasutti che con l’utilizzo di materiali plastici riesce a coniugare struttura
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forma-resistente e rivestimento hi-tech. L’involucro esterno deve avere la capacità proteggere gli strati interni, i più utilizzati sono quelli metallici: rame, lamiera verniciata o alluminio, performanti e leggeri. Anche il legno trova applicazioni, anche se difficilmente proteggibile (Bivacco Chentre-Bionaz) e quindi soggetto a un degrado molto più veloce o a una manutenzione più frequente. I nuovi rivestimenti plastici del Gervasutti permettono di avere un involucro continuo con una durabilità pressoché infinita, oltre ad offrire la possibilità di integrazione di sistemi tecnologici come impianti fotovoltaici. Nei rivestimenti interni il legno è il materiale incontrastato, in tutte le sue varianti, è isolan-
te, leggero e facile da installare, e offre quel “senso di calore” che aumenta di molto l’abitabilità degli spazi, soprattutto dove il calore non c’è. Devono assicurare ottime prestazioni di traspirabilità, in ambienti molto piccoli e con molte persone l’eliminazione dell’umidità è essenziale, risposte efficaci a questo problema si possono trovare nel bivacco Legarij che utilizza una foratura dei pannelli interni per eliminare l’umidità in eccesso, e il bivacco Boarelli che è provvisto di un’itercapedine areabile che permette di “asciugare” l’interno quando necessario.
foto: ■□□ strutura a telaio del bivacco Chentre-Bionaz | □■□ struttura “a capanna” del bivacco Sartore | □□■ struttura-involucro del bivacco Gervasutti
2.3.5.ORGANIZZAZIONE SPAZIALE - 2.3.6.APERTURE
La corretta organizzazione degli ambienti interni è essenziale per utilizzare al meglio spazi ridotti. Oltre alla consolidata organizzazione classica del “modello Apollonio” che prevede un unico spazio centrale su cui si attestano i posti letto ribaltabili, ancora utilizzata in particolare dal bivacchi Gerard e Sartore, si presentano nuove opportunità all’insegna di ambienti sempre più qualitativamente validi, estremamente flessibili e funzionali. La soluzione più funzionale è forse quella del bivacco Legarji che sviluppa verticalmente in tre livelli pur restando di dimensioni molto contenute, poiché utilizza un solo ambiente, e nella sua “zona giorno” al piano terra, sono facilmente ricavabili ulteriori posti letto. In generale la tendenza però è quella di offri-
re più di un ambiente, pur dovendo per forza di cose aumentare le dimensioni, come nel caso dei bivacchi Boarelli e Gervasutti che dividono zona giorno e zona notte, pur mantenendo sempre ambienti ibridi, adattabili di volta in volta alle necessità.
tro il bivacco l’intero contesto, in una forma di dialogo con l’esterno. Le aperture svolgono anche compiti di riscaldamento passivo dell’interno (bivacco Boarelli) ma costituiscono pur sempre grosse superfici disperdenti durante la notte.
Il tema delle aperture è molto dibattuto, sebbene i vecchi bivacchi devoti a pieno titolo all’attività alpinistica insegnano che non sono necessarie, se non ridotte al minimo indispensabile per la circolazione dell’aria, nei modelli più evoluti si possono trovare grandi finestrature panoramiche disposte in diverse direzioni (bivaccho Legarji), o in direzioni prevalenti di paesaggio (bivacchi Chentre-Bionaz e Gervasutti) in modo da portare den-
foto: ■□□ le aperture multidirezionali del bivacco Legarji | □■□ il “cannocchiale” panoramic del bivacco Gervasutti | □□■ le grandi aperture del bivacco Boarelli
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2.3.7.DOTAZIONI TECNOLOGICHE
Le dotazioni tecnologiche hanno rappresentato negli ultimi anni una nuova sfida per il mondo dell’alta quota, alla ricerca di condizioni abitative migliori e nuovi orizzonti di utilizzo dei bivacci. Sono state anche l’elemento di discordia più comune, tra i tradizionalisti, protettori dell’austerità ambientale anche all’interno dei rifugi, e i convinti innovatori che non disdegnano la comodità nelle poche ore di permanenza. I casi studio dimostrano l’intenzione di considerare “dotazione minima” un piccolo impianto fotovoltaico, che, oltre a dotare la struttura di illuminazione nelle ore notturne, svolge il compito ben più importante di alimentare un impianto radio-trasmittente, da utilizzare in caso di pericolo per contattare i
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soccorsi, un passaggio che permette di trasformare un semplice luogo di riparo in una stazione di soccorso che può comunicare con la valle. Questi piccoli impianti fotovoltaici, sono poco onerosi e l’impianto si limita spesso all’accumulo dell’energia in una semplice batteria di automobile (Bivacco Chentre-Bionaz). E’ stato tentato più volte di dotare i bivacchi di tecnologie alternative, per ampliarne l’utilizzo e il comfort, il bivacco boarelli prevedeva un locale con wc chimico, da subito caduto in disuso e eliminato. Il bivacco Gervasutti propone una serie di tecnologie all’avanguardia, circolazione meccanica delll’aria, connessione a internet tramite computer, piastre elettriche
per cucinare, ecc. Il problema di aumentare la componente tecnologica, non è tanto un problema di mantenere una tradizionalità nel vivere l’esperienza della montagna, ma di funzionamento, tutti i tentativi, per ora, sono stati disattesi, il wc del Boarelli richiedeva un elitrasporto all’anno per rinnovare la funzionalità, gli impianti del Gervasutti hanno passato lunghi periodi di non-funzionamento, e comunque prima di partire occorre leggere le lunghe istruzioni sul sito internet per non rischiare il soffocamento. Bisogna sempre tenere ben presente il problema della manutenzione (e la tecnologia ne richiede parecchia) e della facilità di utilizzo. Il Boarelli possiede un impianto di riscalda-
foto: ■■□ Bivacco Chentre-Bionaz: impianto fotovoltaico con accumulo interno (batteria auto, disattivabile | □□■ lI grande impianto fotovoltaico del Gervasutti
mento con pannelli solari ad aria, molto semplice e indistruttibile, aprendo semplicemente qualche bocchetta si può godere di una graditissima aria calda fino alle ore più inoltrate della giornata. L’impianto fotovoltaico fornisce elettricità per due grandi luci al neon, e si può creare un flusso di ricambio d’aria nell’intercapedine delle pareti laterali semplicemente azionando una leva meccanica. Dai casi studio si evince che più si punta sulla semplicità, più le tecnologie saranno durature e alla portata di tutti. Le tecnologie passive rispondono bene a questi requisiti, isolamento termico e riscaldamento passivo tramite grandi finestrature, orientamento corretto e sistemi alternativi sono le soluzioni da perseguire. La possibilità di aumentare la sicurezza dei fruitori giustifica comunque qualsiasi tipo di dotazione supplementare, al contrario di una ricerca di condizioni di comfort da albergo tradizionale.
foto: Bivacco Boarelli: dettaglio della finestratura e delle bocchette di entrata dell’aria del sistema ad aria passivo solare
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3.ELEMENTI DI DIBATTITO IN ALTA QUOTA
3.1.CONTESTUALIZZAZIONE quota o distanza?
I bivacchi, così come la maggioranza dei rifugi alpini, rientrano nella categorie delle strutture d’alta quota, questa denominazione, pur non essendo precisamente stabilita, è intesa come la parte di territorio che per questioni di quota si trova al di sopra dei 2500m sul livello del mare. Questa ripartizione deriva da un fattore naturale identificando tutta quella fascia di altitudini nella quale le conifere si diradano sempre di più lasciando spazio a cespugli di arbusti, pino mugo e muschi fino a sfumare nella zona nivale nella quale le estati molto corte e il ghiaccio perenne non permettono la sopravvivenza degli esseri viventi. Per quanto riguarda le strutture però, questa divisione non è esauriente, le costruzioni si
identificano per caratteristiche formali e funzionali non tanto per la quota ma tanto più per la distanza (che in ambiente montano si identifica con le ore di cammino) che intercorre dal punto di partenza più vicino. La loro caratteristica funzionale principale che è quella di “spezzare” itinerari di più giorni, fa si che queste strutture siano posizionate all’incirca in corrispondenza della metà del percorso tra la partenza e la meta o le mete per il quale raggiungimento sono state costruite, per questo motivo, altezza delle cime che circondano la struttura e infrastrutturazione della valle sono elementi che influiscono molto sul posizionamento. La presenza di infrastrutture, soprattutto stradali, fino a quote elevate, innalzerà la
quota dei punti di appoggio, e viceversa, lo stesso si avrà con cime più o meno elevate. Come prova è sufficiente spostarsi per in zone delle Alpi in cui le quote che raggiungono le vette non sono elevate come può essere nella parte occidentale, per esempio in Slovenia, dove si possono trovare ugualmente strutture che presentano tutte le caratteristiche dell’alta quota, nettamente al di sotto dei 2500 m.s.l.m. (anche intorno ai 1500 m.s.l.m.) ma per raggiungere le quali sono necessarie anche quattro ore di cammino. Nello stesso tempo è da considerare la nascita dei “bivacchi escursionistici” che sono strutture che presentano le stesse caratteristiche dei bivacchi alpinistici, ovvero la prima forma di bivacco nata come punto di appog-
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3000
altitudine (m.s.l.m.)
4000
LAMPUGNANI-GRASSI
ANTOLDI-MALVEZZI
ZULLO GERVASUTTI BOARELLI
GERARD
CECCHINI JUBILAUMSGRAT REGONDI-GAVAZZI
CHENTRE-BIONAZ
VUERICH
BLANCHETTI
2500
COLDOSE'
SARTORE PIAN GRAND
MARMOL PAOLO E NICOLA
LEGARJI KOVOTO SEADDLE
2000 PIAN VADA'
ASTA
KOBARISKI STOL
80
5.00
4.00
3.00
2.00
1.00
0.00
cammino (ore) 1000
grafico quota-distanza
gio per l’ascensione esclusivamente di vette, ma che fanno parte di itinerari escursionistici di più giorni con finalità turistiche, nella visione più classica del termine, o di valorizzazione naturalistica e storica del territorio (vedi il bivacco Pian Vadà, nel Parco Nazionale della Val Grande), questo sta abbassando di molto le quote tradizionali dei punti di rifugio. Le costruzioni ricettive alpinistico-escursionistiche, quindi, si caratterizzano tipologicamente come strutture d’alta quota maggiore è la distanza che li separa dalle infrastrutture, e in relazione alle vette circostanti, come è nella loro natura di ricoveri di fortuna quando è conveniente, piacevole o necessario fermarsi.
foto: un indicazione oraria classica di un itinerario escursionistico
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3.2.PROGETTUALITA’ progettare nel vuoto?
E’ vero, progettare in alta quota, in luoghi dove non si è mai costruito prima, è come progettare su un foglio bianco, non esistono piani urbanistici o territoriali che prevedano la costruzione di rifugi o bivacchi, la normativa è ancora frammentata a livello regionale ed è spesso assimilata a quelle delle strutture ricettive comuni e le autorizzazioni sono formate ad hoc, per rispondere a iniziative o esigenze particolari. In realtà l’alta quota mantiene questo status di cose per cui a diventare limiti alla progettualità, non siano tanto le auto-imposizioni dell’uomo, ma elementi che non normati che agendo in modo diverso rispetto alla pianura si configurano come i confini del progetto: in particolare le condizioni ambientali
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del luogo, un percorso storico ormai decodificato e un dibattito più vivo che mai. Il clima è uno degli elementi caratterizzanti dell’alta quota, e come tale influisce in modo massiccio sul progetto e sulle modalità di realizzazione di strutture in tali luoghi. La possibilità di lavorare in alta quota, è ridotta ad un tempo massimo che può essere stimato in 4 mesi all’anno, ma non è mai sicuro, ed è difficile pensare di lasciare un opera incompiuta per gli altri 8 mesi in balia delle intemperie. Per questo motivo il rispetto dei tempi e le tecniche di costruzione sono essenziali per la buona riuscita del progetto, le tecniche di prefabbricazione leggera offrono il vantaggio di realizzare i manufatti a valle e poterli installare in quota in tempi brevissimi.
L’altitudine gioca un ruolo fondamentale soprattutto nel trasporto, più aumenta più l’aria diventa rarefatta, diminuendo drasticamente la portata degli elicotteri. L’elitrasporto è un’operazione molto onerosa e necessità la massima pianificazione per limitarne il più possibile l’utilizzo. Un’ altro elemento che si manifesta in modo differente rispetto al resto del panorama architettonico è il dibattito, questo, avviene in modo molto acceso, non tanto e non sempre solamente fra gli “addetti ai lavori”, ma tanto più tra i frequentatori più o meno assidui della montagna da diversi fronti, escursionisti, alpinisti, abitanti dell’alta valle, guide alpine, ecc; in cui si trova solitamente una spaccatura equa tra chi accetta o chi no le
architetture dichiaratamente contemporanee, ma si discute comunque moltissimo, per strutture in realtà molto piccole, dal quale emerge una disparità fra il dibattito che (non) esiste per esempio per l’ambiente urbano, in cui è ridotto alle grandi opere (grattaceli, grandi stazioni) oppure a interventi che riguardano il rapporto con elementi storici importanti, (vicinanza con monumenti o interventi su di essi), nessuno si sognerebbe di discutere su un edificio dalle dimensioni di una cabina telefonica. L’alta montagna è diversa, tutti vogliono farne parte e tentare di conservarla in molti modi, e questo è un aspetto positivo, che porta la progettualità a stretto contatto con i suoi fruitori.
L’assenza di un percorso storico chiaro è sempre stato un elemento che ha differenziato il progetto d’alta quota, questi territori sono caratterizzati da una dispersione insediativa (per fortuna) ancora molto accentuata, è per questo che la presenza storica non va interpretata come rapporto diretto (come può essere per la città) ma come presenza diffusa. Questa presenza è oggi decodificata, anche se da poco tempo, con l’intensificarsi del dibattito e della ricerca in questo campo (vedi il libro “Cantieri d’Alta Quota”, di Luca Gibello) che ha portato a stabilire che l’alta quota risulta come un territorio avente uno sviluppo costruttivo omogeneo, come se esistesse una sottocultura d’alta quota derivante e assoggettata a culture territoriali ma
foto: ■□□ Effetto delle condizioni atmosferiche di alta quota | □■□ Effetto di una frana | □□■ Esempio di “dibattito”
facente parte di un percorso unico. Questi elementi possono aiutare a capire la progettualità d’alta quota, un vuoto in cui coesistono difficoltà tecniche che non concedono compromessi, un dibattito acceso e di partecipazione popolare e una presente e pesante presenza storica che agiscono in modo amplificato a limitare progetti che devono avere la qualità come elemento fondante ed essenziale, in un ambiente in cui dominano storia, funzionalità e natura.
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3.3.PAESAGGIO un ago in un pagliaio
L’inserimento di manufatti all’interno di vasti scenari naturali “immacolati” come quelli dell’ alta quota è cosa assai ardua e discutibile. L’estraneità dell’uomo a tali ambienti, come dimostrato dalla storia, determina il fatto che la sua permanenza in quest’ ultimi sia subordinata dalla separazione dagli stessi. E’ questo allora il vero compito delle costruzioni d’alta quota, estraniare l’uomo dall’ambiente in modo da consentirne la sopravvivenza, (stessa funzione è riservata a abiti ed equipaggiamenti). Nell’ottica dell’autenticità dell’architettura dunque, il concetto di “che cosa centra quell’affare con la montagna?” argomentazione più usata dagli stessi fruitori che si cimentano in discussioni sulle costruzioni alpine, è del tutto lecita e veritiera,
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e denota una certa riuscita dell’espressione concettuale attraverso il linguaggio architettonico. Oltre all’estraneità dell’uomo in quanto tale è vero dire anche che la stessa alta quota è a sua volta estranea dalla montagna come largamente inteso, per gli stessi motivi climatici, ambientali e territoriali che non hanno consentito all’uomo di insediarvici, è per questo che si va a connotare come una “terra di mezzo” tra quello che è pianura e alta valle, fertile e più o meno largamente insediata, e spazio, in cui l’uomo si insedia in condizioni molto difficili e dipende dalle macchine. Ma quali sono i legami con una e con l’altra parte? Nonostante il legame fisico e mentale con la valle, se si esaminano i modi
dell’abitare e le attività dell’uomo, che sono i campi che interessano all’architettura,(come sostiene l’architetto Miha kajxxx, costruttore di bivacchi e esperto di alta quota) si nota subito che i legami maggiori sono invece con lo spazio aperto, dove le condizioni ambientali sono contrarie alla vita al punto che la necessità di estraniarsi dall’ambiente attraverso i manufatti in generale è condizione necessaria e fondamentale e l’uomo non produce niente in relazione alla sua sopravvivenza (se non ricerca scientifica). Questo per dire che l’architettura ha il compito di fornire nuove soluzioni abitative al problema dell’alta quota, e non cadere nel vano tentativo, costruttivamente parlando, di portare solamente il limite di quello che è “montagna”
un po’ più in quota, proponendo soluzioni architettoniche che per forma e caratteristiche sono stati pensati per scopi e funzioni completamente diversi. In questo insieme di segni che è il paesaggio, quelli attribuibili all’uomo sono indiscutibilmente in minoranza, (si riducono a rifugi, sentieri e qualche segno religioso e commemorativo) mentre quelli naturali dominano a 360°, indiscutibili protagonisti del territorio. Qual è dunque il problema di strutture che hanno dimensioni trascurabili rispetto al contesto in cui si trovano, e che paragonate alle altre non raggiunge un decimo di uno qualunque dei migliaia di pali degli impianti di risalita, o un centesimo delle dighe che rendono possibile l’ “innaffiamento” delle piste?
Nel caso dei bivacchi il rapporto tra costruzione e paesaggio non è tanto di sudditanza dimensionale, ma si può parlare di un rapporto simbiotico. Tanto il paesaggio può dare valore alla costruzione quanto la costruzione al paesaggio. Il contesto eleva le costruzioni semplici a fantastici e funzionalmente eccezionali avamposti della cultura umana, basta prendere per esempio gli innumerevoli bivacchi (per esempio Hess o Pol) che posizionati in un orto urbano potrebbero essere un discreto porta attrezzi, e invece grazie alla loro posizione sono tra i bivacchi più ammirati e conosciuti. Dall’altra parte il bivacco può restituire molto al contesto, (forse a qualcuno non piacerà) lo rende molto più accessibile e praticabile e soprattutto sicuro per molti,
foto: Bivacco Blanchetti in relazione alle dimensioni del passo dell’Orso e del versante su cui è situato
lo rende più leggibile fungendo da Landmark e attraverso lo studio di posizione e aperture può diventare una vera e propria macchina per il paesaggio, valorizzandolo. Questi elementi suggeriscono come il paesaggio in alta quota, dove ancora non si è manifestato il turismo di massa e la costruzione selvaggia, quello dei bivacchi e dei rifugi (non tutti), sia frutto di una commistione tra elemento costruito (molto poco) e elemento naturale (molto) e per questo ancora in equilibrio, in un’ottica di fruizione della montagna, la quale non è mai vantaggiosa per l’ambiente, ma solamente per l’uomo. Paesaggio e costruzione diventano quindi un tutt’uno, infatti molti bivacchi sono identificati con il loro nome seguiti dal luogo in cui si trovano:
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Bivacco Hess al col d’Estellette, Bivacco Gerard alla Torre Lavina, Bivacco Boarelli alle Forciolline, solo tra quelli esaminati, come se diventassero una cosa unica. Quindi si possono identificare queste strutture come elementi che modellano e che vengono modellati dal paesaggio, elementi di disegno su grande scala, nonostante siano piccoli punti.
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foto: Bivacco Sandrin nei pressi del Rifugio Vaccarone, Val Clarea
3.4.EVOLUZIONE buona la prima!
Parte tutto da una semibotte, il primo bivacco è semplicemente un riparo di lamiera con intelaiatura in legno dalla forma curvilinea, la migliore per poter sopportare i grandi carichi di neve e vento, infatti l’evoluzione successiva, quella al “modello Apollonio” si limita a rialzare le pareti verticali, portando un po’ più in alto la semibotte, permettendo di poter stare in posizione eretta al suo interno. Il cambiamento in realtà è sostanziale, perché già con questo primo passaggio si abbandona la tipologia più essenziale, quella che si avvicina maggiormente al bivacco improvvisato, un semplice riparo in cui si poteva quasi solamente riposare, per passare a un ambiente flessibile e multifunzionale che si delinea
come un’ unità abitativa minima. Infatti è ora disponibile un piano di appoggio per cucinare ed è possibile configurare l’ambiente in modalità notte, o giorno, ribaltando le brandine. Dopo quasi 90 anni dalla costruzione del primo bivacco, si può affermare con certezza che queste sono state soluzioni vincenti, non solo perché il bivacco Hess (1925) è giunto fino a noi praticamente integro ed è tuttora utilizzato e apprezzato, ma perché la tipologia a botte, nelle sue varianti, è diventata lo stereotipo del bivacco-fisso, nessun’altra tipologia è riuscita a incidere così intensamente nel campo dell’alta quota. Il bivacco “a botte” non è dunque da considerarsi una tipologia appartenente al passato, o legata a sentimenti
nostalgici di qualche tipo, ma una tipologia consolidata per il suo valore funzionale e formale e per questo ancora utilizzata, questo porta sia alle ricostruzioni a l’identique, che mantengono un legame visivo tra struttura e luogo, che a nuove interpretazioni che hanno tecnologicamente poco a che vedere con il passato (bivacco Blanchetti) L’Architettura è pur sempre una disciplina che trova le sue radici nell’arte, e come tale è e deve essere espressione del proprio tempo. Per questo a partire dagli anni ’70 gli architetti cominciarono sistematicamente a cercare un’interpretazione formale e abitativa dell’alta quota, nelle prime architetture di bivacco pensate da architetti sono chiare le
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rappresentazione grafica dell’ evoluzione della forma
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influenze di pop-culture e cultura industriale, produzione e fruizione di massa, visioni futuristiche al limite della fantascienza, esplorazioni dello spazio, progresso tecnologico, ecc. Le piccole strutture diventano navicelle spaziale volutamente estranee con volumi sfaccettati e futuristici in cui la derivazione tecnologica si palesa al visitatore. Stockhorn biwak, Bivuouac du Dolent, bivacco Ferrario palesano la visione di un futuro iper-tecnologico che poi non c’è stato. La contemporaneità ha portato a ricercare nuovamente un punto di incontro tra costruzione e ambiente esterno, in una sorta di dialogo e contrapposizione più o meno rispettosa con la natura e con la storia, una visione
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critica approfondita dal dibattito, sempre più vivo negli ultimi anni, che va a creare una maggiore consapevolezza del tema. Questo ha portato a diverse sperimentazioni, che è quello che ancora sono tutt’oggi, il bivacco Legarji progettato dall’architetto sloveno Miha Kajzelj, che si sviluppa in verticale per diventare una vera e propria torre, landmark assoluto al centro di un ampio altopiano a media quota, il bivacco Gervasutti di Gentilcore-Testa, per la suo accostamento di funzioni in successione ricalca lo sviluppo a torre, ma orizzontalmente, “sfuggendo” alla neve del crinale su cui è posizionato che altrimenti, nel periodo invernale, l’avrebbe sommerso, il bivacco Boarelli, propone una reinterpreta-
zione della tipologia “a capanna” ampliata e equipaggiata fino a diventare un rifugio in miniatura, un puntino giallo in un vallone selvaggio dominato dal grigio della roccia, solo per citare gli esempi più significativi. Oltre alla forma, il fatto che, il Legarji sia un bivacco che essendo a media quota propone un lato molto più “turistico” attraverso le aperture panoramiche, il Gervasutti basi il suo essere su tecnologia e alte prestazioni in sintonia con il resto dell’equipaggiamento (il bivacco è pur sempre una parte di equipaggiamento) che è utilizzato nel panorama dell’altissima quota e dell’alpinismo ad alti livelli di cui esso, per posizionamento, fa parte, e il Boarelli che propone una grande capien-
foto: ■□□ Bivacco Hess | □■□ Bivacco Duccio Manenti | □□■ Bivacco Toffolon
za, un approccio low-tech facilmente utilizzabile e un comfort elevato per supportare la vocazione ormai “di massa” della via normale al Monviso, fanno si che si possa affermare che anche i bivacchi contemporanei si delineino come strutture che prendono molto dal contesto sia come morfologia che come tipologia di fruizione, essendo, come una vera architettura, “figli del luogo”. Per questi motivi, il progetto di bivacco in campo architettonico non è replicabile per la sua natura di interprete del suo tempo, e nella contemporaneità anche del luogo e della funzione. E’ sbagliato pensare a progetti di costruzione in serie, non sarebbero nella maggior parte dei casi consoni e funzionali al contesto, foto: ■□□ Bivuoac du Dolent | □■□ Mischabeljoch biwak
anche solo per elementi considerati superflui come il colore. Rimane sempre il modello a botte, che continuerà a esistere, replicabile perché una tipologia a sé stante, non interprete di un tempo o di un luogo, ma di una modalità di fruizione della montagna, quando l’alpinismo era scoperta dei monti e dell’uomo.
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3.5.UN VALORE ETICO PER IL BIVACCO sostenere la sostenibilità
Se c’è un obbiettivo etico che caratterizza la contemporaneità dell’architettura è la ricerca della sostenibilità, un termine molto ampio e interpretabile in vari modi, che può dire tutto o niente. Si può partire dai bivacchi, per analizzare la loro interpretazione di sostenibilità, convinti che essa non dipenda solamente dal processo realizzativo, dai materiali o dal suo consumo di energia in fase di utilizzo, di cui tanto si conosce e tanto è già stato detto, ma anche dalla loro componente etica, dai comportamenti che incentivano e dalle dinamiche sociali che innescano. Il percorso di un bivacco parte per lo più da piccole iniziative private, che siano associa-
zioni o singoli individui, spesso con budget molto limitati, per rendere materico il ricordo di un avvenimento, nel 100% dei casi legato alla montagna, per questo i bivacchi sono strutture che nascono già intrinsecamente legate alla storia di essa. La fase di progettazione è del tutto particolare, il panorama dei progettisti di bivacchi è molto ampio, poiché comprende non soltanto architetti o ingegneri, ma anche geometri, designer, imprese artigiane e gente comune, che riescono a realizzare risultati qualitativi comparabili. Questo dimostra che ad accumunare la maggior parte dei progettisti di bivacchi, non sia il titolo di studio, ma
qualcos’altro, infatti a un’indagine più approfondita si conviene sul fatto che tutti siano legati in qualche modo alla montagna e frequentatori di essa, e quindi dei bivacchi. Per questo possono essere considerate come le cosiddette “architetture senza architetti”. E’ la passione per la montagna che contraddistingue i progettisti di bivacchi. La costruzione va a richiamare quel mondo dell’artigianato che da sempre appartiene a questo tipo di strutture come dimostra la storia, ma che è stato abbandonato dal resto del panorama costruttivo per lasciar spazio a dinamiche più imprenditoriali. L’ attività artigiana riesce a tramandare un bagaglio di
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conoscenze del “saper fare” di generazione in generazione che, sebbene mutato dai tempi degli artigiani di inizio ‘900, rappresenta però un valore culturale aggiunto garante di una tradizione che continua. La fruizione è il punto di maggior rilievo, non esistono altre strutture che sono gestite come i bivacchi, in una delle prime schede di classificazione delle strutture del CAI, alla sezione sistema di conduzione, si può leggere: “fiducia nei frequentatori”. Questa affermazione racchiude in sé la filosofia con cui vengono pensati, costruiti e mantenuti i bivacchi. Oltre al lato commovente per il cui esista qualcosa che si basi sulla fiducia tra
sconosciuti, da questa “libertà”, quella di utilizzare una cosa che è di tutti, che è poi la vera essenza del bene pubblico, richiama alla grande responsabilità di preservarla, di mantenerla, questo fatto si riflette sull’ambiente, in quanto la costruzione fa parte di esso. Trasmettere queste responsabilità ai fruitori permette di incentivare un turismo sostenibile perchè responsabilizzato. Infine quando, come tutte le cose, la vita di un bivacco volge al termine, volendo, è possibile quasi sempre restituire al contesto quello che si era preso in prestito per la costruzione, la vera reversibilità è un elemento fondamentale ed esistente attualmente in
pochissimi tipi di interventi. Per questo costruire bivacchi è un’attività che ancora può insegnare molte cose, funzionano, creano buona architettura, sperimentazione architettonica e tecnologica, inoltre incentivano comportamenti positivi, responsabili, preservando i rapporti tra le persone che si impegnano assieme per pensare, costruire e utilizzare i bivacchi, costruendo di fatto una socialità. Costruire e utilizzare bivacchi fa parte di una cultura etica che va sostenuta perché sostenibile in tutte le sue fasi, e anche di più.
foto: ■□□ Inaugurazione del bivacco Soardi | □■□ Il Gervasutti in piazza a Courmayeur | □□■ Inaugurazione del bivacco Riva-Girani
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Turrisbabel, Fondazione Architettura Alto Adige, Costruire in Alta Quota, n° 92, 2012
Rifugi e Bivacchi, Editoriale di Domus, in Meridiani Montagne, 2008
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RINGRAZIAMENTI Ringrazio di cuore tutte le persone che mi hanno aiutato in vari modi durante la stesura di questo lavoro, senza i quali non sarebbe stato possibile realizzarlo, in particolare: Alessandra Ravelli e tutta la Biblioteca Nazionale del CAI per il supporto e la professionalità offertami. Prof. Antonio Berti, della Fondazione Berti di Padova per il materiale storico sull’attività della fondazione e i progetti dell’Ing.Baroni. Arch. Miha Kazjelj per la disponibilità e il materiale sulla sua attività progettuale. Arjen Bakermans e Associazione Bivacco Valpelline per il materiale sul bivacco Chentre-Bionaz.
Marco Jacod, per il materiale sul bivacco Blanchetti Maurizio Sartore e studio Prograf, per il materiale sul bivacco Sartore Giacomo Stefani, presidente generale del CAAI Corradino Rabbi, Accademico CAI Aldo Varda, presidente del CAI gruppo regionale Valle d’Aosta Alessandro Griva e Cristina Core, CAI sottosezione di Salbertrand
Prof. Arch. Stephan Zehl di Homann.Zehl Architekten per il materiale sul bivacco Jubilaumsgrat.
Arch. Carlo Calderan, Fondazione Architettura Alto Adige
Studio Tecnico Allera, per il materiale sul bivacco Gerard
Falegnameria Barcellan Tarcisio di Padova.
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Matteo Ponsetti mail | ponsetti.m@gmail.com linkedIn | Matteo Ponsetti