UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO Facoltà di Scienze Politiche Corso di Laurea in Scienze Politiche
L'ESTREMA DESTRA ITALIANA DAL 1965 AL 1974
Relatore: Chiar.mo Prof. Alberto MARTINELLI Correlatore: Chiar.mo Prof. Roberto CHIARINI
Tesi di Laurea di: Matteo BESTETTI Matr. Nr. 509644
Anno Accademico 2000-2001
L'estrema destra italiana dal 1965 al 1974
Introduzione Capitolo 1 - Il neofascismo nel dopoguerra in Italia 1.1 Il neofascismo clandestino e il Movimento dell'Uomo Qualunque 1.2 La fondazione del MSI. Le diverse anime del partito 1.3 Le elezioni del '48. Da Almirante a De Marsanich. La via legale e la strategia di inserimento nelle istituzioni 1.4 Viareggio '54. La segreteria Michelini 1.5 1960: il governo Tambroni e il Congresso di Genova
Capitolo 2 - I principali gruppi dell’estrema destra italiana negli anni sessanta 2.1 Il contesto politico e i principali gruppi 2.2 Ordine Nuovo 2.2.1 Cronologia e organizzazione 2.2.2 L'ideologia e le pubblicazioni 2.2.3 Le attività : cultura, violenza, legami internazionali e interni 2.3 Avanguardia Nazionale 2.3.1 Cronologia, ideologia e organizzazione 2.3.2 Attività e legami con Ordine Nuovo e con le forze dello Stato 2.4 Franco Freda e il gruppo di AR
Capitolo 3 - Radici culturali, miti e ideologie della destra radicale 3.1 Julius Evola 3.1.1 Introduzione 3.1.2 Alcune interpretazioni dell'opera di Evola 3.1.3 Breve sintesi delle concezioni evoliane 3.1.4 Concetti evoliani e Destra Radicale 3.2 Adriano Romualdi 3.3 Il fascismo e il mito della RSI
Capitolo 4 - Le origini della strategia della tensione 4.1 Per un’interpretazione della strategia della tensione 4.2 Il convegno all'Istituto Pollio 4.3 Il Piano Solo e l'anticomunismo di stato 4.3.1 Il Gen. De Lorenzo e la vicenda dei fascicoli del SIFAR 4.3.2 L'anticomunismo di stato 4.3.3 Il Piano Solo 4.4 L’estrema destra negli anni ’60. Riepilogo
Capitolo 5 - Da Piazza Fontana al Golpe Borghese 5.1 Il contesto. L'estrema destra e la strategia della tensione 5.2 Alla vigilia di Piazza Fontana. L'estrema destra nella seconda metà degli anni '60 5.3 Il 1969. Piazza Fontana 5.3.1 Il 1969 5.3.2 La strage 5.3.3 L'estrema destra e gli attentati 5.3.4 I collegamenti 5.4 Il 1970 e il golpe Borghese 5.4.1 Il Fronte Nazionale 5.4.2 La rivolta di Reggio Calabria e la strage di Gioia Tauro 5.4.3 Il golpe Borghese
Capitolo 6 – Dal 1971 al 1974. I gruppi di estrema destra e le strategie golpiste 6.1 L’estremismo di destra nei primi anni ‘70. Militanza e strategie 6.2 La strage di Peteano 6.2.1 La strage 6.2.2 I depistaggi e i collegamenti con gli apparati istituzionali 6.3 La strage di via Fatebenefratelli e la strategia golpista del ’73. Piazza Fontana: un golpe mancato? 6.3.1 La strage di via Fatebenefratelli 6.3.2 Le strategie golpiste del ’73 6.3.3 Il MAR 6.3.4 La Rosa dei Venti 6.4 Il 1974 6.4.1 Introduzione 6.4.2 Gli attentati della primavera del ’74 6.4.3 La strage di Piazza della Loggia 6.4.4 La strage del treno Italicus e il «golpe bianco»
Conclusioni Bibliografia NOTA REDAZIONALE La presente tesi si compone di 281 pagine
INTRODUZIONE
Lo scopo principale di questo lavoro è quello di analizzare e ricostruire le vicende dei principali gruppi dell’estrema destra italiana nel periodo 1965-1974, con speciale riferimento alla stagione della strategia della tensione e al ruolo in essa svolto dai militanti dell’estremismo «nero». Oggetto d'analisi non sarà l'intera costellazione dei movimenti della destra extraparlamentare, bensì quella parte delle organizzazioni di quest'area che accettarono nel proprio repertorio di attività di lotta politica anche l'uso di mezzi politici extralegali, non esclusi violenza e terrorismo. Dato l'elevato numero di formazioni attive nel periodo considerato, alcune delle quali di rilevanza molto limitata, saranno
sottoposte
a
indagine
solo
le
realtà
più
significative
dell'ambiente del radicalismo di destra. Nonostante l'intervallo temporale cui la tesi è più direttamente riferita, essa prende le mosse da una ricostruzione delle origini storiche di tali movimenti a partire dal dopoguerra, periodo in cui le loro vicende appaiono strettamente connesse a quelle del maggiore partito dell’estrema
destra
italiana,
il
Movimento
Sociale
Italiano.
Si
cercheranno di chiarire i punti di contrasto e le conflittualità esistenti tra partito e movimenti radicali, e di identificare il momento in cui il MSI perde la completa egemonia sull’area neofascista, consentendo alle organizzazioni dell'estremismo «nero» di estendere la propria influenza.
1
L’indagine proseguirà con la trattazione dei principali gruppi della destra radicale italiana, in primo luogo Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale. Si cercherà di definirne l’impostazione politica, gli obiettivi, le attività, le forme di lotta e la leadership, nonché l’universo ideologico, che sarà approfondito nel capitolo seguente. In particolare, verrà analizzata l’opera di Julius Evola, di gran lunga il pensatore più influente e importante dell’intera area del radicalismo di destra in Italia, cercando di cogliere i legami esistenti tra la sua filosofia tradizionalista e la pratica politica dei movimenti dell’estrema destra. Si
proseguirà,
quindi,
con
l'elaborazione
di
un
quadro
interpretativo alla luce del quale analizzare le vicende della strategia della tensione. Di seguito si ricostruirà il processo di avvicinamento tra apparati dello stato e formazioni di estrema destra che avviene in Italia durante
gli
anni
’60,
nel
contesto
di
una
contromobilitazione
anticomunista, determinata dalle preoccupazioni provocate dalla genesi del centrosinistra e dall’intensificarsi della conflittualità sociale. I capitoli finali di questo lavoro, saranno invece rivolti alla ricostruzione e all’analisi delle attività e del ruolo svolto dai gruppi della destra radicale nella stagione dello stragismo. In particolare si analizzerà il momento di passaggio da generica pratica violenta a elaborazione e attuazione di strategie terroristiche da parte delle formazioni dell'estremismo nero. L’indagine si soffermerà, seppur sinteticamente, anche su vicende non coinvolgenti direttamente tali gruppi, poiché non è possibile comprendere l'operare di questi ultimi isolandoli dal contesto storicopolitico in cui si collocano, uno scenario in cui sono attivi, in un intreccio complesso, molteplici attori. Si cercherà in special modo di chiarire, per quanto possibile, alcuni punti fondamentali, dai collegamenti delle cellule terroristiche di destra con gli apparati dello stato e con i servizi segreti occidentali, ai disegni politici in cui le attività dei gruppi della destra si vanno a
2
collocare, ai rapporti con il Movimento Sociale Italiano, alle strategie elaborate in modo autonomo nell’ambiente del radicalismo «nero». Particolare
attenzione
sarà
riservata
alla
ricostruzione
le
dinamiche generali attive nel periodo, più che i singoli episodi di violenza, anche se alcune vicende particolarmente tragiche dello stragismo che registrano la presenza degli estremisti di destra, saranno trattate separatamente e con maggior ricchezza di particolari. Sarà
approfondita,
quindi,
la
tematica
riguardante
la
partecipazione dei gruppi di destra alle strategie golpiste messe in atto nel periodo analizzato da un’insieme composito di forze (da movimenti dell’anticomunismo «bianco» a settori delle Forze Armate, della politica e del mondo imprenditoriale). La trattazione si concluderà, infine, con il 1974, nel quadro di un momento di svolta internazionale e interna che inciderà pesantemente anche sull’area dell’estrema destra. Nell’analisi
saranno
utilizzate
prevalentemente
fonti
bibliografiche, con speciale attenzione alle raccolte di documenti presenti in alcuni testi. Ci si servirà anche di alcuni estratti dai verbali delle audizioni effettuate da diversi protagonisti dell’epoca davanti alla "Commissione Parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi", nonchè della proposta di relazione presentata il 12 dicembre 1995 dal presidente della Commissione sen.Giovanni Pellegrino. Infine, ci si servirà di fonti giornalistiche, in particolar modo per un aggiornamento puntuale sui principali procedimenti giudiziari in corso riguardanti il fenomeno oggetto di questo studio.
3
Capitolo 1 .............................................................................................. 5 Il neofascismo nel dopoguerra in Italia................................................. 5 1.1 Il neofascismo clandestino e il Movimento dell'Uomo Qualunque .......................................................................................... 6 1.2 La fondazione del MSI. Le diverse anime del partito................ 14 1.3 Le elezioni del '48. Da Almirante a De Marsanich. La via legale e la strategia di inserimento nelle istituzioni.................................... 19 1.4 Viareggio '54. La segreteria Michelini....................................... 31 1.5 1960: il governo Tambroni e il Congresso di Genova............. 36
Capitolo 1 Il neofascismo nel dopoguerra in Italia.
In questo primo capitolo verranno ricostruite le vicende del mondo neofascista nel periodo che va dal primo dopoguerra al 1960. Una fase, questa, nella quale l’area di destra è dominata dal Movimento Sociale Italiano (MSI), che nasce poco più di un anno e mezzo dopo la conclusione del conflitto mondiale, ed esce rapidamente vittorioso nella lotta per l’egemonia del composito universo del neofascismo italiano. Nonostante questo lavoro sia dedicato più specificamente all'analisi e alla ricostruzione delle vicende dei principali gruppi dell'estrema destra italiana nell'intervallo 1965-1974, si è scelto, in questo capitolo, di delineare anche le origini storiche di tali movimenti, andando a ricostruire,
sinteticamente,
gli
eventi
che
interessano
il
cosmo
neofascista nel periodo precedente a quello che più specificamente identifica l'orizzonte temporale della trattazione. Di conseguenza, sarà tracciata una breve rievocazione del primo quindicennio di storia del MSI, fino ad arrivare al momento in cui la crisi del partito (in concomitanza con l'evolvere della situazione internazionale) apre la strada all’affermazione nell’area dell'estrema destra di nuovi gruppi, radicalmente connotati in senso antisistemico, antidemocratico ed eversivo, i quali saranno oggetto dell'analisi dei restanti capitoli di questo lavoro.
5
1.1 Il neofascismo clandestino e il Movimento dell'Uomo Qualunque
Sul finire del 1945, i nostalgici del fascismo e gli ex-appartenenti alla Repubblica di Salò cominciavano, lentamente, a uscire dalla cortina di clandestinità di cui si erano circondati in seguito alla Liberazione e alla fine del conflitto mondiale. Erano sorti movimenti e gruppi paramilitari fascisti, "di esigua entità e a carattere prevalentemente locale"1. Non è possibile ricostruire in modo completo le formazioni del primo neofascismo, né le loro denominazioni, in quanto esse, solitamente, avevano un'esistenza molto breve, e spesso si riferivano non
a
organizzazioni
stabili
ma
a
gruppi
di
individui
unitisi
occasionalmente per un'azione. Si possono, comunque, ricordare, tra le altre, l'ECA (Esercito Clandestino Anticomunista), le SAM (Squadre d'Azione Mussolini), il FAI (Fronte Antibolscevico Italiano), la LUPA (Lega Unificatrice Patrioti Anticomunisti), i RAAM (Reparti di Azione Anticomunista Monarchici), i GAM (Gruppi di Azione Monarchica), il Partito Democratico Fascista, l'ABIRAC (gli Arditi Bianchi Italiani Anticomunisti), i VON (Volontari dell'Ordine Nazionale), il PFD (Partito Fascista democratico), ecc.2 Tali gruppi squadristi si dedicavano, prevalentemente, ad azioni quali distribuzione di manifesti, attentati alle sedi dei partiti democratici, pestaggi; attività, insomma, destinate più a testimoniare la presenza neofascista che ad allestire scenari per una possibile insurrezione. Un discorso particolare meritano invece i FAR (Fasci di Azione Rivoluzionaria). Questa formazione, attiva già dal '45 grazie all'opera di Pino Romualdi, rappresentò "l'espressione più
1
A.Del Boca-M.Giovana, I figli del sole. Mezzo secolo di nazifascismo nel mondo, Milano, Feltrinelli, 1965, p.177 2
Cfr. P.Ignazi, Il Polo escluso. Profilo del Movimento Sociale Italiano, Bologna, Il Mulino, 1989, p.20, A.Del Boca-M.Giovana, I figli del sole. Mezzo secolo di nazifascismo nel mondo, op.cit., pp.177-178, P. Rosenbaum, Il nuovo fascismo. Da Salò a Almirante. Milano, Feltrinelli, 1975, p.55, R. Chiarini e P. Corsini, Da Salò a Piazza della Loggia, Milano, Franco Angeli, 1985, p.62
6
corposa del neofascismo rivoluzionario"3, il primo serio tentativo di riunire
diverse
esperienze
rivoluzionarie.
Caratterizzati
da
un'organizzazione centralizzata ma con un notevole livello di autonomia dei singoli raggruppamenti attivi sul territorio, i FAR erano portatori di un'impostazione
ideologica
"fortemente
debitrice
del
fascismo
repubblicano"4 (socializzazione delle aziende, rivoluzione dello spirito, superamento del liberalismo e del socialismo). La vicenda dei FAR si chiuse definitivamente con gli arresti del '50-'51 in seguito al tentato affondamento della nave scuola Colombo nel porto di Taranto, destinata all'Unione Sovietica in conto riparazioni in base al trattato di pace (tra gli altri vennero processati Pino Rauti, Clemente Graziani, Enzo Erra, e, come ispiratore, Julius Evola), dopo i precedenti arresti del ’47 e la fondazione del MSI, inducendo molti degli appartenenti a lasciare la clandestinità per unirsi al partito, ne avevano provocato un progressivo isolamento. Ben 33 attentati sono attribuiti a questo gruppo, che fu l'unico a contendere al MSI la supremazia nel campo neofascista (anche se lo scontro si risolse ben presto a favore del partito). Altro movimento che si differenziò dagli altri fu l'AIL (Armata Italiana di Liberazione), un'organizzazione nata nel '46 per iniziativa "di excombattenti ed ufficiali dell'esercito, e subito incoraggiata dal governo americano"5, con l'obiettivo di "dare al paese la speranza di una sicura difesa [...] per parare le minacce che alla libertà verrebbero dalla cosiddetta democrazia progressiva"6. Caratteristiche dell'AIL erano l'acceso
anticomunismo
e
il
sostegno
di
"qualificati
esponenti
7
dell'ambiente militare" , elementi che "favoriscono una vocazione d'ordine che diventa motivo di raccolta, oltre che di larghe schiere di monarchici, anche di numerosi ex-fascisti alla ricerca di rassicuranti
3
P.Ignazi, Il Polo escluso..., op.cit., p.21
4
Ibidem, p.22
5
R. Chiarini e P. Corsini, Da Salò a Piazza della Loggia, op.cit., pp. 67-68
6 7
Ibidem Ibidem
7
protezioni e di possibili rivincite."8 La vicenda dell'Ail si concluse nel settembre del '48, dopo che l'attività del MSI aveva chiuso ogni possibile spazio politico per l'organizzazione. Nel 1946 le azioni squadriste divennero sempre più numerose. Da ricordarsi, l'occupazione della stazione radio di Monte Mario in febbraio da parti di alcuni giovani "arditi", e l'azione con la quale, il 22 aprile, Domenico Leccisi (futuro deputato del MSI) trafugò dal cimitero di Musocco, la salma di Mussolini, lasciando sul fondo della fossa un grottesco messaggio che diceva: "Finalmente, o Duce, ti abbiamo con noi. Ti circonderemo di rose, ma il profumo delle tue virtù supererà quello delle rose"9.
Arrestato, gli veniva trovata in tasca una lettera
indirizzata al presidente della Repubblica in cui affermava: «Lei si illude di aver stroncato il movimento fascista perché è stata recuperata di nuovo la salma di Mussolini. Non è vero: l'idea non muore»10. Al pari dei gruppi, nascevano decine di giornali, opuscoli, volantini, tra i quali ricordiamo "Centomila", "Rosso e Nero", "Rataplan", "Brancaleone", "Lotta d'Italia"11. Di particolare importanza fu l'uscita di "La Rivolta Ideale" (aprile '46), pubblicazione che professava un antimarxismo viscerale e un fanatico nazionalismo. Intorno a "La Rivolta Ideale" si consolidò un «Fronte dell'Italiano» che si presentò all'opinione pubblica nell'ottobre di quell'anno dichiarandosi "antipartitico e nazionale"12. La denominazione «Fronte dell'Italiano» richiama fortemente il modello del "Fronte dell'Uomo Qualunque", del quale è necessario tratteggiare la breve
8
R. Chiarini e P. Corsini, Da Salò a Piazza della Loggia, op.cit., pp. 67-68
9
Cit. in A.Del Boca-M.Giovana, I figli del sole. Mezzo secolo di nazifascismo nel mondo, op.cit., p.178 10
Ibidem
11
Per una interessante antologia degli articoli e degli scritti della stampa neofascista del primo dopoguerra, vedi Scaramouche (Pseud. Fausto Nitti), Neofascismo allo specchio, Roma, A.N.P.P.I.A., 1968. Un elenco dei principali giornali e riviste dell'area neofascista è fornito da U.Di Meglio, in "Rivista di Studi Corporativi", XI (1981), n.5-6, pp.219-236, cit. in P.Ignazi, Il Polo escluso..., op.cit., pp.25-27
12
Cfr. P. Rosenbaum, Il nuovo fascismo. Da Salò a Almirante, op.cit., p.56
8
storia e le concezioni politiche di fondo. Il movimento qualunquista nacque a Roma il 27 dicembre 1944, con la fondazione del settimanale "L'Uomo Qualunque". Ideatore del giornale (e autore di buona parte degli scritti) era Guglielmo Giannini, pubblicista e commediografo napoletano mai cimentatosi, prima di allora, nella battaglia politica. Giannini fu la figura fondamentale nella storia dell'Uomo Qualunque, l'autore degli articoli programmatici e l'indiscusso leader del movimento. Le campagne qualunquiste ebbero da subito un successo strepitoso. Quando, nell'agosto del '45, Giannini lanciò l'idea di formare un ufficio politico, il Fronte dell'Uomo Qualunque, il giornale aveva già raggiunto una tiratura di 850.000 copie13. Il FUQ raggiunse l'apice delle sue fortune con le elezioni per l'Assemblea Costituente del 2 giugno del '46, in cui arrivò a raccogliere oltre un milione di voti (soprattutto al Sud), ma tale successo non si rivelò duraturo. Dopo le elezioni del '48, infatti, la massa elettorale qualunquista venne risucchiata dalla DC e dai partiti di destra, e il FUQ si sfaldò. Ciò che è importante sottolineare in questa sede, tuttavia, non è la dinamica dei risultati elettorali del FUQ, una vera e propria meteora nella storia della politica italiana, ma i suoi programmi e gli orientamenti politici di fondo, che sopravviveranno al qualunquismo storico (e che certo non vennero da esso originati), e i suoi legami con il neofascismo. Nello sviluppo del qualunquismo politico si possono distinguere due fasi. La prima ebbe inizio nel 1945, quando il movimento si presentò come immediata reazione alla crisi del dopoguerra, cercando di raccogliere il dissenso sotterraneo contro il nuovo corso antifascista. Nella sua seconda fase, a partire dal 1946, esso cercò di convogliare le proprie
rivendicazioni
verso
uno
sbocco
più
specificamente
istituzionale, presentandosi nella contesa elettorale. Tuttavia, dopo questa presa di posizione, "la sostanza del Movimento apparve troppo inconsistente
13
perché
esso
potesse
sopravvivere
in
Cfr. P. Rosenbaum, Il nuovo fascismo. Da Salò a Almirante, op.cit., p. 48
9
questa
formazione."14. Il secondo momento della storia dell'UQ non è molto rilevante ai fini di questa analisi. Molto più interessante è indagarne gli orientamenti «ideologici» e di polemica politica. Il qualunquismo politico, in primo luogo, "esprime un vasto rifiuto della modernità"15.
Le idee programmatiche della nuova filosofia
politica che Guglielmo Giannini sostenne di aver scoperto (e la popolarità da esse raggiunte) sono significative della "diseducazione politica frutto di oltre vent'anni di fascismo"16 che caratterizzava, all'epoca, una parte della popolazione italiana. Giannini negava valore "alle ideologie quali che fossero, in nome di «uomini qualunque» che avevano rinunciato alla loro umanità, al loro essere cioè «animali politici» naturalmente portati a scelte ideali e alla lotta per esse, e altro desiderio non avevano che quello di vivere in pace, badando tranquillamente ai propri affari in una esistenza piatta ed edonistica all'insegna di una libertà quasi assoluta. E' questo [...] il qualunquismo, il cieco individualismo di chi, rinchiusosi in se stesso, ad altro non riesce a badare che al proprio gretto «particolare», rifiutandosi di impegnare la propria esistenza nella vita della comunità; lo scetticismo e la diffidenza e nei confronti degli ideali e della politica, e il radicato disprezzo per gli uomini politici unito al moralistico sentimento della propria superiorità: una mentalità [...] istintivamente portata al rifiuto del confronto dialettico, e perciò al rifiuto [...] del mondo che vuole scegliere e lottare per le proprie scelte"17.
Le invettive di Giannini, tuttavia, non erano esclusivamente manifestazione di una prospettiva polemica antimoderna e antiliberale. Nel singolare impasto qualunquista, si scorgevano anche tematiche indubbiamente appartenenti alla modernità, in primo luogo nella
14
P. Rosenbaum, Il nuovo fascismo. Da Salò a Almirante, op.cit., pp. 43-44
15
Ibidem, p. 44
16
P. Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica 1943-1988, Torino, Einaudi, 1989, p.131 17
S. Setta, L'uomo Qualunque 1944-1948, Roma-Bari, Laterza, 1975, p. 49
10
rivendicazione di "una società civile emancipata dalla politica"18. Da ciò derivava il sostegno all'idea di una "democrazia plebea dell'uomo qualunque"19 in contrapposizione ad una "democrazia aristocratica"20, quest'ultima dominata dalle élite partitiche in nome di "un primato dell'intenzionalità progettuale della politica"21 sulla società. Anche Togliatti scrisse che occorreva scavare a fondo per capire le ragioni del successo qualunquista. Egli individuava nel qualunquismo (pur tenendo presente l'eterogeneità del movimento e il livello degli scritti qualunquisti, che spesso scadevano nell'insulto e nel turpiloquio) una sorta "di vernice ideologica, che faceva intravedere una soluzione allo storico problema del distacco delle masse dall'attività politica"22. Giannini non negava la separazione tra politica e attività produttiva, tra chi lavora e chi dirige, tra vita sociale e responsabilità di governo, ma la sua soluzione era, in sintesi, "la fissazione eterna dello schema che divide l'umanità tra chi lavora e chi dirige"23. Semplificando e banalizzando la realtà, Giannini, ipotizzava "un'astratta natura umana, statica e immutabile"24, stabilendo un mondo in cui sempre ci sarebbero dovuti essere, da una parte i «buoni amministratori», i «direttori generali», e, sotto, la massa lavoratrice, ed «un buon ragioniere» a sovrintendere a un progresso senza traumi (il qualunquismo infatti negava
"l'idea
della
fertilità
del
conflitto
nella
fisiologia
della
democrazia"25). E' palese che in tale visione la politica scompariva come attività creatrice e liberatrice, ridotta a mera attività burocratica e
18
R. Chiarini, Destra italiana. Dall'unità d’Italia a Alleanza Nazionale, Venezia, Marsilio, 1995, p.86-87 19 20 21
Ibidem Ibidem Ibidem
22
G. Pallotta, Il Qualunquismo e l'avventura di Guglielmo Giannini, Milano, Bompiani, 1972, p.30 23 24
Ibidem, p.31 Ibidem
25 25
R. Chiarini, Destra italiana. Dall'unità d’Italia a Alleanza Nazionale, op.cit., p.87
11
ad un buon governo senza infamia e senza lode26. Il programma politico dell'Uomo Qualunque veniva anticipato e spiegato sulle pagine del settimanale. Era auspicato l'avvento di uno stato amministrativo contrapposto allo stato etico, di un governo dei tecnici contrapposto a quello dei politici («...Un buon ragioniere, che entri in carica il primo gennaio, che se ne vada il 31 dicembre, che non sia rieleggibile per nessuna ragione…» scriveva Giannini nel numero inaugurale
dell'Uomo
Qualunque),
un
antipartitismo
assoluto,
liberazione della «Folla» dai «Capi», «salvezza del contribuente», fine delle epurazioni poiché, obiettava Giannini, "tutti gli italiani erano stati fascisti"27, restituzione dei mezzi di produzione ai grandi industriali del Nord ("Per fare un esercito ci vogliono i generali, per fare le industrie ci vogliono gli industriali"28), privatizzazione di poste e telegrafi, telefoni, ferrovie, monopoli e di ogni altro genere di attività statale. La polemica politica dell'Uomo Qualunque era rivolta soprattutto contro l'opera dei partiti del CLN. Nelle sue invettive, "Giannini condannava il potere in quanto tale, quale che ne fosse la colorazione ideologica. Ma, in quel momento, il potere era dell'antifascismo, ed era naturale che fosse esso il bersaglio principale"29. Le tematiche antiresistenziali e anticomuniste guadagnarono al movimento le simpatie di neofascisti, reazionari, conservatori, exrepubblichini. Per ciò che riguarda i legami tra FUQ ed estrema destra, tuttavia, "non si può parlare di un passaggio diretto, di filiazione, tra qualunquismo e neofascismo"30. La polemica qualunquista, piuttosto, assumeva importanza, nella prospettiva dei neofascisti, nel fornire "legittimità ad alcuni temi antiresistenziali"31 e nel costituire uno spazio 26
Cfr. G. Pallotta, op.cit., pp.31-32
27
S.Setta, op. cit. L'uomo Qualunque 1944-1948, p.138
28
G. Giannini, Le Vespe, 9.5.1945 (citato da S.Setta, op. cit. L'uomo Qualunque 1944-1948, p.68) 29
S. Setta, op. cit. L'uomo Qualunque 1944-1948, p. 61
30
P. Ignazi, Il Polo escluso. Profilo del Movimento Sociale Italiano, op.cit., p.32
31
Ibidem, p.32
12
per l'espressione del dissenso contro l'assetto democratico postbellico. Le affermazioni di Giannini contro la passata dittatura; la posizione di destra conservatrice che il FUQ aveva assunto, in pesante contrapposizione con la tendenza socializzatrice che predominava nel neofascismo nel dopoguerra32; le diverse radici ideologiche; la «terza via» riproposta dai neofascisti fortemente in contrasto con la vocazione conservatrice e ultraliberale del qualunquismo; l'abisso esistente tra la concezione eroica della vita ereditata e propugnata dal neofascismo, e la visione dell'uomo qualunque, del meschino desiderio di un'esistenza votata al quieto vivere e al gretto badare solo al proprio «particolare». Tutto ciò fa capire come l'adesione dei neofascisti all'Uomo Qualunque potesse inquadrarsi solo nel contingente; "un «ombrello»33 di cui servirsi nei momenti di burrasca, da abbandonare una volta tornato a splendere il sole"34.
32
"Siamo gli uomini che per lunghi anni hanno inteso di dare al fascismo, sopra ogni cosa, volto e contenuto realmente rivoluzionari; siamo i superstiti di quella che, a torto o a ragione, fu definita la «sinistra del fascismo»...", firmato Paulus, "Fede nel socialismo", La Rivolta Ideale, 21.8.1947 (citato da S.Setta, La Destra nell'Italia del dopoguerra, Roma-Bari, Laterza, 1995, p.110) 33
G.Giannini, "Discorso agli amici di Toscana", L'Uomo qualunque, 27.8.1947 (citato da S.Setta, La Destra nell'Italia del dopoguerra, op.cit., p.111) 34
S.Setta, La Destra nell'Italia del dopoguerra, op.cit., 1995, pp.111-112
13
1.2 La fondazione del MSI. Le diverse anime del partito.
Si riprenderà ora la ricostruzione delle vicende dell'estrema destra italiana nell'immediato dopoguerra. Il Fronte dell'Italiano, come già chiarito in precedenza, era sorto intorno alla pubblicazione "La Rivolta Ideale", diretta da Giovanni Tonelli. Essa ricopriva un ruolo di punta nel mondo della stampa neofascista, di cui facevano parte decine di giornali e riviste sulle cui pagine si scontravano i rappresentanti delle diverse anime della destra, dai nostalgici che si limitavano a riproporre il modello corporativistico (es. "Rataplan" e "Il Merlo Giallo"), ai fautori della socializzazione integrale e di un rapporto organico con la classe operaia (es. "Meridiano d’Italia" e "Rosso e Nero")35. Il Fronte era stato costituito con l'intenzione di coagulare intorno ad esso tutte le forze disperse del fascismo. Nella seconda metà del '46 cominciarono ad apparire sulle pagine de "La Rivolta Ideale" appelli all'unione di tutte le formazioni e i movimenti della destra. Fu così che, grazie anche alla ritrovata libertà da parte di molti dei dirigenti del passato regime e al nuovo clima instauratosi con l'amnistia, si avviarono i primi contatti tra i gruppi. Tale processo di aggregazione portò, il 26 dicembre 1946, in via Regina Elena a Roma, alla fondazione del MSI. Tra i partecipanti all'incontro, il ragioniere Arturo Michelini, già vicesegretario del PNF. a Roma, il giornalista Giorgio Pini, l'archeologo Biagio Pace, il sindacalista Francesco Galante, Pino Romualdi, che si dichiarava figlio naturale di Mussolini, e Giorgio Almirante36. Quest'ultimo, che sotto il fascismo aveva scritto per la pubblicazione razzista "La difesa della razza" e aveva diretto il giornale "Tevere", e che nella RSI era stato Capo di
35
Cfr. P. Ignazi, Il Polo escluso. Profilo del Movimento Sociale Italiano, op.cit., p.26
36
Cfr. A.Del Boca-M.Giovana, I figli del sole..., op.cit., p.179 e P. Rosenbaum, Il nuovo fascismo. Da Salò a Almirante, op.cit., pp. 57-58
14
gabinetto al Minculpop (Ministero della Cultura Popolare)37, fu nominato segretario del partito, anche se la spartizione delle cariche avvenne, in quei mesi, in un clima informale, poiché il nuovo soggetto politico, dal punto di vista organizzativo, doveva ancora strutturarsi e consolidarsi pienamente. Nella fase che va dalla fondazione al '48, la dirigenza nazionale mantenne un controllo attento "sull'evoluzione della propria struttura organizzativa"38. Le persone che si accostavano al neonato MSI, ricevevano la delega a rappresentare il partito in periferia solo se considerate affidabili in virtù del proprio passato. La fermezza nei criteri di reclutamento si stemperò progressivamente nel periodo successivo, con il crescere impetuoso del numero degli iscritti al partito. Il 15 giugno 1947, venne convocato il primo Comitato Centrale, che procedette all'elezione formale di Almirante a segretario, e alla nomina di una Giunta Nazionale Esecutiva, i cui membri erano responsabili ciascuno di un settore di attività. Con questi atti si concluse la fase preliminare di organizzazione del MSI39. In questa primissima fase di vita del MSI fu molto forte l'influenza della componente «socializzatrice». Il partito nacque in "stretta e diretta discendenza dall'esperienza del fascismo «sociale» della RSI"40. Dall'area dei reduci della Repubblica di Salò venivano buona parte dei quadri e dei fondatori: da Almirante (dei cui precedenti si è già riferito) a Pino Romualdi, che aveva ricoperto la carica di vicesegretario nel partito fascista repubblicano, a Roberto Mieville, giovane ex ufficiale della RSI, proveniente direttamente dai criminal fascists camps41, a Giorgio Pini, ex-sottosegretario a Salò.
37
P. Rosenbaum, Il nuovo fascismo. Da Salò a Almirante, op.cit., p.57
38
Cfr. P. Ignazi, Il Polo escluso. Profilo del Movimento Sociale Italiano, op.cit., p.39
39
Ibidem
40
M. Revelli, La destra nazionale, Milano, Il Saggiatore, 1996, p.11
41
A.Del Boca-M.Giovana, I figli del sole..., op.cit., p.184
15
L'eredità
salotina
influenzò
profondamente
anche
l'assetto
ideologico del nuovo movimento. Dal fascismo di Salò si originò quell'anticapitalismo etico, a-classista e anticlassista che segnò fortemente l'identità delle origini: "l'altezzoso culto delle minoranze eroiche e delle elites dello spirito [...]; l'orgoglioso senso di separazione, di non appartenenza al «mondo di rovine» a al «deserto» della civiltà contemporanea, regno della quantità e delle masse indifferenziate, del dominio del denaro e del mercante, a cui si intendeva contrapporre l'etica guerriera, assoluta e qualitativa, della comunità combattente saldata dai miti dell'onore e della fedeltà"42. In sintesi, un impianto ideologico "fortemente antistorico, particolarmente adatto a compattare una comunità di «vinti» contro il «senso della storia»; ad alimentare quella cultura della sopravvivenza in un ambiente storicamente ostile che costituì uno dei tratti distintivi del fenomeno politico neofascista"43. Portatrice
di
una
carica
ideologica
rivoluzionaria,
antidemocratica, repubblicana e fortemente antisistema, fu, quindi, la componente salotina a dominare nei primi mesi di vita del partito (almeno
fino
alle
elezioni
del
'48).
L'influenza
della
corrente
socializzatrice è evidente in uno dei primi documenti ufficiali del partito, i 10 «Orientamenti Programmatici» redatti in prima stesura da Ezio Maria Gray e da Pino Romualdi, ma rivisti e rielaborati da tutto il gruppo dirigente44. Nel testo, che annuncia la nascita del partito, il tema della socializzazione è affrontato in modo diretto nell'8° punto, quando si parla di una «Effettiva compartecipazione dei lavoratori alla gestione dell'azienda e ai riparti degli utili»45.
42 43
M. Revelli, La destra nazionale, op.cit, p.14 Ibidem
44
Cfr. P. Ignazi, Il Polo escluso. Profilo del Movimento Sociale Italiano, op.cit., p.41
45
Cit. in M. Revelli, La destra nazionale, op.cit., p.16
16
Palese è anche il riferimento al programma socializzatore della Carta di Verona46. A sostegno di questa linea «rivoluzionaria», ostile sia al collettivismo marxista che al liberalcapitalismo, erano, il gruppo dirigente almirantiano, la sinistra interna capeggiata da Ernesto Massi e Giorgio Bacchi, e i gruppi raccolti intorno alla "Rivolta Ideale", al periodico "Meridiano d'Italia" e alla rivista "Rosso e Nero". Questi ultimi, rivendicando una posizione di sinistra, spingevano per un'intesa con il Partito Socialista, in nome di un "socialismo nazionale"47 e di una «sana sinistra nazionale»48. Intorno ad Arturo Michelini, invece, si coagulavano gli elementi più conservatori e moderati del neonato partito. Era il gruppo di coloro che
si
richiamavano
più
al
modello
corporativo
che
alla
«socializzazione»; notabili ed esponenti maturi del fascismo regime e anche ex-gerarchi di Salò, lontani tuttavia dalla carica ribellistica dei giovani accorsi a «...guardare in faccia la morte...»49 (la "bella morte"50). E' questa la componente destinata a prendere inesorabilmente il sopravvento dopo le elezioni del '48, nonostante Almirante riesca a conservare la segreteria fino al gennaio '50, quando viene sostituito da
46
Il Manifesto di Verona, costituito da 18 punti programmatici, fu presentato da Mussolini nel novembre ’43, al primo congresso del Partito fascista repubblicano. Esso concretava l’idea mussoliniana di un ritorno del fascismo repubblicano alla concezione nazional-sindacalista delle origini. Il programma della Carta di Verona era fortemente connotato in senso socialrivoluzionario: il lavoro era la base dello stato, e la proprietà privata era garantita purché non divenisse «disintegratrice della personalità fisica e morale, attraverso lo sfruttamento del lavoro»; erano previste la nazionalizzazione dell’economia, la cooperazione delle forze produttive all’interno delle fabbriche, il diritto alla casa regolato e garantito per legge, la redistribuzione delle terre incolte o male amministrate, l’unità sindacale; la politica estera doveva avere come obiettivi principali la lotta alle plutocrazie, l’abolizione del capitalismo, il comune sfruttamento delle ricchezze naturali dell’Africa nel rispetto dei popoli dell’Islam e di quelli già organizzati. (Cfr. P. Rosenbaum, Il nuovo fascismo da Salò ad Almirante, op.cit., pp.25-27) 47
P. Ignazi, Il Polo escluso. Profilo del Movimento Sociale Italiano, op.cit., p.42
48
Non firmato, "Sinistra nazionale", in Rivolta Ideale, 3.7.1947, cit. in P. Ignazi, Il Polo escluso. Profilo del Movimento Sociale Italiano, op.cit., p.43
49
Tratto da una lettera scritta da un'ausiliaria della RSI alla madre, cit. in F.Ferraresi, Minacce alla democrazia. La destra radicale e la strategia della tensione in Italia nel dopoguerra, Milano, Feltrinelli, 1995, p.80 50
Ibidem
17
Augusto De Marsanich, ex-sottosegretario alle Poste e Telegrafi e poi alla Marina Mercantile durante il fascismo. Per completare la geografia politica del MSI è necessario anche richiamare l'attenzione su di una terza corrente, quella «tradizionalista» e «spiritualista» del gruppo dei giovani intellettuali riunitisi intorno alla rivista "Imperium". Capeggiati da Pino Rauti e Enzo Erra, e fortemente legati all'insegnamento di Julius Evola (pensatore la cui opera sarà analizzata
nel
radicalmente
terzo
capitolo),
antimoderna
erano
del
partito,
portatori
dell'anima
"insieme
più
antiliberale,
antisocialista, anticristiana e neopagana"51. Essi si opponevano al socialismo e all'intesa con i socialisti in quanto concepivano il fascismo come "interprete dei valori della «tradizione»"52; quindi "l'esito della lotta che oggi si combatte fra capitalismo e socialismo è per noi indifferente. Entrambi sono infatti i nostri mortali nemici in quanto rappresentano una stessa concezione della vita che è inconciliabile con quella che anima la nostra idea"53. Caratteristica di questa terza corrente nel partito fu l'ambiguità, e la scelta di praticare la doppia strategia dell'attività legale e delle azioni clandestine. Ne è prova l'arresto di alcuni tra i principali esponenti del gruppo nel '51 nel contesto della vicenda dei FAR. Anche se fortemente minoritario all'interno del MSI, il movimento dei «tradizionalisti» è particolarmente importante all'interno di quest'analisi, in quanto diversi appartenenti a tale corrente, negli anni successivi, saranno protagonisti nelle vicende di Ordine Nuovo e di altri gruppi dell’estrema destra.
51
M.Revelli, La destra nazionale, op.cit., p.20
52
P. Ignazi, Il Polo escluso. Profilo del Movimento Sociale Italiano, op.cit., p.43
53
E.Erra, "Andiamoci piano", in Rivolta Ideale, 6.10.1947 (cit. in P.Ignazi, escluso, op.cit., p.43-44)
18
Il polo
1.3 Le elezioni del '48. Da Almirante a De Marsanich. La via legale e la strategia di inserimento nelle istituzioni
Fra il 1948 e il 1953, il MSI riuscì a conquistare una presenza stabile nella politica italiana, e a consolidare e rafforzare la propria organizzazione, insediandosi in tutto il territorio nazionale54. Le prime elezioni cui il partito si presentò furono le amministrative del settembre '47 e le comunali a Roma nell'ottobre dello stesso anno, occasione in cui venne raccolto il 4% dei voti, con l'elezione di tre consiglieri comunali. Decisamente più importanti furono le elezioni politiche del 18 aprile 1948, alle quali il MSI, grazie ad un insediamento territoriale che si faceva sempre più esteso, riuscì a presentare propri candidati in tutte le circoscrizioni, escluse quelle periferiche di Trento-Bolzano e della Valle d'Aosta. Il MSI si presentò alle elezioni con un manifesto programmatico fortemente orientato a sinistra. Punto chiave del programma elettorale del 1948 era «lo Stato Nazionale del Lavoro», indicato come meta principale del partito. Tale espressione indicava "la partecipazione dei lavoratori alla direzione responsabile della produzione e al profitto di impresa"55. In esso "dovrà essere attuata la giusta distribuzione della ricchezza, e il lavoro, liberato da ogni soggezione al capitale, dovrà assumere
la
sua
naturale
funzione
di
soggetto
del
sistema
56
economico" . Centrali erano anche il rifiuto e la contestazione del modello liberal-democratico e alle istituzioni democratico-borghesi: alla "democrazia indifferenziata di individui, nella quale è inevitabile il prevalere dei più forti economicamente e dei demagoghi"57, si 54
Cfr. P.Ignazi, L'estrema destra in Europa, Bologna, Il Mulino, 1994, pp.174-175
55
Programma elettorale del 1948, cit. in P. Ignazi, Il Polo escluso. Profilo del Movimento Sociale Italiano, op.cit., p.46 56 57
Programma elettorale del 1948, cit. in M.Revelli, La destra nazionale, op.cit., p.21 Ibidem
19
contrapponeva una "democrazia qualificata dei produttori che la loro capacità e attività estrinsechino e manifestino nella forma più compiuta ed elevata, e cioè nel lavoro"58. Era auspicato il ritorno a criteri rappresentativi differenziati: "la rappresentanza politica dovrà essere costituita da un Parlamento che sia espressione organica di tutte le forze economiche, spirituali e politiche"59. Al modello competitivo, pluralistico,
conflittuale
e
a
rappresentanza
individuale
delle
liberaldemocrazie, quindi, era contrapposto un modello organicistico e cogestionale di governo dei produttori. Nella seconda parte del programma erano descritti, invece, gli obiettivi immediati del partito, che lo connotavano essenzialmente come una forza nazionalista, autoritaria e
statualista.
costituzionale.
Il Si
primo
obiettivo
chiedeva
la
era
la
richiesta
trasformazione
della
di
revisione Repubblica
parlamentare in una Repubblica presidenziale ("Lo stato deve essere guidato da un Capo eletto dal popolo [...], e posto in condizione di dirigere effettivamente ed efficacemente la cosa pubblica"60). In secondo luogo si affermava una critica radicale alla partitocrazia ("Occorre por fine alla partitocrazia. I partiti devono vivere dentro lo Stato, e non contro lo Stato..."61). Infine erano presentati i temi della pacificazione nazionale, diretti a svilire i valori resistenziali, il richiamo nazionalistico ad un nuovo espansionismo ed egemonismo dell'Italia nel Mediterraneo, e soprattutto il rifiuto e la richiesta di revisione delle clausole penalizzanti l'Italia nei trattati di pace. Quest'ultimo è un punto molto importante. Il rifiuto del «diktat» imposto
dagli
alleati
all'Italia,
insieme
alle
dichiarazioni
antipartitocratiche, avevano un'origine comune, "l'opzione operata dal MSI a favore della nazione come valore politico superiore, di fronte al 58
Ibidem
59
Programma elettorale del 1948, cit. in P. Ignazi, Il Polo escluso. Profilo del Movimento Sociale Italiano, op.cit., pp. 46-47 60
Programma elettorale del 1948, cit. in P.Rosenbaum, Il nuovo fascismo da Salò ad Almirante, op.cit., p.195 61
Programma elettorale del 1948, cit. in M.Revelli, La destra nazionale, op.cit., p.21
20
quale devono ritirarsi tutti gli interessi di parte - siano essi individui, sindacati o anche partiti - per lasciare il posto all'affermazione dell'unico interesse
vero:
quello
della
comunità
nazionale"62.
In
questa
prospettiva, sia la perdita delle colonie e la questione di Trieste, sia il crescente potere dei partiti (si delineava in quegli anni la formazione un vero e proprio regime partitocratico), attentavano all'unità politica della nazione. Tale impostazione di critica radicale all'ordine politico e istituzionale conseguente alla fine del conflitto mondiale, perseguiva due scopi principali. Da una parte, essa era funzionale ad una svalutazione
dell'operato
della
classe
dirigente
della
neonata
repubblica, e, quindi, forniva una piattaforma ideologica adeguata a "smontare il paradigma dell'antifascismo su cui essa si regge"63. Dall'altra, il rifiuto del ruolo egemone delle due superpotenze (USA E URSS), consentiva di dare "una parvenza di corposità
al fantasma
della «terza via», una via diversa e superiore sia al capitalismo che al comunismo, mediana e risolutiva delle incongruenze di entrambi: l'individualismo asociale dell'uno, lo statalismo oppressivo dell'altro"64. La forte carica ideologica che caratterizzava questa impostazione, era un elemento necessario per un partito alla ricerca di una "difficile unità interna"65, e impegnato nella battaglia per la sopravvivenza in un ambiente politico-sociale ad esso fortemente ostile. I risultati delle elezioni furono significativi. Con l'1.6% delle preferenze su scala nazionale, il MSI affermò il proprio ruolo egemone nell’aggregazione delle forze dell’area neofascista. I risultati delle elezioni politiche, tuttavia, evidenziarono alcuni aspetti essenziali per l’identità e il futuro del partito. Innanzitutto, il consenso ottenuto indebolì in modo decisivo coloro che seguitavano a sostenere la linea del clandestinismo antisistema, a favore dei fautori dell’inserimento nelle 62 63 64 65
R. Chiarini, Destra italiana. Dall'unità d’Italia a Alleanza Nazionale, op.cit., p.93 Ibidem Ibidem Ibidem
21
istituzioni e della lotta dall’interno del Parlamento. In secondo luogo, l’analisi dei dati elettorali mise in luce come la maggior parte dei voti (il 69.7%) fossero stati raccolti nel sud e nelle isole, dove la rete notabiliare poteva intercettare il voto moderato, mentre il nord industriale (12.7% dei voti totali), la zona bianca del nord-est (6.4%) e le zone rosse (11.3%), apparivano insensibili e impenetrabili alle proposte della destra. Esemplificativo era il fatto che tutti i parlamentari missini fossero stati eletti in collegi elettorali del Sud: Almirante e Michelini a Roma, Roberti in Campania, Russo Perez in Sicilia, Filosa in Calabria, Franza (che si era presentato come indipendente sulle liste del MSI) nel collegio di Benevento-Ariano Irpino, Mieville nel «collegio nazionale»66. Ciò, ovviamente, contrastava in modo netto con il modello di partito pensato dai fondatori. “In fase di creazione dell’identità collettiva, il MSI era stato concepito come una sorta di movimento dei reduci, che si prefiggeva prima di tutto di rivendicare la legittimità dell’esperienza fascista e di ribadire la fondatezza delle scelte di politica sociale della RSI. Il responso delle urne fa capire che questo messaggio non può assicurargli una quota adeguata di sostegno”67. Si delineava quindi un conflitto all’interno del partito tra i notabili del Sud, e gli eredi dell’esperienza della RSI, i cui protagonisti erano alla testa del partito. Il conflitto tra una base elettorale meridionale, attirata più da richiami nostalgici e conservatori che da programmi socialrivoluzionari, e una dirigenza settentrionale, "orientata in senso neofascista"68, produsse ben presto i suoi effetti. Ciò originò, infatti, un graduale processo di smorzamento delle passioni rivoluzionarie. Inoltre, la tornata elettorale mutò i rapporti di forza nel partito a favore della componente più moderata e conservatrice. Anche se al I congresso di
66
Cfr. M.Revelli, La destra nazionale, op.cit., pp.24-25
67
M.Tarchi, Dal MSI ad AN. Organizzazione e strategie, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 33-34 68
R. Chiarini, Destra italiana. Dall'unità d’Italia a Alleanza Nazionale, op.cit., p.95
22
Napoli (27-29 giugno 1948) Almirante riuscì a conservare la segreteria, la sua posizione si indebolì in modo decisivo, fino all’avvicendamento con De Marsanich (15 gennaio 1950), dopo una tenace resistenza. E’ tuttavia necessario analizzare le diverse fasi di tale passaggio. Il I Congresso del Movimento Sociale Italiano si tenne a Napoli, tra il 27 e il 29 giugno del 1948. Il dibattito congressuale ebbe la sua base in tre relazioni precongressuali approvate dal Comitato Centrale. Delle tre, la più significativa è quella sulla «Politica sociale ed economica»69, che “inquadra la proposta missina in continuità con gli «esperimenti» effettuati dal regime fascista”70. Le altre due, riguardanti, rispettivamente,
«Politica
interna
e
costituzionale»71
e
«Politica
estera»72, avevano minore rilevanza. La prima si limitava a ribadire l’opposizione missina alla creazione dell’istituto delle regioni, mentre la seconda riaffermava il rifiuto del trattato di pace, operando, al contempo, (aspetto, questo, molto importante) una netta scelta di campo, definendo il MSI "presidio dei valori occidentali"73. Il dibattito congressuale vide contrapposte, al solito, le tesi dei «socializzatori» e dei «corporativisti». Giorgio Bacchi, Ernesto Massi e Giorgio Almirante, riaffermarono l’orientamento alternativista della loro componente, ponendo
l’accendo
sul
processo
di
socializzazione,
sulla
programmazione nazionale (contrapposta alla libera concorrenza), sul privilegiare il momento repubblicano del fascismo rispetto a quello del regime (di cui si riconosceva tuttavia il valore). Ai veronisti rispose Augusto De Marsanich, con “un intervento di sintesi tra corporativi e socializzatori che marca l’esito congressuale”74. Ampi stralci del suo discorso vennero infatti inseriti nella mozione conclusiva: il rilancio
69
Cit. in P. Ignazi, Il Polo escluso…, op.cit., p.48
70
P. Ignazi, Il Polo escluso…, op.cit., p.48
71
Cit. in P. Ignazi, Il Polo escluso…, op.cit., p.48
72
Ibidem
73
Ibidem, p.49
74
Ibidem, p.50
23
dell’Idea corporativa "in contrapposizione al liberismo alla filosofia del materialismo
storico
e
della
lotta
classe"75,
di
il
tema
della
riconciliazione nazionale "tra le generazioni che il dramma della guerra civile ha diviso"76, l’atteggiamento del partito di fronte al fascismo, che accoglieva l’interpretazione di De Marsanich del "Non rinnegare e non restaurare, respingendo tanto le rivendicazioni totali quanto le condanne indiscriminate del passato"77. Alla conclusione del congresso, la leadership di sinistra mantenne il controllo del partito. La Direzione riconfermò Almirante alla segreteria,
mentre
Michelini,
Roberti
e
Massi
furono
nominati
vicesegretari. Al II Congresso Nazionale di Roma (28 giugno-1 luglio 1949) si ripropose lo scontro tra gli ex-salotini e i moderati, che stavano lentamente prendendo il sopravvento all’interno del partito. Tre erano i punti chiave attorno ai quali verteva il dibattito: la collocazione del MSI nello spazio politico e le eventuali aperture strategiche verso altre forze, la questione dell’adesione o meno all’Alleanza Atlantica, la linea da seguire in materia sociale ed economica. Sul primo punto, mentre la sinistra del partito ribadiva che "quelli che rimasero fedeli a se stessi nella Repubblica Sociale non sono elementi di destra […] Chi concepisce il Movimento Sociale in funzione esclusivamente anticomunista, conservatrice e reazionaria non è di casa"78, i moderati aprivano ai «traditori», cioè ai badogliani e ai monarchici, che potevano secondo loro essere utili nella prospettiva di un'alleanza anticomunista. In politica estera, la contrapposizione tra chi subordinava l’adesione al Patto Atlantico alla revisione delle clausole più umilianti del trattato di pace (conservazione delle colonie, diritto al riarmo, 75 76
Mozione finale del I Congresso, cit. in P. Ignazi, Il Polo escluso…, op.cit., p.51 Ibidem
77
Mozione finale del I Congresso, cit. in M.Revelli, La destra nazionale, op.cit., p.26
78
Intervento di Giorgio Pini, citato in P.Ignazi, Il Polo escluso, op.cit., p.54
24
reintegro di Trieste e della Venezia Giulia), e le posizioni più aperte dell’ala moderata rimase insoluta. In realtà la questione andava a toccare un nodo fondamentale per l’identità stessa del partito. Aderire alla Nato, infatti, significava sì compiere una scelta di campo nella direzione della difesa dei valori occidentali, ma anche rinunciare al mito del fascismo come terza via tra capitalismo e comunismo79. Il dibattito sui temi economici, non vide invece cambiamenti rilevanti rispetto al congresso di Napoli. Al termine del congresso Almirante, nonostante le difficoltà e i contrasti interni, riuscì a non perdere la segreteria, grazie ad un compromesso con i moderati (De Marsanich, Roberti, Michelini). Nel biennio ‘49-’50, il MSI proseguì sulla via del consolidamento organizzativo80. Nuove sezioni del partito vennero aperte in tutto il territorio del paese (anche se, al solito, con una netta prevalenza del centro-sud). Il MSI organizzò e promosse la nascita di alcune strutture collaterali. Grazie all’opera di Roberto Mieville sorsero prima il Raggruppamento Giovanile Studenti e Lavoratori (RGSL), nel marzo ’49, e successivamente, nel maggio ’50, il Fronte Universitario di Azione Nazionale
(il
FUAN,
che
grande
importanza
avrebbe
avuto
nell’organizzare la componente giovanile del partito). Nel marzo ’50 fu fondata la CISNAL (Confederazione Italiana Sindacato Nazionale Lavoratori)81. Sorsero infine l’ENAS (Ente Nazionale di assistenza), un ente assistenziale, e alcune organizzazioni per i reduci e gli excombattenti:
accanto
alla
Federazione
Nazionale
Combattenti
Repubblicani (nata nel ’47), videro la luce in quegli anni l’Associazione Combattenti d’Italia, la Federazione Nazionale Combattenti e Profughi Italiani d’Africa, gli Arditi d’Italia e altre ancora82.
79
Cfr. P. Ignazi, Il Polo escluso…, op.cit., p.56
80
Cfr. Cfr. P.Ignazi, L'estrema destra in Europa, op.cit., pp.174-175
81
Cfr. P. Ignazi, Il Polo escluso…, op.cit., pp.60-62
82
Per una rassegna maggiormente completa si veda P.G.Murgia, Ritorneremo!, Milano, SugarCo, 1976, p.265
25
La strategia di logoramento messa in atto dal gruppo dei conservatori e dei notabili, ebbe finalmente successo nel 1950: il 15 gennaio (come già ricordato), Augusto De Marsanich subentrò ad Almirante alla guida del partito. Da questo momento, cominciarono a stemperarsi alcune questioni chiave portate avanti dagli elementi più rivoluzionari. Il tema del lavoro si delineò sempre più in chiave corporativa e interclassista (non più, quindi socializzatrice) “man mano che andavano facendosi sempre più stretti i rapporti con la componente più conservatrice del mondo industriale”83. Si stemperò, inoltre, l’opposizione missina ad un’adesione all’alleanza atlantica, e il partito si riallineò su posizioni atlantiste, anche se permasero le riserve sul trattato di pace. Il manifestarsi della Guerra fredda, e il nuovo clima instauratosi nei rapporti tra le potenze mondiali, non tardarono a portare i loro effetti nel mondo politico italiano. “A tracciare l’alveo del sistema politico non c’è più solo l’argine dell’antifascismo. Subentra, e con forza forse maggiore, l’argine dell’anticomunismo”84. Il MSI vide, quindi, concretarsi la possibilità di superare l’isolamento di cui era fatto oggetto, adottando una strategia che, depurata dei richiami più rivoluzionari ed eversivi, si appellasse alla difesa della civiltà occidentale, e dell’ordine esistente contro la «minaccia rossa». E in tale direzione si volsero gli sforzi degli elementi più moderati del partito, nonostante la fortissima opposizione interna dei «duri» di Salò e dei giovani, che si rifiutavano di scendere a compromessi
con
le
forze
conservatrici85.
L’atteggiamento
più
possibilista dei moderati in fatto di alleanze venne presto alla luce, con il primo atto politico della segreteria De Marsanich, che nel febbraio ’50 lanciò la proposta di una costituzione di un patto di unità d’azione tra le diverse forze della destra. Questa strategia portò all’accordo con i monarchici per le elezioni amministrative del ‘51. 83
M.Revelli, La destra nazionale, op. cit., p.26
84
R.Chiarini, Destra italiana. Dall'unità d’Italia a Alleanza Nazionale, op. cit., p.101
85
M.Revelli, La destra nazionale, op. cit., pp.25-26
26
Tuttavia, la svolta moderata del MSI non passò inosservata. Essa, oltre a suscitare un'aspra polemica interna da parte dell’area degli intransigenti, attirò l’attenzione della Democrazia Cristiana. La DC, la maggior forza politica del paese, temeva di perdere, a favore del cartello delle destre, una parte del proprio elettorato moderato. L’alleanza tra MSI e PNM, ora che la corrente rivoluzionaria dei missini aveva avuto la peggio, minacciava seriamente di erodere da destra l’area del consenso democristiano, soprattutto in un momento in cui le polemiche successive alla riforma agraria e al Piano Vanoni86 esponevano il partito agli attacchi dei settori più conservatori del paese87. Di conseguenza, la DC mise in atto una strategia bifronte, repressiva da un lato, e integrativa dall’altro, per contrastare la crescente influenza delle destre. Da una parte tentò di stroncare sul nascere la genesi di un blocco conservatore alternativo. Per prima cosa, venne vietato il congresso del MSI di Bari previsto per i giorni 2-4 novembre 1950. Poi, i democristiani posero in esecuzione due manovre ben più pericolose per il partito di De Marsanich. Nel giugno '52 venne approvata la cosiddetta legge Scelba, che vietava la ricostituzione del disciolto Partito Nazionale Fascista sotto ogni formula e nome. Poi, venne varata la modifica in senso maggioritario del sistema elettorale proporzionale (la cosiddetta «legge truffa»), con l'introduzione di un premio di maggioranza di 2/3 dei seggi al partito (o alla coalizione) che
86
Il Piano Vanoni fu proposto nel 1954 da Ezio Vanoni (Ministro delle Finanze tra il 1948-1954, e del Bilancio tra il 1954-1956) come un tentativo di risolvere almeno in parte i problemi economici del meridione. Il progetto, attraverso investimenti pubblici diretti e incentivi all'industria privata da parte dello Stato, prevedeva la creazione nel Mezzogiorno di quattro milioni di posti di lavoro nell'arco di dieci anni, e il raddoppio del tasso di crescita del reddito. Il piano, che in realtà non arrivò mai al Parlamento, suscitò molte proteste da parte degli industriali del nord e dei proprietari terrieri, che, in primo luogo, non gradivano la campagna lanciata simultaneamente da Vanoni contro l'evasione fiscale, e, in secondo luogo, preferivano un tipo di sostegno statale che attraesse l'investimento privato al Sud attraverso credito a buon mercato, riduzione dei costi di trasporto e incentivi fiscali. Cfr. D. Mack Smith, Modern Italy. A political History, London, Yale University Press, 1997 (tr. It. Di A. Acquarone, G. Ferrara degli Uberti, M. Sampaolo, Storia d'Italia dal 1861 al 1997, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 582-583) 87
Cfr. P. Ignazi, Il Polo escluso…, op.cit., p.63
27
avesse superato la soglia del 50%, in modo da porre in modo netto all'elettore il quesito su chi dovesse governare, con l'intenzione di "ricreare le condizioni di una polarizzazione politica tra centro e sinistra"88. In realtà, la legge Scelba rimase inapplicata, "dando l'impressione che essa fosse stata soltanto, da un lato, una concessione
formale
al
mondo
antifascista,
[...],
dall'altro
un
avvertimento generale al partito neofascista perché esso rigettasse ogni velleità di opposizione rivoluzionaria al sistema"89, mentre, alle politiche del '53, fallì il tentativo della coalizione guidata dalla DC di arrivare alla soglia del 50% (seppure per poche migliaia di voti). Alla linea «dura» di De Gasperi e Scelba, tuttavia, nella compagine scudocrociata, si contrapponeva la linea «morbida», sostenuta da Luigi Gedda, il potente capo dell'Azione Cattolica, e dagli ambienti vaticani. Venne così inaugurata una strategia dell'attenzione per il riassorbimento del MSI nell'area moderata anticomunista90. L'episodio
più
clamoroso
di
questo
ambiguo
rapporto
di
disponibilità/discriminazione tra destra e DC negli anni '50, fu la cosiddetta «operazione Sturzo», alle comunali romane del '52. Per assicurarsi la riconquista dell'amministrazione capitolina contro la coalizione socialcomunista capeggiata dal vecchio leader liberale Francesco Nitti, il Vaticano, e il pontefice Pio XII in prima persona, spinsero per la creazione di una lista civica unica con monarchici e missini "capace di salvaguardare lo spirito cristiano dell'Urbe"91, affidando l'incarico al vecchio fondatore del Partito Popolare. Il tentativo fallì per i contrasti tra Gedda e De Gasperi, per le proteste dei partiti laici e della base giovanile dell'Azione Cattolica, e per le esitazioni del MSI92.
88
R.Chiarini, Destra italiana. Dall'unità d’Italia a Alleanza Nazionale, op. cit., p.104
89
S.Setta, La Destra nell'Italia del dopoguerra, op. cit., p.27
90
Cfr. M.Revelli, La destra nazionale, op. cit., p.27
91
S.Setta, La Destra nell'Italia del dopoguerra, op. cit., p.25
92
Cfr. P.Ignazi, Il Polo escluso…, op.cit., p.65
28
Anche la strategia di eliminazione del polo di destra perseguita da Scelba non ebbe successo, poiché, per l'ostruzionismo dei parlamentari missini e per il non deciso appoggio delle sinistre (interessate ad un erosione da destra del consenso democristiano), i democristiani non riuscirono a far approvare la legge Scelba prima delle amministrative del centro sud (maggio '52), occasione in cui il successo delle liste neofasciste, passate da 453.548 a 1.403.094 voti (11.8%), "è tale da vanificare la portata della successiva conversione in legge della proposta scelbiana"93. Il 26-28 luglio a L'Aquila si celebrò il III Congresso del MSI. De Marsanich si presentò all'assemblea forte di buoni risultati. Il partito, sotto la sua guida, aveva raggiunto ottimi riscontri elettorali, aveva aumentato il proprio potere di coalizione, era stato legittimato dalla partecipazione all'amministrazione di alcuni comuni meridionali, tra i quali si annoveravano anche Napoli e Bari. Tuttavia il segretario, e l’ala conservatrice
che
egli
rappresentava,
si
ritrovò
a
fronteggiare
un'opposizione di sinistra molto forte, e non rassegnata a lasciare mano libera ai moderati. Giorgio Pini, uno dei suoi leader, affermò esplicitamente che il partito "deve scegliere [...] fra la sua naturale funzione dinamica, rivoluzionaria [...] e l'errore immenso di lasciarsi trascinare nella funzione di satellite e di braccio secolare delle forze statiche e conservatrici ora predominanti sulla scena politica..."94. Il contrasto tra i «sociali» del nord (riuniti in particolare intorno alla rivista milanese "Meridiano d'Italia"95), e la dirigenza era netto. I missini delle federazioni settentrionali si trovavano a fronteggiare atterriti una imprevista meridionalizzazione del MSI, e uno spostamento del partito, al di là dei proclami di facciata, su posizioni conservatrici, filoclericali e atlantiste. L'opposizione interna era ancora troppo forte per permettere alla 93
P.Ignazi, Il Polo escluso, op.cit., p.66
94
P.G.Murgia, Ritorneremo!, op.cit., pp.277-278
95
Cfr. P.Ignazi, Il Polo escluso, op.cit., p.68
29
destra del partito di prevalere in modo netto. La sinistra ottenne una vittoria sostanziale. De Marsanich si vide costretto nella sua relazione finale a minimizzare il tema dell'adesione al Patto Atlantico, a riconfermare l'inaccettabilità del diktat, a invocare «il diritto del popolo italiano alla messa in valore e alla civilizzazione dell'Africa», a parlare di un raffreddamento dell'alleanza con i monarchici e a ribadire l'impegno sul piano sociale promuovendo la CISNAL. Tuttavia, tale vittoria non influì sulla composizione della segreteria. In conclusione, il III Congresso, non fece altro che ribadire le caratteristiche ambigue di un partito ancora connotato fortemente in senso nostalgico e antisistema, che "continua a vivere di impulsi squadristici al nord e di accordi di potere
al
sud,
criptocapitalistiche,
di
proclami
di
eroico
socializzatori isolamento
e
e di
di
tentazioni
contrattazione,
96
revanscismo e di atlantismo . Un'ultima annotazione riguarda la componente giovanile del partito. Nei primi anni '50 al FUAN venne lasciata ampia libertà di azione, e il movimento fu abile nell'intercettare il malcontento per la questione
di
Trieste,
cavalcando
l'onda
del
nazionalismo
e
dell'irredentismo. Il culmine di questo processo si ebbe alla fine del '53, quando a Trieste sei dimostranti vennero uccisi dalla polizia del governo militare alleato. Forti furono i successi nelle scuole medie superiori, dove si consolidò la «Giovane Italia», l'associazione degli studenti vicini al MSI, e nelle università, dove i missini fronteggiavano i giovani di sinistra (spesso cercando lo scontro fisico), e dove il FUAN raccolse risultati lusinghieri
alle elezioni universitarie del periodo,
raccogliendo circa il 20% dei voti nazionali, e conquistando la maggioranza assoluta in atenei prestigiosi quali Perugia, Bari e Roma, e la maggioranza relativa a Palermo, Pisa, Catania, e al Politecnico di Milano97.
96
P.Ignazi, Il Polo escluso, op.cit., p.71
97
Cfr. P.Ignazi, Il Polo escluso..., op.cit., p.72
30
1.4 Viareggio '54. La segreteria Michelini.
Con i successi alle elezioni amministrative del '51-'52 e alle politiche del '53, e il fallimento del tentativo di Scelba, poteva dirsi conclusa la fase della lotta per la sopravvivenza del MSI. Gli anni ’50 videro un susseguirsi di congressi, nei quali la dirigenza tentò di assumere il controllo completo del partito, senza peraltro mai riuscirvi pienamente, nonostante un indubbio consolidamento. Il IV Congresso si tenne a Viareggio, tra il 9-11 gennaio 1954. Fu in quest’occasione che vennero gettate le basi per una strategia di inserimento del partito nell’area governativa. A Viareggio venne introdotto il meccanismo delle mozioni, per cercare di dare un peso alle diverse correnti presenti nel Movimento Sociale. Fissato un quorum di 120 voti precongressuali per mozione, solo tre proposte superarono tale quota, ciascuna corrispondente ad una delle tre tendenze principali presenti all’interno del partito. La prima mozione, «Per l’unità del movimento»98 fu presentata dalla corrente di maggioranza (cui si era aggiunto anche Almirante); la seconda, «Per una repubblica sociale»99, raccoglieva la sinistra antimarxista di Massi, Endrich, Palamenghi-Crispi; infine, la terza, denominata «Per la grande Italia»100,
venne
proposta
dal
gruppo
dei
giovani
spiritualisti
tradizionalisti facenti capo a Enzo Erra e Pino Rauti. I tre giorni del congresso videro emergere una forte conflittualità tra le diverse anime del partito. La mozione della segreteria venne illustrata da Tripodi. Nel suo intervento (fortemente critico rispetto alle proposte concorrenti), pur riconoscendo la crisi della società italiana e del mondo politico, sottolineò la necessità di agire comunque all’interno delle istituzioni 98 99
Cit. in P.Rosenbaum, Il nuovo fascismo da Salò ad Almirante, op.cit., pp.200-201 Ibidem
100
Ibidem
31
esistenti per perseguire gli scopi del partito: "non è possibile vivere fuori dal mondo […]: il sistema è in crisi, eppure bisogna viverlo"101. Infine, affrontando la questione della socializzazione, la definì "un valore spirituale"102, e attaccò la sinistra, tacciando Massi e i suoi alleati di criptocomunismo. In un clima di contrapposizione frontale, risposero Massi, affermando l’inutilità della presenza del partito nelle istituzioni di governo, suggerendo invece il ricorso all’azione diretta, e i leader della corrente tradizionalista, che espressero in modo netto la propria avversione al metodo democratico (celebre rimase la frase di Rauti: "La democrazia è un’infezione dello spirito"103). Alla conclusione dei lavori, il congresso non riuscì ad esprimere una maggioranza sicura, né una precisa linea politica. Il centro possibilista di De Marsanich e Michelini (e in quel momento anche di Almirante) raccolse una larga maggioranza (246 voti), accaparrandosi 46 seggi nel Comitato Centrale, una quota, tuttavia, non sufficiente ad assicurarsi
il
controllo
completo
del
partito.
Anche
la
sinistra
socializzatrice e la destra tradizionalista ottennero, infatti, il numero di voti congressuali necessario ad accedere ai posti nel Comitato Centrale, rispettivamente 160 voti e 31 seggi in Cc la prima, e 120 voti e 22 seggi la seconda. Nel tentativo di arginare l'instabilità esistente nel partito, la segreteria attuò alcune misure interne: l'ingresso negli organi dirigenti di tutte le correnti venne bilanciato attraverso la creazione di un Esecutivo ristretto, mentre venne ridotta l'autonomia della turbolenta componente giovanile, abbassando l'età massima del Raggruppamento giovanile da 30 a 25 anni, e istituendo l'attribuzione diretta delle cariche (prima elettive) da parte degli organi direttivi del partito104. La mozione finale del congresso portò i segni dell'incertezza
101
MSI Direzione Nazionale, Relazione sulla mozione «Per l’Unità del Movimento», Roma, s.s. [1954], p.3 (cit. in P.Ignazi, Il Polo escluso, p.78) 102
Ibidem
103
P.Rosenbaum, Il nuovo fascismo da Salò ad Almirante, op.cit., p.201
104
Cfr. P.Ignazi, Il Polo escluso..., op.cit., p.80
32
esistente nel MSI. Divisa in due parti, nella prima si affermava la crisi del sistema, e al contempo la necessità di agire al suo interno, inaugurando un "modo di stare dentro e contro il sistema, di approfittare di tutte le chances di potere offerte dalle circostanze pur configurandosi come un contropotere, che rappresentava certo una tecnica di gestione dinamica delle proprie contraddizioni interne. Ma che esprimeva anche l'identità stessa, inedita, del neofascismo italiano"105. Veniva dichiarata conclusa la fase ciellenistica emersa dalla Resistenza, e anche la fine del tentativo di costruzione di un regime antifascista a monopolio DC, mentre si entrava in una fase di transizione in cui, pur considerando assai improbabile l'inserimento diretto del MSI in una coalizione di governo, sarebbe stato assicurato il sostegno missino a quelle "formule governative che maggiormente si distaccheranno dal conformismo partitocratico, e che più nettamente isoleranno il virus marxista e il parassitismo capitalista ovunque essi si annidino"106. Nella seconda parte della mozione finale, si disegnava invece "uno scenario di caduta epocale dei grandi valori democratici e sociali nati, con la Rivoluzione Francese dando spazio alla dimensione più estrema all'identità neofascista, e formalizzando la sua incompatibilità con i valori e le forme della democrazia rappresentativa e dello stato di diritto"107 (con accenti che la prudenza aveva probabilmente suggerito di non usare negli anni della «sopravvivenza»). Nell'ottobre del '54 De Marsanich (considerato non abbastanza abile per gestire la complessa situazione) venne sostituito alla testa del partito da Arturo Michelini, che rimarrà segretario fino alla morte, avvenuta nel '69. Michelini guidò il partito nella marcia verso le istituzioni, già iniziata nell'agosto '53 con il sostegno indiretto del MSI al governo
105
Pella.
Episodi
rilevanti
di
questo
periodo
furono
la
M.Revelli, La destra nazionale, op.cit., p.30
106
Mozione del IV Congresso, in Vent'anni del MSI al servizio della patria, Roma, Edizioni Fiamma, s.d. [1966], p.42 (cit. in P.Ignazi, Il Polo escluso, op.cit., pp.81-82)
107
M.Revelli, La destra nazionale, op.cit., p.33
33
partecipazione alla maggioranza che elesse Giovanni Gronchi alla Presidenza della Repubblica, il sostegno ai governi Segni (marzo '57 e febbraio '59) e Zoli (giugno '57). Continuarono le proposte di aggregazione per una grande destra (patto di alleanza con i monarchici per le amministrative del '56). Tuttavia, se da una parte proseguiva il cammino verso l'inserimento nell'area della rispettabilità borghese, dall’altra, il partito continuava a celebrare il richiamo al fascismo, mentre
la
componente
giovanile
era
strumentalizzata
in
modo
spregiudicato nelle manifestazioni di piazza per Trieste e poi per i fatti d'Ungheria. Il MSI "in tutti i modi si sforza di accreditarsi come la vera, indomita e indomabile, forza del sistema. [...] Per completare la sua lunga «marcia nelle istituzioni» gli manca solo l'approdo del governo centrale"108. Questo processo conduce direttamente ai fatti del 1960. Ma prima di analizzare ciò che avvenne in quell'anno, è necessario ricostruire gli eventi che caratterizzarono il V Congresso del partito. Il V Congresso del MSI si celebrò a Milano, roccaforte della sinistra, al Teatro Dal Verme, il 24-26 novembre del 1956. Michelini si ritrovò a fronteggiare una violenta opposizione interna. Il malcontento verso la linea del partito e verso gli atteggiamenti del massimo dirigente missino ("che dava del lei ai suoi uomini e non si rivolgeva più a loro chiamandoli «camerati» "109), esplose alla conclusione del discorso di Michelini, nel quale egli chiedeva la socializzazione dell'IRI, elezioni immediate, la mobilitazione nazionale contro il comunismo (sfruttando l'onda emotiva determinata dalla controrivoluzione in Ungheria). Tumulti e fischi incendiarono il clima, mentre i radicali attaccavano il segretario al grido di "Meno doppiopetti e più manganelli"110.
108
R.Chiarini, La destra italiana, op.cit., p.108
109
P.Rosenbaum, Il nuovo fascismo..., op.cit., p.203
110
Cit. in P.Rosenbaum, Il nuovo fascismo..., op.cit., p.203
34
Almirante, nel suo intervento, contestò duramente la linea micheliniana, opponendosi alla prospettiva di una «grande destra», percepita
come
una
perdita
di
autonomia
del
MSI
sotto
un
denominatore comune liberale. Le critiche della sinistra missina si rivolsero verso i tentativi di creare una coalizione con i monarchici, che avrebbe comportato un allontanamento del partito dalle sue radici sociali, e, in sostanza, ad un suo snaturamento. "Almirante aveva individuato nel marxismo e nella destra economica i due nemici da battere: «l'uno ci minaccia, l'altro ci finanzia per combattere il primo; la destra economica snatura noi per liberarsi da un potenziale avversario (il fascismo), inducendolo a svenarsi sulle trincee capitalistiche». Lo scontro con il comunismo non deve quindi far appiattire il MSI sulle posizioni della destra, ma al contrario, va affrontato sul terreno sociale"111. Il conflitto, apparentemente insanabile, tra la corrente di sinistra, che voleva caratterizzare maggiormente il MSI in senso sociale rifiutando l'alleanza con i partiti conservatori, e quella di destra, favorevole all'inserimento nel gioco politico anche attraverso un'intesa con gli altri partiti, fu superato grazie al cedimento di Michelini. Egli accolse nella mozione finale ventidue su ventitre emendamenti della sinistra,
ottenendo,
però,
il
ritiro
del
ventitreesimo
e
cruciale
emendamento, quello sull'alleanza con i monarchici112. Il documento conclusivo, così, fu votato a larga maggioranza, mentre la lotta tra le due correnti si trasferì nell'elezione del Comitato Centrale. Alla votazione, il partito si divise quasi nettamente in due. La componente moderata ebbe la meglio sulla sinistra guidata da Almirante per soli sette voti, e Michelini venne rieletto segretario. Tuttavia, il Congresso vide il distacco dal partito degli spiritualisti di Ordine Nuovo (fondato da Rauti nel '54 come Centro Studi all'interno del MSI, e legato inizialmente all'esperienza dei FAR) guidati da Rauti, Graziani,
111
P.Ignazi, Il Polo escluso, op.cit., p.86
112
Cfr. P.Ignazi, Il Polo escluso, op.cit., p.86
35
Signorelli, Delle Chiaie113. Michelini ottenne così il controllo del MSI, anche se il partito rimaneva diviso, e poté proseguire con maggior determinazione nella strategia di inserimento della forza missina nell'area governativa, strategia che conobbe il suo culmine nel 1960.
1.5 1960: il governo Tambroni e il Congresso di Genova
Come si è già visto, numerosi e rilevanti furono, nel periodo 1954-1960, gli episodi di sostegno, diretto o indiretto, del MSI alla compagine governativa. Mancava però, al partito, un ultimo passo, l'ingresso a pieno titolo in una coalizione di governo. La possibilità di accedere all’area governativa si presentò nel 1960. Nel febbraio ‘60, i liberali si ritirarono dal governo Segni, provocandone la caduta. I successivi tentativi di Segni e Fanfani per la costituzione di un nuovo esecutivo ebbero scarso successo. L’incarico passò quindi a Fernando Tambroni, un esponente democristiano già ministro della Marina e dell’Interno sotto gli esecutivi Segni, Fanfani e Zoli. Egli era essenzialmente un opportunista, in buoni rapporti sia con i dirigenti del PSI che con quelli del MSI, e si apprestava a varare un governo di transizione con compiti prettamente amministrativi, per superare il pericolo di una paralisi degli apparati statali114. La situazione precipitò quando la votazione per la fiducia alla Camera, rivelò che i voti dei missini e di quattro monarchici erano stati decisivi per il sostegno al governo (300 voti contro 293). Il sostegno del MSI aveva conferito al nuovo governo un significato politico che non poteva essere ignorato dalla dirigenza democristiana. Seguì una fase convulsa in cui ben dieci 113
Cfr. P.Rosenbaum, Il nuovo fascismo..., op.cit., p.203
114
P. Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi..., op.cit., p.346
36
ministri presentarono le dimissioni nell’arco di un giorno, e i dirigenti della DC sconfessarono l’operato del gruppo parlamentare115. Tambroni fu costretto a dare le dimissioni, ma il successivo incarico esplorativo assegnato a Fanfani fallì nuovamente. Il presidente Gronchi “con un atto costituzionalmente corretto, ma che non mancherà di suscitare le perplessità dell’opinione pubblica”116, chiese a Tambroni di ripresentarsi al Senato per terminare la procedura di fiducia, che venne conquistata con una maggioranza leggermente più ampia rispetto alla votazione precedente (128 favorevoli e 110 contrari). Per la prima volta dal dopoguerra, il MSI si trovò a sostenere da solo un governo democristiano. Era stato raggiunto il culmine del percorso di avvicinamento del partito all’accesso e al condizionamento del potere esecutivo. Il governo attuò una politica di riduzione dei prezzi dei generi di prima necessità, mentre venivano accolte le richieste di aumenti salariali di alcune categorie, e promessi nuovi investimenti nel Mezzogiorno. Erano misure sostanzialmente demagogiche, atte ad ingraziarsi il consenso di certe parti dell’opinione pubblica. Il governo Tambroni, tuttavia, si distinse da quelli precedenti anche per altri motivi. Di fronte agli scioperi e alle manifestazioni popolari del maggio-giugno a Palermo, Bologna e Reggio Emilia (che avevano la loro motivazione in richieste salariali e proteste per l’installazione di missili americani in attuazione dei piani strategici NATO), il capo del governo ordinò espressamente alle forze dell’ordine di reagire con una durezza ormai inconsueta da diversi anni, provocando decine di feriti tra i manifestanti. Egli, con queste azioni, intendeva procurarsi, in certe parti della pubblica opinione, un’immagine di uomo d’ordine, risoluto e pronto a usare le maniere forti in caso di necessità. Siffatta linea di condotta,
115
Cfr. G.Mammarella, L’Italia contemporanea (1943-1998), Bologna, Il Mulino, 1998 (Nuova ed. de L’Italia dalla caduta del fascismo a oggi, Bologna, Il Mulino, 1974), pp.264-266 116
G.Mammarella, L’Italia contemporanea (1943-1998), op.cit., p.266
37
tuttavia, provocò un inasprimento della conflittualità sociale, in particolare nelle classi operaie117. Tale clima di tensione fu la cornice dei fatti di luglio, che ebbero, però, anche altre cause. L’adesione del MSI al nuovo esecutivo, infatti, venne utilizzata da una parte della DC, favorevole al varo di un esperienza governativa di centrosinistra con il sostegno dei socialisti, all’interno di una strategia più complessa. Si prevedeva, cioè, l’utilizzo del governo Tambroni per creare una situazione in cui la prospettiva del centrosinistra apparisse come l’unica reale possibilità democratica e costruttiva per il governo del paese118. L’opportunità
per
attaccare
Tambroni,
venne
offerta
dal
permesso concesso al MSI di celebrare il proprio congresso nazionale a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza. Il contenuto provocatorio di tale azione era molto forte, tantopiù che i dirigenti missini annunciarono la decisione di affidare la presidenza dell’assise a Emanuele Carlo Basile, già prefetto fascista di Genova nel periodo della repubblica di Salò, “condannato a morte come criminale di guerra e poi amnistiato”119. In realtà, al momento dell’annuncio della sede del congresso, "non vi furono reazioni di sorta nell’ambiente antifascista genovese"120. Solo dopo il verificarsi di alcune violenze da parte di giovani missini, e dopo il diffondersi delle voci sulla presenza di Basile, montò la contestazione popolare. Dal 25 giugno iniziò una serie di cortei e manifestazioni, quasi tutti culminanti in scontri con la polizia. Il 30 giugno, una manifestazione di decine di migliaia di persone attraversò la città. Si accesero violenti scontri, e piazza de Ferrari, la principale piazza genovese, divenne un campo di battaglia. Gli scontri si estesero 117
P. Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi..., op.cit., pp.346-348
118
Cfr. P.Ignazi, Il Polo escluso..., op.cit., p.93
119
G.Gaddi, Neofascismo in Europa, Milano, La Pietra, 1974. All'epoca in cui Basile ricopriva tale carica, quasi duemila antifascisti genovesi erano stati uccisi dai repubblichini, mentre altri duemila erano stati deportati. 120
P.Ignazi, Il Polo escluso..., op.cit., p.93
38
in molte città italiane, con l’uccisione di dimostranti a Reggio Emilia e a Palermo da parte della polizia (il permesso di sparare contro i dimostranti in situazioni di emergenza era stato dato personalmente alle forze dell’ordine da Tambroni)121. Al culmine della tensione, il congresso venne vietato per motivi di ordine pubblico. Tambroni, pagando il tentativo di rafforzare il proprio potere appoggiandosi al partito neofascista e ai settori dell'opinione pubblica maggiormente antidemocratici, nonché il ruolo diretto avuto nell’inasprirsi degli scontri, fu costretto dalla dirigenza democristiana a dimettersi (22 luglio). I fatti di Genova e le proteste che percorsero l’intera nazione, segnarono una vittoria di tutto l'antifascismo, mostrando quanto ancora fosse vivo tale sentimento nella popolazione a distanza di quindici anni dalla fine del conflitto mondiale. Inoltre, la sollevazione popolare, rivelò in modo chiaro la volontà del paese di non ricadere sotto il giogo di forze reazionarie, miranti a invertire la tendenza verso una politica democratica e progressista. Per il MSI, tali fatti andarono ben oltre l’impedimento di celebrare il proprio congresso. Fu sconfitta in toto la linea strategica del partito. Se infatti la mobilitazione dal basso era stata condotta, dopo i primi moti spontanei, dalle associazioni dei partigiani e dalle strutture sindacali e comuniste, chi aveva gestito politicamente la situazione era l’area della DC favorevole all’apertura a sinistra122. La sollevazione popolare fu strumentalizzata da tali correnti scudocrociate ("...la sinistra DC, che agì dietro le quinte per non impedire oltre un certo limite l'innescarsi della violenza di piazza..."123), che agirono da un lato per screditare quegli ambienti del partito favorevoli ad un'alleanza con la destra. Dall'altro, soffiando sul fuoco dell'antifascismo delle sinistre, si adoperarono per rendere impossibile un'ipotetica alleanza in funzione 121
Cfr. P. Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi..., op.cit., pp.347-348
122
Cfr. M.Revelli, La destra nazionale, op.cit., p.39
123
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia...,op.cit., p.57
39
antidemocristiana dei due poli estremi dell'arena politica italiana "sulla base di progetti di rinascita nazionale conditi con abbondanti dosi di populismo [in grado di minare] il sistema di potere democristiano"124. Gli scontri di piazza, oltre la contingenza di un conflitto frontale tra destra e sinistra, portarono, così, ad un grande rafforzamento del centro, che uscì dal luglio 1960 con un'aumentata capacità di attrazione per la gestione dello sviluppo futuro del paese. La dirigenza missina si trovò a fronteggiare gli eventi in un clima di rabbia e sconcerto. Dal partito “si grida al tradimento […] e non ci rende conto di essere stati utilizzati come detonatore per fare scatenare la piazza, creando […] le premesse per diffondere la domanda di un governo progressista”125. L'unico a intuire il ruolo delle manovre romane fu Almirante, che realisticamente riconobbe che "dietro a tutto il polverone, c'è un «grande gioco politico»"126. Per il MSI, l'estate 1960 non significò solo registrare la persistenza degli ideali resistenziali e antifascisti, bensì fu "l'intera strategia micheliniana di progressivo inserimento nell'area di governo"127 ad essere definitivamente sconfitta. Il partito, in seguito agli accordi tra i partiti dell’area di centrosinistra (DC, PSDI, PSI, PRI), perse in pochi mesi gran parte delle posizioni di potere a livello locale, conquistate a piccoli passi negli anni precedenti. "Il MSI non perde solo degli interlocutori. Perde la sua politica"128. Il congresso di Genova doveva rappresentare, nei piani della dirigenza missina, un passaggio decisivo, come rivelava anche il fatto che lo stesso Almirante avrebbe dato il suo assenso alla mozione della segreteria «Inserirsi per rinnovare»129, sottolineando la necessità di introdursi nel sistema, pur se in crisi, per agire in modo attivo e diretto.
124
P.Ignazi, Il Polo escluso, op.cit., p.95
125
Ibidem, p.94
126
Ibidem, p.95
127
R.Chiarini, Destra italiana..., op.cit., pp.110-111
128
Ibidem, p.111
129
Cit. in P.Ignazi, Il Polo escluso, op.cit., p.96
40
Ma nel momento in cui doveva aver luogo la svolta moderatrice, che prevedeva la sparizione degli accenni allo Stato Nazionale del lavoro e delle tendenze socializzatrici, un rafforzamento della strategia di sostegno
ai
governi
antisinistra,
l’accoglimento
del
sistema
internazionale di alleanze, e che avrebbe dovuto traghettare il MSI verso un'accettazione piena nel mondo politico italiano, il partito si ritrovò nuovamente isolato e sospinto in una sorta di ghetto politico. Nel 1960, pertanto, il progetto di Michelini subì una sconfitta dal quale non uscì più. Tale operazione di piena integrazione politica, per avere realmente successo, avrebbe comunque comportato l'abbandono dei richiami al fascismo, sia di regime che repubblicano, e il distacco dall'ideologia ufficiale del partito, ancora troppo legata al periodo mussoliniano. Ciò, chiaramente, con il conseguente pericolo di una perdita d'identità e di mutazione da forza erede del fascismo storico a comune partito moderato e conservatore130. Inoltre, tale processo di inserimento, non era stato accompagnato in quegli anni da una adeguata
elaborazione
culturale
interna
al
MSI,
per
sostituire
l'esaltazione del fascismo e i consueti richiami ideologici, e per costruire una nuova progettualità politica che fosse accettabile per gli altri partiti. Il partito si avviò così, nel nuovo decennio, verso una progressiva marginalizzazione nel sistema politico. Pur senza rischiare di sparire dalla scena politica (nelle elezioni provinciali del novembre 1960 raccolse il 5.9% dei voti), il MSI si ritrovò a fronteggiare, nell'epoca del centrosinistra, da un lato la presenza del PLI di Malagodi, che andò a occupare lo spazio dell'opposizione di destra sfruttando i propri legami con le classi dirigenti e le proprie credenziali democratiche, dall'altro la scomparsa della disponibilità della DC alla collaborazione con la forza missina, sostituita anche a livello locale con l’inserimento dei socialisti nelle giunte in cui più forte era la presenza dei neofascisti. Il venir meno del potenziale ricattatorio del MSI sul piano locale, e l’intesa a livello
130
Cfr. P.Ignazi, Il Polo escluso, op.cit., p.97
41
nazionale tra DC e socialisti, inaugurò così una fase di crisi del partito, che passò ad un’incattivita ma poco influente opposizione. Gli
anni
sessanta
videro
diversi
e
confusi
processi
di
trasformazione attraversare il MSI, diviso tra persistenza nella strategia di inserimento (che ebbe un isolato successo nel ’62 con il sostegno determinante dei voti missini all’elezione a Presidente della Repubblica di Segni), rivendicazione del ruolo di forza di opposizione conservatrice al centrosinistra, ambigue tentazioni antisistemiche e antidemocratiche, avvicinamento ad ambienti militari e ai corpi separati dello stato, conflitti interni tra le diverse correnti131. Ciò che più interessa qui dell’evoluzione dell’area di destra negli anni sessanta, è la fine del ruolo egemone del partito nella composita galassia neofascista, e l’emergere di nuovi soggetti politici dotati di una rilevante forza di attrazione. Gruppi e movimenti radicalmente orientati su posizioni antisistemiche ed eversive, i più importanti dei quali saranno oggetto dell’analisi dei prossimi capitoli.
131
Cfr. M.Revelli, La destra nazionale, op.cit., pp.41-46
42
Capitolo 2 ............................................................................................ 43 I principali gruppi dell'estrema destra italiana negli anni sessanta..... 43 2.1 Il contesto politico e i principali gruppi ..................................... 46 2.2 Ordine Nuovo............................................................................. 47 2.2.1 Cronologia e organizzazione................................................ 47 2.2.2 L’ideologia, e le pubblicazioni............................................. 51 2.2.3 Le attività : cultura, violenza, legami internazionali e interni ....................................................................................................... 56 2.3 Avanguardia Nazionale .............................................................. 62 2.3.1 Cronologia, ideologia e organizzazione............................... 62 2.3.2 Attività e legami con Ordine Nuovo e con le forze dello Stato ....................................................................................................... 67 2.4 Franco Freda e il gruppo di AR.................................................. 71
Capitolo 2 I principali gruppi dell'estrema destra italiana negli anni sessanta
Questo capitolo ha lo scopo di ricostruire la genesi, le strategie, l’organizzazione, i riferimenti ideologici, la leadership e le attività dei gruppi e dei movimenti che, a partire dalla fine degli anni cinquanta sino alla metà degli anni settanta, ebbero una posizione di egemonia nell’area dell'estrema destra in Italia. L’analisi qui svolta non vuole rappresentare una cronaca dettagliata di tutte le azioni intraprese dai diversi gruppi. Lo scopo di queste pagine è, infatti, quello di delineare un quadro sintetico dei principali soggetti politici attivi nell’area dell'estremismo di destra nel periodo
citato,
evidenziandone
i
collegamenti
e
le
differenze,
rimandando ai successivi capitoli una ricostruzione delle azioni svolte dai rispettivi militanti entro l'analisi del contesto storico politico in cui si vanno a collocare, alla luce dei diversi schemi interpretativi che saranno via via presentati. Stante l'indeterminatezza ancora oggi presente sull'argomento1,
1
Si veda, tra gli altri, F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., pp.18-25, P.Ignazi, L'estrema destra in Europa, op.cit., p.170, W.Holzer, La destra estrema, Trieste, Asterios, 1999, M.Zucchinali, A destra in Italia oggi, Milano, SugarCo, 1986, pp.15-24, D.Cofrancesco, Le destre radicali davanti al fascismo, p. 105, in L’eversione nera. Cronache di un decennio (1974-1984), a cura di P.Corsini e L.Novati, Milano, Franco Angeli, 1985, pp. 57-68, D.Cofrancesco, Destra e sinistra. Per un uso critico di due termini chiave, Verona, Bertani, 1984, pp.45-54
43
e data la parziale sovrapposizione dei fenomeni indicati con le espressioni «estrema destra», «destra radicale», «destra eversiva», «neofascismo»2, si eviterà di fornire una delimitazione teorica precisa per connotare specificamente i movimenti analizzati in questo studio. Ciò, poiché risulta assai arduo sviluppare delle classificazioni tali da consentire una ripartizione precisa dell'intera gamma dei soggetti politici convenzionalmente indicati con le denominazioni appena ricordate. In particolare,
questo
vale
per
il
contesto
italiano
del
periodo,
caratterizzato da rapporti ambigui tra il maggiore partito dell'estrema destra (MSI) e i movimenti extraparlamentari (molto frequenti erano i casi di dirigenti e militanti che passavano dall'alveo missino alle formazioni estremiste e viceversa), e dalla non uniformità delle strategie operative e delle impostazioni teoriche (si pensi al «nazimaoismo») dei gruppi del radicalismo «nero» . Senza quindi pretendere di elaborare ambiziose generalizzazioni, l'oggetto di questo lavoro sarà costituito non dall'intera costellazione dei gruppi extraparlamentari di estrema destra attivi in Italia tra gli anni '60 e la metà del decennio successivo, bensì dalle organizzazioni di quest'area ideologica che accettarono nel proprio repertorio di attività di lotta politica anche l'uso di mezzi extralegali, dalla violenza squadrista fino al terrorismo, in particolare con lo scopo di "intraprendere un'azione rivoluzionaria contro il sistema democratico"3. Come già ricordato nell'introduzione, dato l'alto numero di formazioni attive nel periodo considerato, saranno sottoposte a indagine esclusivamente le realtà più significative dell'intero ambiente dell'estremismo di destra, in primis
2
F.Ferraresi sul tema osserva che "Si tratta, peraltro, di una distinzione in buona misura convenzionale, che non va intesa in maniera troppo rigida. In Italia le due componenti (quella estrema e quella radicale) per molto tempo sono state legate da stretti rapporti di alleanza tattica e strategica, rafforzati dal frequente pendolarismo di militanti e dirigenti fra l'una e l'altra. [...] Nel contesto italiano esiste poi una forte sovrapposizione fra i fenomeni coperti dai termini estrema destra, destra radicale, e neofascismo; l'uso dei primi due è più preciso, in quanto settori dell'ambiente rifiutano l'identificazione col fascismo o con alcune sue manifestazioni" (F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., pp.24-25). 3
P.Ignazi, L'estrema destra in Europa, op.cit., p.170
44
Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, mentre le iniziative e le attività di organizzazioni minori e singoli gruppi saranno discusse nel corso dell'analisi in modo meno sistematico. Un'ultima annotazione riguarda infine l'uso che durante la trattazione si farà dei termini «estrema destra», «destra radicale, «estremismo di destra», «radicalismo di destra»ecc. Essi verranno utilizzati piuttosto indifferentemente, data la parziale sovrapposizione dei fenomeni che connota l'area politica dell'estrema destra italiana nel periodo considerato.
45
2.1 Il contesto politico e i principali gruppi
La crisi del MSI negli anni sessanta apre spazi inediti per iniziative esterne al partito. Esso cessa di essere il catalizzatore unico delle forze dell’area di destra, perdendo una posizione di monopolio sulla quale si era attestato fin dalla fondazione. Gli esiti negativi della strategia di inserimento di Michelini, in questa fase relegano il partito ad un’opposizione dura, ma sostanzialmente sterile, e ciò contribuisce ad intensificare il processo di radicalizzazione dell’estrema destra, in quanto, appunto, “il potenziale sia coalittivo che ricattatorio della sua espressione parlamentare fu praticamente annullato, e il MSI venne ridotto all’irrilevanza politica”4. L’ambiente della destra radicale in quegli anni è assai composito, e comprende un grande numero di pubblicazioni, circoli, gruppi, movimenti ecc.. Pur nel quadro di tale eterogeneità, tuttavia, è possibile assegnare a due formazioni, Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, un ruolo di indiscussa egemonia all’interno dell’area, e questo “(per) la durata della loro presenza ufficiale sulla scena […], (per) la forza della loro leadership, (per) le attività di cui furono protagonisti”5. Ad esse, si deve aggiungere il gruppo di Ar di Franco Freda che, indubbiamente meno rilevante da un punto di vista «quantitativo», merita una trattazione separata a causa della significativa influenza esercitata dal proprio fondatore nell’ambiente dell'estrema destra, e per la rilevanza degli episodi gravità dei fatti in cui alcuni dei militanti furono coinvolti. Passiamo ora ad analizzare le tre formazioni.
4
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.108
5
Ibidem, p.109
46
2.2 Ordine Nuovo
2.2.1 Cronologia e organizzazione Ordine Nuovo viene fondato nel 19546 da Pino Rauti come “Centro Studi” nell’ambito del MSI. Il distacco dal partito avviene nel ’56, nel V Congresso di Milano (vedi capitolo1), con la nascita del Centro Studi Ordine Nuovo. Gli ordinovisti ritengono di “non poter avallare un atteggiamento che era estraneo agli scopi originali e ad una politica che tradiva la vocazione più alta del MSI, cioè la continuità delle battaglie combattute sotto l’insegna della RSI”7. Insieme a Rauti troviamo, quali leader, Clemente Graziani, Stefano Delle Chiaie, Paolo Signorelli e Elio Massagrande. E’ possibile distinguere due fasi nella storia di Ordine Nuovo. Una prima fase va dal 1956 al 1969, dal momento della scissione dal partito a quello del rientro, processo che provoca una spaccatura all’interno del gruppo, per cui Rauti e una parte dei militanti decidono, in coincidenza con la morte di Michelini e il ritorno alla segreteria di Almirante, di tornare nelle file missine. Rauti motiva la decisione di tornare nell’alveo del MSI con la necessità, a fronte dei mutamenti in
6
Sulla questione dell’anno di costituzione di Ordine Nuovo c’è un po’ di confusione nella letteratura, in quanto la maggior parte dei testi segnala nel 1956 il momento della fondazione. L’equivoco nasce dal fatto che ON viene preso in considerazione come organizzazione separata solo al distacco dal MSI., mentre le fasi precedenti non sono segnalate come importanti. Inoltre M.Battaglini in Il Movimento Politico Ordine Nuovo. Il processo di Roma del 1973 (in V.Borraccetti, Eversione di destra, terrorismo e stragi. I fatti e l’intervento giudiziario, Milano, Franco Angeli, 1986) indica nel 1950 l’anno di fondazione, e nel ’54 (dato, questo, certamente errato, in quanto nel libro si colloca in quell’anno il congresso del MSI tenuto a Milano, che avviene in realtà solo nel ‘56) il momento del distacco dal partito. Credo che la corretta cronologia sia quella che indica nel ’54 il momento della fondazione di ON, nel ’56 il momento del distacco dal MSI (come indica ad es. F.Ferraresi in Minacce alla democrazia…, op.cit., p.110), e nel periodo ‘50-’54 la fase di enucleazione del gruppo (cfr. M.Battaglini, Il Movimento Politico Ordine Nuovo, op.cit., p.29) 7
R.Minna, Il terrorismo di destra, in D.Della Porta, Terrorismi in Italia, Bologna, Il Mulino, 1984, p.33
47
atto nella situazione politica italiana, di procedere a “una revisione globale della sua posizione nel quadro delle contingenze globali che indicano, senza alcun dubbio, una possibilità di rottura degli equilibri di estrema pericolosità […] Ne consegue che è necessità vitale per la vita futura (prossimo futuro) di Ordine Nuovo inserirsi dalla finestra nel sistema dal quale eravamo usciti dalla porta, per poter usufruire delle difese che il sistema offre attraverso il parlamento, con tutte le possibili voci propagandistiche che ne derivano […] Necessità contingente dunque, assoluta e drammatica […]”8. Tale decisione, provoca tuttavia una scissione in ON, per cui una parte dei militanti, sotto la leadership di Clemente Graziani, Elio Massagrande, Sandro Saccucci e altri, decide di dare vita al Movimento Politico Ordine Nuovo (MPON), con l’obiettivo di creare un “movimento rivoluzionario al di fuori degli schemi triti e vincolanti dei partiti, una formazione agile, adeguata alle esigenze della situazione politica attuale e strutturata secondo criteri propri delle minoranze rivoluzionarie”9. Una seconda fase va dal 1969 al 1973, dalla creazione del MPON al suo scioglimento deciso dalla magistratura. E’ da sottolineare il fatto che, nonostante la scissione, i legami tra i militanti ordinovisti restano molto stretti, e l’impostazione ideologica rimane sostanzialmente identica in ON anche dopo il 196910. A riguardo dello scioglimento del gruppo, esso avviene appunto il 23 novembre del 1973, con sentenza del Tribunale di Roma, per il reato di ricostituzione del partito fascista. Il MPON diviene oggetto di attenzione da parte dell’autorità giudiziaria dopo un lunga serie di episodi di aggressione commessi dai militanti, e dopo il ruolo attivo da essi svolto nei disordini di Reggio Calabria del 1972. E’ da evidenziare che gli elementi emersi
8
Commissione Stragi Senato della Repubblica - Camera dei Deputati XII Legislatura – Commissione Parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, Il terrorismo, le stragi e il contesto storico-politico, Proposta di relazione depositata dal Presidente della Commissione Sen. Giovanni Pellegrino il 12 dicembre 1995 9
Ibidem
10
Cfr. F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.110
48
con gli anni, “consentono oggi di dire che già all’epoca erano stati consumati fatti delittuosi di maggiore gravità e relativi a ipotesi associative di diverso rilievo, che solo molto tempo dopo sarebbe stato possibile ricondurre nell’ambito dell’organizzazione”11. Il materiale fornito dal processo, resta comunque fondamentale per acclarare gli sviluppi successivi dell’organizzazione, e le modalità di azione dei gruppi della destra radicale. Infatti, se ON ufficialmente cessa di esistere nel novembre ’73, in realtà parte dei militanti ordinovisti continua ad agire clandestinamente anche dopo quella data. E’ da collocare, ad esempio, nel 1975 il tentativo di riunificazione tra Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale. Nella prima fase, il gruppo opera ufficialmente solo come centro studi, attraverso attività di elaborazione, discussione e divulgazione dei principi della dottrina tradizionale e delle ideologie della
destra
radicale. Dopo il 1969 il MPON si configura più esplicitamente come movimento “nazional-rivoluzionario”12. Negli anni ’60, ON vanta circa 10.000 aderenti diffusi in tutto il paese, con roccaforti nel Vento, nella Campania e nella Sicilia13. A causa della mancanza o dell’indisponibilità della documentazione relativa al gruppo (buona parte di essa è stata occultata o distrutta), è difficile trovare nella letteratura una ricostruzione precisa della sua struttura organizzativa e delle sue attività. E’ possibile, però, dare un resoconto sommario di questi aspetti. La sede e la direzione nazionale si collocano a Roma, con basi e sezioni di ON presenti in almeno 25 città. I gruppi provinciali sono guidati da “reggenti”, mentre le attività vengono coordinate a livello regionale da “ispettori” e “ispettorati”14. L’organizzazione del MPON, almeno in parte ereditata da quella del centro studi, conta su una 11
Commissione Stragi, Il terrorismo, le stragi e il contesto storico politico, op.cit.
12
Cfr. M.Battaglini, Il Movimento Politico Ordine Nuovo, op.cit., pp.30-33
13
P.Rosenbaum, Il nuovo fascismo…, op.cit., p.80
14
Cfr. F.Ferraresi, op.cit, p.112
49
direzione nazionale divisa in vari settori (Organizzazione, Propaganda, Stampa,
Ideologia
ecc.),
affiancata
da
un
Consiglio
Nazionale
comprendente anche i dirigenti regionali del gruppo, e otto ispettorati regionali. Ordine Nuovo si caratterizza già all’epoca della sua esistenza ufficiale come un movimento semiclandestino, orientato ad operare tramite gruppi di poche persone, in grado di mobilitare di volta in volta un’area di simpatizzanti. L’organizzazione è fortemente gerarchica e centralizzata (anche per “ovviare alla sua non facile esistenza in quanto gruppo rivoluzionario”15), e i quadri vengono selezionati attraverso corsi di specializzazione ideologica e politica. Nella fase del MPON si affiancano al gruppo organizzazioni parallele come il FAS (Fronte di Azione Studentesca). Franco Ferraresi (in Minacce alla democrazia…, op.cit., p.112) individua gli obiettivi generali del gruppo di ON, sia come centro studi che come movimento politico, in due rispettive tendenze di azione: “1) la formazione ideologica dei membri secondo i principi della tradizione, allo scopo dichiarato di creare un’élite, un Ordine di ‘uomini capaci di restare in piedi tra le rovine', per difendere 'tutto quanto si è salvato ed ha trovato un polo dopo l’invasione del pus plebeo seguita allo scoppio del bubbone dell’89’; 2) lo sviluppo di un attivismo militante, e la costituzione di una fitta rete di rapporti, in Italia e all’estero, con altri gruppi di ispirazione eversiva e con i «corpi separati» dello stato, fino al coinvolgimento in almeno un tentativo di colpo di stato”
In riferimento al primo tipo di attività, sarà ora oggetto di analisi l’universo ideologico di riferimento di ON, ed i legami tra tale ideologia e le attività del gruppo.
15
R.Minna, Il terrorismo di destra, op.cit., 34
50
2.2.2 L’ideologia, e le pubblicazioni Prima di analizzare specificamente l’ideologia ordinovista, si devono
dare
informazioni
sulla
fitta
rete
di
pubblicazioni
che
sostengono le attività del gruppo nel corso della sua esistenza. Al mensile “Ordine Nuovo” di Rauti, si affianca tutta una serie di altre riviste, da “Noi Europa” a “Orientamenti”, da “Avanguardia” a “Bollettino Europa”, a “Eurafrica” ecc.16. Di queste, la più significativa è “Ordine Nuovo”, la rivista ufficiale del gruppo, che ci fornisce “il quadro più attendibile e ortodosso dei temi discussi da questa formazione in sede di dibattito concettuale-ideologico”17. L’universo
ideologico
ordinovista
(così
come
quello
di
Avanguardia Nazionale) è profondamente legato alla filosofia di Julius Evola. Centrale è il riferimento all’insegnamento evoliano nelle formulazioni teoriche di ON, sia nella fase del centro studi che in quella del movimento politico. Da Evola “noi abbiamo mutuato tutta la nostra impostazione dottrinale ed esistenziale […] Il lavoro di Ordine Nuovo dal 1953 ad oggi è stato quello di trasferire sul piano politico gli insegnamenti di Julius Evola […] Gli uomini e le rovine […] può considerarsi il vangelo politico della gioventù nazional-rivoluzionaria”18. Delle dottrine evoliane comunque ci si occuperà in modo più esaustivo nel prossimo capitolo, anche per indagare alcuni aspetti problematici del rapporto tra Evola e gli estremisti di destra. Nell’universo ideologico ddel gruppo di Rauti e Graziani, Evola non è comunque l’unico riferimento: Renè Guenon, Drieu La Rochelle, Mircea Eliade, Cornelius Codreanu, Robert Brasillach, Ernst von Salomon e altri autori
16
Per un elenco più dettagliato delle pubblicazioni attribuibili all’area ordinovista (anche se a causa dell’irregolarità e della scarsa reperibilità delle stesse è impossibile fare un elenco completo) vedi M.Battaglini, Il Movimento Politico Ordine Nuovo, op. cit., pp.37-38 17
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p. 114
18
C.Graziani, 1973, 26-27-30, cit. in F.Ferraresi, La destra eversiva, in D.Della Porta, Terrorismi in Italia, op.cit., p.245
51
contribuiscono a definire il quadro di riferimento dell’elaborazione politica di ON. E’ inoltre forte l’influenza esercitata da Adriano Romualdi (altra figura che si ritroverà nel capitolo 3). Sempre presenti e centrali, inoltre, i richiami al fascismo storico e all'esperienza della RSI. Ferraresi, nella sua analisi dell’ideologia ordinovista elaborata in Minacce alla democrazia, mette in luce la peculiare astrattezza dei codici simbolici di ON. Il riferimento all’in-group (la comunità/collettività con cui gli attori si identificano positivamente) e agli obiettivi politici viene definito in modo molto astratto. “ON rifiutava come possibile fonti di identificazione ogni concreto (naturalistico) referente politico e sociale, cominciando da nazione e popolo. Punti di riferimento sono invece l’Ordine, le élite spirituali, le coorti di eroi schierate a difesa dei valori della Tradizione. Quali che fossero le rappresentazioni usate, queste si riferivano ad astratte, mitiche comunità/collettività, prive di ogni legame con gruppi o ceti sociali concreti di cui ON avrebbe potuto rivendicare la difesa e la rappresentanza”19. Anche un altro riferimento positivo, la razza, si allontana dall’idea di razza espressa nelle concezioni del razzismo biologico e storicamente orientato, in quanto razza “era la razza ariana, incarnata dalle caste guerriere, dai soldati eroi, […] dalle SS, […] dai samurai, dagli ordini cavallereschi [..] dalla Guardia di Ferro, [un elenco in cui] anche i riferimenti più concreti […] erano privati di ogni identità sociale attraverso trasfigurazioni mitiche”20. I riferimenti negativi, invece, si estendono sostanzialmente ad ogni altro aspetto della società contemporanea, in una radicale critica di un mondo dove i valori materialistici trionfano su quelli spiritualistici (“il mercante sull’eroe”). Totale è il rifiuto delle istituzioni moderne, così come vengono rifiutati marxismo e capitalismo (e le nazioni in cui essi regnano), in quanto egualmente basati sul trionfo del materiale e dell’economico sulla politica e sullo spirituale. Anche la democrazia
19
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., pp.114-115
20
Ibidem, p.115
52
viene negata, “fenomeno regressivo e crepuscolare contro il quale si pone il principio solare dell’autorità, simboleggiato dalla svastica nazista”21. Portatori di una visione eroica, aristocratica e guerriera della vita, gli ordinovisti predicano l'antiegualitarismo, l'antidemocraticismo e l'anticomunismo. "L'unica meta è il recupero dei valori della tradizione, da conquistare innanzitutto dentro se stessi per poi testimoniarli con azioni esemplari contro la degenerazione morale imperante"22. Collegate a questo rifiuto, non ci sono, però, linee strategiche definite in modo concreto e dettagliato. Tale indeterminatezza viene attribuita da Ferraresi, da un lato, all’esigenza di evitare i problemi connessi all’elaborazione di una linea politica strategica in senso proprio. Dall’altro, la vaghezza sugli scopi immediati viene interpretata come funzionale a obiettivi strategici quali il colpo di stato. Lo studioso, tuttavia, coglie nell’universo simbolico di Ordine Nuovo, alcune particolari caratteristiche. Ordine Nuovo non si configura come un movimento a protezione o rappresentanza degli strati sociali superiori, né i suoi obiettivi sono quelli di una espansione massiccia del reclutamento. La costruzione dell’in-group in termini mitico-astratti, permette di appellarsi non già ad una forma di superiorità sociale, ma ad un’aristocrazia spirituale, pur restando in primo piano il disprezzo per le masse popolari23. La scelta operata da ON non va quindi nella direzione
del
proselitismo
di
massa;
il
gruppo
deve
restare
relativamente di piccola entità, fedele all’immagine di “una schiera serrata e compatta, capace di fronteggiare le insidie di un ambiente ostile, fiera della sua solitaria veglia”24. Conseguenza fondamentale di questo
atteggiamento
è
“la
natura
autoreferenziale
dei
codici
simbolici”25. Gli elaborati ideologici degli ordinovisti, non hanno in realtà
21
M.Battaglini, Il Movimento Politico Ordine Nuovo, op.cit., p.30
22
P.Ignazi, Il Polo escluso..., op.cit., p.123
23
Cfr. F.Ferraresi, Minacce alla democrazia, op.cit., pp.116-117
24
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia, op.cit., p.117
25
Ibidem, p.117
53
lo scopo di articolare una prospettiva politica da diffondere e argomentare presso un pubblico esteso. Il pubblico ai quali essi si rivolgono è rappresentato dagli stessi ordinovisti, e lo scopo di tali testi è volto a “confermarli nella loro ’fede’, a dimostrare la correttezza dottrinale degli autori, il loro possesso di una adeguata competenza simbolica”26. Tale autoreferenzialità, unita alla scarsa apertura al confronto e alla discussione politica, è, a mio parere, uno degli elementi su cui si è edificato il fanatismo di parte dei militanti della destra radicale. A questa impostazione bisogna addebitare, secondo Ferraresi, la scarsa attenzione dei teorici ordinovisti alla coerenza ideologica interna e alla corrispondenza tra ideologia e pratica. Ciò è alla base di diverse contraddizioni, alcune delle quali realmente evidenti: il riferimento alla jihad islamica e al Bushido giapponese, nonostante venga proclamata la
difesa
dell’Europa
Ariana,
il
rifiuto
dell’idea
di
nazione
e
l'autodenominarsi al contempo movimento nazional-rivoluzionario, la contrapposizione radicale al mondo contemporaneo e il riferimento agli ultimi difensori della civiltà occidentale, le armate coloniali e le truppe americane. Per Ferraresi, tale ambiguità permette alla leadership di godere di spazi di manovra ampi e ambivalenti, come le alleanze con settori di uno stato che in teoria è uno dei nemici da distruggere. Comunque, le incoerenze ideologiche e l’autoreferenzialità dei codici simbolici, non sono, a mio parere, riconducibili esclusivamente a ragioni tattiche (che configurerebbero quindi l’ideologia ordinovista solo come uno strumento funzionale ad ogni obiettivo, un sistema di potere volto al mantenimento del comando nelle mani dei leader), ma anche al radicamento dell’universo ideologico di ON nella filosofia evoliana. Anche se l’opera di Evola verrà analizzata nel prossimo capitolo, si può qui anticipare che, coerentemente alla sua filosofia, gli scritti evoliani si rivolgono non
26
Ibidem
54
alle masse, ma “solo a quei pochi nel cui animo non si è spento del tutto il fuoco delle età eroiche”27 (si coglie quindi l’analogia con l’autoreferenzialità dei testi ordinovisti). Ciò che differenzia l’evolismo rispetto ad altre ideologie, inoltre, “esasperandone i caratteri di setta e di chiusura in una sorta di mistica comunità […] è l’aver tagliato i ponti con tutto l’universo del concetto e dell’argomentazione razionale”28, per cui le eventuali confutazioni dei critici “equivarrebbero alla prova dell’estraneità alla Tradizione”29, ad un sapere che si contrappone al razionalismo
della
modernità.
Anche
a
ciò,
e
non
solo
a
spregiudicatezza politica, bisogna collegare le incoerenze presenti nei testi di ON. Inoltre, le ambiguità nelle strategie del movimento sono determinate dalla visione di uno stato che gli ordinovisti, almeno fino al '74, non considerano ancora nemico, pur essendo pronti a rovesciarlo, e alla stessa matrice evoliana del movimento, che gli conferisce “un ruolo non antagonista rispetto allo stato; anzi […] la possibilità di utilizzare il ‘movimento nazionale’ in funzione antisovversiva di difesa dello stato è una costante, almeno nella prima fase, del pensiero di Evola: per difendere lo Stato ormai ostaggio delle masse organizzate […] occorreva creare ‘una rete capillare intesa a fornire prontamente elementi di impiego per fronteggiare dovunque…l’emergenza’, avendo come fine anzitutto e prima di tutto la difesa contro la piazza dello Stato e dell’autorità dello stato (persino quando esso è uno ‘Stato vuoto’) e non la loro negazione” 30.
Conseguente a tale impostazione, è l’individuazione dei «corpi sani» all’interno dello stato, le forze con cui allearsi e su cui è possibile fare affidamento; essa facilita fin dall’inizio della storia di ON “il contatto con quei settori dell’arma dei carabinieri e dei servizi di informazione
27 28 29 30
D.Cofrancesco, Le destre radicali davanti al fascismo, op.cit., p. 105 Ibidem Ibidem Commissione Stragi, Il terrorismo, le stragi e il contesto storico politico, op.cit.
55
che all’interno e contro le istituzioni si muovevano per condizionare la situazione politica in chiave autoritaria”31. Passiamo ora ad analizzare più da vicino quali sono le attività del gruppo, come si configura il rapporto con la violenza da parte dei militanti, e infine quali sono i legami con movimenti simili presenti all’estero.
2.2.3 Le attività: cultura, violenza, legami internazionali e interni Ricostruire in modo preciso le attività ascrivibili ad Ordine Nuovo non è operazione agevole. Si deve ricordare che il gruppo ha unito nella sua storia iniziative legali a quelle illegali, dagli attacchi squadristi a militanti di diversa fede politica32 fino al terrorismo vero e proprio. Abbiamo detto in precedenza della struttura semiclandestina del gruppo. Il movimento è organizzato in diversi momenti della sua esistenza su due livelli, uno ufficiale, operante sul piano culturale, e l’altro clandestino e preposto alle operazioni militari, come riferito dagli stessi militanti33. Centrale nell’esperienza dellamilitanza è, anzi, il passaggio
dalla
legalità
alla
clandestinità:
“L’invito
a
vivere
preparandosi al giorno dell’ingresso in clandestinità – uno dei passaggi iniziatici fondamentali – ha una funzione pedagogica fondamentale […] Quando di lì a poco il giovane militante verrà ammesso nel settore militare, cioè nella ristretta cerchia dei votati a compiere le azioni più gravi, egli percepirà come l’attestazione di aver raggiunto davvero un
31
Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, Luci sulle stragi. Per una comprensione dell'eversione e del terrorismo, Milano, Lupetti - Piero Manni, 1996, p.71 32
Per una parziale rassegna degli episodi di aggressione da parte dei giovani di destra (non solo di ON), vedi F.Fiorano, L’ombra del fez. La violenza fascista nelle scuole romane, Roma, Coines, 1973 33
Vedi F. Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.120
56
ruolo importante, un ruolo da protagonista”34. Le attività culturali sono, ovviamente, quelle che con più precisione si possono ricostruire. Gli ordinovisti si occupano della diffusione di opuscoli, riviste, materiale teorico e ideologico del movimento. Vengono organizzati incontri pubblici e conferenze nelle scuole e allestiti corsi e seminari per la formazione ideologica e politica. Tali corsi sono tenuti anche durante i campi-scuola paramilitari, organizzati in particolare nel periodo del MPON, dove vengono approfondite materie quali: teoria e tecnica della guerra rivoluzionaria, dottrina nazional-rivoluzionaria, propaganda, organizzazione di un gruppo operativo rivoluzionario, organizzazione di gruppi di autodifesa ecc.. Elemento significativo delle attività di Ordine Nuovo, inoltre, sono i tentativi di alleanza e di costruzione di una rete di relazioni con i gruppi della destra radicale di tutta Europa. Questi sforzi, oltre ad affermare concretamente l'adesione del gruppo alla strategia europeista di Adriano Romualdi, vogliono rispondere anche all’esigenza di difesa dell’Europa e del mondo occidentale dalla minaccia comunista, percepita, nel periodo analizzato, in modo particolarmente intenso. Tra i più importanti gruppi che si alleano con Ordine Nuovo o tra i movimenti politici internazionali (le cosiddette «internazionali nere») cui esso aderisce, si possono annoverare innanzitutto la Jeune Europe, fondata dal belga Jean Thiriart (uno dei più importanti leader della destra radicale europea) con lo scopo di mobilitare gli attivisti a favore dell’Oas e della sua lotta. Nel Manifesto della Nazione Europea che sintetizza i postulati del movimento possiamo leggere: “L’Europa si difende tanto ad Algeri quanto a Berlino. E’ una sola e medesima lotta. Noi siamo partigiani dell’Algeria europea. Noi non tolleriamo che i nemici dell’Europa si impadroniscano del Mediterraneo. Noi resteremo in
34
M.Fiasco, La simbiosi ambigua. Il neofascismo, i movimenti e la strategia delle stragi, in R.Catanzaro, Ideologie, Movimenti, Terrorismi, Bologna, Il Mulino, 1990, p.157
57
Algeria e aiuteremo i nostri compatrioti europei che si battono per noi”35. Altra organizzazione legata ad Ordine Nuovo è il Nuovo Ordine Europeo, fondato nel ’51 a Zurigo sotto la presidenza del francese Renè Binet e dello svizzero Guy Amaudrauz, dalle accezioni decisamente razziste. Nella risoluzione del primo congresso del NOE possiamo leggere: “Noi proclamiamo la necessità di un razzismo europeo che consegua questi obiettivi: a) i matrimoni tra europei e non europei debbono essere sottomessi a regolamento…”36. Ma i contatti internazionali più importanti avvengono con una singolare agenzia di stampa, l’Aginter Press, con sede a Lisbona che “era in realtà una centrale di intrighi e provocazioni internazionali”37. Fondata e diretta da Yves Guerin-Serac, ufficiale francese già dell’OAS, legato e sostenuto dai servizi segreti americani e dalla PIDE (la polizia segreta portoghese) è indicata come “un’importante fonte della progettualità che ispirò la strategia della tensione”38. Non è possibile compiere una ricostruzione complessiva delle attività eversive e violente del gruppo, poiché una siffatta indagine non è mai stata effettuata dagli organi dello stato. Durante il processo del ’73, il MPON era accusato solo di ricostituzione del partito fascista, e non venne effettuata dall’accusa una ricostruzione generale delle attività violente del gruppo. Non è dato sapere con chiarezza, inoltre, quando ebbe luogo la divisione tra attività legali e illegali nel gruppo, né quale fosse il livello di coinvolgimento degli aderenti e delle diverse sezioni. A testimoniare della vocazione alla violenza da parte dei militanti ordinovisti, comunque, ci sono: le tredici pagine dedicate alle aggressioni e ai crimini da essi compiuti contenute nel Rapporto alla 35
A.Del Boca-M.Giovana, I figli del sole, op. cit., p.134
36
Ibidem, p.131
37
M.Dianese-G.Bettin, La strage. Piazza Fontana. Verità e memoria, Milano, Feltrinelli, 1999, p.32
38
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p.122. Nella stessa pagina si veda la nota 36 sul coinvolgimento di Pino Rauti nella vicenda dell’Aginter Press
58
Procura di Roma da cui ebbe origine il processo che decise lo scioglimento del gruppo (e che si riferiscono solo al periodo 1970-73); numerose indagini relative a singoli episodi violenti; il ruolo svolto da ON in compagnia di AN nella guida della rivolta di Reggio Calabria. E, più di tutto, ci sono le indagini e i processi relativi a gravissimi episodi di terrorismo che hanno insanguinato il paese per una quindicina d’anni, a partire dalla strage di Piazza Fontana, procedimenti giudiziari nei quali molti militanti di destra sono stati coinvolti in ruoli di primo piano, e in cui il coinvolgimento di Ordine Nuovo è innegabile, come ha mostrato il processo per la strage alla Questura di Milano del 17 maggio 1973, conclusosi recentemente (11 marzo 2000) con la condanna all’ergastolo di Carlo Maria Maggi (ex-reggente di ON per il Triveneto), Francesco Neami (ex-capo militare degli ordinovisti di Trieste), Giorgio Boffelli (exmercenario e guardaspalle di Maggi), Amos Spiazzi (ex-colonnello dell’esercito) e Carlo Digilio (appartenente alla sezione veneziana di Ordine Nuovo, pentito e testimone chiave del processo)39. Sulle stragi e sul terrorismo di destra torneremo comunque nei prossimi capitoli. Si può affermare, quindi, che Ordine Nuovo fu (insieme ad Avanguardia Nazionale e ad altre formazioni neofasciste) “uno dei maggiori protagonisti della violenza politica italiana nel dopoguerra”40, anche se tale generalizzazione non è chiaramente estendibile ad ogni singolo militante o simpatizzante. Un capitolo fondamentale di ciò che attiene Ordine Nuovo, riguarda le relazioni esistenti tra il gruppo (e, più in generale, l’intera area dell’estremismo di destra) e diversi settori dello stato, servizi di informazione e apparati militari in primis, in termini di sostegno, copertura o quantomeno di tolleranza. Anche se i singoli episodi di copertura, depistaggio o supporto agli estremisti di destra da parte di organi e agenti dello stato verranno approfonditi nei prossimi capitoli, si
39
Vedi Paolo Biondani, "Strage della Questura. Quattro ergastoli", Corriere della Sera, 11.3.2000
40
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.123
59
può tracciare qui un quadro generale di tali rapporti, anche se è bene chiarire che, se è vero che le ultime indagini condotte hanno messo un luce numerosi punti oscuri e fatto emergere legami sconosciuti, è altrettanto vero che restano ancora delle zone d’ombra, e in ogni modo che le ricostruzioni effettuate non sono ancora così complete da poter essere recepite integralmente in sede storiografica. “E’ stato dimostrato come il SIFAR sovvenzionò Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, così come altre organizzazioni di estrema destra. [..] Il SID [..] continuò la pratica di finanziamento dei due gruppi elaborati dal SIFAR, senza por fine a un rapporto di ‘collaborazione’ ormai consolidato […]”41. Altre fonti di finanziamento riguarderebbero non chiari contatti con gruppi industriali e legami con il traffico internazionale di armi. I rapporti con i servizi di informazione e l’esercito sono comunque ben più complessi e significativi rispetto ad un semplice finanziamento. Nei diversi processi per strage (Piazza Fontana, Treno Italicus ecc.), al di là della mancata o meno individuazione e condanna dei colpevoli, è stata accertata una vasta azione di copertura effettuata da parte dei servizi in favore degli estremisti di destra. A riguardo, riporto le affermazioni relative a tali vicende del Sen. Pellegrino, presidente della Commissione Stragi, nella Proposta di Relazione da egli redatta: "Il quadro che i più recenti accertamenti hanno riassunto riprendendo le fila di precedenti istruttorie e approfondito con nuove acquisizioni, sgombra il campo dall’equivoco nel quale si incorre allorché si affronta il tema della responsabilità dei servizi stessi, fino a svuotare di contenuto politico la inadeguata risposta dello Stato alle minacce terroristiche, stragiste e golpiste. L’equivoco
riguarda
la
asserita,
congenita
incapacità
e
la
cronica
disorganizzazione di tali apparati di sicurezza. I servizi di informazione in realtà disponevano di notizie, di elementi di valutazione, di stabili fonti di informazione e di capacità professionali per la loro valorizzazione che li
41
Ibidem, p.124
60
avrebbero messi in condizione di dare un aiuto determinante all’autorità giudiziaria e alla polizia giudiziaria se solo questo fosse stato il reale intendimento con cui l’attività di servizio veniva svolta, e non piuttosto la sua strumentalità a disegni e progetti politici che, peraltro, sembra non avessero nelle sedi istituzionali la loro fucina di elaborazione. E’ chiaro che, al riguardo, in nessun momento tale giudizio drastico può colpire i servizi nella loro totalità, e che, sempre, vi sono stati tra le loro fila funzionari leali e di piena affidabilità democratica; tuttavia, l’ormai consolidato riferimento ai 'settori deviati dei servizi' diventa fuorviante quando venga riferito ad epoche e situazioni in cui alle deviazioni hanno partecipato i massimi vertici degli stessi o i responsabili di settori determinanti"42
Sempre
in
relazione
ai
rapporti
con
militari
e
servizi
d’informazione, è di particolare importanza il coinvolgimento di ON nella vicenda dei Nuclei di Difesa dello Stato (e in generale nelle reti clandestine anticomuniste operanti in Italia), che sembra potersi affermare sulla base delle più recenti ricostruzioni giudiziarie, e che “indurrebbero a riconsiderare la qualificazione dell’attività del gruppo”43. Questo
aspetto
verrà
comunque
approfondito
nel
corso
della
trattazione. Passiamo ora ad analizzare la vicenda di Avanguardia Nazionale.
42
Commissione Stragi, Il terrorismo, le stragi e il contesto storico politico, op.cit.
43
Commissione Stragi, Il terrorismo, le stragi e il contesto storico politico, op.cit.. Riporto qui la ricostruzione resa dal pentito Carlo Digilio, ex-ordinovista e collaboratore di giustizia dal 1993, al giudice Guido Salvini nel corso degli accertamenti giudiziari relativi ai più recenti procedimenti per la strage di Piazza Fontana: "I Nuclei di Difesa dello Stato più precisamente si chiamavano Nuclei territoriali in difesa dello stato o Legioni ed erano collocati strategicamente in diverse regioni. Quella di Verona era la quinta [...] facevano riferimento a strutture dell'esercito italiano e consistevano nell'approntamento di gruppi di civili destinati ad affiancare, in caso di necessità e come supporto, le strutture militari ufficiali. In sostanza erano formate da persone che si erano sempre tenute in contatto con l'esercito come ex sottufficiali, ex carabinieri, ex combattenti delle varie Armi e costituivano piccoli plotoni che facevano addestramento anche con militari di servizio. Erano piccole unità capaci di essere indipendenti una dall'altra, secondo le tecniche di un certo tipo di difesa. Fra loro si conoscevano solo i capigruppo [..] (i compiti della struttura riguardano) la difesa del territorio in caso di occupazione e compiti antiinsurrezionali in caso di sommosse da parte dei comunisti. In sostanza questa struttura seguiva la linea ortodossa della NATO" cfr. M.Dianese-G.Bettin, La strage. Piazza Fontana. Verità e memoria, op.cit., pp.184-185
61
2.3 Avanguardia Nazionale 2.3.1 Cronologia, ideologia e organizzazione Avanguardia Nazionale (AN) viene fondata a Roma nel 1959 da Stefano Delle Chiaie, leader carismatico del gruppo. L’origine del gruppo è da collocarsi nei Gruppi Armati Rivoluzionari (GAR44), staccatisi da Ordine Nuovo alla fine degli anni ’50, dai quali, appunto, ha origine la nuova formazione. AN viene sciolta (probabilmente per ragioni tattiche) nel 1966, per essere poi rifondata nel 1970, fino alla definitiva dissoluzione nella seconda metà degli anni '70, dopo la condanna dei suoi leader avvenuta nel '76 per il reato di ricostituzione del partito fascista. E' importante sottolineare che lo scioglimento del '66, non configura una diaspora del gruppo, in quanto la leadership si impegna in quel periodo a tenere unito l'ambiente "per future lotte"45. I militanti di AN, durante la temporanea disgregazione del movimento, partecipano all'esperienza di altre formazioni della destra radicale. La ricostituzione, avvenuta appunto nel '70, è dettata da un lato dall'esigenza di affrontare il movimento studentesco, dall'altro di partecipare a strategie più ampie di cui si dirà più avanti. Prima di ricostruire nel dettaglio la vicenda di AN, è necessario registrare il fatto che le più recenti ricostruzioni giudiziarie "hanno confermato un disegno che nelle grandi linee era già tracciato, e cioè quello di una sostanziale contiguità tra Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, ma soprattutto della stabilità dei rapporti di entrambe con settori dei servizi di informazione e di alcuni apparati militari”46. Le maggiori diversità tra le due formazioni, nel quadro di una sostanziale vicinanza ideologica, riguardano il tipo di atteggiamento: Ordine Nuovo 44
P.Rosenbaum, Il nuovo fascismo, op.cit., p.81
45
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.126
46
Commissione Stragi, Il terrorismo, le stragi e il contesto storico politico, op.cit.
62
privilegia il momento strategico, "costruendo così il discorso teorico della rivoluzione per i tempi lunghi, per le generazioni avvenire"47, mentre
Avanguardia
Nazionale
privilegia
il
momento
tattico,
rivolgendosi maggiormente all'azione immediata. AN nasce in opposizione alle "sterili lamentele"48 della destra nostalgica, sprofondata in quegli anni nelle sabbie mobili della gestione Michelini. Lo scopo dichiarato è la costituzione di "un'organizzazione forte capace di riproporre, nella politica nazionale 'principi e soluzioni che non trovano più uomini in grado di interpretarli e [...] di prospettarli'..."49, e la formazione di "[...] un tipo umano che, in una società [...] rilassata e priva di ogni riferimento spirituale, sappia assumere uno 'stile', preparandosi ad essere classe dirigente"50. In realtà tale programma, assai vago, viene presto sacrificato a beneficio di un'impostazione squadrista e dedita allo scontro fisico più che all'elaborazione teorica (per tale motivo la qualità dei documenti ideologici di AN si colloca ad un livello decisamente più rozzo ed elementare rispetto ai corrispondenti di ON). Tale impostazione viene inverosimilmente giustificata da finalità difensive, per cui Avanguardia Nazionale "si trova immediatamente a dover subire le provocazioni dei sovversivi [...] e la criminalizzazione della stampa"51, dovendo così trascurare la preparazione teorica dei militanti e la definizione di concreti obiettivi politici per rispondere alle esigenze dell'autodifesa. L'uso della forza viene in tal modo, secondo l'interpretazione del movimento, ad essere giustificato. Ma delle violenze e delle aggressioni messe in atto dagli avanguardisti si riferirà in modo più preciso nel prossimo paragrafo. 47
Commissione Stragi, Il terrorismo, le stragi e il contesto storico politico, op.cit.
48
Cit. in F.Ferraresi, La destra eversiva, in D.Della Porta, Terrorismi in Italia, op.cit., p.255
49 50
Ibidem Ibidem
51
F.Ferraresi, La destra eversiva, in F.Ferraresi (a cura di), La destra radicale, Milano, Feltrinelli, 1984
63
Per quanto riguarda l'organizzazione, il gruppo ha la sua sede centrale e la sua Direzione Nazionale a Roma, mentre altre sezioni e sedi locali sono sparse in tutto il paese.
Anche in AN esistono due
livelli di militanza: "un livello 'ufficiale', destinato allo svolgimento delle attività pubbliche e legali, e una struttura 'secondaria', che costituisce un vero e proprio apparato clandestino"52. Della struttura occulta, fanno parte "i militanti dotati di capacità organizzative più adatte al lavoro clandestino, scelti tra coloro che non erano noti alla polizia e ai carabinieri per la loro attività politica pubblica e fra quanti avevano finto di abbandonare l'attività politica"53. L'ideologia e la cultura politica di AN, si è già sottolineato, risentono pesantemente della preferenza assegnata ad una tipologia di militanza eminentemente operativa. Ne consegue il carattere rozzo ed elementare degli scritti del gruppo. Ferraresi, nelle due versioni del saggio La destra eversiva (contenute in D.Della Porta, Terrorismi in Italia, op.cit., pp. 262-269, e F.Ferraresi, La destra radicale, op.cit., pp. 69-71), ne ripercorre le tematiche principali, a partire dall'analisi del documento
La
lotta
politica
di
Avanguardia
Nazionale
(opera
presumibilmente del leader Stefano Delle Chiaie). Dopo averne ribadito lo scarso livello qualitativo (il testo è infarcito, di vuote banalità quali "Ogni esistenza umana, individuale e di popolo, è una lotta tragica tra ciò che è spontaneo e ciò che è difficile"), Ferraresi definisce il punto di partenza dell'ideologia avanguardista "in un orientamento drasticamente antiegualitario, gerarchico, elitario, antidemocratico". La democrazia viene vista come una "sopraffazione fondata sul doppio alibi del diritto e dell'eguaglianza". Il dato fondamentale che caratterizza la razza umana è la differenza tra individui e stirpi, cui deve essere consentito di svilupparsi dando luogo a naturali gerarchie.
52 53
Commissione Stragi, Il terrorismo, le stragi e il contesto storico politico, op.cit. Ibidem
64
La Nazione è l'unità politica fondamentale, intesa come "una realtà etnica e culturale che si colloca nella storia attraverso una fondamentale unità di Destino" (Ferraresi sottolinea l'indefinibilità del concetto di unità di destino). Lo Stato, che ne costituisce l'ossatura politica, deve essere totalitario, organico e corporativo. Qualunque fattore che ne minaccia la compattezza deve essere eliminato, cominciando dai partiti, alla lotta di classe, ai sindacati. Il concetto di Nazione, non va limitato all'Italia, ma deve essere esteso all'Europa. Il riferimento, tuttavia, non è all'Europa marxista o quella conservatrice, ma all'Europa "di quelle generazioni che si cercano e si chiamano da oltre frontiera [...] per creare nella devozione e nella difesa dei Valori eterni della Stirpe, una Nazione granitica che, nel rispetto reciproco che si devono gli uomini e i popoli, sappia ridare giovinezza al vecchio continente, proiettandosi audacemente alla conquista del proprio Destino". L'Europa è sinonimo di Civiltà, patria e origine degli eterni principi, dei Valori Perenni (secondo una prospettiva fortemente eurocentrica). Dell'Europa, tuttavia, gli ideologi di AN stigmatizzano la crisi contemporanea, dovuta alla schiavitù del bolscevismo imposta ad una parte degli europei, e alla decadenza degli altri a causa della corrosiva influenza del capitalismo, del liberalismo, del marxismo, dell'americanismo e della democrazia. Una delle posizioni peggiori in questa crisi è detenuta dall'Italia, condotta alla rovina da una demo-pluto-partitocrazia priva di valori, non più difesa dai pilastri dell'antico ordine, la Chiesa, la magistratura e le forze armate, che pure vengono meno. In tale momento critico, si rende necessario l'intervento di "forze sane", di una minoranza onesta e capace misticamente votata ad un'Idea forte, in grado di assicurare la rinascita della nazione. E proprio a tale ruolo si candida Avanguardia Nazionale. Diventa quindi legittimo parlare di Rivoluzione, di una profonda trasformazione sociale e politica del popolo italiano. Una Rivoluzione Conservatrice tuttavia, con l'obiettivo finale di un ristabilimento dell'Ordine.
65
Ferraresi
evidenzia,
al
termine
dell'analisi,
la
povertà
dell'elaborazione ideologica, la mancanza di originalità e la sua aproblematicità. Concetti quali Patria e Nazione vengono utilizzati acriticamente, senza le rielaborazioni e le problematizzazioni tipiche, ad esempio, dell'attività di Ordine Nuovo. Infine, un ultimo carattere da rilevare nell'impianto ideologico avanguardista, è la presenza di una visione cospirativa della storia. Tale
aspetto,
che
va
a
collocare
AN
a
fianco
delle
destre
concettualmente più povere, si esplica in una prospettiva secondo la quale la sovversione rossa è in agguato ad ogni passo; ogni sua azione configura una minaccia misteriosa e oscura, e ai centri di potere marxisti si devono ricondurre tutti i fenomeni disgregativi in atto nella società contemporanea. Il gruppo, entro questo universo concettuale unito nel rifiuto delle liberaldemocrazie e dei regimi marxisti, si ricollega su un piano maggiormente concreto, all'ipotesi golpista classica. Palese è il richiamo esercitato, in tale prospettiva, dei regimi militari in forza nel periodo in Europa e Sud America.
66
2.3.2 Attività e legami con Ordine Nuovo e con le forze dello Stato Le attività di Avanguardia Nazionale si differenziano da quelle di Ordine Nuovo per la preferenza accordata alla «prassi», più che alla cultura. Più semplicemente, si può affermare che gli aderenti al gruppo sono tra i principali protagonisti della violenza neofascista negli anni '60. I rapporti della Questura di Roma del '73 e del '75 (pur se presumibilmente assai incompleti) riportano quindici pagine54 di accuse contro i militanti di AN, con accuse che variano dall'aggressione alla tentata strage. Su questi basi verrà celebrato il processo culminante con il decreto ministeriale di scioglimento del gruppo. Sono quindi assenti o di scarsa rilevanza le attività culturali del gruppo, come seminari o conferenze pubbliche. Vengono invece organizzati, nel periodo analizzato, corsi dal carattere più pratico, come quelli relativi al confezionamento di esplosivi55. L'addestramento dei militanti avviene nelle palestre legate al movimento. Vengono allestiti anche diversi campi paramilitari, uno dei quali, a Pian del Rascino culminerà nella morte di un attivista, Giancarlo Esposti, per mano dei carabinieri56. L'orientamento squadrista di AN si concreta negli anni '60 in una serie impressionante di violenze ed aggressioni, soprattutto a danno di studenti o militanti di sinistra. Particolarmente gravi e numerosi sono gli attacchi nell'Università di Roma, di cui testimoniano le 120 denunce presentate all'autorità giudiziaria. L'avvento del movimento studentesco e la sua ascesa, tuttavia, riducono fortemente gli spazi politici disponibili per gli avanguardisti nelle università.
54
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.127
55
Sugli attentati attribuiti ad aderenti ad Avanguardia Nazionale, si veda, tra gli altri, D.Barbieri, Agenda Nera. Trent'anni di neofascismo in Italia, Roma, Coines Edizioni, 1976 56
Sui torbidi retroscena dell'omicidio di Esposti, vedi A.Cipriani-G.Cipriani, Sovranità limitata. Storia dell'eversione atlantica in Italia, Roma, Edizioni Associate, 1991, pp.182-185
67
La strategia di AN muta allora in più sofisticato progetto di provocazione e infiltrazione dei gruppi dell'estrema sinistra. In rapporto a ciò è bene ricordare il viaggio effettuato nella primavera del '68 da un gruppo di studenti di destra (capeggiati da Delle Chiaie, Rauti e da Facchinetti, leader di un altro gruppo, "Europa Civiltà") in Grecia, all'epoca del regime dei Colonnelli. I militanti vengono sottoposti "a corsi accelerati in quelle tecniche di infiltrazione a scopo eversivo che erano state impiegate con successo in Grecia l'anno precedente"57. Al rientro tali tecniche hanno un'applicazione immediata, con una forte espansione delle azioni di infiltrazione, allo scopo di provocare incidenti, scontri e tensioni la cui responsabilità sarebbe stata addossata alla sinistra. Tra gli episodi più significativi, sono da ricordarsi le azioni dei provocatori avanguardisti durante gli scontri del 1 marzo 1968, davanti alla facoltà di architettura di Valle Giulia a Roma: "I picchiatori fascisti di Avanguardia Nazionale questa volta cercheranno di bastonare in 'parti uguali' poliziotti e studenti. Lo scopo era provocare più incidenti possibile"58. Tali disegni si possono ricollegare alla più generale impostazione golpista
del
movimento,
rispetto
alla
quale
sono
strumentali
l'esasperazione del clima di tensione da ottenersi attraverso lo scontro diretto con l'avversario, e azioni di provocazione non riconducibili alla loro reale origine. Da tale impostazione generale deriva anche un altro aspetto fondamentale per ciò che riguarda le attività di AN: il collegamento con gli apparati statali, in particolare con i servizi di informazione. Ciò nel quadro di un progetto rivoluzionario in cui, una volta determinata tramite l'azione rivoluzionaria "la lacerazione del tessuto del potere"59, "gli
57
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.133
58
A.Cipriani-G.Cipriani, Sovranità limitata. Storia dell'eversione atlantica in Italia, op. cit., p. 48 59
Commissione Stragi, Il terrorismo, le stragi e il contesto storico politico, op.cit.
68
apparati [...] sono destinati ad intervenire per ripristinare l'ordine"60. Da qui, perciò, la necessità del collegamento con le «forze sane» dello stato. Le origini dei rapporti di Avanguardia Nazionale con i servizi di informazione, Ufficio Affari Riservati, prima, e Sid, poi, si deve collocare nel coinvolgimento del gruppo nelle attività di affissione dei "manifesti cinesi"61, un'operazione di attacco al PCI, proveniente apparentemente dalla sua sinistra, con lo scopo di "allarmare l'opinione pubblica moderata con la dimostrazione dell'esistenza di una capillare rete filocinese in molte città italiane [...] [e di] spingere il Partito Comunista Italiano ad una radicalizzazione determinata dalla necessità di impedire la formazione di un'area alternativa alla sua sinistra"62. I legami tra AN e l'Ufficio Affari riservati, di cui parla il capitano del SID Antonio La Bruna, sembra siano stati in realtà molto estesi, al punto che l'ufficiale si spinge ad affermare che "AN era, tout court, al servizio del ministero"63. Del coinvolgimento di AN nel golpe Borghese si riferirà più avanti. E' inoltre da ricordarsi il coinvolgimento di militanti di Avanguardia Nazionale alla rivolta di Reggio Calabria. Infine, a testimonianza della già riportata contiguità tra Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, si deve citare il tentativo di riunificazione dei due gruppi, che, fortemente voluto da Stefano Delle Chiaie, è sancito in una riunione ad Albano nel '75. La nuova struttura si configurerà in senso fortemente antisistemico. Di questa nuova linea sarà
60
sanguinosa
esemplificazione
l'omicidio
del
giudice
Vittorio
Ibidem
61
Sulla rilevanza dell'operazione "manifesti cinesi" nel rapporto di collaborazione tra il gruppo di Delle Chiaie e uffici del Ministero dell'Interno, cfr. M.Dianese-G.Bettin, La strage, op.cit., pp.158-159 62 63
Ibidem F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.131
69
Occorsio, nel luglio '76 a Roma64. L'uccisione del magistrato ha una forte carica simbolica, in quanto per la prima vota la destra eversiva "intende dichiaratamente colpire un simbolo dello stato, oltre che consumare una vendetta personale con la punizione pubblica di ua persona vista come nemica"65. E' in questi anni, comunque, che avviene il passaggio, nel mondo dell'eversione di destra, ad un terrorismo radicalmente antisistemico, culminante nella fase dello spontaneismo armato, l'analisi del quale esula, però, da questo lavoro.
64
Il giudice Occorsio, viene ucciso il 10 luglio, mentre si reca al lavoro. L'assassino del giudice è l'ordinovista Pirluigi Concutelli, capo militare del neonato gruppo. Il giudice aveva decretato la messa al bando di Ordine Nuovo, e aveva indagato sul SIFAR e su Piazza Fontana. Cfr. T.Barbato, Il terrorismo in Italia negli anni Settanta. Cronaca e documentazione, Milano, Editrice Bibliografica, 1980, p.134 65
R.Minna, Il terrorismo di destra, op.cit., p.62
70
2.4 Franco Freda e il gruppo di AR
Se Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale costituiscono senza ombra
di
dubbio
i
soggetti
politici
più
importanti
nell'area
dell’estremismo di destra, sono attivi nello stesso periodo molti altri gruppi, alcuni dei quali di una certa rilevanza (es. Europa Civiltà). Tra queste formazioni si è scelto di ricordare brevemente una realtà particolarmente significativa, il gruppo di AR, fondato da Franco Freda nel '63, cui successivamente si aggrega l'editore Giovanni Ventura, "un cui giornaletto dell'epoca recava come sottotitolo «Il nostro onore si chiama fedeltà», che è una delle parole d'ordine di Ordine Nuovo"66 (oltre ad essere il motto delle SS naziste). Il gruppo è dominato del suo leader, indubbiamente una delle figure maggiormente carismatiche della destra radicale italiana, il cui nome ricorre nei procedimenti giudiziari relativi agli episodi più gravi connessi alla strategia della tensione, a partire dalla strage di Piazza Fontana. Scritto da Freda è il testo La disintegrazione del sistema, il cui impianto teorico sarà discusso nel prossimo capitolo. E' da rilevare l'importanza del libro, in cui Freda sul piano politico ipotizza un'alleanza dei gruppi rivoluzionari di destra e sinistra in chiave antisistema, anche se in realtà non è chiaro quanto egli "realmente credesse in questa strategia, e quanto invece essa non fosse che un astuto stratagemma per intorbidire le acque della strategia della tensione"67. E' certo tuttavia, che nell'ultima fase del terrorismo neofascista, diversi gruppi cercheranno di attuare tale proposta operativa, guardando a Freda come una fonte ispiratrice.
66
R.Minna, Il terrorismo di destra, op.cit., p.38
67
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.103
71
CAPITOLO 3 ...................................................................................... 72 Radici culturali, miti e ideologie della destra radicale........................ 72 3.1 Julius Evola ................................................................................ 73 3.1.1 Introduzione.......................................................................... 73 3.1.2 Alcune interpretazioni dell’opera di Evola .......................... 74 3.1.3 Breve sintesi delle concezioni evoliane ............................... 81 3.1.4 Concetti evoliani e Destra radicale....................................... 93 3.2 Adriano Romualdi .................................................................... 100 3.3 Il fascismo e il mito della RSI.................................................. 103
CAPITOLO 3 Radici culturali, miti e ideologie della destra radicale
Dopo aver analizzato l'impostazione ideologica dei principali gruppi dell'estremismo di destra in Italia, è necessario ora soffermarsi sulle radici culturali dell'intera area della destra radicale italiana, in particolare pensatori, ideologi e miti fondamentali per quest'area. Non si vuole qui prendere in esame in modo dettagliato l'opera di tutti i pensatori che sono tradizionalmente compresi nell'area di destra, bensì cercare di sintetizzare le idee principali di alcuni autori che su di essa hanno esercitato una forte influenza nel periodo considerato da questo lavoro. Particolare importanza assume, in questa prospettiva, l'opera di Julius Evola. Non è questa certamente la sede per una rassegna completa
dell'intera
produzione
evoliana,
data
la
vastità
e
la
complessità del tema. Si cercherà tuttavia di delineare le coordinate principali delle sue concezioni filosofiche. In secondo luogo si tratterà di problematizzare il rapporto tra il pensatore e i gruppi della destra radicale, nel tentativo di chiarirne alcuni aspetti, quali le relazioni tra la filosofia evoliana e la pratica politica dei gruppi della destra, e, più di tutto, l'esistenza o meno di un legame tra Evola e la violenza politica (fino al terrorismo). E' da sottolineare comunque, che l'ideologia, pur essendo anch'essa alla base dello scatenarsi della violenza politica, è un fattore probabilmente di minore importanza rispetto all'analisi del contesto storico politico per comprendere le vicende del terrorismo di destra italiano.
72
3.1 Julius Evola
3.1.1 Introduzione Giulio (Julius) Cesare Evola (1898-1974) è considerato il più importante e significativo punto di riferimento teorico del radicalismo di destra
postbellico
in
Italia.
Qui
si
occuperà
prevalentemente
dell'influenza che il filosofo ha esercitato sui gruppi della destra radicale italiana, e di approfondire alcune tematiche, quali il rapporto tra scritti evoliani ed elaborazione teorica di tali movimenti, e gli eventuali legami tra alcune concezioni di Evola e la violenza politica (fino al terrorismo) esercitata dagli estremisti di «neri». Va detto sin dal principio che la figura di Evola è, ancora oggi, fonte di molte controversie, e molto marcate sono le divisioni tra gli studiosi sull'interpretazione e la valutazione della sua filosofia e della natura dell'influenza da egli esercitata sull'area di destra. Quello che è importante anticipare e sottolineare fin da ora, è che, nonostante l'indubbio carattere antimoderno, antidemocratico e antiegualitario della filosofia evoliana, le riserve che si possono nutrire sulla presenza di elementi totalitari e razzisti1 in essa presenti (presenza che mi pare francamente innegabile); nonostante si possano deprecare alcuni episodi della vita del pensatore della Tradizione (quali la collaborazione con le SS naziste2); nonostante tutto questo, a
1
Anche se è vero che nell’ebraicità e nell’arianità Evola vedeva dei tipi ideali di atteggiamento e di comportamento (“due modi di essere, in sé e per sé” cfr. G.De Turris, Elogio e difesa di Julius Evola. Il barone e i terroristi, Roma, Ed. Mediterranee, 1997, p.184) non necessariamente legati all’ebreo e all’ariano per nascita (parla quindi, Evola, di “razzismo spirituale”, nonostante tutte le riserve che personalmente suscita in me una concezione di questo tipo), le pagine in cui afferma le tesi riguardanti l’inferiorità strutturale di neri e aborigeni australiani sono classificabili come esempi di razzismo nel senso comune del termine 2
Collaborazione che innegabilmente vi fu (cfr. G.Galli in G.De Turris, Elogio e difesa di Julius Evola, op.cit., p.13), anche se è vero che nel corpo che rappresentava l'élite del regime hitleriano, Evola scorgeva la riproposizione di quegli "ordini" in cui riconosceva una continuità con la Tradizione
73
riguardo dei legami tra Evola, estrema destra italiana e terrorismo «nero», sembra potersi sottoscrivere ciò che afferma Monica Zucchinali in A destra in Italia oggi (Milano, SugarCo, 1986, p.43): "...sarebbe un grave errore scambiare Evola per l'ideologo delle forme più estreme di lotta politica. Al contrario, il suo personaggio di intellettuale al di sopra delle parti è volutamente alieno da qualsiasi coinvolgimento di gruppo, sostanzialmente distaccato e critico nei confronti di qualunque proposta politica contemporanea. Non escluse quelle delle destre ufficiali. Il ruolo che Evola ha scelto per sé è quello di «testimone», di portatore di antiche tradizioni nella speranza di mantenere vive atmosfere perdute nei secoli e nei millenni"
3.1.2 Alcune interpretazioni dell’opera di Evola Come già riferito, Julius Evola è un autore che ha profondamente diviso la critica. Le fratture esistenti tra i diversi esegeti e studiosi della filosofia evoliana e dei suoi ipotizzati legami con la prassi violenta degli estremisti di destra sono davvero profonde. Si passa dall'apologeta che nega qualsiasi accenno di razzismo e di politicizzazione dell'opera del maestro,
all’atteggiamento
demonizzante
di
chi,
più
o
meno
velatamente, assume per certo un legame diretto tra pensiero di Evola e violenza politica. Come si cercherà di mostrare tra breve, tali discordanze riguardano aspetti non certo secondari dell’intera opera del filosofo. Non è questa la sede di una ricostruzione puntuale e dettagliata dell’intero dibattito sul tema, che negli ultimi anni sembra procedere verso un parziale ridimensionamento del supposto influsso deteriore di Evola. Si tenterà, tuttavia, di fornire almeno un quadro delle principali impostazioni interpretative, cercando poi di delineare quali siano quelle che a tutt’oggi sembrano più efficaci e documentate.
74
Successivamente si tratterà di capire quali concezioni evoliane abbiano lasciato l’alveo filosofico-spirituale cui l’autore intendeva riferirsi per essere tradotte nella politica attiva dai gruppi della destra radicale. E c’è da dire che, secondo le ricostruzioni che mi appaiono più convincenti, tale passaggio dalla metafisica (cui Evola si riferiva) alla politica sembra essere arbitrario e in contraddizione con le esplicite affermazioni del filosofo. Per cui, attraverso tale attività,
si sarebbe
configurato un vero e proprio deviazionismo evoliano. Ma veniamo ora alle differenze fondamentali tra le diverse interpretazioni. Non si ha qui la pretesa di esaurirle tutte. Se ne esamineranno solo alcune, che, a mio parere, ben sintetizzano le diverse posizioni sul tema. Lo scopo principale e il punto di incontro dell'intera dottrina evoliana è, per Franco Ferraresi, "il tentativo di fondare un modello di uomo strenuamente impegnato nella ricerca dell'assoluto nella sua dimensione interiore"3. Sostanzialmente aderente a questa posizione è Anna
Jellamo,
per
la
quale
l’obiettivo
primario
in
Evola
è
"l'affrancamento dell'Io dai condizionamenti di un mondo moderno decaduto; la ricerca di una via iniziatica in una società come l'attuale (sia prima che dopo la guerra) che non è più quella tradizionale; un'azione, a tutti i livelli e su tutti i piani per cercare di ricreare un 'uomo nuovo', collegato ai principi trascendenti pur se operante nel divenire storico"4. Sempre sul tema di fondo del discorso del tradizionalista, così continua Jellamo: "...è la ricerca di una dimensione dell'esistere che sia conforme alla vera natura dell'essere: questa dimensione è appunto quella, metastorica, della tradizione5 "6. E’ questa quindi l'idea trainante
3
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.86
4
G. De Turris, Elogio e difesa di Julius Evola, op.cit., pp.42-43
5
Dove la Tradizione "è un concetto riferito a un atteggiamento mentale, a una disposizione d'animo, a un modo di essere e di porsi di fronte all'esistenza; è 'tradizionale', ossia riconducibile alla concezione tradizionale della vita, ogni atteggiamento che individua la ragione prima delle cose in un principio o ordine
75
cui l'intera opera evoliana si ricollega. E qui ha origine un elemento di dissenso fondamentale nel caratterizzare le diverse impostazioni. Se per Ferraresi, Jellamo, Fraquelli, tale riferimento all’ambito metafisico non preclude di certo un riferimento diretto al mondo politico concreto, per altri il discorso è assai diverso. Tali divergenze sono esposte da Gianfranco De Turris in Elogio e difesa di Julius Evola. Il barone e i terroristi (op.cit.), in cui l’autore critica radicalmente chi ha voluto vedere a tutti i costi in Evola un «cattivo
maestro»,
cercando
di
smontare
punto
per
punto
le
argomentazioni di quelli che chiama «cattivi esegeti», ovvero Franco Ferraresi, Furio Jesi, Anna Jellamo, Marco Fraquelli, Giorgio Bocca ecc., e mettendo piuttosto l’accento sui “cattivi discepoli” come Giorgio Freda o gli esponenti dello spontaneismo, che hanno travisato l’insegnamento evoliano deformandolo e portandolo su piani ad esso non consoni. Anche se non si può che rimandare alla lettura del testo per le puntualizzazioni, si possono qui delineare alcuni punti centrali della discussione.
trascendente, che regge e governa la dimensione mondana dell'esistenza così come determina la dimensione interiore dell'essere. 'Tradizionale' e moderno sono pertatno due categorie di pensiero, due 'forme' ermeneutiche, che riflettono nella loro dicotomia l'antitesi irriducibile tra due universi concettuali", A.Jellamo, Julius Evola, il pensatore della tradizione, in F.Ferraresi (a cura di), La destra radicale, Milano, Feltrineli, 1984, pp.215-216 6
A.Jellamo, Julius Evola, il pensatore della tradizione, op. cit., p.216
76
Secondo De Turris, il riferimento all'ambito metafisico sopra descritto è così esplicito e importante, che tutte le «discese» nel contingente presenti nell'opera di Evola sono da leggersi secondo tale prospettiva «metafisica». Quindi, a titolo di esemplificazione, "anche quella che viene interpretata come pura e semplice 'politica', non risulterà essere che una 'dottrina metapolitica', che poi potrà avere anche ripercussioni sul piano pratico, ma soltanto dopo aver raggiunto i fini interiori per i quali è stata enunciata, comunque rimanendo sempre una dottrina che si elevi dal contingente, [...] non pensata per una sua assunzione e realizzazione"7. Sempre per De Turris, gli errori interpretativi (di cui egli accusa, ad esempio, Ferraresi, Fraquelli e Jesi) derivano dal non considerare l'intera opera del filosofo tradizionalista nel suo complesso, ma di isolarne alcuni testi, evidenziandone solo gli aspetti concretamente politici, trascurando invece di collocarli in una visione più complessiva avente come referenti principali quelli metafisici esposti più sopra. E’ chiaro che un’interpretazione di questo tipo esclude per forza di cose il coinvolgimento di Evola nell’ambito della politica attiva, quindi anche un suo ruolo nell’istigazione alla violenza e, tantomeno, al terrorismo. A questo tipo di impostazione si contrappone, ad esempio, la griglia interpretativa proposta da Marco Fraquelli nel libro Il filosofo proibito. Tradizione e reazione nell'opera di Julius Evola (Milano, Terziaria, 1994), che sostanzialmente sintetizza le posizioni di chi vede nella filosofia evoliana uno degli elementi più importanti alla base dello scatenarsi della prassi violenta e terrorista da parte degli estremisti di destra. Per Fraquelli la metapolitica di Evola non può che tradursi in una politica concreta, attiva; essa sarebbe stata applicata in tutto il secondo
dopoguerra
dalle
frange
più
radicali
della
destra,
coerentemente con gli insegnamenti del filosofo. Egli sostiene che tali
7
G. De Turris, Elogio e difesa di Julius Evola, op.cit., p.43
77
insegnamenti avrebbero fatto da sfondo alla violenza degli estremisti «neri»; che le conseguenze dell'applicazione delle teorie del filosofo proibito non potessero che tradursi negli eventi tragici che hanno insanguinato il paese negli anni '’50, ‘60 e '70. A mio parere, il collegamento tra Evola, violenza politica e terrorismo di destra è stato probabilmente sopravvalutato per lungo tempo nella letteratura, e il libro di De Turris, pur sé indiscutibilmente di parte, documenta in modo inequivocabile tale atteggiamento. Si è confusa l’influenza centrale esercitata dal filosofo sull’area della destra radicale con un suo coinvolgimento diretto nel campo politico. E questo, come dimostra De Turris, e come afferma Monica Zucchinali nella frase riportata per esteso ad inizio capitolo, non è certo l’obiettivo di Evola, impegnato su un ambito metafisico più che politico in senso proprio. Inoltre, se è vero che le opere più specificamente politiche sono indubbiamente arroccate su posizioni di destra antisistema (in quanto antidemocratiche,
antiegualitarie
e
tese
al
recupero
e
alla
conservazione della tradizione), è anche vero che risulta scorretto, come a volte è stato fatto, stabilire un collegamento tra tali posizioni teoriche e prassi politica dell’estrema destra, in quanto gli scopi dell’opera evoliana non erano quelli di definire un corpus teorico per la battaglia politica su un piano immediatamente concreto: “non si limitò mai alla politica pura e semplice, ma la trascese sempre”8. Come osserva De Turris, infatti, quello di Evola era “un insegnamento che mirava sostanzialmente ad una formazione interiore (e che aveva ovviamente anche una ricaduta pratica, perché non era certo un’astrazione pura), nel tentativo di creare una coscienza di sé nel mondo di rovine morali ed ideali nato nel 1945 […] che non si proponeva di indottrinare picchiatori e squadre d’assalto […] La sua voleva essere una rivoluzione spirituale”9.
8
G.De Turris, Elogio e difesa di Julius Evola, op.cit., p.62
9
Ibidem, p.61
78
Un immagine del filosofo, quindi, molto diversa da quella contenuta ad esempio nel testo di Giulio Salierno, Autobiografia di un picchiatore fascista (Torino, Einaudi, 1976, pp. 137-146), in cui Evola affermerebbe la necessità dell’uso della violenza per «estirpare il cancro comunista» e per instaurare un nuovo ordine10. In realtà, questa testimonianza ha probabilmente contribuito ad aumentare la confusione sulla figura di Evola, da un lato influenzando a priori in modo negativo chi si è occupato del filosofo; dall’altro, di essa è stato fatto un uso eccessivo per provare l’influenza deteriore che il pensiero del tradizionalista avrebbe avuto sui militanti dell’estrema destra. Ciò, anche perché le uniche frasi di cui si ha notizia in cui Evola si appellerebbe espressamente al ricorso alla violenza nella pratica politica concreta sono contenute nelle pagine citate, e mi sembra assai insoddisfacente da un punto di vista analitico attribuire un valore probatorio così importante ad una testimonianza, in fondo, tutta da verificare11. E infatti, nelle diverse analisi effettuate dagli studiosi della destra radicale, gli aspetti più confusi e meno convincenti riguardano proprio i tentativi di dimostrazione dell’esistenza di un legame (ancorché indiretto) Evola-violenza. Per una loro confutazione, data la vastità del tema, si deve rimandare ancora una volta al libro di De Turris. Le divergenze tra le varie interpretazioni dell’opera evoliana non si fermano certamente qui, anche se ciò che le caratterizza nelle loro linee
chiave
sono
gli
argomenti
esposti
più
sopra.
Per
un
10
“La violenza è l’unica soluzione possibile e ragionevole […] Il cancro comunista va estirpato con il ferro e il fuoco. Contro i sindacati e i partiti occorre agire come fece Hitler il 1° maggio. L’Italia si salverà solo se avremo una guerra civile come in Spagna”, G.Salierno, Autobiografia di un picchiatore fascista, op.cit., pp.142-143 11
Cfr. G. De Turris, Elogio e difesa di Julius Evola…, op. cit., p.140. Sempre sul tema del travisamento dei testi di Evola in chiave di prassi politica diretta da parte dei militanti di destra, è riportata (pp.140-141) una testimonianza diretta del filosofo datata 1959: “Non è certo colpa mia se alcuni giovani hanno fatto un uso arbitrario, confuso e poco serio di alcune idee dei miei libri, scambiando piani molto diversi. Su questa base un giornale milanese giunse a concepire un qualche rapporto fra quelle idee ed un attentato privo di senso all’Arcivescovado…”
79
approfondimento sul tema, che richiederebbe un lavoro a sé, non si può far altro che far riferimento ai testi citati, anche se a mio parere esso richiederebbe ulteriori ricerche e sistematizzazioni. Per il momento, la posizione più equilibrata mi appare quella espressa da Giorgio Galli nella prefazione del più volte citato libro di G.De Turris. Il politologo milanese afferma la sostanziale validità della ricostruzione storica e del quadro interpretativo proposti dall'autore, tenendo però presente che alcuni dei «cattivi esegeti» citati nel testo hanno rivisto col tempo le proprie considerazioni12, e ricordando alcune delle condizioni oggettive13 che hanno indubbiamente contribuito a portare a delle erronee valutazioni. Inoltre, viene ribadita da Galli la convinzione che il filosofo tradizionalista sia comunque anche un pensatore politico, pur con la complessità di pensiero mostrata da De Turris, un pensatore arroccato su posizioni di radicale opposizione alla democrazia rappresentativa. Infine, a proposito di tale politicità, si sottolineano i limiti dei suggerimenti politici concreti dati da Evola sia durante il fascismo che nel dopoguerra, anni in cui il filosofo è portatore di una visione da fronte anticomunista anni ’30. Anzi, proprio “l’impegno anticomunista può aver favorito le cattive esegesi che De Turris critica”14. Tutto ciò, tenendo ben presente che il focus dell’impegno intellettuale di Evola non si colloca certo nell’organizzazione concreta dell’attività politica attiva15.
12
Così si esprime ad esempio Fraquelli in un’intervista successiva all’uscita del suo libro: “Personalmente sono convito che l’intera opera evoliana avesse il preciso fine di fornire al neofascismo dei referenti ideali e politici in grado di rivitalizzare una visione del mondo antidemocratica. Questo, naturalmente, non implica una relazione meccanica tra dottrina e prassi. Quest’ultima è esclusiva responsabilità del militante”, cit. in G.De Turris, Elogio a Julius Evola…, op.cit., p.151 13
Ad esempio la complessità dell’opera di Evola, la ripubblicazione non autorizzata di opere giovanili che potevano indurre confusione nell’analisi
14
Pref. di G.Galli a Elogio e difesa di Julius Evola, op.cit., p.13
15
A tale riguardo si vedano le affermazioni di Evola riportate da De Turris in Elogio e difesa di Julius Evola, op.cit., in cui il filosofo, parlando di iniziative su un piano più concreto afferma che “Tutto questo dominio (quello pratico) cade fuori dal campo delle mie competenze” (p.65), che “Per quel che riguarda non la dottrina, ma il piano pratico, gli unici compiti ragionevoli (ma già abbastanza alti) riguardano la formazione di sé” (p.65), e che “Si tratta di mantenere la testimonianza della visione tradizionale
80
3.1.3 Breve sintesi delle concezioni evoliane Per poter procedere a delle valutazioni relative al rapporto tra Evola e gruppi della destra radicale italiana, è necessario ora tracciare brevemente le coordinate principali del sistema filosofico evoliano. Data la complessità dell'argomento la sintesi sarà forzatamente parziale, e orientata ad illuminarne solo alcuni aspetti che qui interessano maggiormente16. L'opera di Evola raccoglie l'influenza di diverse figure e tradizioni di pensiero, anche corrispondenti alle diverse fasi della propria evoluzione esistenziale. Per renderne più comprensibile il sistema dottrinario è d'aiuto ricordarle. Centrali in Evola sono: •
la primissima formazione con i movimenti d'avanguardia italiani del primo novecento (Papini, Prezzolini, Marinetti ecc.) e il futurismo, dal cui atteggiamento di rottura radicale con il clima e l'ordine borghese del tempo, derivano (insieme alla fondamentale influenza della dottrina tradizionale) "l'avversione per la democrazia, e la propria disposizione intellettuale per la concezione antiegualitaria"17, "la concezione 'mistica' della guerra e della morte eroica"18 ;
•
l'adesione al movimento dadaista di Tristan Tzara, esperienza artistica da cui, in connessione con quella futurista, ha origine la "ricerca di libertà interiore, di potenza, dell'esaltazione dell'Io che sarà alla base della sua produzione filosofica"19. Nel dadaismo, quindi, il filosofo non trova solo nuove forme artistiche, ma, più di tutto, "l'esaltazione dell'Io che si fa legge a se stesso, sottraendosi a
della vita e della storia di contro al pensiero moderno e alla cultura profana, come più o meno noi facciamo” (p.143) 16
Per una ricostruzione completa dell'intero pensiero evoliano e per una esauriente bibliografia dei testi ad esso correlati, si veda M.Fraquelli, Il filosofo proibito. Tradizione e reazione nell'opera di Julius Evola, Milano, Terziaria, 1994 17
M.Fraquelli, Il filosofo proibito..., op.cit., p.5
18
A.Jellamo, Julius Evola, il pensatore della tradizione, op.cit., p.216
19
M.Fraquelli, Il filosofo proibito..., op.cit., p.6
81
ogni vincolo e limite che contrasti l'assoluta formazione di sé"20; •
l'incontro con un gruppo di pensatori che, nonostante le differenze, convergono verso "un sistema di pensiero in qualche modo unitario, caratterizzato dal tentativo di contrastare gli indirizzi speculativi allora dominanti (dall'idealismo al positivismo)"21. Tra di essi, ricordiamo: Stirner, del quale Evola stigmatizza i limiti filosofici, venendo però influenzato dal senso di rivolta (più esistenziale che teorica) contro le categorie logiche dell'idealismo presente nella sua opera22; Weininger, da cui trae l'idea della relazione diretta tra lo spirito
femminile
e
l'avvento
delle
democrazie
liberali;
Michaelstaedter, "la cui teoria della persuasione si ritrova nella teoria evoliana dell'individuo assoluto"23; Nietzsche, la cui influenza è fondamentale per il giovane Evola. Da Nietzsche egli infatti trae l'opposizione al cristianesimo e, soprattutto, il valore attivo ed eroico del nichilismo nietzschiano24, uno degli elementi fondamentali per la costruzione dell'Individuo Assoluto; •
lo studio delle dottrine orientali, che "con la loro visione del nulla, la rottura con la logica e con la realtà profana offriranno ampio materiale per l'attacco antirazionalista alla cultura e alla filosofia occidentali"25;
•
Novalis, da cui riprende il termine «magico» per precisare il proprio idealismo
magico
(in
contrapposizione
all'idealismo
classico):
magico è, per Novalis, "colui il quale, tramite la poesia, acquista quella forza creativa e creatrice che caratterizza la volontà «divina»
20
A.Jellamo, Julius Evola, il pensatore della tradizione, op. cit., p.217
21
M.Fraquelli, Il filosofo proibito..., op.cit., p.5
22
"Il valore di Stirner, nell'itinerario formativo di Evola, sta nell'essere una tappa, un momento di negazione e di passaggio al nichilismo liberatorio e all'effettiva autoappropriazione", R.Melchionda, Il volto di Dioniso, Roma, Basaia Ed., 1984, p.210, cit. in M.Fraquelli, Il filosofo proibito..., op.cit., p.9 23
A.Jellamo, Julius Evola, il pensatore della tradizione, op. cit., p.217
24
Cfr. M.Fraquelli, Il filosofo proibito..., op.cit., pp.13-15
25
Ibidem, p.13
82
che è alla base, che è il substrato vero del mondo. Il che equivale a dire che l'Io è il «padrone del mondo»"26; •
gli idealisti tedeschi, Kant, Fichte, Schelling, Hegel, Keiserling ecc., di cui sente l'esigenza di approfondire l'opera dopo avere scritto L'idealismo magico;
•
i personalisti francesi, Lachelier, Sècretam, Boutroux, Lenouvier, Hamelin, che, al di là delle influenze teoriche, quasi completamente ignorati dalla cultura italiana dell'epoca, rafforzano il filosofo nella convinzione
della
necessarietà
della
propria
battaglia
contro
l'idealismo. In Italia la polemica di Evola si rivolge, chiaramente, a Gentile e a Croce. Più in generale, invece, egli accusa gli esponenti della sinistra hegeliana tedesca di essersi arresi al mondo fenomenico rinunciando alla battaglia per la realizzazione di una conoscenza
assoluta,
e
"di
avere
così
inserito
nel
corpo
dell'Occidente il «virus» del materialismo"27. •
lo studio della dottrina dei Tantra, cui si accosta "alla ricerca di indicazioni concrete, di tecniche vere e proprie che consentano all'Individuo (Assoluto) di realizzare la sua azione magica"28. Ecco perciò lo studio dei Tantra, che "negano qualsiasi dualismo uomoDio [...] il mondo e l'universo sono creazioni dell'uomo il quale si identifica così nel principio assoluto e divino, il Brahman".29 L'uomo cui la frase si riferisce non è l'uomo comune, bensì "il Vira, l'uomo eroico che, superando ogni vincolo, ogni dualismo di bene e male [...] assurge all'assoluta anomia, «colui che ha per unica legge la propria virtù»"30;
•
l'incontro con Renè Guenon, considerato il massimo esponente del Tradizionalismo integrale nel '900, che assume un ruolo decisivo
26
Ibidem, p.21
27
Ibidem, p.26
28
Ibidem, p.50
29
Ibidem, p.51
30
Ibidem, p.51
83
nella svolta di Evola verso il pensiero tradizionale. L'opera di Guenon, maestro riconosciuto di Evola, dà "un vero e proprio centro, un principio anche formale a tutto il sapere magico ed esoterico che Evola aveva «raccolto» sino a quel momento"31. Considerata l'influenza centrale esercitata sulla filosofia evoliana, essa viene sintetizzata in nota32 nelle sue linee generali; •
il contatto con altri pensatori, che hanno avuto un ruolo affatto secondario nel precisare l'adesione di Evola al mondo della Tradizione: Wirth, Bachofen, Spengler e De Giorgio. Da Wirth, Evola trae il compito di "una filosofia della storia che partisse dalla tradizione primordiale"33. Da Bachofen apprende la rivalutazione del mito, del simbolo e della saga, nel loro contenuto di realtà, ai fini dello studio delle civiltà antiche; inoltre sempre di Bachofen è l'idea di uno svolgimento della storia della civiltà mediterranea
come
conflitto tra due tipi fondamentali di civiltà (uranica-virile e telluricafemminile). Da Spengler, e dall'antitesi da egli presentata tra Kultur 31
Ibidem, p.54
32
In estrema sintesi, i punti fondamentali del sistema di pensiero di Guenon sono: 1) l’idea di una Tradizione Primordiale unica, anteriore allo sviluppo delle diverse civiltà, la quale, ciclicamente, a causa degli sconvolgimenti delle civiltà, si oscura per dare vita a Tradizioni Secondarie; 2) la qualificazione della civiltà tradizionale come civiltà di tipo organico, differenziato, gerarchico, in cui tutte le attività umane, le scienze e le arti hanno un orientamento dall’alto verso il basso; 3) lo studio dei simboli, dei riti e di tutti ciò che concerne il Sacro, inteso come “unità trascendente di tutte le Tradizioni ortodosse” che, rispetto alla Tradizione primordiale, costituiscono solo varianti e casi specifici; 4) l’analisi dell’ultima fase (l’Età Oscura) del mondo contemporaneo attraverso gli insegnamenti esoterici; 5) la tesi di un ricorso da parte dell’Occidente ai principi metafisici dell’Oriente per il recupero della propria Tradizione, cioè di un patrimonio sapienziale dispersosi con la fine del mondo medievale e l’avvento del mondo moderno. Per Guenon, la storia dell’umanità è una storia regressiva: da un‘età aurea nella quale la Tradizione primordiale governava l’ordine naturale del mondo, attraverso vari cicli di oscuramento (cioè di allontanamento dall’ordine tradizionale) si è giunti alla fase più degradata e antitradizionale, quella moderna, che viene definita, con un termine indù, Kaly Yuga. Guenon, quindi, parla di una vera e propria azione antitradizionale, svolta da forze occulte ma consapevoli, che nel corso dei vari cicli hanno operato nell’ombra, invisibili, per dirigere il mondo verso il regno della quantità, verso una civiltà senza principi. L’unico modo in cui l’Occidente possa risollevarsi, è di risvegliare le proprie istanze tradizionali instaurando, attraverso l’opera di un élite intellettuale, un rapporto vivente con lo spirito dell’Oriente, che ha potuto conservare una tradizione intellettuale e metafisica unitaria. (Cfr. M.Fraquelli, Il filosofo proibito.., op.cit., pp.54-63) 33
Ibidem, p.64
84
(intesa come "civiltà della fissità, della qualità, dell'organicità, la civiltà del differenziato e dell'impulso vitale"34) e Zivilisation ("una sorta di irrigidimento artificiale e formale della Kultur, la quale diviene così una civiltà razionalistica, meccanicistica, informe e livellata"35), e dall'equivalenza tra Zivilisation (fase in cui si creano le condizioni per la morte della civiltà) e declino della civiltà nella sua analisi dello sviluppo storico delle civiltà, Evola deriva l'antitesi tra civiltà tradizionale e moderna. Infine, anche De Giorgio influenza l'opera evoliana, con la sua concezione secondo cui "Roma è la sede metafisica nella quale si conciliano le Tradizioni romana e cristiana, e il ritorno dell'Occidente alla Tradizione, anziché attraverso l'assunzione dei principi della Tradizione Orientale, può avvenire solo attraverso il recupero della Tradizione romano cristiana, l'unica Tradizione propria dell'Occidente"36; •
il richiamo a W.Sombart e alla sua critica dell'economia: Sombart evidenzia il predominio dell'elemento economico nell'era moderna, afferma che socialismo e capitalismo non sono antitetici in quanto nascenti dalla stessa matrice culturale (il socialismo nasce dalle contraddizioni insite nella società capitalistica), e denuncia “nel dominio della tecnica la causa della sopravvalutazione dei beni materiali”37;
•
il modello di «stato organico» espresso dal romanticismo tedesco, in particolare da Adam Von Muller;
•
"l'influenza della Weltanschauung della konservative Revolution, con cui Evola ebbe una profonda identificazione anche personale"38;
•
l'incontro, negli anni '30, con alcuni dei più significativi esponenti
34
Ibidem, p.66
35
Ibidem, p.66
36
Ibidem, p.66
37
F.Germinario, L’altra memoria. L’estrema destra, Salò e la Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1999 38
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op. cit., p.86
85
europei
del
pensiero
controrivoluzionario,
tra
cui
Cornelius
Codreanu e Mircea Eliade. Non interessa qui ripercorrere dettagliatamente il procedere dell’intera opera evoliana, criticarne le parti meno convincenti o darne valutazioni di carattere generale. Si vogliono solo richiamare alcune concezioni chiave per osservare come esse siano state proposte dai gruppi della destra radicale (e sulla legittimità o meno di questo tipo di operazione si è già detto nel precedente paragrafo). Le parti di sintesi che seguono hanno l’unico scopo di rendere comprensibili tali concezioni. A partire dalle esperienze giovanili con le avanguardie del primo novecento, Evola incentra la sua ricerca intellettuale ed esistenziale “sulle forme dell’egoismo inteso come espressione di libertà interiore e di potenza, come ‘meta raggiunta’ di un Io totale e assoluto”39. In polemica con l’idealismo classico, egli elabora la teorizzazione dell’Individuo Assoluto, e soprattutto un nuovo tipo di idealismo, da lui definito Idealismo Magico; un idealismo, cioè, in cui l’Io reale si fa Dio, “si rende ‘ente di potenza’, giungendo al dominio e quindi alla creazione del reale”40. Attraverso l’incontro con l’opera di Guenon, e con gli altri autori sopracitati (Wirth, Bachofen, Spengler in primo luogo), Evola può conciliare il suo idealismo magico con il tradizionalismo. Riprendendo parte dei concetti di questi autori, egli può sistematizzare la sua adesione al mondo della tradizione. Evola rifiuta apertamente la concezione lineare del tempo, presentando una particolare ipotesi di ciclicità temporale di tipo vichiano. Riprendendo parte della concezione tradizionalista di Guenon, egli propone una metodologia tratta sostanzialmente dalla tradizione
39
A.Jellamo, Julius Evola…, op. cit., p.217
40
Cfr. A.Jellamo, Julius Evola…, op. cit., pp.218-219, e M.Fraquelli, Il filosofo proibito, op.cit., pp.22-25
86
religiosa orientale (in particolare dalla dottrina delle due nature41), secondo la quale l'elemento essenziale di questa visione ciclica è il simbolismo che ad essa sottende, non la sua verità o validità (che non è dimostrabile, in quanto essa si riferisce anche ad epoche precedenti la storia conosciuta), così come è importante il senso che, attraverso questo tipo di visione, la «storia minuta» viene ad assumere. E’ un tempo non più storico, ma mitico, “che non scorre lineare e irreversibile, ma si frattura in cicli conclusi e in sé perfetti, aventi ciascuno in ogni suo momento una propria individualità”42. Qui il dato meramente quantitativo non ha più valore. In contraddizione esplicita con la concezione lineare del tempo, Evola propone una concezione qualitativa del tempo, che non scorre linearmente, ma si scinde in cicli, ognuno in sé completo e portatore di un significato preciso, e al contempo legato al ciclo più grande in cui esso fa parte. In una visione di questo tipo, non è importante la misurazione quantitativa del ciclo, in quanto
“durate
quantitativamente
diseguali
potevano
essere
considerate diseguali una volta che ciascuna di esse contenesse e riproducesse tutti i momenti tipici di un ciclo”43. Non si vogliono qui delineare in profondità i dettagli di questo tipo di visione dello svolgersi temporale, che fa riferimento a "...«Kalpa» (lo sviluppo totale della storia del mondo) [...] e «Manvantara» (la suddivisione all'interno del nostro «Kalpa» secondo un'immagine ridotta
41
La concezione di Evola deriva dalla dottrina orientale delle «due nature», per la quale esiste un ordine fisico e uno metafisico, una natura mortale e una immortale, una ragione «superiore» dell’essere e una «inferiore» del divenire. «Reale», perciò, non è ciò che manifestamente appare, ma ciò che si cela, e, pur non identificandosi con il soprannaturale, esso afferisce ad una dimensione più vasta dello spirito, a una forma dell’esperienza raggiungibile con la tesi. In questa prospettiva, il mondo materiale, ciò che appare in modo manifesto, è l’irreale. La conoscenza vera, allora, non è più la conoscenza del mondo della materia, del mondo del Divenire, bensì la conoscenza del sovrasensibile, di ciò che, al di là del tempo, costituisce l’eterna immutabile forma dell’essere. 42
A.Jellamo, Julius Evola…, op. cit., p.222
43
J.Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Roma, Mediterranee, 1982, p.183, cit. in A.Jellamo, Julius Evola…, op. cit., p.223
87
di tutto l'insieme dei cicli della manifestazione universale)"44, un tipo di prospettiva il cui svolgimento va a comprendere non solo la storia, ma anche la preistoria e il mito (fino all'epoca della creazione), e la cui conclusione è sconosciuta. In sintesi, ciò che interessa in questa sede, è che Evola ci propone un'interpretazione analogica della storia, la cui caratteristica principale è quella di "rendere simili le possibilità dello svolgersi dei cicli secondo uno stesso «grafico» in cui il passato viene riletto secondo modelli sempre uguali e universalmente validi"45. In questa visione, il tempo viene rappresentato non più per quantità, ma attraverso i simboli e le immagini. Centrale, allora, diventa nella forma di conoscenza affermata in queste concezioni, l’uso del mito, che, riprendendo Bachofen, non fa più riferimento a costruzioni fantastiche, bensì a “una verità profonda, superumana e superstorica, una espressione del reale dunque, nel senso più proprio e più antico”46. Il mito diventa, allora, “l’aspetto più autentico delle civiltà, il più valido strumento di conoscenza della loro essenza e della loro storia stessa”47. Il mito assume, nell’interpretazione evoliana, un valore più alto della storia, esso è “l’integrazione di senso della storia”48, in quanto permette di entrare in contatto con una diversa forma di razionalità, con ciò che alla mera narrazione dei fatti sottende; diventa sostanzialmente uno strumento per superare il mondo materiale, il mondo del divenire. Nel mito, il tempo cessa di avere una durata e una storia, “diventa espressione di strutture sacre, metafisiche e immortali”49. Il mito, insomma, permette di rapportarsi alle strutture immutabili che si celano nella mera apparenza del mondo materiale.
44
M.Zucchinali, A destra in Italia oggi, op. cit., p.32
45
Ibidem, p.32
46
A.Jellamo, Julius Evola…, op. cit., p.224
47
Ibidem, p.224
48
Ibidem, p.224
49
A.Jellamo, Julius Evola…, op. cit., p.224
88
Evola propone, in sintesi, una critica al razionalismo scientifico. Il suo è un "irrazionalismo improprio"50. Egli afferma una razionalità alternativa a quella moderna, “una razionalità che si rapporta a un senso diverso della realtà e della ragione”51. E’ quindi una forma di conoscenza di tipo diverso, una filosofia che fa riferimento più allo spirituale che all’irrazionale, che si fonda su una concezione della realtà e della ragione antitetica rispetto alla ragione moderna, la quale diventa, in questa prospettiva, una “non-ragione”52. A partire da questa prospettiva, si fonda la critica evoliana all’idea stessa di storia e di tempo della cultura moderna. La storia, nel senso moderno, è per il filosofo mera successione di fatti, nella quale la razionalità in senso proprio (ovvero quella che ho delineato più sopra) non ha spazio. La storia, cioè, facendo riferimento solo al materiale, perde ogni contatto col reale (ciò che Evola intende per «reale»), e diventa solo un procedere di fatti disarticolati e privi di significato. Per risolvere questo problema, Evola propone un’immagine regressiva della storia, mutuata da Spengler, che però, a differenza di quella spengleriana, “contiene un riferimento a un principio trascendente, che ne costituisce la ragione stessa”53. E’ dalla mancanza di tale principio che nasce “l’idea della storia come decadenza, come progressivo inverarsi di un principio materiale e umano in luogo di quello spirituale divino”54. La storia è vista, in questa prospettiva (che Evola riprende da Guenon, apportandovi però significative modifiche), come un processo regressivo. L’umanità avrebbe conosciuto un processo di lenta ma costante decadenza, a partire dalla primordiale età dell’oro, fino ad arrivare al mondo moderno. Evola distingue nella storia diverse età, ognuna caratterizzata dal loro rapportarsi ad un principio superiore: “il
50 51 52 53 54
Ibidem Ibidem, p.225 Ibidem Ibidem,p.226, Ibidem
89
metro del regresso è dato dalla misura del distacco rispetto al principio ‘superiore’ o ‘divino’ “55. La mancanza di tale principio è il tratto specifico che segna le società di tipo moderno, differenziandole in modo definitivo da quelle di tipo tradizionale. Quella delineata da Evola (e da Guenon) è, quindi, una concezione del tempo alla luce della quale ogni evento storico viene interpretato; è un’ipotesi radicale valida per tutti i tempi passati e futuri, inconciliabile con altre interpretazioni cronologiche. Di qui viene anche l'irrevocabile messa in discussione del «mondo moderno», che per Evola non è nient'altro che la fase più acuta di questo processo di degradazione della civiltà. Si cercherà ora di descrivere sinteticamente ciò che Evola intende per civiltà tradizionale e stato organico. E’ innanzitutto da chiarire che Mondo Tradizionale (“il mondo dell’Essere, dello Spirito, dell’Oggettività, dell’Ordine”56) e il Mondo Moderno (“il Mondo del Divenire – ciò che essendo soggetto a mutamento, non è rapportabile ad un principio superiore o oggettivo della Materia, del Caos”57) sono due tipi ideali di civiltà. La Tradizione rappresenta la struttura fondamentale di una società di tipo organico. Afferma Evola che “Una civiltà o società è tradizionale quando è retta da principi trascendenti ciò che è soltanto umano e individuale, quando ogni suo dominio è ordinato dall’alto e verso l’alto”58. La civiltà tradizionale è monarchica e sacerdotale. La sua legittimità politica si fonda sulla sacralità dei governanti. Lo stato, in tale società, è organico, e tale è quando ha un centro: “l’unità non ha un carattere semplicemente politico, bensì un carattere spirituale... la sfera politica in senso stretto apparendo essa
55
A.Jellamo, Julius Evola…, op. cit., p.226
56
Ibidem, p.227
57
Ibidem
58
J.Evola, Cavalcare la tigre, Milano, Falco, 1961, pp.9-10, cit. in A.Jellamo, Julius Evola…, op. cit., p.226
90
stessa formata e portata da un’idea”59. L’intera organizzazione giuridico politica del mondo tradizionale, a differenza di quello moderno, è cioè improntata ad un principio o ordine trascendente. La società organica della civiltà tradizionale è sottoposta al principio gerarchico, divisa in caste la cui rigidità dipende dalle usanze sociali. Tuttavia è da sottolineare come tale divisione, nelle concezioni evoliane, ha “significato e finalità trascendenti”60. Un’annotazione è necessaria sull’ambito di riferimento delle concezioni evoliane di stato, casta, gerarchia, legge, monarchia, aristocrazia. Come osserva Monica Zucchinali: “per non incorrere in facili incomprensioni sul significato di questi scritti, è forse
bene
precisare
che
Evola
ne
afferma
la
validità
(a
livello
socioeconomico soprattutto) solo se inquadrati nel contesto sacrale descritto, nel quale ogni gesto o ruolo personale sono inseriti nel senso globale della civiltà che li ospita. Fuori del contesto tradizionale, anche per Evola questi insegnamenti vengono a perdere ogni significato, mancando quei principi spirituali che ne garantiscono la legittimità”61.
Nel tradizionalismo evoliano, “lo stato è considerato il ‘tramite’ tra l’umano e il divino, la sua guida (il Re divino) incarna sia il potere temporale sia il potere spirituale”62. La legittimazione del potere del Monarca viene da un principio divino; è da esso che il sovrano trae “il potere
e
l’autorità”63.
Tale
legittimazione
dall’alto
è
l’elemento
fondamentale che distingue lo stato tradizionale da quello moderno; quest’ultimo, traendo la propria legittimazione dal basso diviene, è Evola, “espressione di regressione spirituale e politica, […] autentica
59
J.Evola, Gli uomini e le rovine, ed.Volpe, Roma, 1972, p.7, cit. in M.Zucchinali, A destra in Italia oggi, op.cit., p.44
60
A.Jellamo, Julius Evola…, op. cit., p.227
61
M.Zucchinali, A destra in Italia oggi, op. cit., p.44
62
A.Jellamo, Julius Evola…, op. cit., p.227
63
Ibidem, p..227
91
perversione ideologica”64. Ma è proprio la natura della giustificazione del potere nelle società tradizionali a costituire il problema fondamentale per la destra radicale, impegnata a confrontarsi con il problema della legittimazione del potere politico nelle società razionalizzate moderne. E qui è da sottolinearsi tutto il carattere utopistico della proposta evoliana, chiaramente inattuabile nelle attuali società, ben lontane dal concetto di un principio di legittimazione del potere di carattere sacrale. Ma, abbiamo visto, lo scopo di Evola non è quello di fornire indicazioni per la pratica politica immediata. Nella società organica, la divisione tra sfera pubblica e privata è fondamentale. La sfera pubblica o politica, per Evola, “si definisce con i valori gerarchici, eroici, ed ideali, antiedonistici […] che la staccano dall’ordine dell’esistenza naturalistica; essi si legano a ideali e interessi diversi […] da quelli della pura economia”65. E’ lo stato che deve conferire volontà politica alla società, non viceversa. Da ciò deriva anche una radicale svalutazione della componente economica; tale sfera deve essere rigidamente subordinata a quella politica, in quanto essa è espressione e governo dei fini ultimi. L’organicismo della concezione tradizionalista, richiede, in realtà, alcuni requisiti che Evola non nasconde: una società organica è sempre castale, e non solo gerarchica; la svalutazione della sfera economica porta ad una svalutazione delle istanze sociali e a squilibri economici. Questa impostazione porta chiaramente degli ostacoli insormontabili all’attuazione del tradizionalismo integrale nelle società moderne, rendendo difficilmente accettabili le conseguenze sociali di tale proposta politica, anche tralasciando il problema della legittimazione del potere.
64
Ibidem
65
Julius Evola, Gli uomini e le rovine, op. cit., pp.31-32, cit. in M.Zucchinali, A destra in Italia oggi, op.cit., p.78
92
3.1.4 Concetti evoliani e Destra radicale Si cercherà ora di analizzare il legame esistente tra concezioni evoliani e gruppi della destra radicale, approfondendo il loro utilizzo in chiave di lotta politica. Dato il carattere aristocratico-sacrale del tradizionalismo evoliano, esso è difficilmente applicabile ad un movimento politico moderno. Destra
radicale
postbellica
e
tradizionalismo
si
uniscono
innanzitutto per il carattere antiborghese e rivoluzionario delle proprie posizioni politiche. Evola definisce i valori e il modo di vita tradizionale come antitetici rispetto a quelli predominanti nel mondo borghese. Egli si dice «rivoluzionario», precisando però il senso di tale accezione, per lui non diversa da «reazionario» o «controrivoluzionario». Ciò che auspica è una «rivoluzione dall’alto», intesa, però, come un ritorno verso la società tradizionale, nel senso di una concezione di stato e società fondate su valori e principi di carattere superiore, che trascendono radicalmente il mero piano economico. Tale «rivoluzione dall’alto» dovrebbe porsi in una posizione di critica radicale al sistema, non però “in nome di valori socialistoidi, per non dire proletari, bensì di valori qualitativi, aristocratici e spirituali”66. E’ chiaro che anche tale proposta è inattuabile sul piano pratico per i movimenti di estrema destra, poiché necessiterebbe di “un gruppo rivoluzionario che abbia i crismi della sacralità divina”67. Inoltre sono palesi i rischi di un attuazione indiscriminata dei principi vigenti nella civiltà tradizionale. Si avrebbe la costituzione di un governo “reazionario, […] elitario sì, capitalista necessariamente, ma privo di quei connotati che Evola stesso
ritiene
indispensabili
alla
costituzione
di
un
potere
tradizionale”68. L’unico modo che i gruppi della destra radicale hanno per uscire 66 67 68
Evola, Ultimi scritti, cit. in M.Zucchinali, A destra in Italia oggi, op.cit., p.63 Ibidem Ibidem
93
da tali dilemmi politici (in primo luogo da quello della legittimazione dall’alto del potere) è quello di violare il modello puro della dottrina tradizionalista. E’ chiaro, però, che tale passaggio non può che ricollegarsi al discorso affrontato nel paragrafo precedente sulla liceità di tale operazione. I movimenti radicali degli anni ’50 e ’60, per agire su un piano politico concreto, elaborano “una teoria delle elites militanti (non più aristocratiche,
ma
piuttosto
aristocratiche
solo
in
quanto
élite)
sostanzialmente incuranti, tuttavia, della difficile soluzione del problema della loro legittimazione”69. Così si scrive Clemente Graziani su “Ordine Nuovo”: “Per la conquista totale delle masse la dottrina della guerra rivoluzionaria prevede, oltre che il ricorso all’azione psicologica, il ricorso a forme di terrorismo spietato e indiscriminato. E ciò per esigenze analoghe a quelle connesse all’azione psicologica. Si tratta cioè di condizionare le folle non solo attraverso la propaganda ma anche agendo sul principale riflesso innato presente tanto negli animali tanto nella psiche di una grande massa: la paura, il terrore, l’istinto di conservazione. […] Occorre determinare tra le masse un senso d’impotenza, un senso di acquiescenza assoluta in rapporto all’ineluttabile destino di vittoria della fazione rivoluzionaria. Inoltre, il terrorismo su larga scala attuato tra le fila delle forze incaricate della repressione del movimento, genera sempre disagio, stanchezza, insicurezza, determinando così le condizioni favorevoli alla propaganda disfattista. Un’attività terroristica di questo genere tende anche a esasperare l’avversario per costringerlo ad azioni di rappresaglia sempre odiose e impopolari, anche se giuste, e che, pertanto, alienano il favore e la simpatia di larghi strati della popolazione”70
In questo passaggio Graziani descrive la pratica rivoluzionaria esercitata, a suo parere, dai partiti comunisti, e indica “come unica 69
Ibidem, pp.64-65
70
C.Graziani, La guerra rivoluzionaria, in “Ordine Nuovo”, anno IX, n.4 aprile 1963, pp.16-17
94
soluzione
di
difesa,
«controrivoluzionaria»”
71
una
uguale
e
contraria
azione
(è chiaro il riferimento alla dottrina della guerra
rivoluzionaria che si diffonde in quegli anni nell'ambiente dell'estrema destra; su ciò si tornerà, comunque, nei prossimi capitoli). Anche se non è questo un periodo in cui si possa parlare di terrorismo (lo scritto è del ’63), non si può evitare di sottolineare, comunque, la concreta presa in considerazione dell’uso delle armi per la conquista del potere, chiaramente
in
contrasto
con
qualsiasi
tipo
di
legittimazione
democratica (anche tenendo contro della paura anticomunista che informa il brano). E’ palese, in questo passaggio, la rimozione del problema della legittimazione del potere politico e della conquista del consenso popolare. Proprio la teoria delle élite rivoluzionarie, si scontra negli anni ’50 e ’60 con queste difficoltà. Tale ideologia “privilegia le ‘minoranze qualificate’, le sole in grado di gestire il potere politico”72. Da essa, e dal costituire in concreto una minoranza all’interno del mondo politico italiano, alla quale non resta altro che giustificare e sostenere soluzioni per la conquista del potere che siano per essa più realisticamente percorribili, deriva
“il mito del colpo di forza sia esso di tipo
rivoluzionario o terroristico, sia esso militare [..] come comune denominatore della destra radicale negli anni ‘60”73. Anche La disintegrazione del sistema di Franco Freda, uno dei testi più influenti sull’area dell’estremismo di destra negli anni ’70 (il libro è del ’69) affronta il tema delle élite rivoluzionarie. Il modello elitario che egli propone ha lo scopo di svolgere il principio per cui, secondo Evola, “essere tradizionalisti integrali è oggi il miglior modo di essere radicalmente rivoluzionari”74. Freda, ha cioè, effettuato il
71
M.Zucchinali, A destra in Italia oggi, op.cit., p.66
72
Ibidem, p.67
73
Ibidem
74
F.G.Freda, La disintegrazione del sistema, Vibo Valentia, Ed.Ar, 1980, p.9 cit. in M.Zucchinali, A destra in Italia oggi, op.cit., p.68
95
passaggio dei principi evoliani sul piano della lotta politica. Egli prospetta una concezione dello stato non solo antiborghese, ma anche anticapitalista. Per raggiungere tali obiettivi, e per fondare il nuovo stato è necessario procedere con “la eversione di tutto ciò’ che esiste come sistema politico”75. Il testo di Freda è molto importante nell’area della destra radicale. In primo luogo, la novità da esso prospettata (soprattutto tenendo conto dell’anticomunismo militante che caratterizza la prassi politica di quegli anni) è l’appello all’unione delle forze antisistema sia di destra che di sinistra (il cosiddetto “nazimaoismo”). Egli propone un particolare
modello
di
Stato,
discostandosi
dal
tradizionalismo
ortodosso: ciò che egli chiama «Stato popolare», “postula l’avvento di un regime molto simile a quello maoista, sul quale viene innestato l’organicismo tradizionalista, dal quale egli mutua, per esempio, l’idea dello
spiritualismo,
dell’Ordine
che
lo
regge
e
dell’eroismo
combattentistico”76. Ma è lo schema maoista a prevalere, ne La disintegrazione del sistema77. E appare chiaro, nel passaggio alla prassi politica diretta, quanto poco
del
tradizionalismo
integrale
di
Evola
sia
rimasto
nelle
teorizzazioni frediane. Basti pensare alla proposta di alleanza con le forze
rivoluzionarie
di
sinistra,
di
certo
un
progetto
lontano
dall’anticomunismo professato da Evola. Concludiamo
il
paragrafo
con
il
tema
dell’esistenza
del
tradizionalista integrale nel contesto di una società moderna. Chi rifiuta in modo radicale la società moderna (ovvero gli aderenti alla destra radicale), facendo riferimento a modelli e stili di vita tradizionali, si trova chiaramente a dover affrontare una forte contraddizione tra gli ideali interiori, e i modelli, la cultura e gli stili di
75
F.G.Freda, La disintegrazione del sistema, op.cit., p.58, cit. in M.Zucchinali, A destra in Italia oggi, op.cit., p.68 76
M.Zucchinali, A destra in Italia oggi, op.cit., p.86
77
Cfr. Ibidem
96
vita imposti dal mondo contemporaneo. Si crea cioè, per forza di cose, “uno iato tra essere e dover essere, tra ciò che è costretti ad essere nel proprio modo di vivere quotidiano, nei rapporti sociali, nelle scelte che i ritmi del mondo moderno impongono, e ciò che si dovrebbe essere secondo quella che la dottrina tradizionalista propone”78. Le soluzioni che il tradizionalismo prospetta, sostanzialmente, sono di due tipi: “la via della rinuncia al contatto con il mondo esterno, considerato
non
modificabile”79,
ovvero
l’ascetismo,
oppure
un
atteggiamento diverso, di tipo attivo. A questo punto si deve sottolineare che le esegesi dei due testi di Evola che trattano questi problemi (Gli uomini e le rovine e Cavalcare la tigre) divergono irreparabilmente. I due libri, spiega De Turris nel libro già citato80, sono stati scritti per due tipi umani diversi. Per chi ha deciso di battersi comunque anche in un mondo di rovine (in un mondo dove cioè la civiltà tradizionale è quasi completamente dimenticata) è stato scritto Gli uomini e le rovine, cioè per coloro che “pensano ancora, malgrado tutto, alla possibilità di un’azione politica rettificatrice”81. Cavalcare la tigre invece è dedicato a chi ha un orientamento diverso, a chi dalla situazione oggettiva non può che trarre la decisione di disinteressarsi, di distaccarsi da tutto ciò che è politica. “Il suo principio sarà dunque quello che nell’antichità ebbe il nome di apolitia. Importa però
sottolineare
che
tale
principio
riguarda
essenzialmente
l’atteggiamento interiore”82. Qui nascono i problemi, in quanto c’è chi (come Ferraresi) offre una doppia lettura del concetto di «apolitia». Da un lato si avrebbe chi 78
Ibidem, p.95
79
Ibidem, p.96
80
G.De Turris, Elogio e difesa di Julius Evola, op.cit., pp.78-79
81
Ibidem, p.78. In particolare il testo era "indirizzato a quegli spiriti eletti che intendono promuovere una controrivoluzione per ripristinare i valori della tradizione e uno Stato organico fondato su valori guerrieri e gerarchici, eroici, ideali e antiedonistici". Lo scopo ultimo di Evola era la costituzione di uno "schieramento di vera destra". (Cfr. P.Ignazi, Il Polo escluso..., op.cit., p.42) 82
G.De Turris, Elogio e difesa di Julius Evola, op.cit., p.79
97
vive l'apolitia nel senso letterale di ritiro dalla politica attiva, per concentrarsi su obiettivi puramente culturali, dall’altro chi, considerando come tradimento ogni ritirata dalla politica, vedrebbe l’unico modo in cui testimoniare la propria identità nell’impegno politico più totale. E ciò non escludendo gli strumenti più duri e spietati (ovvero la violenza e il terrorismo). Diversi altri interpreti invece non rilevano tale ambiguità, vedendo nella nozione di apolitia solo “un richiamo all’insegnamento tradizionale dell’azione pura, l’agire che può essere anche modesto e limitato, ma perfettamente compiuto in sé stesso […] l’apolitia non comporta necessariamente disinteresse per le vicende politiche: ci si può impegnare, se si vuole, ma sempre per libera scelta, non perché esista un
organismo
che
possa
legittimamente
esigere
la
nostra
83
collaborazione” . Qui l'interpretazione dell'apolitia è univoca, in quanto anche un'eventuale impegno nell'attività politica non ha una natura differente dagli altri tipi di azione possibili. Da un’impostazione di questo tipo deriva che se la lettura dei testi evoliani ha potuto portare ad azioni violente dissennate, la colpa non è di Julius Evola, ma di chi ha travisato le parole del filosofo traducendo in modo improprio sul piano politico le sue indicazioni. Su questo punto il dibattito nella pubblicistica è comunque ancora aperto. Personalmente non posso che ribadire il giudizio già espresso
in
precedenza,
cioè
la
validità
della
interpretativa di De Turris, anche se nel suo libro,
ricostruzione probabilmente,
l’influenza delle letture "attive" (in senso politico, quindi improprie secondo la prospettiva di De Turris) dei testi di Evola viene ridimensionata in modo eccessivo, come poco stigmatizzati sono i riferimenti alla violenza e agli atti di terrorismo in cui Ordine Nuovo e la destra radicale sono coinvolti nel decennio '65 - '75 (ma questo non inficia il valore del quadro proposto).
83
G.De Turris, Elogio e difesa di Julius Evola…, op. cit., pp.84-85
98
Concludendo,
si
può
certamente
riconoscere
l'influenza
fondamentale che Julius Evola ha avuto sui gruppi e sui militanti della destra radicale e non in Italia. Ecco cosa dice ad esempio Marco Tarchi a proposito: " [tra i motivi di] grande attrazione che il radicalismo di destra ha esercitato sulle giovani generazioni italiane del secondo dopoguerra [si può indicare] un ribellismo antiborghese che, pur ricollegandosi ad un tema caro al fascismo come la 'terza via' anticomunista ed anticapitalista predicata da molti intellettuali del regime negli anni Trenta, trova una sistemazione più attuale ed organica nel pensiero di Julius Evola, l'autore di gran lunga più letto e discusso dai giovani della galassia neofascista. Attraverso la lezione di opere evoliane come Orientamenti, Gli uomini e le rovine, Rivolta contro il mondo moderno e Cavalcare la tigre, le generazioni più recenti della destra radicale non soltanto operano un primo vaglio critico dell'esperienza fascista, distaccandosi dai suoi aspetti più retorici ed esteriori, ma assumono anche come una sorta di stato di grazia, rovesciandone il segno, la condizione di isolamento psicologico dalla collettività nazionale che i camerati più anziani hanno vissuto come una condanna. [....] Evola ha una concezione eroica ed aristocratica dell'esistenza, in cui solitudine ed isolamento sono un vanto più che un cruccio. Il suo pensiero permette d'immedesimarsi nel combattente di prima linea, circondato da un mondo ostile, che si prodiga comunque perché sa di lottare per una causa giusta"84
Il pensiero evoliano, quindi, svolge certamente una funzione centrale nel caratterizzare l'identità dell'area dell'estremismo di destra, che dal dopoguerra si trova realmente in una condizione di minoranza ed estraneità nello scenario politico italiano. Tuttavia, come si mostrato, attribuire al filosofo romano responsabilità nello scatenarsi della violenza neofascista e del terrorismo «nero» resta, allo stato attuale della ricostruzione storiografico-politica, operazione arbitraria e non condivisibile.
84
M.Tarchi, Esuli in patria, Guanda, Parma, 1995, pp.54-55, cit. in G. De Turris, Elogio e difesa di Julius Evola..., op. cit., pp.101-102
99
3.2 Adriano Romualdi
Se Evola è certamente il pensatore più influente nell'area del radicalismo di destra, tuttavia, accanto a lui, ci sono altre importanti figure sicuramente degne di attenzione. Tra di esse, Adriano Romualdi e Franco Freda (figlio di Pino, ex-leader missino), sono tra le più interessanti. Delle concezioni di Freda si è già detto nei paragrafi precedenti e in conclusione del capitolo 2, quindi analizziamo brevemente le idee centrali portate avanti dal primo. Romualdi, "fratello maggiore di una generazione senza padri"85, scomparso prematuramente nel '73, ebbe grande influenza sia su movimenti come Ordine Nuovo che sull'ala dura del MSI. Secondo Dino Cofrancesco, egli si fa portatore del "tentativo di ricostruire dall'interno il fascismo, utilizzando, in maniera massiccia, gli apporti della storiografia revisionista, italiana, tedesca, anglosassone"86. La
visione
di
Romualdi
è
radicalmente
antiillumista:
"L'Illuminismo è l'antistoria. E' l'odio di quelle forze del sangue e dello spirito di cui è intriso il passato e che hanno fatto la storia"87. E' per porre un argine alla decadenza indotta dal razionalismo economicista dell'Illuminismo che sorge il fascismo. Per Romualdi, e questo è un punto importante, ciò avviene in diretto collegamento col Romanticismo antiilluminista europeo, che va giudicato positivamente, per la funzione conservatrice a antirivoluzionaria da esso svolto ("il romanticismo idealizzò la tradizione, scoprì la storia, ripercorse all'indietro le vie più lontane e misteriose [...] del sangue"88). Il riferimento al romanticismo, 85
G.Tassani, Vista da sinistra. Ricognizioni sulla nuova destra, Firenze, Arnaud, 1986, p.123 86
D.Cofrancesco, Le destre radicali di fronte al fascismo, op.cit., p.86
87
Ibidem, p.87
88
A.Romualdi (fonte non riportata), cit. in D.Cofrancesco, Le destre radicali di fronte al fascismo, op.cit., p.88
100
permette allo studioso di ricollegarsi ad uno dei temi centrali della cultura
fascista
tradizionale:
la
nazione.
Egli
opera
un
vero
ribaltamento, in quanto nella sua concezione, la nazione non è più il fine ultimo, ma diventa un mezzo con il quale le forze tradizionali tentano di arrestare la decadenza. L'idea di nazione, cioè, diventò luogo di raccolta di alcuni valori tradizionali. Essa portò "la borghesia ad accettare le autorità tradizionali (monarchie), queste a sentirsi al servizio della collettività; portò i popoli a riconciliarsi con le istituzioni religiose,
queste
ad
acconsentire
ad
una
progressiva
'nazionalizzazione' dei propri simboli e riti; portò, infine, le classi dirigenti a sentirsi responsabili del benessere delle classi soggette, queste ad assicurare un'obbedienza dignitosa, perché prestata a superiori capaci previdenti"89. Tuttavia, i valori nazionali si basavano su un mito limitato. La chiusura del nazionalismo nei confini di ogni singola nazione, e l'inadeguatezza di tale prospettiva, appare evidente all'emergere
e
all'incalzare
"delle
internazionali
comunista
e
democratica"90. L'idea di nazione, cioè, entra prepotentemente in crisi nel confronto epocale con angloamericani e sovietici. Romualdi identifica nella razza il mito politico in grado di superare l'idea di nazione. E' d'obbligo qui il riferimento alle Waffen-SS, uno dei miti più cari all'area della destra radicale: "Hitler agitava con la razza un mito che trascendeva le nazioni, apriva i ranghi delle Waffen-SS non solo ai belgi, agli olandesi, agli scandinavi, ma anche ai baltici, ai francesi, agli slavi"91. La guerra condotta dai fascismi nel conflitto mondiale, viene allora reinterpretata alla luce di una prospettiva in cui "lo scontro non è più per l'onore della nazione, bensì di natura continentale ed epocale (preservare la civiltà europea)"92.
89
D.Cofrancesco, Le destre radicali di fronte al fascismo, op.cit., p.88
90
A.Romualdi (fonte non riportata), cit. in D.Cofrancesco, Le destre radicali di fronte al fascismo, op.cit., p.89 91 92
Ibidem F.Germinario, L’altra memoria. L’estrema destra, Salò e la Resistenza,
101
Un fascismo della nazione europea, quindi, un modello diverso da quello puramente economico per l'unificazione continentale, è per Romualdi il lascito più importanti dei regimi totalitari destra. "Il nazismo si era rivelato perfettamente in grado di costruire un'Europa veramente unita al di sopra dei nazionalismi"93. Tuttavia, è da precisare che in tale prospettiva di riunificazione europea, Romualdi è disposto a giustificare un uso massiccio nella violenza: "I massacri degli ebrei nulla provano contro il nazismo [...] che nella storia, ogni grande traguardo (bello o brutto che sia) esige le sue vittime"94. L'influenza dello studioso neofascista fu importante. Da un lato, con le sue idee, fornì dignità teorica alla collaborazione e all'alleanza tra le organizzazioni neofasciste europee. Dall'altro favorì, attraverso la sua prospettiva di costituzione di un fronte euroamericano contro la sovversione influenzando95
comunista,
il
rientro
probabilmente
la
di
Ordine
Nuovo
radicalizzazione
nel in
MSI, chiave
anticomunista della linea politica della forza missina nei primi anni '70.
93
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.99
94
A.Romualdi (fonte non riportata), cit. in D.Cofrancesco, Le destre radicali di fronte al fascismo, op.cit., p.90 95
Cfr. F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.100
102
3.3 Il fascismo e il mito della RSI
Il richiamo al fascismo storico è chiaramente centrale
nella
destra radicale postbellica. Di esso, tuttavia, viene fatta una lettura molto selettiva. Nella mitologia della Destra radicale, cioè, non è il ventennio ad avere un posto centrale, bensì la RSI. Si ha innanzitutto una presa di distanza dal fascismo del regime (questo, è ovvio, senza che si possa nemmeno lontanamente parlare di antifascismo). Ciò, in primo luogo, deriva dalla lettura critica che Evola ne fa già dagli anni Trenta sulla rivista "La Torre" (da lui fondata in polemica con la cultura dominante) e, successivamente, ne Il Fascismo visto da destra. Negli articoli de "La Torre", Evola afferma la volontà di difendere dei
principi
(i
principi
tradizionali),
i
quali
sono
immutabili
indipendentemente dal regime politico in cui ci si trova; perciò "nella misura che il fascismo segua e difenda tali principi, in questa stessa misura noi possiamo considerarci fascisti"96. In un altro articolo è precisata ancor meglio la posizione evoliana, che auspica una radicalizzazione dell'esperienza fascista: "Noi non siamo né fascisti né antifascisti. L'antifascismo non è nulla. Ma per noi imperialisti integrali, per noi aristocratici, per noi nemici irriducibili di ogni politica plebea [..] di ogni intrigo di partito [...] di ogni forma più o meno travestita di socialismo ed democrazia il fascismo è troppo poco. Noi avremmo voluto un fascismo più radicale, un fascismo veramente assoluto, fatto di forza pura, di irriducibilità a qualsiasi compromesso"97. Il filosofo considera essenziale, ai fini di una maggiore purezza ideologica e di una condotta politica più rigorosa (e meno orientata in senso populista) un innesto di tipo tradizionalista nella cultura del regime. 96
J. Evola, Carta d'identità, in "La Torre", p.43, cit. in M.Zucchinali, A destra in Italia oggi, op.cit., p.46
97
J.Evola, Cose a posto e parole chiare, in "La Torre", p.43, cit. in M.Zucchinali, M.Zucchinali, A destra in Italia oggi, op.cit., p.47
103
Ciò che Evola opera, a partire dagli articoli de "La Torre", ma soprattutto, ne Il fascismo visto da destra, è, sostanzialmente, una critica delle matrici culturali e delle scelte politiche del fascismo a partire dal modello dello Stato organico del mondo della Tradizione. Assai negativi, in questa prospettiva, diventano: il populismo, il corporativismo
e
il
sindacalismo,
espressione
delle
tentazioni
socialisteggianti del regime radicalmente opposte al tradizionalismo; il partito unico concepito come "dominio di una parte e quindi totalitario (perché particolare e non espressione sintetica di tutte le componenti sociali)"98; la burocratizzazione delle organizzazioni statali; l'esteriorità e la demagogia dei comportamenti (lo staracismo, le adunate, il ducismo); denominazioni quali «stato del lavoro», che, nella prospettiva evoliana
di
assoluta
subordinazione
dell'economico
al
politico,
diventano vere e proprie aberrazioni. Tuttavia, attraverso l'impostazione descritta, il filosofo "tende a sottovalutare tutte quelle componenti rituali collettive che hanno fatto dei due maggiori fascismi europei potenti partiti di massa, antesignani del modo attuale di concepire l'attività politica"99, ovvero gli aspetti di organizzazione del consenso che hanno permesso a fascismo e nazismo di conquistare e consolidare il proprio potere. Ma il piano immediatamente pratico della politica, abbiamo visto, non è l'obiettivo di Evola. Anche il nazismo è oggetto della critica di Evola, pur essendo più affine alle concezioni del tradizionalista. Punti deteriori sono: la «razza» concepita in senso «biologico» (e non spirituale); il «popolo» inteso in senso materiale e fisico, gli aspetti demagogico-populisti delle manifestazioni di massa, la mancanza di senso del limite nella personalità hitleriana. Nonostante le critiche sopra esposte ai regimi italiano e tedesco, Evola afferma che "Il messaggio del fascismo è da
98
M.Zucchinali, A destra in Italia oggi, op.cit., p.47-48
99
Ibidem, pp.48-49
104
considerarsi, dal punto di vista della Destra, senz'altro positivo"100. In particolare il nazismo è giudicato positivamente "per la capacità di far rinascere in una società del XX secolo i miti e gli ideali della Tradizione, insieme a una visione geopolitica veramente planetaria che, ove realizzata, avrebbe portato l'Europa, trasformata dal Nuovo ordine, ad affermare la propria egemonia nei secoli a venire"101. Pur con i limiti citati, insomma, tra le proposte politiche dell'era contemporanea, è il fascismo a rappresentare quella più affine al modello tradizionale in cui il filosofo si identifica. Critiche
analoghe
a
quelle
sopra
esposte
sono
rivolte
all'esperienza della RSI. Evola, ne Il fascismo visto da destra, attacca duramente i progetti socialisteggianti del fascismo salotino. La socializzazione viene rifiutata, poiché essa avrebbe snaturato il messaggio politico del fascismo. Secondo Evola, "il fascismo repubblicano non poté mai [...] usufruire delle
condizioni
politiche
per
elaborare
una
propria
dottrina,
riducendosi, il suo valore storico, all'aspetto «combattentistico e legionario»"102. E proprio tale interpretazione, all'interno di una visione fortemente trasfigurata della RSI, diventa fondamentale per la destra radicale. L'eredità rivoluzionaria di Salò non consiste cioè negli intenti socializzatrici della Carta di Verona. Ciò che conta è il mito di un élite che per la prima volta nella storia italiana scelse di andare a combattere su posizioni perdute, sacrificandosi "per obbedire al principio al principio di fedeltà ad un capo e dell'onore militare"103. Salò, in questa raffigurazione mitica, diventa luogo di raccolta dell'aristocrazia 100
guerriera della nazione, un élite che è tale perché
Ibidem, p.50
101
F.Ferraresi, I riferimenti teorico-dottrinali della destra radicale, in P.Corsini, L.Novati, L'eversione nera..., op.cit., p.48
102
F.Germinario, L'altra memoria..., op.cit., p.41
103
J.Evola, Il Fascismo visto da destra, Roma, Settimo Sigillo, 1989, p.118, cit. in F.Germinario, L'altra memoria..., op.cit., p.42
105
"cosciente
di operare in una situazione in cui la storia ha preso un
indirizzo che nessun sforzo umano può più deviare, [...] consapevole che a Salò si andrà a morire, non esita a sacrificare ugualmente se stessa"104. La RSI diventa quindi "il tempio che custodisce l'ultimo e, proprio per questo, più limpido esempio di quello stile legionario [...] la cui regola fondamentale consiste nel chiamare l'élite alla testimonianza dei Valori [...] anche quando non ci sono più le condizioni storiche della vittoria"105. Anche
il
collaborazionismo,
in
questa
prospettiva,
viene
reinterpretato. Per la destra radicale, la vicenda collaborazionista non si risolve in una mera subordinazione all'alleato tedesco dettata dall'impari livello di forze. Facendosi portatrice di un nazionalismo europeo per il quale "lo scontro (con gli Alleati e i Russi) non è più per l'onore della nazione bensì di natura continentale ed epocale (preservare la civiltà europea)"106, il radicalismo di destra rivendica non l'asservimento ai nazisti, ma l'adesione a un progetto politico comune, "quello della salvezza dell'Europa [...] dall'assalto delle nuove orde negroidi e giudaico cristiane. [...] L'élite saloina diviene il risvolto nazionale di quei settori del collaborazionismo europeo che scelsero con coraggio di opporsi all'asservimento di un intero continente"107. Con questa impostazione, la destra radicale, in polemica con il neofascismo ufficiale (che interpreta l'adesione alla RSI nell'ottica impolitica della difesa dell'onore della nazione), rivendica l'identificazione politica, a Salò, di fascismo e nazismo, uniti dall'adesione ad un comune ideale di difesa della civiltà europeo, in uno scenario epocale di "scontro fra civiltà, prima che fra stati, nonché di definitiva resa dei conti delle ragioni del sangue contro quelle dell'oro"108.
104
F.Germinario, L'altra memoria..., op.cit., p.120
105
Ibidem, pp.120-122
106
Ibidem, pp.136
107
Ibidem, p.145
108
F.Germinario, L'altra memoria..., op.cit., p.146
106
Vicino a quello della RSI è il mito dei Freikorps, i Corpi franchi tedeschi, formati da soldati e da volontari che, rifiutando di accettare la sconfitta della Germania e il Trattato di Versailles, continuarono a combattere dopo l'armistizio in difesa dei confini orientali del Reich, avendo un ruolo importante anche nella mancata rivoluzione del '19 (furono responsabili della morte di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht e della sanguinosa repressione della bavarese repubblica dei consigli nel maggio '19). L'epopea dei Freikorps è narrata ne I Proscritti, di Ernst Von Salomon, un testo molto diffuso nella destra radicale. I combattenti dei Freikorps, si percepivano appunto come proscritti, "messi al bando, rifiutati dalle meschine convenzioni del mondo borghese"109. I proscritti proclamavano la loro estraneità esistenziale ancor prima che politica alla repubblica di Weimar, "un mondo caduto che più non gli appartiene"110 da attraversare "solo per portarvi, disperatamente, la distruzione e lo scompiglio"111. E' chiaro come a tale sentimento di estraneità dei Freikorps si potessero ricollegare i reduci della RSI, trovatisi a vivere, nel primo dopoguerra, in un paese nemico. Ma tale estraneità del mito dei proscritti, richiama, più in generale, il sentire degli appartenenti della destra radicale, rivendicanti la loro sostanziale irriducibilità alle categorie politiche ed esistenziali della società moderna (così come il proscritto affermava la propria non appartenenza al mondo e agli stili di vita della repubblica di Weimar).
109
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.71
110
Revelli Marco, La cultura della destra radicale, Milano, Franco Angeli, 1985, p.8
111
Ibidem
107
CAPITOLO 4 .................................................................................... 109 Le origini della strategia della tensione ............................................ 109 4.1 Per un’interpretazione della strategia della tensione ............... 110 4.2 Il convegno all'Istituto Pollio ................................................... 119 4.3 Il Piano Solo e l’anticomunismo di stato ................................. 130 4.3.1 Il Gen. De Lorenzo e la vicenda dei fascicoli del SIFAR.. 130 4.3.2 L’anticomunismo di stato................................................... 132 4.3.3 Il Piano Solo ....................................................................... 138 4.4 L’estrema destra negli anni ’60. Riepilogo.............................. 142
CAPITOLO 4 Le origini della strategia della tensione
Per analizzare il ruolo esercitato dai gruppi dell'estrema destra nel decennio ‘65-’75, è necessario allargare almeno temporaneamente l’analisi al contesto storico politico italiano del periodo. Sarebbe infatti fuorviante presentare una ricostruzione delle attività e degli obiettivi perseguiti dagli estremisti di destra nella forma di una “storia separata”1, isolata dai fattori legati allo scenario storicopolitico in cui essa si colloca. Così procedendo, infatti, le vicende legate all'estremismo «nero» verrebbero semplificate e falsificate, e violenza e stragismo sarebbero da attribuirsi esclusivamente all'opera autonoma di alcune formazioni di destra pronte all'utilizzo di mezzi extralegali (fino al terrorismo) pur di perseguire le proprie strategie. Una prospettiva, tuttavia, non corrispondente alla realtà storica. Lo scopo del capitolo è quindi quello di costruire un quadro analitico generale all’interno del quale trattare le vicende dell’estrema destra, queste ultime fortemente legate ad un preciso contesto storicopolitico. E' un‘operazione che deve essere forzatamente affrontata, in quanto, senza uno sfondo interpretativo, non è possibile comprendere in modo approfondito il ruolo e le attività della destra radicale, lo specifico oggetto di questo lavoro. 1
P.Corsini e L.Novati (a cura di), L’eversione nera. Cronache di un decennio (19741984), op. cit., p.8
109
4.1 Per un’interpretazione della strategia della tensione
Per rendere comprensibili le ricostruzioni che seguiranno nei prossimi paragrafi (e nei successivi capitoli), è necessario delineare un quadro interpretativo generale entro cui collocarle. Non si pretende, ovviamente, di spiegare, attraverso di esso, ogni singolo evento accaduto in Italia dal dopoguerra alla metà degli anni Settanta, bensì di tracciare una cornice di sfondo nella quale inserire gli avvenimenti del periodo considerato, rendendoli, in tal modo, maggiormente intelligibili ed evitando, così, di frammentare l'attenzione sui singoli episodi. Ciò permette, inoltre, di indagare sul retroterra e sugli avvenimenti precedenti al dispiegarsi della strategia della tensione e dello stragismo, ma ad essi comunque collegati, nonché di far luce sulla natura del terrorismo «nero» e sull'azione dei gruppi dell'estremismo di destra nel periodo. Per l'interpretazione della strategia della tensione, si è scelto di fare uso principalmente delle analisi presentate dal Sen. Pellegrino nei due testi Il terrorismo, le stragi e il contesto storico-politico (Proposta di Relazione della Commissione Stragi da egli depositata il 12.12.1995) e Segreto di Stato. La verità da Gladio al caso Moro (Torino, Einaudi, 2000), parziale sintesi del lavoro da egli effettuato in qualità di Presidente della Commissione Stragi tra il 1994 e il 20012, e da Paolo Cucchiarelli e Aldo Giannuli ne Lo Stato parallelo. L'Italia "oscura" nei documenti
e
nelle
relazioni
della
Commissione
Stragi
(Roma,
Gamberetti Editrice, 1997), a tutt'oggi le strutture esplicative che, a mio parere, meglio permettono di cogliere il senso complessivo della 2
La Commissione Parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi ha terminato la sua attività il 22 marzo 2001, senza che sia stato raggiunto un accordo per la pubblicazione di una relazione finale unitaria. Il quadro interpretativo ripreso, si basa quindi sulla Proposta di relazione redatta dal Sen. Pellegrino e sul citato libro intervista G.PellegrinoC.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato. La verità da Gladio al Caso Moro, op.cit., in cui il Sen. Pellegrino propone una traccia generale per leggere la storia d'Italia dal dopoguerra a metà degli anni ottanta circa
110
vicenda del terrorismo. E’ altresì da sottolineare che, quelle presentate nei testi, non sono analisi totalmente originali, in quanto si avvalgono di diversi contributi di sociologi, storici, politologi, giornalisti ecc. Tuttavia, gli elementi tratti da ricostruzioni e ipotesi elaborate in passato nella vasta letteratura sull'argomento, vengono convogliati in una prospettiva più ampia e chiarificatrice. Durante questa trattazione, comunque, saranno ampiamente ripresi numerosi altri testi per meglio precisare e specificare le linee interpretative via via introdotte. Il
quadro
analitico
si
fonda,
sostanzialmente,
sulla
contestualizzazione delle vicende interne al paese (si parla chiaramente solo del periodo che va dal dopoguerra fino ai primi anni '80) "nella cornice internazionale della Guerra Fredda"3, e sulla derivante considerazione delle anomalie insite sin dalle sue origini nella democrazia italiana. Quest’ultima, nata dalla collaborazione tra le forze cattoliche e progressiste dopo la guerra, vede svanire quasi subito4 l'unità delle forze che hanno combattuto il fascismo, in nome dell'ordine internazionale espresso da Yalta. Si deve far risalire a questo momento l'origine, in Italia, della "guerra politica segreta [...] che i due blocchi politici interni, rappresentazione in scala del confronto che si affacciava alle nostre frontiere orientali, iniziarono a combattere senza esclusione di colpi"5. Quella italiana, è considerata una democrazia anomala, una "nazione di frontiera"6, un singolo caso non valutabile secondo i parametri delle «normali» democrazie parlamentari, in quanto in essa sono esistenti dei fattori che la rendono diversa: 1) la presenza del più forte partito comunista occidentale (al tempo stesso “un pilastro della nostra democrazia e […] un fedele alleato di Mosca, la capitale
3
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.5
4
Il 31 maggio 1947 i comunisti vengono estromessi dall'appena costituito IV governo De Gasperi
5
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.32
6
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.8
111
dell’impero nemico”7); 2) la collocazione
strategica nel contesto
geopolitico (frontiera jugoslava e centro del Mediterraneo) e, al contempo,
la
debolezza
politico-militare
del
paese,
che
lo
caratterizzavano come il "ventre molle"8 del blocco occidentale; 3) la presenza
del
Vaticano
e
la
sua
forte
influenza
in
funzione
anticomunista. L'Italia viene ritenuta un paese di frontiera, quindi, non solo per la sua collocazione territoriale (per cui si trova ai confini con il blocco nemico): c'è anche una linea di demarcazione interna, quella tra "la DC e i partiti alleati, e soprattutto il PCI"9. La cortina ferro e le divisioni ad essa conseguenti, portano ad una frattura molto profonda, che va al di là della semplice contrapposizione democratica nell'arena politica. L'adesione al blocco occidentale, nel contesto del nuovo ordine internazionale e, al contempo, la presenza di un partito comunista così consistente e così legato all'URSS, cioè al «nemico», non solo provocano problemi a livello di alleanze esterne (per cui un'eventuale vittoria comunista alle elezioni avrebbe determinato una variazione nelle alleanze internazionali), o legati ad aspetti della sicurezza nazionale (l'inserimento nel sistema difensivo atlantico rendeva assai problematico l'accesso dei comunisti a cariche politiche connesse al sistema di difesa, es. il ministero degli interni o della difesa). Tale contraddizione dà vita a un qualcosa di più profondo, un'anomalia che coinvolge i comportamenti dell'opposizione, della maggioranza, di tutte le strutture dello Stato e di quelle della sicurezza in particolare, dai servizi segreti alle forze armate, agli apparati legati al ministero degli Interni. Così Francesco Cossiga esprime questo concetto: "Due paesi sono stati colpiti in modo peculiare all'interno della spaccatura dell'Europa: la Germania [...] e l'Italia, in cui una invisibile cortina di ferro,
7
Ibidem, p. VII
8
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.348
9
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.9
112
attraversando popolazioni, classi e coscienze, ha frantumato quel tanto di unità che, dopo la catastrofe morale dell'8 settembre 1943 e della guerra civile che ne seguì, si era raggiunta con l'unità antifascista [...] Così, anche per il costituirsi per emergenze internazionali e interne di un regime di democrazia incompiuta e bloccata e perciò limitata, incardinato in ciò che politologicamente si può definire un partito-Stato, si ebbero due realtà politiche, civili e morali, due comunità politiche, quasi due patrie [...] La sovversione di sinistra e l'eversione di destra si inquadrano in questo scenario interno e internazionale come varianti estreme delle due opzioni e delle due realtà"
10
Nasce, quindi, nel primo dopoguerra, una frattura ideologica che divide il paese, dando luogo alla formazione di due comunità politiche distinte, che si fronteggeranno durante la storia della repubblica, con strumenti più o meno legali e più o meno democratici, in "una guerra politica segreta"11 combattuta da due eserciti che "tutto potevano fare meno che riconoscersi come tali"12 (pena lo scoppio della guerra civile). E proprio l’anomalia derivante dalla presenza di un partito comunista così forte all’interno di una nazione inserita nel Blocco Atlantico, ha portato, in Italia, allo sviluppo di: “una doppiezza nel corpo stesso dello Stato: un primo livello ufficiale, regolato secondo i principi della democrazia parlamentare e quindi accessibile a tutti; e un secondo livello, segreto, costituito da Gladio e da un reticolo di strutture iperclandestine, ideato e finalizzato contro una parte politica, la sinistra. Del resto, sul versante opposto, un doppio livello si era formato sin dal dopoguerra anche all’ombra del PCI, con la cosiddetta Gladio rossa, una struttura paramilitare clandestina composta da ex partigiani, spesso non del tutto controllata dallo stesso gruppo dirigente del partito e ancora legata al mito della rivoluzione proletaria”
13
10
F.Cossiga, cit. in G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.10 11
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.42
12
Ibidem, p.43
13
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.VII
113
Illuminanti sulla problematicità di quegli anni sono le parole di Angelo Panebianco, che contribuiscono a chiarire il contesto e i processi storici in cui si devono inserire la vicenda dell'estremismo di destra e del terrorismo «nero»: "Quel che è finita con la sconfitta (dissoluzione) del blocco sovietico è stata a tutti gli effetti una guerra. Una guerra mai passata dal "freddo" al caldo...Ma comunque una guerra. Brutta, sporca e cattiva. Come tutte le guerre [...] L'identificazione tra nemico interno e nemico esterno, vera architrave della Guerra
Fredda,
metteva
le
democrazie
occidentali,
proprio
perché
democrazie, di fronte a contraddizioni insanabili, ossia apriva varchi all'illegalità in nome della sicurezza [...] L'identificazione tra nemico esterno e nemico interno e, per essa, la contraddizione tra esigenze di legalità ed esigenze di sicurezza assumeva forme esasperate quali non si riscontrano negli altri paesi occidentali (con l'eccezione in certe fasi della Francia). E' in quel vizio di origine la radice di tutte le deviazioni (dalla legalità) degli anni '60 e '70"
14
I governanti delle democrazie occidentali, in sostanza, si trovavano di fronte ad un insolubile situazione di doppio vincolo: da un lato,
il
dover
rispettare
le
leggi
interne,
dall'altro,
il
dover
contemporaneamente assicurare con successo la sicurezza nazionale, il che implicava sovente l'utilizzo di qualsiasi mezzo per raggiungere tale obiettivo. "Ciò crea una zona grigia nella quale i confini tra ciò che è legale, semi-legale o illegale sono più sfumati"15. Dalla fine degli anni '4016 insomma, "pur con graduazioni e
14
A.Panebianco, "Logica della democrazia e ragion di Stato: il dilemma insolubile", in Corriere della Sera, 21 febbraio 1991, cit. in P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.32 15
Ibidem
16
Sul periodo fine anni '40 - anni '50, ecco cosa riferisce ancora Cossiga nel 1992, sfatando un vero e proprio tabù storiografico-politico: «Io ho il coraggio di dire che il 18 aprile 1948 a Sassari facevo parte di una formazione armata clandestinamente dai Carabinieri», cit. in P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.44. Sempre nello stesso passaggio, gli autori commentano scrivendo che "Quelli furono 'anni armati': comunisti, cattolici, non solo DC, socialisti, fascisti, monarchici avevano proprie formazioni 'pronte all'uso' "
114
modificazioni anche sostanziali"17, si è combattuta in Italia una guerra non dichiarata, "a bassa intensità militare ma ad alta valenza politica e sociale"18; ciò almeno fino alla prima metà degli anni '70, quando "l'evoluzione del quadro internazionale gli fece perdere gran parte del retroterra e degli obblighi internazionali che la motivavano e, con ampie strumentalizzazioni
personali
e
politiche
a
fini
interni,
la
giustificavano"19. Un confronto rimasto sostanzialmente “allo stato latente”20 almeno fino ai primi anni Sessanta, per poi intensificarsi e aggravarsi progressivamente, per infine giungere, all’esplodere delle lotte operaie e delle rivolte studentesche, ad un momento storico nel quale “pezzi di questo mondo sotterraneo anticomunista delle istituzioni si attivarono […] per imporre al paese una svolta autoritaria”21 (in alleanza con “schegge di ex-formazioni partigiane bianche e terroristi neri”22). Azioni fallite, ma occultate per decenni per proteggere “la realtà del doppio livello (che) doveva restare inconfessata […] in quel momento all’opinione pubblica e al Parlamento“23. Uno scontro a bassa intensità, certo, se considerato sotto l'aspetto puramente militare (cioè con poche centinaia di vittime), ma le cui ripercussioni politiche hanno segnato in modo decisivo la storia del paese. E in tale quadro, il terrorismo e l'eversione sia di destra che di sinistra non sono più elementi patologici nel corpo democratico «sano» di un paese normale, bensì si inseriscono in una situazione di conflittualità più profonda e complessa. E' a tale occulta conflittualità che bisogna guardare per capire fino in fondo l'evoluzione della
17
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.32
18
F.Cossiga, cit. in P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.43
19
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.33
20
Ibidem, p.VII
21
Ibidem, p.VIII
22
Ibidem, p.IX
23
Ibidem
115
democrazia italiana e per collocarvi le vicende dell'eversione e del terrorismo, che devono essere lette in relazione al loro contesto storico politico, senza separarle da esso. Pellegrino, inoltre, introduce nel suo libro un'ulteriore chiave di lettura della realtà italiana del periodo, mettendo in evidenza il ruolo importante
delle
avvenimenti
tensioni
italiani,
cioè,
agitanti non
l'area
vengono
del
Mediterraneo.
spiegati
solo
con
Gli la
contrapposizione Est-Ovest (comunismo/anticomunismo). Vi sarebbe stata anche un'influenza dell'asse Nord-Sud, legato alla “competizione inter-occidentale per l’egemonia nell’area mediterranea, perennemente attraversata dai conflitti tra arabi e israeliani, e da quelli interni allo stesso mondo arabo”24.
Nei momenti in cui l'Italia cercò di attuare
strategie autonome (ad esempio tramite politiche filoarabe o con l'attivismo dell'ENI di Mattei) rispetto allo status quo (per cui essa doveva rappresentare solo "la portaerei della Nato nel Mediterraneo"25), sarebbero scattate delle spinte esterne per ripristinare la sua posizione di subalternità. Gli interessi che l'azione autonoma italiana andava a colpire erano, per il senatore, di diverso tipo, da quelli angloamericani, di natura economica, a quelli tedeschi e israeliani, di natura politica. Anche tale conflittualità nord-sud ha avuto, secondo Pellegrino, un ruolo importante nella strategia della tensione, ad esempio provocando divisioni negli apparati di sicurezza, compatti invece nella lotta contro il comunismo. Inoltre, questa chiave di lettura appare utile nel capire la fase di inasprimento di tale strategia, quando sembra non bastare la classica interpretazione in chiave di spostamento dell'asse politico del paese su posizioni moderate in contrasto con l’azione della sinistra, e diventa allora importante rilevare che una situazione di instabilità e di tensione all'interno della nazione era "funzionale a precisi interessi geopolitici interni al mondo occidentale"26. Nel corso di questo lavoro 24
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.VI
25
Ibidem, p.12
26
Ibidem, p.121
116
questa seconda chiave di lettura, tuttavia, rimarrà sullo sfondo, e ciò a causa della scarsa documentazione disponibile a suo supporto. E' attraverso il quadro interpretativo generale qui delineato che la storia della democrazia italiana diventa maggiormente intelligibile, e con essa le vicende dell'eversione di destra, della strategia della tensione e del terrorismo, nonché gli eventi ad essi correlati (da Gladio ai Nuclei di Difesa dello Stato, dalla Gladio Rossa al Piano Solo, al golpe Borghese ecc., naturalmente con le precisazioni e le modificazioni relative ad ogni situazione)27.
27
Non è questa l'unica linea interpretativa che è stata avanzata per spiegare le vicende in esame. Una delle proposte più interessanti, che potrebbe, a mio parere, arricchire il quadro ricostruito (rispetto al quale non è in antitesi, pur differenziandosi per alcuni aspetti), è quella di Giorgio Galli, in particolare per ciò che riguarda la rivalutazione dell'importanza dei fattori interni al paese nello spiegare l'inefficienza del sistema politico e la mancata politica riformista in Italia negli anni '60 e ‘70, nonché per approfondire una parte delle vicende che non possono essere spiegate in modo soddisfacente solo facendo riferimento al quadro indicato dal presidente della Commissione Stragi. Su questo, così si esprime Galli : "Si sta oggi affermando la tendenza a far rientrare tutti gli irrisolti misteri italiani nel quadro del grande scontro semisecolare tra il «mondo libero» vittorioso e il «comunismo» sconfitto, con gli eventi italiani determinati da una «sovranità limitata», dipendente dagli Stati Uniti. In questo contesto le vicende italiane, con poche centinaia di vittime, possono essere rappresentate come episodi dolorosi ma, in fondo, marginali, di un conflitto cosmico nel quale la luce ha prevalso sulle tenebre. Le pagine che seguono [...] sono una proposta metodologica per contrastare il prevalere di una impostazione concettuale che, una volta affermatasi, renderebbe impossibile accertare quello che è realmente accaduto nelle singole situazioni. Per evitare che tutte vengano fatte rientrare nel quadro che si è detto, occorre procedere per classificazioni. Indubbiamente molte vicende italiane possono essere capite solo nel quadro della guerra fredda, del confronto tra USA e URSS del quale tali vicende sono una proiezione. Vi sono, però, altre trame che non dipendono dalla guerra fredda e sono la conseguenza di lotte di potere tra gruppi e personalità italiane, che solo artatamente e pretestuosamente sono state collegate al contesto internazionale. In qualche caso vi può essere stata un'intersecazione tra le due situazioni, un collegamento tra iniziative italiane e un contesto particolare, in un periodo preciso, nel quale le condizioni internazionali del momento abbiano esercitato qualche influenza. Ma, in generale, attraverso una ricostruzione precisa che il tempo trascorso consente ormai di definire storica, è possibile giungere a una distinzione e a una classificazione, sino a pervenire a una mappa comparativa completa di tante vicende che l'opinione pubblica [...] colloca in una nebulosa i cui confini e la cui estensione proprio il trascorrere del tempo rende sempre più indefiniti. L'analisi del ruolo della massoneria è un primo contributo alla costruzione di una tale mappa" (M.Della Campa-G.Galli, La Massoneria italiana. Grande Oriente: più luce. Due opinioni al confronto, Milano, Franco Angeli, 1998, pp. 188-189). Un'altra interpretazione (di segno opposto) è quella che ben sintetizza Paolo Corsini nel corso dell'audizione del gen. Gian Adelio Maletti davanti alla Commissione Stragi a Johannesburg il 3.3.1997: "[...] Questa interpretazione dice che in realtà la democrazia italiana era una democrazia bloccata; il Pci aveva interiorizzato una sorta di conventio ad excludendum; la conventio ad excludendum peraltro funzionava nei suoi confronti; le forze che avevano detenuto una supremazia
117
Lo scopo di questo lavoro, tuttavia, non è quello di sintetizzare e spiegare tutta la storia della conflittualità occulta che ha attraversato l'Italia della Prima Repubblica. A partire da quello che viene considerato uno degli episodi più importanti alla base della strategia della tensione, verranno brevemente richiamati solo i fatti ritenuti utili ad una più chiara spiegazione del ruolo avuto dall'estrema destra in quegli anni, avendo chiara, però, l'impostazione di fondo sopra ricostruita.
politica negli anni della Repubblica erano consapevoli che in ragione del fatto che questa era una democrazia bloccata, l'unica possibilità di costituire un'alternativa era sul versante della destra. Per impedire questa alternativa quelle forze hanno promosso una strategia eversiva che ha utilizzato gli apparati dello Stato, e talora anche la cospirazione internazionale, per fare in modo che sulla destra venisse ribaltata l'accusa di inaffidabilità democratica, perché bisognava delegittimare quella destra che in qualche misura poteva ambire a costituire una possibile alternativa. Questa seconda interpretazione non ha ancora avuto [...] la stessa dignità storiografica che ha avuto la prima; non esiste un corpo consolidato di studi e di ricerche che avvalori questo tipo di interpretazione.". Proprio per quest'ultimo motivo, tale interpretazione non verrà presa in considerazione in questo lavoro.
118
4.2 Il convegno all'Istituto Pollio
Nella pubblicistica, un ruolo centrale nella formulazione e nella sistematizzazione di tutto ciò che poi verrà chiamato «strategia della tensione», viene attribuito al convegno organizzato a Roma tra il 3-5 maggio 1965, presso l'Hotel Parco dei Principi, dall'Istituto "Alberto Pollio" per gli Affari Strategici, un organismo privato costituito nel 1964 in ambienti vicini allo Stato Maggiore della Difesa (retto allora dal gen. Giuseppe Aloja) per iniziativa di due giornalisti di estrema destra, Enrico De Boccard e Gianfranco Finaldi, subito affiancati da un terzo, Edgardo Beltrametti (stretto collaboratore del Capo di Stato Maggiore della
Difesa)28.
Il
convegno
ebbe
come
tema
«La
Guerra
Rivoluzionaria», una dottrina che già da qualche anno29 circolava negli ambienti militari, "soprattutto sotto l'influsso di anteriori esperienze francesi, ed oggetto infatti di analoghi convegni iniziati a Parigi nel 1960"30. E' importante sottolineare l'importanza di tale influenza esterna, in quanto il convegno al Parco dei Principi rappresenta il momento di ridefinizione nel quadro italiano di strategie elaborate precedentemente in altri contesti. Esse hanno origine dopo la metà degli anni '50, quando la possibilità di un conflitto diretto tra i due blocchi occidentale e comunista andava declinando, in particolare a causa dell'affermazione dell'URSS come potenza nucleare, con il conseguente concretizzarsi, in caso di guerra, della possibilità di reciproco annientamento dei due schieramenti. Si aprì così un periodo di coesistenza pacifica, in cui però, se non si ebbero scontri diretti tra americani e sovietici, vi furono altri tipi di conflitti indiretti tra Est e Ovest
28
Commissione Stragi, Luci sulle stragi..., op. cit., p.46
29
Sulla dottrina della «guerra rivoluzionaria», si veda ad esempio il passo scritto da Clemente Graziani nel '63 citato nel capitolo precedente 30
Commissione Stragi, Luci sulle stragi..., op. cit., p.47
119
nel contesto internazionale31. Da una parte si ebbero, quindi, le guerre locali nel Terzo Mondo. Nei paesi industrializzati, dove anche la possibilità di conflitti limitati non sembrava percorribile, "iniziarono a svilupparsi - in entrambi i blocchi - nuove teorie [...] riassumibili nella formula della 'guerra a bassa intensità': spionaggio politico e industriale, terrorismo,
appoggio
a
movimenti
di
guerriglia,
pratiche
di
disinformazione di massa e, nei casi estremi, colpi di stato"32. La transizione alla nuova fase politica, tuttavia, non venne accolta in modo unitario dai gruppi dirigenti del mondo occidentale. Si creò cioè, una divisione sulle modalità di opposizione al Blocco Orientale. Da un lato c'era chi interpretava la fine dell'ipotesi atomica come la fine della Guerra Fredda, e quindi pensava ad una politica di contenimento dell'URSS tramite una serie di accordi internazionali, e a politiche progressiste all'interno dei diversi paesi per limitare l'influenza dei movimenti comunisti. Dall'altro c'erano coloro che valutavano di scarsa utilità una via diplomatica e riformista, e credevano, invece, in una continuazione del conflitto in nuove forme. Ciò in quanto si riteneva che l'URSS stesse vincendo con i metodi della "guerra rivoluzionaria dei soviet"33, ovvero: penetrazione nei governi occidentali tramite i socialisti, disgregazione interna della Nato, disarmo psicologico dell'opinione pubblica, azione dei sindacati ecc. Quindi era necessaria una
risposta
in
termini
di
guerra
non
ortodossa,
ovvero
controrivoluzionaria, anche dall'Occidente34.
31
Cfr. P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op. cit., p.65
32
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op. cit., pp.65-66
33
Ibidem, p.66
34
Un'occasione pubblica di confronto tra le due tesi avvenne a Roma, nel novembre '61, durante il convegno sulla «guerra rivoluzionaria dei Soviet», che a sua volta faceva seguito a un incontro parigino sullo stesso tema tenutosi nel '60, preceduto da riunioni in sede Nato che avevano visto come protagonista Suzanne Labin, l'animatrice principale dei due convegni. E' impossibile non notare le analogie tra tali incontri e quello organizzato dall'Ist. Pollio. Cfr. P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op. cit., p.65-66
120
Tale situazione si riflette anche in Italia, in cui il cui il timido clima di distensione che comincia ad apparire alla fine degli anni '50 mette in allarme "ambienti militari e istituzionali formatisi nella logica della Guerra Fredda"35. Comincia così, in chiave anticomunista e di risposta alle preoccupazioni e alle ostilità suscitate dalla politica riformista del primo centrosinistra (in realtà assai limitata proprio per le forti spinte conservatrici provenienti dal paese)36, un processo di avvicinamento e di alleanza occulta tra una parte degli apparati di sicurezza (sia militari che
istituzionali),
impegnati
a
ridefinire le proprie strategie di
contenimento del comunismo e di contrasto alla distensione nel nuovo contesto politico, con gruppi e uomini dell'estrema destra, che abbandonano le tradizionali posizioni ideologiche anti-americane e antiatlantiste in nome della comune battaglia contro la «sovversione rossa». E' all'interno di questa tendenza che si deve collocare la vicenda del convegno all'Istituto Pollio (che, significativamente, sembra essere stato "pagato con i fondi [...] del SIFAR"37). Essa rappresenta sì un punto di svolta nella definizione operativa delle strategie anticomuniste nel paese, come reazione "all'idea stessa di distensione [...] vista come una minaccia"38, ma anche un punto di approdo di tendenze già in atto da tempo nel mondo occidentale. Piuttosto significativa è l'analisi dell'elenco dei partecipanti all'incontro, che illustra in modo efficace “come vertici delle forze armate, settori industriali, settori della magistratura, settori del ceto politico, confluivano in un milieu culturale che costituiva certamente l’anticamera di un piano golpista”39. Al tavolo della presidenza troviamo 35
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.42
36
Sui grandi limiti dell'azione riformista dei governi di centro sinistra dei primi anni '60, vedi P. Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica 19431988, op. cit., pp.359-373 37
M.Dianese-G.Bettin, La strage..., op.cit., p.66
38
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.46
39
Ibidem, p.47
121
il generale dei paracadutisti Alceste Nulli Augusti, insieme al colonnello di artiglieria Adriano Magi Braschi40, e a Salvatore Alagna, consigliere della Corte d'Appello di Milano. Tra gli altri convenuti sono da ricordare, oltre ai già citati Beltrametti, Finaldi e De Boccard, Ivan Matteo Lombardo, ex-ministro socialdemocratico del governo nato con le elezioni del 18 aprile 194841, Pino Rauti, il direttore del Candido Giorgio Pisanò,
Vittorio
De
Biase
("braccio
destro
di
Giorgio
Valerio,
amministratore delegato della Edison, uno dei più strenui avversari della nuova stagione del centro sinistra"42), Giano Accame, Guido Giannettini, Gino Ragno, presidente dell'associazione di amicizia ItaliaGermania43, Pio Filippani Ronconi (docente universitario di sanscrito e "collaboratore del SID come esperto in crittografia"44). E'
invitato ad
assistere anche un gruppo selezionato di studenti, tra cui troviamo Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino, neofascisti e "noti protagonisti di eventi successivi"45. Le discussioni del convegno erano incentrate, come già detto, sulla dottrina della Guerra Rivoluzionaria. L’incontro partiva dalla constatazione dell’espansione comunista nel mondo occidentale e in Italia in particolare, e “si proponeva di attuare uno studio analitico della tecnica e della metodologia adoperata dal comunismo per la conquista dello stato, che veniva definita ‘guerra rivoluzionaria’ e che si contraddistingueva per il suo tentativo si sfruttare per linee interne l’apparato dello stato”46, per poi arrivare all’ideazione di un piano di difesa e di contrattacco contro tale espansione.
40
Responsabile nei primi anni '60 del «Nucleo di guerra non ortodossa» del Sifar
41
A.Cipriani-G.Cipriani, Sovranità limitata..., op.cit., p. 110
42
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.46
43
Ibidem, p.98
44
M.Dianese-G.Bettin, La strage..., op.cit., p.66
45
Commissione Stragi, Luci sulle stragi..., op. cit., p.47
46
AA.VV., La strage di Bologna. La requisitoria al processo d’appello del Sostituto Procuratore della Repubblica Franco Quadrini, Rep. di San Marino, Titano, 1994, p.19
122
Assunto fondativo era che la Terza Guerra Mondiale fosse già in atto, non tuttavia nelle consuete forme del conflitto dichiarato, bensì attraverso
“dottrine,
tecniche,
procedimenti,
formule
e
concetti
totalmente inediti […] elaborati, adottati e sperimentati dai comunisti in termini globali e su scala planetaria”47 ai cui “principi è ispirata comunque e dovunque la condotta non soltanto degli stati comunisti ma anche dei partiti comunisti che operano nei paesi del mondo libero”48, per i quali “la competizione politica è in ultima analisi un fatto bellico avente come obiettivo la sconfitta totale dell’avversario”49. Una guerra non convenzionale quindi, tesa alla conquista dei punti nevralgici della società, quindi anche la televisione, la cultura, le università. Per rispondere a questo subdolo attacco, tuttavia, i metodi istituzionali e democratici di lotta politica venivano considerati come inadeguati, in quanto “sono le stesse leggi democratiche a fornire le vie di penetrazione al comunismo”50. Ci si poteva opporre all’avanzata comunista
soltanto
agendo
sullo
stesso
terreno
del
nemico,
analizzandone, cioè, le tecniche di penetrazione, e predisponendo strategie di risposta efficaci, ovvero mettendo in atto una vera e propria guerra controrivoluzionaria, “alla cui teorizzazione e organizzazione il convegno era volto”51. Tale guerra controrivoluzionaria, presupponendo l’impiego di mezzi e forme di lotta non ortodossi, poteva “ingenerare alcuni scrupoli nella coscienza dei democratici, […] che andavano comunque superati considerando la natura del nemico”52. In tale prospettiva, ovviamente, la distensione era considerata come un processo molto preoccupante, direttamente collegato al
47
Così G. Finaldi nella relazione introduttiva, cit. in Commissione Stragi, Luci sulle stragi..., op. cit., p.47 48 49
Ibidem Ibidem
50
E.Beltrametti, intervento al convegno, cit. in AA.VV., La strage di Bologna…, op.cit., p.20 51
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.46
52
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.141
123
propagarsi e all’intensificarsi dell’offensiva della sovversione comunista. Negli atti del convegno si può leggere infatti: “Al contrario, in caso di distensione o, come si dice oggi, di colloquio - vedi situazione italiana – l’infiltrazione può operare in profondità, direttamente, giungendo fino ai gangli vitali della nazione. Perché in caso di distensione, di colloquio, o addirittura di apertura a sinistra, o se vogliamo, di allargamento dell’area
democratica,
non
soltanto
l’opinione
pubblica
non
avverte
chiaramente la presenza della guerra rivoluzionaria, ma non è neppure sensibilizzata relativamente allo svolgersi delle sue operazioni; anzi, non conosce neppure il nemico, che si evita di denunciare per timore di interrompere
appunto
distensione
e
colloquio.
Così,
con
le
masse
opportunamente cloroformizzate, la guerra rivoluzionaria può proseguire impunemente la sua penetrazione fino al cuore dello Stato attaccato […] E’ esattamente quanto sta accadendo in Italia”
53
A partire da questo quadro teorico, venivano delineate alcune ipotesi strategiche per rispondere in Italia alla sfida comunista, fondantesi
in
primo
luogo
sulla
depoliticizzazione
della
guerra
rivoluzionaria, ridotta a mero strumento tecnico di lotta. Il fine primario della guerra rivoluzionaria era la conquista dell’animo della popolazione. Innanzitutto occorreva, quindi, rendere i cittadini coscienti dello stato di guerra messo in atto dai comunisti, “scuotere
l’opinione
pubblica
dalla
‘frode
politica’
comunista,
smascherando ‘il carattere calcolato e aggressivo’ della politica culturale del PCI che, irradiandosi a macchia d’olio in ogni dove, si configura come la ’suprema arte della guerra’, capace di ‘soggiogare il nemico senza combattere’ "54. Ciò attraverso un’azione psicologica sostanziantesi nel controllo e nella manipolazione dell’informazione, e “nell’accaparramento dell’intellighentia”55. La lotta doveva poi continuare attraverso l’infiltrazione di organizzazioni e ambienti sovversivi. Più volte veniva ribadito un punto 53
Cit. in Commissione Stragi, Luci sulle stragi..., op. cit., p.48
54
R. Chiarini e P. Corsini, Da Salò a Piazza della Loggia…, op. cit., p. 250
55
AA.VV., La strage di Bologna, op. cit., p.21
124
fondamentale, la necessità di una più stretta collaborazione tra militari e civili, con un ruolo più attivo di questi ultimi nel sostegno alle Forze Armate, senza la quale non ci sarebbe stata nessuna possibilità di vittoria.
Veniva
quindi
auspicata,
nella
prospettiva
di
una
radicalizzazione della lotta in corso per impostarla a proprio vantaggio, la creazione di strutture e gruppi permanenti di autodifesa, nuclei clandestini “che non esitino ad accettare la lotta nelle condizioni meno ortodosse, con l’energia e la spregiudicatezza necessarie”56. Onde evitare
fraintendimenti
sulla
natura
concreta
di
tale
«azione
spregiudicata», si deve tenere in mente che le teorie sulla guerra rivoluzionaria facevano esplicito riferimento anche al terrorismo, che “non deve essere fine a sé stesso, ma svolgersi e svilupparsi secondo un piano preciso”57. Si affermava, in sintesi, la necessità di un’azione violenta (Pisanò parla esplicitamente di controguerriglia) nella lotta contro i comunisti, dato che contro la guerra rivoluzionaria non erano sufficienti i tradizionali strumenti di difesa militare. Per ciò che riguarda la proposta di costituzione di strutture clandestine anticomuniste, è molto significativa la relazione presentata dal Prof. Filippani Ronconi, nella quale egli ipotizza un’organizzazione disposta su tre livelli. Al primo devono afferire quegli uomini che, seppur ben disposti nella prospettiva di una controrivoluzione, sono inclini più ad un’azione passiva, senza impegnarsi in situazione rischiose. Costoro dovranno costituire una prima rudimentale rete, la quale “potrà servire per una prima ‘conta’ delle persone delle quali si potrà disporre nei diversi settori della vita attiva nazionale, le quali, a loro volta, formeranno lo ‘schermo di sicurezza’ per gli appartenenti ai due livelli successivi”58.
Al secondo livello si trovano invece coloro che sono
56
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.142
57
AA.VV., La strage di Bologna…, op. cit., p.21
58
P.Filippani-Ronconi, cit. in P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op. cit., p.110
125
adatti
a
compiti
che
impegnino
“azioni
di
pressione”59,
come
manifestazioni pubbliche nell’ambito della legalità in difesa dello stato, per esempio affiancando le forze dell’ordine nello stroncare rivolte di piazza. Queste persone potrebbero provenire ad es. da associazioni d’arma, nazionaliste, atletiche ecc. .
Al terzo livello, “molto più
qualificato e professionalmente specializzato”60, troviamo invece nuclei clandestini
scelti
di
pochissime
unità,
addestrati
a
compiti
di
controterrore e di “rotture eventuali dei punti di precario equilibrio, in modo da determinare una diversa costellazione di forze al potere”61. Per la composizione (almeno parziale) di tali nuclei, Filippani Ronconi fa riferimento a “quei giovani che attualmente esauriscono sterilmente il loro tempo […] in nobili imprese dimostrative, che non riescono a scuotere l’indifferenza della massa di fronte al deteriorarsi della situazione nazionale”62. Al di sopra di tutta la struttura, infine, dovrebbe costituirsi “con funzioni ‘verticali’ un Consiglio che coordini le attività in funzione di una guerra totale contro l’apparato sovversivo comunista ed i suoi alleati”63. La proposta del prof. Filippani Ronconi non è importante tanto per la sua originalità, in quanto deve molto alle teorizzazioni sulla guerra rivoluzionaria di Giannettini a loro volta riprese da Suzanne Labin. Quello che è significativo, è che un piano analogo alla proposta operativa presentata in quella relazione “sia stato poi rintracciato tra i documenti di Gladio. Entrambi i piani prevedevano infatti organizzazioni con
vertici
istituzionali
prevalentemente
militari
finalizzati
però
all’addestramento di personale civile, che avrebbe dovuto costituire l’ossatura delle cellule controrivoluzionarie contro il comunismo”64. In
59 60 61 62 63 64
Ibidem Ibidem Ibidem, p.111 Ibidem Ibidem G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.21
126
particolare, l’organizzazione delineata dal professore presenta forti elementi
di
somiglianza
“un’organizzazione
militare
con
i
Nuclei
clandestina
di
Difesa
all’opera
dello
nell’Italia
Stato, della
strategia della tensione”65. E l’importanza di tale struttura occulta, legata a Gladio ma da essa differenziata, sta emergendo nell’ambito delle inchieste giudiziarie più recenti, tanto che si sta affacciando l’ipotesi (e sottolineo che per ora è soltanto un’ipotesi66) che “i Nuclei non rappresentavano tanto e soltanto un’organizzazione, ma una vera e propria operazione finalizzata a coprire un possibile rapporto della Gladio con organizzazioni di estrema destra come Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale; a coprire con il segreto politico-militare il fatto – ovviamente non ancora pienamente verificato – che anche ON e AN fossero in qualche modo inglobate nell’apparato difensivo della NATO”67. Peculiari e centrali nell'incontro all’Istituto Pollio, al di là del contenuto specifico dei diversi interventi, furono, in conclusione, l’ossessivo anticomunismo68 che pervadeva tutte le relazioni presentate e fungeva da collante tra i convenuti; la sostanziale affermazione dell’inadeguatezza delle strutture della democrazia per fronteggiare
65
F.Calvi, F.Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, Milano, Mondadori, 1997, p.143 66
Sullo stesso tema, è molto significativa la ricostruzione effettuata da Vincenzo Vinciguerra, ex-ordinovista reo confesso della strage di Peteano, nel documento “Autopsia di una sentenza”, in cui ipotizza che i Nuclei di difesa dello stato, al pari di “altre strutture” come la Rosa dei Venti, siano inquadrabili all’interno della categoria delle «operazioni», condotte dai servizi segreti occidentali. Sul punto rimando a P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.117-122 67
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.57
68
“I comunisti erano dipinti come una terribile piovra dagli intenti sinistri, che stava infiltrando tutti i settori della società, compreso il potere giudiziario e la Chiesa. Anche le loro azioni all’apparenza più innocenti erano infatti parte di una consapevole, preordinata, globale congiura su scala planetaria; un complotto spregiudicato, condotto nel totale disprezzo di tutte le regole dell’esistenza civile, dacché «i comunisti […] nulla hanno a che spartire con il restante dell’umanità, ma costituiscono in seno all’umanità stessa una presenza estranea, tal quale si trattasse di appartenenti a quelle razze extra-terrene di cui si fa tanto uso e abuso nei romanzi di fantascienza. E’ dunque non soltanto ridicolo e puerile, ma estremamente pericoloso pensare che si possa comunque trovare un modus vivendi con i comunisti» [De Boccard]”, F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p.141
127
l’avanzata del comunismo; “la prospettiva di controguerriglia […] (che) liquida ogni chance alla forma partito in quanto istituzione che opera alla
luce
del
sole”69,
e
la
necessità,
sempre
in
chiave
controrivoluzionaria, di “agire spregiudicatamente, anche a costo di calpestare le più sacre regole democratiche e di ricorrere apertamente alla violenza politica”70. Infine, è necessario ribadire ancora la centralità dell’importanza del convegno all’Istituto Pollio. Esso, anche se non fu la sede in cui venne progettata e pianificata la strategia della tensione (anche perché non era certo una riunione pubblica il luogo più adatto a compiti del genere), rappresentò uno dei pochi incontri ufficiali di confronto tra esponenti qualificati di quegli ambienti “la cui ostilità all’evoluzione politica in corso si spingeva fino ad invocare un intervento militare”71. Inoltre emergono dal convegno nuove linee di riferimento nei rapporti tra estrema destra e apparati statali. Se negli anni precedenti tale rapporto “si era giocato su una pratica di tacite connivenze e talora anche di esplicite coperture”72, ora “è dall’interno dello Stato che si coltivano progetti di svolta autoritaria, con piani espliciti di colpo di stato”73. Di conseguenza, il ruolo della destra radicale perde di autonomia, assestandosi su posizioni di subalternità all’interno di un comune progetto antidemocratico in chiave anticomunista, pur se è forse esagerato ridurlo a quello di semplice manovalanza. L’incontro, mette inoltre in luce la vicinanza del “pensiero strategico”74 di destra radicale e alte gerarchie militari nel periodo, come dimostra anche il contenuto dei documenti relativi alla guerra non-ortodossa redatti nel
69
R. Chiarini, Destra italiana. Dall'unità d’Italia a Alleanza Nazionale, op. cit., p.125
70
Ibidem, pp.125-126
71
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p.143
72
R. Chiarini, Destra italiana. Dall'unità d’Italia a Alleanza Nazionale, op. cit., p.124
73
Ibidem, p.125
74
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p.143
128
1964 dal SIFAR75. Proprio in riferimento a orientamenti antidemocratici provenienti dal cuore stesso dell’apparato statale, è utile ricostruire molto brevemente l’episodio del piano Solo. Nel paragrafo si accennerà, in estrema sintesi, anche ad altre importanti vicende, quelle relative a Gladio, al piano Demagnetize e alle formazioni paramilitari clandestine attive in Italia a partire dal dopoguerra, nel tentativo di completare e esplicitare ulteriormente il quadro interpretativo ricostruito nel primo paragrafo.
75
L’elaborazione dottrinaria sulla guerra non-ortodossa fu elaborata nel 1964. Comprende tre documenti: “L’offesa”, “La parata e la risposta” e “La guerriglia”. E’ fortemente significativo della confluenza culturale di estrema destra e vertici delle forze armate che i primi due siano stati redatti da Guido Giannettini, giornalista di estrema destra fortemente coinvolto nelle indagini su Piazza Fontana e nelle vicende dell’eversione “nera”. Il terzo documento è invece opera del Ten. Col. Tommaso Argiolas (Cfr. P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., pp.106-108). Gli studi di Giannettini, affermavano che: elemento fondamentale della guerra rivoluzionaria (che sarebbe già stata scatenata dall’URSS contro gli stati occidentali ed è l’unica guerra che verrà combattuta negli anni a venire), è il carattere assolutamente non spontaneo ma rigidamente pianificato di ogni agitazione sociale. Questa rigida pianificazione consente una totale elasticità di manovra alla direzione rivoluzionaria. In pratica, siccome la guerra rivoluzionaria ha la capacità di inglobare ogni conflitto, quindi ad esempio anche uno sciopero, non ha più senso la distinzione tra attività lecite e illecite dell’organismo rivoluzionario. Quindi, il problema, non è più quello di stroncare le attività illegali svolte dall’ipotetico movimento rivoluzionario, bensì è l’esistenza stessa dell’organismo a dover essere soppressa, in quanto ogni attività, anche lecita, è svolta solamente in preparazione dell’insurrezione. Quindi, l’unico modo per combattere questo tipo di conflitto, non è arginare le iniziative dell'rganizzazione rivoluzionaria (il PCI), ma eliminare in toto tale minaccia all’ordine costituito, occorrendo altresì prepararsi, con organismi adeguati, alla controguerriglia. Qui la guerriglia non è più costituita solo da azioni militari coperte svolte sul territorio, ma va a inglobare anche le attività della guerra rivoluzionaria contro cui si è in conflitto. La guerra rivoluzionaria, ridotta a mero complesso di tecniche militari nonortodosse, viene capovolta di segno, diventando quindi una guerra «controrivoluzionaria», e utilizzata nel conflitto con tutto il suo repertorio. Siccome anch'essa si fonda anche sul carattere rigidamente pianificato di ogni agitazione sociale, diventa legittimo usare strumenti simili a quelli degli avversari, esempio creare attraverso attentati terroristici un certo stato emotivo nella popolazione, per controbattere all’offensiva rivoluzionaria scatenata dalla parte nemica.
129
4.3 Il Piano Solo e l’anticomunismo di stato
4.3.1 Il Gen. De Lorenzo e la vicenda dei fascicoli del SIFAR La vicenda del Piano Solo (giugno-luglio 1964) è strettamente legata alla figura del Gen.Giovanni De Lorenzo, che era stato capo del SIFAR76 dal 1955 al 1962, e ricopriva all’epoca la carica di Comandante in capo dei carabinieri. Egli era inoltre uno dei più stretti collaboratori del presidente della repubblica Antonio Segni. De Lorenzo, nel corso della sua rapida e brillante carriera, era riuscito a costruirsi “una formidabile base di potere all’interno delle Forze Armate”77. Attraverso modalità e pratiche discutibili e al limite della legalità (che non è il caso di rievocare nei dettagli78), aveva ottenuto che come suoi successori al vertice del SIFAR fossero nominati “due fra i suoi più fedeli subordinati”79 (Egidio Viggiani e Giovanni Allavena), e a mantenere il controllo sia sui fondi dell’Arma che su quelli del servizio. A partire dal 1962, insomma, De Lorenzo “fu a capo della principale forza dell’ordine del paese, e mantenne uno stretto controllo sul Servizio Segreto”80. Egli aveva contribuito ad un indubbio miglioramento dell’efficienza dell’Arma, legando al contempo il suo nome ad iniziative quantomeno controverse, quali la creazione di una
brigata
meccanizzata
equipaggiata
con
carri
e
blindati,
ufficialmente adibita a compiti di ordine pubblico, per i quali è inutile
76
Servizio Informazioni Forze Armate, il servizio segreto militare che diventerà con le successive riforme prima SID (Servizio Informazioni Difesa) e poi Sismi (Servizio Informazioni e Sicurezza Militare). Cfr. G.Flamini, Istituzioni e partito del golpe, in di P.Corsini e L.Novati (a cura di), L’eversione nera. Cronache di un decennio (19741984), op. cit., pp.220-221 77
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p.145
78
Si veda in particolare G.De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Roma, Editori Riuniti, 1991 79
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p.145
80
Ibidem, p.146
130
sottolineare la non corrispondenza con i mezzi utilizzati. Questa vicenda fece scrivere nel ’67 a Ferruccio Parri che De Lorenzo si era creato “il suo piccolo esercito personale, assai superiore per disciplina ed efficienza al resto delle Forze Armate”81. Altra vicenda assai significativa è quella della raccolta illegale da parte del servizio di 157.000 fascicoli “sulla vita privata di politici, uomini d’affari, leader sindacali, intellettuali e altre figure pubbliche, incluso il clero”82. La ricerca di notizie aveva coinvolto anche aspetti della vita privata degli schedati (consuetudini sessuali, relazioni extra coniugali ecc.) che difficilmente potevano essere messe in collegamento con questioni relative alla sicurezza nazionale. Si trattò, insomma, di una grave deviazione del servizio dai compiti istituzionali, con lo scopo evidente di raccogliere “notizie che abbiano potenza di nuocere alla persona a cui si
riferiscono
e
che
possano
costituire
pertanto
motivo
di
intimidazione”83, a fini di ricatto e di condizionamento delle personalità interessate. La raccolta di informazioni, si accompagnò addirittura “con la tendenza a deformare le notizie ricevute, al fine di accentuare il significato sfavorevole, senza alcun rispetto per lo stesso principio della libertà personale […] vennero utilizzati pedinamenti, teleobiettivi, controlli
clandestini
della
corrispondenza
e
delle
comunicazioni
telefoniche”84. Sembra inoltre che delle copie dei fascicoli (i cui originali furono distrutti nel 1974) sia entrato in possesso Licio Gelli; l’archivio del SIFAR sarebbe stato uno degli elementi fondamentali alla base del potere dell’ex Maestro Venerabile della Loggia P285.
81 82 83
Ibidem, p.147 Ibidem Ibidem
84
AA.VV., La strage di Bologna…, op.cit., p.28
85
Cfr. AA.VV., La strage di Bologna…, op.cit., pp.28-29
131
A proposito della vicenda delle schedature operate dal SIFAR86, si è avanzata l’ipotesi che l’iniziativa del SIFAR, derivasse da “un input proveniente dal Capo Stazione CIA, Thomas Karamessines, nell’ambito delle tensioni politiche derivanti dalla previsione di una possibile apertura al PSI della maggioranza governativa”87. La CIA sarebbe stata interessata, insomma, alla “raccolta di materiali che potessero danneggiare Aldo Moro e i suoi sostenitori”88. Al di là di questo singolo episodio, è ora necessario, prima di ricostruire brevemente la vicenda del Piano Solo e i suoi significati, allargare lo sguardo al tema della collocazione dell’Italia nell’Alleanza Atlantica e all’analisi di alcune conseguenze della politica americana per il paese. Ciò si riallaccia, ovviamente, a quanto detto in particolare nel primo paragrafo.
4.3.2 L’anticomunismo di stato Si
vuole
ora
ricostruire
schematicamente
un
quadro
del
cosiddetto «anticomunismo di stato». Ci si riferisce con questa espressione alle iniziative di varia natura sorte in Italia per azione di organi e poteri statali, dal dopoguerra in avanti, per fronteggiare il pericolo comunista, sia nelle forme di un’invasione delle forze militari del Blocco Sovietico, sia in quelle di una rivoluzione armata all’interno del paese. L’obiettivo è quello di dare informazioni su alcune strutture che sembrano essere, in qualche modo, collegate alla strategia della tensione e all’azione della destra radicale.
86
Di cui si sono occupate due commissioni ministeriali condotte dal gen. Beolchini a dal gen. Lombardi, di cui il governo pubblicò solo in parte i documenti viste le compromissioni che avevano coinvolto a vario titolo diversi esponenti del mondo politico dell’epoca
87
Commissione Stragi, Luci sulle stragi..., op. cit., p.42
88
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p.147
132
Il tema dell’anticomunismo di stato è fortemente legato alla collocazione dell’Italia nel nuovo ordine internazionale, sancito dagli accordi di Yalta, e alle conseguenze operative della cosiddetta «dottrina Truman», enunciata dal Presidente degli Stati Uniti Harry Truman il 12 marzo 1947 in un famoso discorso dinanzi al Congresso. Con essa, “gli Stati Uniti si facevano carico di proteggere militarmente qualsiasi zona del mondo fosse stata minacciata da eserciti di paesi comunisti e da forme di guerriglia comunque appoggiate da paesi di area comunista”89. Nel dopoguerra, l’attenzione degli Stati Uniti, in Europa, si concentrò in particolare su Italia e Francia, paesi in cui la presenza dei partiti comunisti era nettamente più massiccia rispetto agli altri. La politica di contenimento del comunismo varata da Truman, venne coordinata dal Nsc (National Security Council90), e “concretizzata poi nel
Piano
Demagnetize”91,
un
piano
di
offensiva
permanente
anticomunista “ufficialmente ignoto alle massime autorità del nostro governo”92. E’ molto probabile che il Demagnetize (che risale alla fine del 1951 – inizio 1952), più che un progetto a sé stante, sia da considerare come una sorta di “pianificazione «cornice» entro cui si è andata a collocare anche Gladio”93 (della quale si parlerà tra breve). Questo
piano
di
intervento
fu
formulato
con
l’obiettivo
di
“smagnetizzare, depotenziare, la capacità di attrazione che aveva l’idea comunista sulle masse francesi e italiane”94; ovvero, attraverso diversi ambiti di attività, “ridurre la forza del partito comunista, le sue risorse materiali e le sue organizzazioni internazionali, la sua influenza sui governi francese e italiano, e particolarmente sui sindacati, nonché l’attrazione che esso ha per i cittadini francesi e italiani, così da fare in
89
Commissione Stragi, Luci sulle stragi..., op. cit., p.15
90
Consiglio per la Sicurezza Nazionale
91
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.33
92
Ibidem
93
Ibidem, p.44
94
Ibidem, p.33
133
modo che esso non rappresenti più una minaccia per la sicurezza della Francia e dell’Italia e per gli obiettivi degli Stati Uniti […] Rafforzare i sindacati liberi e le forze genuinamente democratiche”95. Le attività e le preoccupazioni americane in chiave anticomunista per l’Italia sono comunque precedenti al 1952, come dimostrano una serie di documenti redatti dal Nsc a partire dalla fine del 194796. Particolare tensione circondò lo svolgersi delle elezioni dell’aprile 1948, come attesta anche la citazione di Cossiga riportata nel primo paragrafo. Con il documento NSC 1/3 dell’8 marzo 1948, dal titolo “Posizione degli Stati Uniti nei confronti dell’Italia alla luce della possibilità di una partecipazione comunista al governo attraverso sistemi legali"97, veniva esplicitamente affrontato il problema politico derivante da un’ipotetica conquista del potere da parte dei comunisti italiani per vie legali, e il correlato pericolo di una trasformazione del paese in uno stato totalitario subordinato ai sovietici, secondo uno schema ormai consueto nell’Europa dell’Est. Si elencavano, nella parte conclusiva del documento, alcuni provvedimenti che le autorità americane avrebbero dovuto adottare nel caso in cui tale evenienza si fosse concretizzata. Tra di essi, “figurano al punto a): «Prendere delle misure immediate, compreso ciascun tipo di misura coercitiva, per realizzare una mobilitazione limitata» e al punto d): «Fornire assistenza militare e finanziaria alla base anticomunista italiana»”98. Sono diversi i documenti del NSC riguardanti la situazione italiana negli anni ’50 e le conseguenti
direttive
ed
elaborazioni
strategiche
in
funzione
anticomunista, anche se una loro lettura sembra “screditare l’ipotesi di un intervento militare diretto americano automatico in caso di avvento
95
Tratto da un memorandum “top secret” del Jcs (Joint Chief of Staff, Comando Generale di Stato Maggiore del governo americano), pubblicato in R.Faenza, Il malaffare. Dall'America di Kennedy a Cuba, al Vietnam, Milano, Mondadori, 1978, pp.312-314, e in P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., pp.45-47 96
Vedi Commissione Stragi, Luci sulle stragi..., op. cit., pp. 16-18
97
Ibidem, p.16
98
Ibidem
134
del PCI al governo con mezzi legali o illegali”99. Questa interpretazione non riguarda, ovviamente, la categoria delle «covert operations»100, che rimanevano uno degli strumenti principali dell’azione americana di contrasto al comunismo a livello mondiale. Esse, facevano riferimento ad attività condotte a margine di quelle a carattere ufficiale, per le quali, a differenza di quelle, “non doveva essere possibile risalire alla responsabilità del governo americano”101. Comprendevano una vasta tipologia di operazioni legali e illegali, dalla propaganda, al sabotaggio all’assistenza a gruppi di guerriglia, all’azione preventiva diretta ecc., tutte accomunate dal fatto che per esse il governo americano avrebbe negato ogni responsabilità (pur avendone la paternità). Sarebbe comunque un errore attribuire agli italiani un ruolo esclusivamente secondario e subordinato alle direttive statunitensi nell’azione di contrasto ai comunisti. In particolare l’operato di De Gasperi, le richieste governative di appoggio americano in caso di sollevazione comunista,
l’organizzazione
concreta
di
associazioni
e
strutture
anticomuniste (es. l’associazione «Pace e Libertà» di Edgardo Sogno sorta nel 1950 su incarico e con copertura del governo italiano), dimostrano che il ruolo autoctono nell’azione di contrasto al comunismo fu assai rilevante, per la cui dettagliata trattazione non si può che rimandare alla bibliografia102. Una posizione centrale nell’analisi, anche in attinenza con lo scopo generale di questo lavoro, è da destinarsi alle formazioni paramilitari segrete sorte nel paese nel dopoguerra. Le loro origini sono, ancora una volta, da collocarsi nel clima della Guerra fredda, all’inizio della quale “divenne concreto il pericolo che la nostra frontiera
99
Ibidem, p.17
100
Così definite ufficialmente nella direttiva NSC 10/2 del 18 giugno 1948
101
Commissione Stragi, Luci sulle stragi..., op. cit., pp. 17
102
Si veda P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., pp. 35-42 e i testi ivi indicati
135
del Nord-Est non tenesse”103. In risposta a queste preoccupazioni sorsero delle organizzazioni miste con “un vertice militare e una base operativa composta da civili, spesso provenienti dalle file degli expartigiani bianchi […] che avevano il compito di attivare la resistenza nell’eventualità di un’invasione dell’Est del territorio italiano”104. Tra di esse la più significativa e conosciuta (ma, comunque, non l’unica105) è la Osoppo, sorta nell’immediato dopoguerra (gennaio ’46), per iniziativa dei dirigenti della disciolta formazione partigiana bianca Osoppo-Friuli “nell’atmosfera di tensione che continuò a regnare al confine jugoslavo anche dopo la conclusione della guerra”106. Essa passò poi (nel ’49) sotto la dipendenza diretta della Presidenza del Consiglio dei Ministri, trasformandosi successivamente (nel ’50) in una vera e propria organizzazione militare segreta, l’organizzazione «O», con compiti prevalentemente,
anche
se
non
esclusivamente107,
difensivi
e
informativi. Tali strutture paramilitari segrete sembrano essere, in seguito, confluite in Gladio (anche se questo passaggio è ancora confuso per mancanza di documentazione completa e attendibile). Per analizzare la vicenda di Gladio si deve, di nuovo, far riferimento ad un documento del NSC, precisamente il NSC 5412 del 15 marzo 1954, che sembra essere “il primo documento ufficiale in cui si menziona la rete stay-behind”108, rete a cui Gladio afferiva. Le strutture Stay behind erano attive in diversi paesi europei (tra cui Belgio, Francia, Olanda, Germania, Norvegia e Danimarca). Esse erano state progettate dopo la fine del conflitto mondiale, quando “il timore dell’espansionismo sovietico e l’inferiorità delle forze NATO rispetto a quelle del Cominform indussero le nazioni dell’Occidente a ipotizzare 103
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.20
104
Ibidem, p.21
105
Ad esempio si è a conoscenza di almeno altre due formazioni clandestine legate agli inglesi, la «Giglio» e la «Fratelli d’Italia».
106
Commissione Stragi, Luci sulle stragi..., op. cit., pp. 18-19
107
Cfr. Commissione Stragi, Luci sulle stragi..., op. cit., pp. 20-21
108
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p.149
136
nuove forme non convenzionali di difesa”109. Fu così creata nei territori di diverse nazioni una “rete occulta di resistenza”110, avente lo scopo di operare, in caso di occupazione nemica, attraverso la raccolta di informazioni, il sabotaggio, la guerriglia ecc.. Per ciò che riguarda l’Italia, fin dal ’51 il SIFAR cominciò a progettare e costituire tale struttura di resistenza clandestina, appunto Gladio, ufficialmente
nel
1956
con
l’accordo
che nacque
SIFAR-CIA,
relativo
all’organizzazione e alle attività di tale struttura. Dal ’59, infine, l’Italia fu chiamata a partecipare ai lavori del Ccp (Comitato clandestino di pianificazione) e in seguito, nel ’64, al Cca (Comitato clandestino alleato), gli organismi destinati a coordinare le attività di collaborazione tra le reti presenti nei diversi paesi europei. Non si vuole qui trattare la questione della legittimità di tale organizzazione clandestina, la cui segretezza è stata conservata con ogni mezzo per 40 anni a causa della presenza del PCI in Italia111, e della quale, ricordiamo, l'opinione pubblica è venuta a conoscenza solo nel 1990. Sembra comunque ormai accertato che la struttura, sorta ufficialmente con l’esclusivo compito di un “intervento ‘dietro le linee’ in seguito a una possibile invasione militare dei paesi del Patto di Varsavia”112, avesse tra i suoi fini anche funzioni di “controllo e neutralizzazione delle attività comuniste anche in tempo di pace”113. Ciò è in accordo, tra l’altro, con l’efficace definizione di Gladio fornitaci dal gen.Antonio Podda, riferendo in Commissione Stragi una confidenza ad egli fatta dall’ammiraglio Eugenio Henke, direttore del SID sul finire degli anni ’60, che di essa parla come di “struttura antisovietica all’esterno e anti-
109 110
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.44 Ibidem
111
Essendo un fedele alleato di Mosca ai tempi della Guerra Fredda, è chiaro che nessuna informazione sulle reti clandestine di difesa occidentali doveva arrivare al PCI
112
G.De Lutiis, Il lato oscuro del potere. Associazioni politiche e strutture paramilitari segrete dal 1946 ad oggi, Roma, Editori Riuniti, 1996, pp.91-92, cit. in M.Della Campa, G.Galli, La Massoneria Italiana…, op. cit., p.199
113
Ibidem
137
PCI all’interno”114. Tuttavia, sulla base della documentazione attualmente esistente, si deve escludere il coinvolgimento della struttura nella stagione del terrorismo e della strategia della tensione, pur se permangono tuttora molti dubbi sul collegamento della Gladio ufficiale (composta da 622 individui) con altre reti clandestine115 presenti nel paese, da attivarsi in caso di necessità. Organizzazioni sulla cui esistenza ed attività ancora molto resta da sapere (e sulle quali probabilmente sarà fatta almeno in parte chiarezza nel corso dei procedimenti giudiziari attualmente in corso per la strage di Piazza Fontana). E’ in questo ulteriore livello occulto che si sospetta possano esservi stati dei coinvolgimenti nella strategia stragista.
4.3.3 Il Piano Solo Si torna ora ad analizzare la vicenda del Piano Solo, che testimonia in modo esemplare, al di là dei suoi contenuti specifici, la presenza di orientamenti autoritari e antidemocratici in settori centrali delle forze armate e del ceto politico in Italia a metà degli anni ’60. Il Piano Solo fu preparato dal gen. De Lorenzo agli inizi del 1964. Esso “presenta una straordinaria analogia col piano «Prometeo» utilizzato dal colonnello George Papadopoulos nel 1967 per instaurare un governo militare in Grecia”116. Si trattava in sintesi di un piano antiinsurrezionale, caratterizzato da una forte ambiguità che lo rendeva potenzialmente utilizzabile a fini eversivi. In esso, infatti, erano previsti l’occupazione di prefetture, radio e televisioni, centrali telefoniche e telegrafiche, sedi dei partiti e giornali, e soprattutto, l’arresto di circa
114
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.44
115
Cfr. G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., pp.21-28, e P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., pp. 99-105
116
P. Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi…, op. cit., p.374
138
800 persone “pericolose per la sicurezza pubblica”117, la cui precisa identità è tuttora ignota, anche se è piuttosto credibile l’ipotesi che essi fossero
leader
comunisti,
socialisti
e
sindacali118.
Il
piano,
probabilmente, prendeva il nome dal fatto che la sua attuazione fosse affidata
esclusivamente
ai
Carabinieri,
cui
si
sarebbero
dovuti
aggiungere in ruolo di supporto carabinieri in congedo e gruppi irregolari di civili, segretamente reclutati da un ufficio speciale del SIFAR119 diretto dal colonnello Renzo Rocca, morto nel 1968 in circostanze ancora misteriose. E’ interessante notare come anche Gladio sarebbe stata presumibilmente coinvolta nell’attuazione del piano, in quanto gli elementi da arrestare avrebbero dovuto essere portati in Sardegna, verosimilmente alla base di Capo Marrargiu, che si rivelò anni dopo essere appunto la principale base di addestramento dei «gladiatori». “Il grado di realizzazione concreta di questo piano rimane da accertare”120. Nel corso della complessa crisi di governo dell’estate del 1964, De Lorenzo, probabilmente su pressione dell’allora presidente della repubblica Antonio Segni, aveva dato ordine, alla fine di giugno, di “approntare le linee esecutive del piano”121. L’obiettivo di Segni, sul quale pesavano sicuramente anche le condizioni di salute che poco tempo dopo l’avrebbero reso incapace122, era quello di porre fine al centro sinistra, auspicando “il ritorno a governi moderati con una diversa base parlamentare”123. Le difficoltà nel negoziato tra i partiti, “le
117
Ibidem
118
Pellegrino avanza l’ipotesi che tale lista fosse almeno in parte riconducibile alla cosiddetta Gladio Rossa, la struttura paramilitare clandestina del PCI formata dopo la guerra a partire dal disciolto esercito partigiano comunista. Cfr. G.PellegrinoC.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., pp. 53-55
119
Cfr. F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., pp.151-152
120
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p. 153
121 122 123
Ibidem Cfr. G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.48 Ibidem
139
voci che filtravano sulle attività dei Carabinieri”124, le pressioni di Segni, resero la situazione molto tesa. Alla rottura delle consultazioni, e dopo la convocazione di De Lorenzo al Quirinale (15 luglio), ci fu un incontro segreto a casa del parlamentare democristiano Tommaso Morlino, cui parteciparono vari esponenti della DC tra cui Moro, Rumor e Zaccagnini da una parte e, dall’altra, il gen. De Lorenzo e il capo della polizia Angelo Vicari (gli ultimi due su ordine del presidente della Repubblica). Dopo quella riunione, i negoziati ripresero, e si giunse alla formazione di un nuovo governo che, se pur formalmente di centrosinistra, in realtà attenuava fortemente la tensione riformista, a favore di quella immobilista, rassicurando in tal modo “corporazioni e interessi consolidati”125. Il Piano Solo non venne mai attuato, tuttavia Pietro Nenni scrisse, poche settimane dopo, sulla crisi appena terminata, che “Improvvisamente i partiti e il Parlamento hanno avvertito che potevano essere scavalcati. La sola alternativa che s’è delineata […nel caso di una rinuncia ] del Centro-Sinistra è stata quella di un governo di emergenza […] che nella realtà del paese quale è sarebbe stato il governo delle destre, con un contenuto fascistico-agrario-industriale, nei cui confronti il ricordo del luglio 1960 sarebbe impallidito”
126
Le più recenti interpretazioni, in realtà, spiegano i fatti dell’estate 1964 più che come un vero e proprio golpe fallito, come un’intentona127, ovvero come un’azione a scopo di avvertimento128 volta a influenzare il
124
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p. 154
125
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.52
126
“Avanti!”, 26 luglio 1964, cit. in P. Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi..., op. cit., p.376 127
Gli spagnoli distinguono all’interno del golpe – il riuscito colpo di stato militare – il pronunciamiento, che mira a trattare con la controparte, sia essa politica, sia militare; l’intentona, a scopo di avvertimento e per ottenere risultati politici; e l’alzamiento, la rivolta militare che ha come obiettivo quello di impadronirsi direttamente del potere, cfr. P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p. 230 128
M.Della Campa, G.Galli, La Massoneria Italiana…, op. cit., p.196. Galli definisce le iniziative del gen. De Lorenzo come “misure concordate col presidente della repubblica Segni e col vertice della DC (compreso il presidente del consiglio Moro)
140
sistema politico del paese “per ottenere il consenso socialista a una versione più moderata del centro sinistra”129. Il cosiddetto golpe De Lorenzo, quindi, pur essendo un fatto molto grave, non consistette in una vero e proprio tentativo avente il fine ultimo di una presa di potere da parte dei militari. Piuttosto rappresentò un “avvertimento politico lanciato dal Quirinale ad alcuni dei partiti di governo o a settori di essi utilizzando la minaccia militare […] Un ‘golpe’ solo accennato, ma che si
era
pronti
a
sviluppare
se
le
circostanze
l’avessero
reso
necessario”130. Tuttavia l’intera vicenda del Piano Solo rivelò aspetti molto gravi. In primo luogo, la “degenerazione dei poteri e delle strutture dello stato – prima fra tutte quella dei servizi segreti, totalmente asservita al mondo politico”131; in secondo luogo, la forte responsabilità degli uomini politici, in particolare del presidente Segni e dei principali esponenti della DC, che utilizzarono e sollecitarono le iniziative di De Lorenzo allo scopo di influenzare il normale svolgersi del processo politico. Infine evidenziò la forte presenza di mentalità e culture autoritarie e antidemocratiche
all’interno
dello
Stato,
da
cui
direttamente
provenivano “progetti di svolta autoritaria, con piani espliciti di colpo di stato”132.
per ottenere il consenso socialista ad una versione più moderata del centrosinistra”, mentre Pellegrino giudica Moro sì politicamente corresponsabile della vicenda, ma in una posizione subalterna rispetto alle forze che si opponevano decisamente al riformismo del centrosinistra (cfr. G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., pp. 51-52) 129
Ibidem
130
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p. 230
131
Ibidem, p.234
132
R. Chiarini, Destra italiana. Dall'unità d’Italia a Alleanza Nazionale, op. cit., p.125
141
4.4 L’estrema destra negli anni ’60. Riepilogo
Concludendo il capitolo, è bene sintetizzare alcune delle linee di tendenza che caratterizzano le attività dell’estremismo di destra alla vigilia del dispiegarsi della strategia della tensione. Innanzitutto, è da evidenziare l’intensificarsi del processo di allontanamento dalla linea politica del MSI da parte dei gruppi della destra radicale. Pur permanendo molti contatti a livello individuale tra missini e militanti dell’estrema destra esterni al partito, il Movimento Sociale non è più ritenuto una forza affidabile per condurre una lotta rivoluzionaria antisistema, in quanto “coinvolto in una politica di compromessi e ricatti con il potere democristiano”133. A questa constatazione, si accompagna l’affermazione dell’assoluta vitalità del pericolo comunista, sia a livello nazionale che globale, come attesta, ad esempio,
il
citato
articolo
di
Clemente
Graziani
sulla
Guerra
rivoluzionaria datato 1963. Si apre quindi, negli anni ’60, un periodo di progressivo avvicinamento tra destra radicale, Forze Armate e “ambienti militari, settori
coperti
dei
corpi
separati
dello
stato”134,
in
funzione
anticomunista e antidemocratica. Ciò, particolarmente, ad opera del gruppo di Ordine Nuovo. I movimenti dell’estrema destra, insomma, “in quegli anni si pongono il problema di utilizzare l’esercito nell’arena politica”135. Vengono stabiliti, infatti, contatti diretti tra esponenti della destra e ed alte gerarchie militari. Di questa dinamica sono esemplari la partecipazione di militanti della destra radicale al convegno sulla Guerra rivoluzionaria all’Istituto Pollio e la vicenda de Le mani rosse sulle Forze Armate, un pamphlet
133
P.Ignazi, Postfascisti?…, op. cit., p.32
134
M.Revelli, La Destra nazionale, op. cit., p.44
135
P.Ignazi, Postfascisti?…, op. cit., p.33
142
redatto da Pino Rauti e Guido Giannettini136 su incarico del gen. Giuseppe Aloja, Capo di Stato Maggiore della Difesa, in cui si denunciava una presunta infiltrazione comunista nelle Forze Armate. In realtà,
lo
scritto,
controproducenti,
presto
era
un
ritirato
per
tentativo
di
timore
dei
sostenere
“le
suoi tesi
effetti sulla
riconversione dell’apparato militare […] del gen. Aloja”137 in contrasto con quelle del gen. De Lorenzo. E’ assai indicativo, comunque, che la più alta autorità militare dello Stato si fosse rivolta a due noti estremisti di destra per redigere il pamphlet. Ancora più significativi sono gli ipotizzati legami tra le reti clandestine di difesa occidentale legate alla struttura Stay Behind e i gruppi dell’estrema destra. Su questo tema, comunque, si tornerà più diffusamente in seguito. Un altro processo correlato a quelli sopra descritti, è la comparsa massiccia sulla scena nazionale del cosiddetto «governo invisibile», con ciò intendendosi “l’insieme dei centri di potere occulto, annidati in vari apparati dello stato, nei servizi segreti, in gangli decisivi dell’economia, della finanza e del giornalismo, che si sottraggono alla regola della trasparenza propria della democrazia e che puntano ad una «gestione diretta e totale del potere» quando «i governi ufficiali della democrazia rappresentativa» si rivelano «inadeguati» alla tutela dei loro interessi vitali”138. Ciò influenza fortemente i rapporti tra estrema destra e apparati statali. Come dimostra anche la vicenda del Piano Solo, ora è “direttamente dall’interno dello stato che si coltivano progetti di svolta autoritaria, con piani espliciti di colpo di stato”139, e alle
136
Gli autori dello scritto erano in realtà celati sotto lo pseudonimo «Flavio Messalla», cfr. F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p.44
137
P.Ignazi, Postfascisti?…, op. cit., p.33. Il gen. Aloja, influenzato dalle dottrine della guerra rivoluzionaria, voleva dotare l'esercito delle strutture necessarie per combattere anche forme di guerra non-ortodosse, mentre De Lorenzo era dell'opinione che contro la sovversione e per mantenere l'ordine fossero sufficienti un efficiente servizio informativo e solidi strumenti repressivi per tenere a freno i movimenti di massa (es. brigate corazzate e corpi militari specializzati) (Cfr. F.Calvi, F.Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, op.cit., pp.137-138)
138
R. Chiarini, Destra italiana. Dall'unità d’Italia a Alleanza Nazionale, op. cit., p.124
139
Ibidem, p. 125
143
forze della destra è riservata una posizione subalterna, addirittura “un ruolo di semplice manovalanza”140, anche se, come si vedrà, è probabilmente eccessivo ridurre il ruolo dei militanti del radicalismo «nero» a meri esecutori di volontà esterne.
140
Ibidem
144
CAPITOLO 5 .................................................................................... 146 Da Piazza Fontana al Golpe Borghese.............................................. 146 5.1 Il contesto. L’estrema destra e la strategia della tensione........ 146 5.2 Alla vigilia di Piazza Fontana. L'estrema destra nella seconda metà degli anni '60 ......................................................................... 155 5.3 Il 1969. Piazza Fontana ............................................................ 169 5.3.1 Il 1969................................................................................. 169 5.3.2 La strage ............................................................................. 174 5.3.3 L’estrema destra e gli attentati ........................................... 178 5.3.4 I collegamenti ..................................................................... 188 5.4 Il 1970 e il golpe Borghese ...................................................... 193 5.4.1 Il Fronte Nazionale............................................................. 193 5.4.2 La rivolta di Reggio Calabria e la strage di Gioia Tauro ... 196 5.4.3 Il Golpe Borghese............................................................... 200
CAPITOLO 5 Da Piazza Fontana al Golpe Borghese
5.1 Il contesto. L’estrema destra e la strategia della tensione
Si vuole ora delineare, per sommi capi, il contesto in cui si colloca la stagione delle stragi, per poter poi analizzare in dettaglio le attività dei gruppi dell'estrema destra nello stesso periodo. La seconda metà degli anni sessanta vide il progressivo fallimento dell'esperienza del centrosinistra. I governi alternatisi alla guida della nazione, si rivelarono incapaci di "rispondere alle molteplici esigenze di un'Italia in rapido cambiamento"1. Il riformismo, tanto temuto e avversato dai settori conservatori e dalle organizzazioni imprenditoriali, si dimostrò, nei fatti, assai insufficiente rispetto ai reali bisogni del paese, e molto lontano dalle promesse e dalle speranze iniziali. Le profonde trasformazioni che gli impetuosi processi di urbanizzazione, di emigrazione, di dissoluzione del mondo contadino e di scolarizzazione di massa avevano generato, non trovarono risposta efficace nell'azione politica. Le riforme strutturali inserite nell'originario progetto riformista, vennero col tempo (e con l'avvicendarsi degli
1 P.Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi..., op. cit., p.404
146
esecutivi) accantonate o realizzate in modo parziale e gravemente inadeguato a mettere in atto "un organico processo di ristrutturazione dell'apparato produttivo [...] un rinnovamento delle strutture statali e una modernizzazione di tutto l'assetto sociale"2 che la società italiana necessitava. Il centrosinistra, inoltre, "attivò l'opposizione di gran parte delle gerarchie militari che trovarono ascolto oltre Atlantico presso quei settori che avversavano la politica di distensione"3. La vicenda del Piano Solo, nell'estate del '64, mostrò drammaticamente quale fosse l’entità e l'influenza delle forze avverse ad una politica realmente progressista. L'esperienza del centrosinistra, infine, si rivelò fallimentare non soltanto sotto il profilo riformista. "Buona parte della DC"4 sperava, infatti, che esso potesse servire a realizzare due obiettivi politici complementari, l'emarginazione del PCI e la creazione di un grande partito socialdemocratico. Proprio con quest'ultima finalità PSI e PSDI si erano fusi nell'ottobre del 1966 nel PSU (Partito Socialista Unitario). Tuttavia, "gli esiti furono assai diversi da quelli auspicati"5. Alle elezioni politiche del maggio '68 il PCI, invece di perdere voti, registrò un incremento del 1.9%, arrivando a raccogliere il 26.9% dei suffragi. Il Partito socialista unitario, con il 14.5%, perse invece circa un quarto dei voti (il 5.4%) che i due partiti socialisti avevano ottenuto separatamente nella tornata elettorale precedente l'unificazione. Nel luglio del '69 il PSU tornò quindi a dividersi, con la scissione "di gran parte dei socialdemocratici e di gruppi già «nenniani» "6. L'incapacità di incanalare efficacemente le domande provenienti
2
N.Tranfaglia, La crisi italiana e il problema storico del terrorismo, in M.Galleni (a cura di), Rapporto sul terrorismo, Milano, Rizzoli, 1981, p.484 3
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.386
4
Ibidem, p.387
5 6
Ibidem G.Galli, Storia del partito armato, Milano, Rizzoli, 1986, p.11
147
da una società civile in rapido mutamento, l'insufficienza e l'arrestarsi della
dinamica
riformista
del
centrosinistra
furono
fattori
molto
importanti nel connotare la contestazione operaia e studentesca che esplose in Italia nel '68-'69. Un ciclo di protesta analogo a quello che, "alla fine degli anni sessanta, coinvolse molti paesi occidentali e alcuni dell'area comunista (la Cecoslovacchia)"7, e che in Italia durò più a lungo ed ebbe effetti molto più profondi su società e politica rispetto a ciò che avvenne nelle altre nazioni8. Le agitazioni studentesche vennero inaugurate dalle occupazioni dell'autunno '67 all'Università di Trento e alla Cattolica di Milano, per poi esplodere, come è noto, nel '68, e continuare lungo tutti gli anni settanta, seppur non con la stessa intensità. Ad esse, si aggiunsero le lotte degli operai, a partire dalla primavera del '68, in un crescendo culminante, nella seconda metà del '69, con le mobilitazioni, gli scioperi e le agitazioni dell'autunno caldo. La stagione dell'azione collettiva proseguì anche negli anni successivi, seppur non con la stessa forza ed estensione del biennio '68-'69. Quest'ultimo evidenziò, in Italia, "uno spostamento a sinistra in termini di comportamenti collettivi dalle scuole, alle fabbriche, alle piazze"9. Un contesto, insomma, assai allarmante per le forze conservatrici italiane e atlantiche, soprattutto in una congiuntura storica internazionale che vedeva, sotto la spinta della decolonizzazione, un globale arretramento dell'influenza del Blocco Occidentale10,
arginato,
in
molti
casi,
soltanto
attraverso
lo
spregiudicato sostegno a colpi di stato e guerre civili. Una situazione, quella italiana, che preoccupava anche il gruppo dirigente americano, impegnato, in quel periodo, in una politica volta, a "stabilizzare i sistemi
7
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.164
8
S.Tarrow, Democrazia e disordine. Movimenti di protesta e politica in Italia 19651975, Roma-Bari, Laterza, 1990, pp.6-8 9
M.Della Campa, G.Galli, La Massoneria Italiana…, op. cit., p.207
10
Cfr. P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., pp.145-147
148
politici occidentali, per preservare l'integrità dell'Alleanza Atlantica"11. Proprio in reazione a tale contesto di potenziale "deriva a sinistra"12 del paese, maturò e venne messa in atto, la cosiddetta «strategia della tensione», che "[...] ebbe la finalità, anche se fortunatamente non conseguì il suo obiettivo, di rimettere l'Italia nei binari della "normalità" dopo le vicende del '68 e del cosiddetto autunno caldo [...] Fautori ne erano in generale coloro che nella nostra storia si trovano periodicamente, e cioè ad ogni buona occasione che si presenti, dalla parte di [chi] respinge le novità scomode e vorrebbe tornare all'antico. [...] E così ora [...] lamentavano l'insostenibilità economica dell'autunno caldo, la necessità di arretrare nella via delle riforme e magari di dare un giro di vite anche sul terreno politico [...] E' doveroso alla fine rilevare che quello della strategia della tensione fu un periodo di autentica e alta pericolosità, con il rischio di una deviazione costituzionale che la vigilanza delle masse popolari fortunatamente non permise [...]"
13
L'espressione «strategia della tensione» fa riferimento "ad un'ipotesi di strategia di condizionamento materiale e psicologico dei processi dinamici e delle interazioni tra sistema politico e ambiente sociale, che giunge ad utilizzare persino il delitto «politico» e la strage, tendendo però ad occultarsi agli occhi dell'opinione pubblica. […] le stragi […] sono dirette a seminare panico e insicurezza collettiva con l'intento di produrre esigenze e domande «di ordine», in modo tale da legittimare l'intervento normalizzatore e pacificatore di uno Stato «forte»"14.
Mancando,
dopo
le
elezioni
del
maggio
'68,
una
maggioranza parlamentare in grado di attuare una "svolta moderata"15, i fautori di tale strategia cercarono, cioè, di provocare nel paese una 11
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.147
12
M.Della Campa, G.Galli, La Massoneria Italiana…, op. cit., p.197
13
Così scrisse Aldo Moro nel suo memoriale durante i giorni del sequestro, cit. in F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.166 14
Aa.Vv., La Strategia delle stragi dalla sentenza della Corte d'Assise di Venezia per la strage di Peteano, Roma, Editori Riuniti, 1989, p.312 15
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.60
149
situazione di disordine attribuibile alla sinistra tale "da giustificare una svolta di questo genere"16, accettando a tale scopo, e in una prospettiva radicalmente anticomunista, anche l'utilizzo politico delle stragi e del terrorismo. E' importante, di nuovo, sottolineare che la strategia della tensione va analizzata alla luce del quadro interpretativo e delle conflittualità manifeste e occulte attraversanti la storia del paese, ricostruiti nel capitolo precedente. A riguardo, va ribadita l’importanza del convegno dell’Istituto Pollio, nel quale viene affermata l’esigenza di rafforzamento delle strutture di difesa in funzione anticomunista, secondo la logica e le strategie della guerra controrivoluzionaria. In particolare, in quell’incontro, i partecipanti si riferivano a organizzazioni miste militari-civili in funzione di lotta ideologica, già costituite precedentemente, ma “da rafforzare e utilizzare più direttamente”17. E questo avviene con il progressivo intensificarsi della tensione sociale, fino all’esplodere della contestazione studentesca e operaia. Questi avvenimenti sembrano realizzare “l’ipotesi teorica che muoveva l’intero convegno dell’Istituto Pollio”18, ovvero che, in Italia, “fosse in corso una guerra rivoluzionaria”19. Le reti clandestine miste di militari-civili, create già
negli
anni
’50
in
funzione
antiinvasione
e
all’occorrenza
antiinsurrezionale, parallele e diverse da Gladio20, e fortemente innervate, negli anni ’60, con gli uomini della destra radicale in
16 17 18 19
Ibidem P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.367 Ibidem Ibidem
20
Le reti e le strutture clandestine erano, probabilmente, parallele, e al contempo, presupposte da Gladio. In particolare si ipotizza che esse dovessero svolgere i compiti di controinsorgenza che Gladio indubbiamente aveva, e che non erano, appunto, realizzati direttamente da tale organizzazione, ma affidati ad altre strutture clandestine operanti secondo lo schema militari-civili tipico di Gladio e delle strutture Stay Behind in genere. Questo è il quadro che sta emergendo dalle inchieste più recenti, nelle quali si delinea un quadro delle reti clandestine assai più ampio rispetto a Gladio, con organizzazioni complesse afferenti a diverse catene di comando (Cfr. P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.364-367, e G.PellegrinoC.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., pp.56-57 )
150
prospettiva anticomunista, rimaste “in una situazione di potenzialità operativa”21 fino alla fine degli anni ’60, passarono all’attivazione attraverso
“un
meccanismo
di
reazione
a
catena”22
innescato
dall’intensificarsi della conflittualità sociale. Quella
della
strategia
della
tensione,
fu
una
stagione
drammatica23 nella storia italiana, e vide all’opera influenze e input di provenienza diversa, sia sul piano interno, sia su quello internazionale, operanti secondo dinamiche complesse e non sempre univoche, secondo le conflittualità e le fratture che attraversavano non solo il corpo sociale, ma anche i vertici istituzionali, gli ambienti militari, economici, diplomatici, i servizi segreti, i diversi gruppi di pressione, i movimenti politici, sia nel paese che all’estero. Essa fu un fenomeno non solo italiano, con una durata che si può indicare tra il 1960 e il 1974, di cui lo stragismo (‘69-‘74) fu il momento più acuto, mentre in precedenza “le stragi avevano riguardato regioni periferiche (la Sicilia e l’Alto Adige) segnate da situazioni politiche molto particolari (per la mafia o per l’irredentismo tirolese)”24. Sulla ripartizione temporale dello stragismo e della strategia della tensione si ritornerà comunque tra 21 22
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.353 Ibidem
23
Si contarono, nel quinquennio ‘69-’74, 92 morti e 2795 feriti (Cfr. P.CucchiarelliA.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.370)
24
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.369. Gli eventi che insanguinarono l’Alto Adige a partire dal 1956, in particolare, sono considerati nella saggistica, nonché, ormai, nei documenti della Commissione Stragi, come una sorta di «campo scuola» per le tecniche della strategia della tensione. Si ha ormai la certezza, cioè, che vi fu chi agì dietro le quinte di una rivendicazione etnica e politica al fine di tenere alta una tensione che mirava a sperimentare e ad applicare sul campo le tecniche di guerra non ortodossa maturate all’inizio degli anni ’60 all’estero sulla scia dell’esperienza dell’OAS e che erano state da poco recepite in Italia. Fine politico era quello di sollecitare interventi forti atti a consolidare, grazie all’inderogabile necessità di fronteggiare un terrorismo giudicato e presentato come destabilizzante, l’atteggiamento e la logica dell’intervento repressivo, la risposta complessiva di uno dei paesi fondamentali per lo schieramento NATO, condizionandone inevitabilmente le scelte di politica generale. Fortemente coinvolti furono gli uomini dei servizi segreti italiani e dei corpi speciali, nonché alcuni appartenenti a reti clandestine miste militari-civili (sulla complessa vicenda del terrorismo e della violenza politica nell’Alto Adige si vedano A.Cipriani-G.Cipriani, Sovranità limitata..., op.cit., pp.51-68, e P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., pp.125-143, e la bibliografia ivi riportata)
151
breve. Questo fenomeno, tuttavia, non rappresenta il focus di questo lavoro
(pur
essendone
intimamente
connesso),
incentrato
principalmente sulle attività dei gruppi e dei movimenti dell'estrema destra nel decennio '65-'74. Per tornare più specificamente al tema principale della tesi, è necessario, perciò, comprendere in che modo gli estremisti di destra si collocano nelle vicende della strategia della tensione. Riguardo quest'ultima, il sen. Pellegrino25 distingue gli attori che ad essa presero parte in 3 livelli, secondo gli obiettivi perseguiti e il ruolo effettivamente svolto: •
ad un primo livello si colloca la manovalanza neofascista, ovvero gli estremisti di destra che mettevano materialmente le bombe. Essi avevano lo scopo di provocare allarme, instabilità, disagio sociale, paura, e quindi di fare in modo che, al dilagare della protesta studentesca e operaia, si reagisse con una risposta d'ordine. Il loro fine ultimo era quindi quello di un vero e proprio colpo di stato autoritario;
•
ad un secondo livello si trovano invece gli «istigatori», che avevano, probabilmente, lo scopo di utilizzare la tensione per favorire uno spostamento in senso conservatore dell'asse politico del paese. Più che un vero e proprio golpe, cioè, il fine ultimo era, probabilmente, un'intentona, con lo scopo di condizionare in senso moderato il sistema politico italiano (senza però arrivare alla creazione di un regime autoritario);
•
il terzo livello, invece, è quello internazionale, cui afferiscono interessi geopolitici volti a tenere l'Italia in una situazione di tensione, di disordine e di instabilità interna.
25
Cfr. G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., pp.66-67
152
Qui interessa, ovviamente, approfondire le vicende relative ai protagonisti del primo livello della tripartizione. Nel corso dell'analisi, tuttavia, saranno trattati diffusamente anche i restanti due, in quanto la separazione tra i livelli non è rigida. Per rendere intelligibili le attività e gli episodi che si ricostruiranno nel corso di questo lavoro, è quindi necessario fare riferimento ad un quadro interpretativo che tenga conto della complessità delle interazioni fra tutti i diversi attori operanti nel contesto della strategia della tensione, ognuno con obiettivi e iniziative proprie, e spesso in situazione di conflittualità o, comunque, di non consonanza con i disegni degli altri. Un’immagine esplicativa (anche se non applicabile ad ogni singolo evento) dei rapporti e dei meccanismi esistenti tra i diversi livelli è quella fornita alla Commissione Stragi il 6 giugno 1995 da Corrado Guerzoni, il più stretto collaboratore di Aldo Moro, con la teoria dei «cerchi concentrici»: “Per cerchi concentrici ognuno sa che cosa deve fare. Non è l’onorevole X che dice ai servizi segreti di andare all’indomani mattina a piazza Fontana a mettere la bomba. Al livello più alto si dice che il Paese va alla deriva, che i comunisti finiranno per avere il potere. Al cerchio successivo si dice: «Guarda che sono preoccupati. Che cosa possiamo fare? Dobbiamo influire sulla stampa». Così si va avanti sino all’ultimo livello [entità estranee alle istituzioni che possono essere o uomini della criminalità organizzata o gruppi politici eversivi26], quello che dice: «Ho capito», e succede quello che deve succedere. Ognuno non ha mai la responsabilità diretta. Se lei (rivolto al segretario della commissione, l’on. Baresi, di Forza Italia) va a dire a questo ipotetico onorevole che lui è la causa di piazza Fontana, le risponderà di no. In realtà è avvenuto questo processo per cerchi concentrici”
Ritorniamo
ora
all’oggetto
specifico
di
27
questo
lavoro.
Si
analizzeranno nei prossimi paragrafi le attività e le vicende dei gruppi e dei militanti della destra radicale dal 1966 al dicembre 1970 (golpe
26
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.355
27
Cit. in M.Della Campa, G.Galli, La Massoneria Italiana…, op. cit., p.208
153
Borghese), per poi terminare nel capitolo successivo la ricostruzione con il periodo che compreso tra il 1971 al 1974. Tale scansione temporale, si ricollega ad una ripartizione che distingue, nella stagione dello stragismo, due fasi principali, seppur non rigidamente distinte e lineari. Una prima fase, che va circa dal ’69 (con la sequenza di attentati compiuti dalla destra radicale e culminati nella strage di Piazza Fontana) al tentato golpe Borghese (7-8 dicembre 1970), nella quale i diversi attori vanno nella direzione di un vero e proprio tentativo di colpo di stato militare. Una seconda fase, dalla vicenda del golpe Borghese al 1974, in cui “diversi gruppi eversivi di ispirazione ideale anche in parte diversa”28 sono sì attivi per determinare un’involuzione autoritaria delle istituzioni, ma con lo scopo ultimo della proclamazione di una repubblica presidenziale “dal carattere formalmente democratico […] ma con un forte restringimento dei diritti civili e degli ambiti di libertà sindacale e individuale”29. E’ questo, tuttavia, un periodo in cui altri settori dei servizi, delle forze armate e della politica coinvolti (nel quadro di una conflittualità attraversante le istituzioni), cercheranno di attuare uno sganciamento dagli uomini dei gruppi eversivi, che sono richiamati all’ordine, in quanto si comprende (anche negli ambienti americani e atlantici) che in Italia non è possibile una svolta di tipo greco, se non a prezzo di una guerra civile. Pellegrino ipotizza addirittura una sorta di strategia del «lasciar fare» attuata da parte dei servizi nei confronti degli estremisti di destra, che tra il ’73 e il ’74 metteranno in atto “una serie di attentati in qualche modo di ritorsione che segneranno la loro fine: li lasceranno fare, probabilmente proprio per poterli liquidare”30.
28 29 30
Commissione Stragi, Il terrorismo, le stragi e il contesto storico politico, op.cit. Ibidem G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.67
154
5.2 Alla vigilia di Piazza Fontana. L'estrema destra nella seconda metà degli anni '60
Nel febbraio '68 il Movimento studentesco occupa l'Università di Roma. La polizia, dopo diversi giorni, interviene per sgomberare la facoltà, ma gli occupanti, cacciati, reagiscono. Ritrovatisi a Piazza di Spagna, decidono di "cercare di riconquistare la facoltà di Architettura, che sorgeva isolata dentro il parco di Villa Borghese"31. I poliziotti li caricano per bloccarli, ma gli studenti si oppongono contrattaccando. E' la «battaglia di Valle Giulia» (1 marzo 1968), che vede, insieme ai giovani del Movimento, la "partecipazione militante degli universitari di destra"32 agli scontri. Il FUAN, in contrasto con l'immobilista gestione micheliniana, cercava in quel periodo di elaborare una strategia politica autonoma e conforme ai "propri propositi alternativi e rivoluzionari"33. Quando esplode la contestazione studentesca, lo spazio e i contrasti tra il Movimento studentesco e l'estrema destra sembrano ridursi, con la partecipazione di quest'ultima alle occupazioni di alcune università (Perugia, Napoli e Roma), fino, appunto, ad arrivare alla presenza negli scontri romani del 1 marzo. Tuttavia, la lontananza ideologica ha presto la meglio. La rigida divisione viene riaffermata (e in parte imposta) il 16 marzo, con la calata sull'ateneo romano di "una spedizione punitiva di circa duecento squadristi [i Volontari nazionali] giunti da tutta l'Italia"34, guidata da Almirante, Caradonna e Turchi (tre dei più importanti leader del MSI) giunta per "sgomberare l'Università dalle «canaglie rosse»"35 e per riallineare i gruppi studenteschi di destra alle tradizionali posizioni missine di difesa dell'ordine. L'area della destra giovanile non è, però,
31
P.Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi..., op. cit., p.411
32
P.Ignazi, Il Polo escluso..., op.cit., p.131
33
Ibidem
34
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op. cit., p.132
35
P.Ignazi, Il Polo escluso..., op.cit., p.132
155
compatta. I gruppi coinvolti nella gigantesca rissa con il Movimento studentesco sono infatti diversi: oltre ai Volontari Nazionali, ci sono i militanti della Giovane Italia e della Nuova Caravella (aderente al FUAN), che guidano l'occupazione della Facoltà di Legge, per poi arrivare a quella parte di simpatizzanti del FUAN "schierati apertamente con il Movimento studentesco"36, come anche Lotta di Popolo, capeggiato da Serafino Di Luia, fedelissimo di Stefano Delle Chiaie (exleader di Avanguardia Nazionale, autoscioltasi, si ricorda, nel '66). Tale episodio non è senza conseguenze. I fatti del 16 marzo contribuiscono in modo decisivo a innescare una profonda lacerazione nelle organizzazioni giovanili missine, divise tra adesione alla contestazione e fedeltà alla "linea d'ordine e benpensante del partito"37, avviando, in sostanza, la diaspora di parte dei militanti della destra che si rifugeranno, col tempo, nel disimpegno politico, o abbracceranno forme di lotta più estreme38. Tra le formazioni di destra presenti il 16 marzo nell'ateneo romano si è citata anche Lotta di Popolo. Gli appartenenti a questo gruppo, autodefinitisi nazi-maoisti, fanno propri slogan quali "Hitler e Mao uniti nella lotta"39 o "Viva la dittatura fascista del proletariato"40, secondo un'ideologia eclettica che unisce elementi fascisti a quelli marxisti. In realtà, Lotta di Popolo è un gruppo fondato ad hoc secondo le strategie dei teorici della guerra controrivoluzionaria, che prevedono la creazione di "gruppi fascisti camuffati sotto etichette protomarxiste"41 o filocinesi, con l'unico reale scopo di svolgere azioni di provocazione all'interno dei movimenti studenteschi di contestazione e nell'area della
36 37 38
Ibidem Ibidem F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op. cit., p.132-133
39
G.De Palo-A.Giannuli (a cura di), La strage di stato: vent'anni dopo, Roma, Edizioni Associate, 1989, p.193 40 41
Ibidem F.Calvi, F.Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, op.cit., p.96
156
sinistra extraparlamentare42. Vengono, ad esempio, diffusi comunicati stampa contenenti messaggi radicalmente antisistema che, ripresi dai giornali, vengono spacciati come rappresentativi
delle posizioni
politiche del movimento studentesco. L'infiltrazione e la provocazione sono tecniche ben precise. elaborate dai teorici della guerra controrivoluzionaria, in funzione anticomunista. La strategia della tensione comincia a dispiegarsi, e i gruppi dell’estrema destra sono tra gli attori principali. Il fine ultimo è quello «destabilizzare per stabilizzare», ovvero "alzare il tono dello scontro e seminare il terrore tra la popolazione con lo scopo di provocare lo stato d'emergenza"43. Negli anni precedenti i militanti della destra radicale si erano resi protagonisti di numerosi atti di violenza in ambito universitario. In particolare, l'ateneo romano era stato teatro di continui pestaggi e risse. In un clima intimidatorio, e spesso nell'indifferenza della polizia, si era scatenata,
soprattutto
da
parte
di
appartenenti
a
Avanguardia
Nazionale e Ordine Nuovo, una vera e propria "caccia allo studente di sinistra".44 L'episodio più grave di questo periodo, fu quello del 26 aprile 1966, quando uno studente socialista, "selvaggiamente aggredito dai picchiatori di Delle Chiaie"45, trovò la morte cadendo da un muro. Il fatto,
suscitò
enorme
impressione,
provocando
la
massiccia
mobilitazione degli studenti e dei docenti democratici, con nuovi e violenti scontri contro i giovani neofascisti. Come conseguenza di tale vicenda, i gruppi della destra vennero isolati, e persero quella che era una delle loro tradizionali roccaforti.
42
Nel periodo si formano anche altri gruppetti nazi-maoisti oltre a Lotta di Popolo. Essi sono, sì, uno strumento di infiltrazione nel movimento studentesco di sinistra. Tuttavia tale obiettivo non è perseguito da tutti i gruppi, in quanto molti risentono anche “delle mode culturali del tempo” (R.Minna, Il terrorismo di destra, op. cit., p.46) senza aderire a specifiche linee strategiche 43
A.Cipriani-G.Cipriani, Sovranità limitata..., op.cit., p.108
44
Ibidem, p.49
45
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op. cit., p.131-132
157
Nel '66, Avanguardia Nazionale viene sciolta, probabilmente per motivi tattici. Lo scopo ipotizzato è quello di proteggere “i quadri di AN più esposti”46, che torneranno sulla scena dopo poco, per continuare a “combattere la guerra controrivoluzionaria”47 in altre forme, cioè attraverso l’infiltrazione e la provocazione dei gruppi dell’estrema sinistra e, in generale, dei movimenti contestativi, con la finalità ben precisa di radicalizzare il clima di protesta, e di causare e fomentare incidenti e scontri addossandone la responsabilità a tali movimenti48. L’utilizzo delle tecniche d’infiltrazione e provocazione da parte dei militanti della destra radicale, in particolare da parte di aderenti ad Avanguardia Nazionale e di Ordine Nuovo, si intensifica nel 1968, in particolare, in seguito ad una «vacanza» in Grecia nell’aprile del 1968, organizzata formalmente dall’ESESI49. A questa, partecipa (oltre a una sessantina di studenti greci in Italia) anche un gruppo di studenti italiani. Tra di essi ci sono, in realtà, i più importanti leader dei gruppi dell’estrema destra italiana (Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale, Europa Civiltà ecc.), a cominciare da Pino Rauti, Stefano Delle Chiaie, Mario Merlino, Stefano Serpieri e Loris Facchinetti (leader di Europa Civiltà). Gli estremisti, dopo essere stati accolti formalmente dalle autorità greche, vengono sottoposti “a corsi accelerati in quelle tecniche di infiltrazione a scopo eversivo che erano state impiegate con successo in Grecia l’anno precedente”50. Al ritorno, tali tecniche
46
A.Cipriani-G.Cipriani, Sovranità limitata..., op.cit., p.108
47
A.Cipriani-G.Cipriani, Sovranità limitata..., op.cit., p.114
48
Ciò avviene, ad esempio, anche nella battaglia di Valle Giulia, nella quale troviamo Delle Chiaie e i picchiatori di Avanguardia Nazionale (ufficialmente sciolta nel ’66) impegnati a “bastonare in parti uguali poliziotti e studenti […] con lo scopo di provocare più incidenti possibile” , De Palo-A.Giannuli (a cura di), La strage di stato: vent'anni dopo, op. cit., p.154 49
Associazione degli studenti greci in Italia (Ethnykos Syndesmos Ellinon Spudaston Italias). Fondata nell’aprile ’67, poco dopo il colpo di stato dei colonnelli, l’ESESI era sotto il diretto controllo del KYP (servizi segreti greci), che lo utilizzava come copertura per schedare e sorvegliare gli antifascisti greci rifugiati in Italia ( Cfr. F.Calvi, F.Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, op.cit., p.316) 50
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p.133. Il golpe dei colonnelli greci ebbe luogo il 21 aprile del 1967, allo scopo di prevenire la probabile vittoria nelle
158
vengono
applicate
in
modo
sistematico.
Numerose
sono
le
«conversioni» di ex-militanti (anche di primo piano) di Avanguardia Nazionale e di altri gruppi di destra all’estremismo di sinistra.51 L’obiettivo è infiltrare i gruppi di sinistra per radicalizzarne l’azione52, in modo da creare un clima di tensione la cui responsabilità sarebbe caduta sui movimenti di sinistra. Particolare rilevanza assumono le iniziative di Mario Merlino, che, poco dopo il ritorno a Roma, fonda “il Circolo
XXII
Marzo,
proclamandosi
vicino
all’estrema
sinistra
studentesca francese che, il 22 marzo 1968, si è impadronita dell’università di Nanterre”53.
imminenti elezioni “non già dei comunisti, ma del partito di centro di George Papandreu, già protagonista, insieme agli inglesi della repressione contro i comunisti del 1944, ma in seguito spostatosi su posizioni relativamente progressiste” (M.Della Campa, G.Galli, La Massoneria Italiana…, op. cit., p.206). Il suo leader (il colonnello Giorgio Papadopoulos) era membro del servizio segreto greco (KYP), che lavorava in stretto contatto con la CIA e l’intelligence della NATO. Il colpo di stato era stato preceduto da un periodo di intenso disordine sociale e di violenza, scandito da episodi di sabotaggio, attentati, incendi (es. la «notte dei fuochi» di Atene, 20 agosto 1965, in cui si contarono nella città decine di incendi). La responsabilità di tutte queste azioni, realizzate soprattutto da provocatori del KYP, era stata attribuita alla sinistra. La «notte dei fuochi» di Atene era stata organizzata dai militanti di un movimento della destra radicale denominato «4 Agosto» (il 4 agosto 1936 il gen. Metaxas conquistò il potere in Grecia). Il leader del 4 agosto, Kostas Plevris, un giornalista, ideologo ed egli stesso agente del KYP, era una delle menti dell’intera strategia di provocazione – infiltrazione – destabilizzazione. I circoli di destra in Italia vedevano con estremo favore gli avvenimenti greci, i greci, dal canto loro, erano molto interessati a «esportarli» in Italia (F.Ferraresi, Minacce alla democrazia, op. cit., p.168) 51
G.Galli mostra anche i fondamenti culturali che resero possibile un’applicazione su larga scala della tattica sull’infiltrazione. Il politologo fa notare che “il fenomeno dell’infiltrazione di destra nell’estrema sinistra è stato possibile anche perché molti giovani di destra divennero poi autentici militanti di sinistra arrivando a Marx attraverso la crisi dell’evolismo. […] L’intreccio di crisi culturale e provocazione poliziesca è più complesso rispetto a quanto è stato sinora descritto” (Cfr. G.Galli, La destra in Italia, op.cit., pp.42-43) 52
Ad esempio Merlino è presente (Con Delle Chiaie) il giorno della visita di Nixon a Roma, durante la quale scatena le cariche della polizia lanciando una bottiglia molotov contro un negozio (De Palo-A.Giannuli (a cura di), La strage di stato: vent'anni dopo, op. cit., p.158). Analogo ruolo di provocazione lo svolgerà in altre manifestazioni di piazza a Roma e in quella degli operai di Battipaglia (A.CiprianiG.Cipriani, Sovranità limitata..., op.cit., p.116) 53
F.Calvi, F.Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, op.cit., p.95
159
Gli
appartenenti
al
circolo
infiltrano
le
manifestazioni
studentesche, gettando molotov, incendiando auto e provocando violenze e scontri, dei quali la stampa conservatrice dà notizia riferendo della “cieca violenza con cui gli estremisti manovrati dal PCI davano fuoco alle auto di pacifici cittadini”54. Gli studenti individuano ben presto la provocazione, e il gruppo viene sciolto. Merlino, dopo aver tentato di infiltrarsi in altri gruppi dell’estrema sinistra, è ormai troppo noto negli ambienti marxisti-leninisti. Decide allora di entrare in contatto con i movimenti anarchici, “meno settari […] e spesso poco attenti al passato dei loro militanti”55, fingendo, al contempo, di avere abbandonato le vecchie amicizie nell’estrema destra. Entra prima nel circolo Bakunin di Roma, dove il suo ingresso provoca una crisi e una scissione tra gli aderenti. Con una parte dei militanti, dà così vita ad un nuovo gruppo, il Circolo
22 Marzo. Tra i veri anarchici che Merlino coinvolge
nell’iniziativa, ci sono “Pietro Valpreda, Roberto Gargamelli, Emilio Borghese e Roberto Mander”56, che saranno coinvolti e incriminati successivamente per le bombe di Milano57. Merlino, tuttavia, non è l’unico infiltrato nel gruppo. Di esso fa parte anche Salvatore Ippolito, “una guardia scelta di Polizia in collegamento con il commissario Umberto Improta”58, che svolgerà una funzione di informatore. Sempre nel 1968 (in settembre59) si verifica anche la riattivazione di Avanguardia Nazionale, cui Delle Chiaie assegna una diversa sigla (Avanguardia Rivoluzionaria) “per meglio infiltrare i suoi uomini nel movimento studentesco”60. La rifondazione del gruppo con la sigla 54
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p.132
55
F.Calvi, F.Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, op.cit., p.97
56
Ibidem
57
Come si riferirà nei prossimi paragrafi, Pietro Valpreda sarà accusato ingiustamente di essere l’esecutore materiale della strage di Piazza Fontana (Merlino fu uno dei principali testimoni d’accusa, cfr. F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p.132), subendo per questo una lunga detenzione 58
A.Cipriani-G.Cipriani, Sovranità limitata..., op.cit., p.118
59
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.417
60
A.Cipriani-G.Cipriani, Sovranità limitata..., op.cit., p.115
160
originaria avrà luogo, infatti, solo nel 1970. L’applicazione
delle
tecniche
di
infiltrazione
e
di
strumentalizzazione dei gruppi di sinistra, fa riferimento ad una fase della strategia della tensione in cui sono in atto molteplici iniziative, attuate, in un contesto complesso, da diversi attori (militanti di destra, forze di sicurezza, servizi segreti italiani e stranieri ecc.), e nel quale si può
affermare
che
gli
estremisti
di
destra
non
costituiscano
esclusivamente degli esecutori di volontà esterne. Gli esponenti del radicalismo nero, infatti, cercano di inserirsi nella composita situazione per inseguire i propri progetti antidemocratici. I rapporti tra le diverse parti attive sono comunque intricati. Tuttavia, pur esistendo diversi collegamenti, dato che “il numero degli attori coinvolti fu troppo grande, la loro autonomia e le differenze troppo marcate, il succedersi degli avvenimenti troppo disordinato”61, sarebbe errato pensare ad un unico disegno globale o ad una singola regia occulta per gli eventi italiani62. E’ attivo, invece, un’insieme composito di progetti e di azioni, “uno stillicidio di iniziative”63 che vede all’opera molti soggetti, spesso autonomamente, a volte in competizione, ma, in generale, in congruenza
con “il clima politico e ideologico prevalente in certi
64
ambienti” . Di questo insieme, tuttavia, fanno parte anche progetti strategici veri e propri, dei quali ora si riferirà. Innanzitutto, un ruolo centrale nell’ispirazione e nell’attuazione dei disegni di provocazione, infiltrazione e destabilizzazione è svolto dall’Aginter Presse, di cui si è già accennato nel secondo capitolo durante l’analisi dei legami internazionali di Ordine Nuovo. L’Aginter, ufficialmente un’agenzia di stampa con sede a Lisbona, viene fondata
61
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p.170
62
Nella stessa prospettiva, R.Chiarini: “[…] Ecco perché io parlo di «logica», non di «strategia della tensione»: in un vasto arco di tempo, che vede cambiare tante alleanze di governo non è pensabile un’unica strategia” (in D.Messina, "La stagione delle stragi? Era figlia del centrosinistra", Corriere della Sera, 26.5.1994 63
M.Della Campa, G.Galli, La Massoneria Italiana…, op. cit., p.207
64
Ibidem, p.171
161
nel 196265 “da un gruppo di francesi che vivono in Portogallo”66. Essa rimane attiva fino alla caduta della dittatura portoghese nell’aprile 1974 ad opera dei militari. Il 23 maggio ’74, il tenente Matos Moniz guida un commando di fucilieri di marina nell’irruzione nei locali dell’agenzia che, il giorno precedente, le dichiarazioni di un funzionario della PIDE (l’ex polizia politica del regime salazarista portoghese) hanno rivelato essere solo una copertura per “una centrale d’informazioni che lavorava per la PIDE”67. Nell’appartamento che ne ospita la sede, i militari trovano, camuffata da laboratorio fotografico, “un’officina di fabbricazione e stampa di falsi documenti francesi, spagnoli e portoghesi: passaporti, carte d’identità, patenti di guida, tessere da giornalista e da poliziotto […] timbri per autenticare i documenti falsificati”68; i libri contabili e gli archivi dell’agenzia. Fatta oggetto di una dettagliata inchiesta, l’Aginter Press si rivela essere “una sorta di internazionale nera che garantiva aiuti, piani, coperture e appoggi logistici"69. L’indagine dei militari portoghesi (coordinata dal comandante di marina Costa Correia70), svela che l’agenzia di stampa ha celato, negli anni in cui è stata attiva: una centrale di spionaggio “in strettissimi apporti con la PIDE”71, legata alla CIA e “alla destra del Partito repubblicano statunitense diretta dal senatore Goldwater”72, nonché ad altri servizi occidentali (ad esempio la rete Gehlen della Germania Federale, la KYP greca, la DGS spagnola73);
un
centro
di
reclutamento
e
di
addestramento
professionale di mercenari, terroristi e sabotatori, che organizzava veri
65
Ibidem, p.122
66
F.Calvi, F.Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, op.cit., p.63.
67
Ibidem, p.60
68
Ibidem, p.61
69
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.63
70
Incerti.-Ottolenghi-Raffaelli, "Siamo entrati nel carcere di Lisbona. E abbiamo fotografato i documenti proibiti", L’Europeo, novembre 1974 71
A.Cipriani-G.Cipriani, Sovranità limitata..., op.cit., p.109
72
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.63
73
F.Calvi, F.Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, op.cit., p.63.
162
e propri corsi teorici e pratici di guerriglia, infiltrazione, spionaggio ecc.; una
centrale
di
propaganda
e
di
elaborazione
dottrinale,
di
provocazione e di destabilizzazione internazionale. A capo dell’agenzia, Yves Guerin Serac (nome di copertura di Francois Yves Herlou74), un francese, ex-appartenente dell’OAS, nonché alle Waffen-SS, già combattente in Corea (dove gli viene assegnata la Bronze Star americana), Indocina e Algeria, che nel 1962, insieme ad altri reduci
ex-OAS (tra i quali Robert Leroy e Antoine
Kilby75), fonda l’Aginter, in collaborazione e su incarico della PIDE portoghese, con lo scopo di reclutare “mercenari per la guerra contro i movimenti di liberazione nelle colonie portoghesi”76, e di infiltrare agenti nei paesi africani che hanno rotto le relazioni col Portogallo. Tra il ’62 e il ’65 l’Aginter è attiva nella creazione di una vasta rete di agenti e collaboratori. Essa è dotata anche di un braccio militare, l’OACI77, una vera e propria organizzazione di reclutamento e addestramento di terroristi. L’Aginter Press funge anche da copertura al gruppo di estrema destra Ordre et Tradition (Ordine e Tradizione), fondato Guerin-Serac, che ha rapporti di collaborazione con movimenti affini di tutta Europa. Le attività dell’agenzia si rivolgono in modo deciso all’Europa a partire dal ’68, anno in cui vengono ripresi e potenziati i rapporti con gli uomini e i movimenti dei gruppi dell’estrema destra di diversi paesi europei. In particolare, le indagini e le ricostruzioni effettuate dall’ufficiale dei ROS Massimo Giraudo nell’ambito delle più recenti istruttorie per la strage di Piazza Fontana, hanno chiarito come l’Aginter funzionasse da “contenitore e coordinatore dei movimenti neofascisti nazionali […] garantendo rifugi per latitanti, rifornimento di armi e consulenza di
74 75 76 77
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.155 Ibidem Ibidem Organisation Armèe contre le communisme international
163
istruttori militari”78. Negli archivi dell’agenzia, i militari portoghesi, trovano anche schede e documenti relativi ai corrispondenti italiani dell’Aginter Press, tra i quali si possono ricordare Guido Giannettini79, Pino Rauti, Stefano Delle Chiaie, Giano Accame, Giorgio Torchia80 ed altri ancora (si tratta per la maggior parte di giornalisti di estrema destra). Il materiale ritrovato, prova in modo inconfutabile i legami tra l’Aginter Presse e l’estrema destra italiana, legami tra i quali si devono annoverare le frequentazioni tra Delle Chiaie, Merlino, Guerin Serac e un altro reduce dell’OAS, Jean-Marie Laurent, che istruirà Merlino nell’uso degli esplosivi81 (sembra accertata l’attività di altri «istruttori» dell’Aginter presso l’estrema destra italiana già a partire da metà degli anni ’6082).
78
Commissione Stragi, Luci sulle stragi..., op. cit., p.95. Sul ruolo dell’organizzazione di Guerin Serac, è interessante riportare ciò che afferma Vincenzo Vinciguerra. Secondo Vinciguerra, l’Aginter Presse era il punto di collegamento tra Stay-behind e l’internazionale nera, ed il suo compito era quello di reclutarne la manovalanza per i «lavori sporchi» dando vita ad un vero e proprio «servizio segreto parallelo» alle dipendenze della CIA. In Italia, il gruppo aveva dato vita ad una sorta di “Gladio parallela” che, sempre secondo Vinciguerra, è responsabile delle stragi di Milano, Brescia e dell’Italicus. L’anello di congiunzione tra Guerin Serac e la CIA sarebbe stato John Jay Salby – alias Caston – che avrebbe partecipato a molte operazioni coperte della CIA, in particolare alla campagna di attentati contro le rappresentanze diplomatiche algerine (Cfr. P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.155)
79
G.De Lutiis fa notare come il libro di Giannettini, Tecniche della guerra rivoluzionaria (sul quale si basò anche la relazione di Giannettini al convegno dell’Istituto Pollio), ripeta, con un linguaggio più aderente alla situazione italiana, le lezioni riportate nei testi teorici dell’OACI utilizzati nei corsi di addestramento dei terroristi e dei provocatori (Cfr. G.De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, op. cit., p.170-171) 80
G.De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, op. cit., p.168
81
G.De Palo-A.Giannuli (a cura di), La strage di stato: vent'anni dopo, Roma, Edizioni Associate, 1989, p.186 82
“L’apporto di elementi dell’OAS in qualità di tecnici e di istruttori doveva effettivamente essere diffuso e di antica data, in quanto, sul versante di Avanguardia Nazionale, Paolo Pecoriello [un esponente di estrema destra] ha parlato di un corso sull’uso degli esplosivi, e in particolare del plastico, tenutosi a Roma nel 1966 in una sede di A.N. in via Michele Amari, corso tenuto da un certo Jean, ex ufficiale dell’OAS, e a cui lo stesso Pecoriello aveva partecipato insieme ad altri militanti” (da un’intervista al giudice Guido Salvini riportata in F.Calvi, F.Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, op.cit., pp.91-92)
164
Particolarmente importante è il documento La nostra azione politica, facente parte di “una serie di rapporti inviati all’agenzia dai suoi corrispondenti italiani […] nel novembre ’68”83, ritrovato dai portoghesi nella sezione italiana dell’archivio dell’agenzia. Esso è rappresentativo delle strategie della destra radicale dell’epoca, ed è molto significativo nel mostrare la teorizzazione dell’uso dell’infiltrazione e della creazione di uno stato di disordine e tensione allo scopo di sovvertire l’ordine democratico e instaurare un regime autoritario. Proprio per la sua rilevanza, di seguito lo si riporta integralmente.
LA NOSTRA AZIONE POLITICA Noi pensiamo che la prima parte della nostra azione politica debba essere quella di favorire lo stabilirsi del caos in tutte le strutture del regime. E’ necessario cominciare col minare l’economia dello Stato per giungere a creare una confusione in tutto l’apparato legale. Questo produce una situazione di forte tensione politica, di paura nel mondo industriale, di antipatia verso il governo e tutti i partiti. In questa prospettiva, deve essere pronto un organismo efficiente, capace di radunare e ricondurre a sé tutti gli scontenti di ogni classe sociale: al fine di riunire questa vasta massa per fare la nostra rivoluzione. A nostro avviso, la prima azione che dobbiamo scatenare è la distruzione delle strutture dello Stato sotto la copertura dell’azione dei comunisti e dei filocinesi. Noi, d’altronde, abbiamo già elementi infiltrati in tutti questi gruppi, seguendo l’atmosfera dell’ambiente occorrerà evidentemente che adattiamo la nostra azione (propaganda e azioni di forza che sembreranno opera dei nostri avversari comunisti e pressioni sugli individui a tutti i livelli). Ciò creerà un sentimento di antipatia verso coloro che minacciano la pace di ciascuno e della nazione e, d’altra parte, fiaccherà l’economia nazionale. A partire da questo stato di fatto, noi dovremo rientrare in azione, nel quadro dell’esercito e della magistratura, al fine di agire sull’opinione pubblica, di indicare una soluzione, di dimostrare la carenza e l’incapacità dell’apparato legale costituito e di farci apparire come i soli capaci a fornire una soluzione sociale,
83
F.Calvi, F.Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, op.cit., p.83
165
politica ed economica adatta al momento. Nello stesso tempo dovremo elevare un difensore dei cittadini contro la devastazione provocata dalla sovversione e dal terrorismo. Dunque una fase di infiltrazione, informazione e pressione dei nostri elementi sui nuclei vitali dello Stato. Il nostro elemento politico dovrà essere estremamente abile, capace di intervenire e valorizzare la propria forza, dovrà formare dei quadri e dirigenti e nello stesso tempo effettuare un’azione di propaganda massiccia e intelligente. Questa propaganda dovrà essere una pressione psicologica sui nostri amici e i nostri nemici, e dovrà creare una corrente di simpatia per il nostro organismo politico, dovrà polarizzare l’attenzione popolare alla quale saremo presentati come il solo strumento di salvezza per la nazione. Questa propaganda dovrà inoltre attirare l’attenzione sul problema europeo e attirarci sostegni internazionali politici ed economici. Dovrà anche evincere l’esercito, la magistratura, la Chiesa e il mondo industriale ad agire contro la sovversione, benché la loro azione non sia determinante, avrà un peso sulla situazione. Per condurre una tale azione al suo fine, è evidente che occorre disporre di grandi mezzi finanziari, si dovrà agire in questo senso (questo affinché il maggior numero possibile di uomini possano consacrarsi alla lotta in Italia, e per corrompere o finanziare i gruppi politici che possono esserci utili) 84.
84
AA.VV., La strage di Bologna…, op.cit., pp. 35-36 e F.Calvi, F.Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, op.cit., pp.82-83
166
Come si può dedurre dalla lettura, questo testo espone in modo lucido e preciso diverse linee strategiche, ed è palese la loro riconducibilità ai disegni eversivi messi effettivamente in atto durante la strategia della tensione. Nel documento, inoltre, si fa riferimento all’infiltrazione in gruppi filocinesi e di sinistra. Ed è da sottolineare che, nel periodo, erano attive nel continente anche altre iniziative di questo tipo. In primo luogo, nel
1967,
la
CIA
destabilizzazione
dei
varava paesi
l’operazione europei,
CHAOS,
basato
“un
piano
di
sull’infiltrazione
e
l’eterodirezione dei gruppi dell’estrema sinistra”85. Sembra molto probabile86 che CHAOS e le attività di Aginter fossero legate, anche in considerazione delle relazioni tra la CIA e l’agenzia di Lisbona. Anche se non esistono prove dell’attuazione di CHAOS in Italia, “sappiamo che una strategia simile era ampiamente seguita”87, come si è visto in precedenza per ciò che riguarda in particolare le attività di Merlino e Delle Chiaie. E’ importante anche evidenziare le infiltrazioni a danno dei gruppi maoisti e filocinesi. Iniziative di questo tipo vengono attuate già nei primi anni ’60, come si è già accertato, ad esempio, con l’operazione «manifesti cinesi»88, condotta da neofascisti di AN sotto l’impulso dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale (in particolare di Federico Umberto D’Amato89). In conclusione, quindi, si è visto come le attività della
destra
radicale, nella seconda metà degli anni '60, siano da collocarsi in un contesto molto complesso, che vede all’opera attori diversi, con finalità non sempre coincidenti, e con più iniziative indipendenti non coordinate in un’unica direzione. Negli anni ’60, l’area della destra eversiva agisce all’interno di tale quadro, a volte in collegamento (in alcuni casi molto
85
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.155
86
Cfr. P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.155-156
87
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.58
88
Si veda Capitolo 2, paragrafo 2.3.2
89
Cfr. A.Cipriani-G.Cipriani, Sovranità limitata..., op.cit., pp.115-119
167
stretto, come con l’Aginter Presse) con altri soggetti. Pur frammentata in molteplici gruppi e movimenti che agiscono frequentemente in modo autonomo, è unita nell’avversione alla democrazia, e ha “il chiaro progetto politico di sovvertire l’ordinamento costituzionale italiano”90, con l’obiettivo di una svolta autoritaria nel paese. Un’ultima annotazione per ciò che riguarda il 1968, è la fondazione del Fronte Nazionale Rivoluzionario, avvenuta ad opera di Junio Valerio Borghese, il 13 settembre '68 a Roma. Su Borghese e sulla vicenda del Fronte Nazionale, tuttavia, si tornerà nei prossimi paragrafi. Passiamo ora a ricostruire e ad analizzare le attività dei gruppi dell’estrema destra nel 1969, con particolare attenzione per la tragica vicenda della strage di Piazza Fontana.
90
R.Minna, Il terrorismo di destra, op. cit., p.47
168
5.3 Il 1969. Piazza Fontana
5.3.1 Il 1969 Il 1969 è un anno cruciale nella stagione della strategia della tensione, in quanto segna l’inizio dello stragismo. Si apre con le bombe di Padova (“alla casa del rettore Opocher e del questore Bonanno”91) e con il rapimento di Ermanno Lavorini92 in Versilia, a gennaio, e si chiude con la strage di Piazza Fontana, il 12 dicembre 1969. E’ un anno «caldissimo», segnato da ben “145 attentati dinamitardi [per 96 dei quali]
la responsabilità può essere facilmente attribuita all’estrema
destra”93, sia per la natura degli obiettivi colpiti (sinagoghe, partiti di sinistra e sindacati), sia per gli effettivi accertamenti eseguiti in sede giudiziaria. Tra i diversi episodi (per la cui elencazione completa non si può che rimandare in bibliografia), di particolare rilievo sono: l’esplosione di una bomba nell’ufficio del Rettore dell’Università di Padova (15 aprile); lo scoppio di alcuni ordigni alla Fiera di Milano e alla 91
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.417
92
Il cadavere di Ermanno Lavorini (il primo bambino sequestrato in Italia), fu ritrovato una quarantina di giorni più tardi, sotto la sabbia di Vecchiano a mare. La vicenda fu strumentalizzata dalla destra missina ed extraparlamentare; ad esempio Il Secolo d’Italia invocò “Strappiamo la maschera agli infami corruttori della gioventù. I responsabili della morte di Ermanno appartengono alla banda social-comunista che controlla la città”. L’uccisione di Ermanno Lavorini fu uno dei casi di cronaca nera più seguiti dall’opinione pubblica; gli inquirenti seguirono a lungo la pista omosessuale ma, dopo qualche tempo, le indagini (condotte dal giudice Pierlugi Mazzocchi)portarono ad appurare che il rapimento era stato concepito da un gruppo di affiliati alla gioventù monarchica (Fronte Monarchico Giovanile), in contatto con il MSI, allo scopo di finanziare un gruppo eversivo. Proprio in quei mesi, la Versilia era teatro di una serie di attentati ad opera del MAR di Fumagalli (della cui vicenda si dirà più avanti), mentre altri gruppi di destra davano vita ai “Comitati di salute pubblica” in contato con Italia Unita. Il 19 marzo ’69 Junio Valerio Borghese di recava a Viareggio per la prima manifestazione pubblica del Fronte Nazionale (portando con sé manifesti in cui era raffigurato un bambino che piangeva e gridava “Mamma e papà, cosa aspettate a difendermi?”) (Cfr. P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.369 e M.Nozza, Stampa e fenomeno dell’eversione, in P.Corsini e L.Novati (a cura di), L’eversione nera. Cronache di un decennio (1974-1984), op. cit., pp.230-245) 93
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p.173
169
Stazione Centrale (25 aprile), che causano il ferimento di una ventina di persone (per i quali vengono arrestati alcuni anarchici, che rimangono a lungo in carcere, e dei quali verrà poi accertata l’innocenza94); nell’estate (8-9 agosto) l’esplosione di otto bombe (altre due vengono rinvenute inesplose) a basso potenziale su otto treni in movimento in diverse località d’Italia, che provocano una decina di feriti. Per ventidue attentati terroristici avvenuti dall’aprile al 12 dicembre, viene individuata “una direttrice criminosa unitaria”95, sulla quale, tuttavia, si ritornerà più avanti. Il 1969, tuttavia, è un anno critico anche per altri motivi. E’ infatti caratterizzato
da una “conflittualità sociale senza precedenti”96. Gli
scioperi, le assemblee, le manifestazioni di protesta, si susseguono e si intensificano, spesso con scontri tra dimostranti e forze dell’ordine97. Il culmine di tale processo si ha con l’«autunno caldo» (durante il quale “quasi un milione e mezzo di operai furono chiamati allo sciopero”98), e con il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici nel dicembre, “una significativa vittoria per i sindacati e per il nuovo attivismo”99. Il 1969 è un momento di svolta anche per il Movimento Sociale Italiano. Il 5 giugno100, infatti, muore Arturo Michelini, da un quindicennio alla guida del partito. Alla segreteria viene eletto (29
94
V. Nardella, Noi accusiamo! Contro requisitoria per la strage di stato, Milano, Jaca Book, 1971, pp. 45-50 95
AA.VV., La strage di Bologna, op.cit., p. 46
96
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p.173
97
Tra i tanti episodi, si ricordano gli scontri di Avola del 2 dicembre ‘68, durante i quali due braccianti vengono uccisi dalla polizia; di Battipaglia del 24 aprile ‘69, dove, nel corso di una manifestazione degli operai, la polizia apre il fuoco uccidendo 2 lavoratori e arrestandone altri 119 (tra i provocatori impegnati ad accrescere la tensione c’è Mario Merlino, cfr. A.Cipriani-G.Cipriani, Sovranità limitata..., op.cit., p.116). Infine il 19 novembre a Milano, durante uno sciopero generale per la casa, due jeep della polizia si scontrano, provocando l’uccisione dell’agente Antonio Annarumma. La responsabilità del decesso è attribuita ai dimostranti, dei quali, 63 rimangono feriti e 19 vengono arrestati.
98 99
P.Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi…, op. cit., p.430 Ibidem
100
P.Ignazi, Il Polo escluso..., op.cit., p.135
170
giugno) Giorgio Almirante, avversario storico di Michelini, che dà ben presto il via ad una nuova fase nella vita del partito, sprofondato negli anni ’60, sotto l’immobilista direzione micheliniana, in una sterile opposizione al centrosinistra, “in attesa di una sempre più improbabile svolta
a
destra”101.
organizzativa
“in
Almirante,
base
al
procede
criterio
della
ad
una
ristrutturazione
centralizzazione
e
del
controllo”102, con l’istituzione di una “struttura centrale con funzionari a tempo pieno”103, con l’attivazione di strumenti di supervisione e di stimolo sulle federazioni locali, e la fusione delle organizzazioni giovanili in un unico organismo (il Fronte della Gioventù). Viene inoltre ampliata l’autonomia decisionale del segretario, che col tempo, “assumerà un ruolo cesaristico”104. Più della ristrutturazione organizzativa, ciò che interessa qui, è il mutamento nella strategia varato dalla nuova leadership missina. Almirante cerca di attuare una revisione e uno svecchiamento dell’apparato ideologico e del linguaggio del partito (tentativo che si ridurrà, in sostanza, ad una limitazione “dei contorni più nostalgici e ad una serie di esplicite dichiarazioni di fede nel metodo democratico”105, senza alcuna rivisitazione critica del passato, né una riflessione teorica approfondita
sulle
questioni
centrali
del
rapporto
tra
fascismo,
democrazia e rappresentanza). Il nuovo segretario, inoltre, dà una nuova linea politica al movimento missino. Accantonati i progetti micheliniani di inserimento nell’area di governo a fianco della DC, Almirante elabora una duplice strategia, con lo scopo di far uscire il partito dal ghetto, e di “insidiare direttamente la centralità”106 del potere democristiano, già investito dagli
101
R. Chiarini, Destra italiana. Dall'unità d’Italia a Alleanza Nazionale, op. cit., p.126
102
P.Ignazi, Il Polo escluso..., op.cit., p.140
103
P. Ignazi, L'estrema destra in Europa, Bologna, Il Mulino, 1994, p.177
104
Ibidem
105
P.Ignazi, Il Polo escluso..., op.cit., p.140
106
R. Chiarini, Destra italiana. Dall'unità d’Italia a Alleanza Nazionale, op. cit., p.128
171
effetti negativi della paralisi del sistema politico e dall’esplodere della conflittualità sociale. Da un lato, si cerca di accreditare il MSI come una forza di destra moderna e responsabile, aprendo le file del partito anche a coloro che “non appartenevano alla subcultura fascista”107. Il MSI cerca di presentarsi, cioè, come partito d’ordine, e di estendere la propria egemonia all’intera area della destra e dell’anticomunismo (come testimoniano l’unificazione con le forze monarchiche e i progetti Destra Nazionale e Fronte articolato anticomunista dei primi anni ‘70). Dall’altro lato, si incita ad un rinnovato militantismo anticomunista con richiami e affermazioni inneggianti, più o meno esplicitamente, allo scontro fisico con i militanti di sinistra, allo scopo di contrastare, nelle piazze, i movimenti contestativi. Il fine è anche quello di recuperare le frange più radicali della destra, operazione che riesce solo parzialmente con il rientro di una parte108 (guidata da Pino Rauti) degli aderenti ad Ordine Nuovo che, come si è già visto, si scinde. Almirante, inoltre, non rinuncia alla propria vocazione antisistemica, “enfatizzando il ruolo sociale, antagonistico e rivoluzionario del Movimento Sociale”109. In sintesi, quella almirantiana, è una politica tesa a “saldare la domanda d’ordine con la domanda di cambiamento”110. Una strategia bifronte, che unisce il tentativo di egemonizzare le forze anticomuniste e di legittimare il MSI come partito d’ordine, “all’appello eversivo”111 alla 107
P. Ignazi, L'estrema destra in Europa, op.cit., p.178
108
Come si è già detto nel capitolo 2, il rientro dell’ala rautiana di Ordine Nuovo nel MSI, motivato dalla situazione di emergenza creata dall’autunno caldo, provoco la scissione del movimento. Una parte dei militanti ordinovisti (che, successivamente, diedero vita al MPON, Movimento Politico Ordine Nuovo), guidati da Clemente Graziani, scelsero di non tornare nel partito, poiché “Il MSI non ha per fine politico l’abbattimento del sistema, ma piuttosto il suo mantenimento e rafforzamento attraverso il correttivo dello Stato forte e autoritario; non è pertanto un movimento rivoluzionario, e non può pretendere di inglobare ON […] l’unico movimento politico fautore di una strategia globale nazional-rivoluzionaria, strategia espressa in un organico lavoro di rielaborazione delle idee e della dottrina e della scelta di mezzi di lotta indicati nelle tecniche della guerra rivoluzionaria” (Cfr. F.Ferraresi, La destra eversiva, in D.Della Porta (a cura di), Terrorismi in Italia, op.cit., p.243)
109
P.Ignazi, Il Polo escluso..., op.cit., p.140
110
R. Chiarini, Destra italiana. Dall'unità d’Italia a Alleanza Nazionale, op. cit., p.128
111
M.Revelli, La Destra nazionale, op.cit., p.47
172
piazza e allo scontro fisico, e che porterà il movimento ad un’iniziale successo elettorale (con il trionfale 8.7% alle politiche del ’72). Una linea, tuttavia, destinata a fallire, a causa della superficialità delle operazioni di rinnovamento ideologico del MSI, e, soprattutto, per le contraddizioni e le ambiguità che la caratterizzano. La tolleranza dell’estremismo e della violenza di piazza, la progressiva perdita di controllo sulle frange più radicali del partito, porteranno il MSI, dapprima, a perdere l’immagine di forza d’ordine (con l’episodio dell’uccisione dell’agente di polizia Antonio Marino112 nell’aprile del ’73 da parte di giovani missini durante una manifestazione), e poi, con le stragi del ’74 (Piazza della Loggia e treno Italicus), ad essere additato all’opinione pubblica “come complice o ispiratore di terroristi”113. Le elezioni del 1976, quindi, arriveranno a sancire la sconfitta di questa strategia (-2.6% rispetto al ’72).
112
L’11 aprile del ’73, a Milano, si svolge una manifestazione (non autorizzata) del MSI. Il corteo, guidato dai dirigenti nazionali Servello e Petronio, si scontra con la polizia. Nel corso degli scontri, violentissimi, vengono lanciate alcune bombe a mano contro le forze dell’ordine, provocando la morte dell’agente di polizia Antonio Marino. L’immagine legalitaria e di forza d’ordine del MSI è irrimediabilmente incrinata. I dirigenti missini, nel tentativo di recuperare un’immagine rispettabile per il movimento, denunciano i presunti autori dell’attentato (riconosciuti poi colpevoli), sperando di dimostrare, in tal modo, l’estraneità del partito alle violenze. Tuttavia, ciò contribuirà ancor di più a sottolineare i legami tra estremisti violenti e MSI. I colpevoli (Murrelli e Loi, figlio del grande pugile Duilio Loi), infatti, appartengono al gruppo milanese «La Fenice», che risulterà avere piena legittimità all’interno del MSI (Cfr. P.Ignazi, Il Polo escluso…, op.cit., pp.167-168). Il circolo «La Fenice» ed il suo leader (Giancarlo Rognoni), tra l’altro, risulteranno pesantemente coinvolti anche in disegni eversivi e terroristici di ben altra entità, dei quali si riferirà più avanti.
113
P.Ignazi, Postfascisti?…, op.cit., p.49
173
5.3.2 La strage Per ricostruire e analizzare le attività e i progetti della destra radicale nel periodo ‘69-‘70, è necessario partire da uno degli eventi più tragici della storia italiana, la strage di Piazza Fontana. Alle 16.30 del 12 dicembre 1969, a Milano, presso la sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana, esplode nel salone centrale, gremito114 di clienti, impiegati e funzionari, una bomba. Si contano sedici morti e ottantaquattro feriti. Quasi contemporaneamente, altri tre ordigni esplodono a Roma. Alle 16.55 una bomba scoppia nel passaggio sotterraneo della Banca Nazionale del Lavoro che collega le due entrate dell’istituto; provocando il ferimento di tredici persone. Le altre due esplosioni avvengono, una alle 17.22 davanti all’Altare della Patria, e l’altra, alle 17.30, all’ingresso del museo del Risorgimento, con altre quattro persone ferite. Un ultimo ordigno, contenuto “in una cassetta metallica portavalori ermeticamente chiusa, posta in una borsa nera”115, viene ritrovato inesploso, ancora a Milano, nella filiale della Banca Commerciale Italiana di Piazza della Scala. “La sincronizzazione degli attentati, le tecniche e i materiali usati (esplosivi, timer, contenitori degli ordigni)”116, fanno subito comprendere che tutti gli episodi sono da inquadrarsi in un unico disegno cospiratorio. Le indagini si rivolgono immediatamente verso gli ambienti dell’estremismo politico, in particolare quelli di sinistra. Nei giorni successivi alla strage, nel corso di estesi controlli, vengono arrestati ventisette attivisti, in maggioranza anarchici. Si sospetta, in particolare, che uno dei fermati, Giuseppe Pinelli, un ferroviere milanese, si trovasse nei dintorni dell’istituto bancario la mattina della strage. Ma la
114
Il salone della banca era affollato in particolare da agricoltori e commercianti, giunti dalle province di Milano e Pavia per la loro visita settimanale
115
F.Calvi, F.Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, op.cit., p.4
116
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p.175
174
notte del 15 dicembre, “nel corso di un duro interrogatorio”117 in questura, Pinelli precipita dalla finestra dell’ufficio del commissario Luigi Calabresi, morendo un’ora dopo il trasporto in ospedale. Il giorno successivo, il questore Marcello Guida, annuncia che Pinelli, vedendo il proprio alibi demolito, si è buttato nel cortile, suicidandosi. Lo stesso giorno, gli inquirenti dichiarano il defunto anarchico “pubblicamente colpevole di partecipazione all’attentato alla Banca dell’Agricoltura”118. In realtà, la vicenda assume ben presto contorni torbidi, in quanto la versione ufficiale dei fatti “suscitò i più forti sospetti”119 (soprattutto quando emerge che, il ferroviere era ritenuto incapace di azioni violente “persino in certi ambienti della polizia”120). A questo episodio e, più in generale, saranno dedicate alcune celebri controinchieste promosse negli ambienti della sinistra extraparlamentare. Intanto, la competenza del caso passa a Roma, a causa della connessione tra le bombe milanesi e quelle della capitale. Qui, già dalla sera del 12 dicembre, la polizia stava indagando sul gruppo anarchico «22 Marzo» (del quale si è parlato in precedenza); uno degli appartenenti al circolo, Mario Merlino, “aveva accusato i propri compagni di responsabilità negli attentati”121. Tra i membri del gruppo, tutti arrestati, c’è anche Pietro Valpreda, che viene riconosciuto dal tassista milanese Cornelio Rolandi come l’uomo che egli aveva portato alla Banca dell’Agricoltura nel pomeriggio del 12 dicembre.
117
Ibidem
118
S.Tarrow, Violenza e istituzionalizzazione dopo il ciclo di protesta, in R.Catanzaro, Ideologie, movimenti, terrorismi, Bologna, Il Mulino, 1990, p.52
119
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p.175
120
S.Tarrow, Violenza e istituzionalizzazione dopo il ciclo di protesta, op.cit., p.5
121
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p.176
175
Valpreda, sempre proclamatosi innocente, rimarrà a lungo in carcere
e si vedrà prosciogliere da ogni accusa solo nel 1985122.
Sull’onda emotiva delle indagini (cui la stampa dà una vasta eco), si scatena in tutta Italia una campagna repressiva “antianarchica e […] antisovversiva”123, con numerosi arresti e perquisizioni tra i gruppi anarchici e, più in generale, dell’estrema sinistra. Ciò anche sulla scia delle dichiarazioni della polizia e del ministro degli Interni, Restivo124, che, subito dopo il massacro, annunciano “immediatamente, con una fretta ingiustificata, che i responsabili erano da ricercare tra gli anarchici”125. Riguardo ai giorni successivi alla strage, così commenta Franco Ferraresi: “Gli anarchici erano dipinti come feroci criminali, mostri assetati di sangue, sadicamente intenti a demolire le fondamenta del vivere civile. Dovunque si annidavano i loro complici e protettori: nell’estrema sinistra, fra gli studenti contestatori, fra i lavoratori sempre pronti a scioperare. Ogni forma di dissenso era criminalizzata come anticipazione del terrorismo. Le alte cariche dello Stato, la classe di governo, le Forze dell’ordine erano unanimi nel sostenere questa immagine che la stampa moderata riproponeva senza incrinature”
126
122
Recentemente sembra essere stata confermata quella che era soltanto una vecchia ipotesi, cioè che la destra eversiva (direttamente coinvolta negli attentati) avesse utilizzato un sosia di Valpreda (effettivamente trasportato da Rolandi) per incastrare l’anarchico (Cfr. P.Biondani, “Sul taxi della strage il sosia di Valpreda”, Corriere della Sera, 19.6.2000) 123
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op. cit., p.176
124
Così V.Vinciguerra: “Il ministro degli Interni, Restivo, sulla base dei rapporti del capo della polizia Vicari e dei suoi fedeli e solerti funzionari, il 9 e 10 dicembre 1969 rivelerà in parlamento, con toni angosciati e profetici, il pericolo ‘ anarchico’ […] due giorni dopo, il 12 dicembre, gli ‘anarchici’ faranno saltare la Banca dell’Agricoltura con i suoi clienti, a piazza Fontana, a Milano. Mai profezia ministeriale si era avverata in così poco tempo!” (cit. in M.Dianese-G.Bettin, La strage..., op.cit., p.120
125
P.Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi.., op. cit., p.451
126
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.177
176
Tuttavia, la versione della polizia presenta numerosi punti oscuri, che, col tempo e nel corso di anni di indagini e di istruttorie, saranno denunciati e riconosciuti. In primo luogo il fatto che il circolo «22 Marzo» sia, come già si è detto, pluriinfiltrato. Ne fa parte, infatti, oltre a Merlino, anche l’agente di polizia Salvatore Ippolito che, in precedenza, informando in anticipo i suoi superiori sulle iniziative del gruppo, ne aveva fatto fallire miseramente tutte le azioni. In secondo luogo, l’alta professionalità che “la simultanea collocazione di cinque bombe ad alto potenziale in due città distanti centinaia di chilometri”127 necessita, rende poco plausibile l’attribuzione di tali operazioni ad un gruppuscolo quale quello cui appartengono gli arrestati. Emergeranno, col tempo altri lati oscuri, nonché fatti gravissimi quali depistaggi e occultamenti di prove, in particolare quando le indagini si rivolgeranno verso gli ambienti
di
estrema
destra
ragionevolmente attribuire
ai
quali,
ormai,
sembra
potersi
l’attentato del 12 dicembre. Affioreranno,
soprattutto, pesanti sospetti sul coinvolgimento di ambienti istituzionali e militari (in particolare dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno), che faranno gridare i militanti di sinistra (e non solo loro) alla «strage di Stato». Tuttavia, non è scopo di questo lavoro rievocare in modo dettagliato e completo tutta le vicende legate alle indagini e ai processi per la strage di Piazza Fontana (si veda a riguardo la bibliografia128). Ciò che ora si farà, è ricostruire il quadro delle responsabilità che sono
127
Commissione Stragi, Il terrorismo, le stragi e il contesto storico politico, op.cit.
128
La bibliografia sulla strage di Piazza Fontana annovera numerosi titoli. Essa inoltre analizzata in modo anche dettagliato all’interno di testi che trattano più in generale della stagione del terrorismo. Per le ricostruzioni più recenti, si vedano: F.Calvi, F.Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, op.cit., De Palo-A.Giannuli (a cura di), La strage di stato: vent'anni dopo, op. cit., F.Calvi, F.Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, op. cit., M.Dianese-G.Bettin, La strage. Piazza Fontana. Verità e memoria, op. cit., G.Boatti, Piazza Fontana. 12 dicembre 1969: il giorno dell’innocenza perduta, Torino, Einaudi, 1999. Si vedano inoltre, per P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., pp.147-154, e F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., pp.164-215, N.Magrone – G.Pavese, Ti ricordi di Piazza Fontana? Vent’anni di storia contemporanea dalle pagine di un processo, Bari, Edizioni Dall’Interno, 1988
177
emerse col tempo, in special modo nei più recenti processi (che hanno ripreso filoni di indagine risalenti agli anni ’70, ampliandoli e completandoli con nuovi elementi), cercando, attraverso l’analisi di questa singola vicenda, di chiarire e di evidenziare il ruolo degli esponenti della destra radicale in un quadro più generale. Tutto ciò, è da ribadire, tenendo in considerazione il fatto che la conclusione del procedimento giudiziario attualmente in corso per i fatti in esame, fornirà, indubbiamente, documentazione, elementi di verifica e riscontri assai rilevanti che, per ora, sono disponibili soltanto parzialmente.
5.3.3 L’estrema destra e gli attentati Le indagini riguardanti il coinvolgimento di un gruppo di estremisti di destra nell’organizzazione e nell’esecuzione della strage di Milano (la cosiddetta «pista nera»), nascono poco tempo dopo l’attentato, mentre è in atto la campagna antianarchica e antisovversiva, e mentre gli inquirenti milanesi e romani si gettano a capofitto129 sulla «pista rossa». Il 15 dicembre ’69, Guido Lorenzon, un professore di lingue amico di Giovanni Ventura (libraio-editore di estrema destra a sua volta legato a Franco Freda), si incontra con l’avvocato Alberto Steccanella, di Vittorio Veneto. Si è rivolto al legale in quanto Ventura, da lui conosciuto da anni, gli ha lasciato intendere di essere coinvolto negli attentati avvenuti durante l’anno e, soprattutto, in quelli del 12 dicembre. L’avvocato raccoglie la testimonianza di Lorenzon, il quale, il 18 dicembre, gli fa avere un promemoria sui fatti a sua conoscenza. Il 26 dicembre, Steccanella si incontra con il Procuratore della Repubblica di Treviso, riferendo quanto appreso da Lorenzon, e facendogli da tramite presso gli organi giudiziari. Il 31 dicembre Lorenzon si incontra 129
Per una ricostruzione dettagliata del procedere degli inquirenti, della loro «preferenza» per la pista anarchica e delle pressioni esercitate per far corrispondere le ipotesi investigative con gli scenari reali, data la complessità e l’estensione di tutti i diversi passaggi che segnarono le indagini, si deve necessariamente rimandare in bibliografia. Per la precisione e il rigore dei riferimenti, in particolare si veda G.Boatti, Piazza Fontana. 12 dicembre 1969: il giorno dell’innocenza perduta, op.cit.
178
informalmente “con un giovane magistrato di ventinove anni, di nome Pietro Calogero”130, che raccoglie la sua deposizione. Nei mesi successivi seguiranno diversi incontri, anche con altri magistrati. In particolare, i giudici Vittorio Occorsio ed Ernesto Cudillo, titolari dell’inchiesta romana sulle bombe del 12 dicembre e concentrati sulla pista anarchica, metteranno in dubbio l’attendibilità del testimone, affermando invece che “Ventura è una brava persona”131. Nel corso delle indagini di Treviso, intanto, si affianca a Calogero un altro magistrato, Giancarlo Stiz. L’inchiesta Stiz-Calogero procede con molte difficoltà, omissioni, condizionamenti ambientali e manipolazioni di prove e, dopo un tortuoso iter, “con ripetuti andirivieni tra Treviso, Venezia, Roma, Padova e Milano”132, nel marzo ’72, viene infine trasmessa al capoluogo lombardo. Incaricati dell’inchiesta sono il sostituto procuratore Emilio Alessandrini e il giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio. Se ne occuperanno fino al dicembre ’74, quando “una illegittima pronuncia della Cassazione sottrae loro l’istruttoria”133. Essa viene trasferita a Catanzaro, proprio quando D’Ambrosio e Alessandrini
stanno
conducendo un’indagine riservata sull’Aginter Press e sul ruolo avuto dall’agenzia di Lisbona nel sostegno e nel condizionamento dei gruppi eversivi italiani. L’indagine, che avrebbe potuto forse far luce “sull’anello mancante nella catena di responsabilità che lega i mandanti interni e internazionali agli esecutori della strage di piazza Fontana e forse anche di molti altri episodi della strategia della tensione” 134, sarà così congelata fino ai primi anni ’90, quando verrà ripresa e approfondita dai magistrati Guido Salvini e Grazia Pradella, nel corso della più recente istruttoria per la strage.
130
M.Dianese-G.Bettin, La strage…, op.cit., p.122
131
Ibidem, p.124
132
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.182
133
G.De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia…, op.cit., p.171
134
Ibidem
179
Con le indagini dei primi anni ’70 sugli estremisti di destra, gli inquirenti rivolgono la loro attenzione sulla cellula ordinovista padovana, facente riferimento a Franco Freda. Numerosi riscontri e testimonianze avvalorano le ipotesi relative alle responsabilità del gruppo veneto, a partire dal ritrovamento di un deposito di armi di proprietà di Ventura nell'autunno del 1971. I giudici di primo grado così ricostruiscono le attività e gli obiettivi del gruppo: “Un’organizzazione eversiva operante nel territorio nazionale con una serie progressiva di attentati terroristici sempre più gravi finalizzati a conseguire, con lo sconvolgimento della tranquillità sociale, l’abbattimento delle strutture statali borghesi. Secondo tali accuse questo movimento sovversivo era nato con un’impostazione di tipo nazi-fascista; si articolava su una direttrice veneta che faceva capo al Freda, nonché su un’altra romana che faceva capo a Stefano Delle Chiaie 135 […] aveva elaborato la sua strategia di base in una fondamentale riunione, tenutasi il 18 aprile 1969 a Padova, alla quale erano intervenuti il Freda ed altri esponenti di rilievo della cellula eversiva e di quella romana. In quella riunione si era concepito il programma della cosiddetta seconda linea o doppia organizzazione, secondo cui occorreva strumentalizzare, con opportune manovre di infiltrazione e di provocazione, i gruppi estremisti di sinistra, in modo da compromettere questi ultimi negli attentati e farli apparire come responsabili di una attività eversiva la cui reale matrice, invece, era di destra”136
135
Il personaggio romano che avrebbe partecipato alla riunione padovana, viene dapprima identificato da alcuni testimoni in Pino Rauti, che viene scarcerato e prosciolto dopo mesi di prigione in quanto i suoi colleghi giornalisti del Tempo di Roma confermano l’alibi per la sera della riunione. L’esponente romano viene successivamente identificato in Stefano Delle Chiaie, e poi in Guido Giannettini. Il dato rilevante che emerge dalla riunione del 18 aprile a Padova, al di là dell’accertamento dell’identità di tale personaggio, è la confluenza di più gruppi della destra radicale nell’elaborazione e nell’attuazione della strategia terroristica
136
Cit. in F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., pp. 183-184
180
L’organizzazione eversiva è composta da un ristretto numero di persone; ne fanno parte militanti sia di Ordine Nuovo che di Avanguardia Nazionale, nei quali il gruppo ha “una vasta rete di contatti”137, che si estendono all’intera area della destra radicale. Oltre a Freda, vi sono con ruoli di primo piano, Giovanni Ventura e Massimiliano Fachini. Franco Freda, come si è visto in precedenza, rappresenta una delle figure principali della destra radicale italiana. Seguace di Julius Evola, “già membro del MSI e di Ordine Nuovo”138, è autore del libro La disintegrazione del sistema, del quale si è parlato nei capitoli 2 e 3. Nel '66 collabora con Rauti e Giannettini, provvedendo insieme a Ventura alla diffusione di un volantino firmato «Nuclei di Difesa dello Stato» presso centinaia di ufficiali dell'esercito. Il volantino, probabilmente scritto o ispirato da Rauti e Giannettini, invita gli ufficiali ad aderire ai già costituiti Nuclei per la Difesa dello Stato, allo scopo di prendere parte alla lotta contro la sovversione139. Tra il ’67 e il ’69, Freda, in attuazione della tattica del secondo livello, progetta e cerca di compiere alcune operazioni di infiltrazione nelle organizzazioni dell’estrema sinistra, anche attraverso la creazione di piccole case editoriali e di tipografie specializzate nella pubblicazione di opere anarchiche e comuniste. In particolare, egli riesce ad infiltrare alcuni amici (tra i quali Ventura) nel Partito Comunista d’Italia Marxista Leninista, ma l’inganno
137 138
Ibidem, p.184 Ibidem
139
Così il volantino rivolge l’appello ai militari: “Ufficiali! La pericolosa situazione politica italiana esige il vostro intervento decisivo. Spetta alle forze armate il compito di stroncare l’infezione prima che essa divenga mortale. Nessun rinvio è possibile: ogni attesa, ogni inerzia significa vigliaccheria. Subire la banda di volgari canaglie che pretendono di governarci significa obbedire alla sovversione e tradire lo stato. Militari di grande prestigio e di autentica fedeltà hanno già costituito in seno alle forze armate i Nuclei per la difesa dello stato. Voi dovete aderire ai NDS. O voi aderite alla lotta vittoriosa contro la sovversione, oppure anche per voi la sovversione alzerà le sue forche. E sarà, in questo caso, la meritata ricompensa per i traditori.” (cit. in F.Calvi, F.Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, op. cit., pp.146-147, e F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.185)
181
verrà più tardi denunciato dall’ex-partigiano Alberto Sartori140, leader del movimento. L’incontro di Padova del 18 luglio, viene considerato come l’inizio dell’attività terroristica. In realtà, si è visto che le bombe in Veneto iniziano a scoppiare da gennaio. Tuttavia, sembra che in quella data sia stato deciso di estendere le azioni a tutto il territorio nazionale, e di aumentarne l'intensità. Tale radicalizzazione delle attività allo scopo di creare una situazione destabilizzante, è, di fatto, in linea con le prescrizioni strategiche contenute nel documento La nostra azione politica che abbiamo già esaminato. Ventura, in una deposizione, riporta le affermazioni di Freda sull'evoluzione delle attività del gruppo: "In epoca successiva agli attentati sui treni [...] Freda osservò che la linea di stabilizzazione moderata, che doveva rappresentare il prodromo della rivincita reazionaria e neofascista, avrebbe trovato impulso in una intensificazione delle attività terroristiche. Tale intensificazione prevedeva, secondo Freda, una progressione di intensità ed effetti distruttivi degli attentati, quali sarebbero potuti sorgere, spostando gli obiettivi da colpire; che a tal fine dovevano essere cercati centri 'significativi e rappresentativi del sistema', da colpire
non
più
dimostrativamente
dall'esterno,
ma
distruttivamente
dall'interno...Freda non chiarì, all'epoca, se i colpi distruttivi di cui parlava fossero del tipo di quello portato poi a segno il 12 dicembre 1969. Disse soltanto che occorreva mettere in ginocchio il potere con colpi esemplari, per consentire alle forze della ragione e preferibilmente ad una emergenza di tipo militare, di sostituirvisi. Ribadì, come in altre occasioni, che vi erano
140
Giovanni Ventura e il conte Pietro Loredan (fino ad allora ritenuto un ex-partigiano, ma in realtà già collaboratore dell’OVRA nel ’45) finanziarono Sartori che venne inizialmente ingannato, ma che nel ’70, resosi conto che i due erano coinvolti nelle operazioni di diversione che tentavano di dare una copertura di sinistra alle azioni di provocazione degli estremisti di destra, denunciò il tentativo. Le deposizioni di Sartori permisero di comprendere e di smontare i meccanismi di infiltrazione dell’estrema destra nei movimenti filocinesi, e di chiarire i retroscena dell’operazione attraverso la quale si voleva far passare il suo stesso partito come uno dei responsabili degli attentati del ’69. Sul settimanale “Specchio”, era infatti stato pubblicato il 27.4.1969 e poi il 16.12.1969 (quattro giorni dopo la strage di Piazza Fontana) un articolo nel quale si indicava il PCD’IML come uno dei principali centri della sovversione e del terrorismo in Italia (Cfr. F.Calvi, F.Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, op. cit., p.104)
182
certamente uomini inquadrati e disposti a realizzare questo piano"
141
Al gruppo di Freda e Ventura sono stati definitivamente attribuiti (in sede giudiziaria) circa 20 attentati142 compiuti tra l’aprile e il dicembre ’69 (tra i quali quelli alla fiera e alla stazione di Milano e la bomba al rettorato di Padova), tutti "finalizzati ad una tipica strategia di provocazione e colpevolizzazione della parte politica avversa, secondo gli schemi caratteristici della guerra rivoluzionaria, che aveva avuto nel convegno
all’istituto
Pollio
il
sottolineato
momento
di
ufficializzazione”143. Le istruttorie svolte nei primi anni ’70, raccolgono numerose prove e testimonianze a carico del gruppo. Tra gli elementi individuati dai magistrati, in un clima e in un contesto a loro non certamente favorevole, sono da ricordare: le dichiarazioni di Lorenzon; le tortuose confessioni di Ventura; le analogie tra gli attentati del dicembre con quelle della primavera-estate ’69; le dichiarazioni dell’elettricista che aveva aiutato Freda ad acquistare 50 timer dello stesso tipo di quelli utilizzati negli attentati; le richieste fatte da Freda allo stesso elettricista e a Ruggero Pan (che egli tentò di coinvolgere nell’organizzazione eversiva) allo scopo di procurarsi cassette metalliche dello stesso tipo
141
Cit. in Aa.Vv., La Strategia delle stragi dalla sentenza della Corte d'Assise di Venezia per la strage di Peteano, op.cit., p.314. Sempre sullo stesso tema, Martino Siciliano, ex-ordinovista mestrino e testimone chiave nella nuova inchiesta condotta da Guido Salvini, ricorda che nel '69, alla libreria "Ezzelino" di Padova, c'era stata una riunione nella quale si era parlato di piccoli attentati dimostrativi, "ma tanti, per far credere che esistesse un'organizzazione presente su tutto il territorio nazionale". In particolare, Siciliano ricorda che Freda aveva spiegato come le banche, i treni, gli uffici postali fossero ottimi obiettivi poiché si colpiva la gente comune che, paradossalmente, avrebbe richiesto un governo e una risposta forte, cadendo così nella trappola. Freda, nella stessa occasione, aveva inoltre spiegato che non ci si doveva far scrupoli se qualche civile fosse rimasto ferito, in quanto "anche gli Alleati nel corso della seconda guerra mondiale lanciavano dagli aerei matite esplosive e giocattoli trappola", cit. in M.Dianese-G.Bettin, La strage…, op.cit., p.127
142
Di diciassette attentati dinamitardi, organizzati in Italia tra il 15 aprile e il 9 agosto 1969, la cellula terroristica veneta guidata da Franco Freda e Giovanni Ventura è stata definitivamente ritenuta responsabile con sentenze passate in giudicato (cfr. G.Boatti, Piazza Fontana..., op.cit., p.186)
143
Commissione Stragi, Luci sulle stragi..., op. cit., p.98
183
di quelle utilizzate negli attentati; l’acquisto di borse dello stesso modello di quelle in cui le bombe erano contenute in un negozio di Padova (la cui commessa aveva riconosciuto in Freda l’acquirente). Senza che in questa sede si voglia cercare di tratteggiare un quadro completo delle testimonianze, dei personaggi coinvolti, degli eventi, delle fughe, delle prove, insomma, dell’intero corso delle indagini,
è
doveroso
rievocare
sinteticamente
alcuni
episodi
particolarmente significativi ed emblematici. Ciò a partire dalla considerazione, effettuata in sede giudiziaria, delle avversità che le indagini incontrano nel momento in cui vengono indirizzate verso il gruppo padovano, difficoltà e ostacoli “caratterizzati da un segno comune: quello di occultare o disperdere gli elementi di prova che avrebbero potuto essere utilizzati a carico dei componenti la cellula eversiva veneta”144.
In primo luogo, è da ricordare la campagna di
delegittimazione alla quale viene sottoposto il commissario di polizia Pasquale Juliano, che aveva iniziato a indagare sul gruppo già dalla primavera del ’69. Accusato di aver convinto un testimone a produrre false
accuse
contro
Massimiliano
Fachini,
viene
sospeso
immediatamente dal servizio, privato dello stipendio e successivamente trasferito145, dopo che l’unico testimone che può scagionarlo, il portinaio Alberto Muraro, muore cadendo dalle scale poche settimane prima di deporre (in realtà, viene probabilmente ucciso146). Le indagini vengono così fermate, per riprendere nei primi mesi del ‘70, con le confessioni di Lorenzon. Esse vengono di nuovo ostacolate, in quanto si cerca di screditare il testimone, “insinuando che Giovanni Ventura fosse un mitomane e Guido Lorenzon persona non qualificata a riceverne le 144
Cit. in Commissione Stragi, Luci sulle stragi..., op. cit., p.98
145
Il provvedimento adottato dal questore di Padova(sospensione di Juliano dall’incarico e dallo stipendio) e talmente grave da richiedere la presenza in città del capo dell’ufficio Affari Riservati (il servizio segreto civile) del ministero degli Interni, Elvio Catenacci, che giudica legittimo il provvedimento. E’ da sottolineare che nella pubblicistica l’Ufficio Affari Riservati è ritenuto pesantemente coinvolto nella strategia della tensione.
146
Cfr. M.Dianese-G.Bettin, La strage…, op.cit., pp.40-44
184
confidenze”147. Inoltre, sono da ricordare i ritardi (anche di anni) e le incompletezze con cui i magistrati vengono informati riguardo ad elementi indiziari di importanza chiave; la distruzione della bomba di Milano ritrovata inesplosa, che viene fatta brillare poco dopo il ritrovamento sulla base di una presunta pericolosità, pur costituendo un indizio fondamentale nelle mani degli inquirenti. Infine le attività dei servizi nel depistare le indagini e coprire gli indiziati (particolarmente clamorosi gli episodi relativi a Guido Giannettini e Marco Pozzan), attività sulle quali si riferirà più dettagliatamente nel prossimo capitolo. Nonostante le attività di contrasto all’accertamento del reale svolgersi degli eventi e degli individui in essi coinvolti, le diverse istruttorie hanno permesso di effettuare, al di là delle responsabilità individuali,
una
ricostruzione
sufficientemente
completa
dell’organizzazione eversiva, delle sue attività, e dei suoi collegamenti. Alcune zone oscure permangono, tutt’oggi, riguardo l’esistenza e la natura dei legami con settori istituzionali, politici e dei servizi sicurezza, non tanto nelle dinamiche complessive, quanto nell'accertamento dell’identità degli uomini politici, degli ufficiali e, più in generale, dei protagonisti di alto livello coinvolti. Questo anche per la complessità delle interazioni tra i diversi protagonisti, di cui si è detto in precedenza (ad esempio hanno funzionato meccanismi quale quello dei «cerchi concentrici» descritti da Guerzoni che rendono difficile stabilire una colpevolezza individuale). Inoltre, pur all’interno dell’interpretazione generale delle attività dei gruppi della destra radicale rievocata in precedenza, diverse ipotesi si contrappongono ancora oggi su alcuni punti importanti, come, ad esempio, la reale possibilità di un tentativo golpista subito dopo la strage di Piazza Fontana. Il concludersi dei procedimenti giudiziari in corso per le stragi di Milano e di Brescia, porterà, probabilmente, ad un’ulteriore chiarificazione delle vicende. In ogni modo, attraverso le ricostruzioni più recenti, in particolare
147
Commissione Stragi, Luci sulle stragi..., op. cit., pp. 98-99
185
quelle effettuate dalle indagini milanesi degli anni ’90 e riprese dalla saggistica, è possibile descrivere in modo sufficientemente preciso le attività e le caratteristiche del gruppo terroristico ritenuto responsabile dell’attentato di Piazza Fontana. L’organizzazione eversiva è composta da un gruppo di militanti dell’estrema destra, la maggior parte dei quali aderenti ad Ordine Nuovo. E’ divisa in cellule, che si tengono in contatto attraverso pochissimi uomini, secondo una struttura occulta che si sovrappone, almeno in parte, a quella di ON ufficiale. Una modalità organizzativa mutuata dall’esperienza dell’OAS, che “per i neofascisti italiani […] è un modello”148 (e si sono già visti i rapporti tra esponenti di primo piano dell’estrema destra italiana ed ex-ufficiali dell’OAS quali Yves Guerin Serac e Robert Leroy). Secondo Vinciguerra, del gruppo fanno parte, tra gli altri: a Venezia-Mestre, Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Giancarlo Vianello; a Trieste, Francesco Neami, Claudio Bressan e Manlio Portolan; a Verona, Marcello Soffiati e Amos Spiazzi; a Treviso Roberto Raho; a Padova l’intero gruppo Freda, con Massimiliano Fachini e Aldo Frinco; a Trento Cristiano De Eccher; a Milano, Giancarlo Rognoni; a Udine (dal 1973) Cesare Turco; a Roma, Enzo Maria Dantini e il gruppo di Tivoli di Paolo Signorelli149. Quello che le indagini milanesi hanno permesso di chiarire, al di là degli esiti dei processi in corso, è che i gruppi coinvolti nella strategia terroristica, in particolare nello stragismo, non sono soltanto quelli di Roma e Padova. Infatti, particolare rilevanza assumono, nelle più recenti ricostruzioni giudiziarie, le attività delle altre cellule ordinoviste del Veneto, e, in special modo, di quella di Mestre (della quale leader sono Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi, e che, secondo Martino Siciliano, sarebbe responsabile anche del fallito attentato del 4 ottobre 1969 alla scuola slovena di Trieste). Infine, anche la cellula di Milano, facente
148
F.Calvi, F.Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, op.cit., p.91
149
Cfr. F.Calvi, F.Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, op.cit., p.91-93
186
riferimento al gruppo «La Fenice» guidato da Giancarlo Rognoni, appare in stretto collegamento con le altre. L’organizzazione, secondo i magistrati, è direttamente responsabile della strage di Piazza Fontana, e di quella alla questura di Milano. Nei procedimenti attualmente in corso, sono stati infatti rinviati a giudizio, con l’imputazione di strage Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, in concorso con Freda e Ventura (che non possono essere più processati per tale reato, essendo stati “assolti irrevocabilmente nei precedenti dibattimenti”150); mentre per la strage di via Fatebenefratelli a Milano, l’11 marzo 2000 sono stati condannati, in primo grado, all’ergastolo Carlo Maria Maggi, Amos Spiazzi, Giorgio Boffelli e Francesco Neami. E’ stato inoltre ipotizzato un coinvolgimento del gruppo anche nella strage di Piazza della Loggia a Brescia, a partire comunque dal dato ormai certo della “stabile operatività della struttura […] dalla fine degli anni ’60 quantomeno fino al ‘74”151.
150
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p. 68
151
M.Dianese-G.Bettin, La strage..., op.cit., p.50
187
5.3.4 I collegamenti Si devono, infine, analizzare i collegamenti dell’organizzazione eversiva con forze e strutture esterne. Sono già stati mostrati, nel corso della trattazione, i rapporti esistenti tra gli estremisti di destra italiani e l’Aginter Presse. A tale proposito, si deve ricordare la vicenda dell’appunto
del
SID
riguardante
un
possibile
coinvolgimento
dell’agenzia lisboeta negli attentati del dicembre ’69, in connessione con Delle Chiaie e Merlino (tale appunto, datato 16 dicembre e riscritto in unna nuova versione il 17 dicembre con alcune importanti modifiche, tra le quali l’omissione del ruolo di Merlino), che giungerà agli inquirenti solo nel ’73. A proposito dei due estremisti romani, è bene ribadire il ruolo chiave svolto da Merlino nell’infiltrare il circolo anarchico e nel far ricadere su di esso la responsabilità delle bombe. Su ciò, scrive il giudice Salvini: “Uno dei pochi punti fermi nella vicenda processuale di Piazza Fontana, indipendentemente dall’affermazione o meno delle responsabilità, è il ruolo ricoperto da Mario Merlino a Roma a partire dall’inizio dell’autunno del 1969 […] Un ruolo di infiltrazione attuato mostrando un apparente distacco dall’ambiente di AN che aveva sempre frequentato, inserendosi nel movimento anarchico e staccando, dai gruppi anarchici ‘ufficiali’, con la formazione del Circolo 22 Marzo […] Pietro Valpreda e pochi altri sprovveduti, vittime predestinate dell’operazione del 12 dicembre 1969”
152
Ma il quadro più sconcertante, è quello che emerge dalle ricostruzioni effettuate dai giudici milanesi negli anni ’90, che prospetterebbero
un
coinvolgimento
diretto
dei
servizi
segreti
occidentali e americani nella strategia terroristica, con infiltrati nei gruppi di estrema destra. Le dichiarazioni di diversi esponenti della destra radicale del periodo considerato e di altri testimoni (tra i quali Vincenzo Vinciguerra, Carlo Digilio e Enzo Ferro), hanno permesso di 152
F.Calvi, F.Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, op.cit., p.96
188
delineare un contesto complesso, nel quale le organizzazioni del radicalismo «nero» sarebbero in realtà state in qualche modo inglobate in reti paramilitari clandestine anticomuniste, composte sia da militari che da civili. Strutture plasmate sul modello operativo di Gladio, ma non coincidenti con essa, che sarebbero state sotto il controllo di settori delle
forze
comunismo
armate da
occidentali
attuare
anche
sostenitori con
le
di
un’opposizione
tecniche
della
al
guerra
controrivoluzionaria (compresi quindi governi di estrema destra e terrorismo), e con le quali le cellule terroristiche responsabili delle stragi sarebbero state in rapporto. Tra di esse, ci sono i Nuclei di Difesa dello Stato e il Gruppo Siegfried. Ce ne parla Enzo Ferro153 in modo dettagliato: “…Tale struttura si chiamava ‘Nuclei di Difesa dello Stato’ ed era divisa in legioni […] Tale struttura era articolata in Veneto in modo capillare e posso precisare che in tutto le articolazioni erano 36 […] ognuna indipendente dalle altre sul piano operativo, in modo che la scoperta di una non compromettesse la scoperta delle altre [...] Ebbi occasione io stesso di veder un organigramma della struttura che era appunto articolata in 36 legioni […] La finalità della struttura era di fare un colpo di stato all’interno di una situazione che prevedeva attentati dimostrativi, preferibilmente senza vittime, al fine di spingere la popolazione a richiedere o ad accettare un governo forte. Ovviamente in un attentato potevano esserci delle vittime casuali, ma questo, secondo chi dirigeva la struttura, era un prezzo che uno scontro così grosso per il nostro paese si poteva pagare […] Il nome ‘Siegfried’ era un nome che circolava come quello di una struttura parallela alla nostra di Verona e della quale alcuni suoi rappresentanti venivano alle riunioni di altre città per verificare il reciproco livello di addestramento […] Alle riunioni presenziavano
153
Enzo Ferro svolse il servizio militare a Verona nel 1970 nella caserma Duca Montorio, in cui era sottoposto anche del colonnello Amos Spiazzi. Benchè non impegnato, né schierato ideologicamente a destra, venne risucchiato nell’ambiente di Spiazzi, partecipando ad alcune riunioni eversive con presenza di militari e civili, tra i quali un folto numero di ordinovisti . Era stato coinvolto nell’attività della struttura, dalla quale aveva cercato di sganciarsi già al termine del servizio militare. Aveva reso già dal ’77 una dettagliata testimonianza sulle attività della cellula eversiva trentina, ma venne invitato a non insistere, e non venne più risentito dagli inquirenti, pur essendo la sua deposizione fondamentale all’accertamento di fatti gravissimi (Cfr. P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., pp. 309-310)
189
diversi civili anche di Verona […] Ricordo che c’erano vari amici di Spiazzi che avevano un’ideologia più fanatica ed erano quelli di Ordine Nuovo di Verona. Costoro erano sette o otto. Ricordo Massagrande, Besutti, Stignamiglio e altri due o tre con l’aria da paracadutisti […] Si parlava poco e si usavano sempre nomi in codice [..] La logica della struttura era quella di affiancare civili e militari per l’addestramento e la futura operatività […] A Verona, alla struttura pervenivano armi e munizioni nuove, ancora imballate e ingrassate […] arrivavano da sedi esterne, sostavano in caserma e poi venivano portate via da Spiazzi e dai suoi su camion militari. La cosa che mi stupiva maggiormente è che saltavano completamente i controlli che in genere sulle armi sono molto rigorosi […] Ricordo che una volta parlò Carlo Digilio anche di un deposito di armi molto grosso nella zona di Venezia cui i militanti delle altre zone potevano attingere in caso di necessità […] “ 154
Le
rivelazioni
più
importanti
nell’ambito
dei
collegamenti
internazionali delle cellule terroriste venete, sono però quelle di Vincenzo Vinciguerra (delle quali si riferirà nel prossimo capitolo) e di Carlo Digilio. Quest'ultimo, ex-ordinovista (faceva da «consulente» segreto del gruppo per le armi e gli esplosivi), dichiaratosi egli stesso un agente inserito nella rete spionistica americana dal 1967 al 1978, è, insieme a Martino Siciliano (ex-ordinovista mestrino), uno dei testimoni più importanti dell’inchiesta di Salvini. Collaboratore di giustizia dal 1993, Digilio con le sue dichiarazioni ha delineato i rapporti esistenti tra la cellula veneta di Freda, Ventura e Zorzi “ed ambienti dei servizi segreti e, attraverso lui e Soffiati155, della CIA”156. Digilio avrebbe svolto un doppio ruolo, estremista di destra da un lato, e dall'altro agente informativo facente riferimento al comando FTASE di Verona. In particolare egli avrebbe avuto rapporti di dipendenza diretta con gli ufficiali statunitensi cap. David Carrett e cap. Theodore Richard157, che,
154
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., pp. 303-305
155
Marcello Soffiati era, secondo Digilio, il suo referente italiano nella rete CIA in Veneto
156
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p. 307
157
A tutt’oggi, non è stato ancora possibile identificare i due presunti agenti americani
190
secondo le sue dichiarazioni, erano stati al vertice della rete di spionaggio americana in Veneto rispettivamente nei periodi 1965-1974 e 1974-1978. Le ricostruzioni effettuate da Salvini devono ancora essere pienamente verificate. E’ palese che se ne venisse accertata la validità integrale,
esse
configurerebbero
un
quadro
gravissimo
degli
avvenimenti, con il coinvolgimento diretto di agenti dei servizi occidentali (in particolare americani) nello stragismo, anche se sembra che coinvolti, più che la CIA, siano stati “servizi segreti di singole forze armate USA e NATO di stanza nel nord est italiano”158. Sembra però difficile pensare che a livello governativo, gli Stati Uniti abbiano deciso di intervenire direttamente per influenzare la situazione politica italiana in direzione di una svolta autoritaria. Così, a riguardo, osserva il sen. Pellegrino: “E’ un errore immaginare gli Stati Uniti come un monolite. Gli Usa sono un grande paese democratico, un mondo dialettico dove […] scontri interni e differenze di valutazione sicuramente sono esistiti e si sono riflessi anche nella politica e negli apparati del nostro paese. Insomma, non credo che a livello del governo degli Stati Uniti si sia deciso di appoggiare le spinte golpiste o para-golpiste italiane. Diverso è pensare che o circoli della destra radicale americana o singoli settori degli apparati di forza americani abbiano potuto assumere determinate iniziative”159
158 159
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p. 105 Ibidem
191
Le azioni dei gruppi di destra, quindi, si collocano, come già detto più volte, in un contesto realmente complesso, in cui si incrociano tensioni interne all’Italia e tensioni internazionali. Pur senza nulla togliere alle responsabilità dei terroristi, dal quadro delineato appare chiara la loro strumentalizzazione da parte di vertici politico-militari in un strategia volta a condizionare pesantemente il sistema politico italiano, allo scopo di una svolta autoritaria o comunque moderata nel paese. Tutto ciò, ovviamente, senza sminuire il coinvolgimento degli uomini della destra radicale nell’elaborazione e nell’applicazione di progetti eversivi, nella lotta per sostituire agli assetti democratici un regime di stampo dittatoriale, e, soprattutto, senza voler intaccare il dato della loro implicazione in tragici avvenimenti costati la vita a numerosi innocenti.
192
5.4 Il 1970 e il golpe Borghese
5.4.1 Il Fronte Nazionale I progetti golpisti dei gruppi della destra radicale, in particolare di Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo, sembrano avere un esito nel dicembre ’70, con la vicenda del tentato golpe Borghese. Prima di ricostruire gli eventi, è necessario fornire alcune informazioni sul Fronte Nazionale, il movimento fondato dal principe Junio Valerio Borghese160 nel settembre ’68, e sulle sue attività. L’atto notarile che sigla la nascita ufficiale del movimento, ne riporta l’obiettivo principale: “perseguire tutte le attività utili alla difesa e al ripristino dei massimi valori della civiltà italiana ed europea“161. Gli scopi del movimento, sintetizzati negli Orientamenti programmatici del
160
J.V.Borghese (1906-1974), chiamato anche il «principe nero», durante la guerra era stato il comandante della X flottiglia MAS, l'unità speciale di mezzi d'assalto della marina, alla testa della quale compì numerose azioni (alcune clamorose come l'affondamento di due corazzate inglesi ad Alessandria d'Egitto nel dicembre '41). Dopo l'armistizio, con la sua unità, che a differenza del resto dell'esercito era in condizione di invidiabile efficienza, aderì alla RSI, più per fedeltà all'etica militaresca (la struttura psicologica del Borghese era quella di un «uomo d'arme», che gli faceva giudicare la guerra, la sua naturale vocazione, qualcosa di bello) che al fascismo e a Mussolini. Ed infatti i contrasti con la repubblica fascista continuarono (nel gennaio '44 venne fatto addirittura arrestare da Mussolini). Il Borghese aveva firmato il 14.9.1943 un vero e proprio patto con i tedeschi, che riconoscevano alla X Mas piena autonomia e dignità di alleato, stabilendo per il suo impiego operativo la dipendenza dalla marina tedesca. In realtà, per mancanza di mezzi, la X MAS, nella quale in poco tempo confluirono migliaia di volontari, agì prevalentemente a terra. Venne utilizzata in particolare nella repressione contro le unità partigiane, nella quale si conquistò una triste fama. Nel febbraio '49, per le sue responsabilità nella lotta contro il movimento partigiano e per collaborazionismo, venne condannato a 12 anni, ma la condanna venne lo stesso giorno ridotta a 3 anni attraverso dei condoni, e quindi il principe fu lo stesso giorno scarcerato. Non accettò mai candidature elettorali, ma scelse ben presto la lotta politica nelle file del MSI (nel '51 ne fu nominato presidente onorario). Tuttavia, il Borghese, insofferente alle regole e ai condizionamenti della vita politica, finì col rompere col partito, avvicinandosi sempre più ai gruppi della destra radicale, fino appunto, a fondare il 13 settembre '68 il Fronte Nazionale (Cfr. S.Setta, La destra nell'Italia del dopoguerra, op. cit., pp. 210-213 e P.Rosenbaum, Il nuovo fascismo da Salò a Almirante, op. cit., pp.82-83) 161
F.Ferraresi, La destra eversiva, in F.Ferraresi (a cura di), La destra radicale, Milano, Feltrinelli, 1984, p.60
193
1969, sono l’instaurazione di un “nuovo ordine politico”162 dove il conflitto di classe sarebbe stato eliminato a favore di “una realistica e salutare collaborazione tra le categorie professionali”163, capace di garantire ai cittadini “aventi in comune sentimenti patriottici [una vita] consona alle migliori tradizioni del popolo italiano”164. A tal fine, è necessario costituire “uno Stato forte”165, con la soppressione di partiti e sindacati e in cui, fondamentali, sono il rispetto della legge e il riconoscimento del ruolo primario delle Forze Armate. Il comunismo viene identificato con il “terrore rosso”166, mentre forti e frequenti sono i richiami a fronteggiare la minaccia comunista, e a costruire “una diga”167 contro di essa. Gli appelli del Fronte, sono rivolti in primo luogo ai reduci della RSI, alle forze armate e alle associazioni combattentistiche, nonché a settori conservatori dell’economia e della finanza, “turbati dalla crescente disgregazione sociale”168. Forte è anche il richiamo ai gruppi dell’estrema
destra,
in
particolare
Ordine
Nuovo,
Avanguardia
Nazionale, Europa Civiltà. Molti giovani militanti aderiscono al nuovo movimento; in particolare Delle Chiaie assume il ruolo di “responsabile militare del Fronte”169. Il movimento è organizzato in delegazioni provinciali e regionali, con a capo un “direttorio nazionale”170. La strategia politica del Fronte si
162
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.221
163
F.Ferraresi, La destra eversiva, in D.Della Porta (a cura di), Terrorismi in Italia, op.cit., p.237 164
F.Ferraresi, La destra eversiva, in F.Ferraresi (a cura di), La destra radicale, Milano, Feltrinelli, 1984, p.60
165
F.Ferraresi, La destra eversiva, in D.Della Porta (a cura di), Terrorismi in Italia, op.cit., p.237 166
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.221
167
F.Ferraresi, La destra eversiva, in F.Ferraresi (a cura di), La destra radicale, Milano, Feltrinelli, 1984, p.60
168 169 170
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.221 Ibidem Ibidem
194
colloca in una prospettiva decisamente golpista, in cui si vogliono coinvolgere anche le Forze Armate, poiché senza un loro appoggio “non
sarebbe
stato
possibile
destabilizzare
le
istituzioni
repubblicane”171. Ecco come i giudici ne hanno ricostruito i progetti: “Il piano prevedeva la messa in atto ‘di azioni criminose minori, di soprusi, di aggressioni, di scontri, di piccoli colpi di mano e ogni tanto [di] far esplodere episodi di contestazione clamorosi’ che avrebbero creato un diffuso clima di insicurezza […] paralizzando il governo e rivelando l’impotenza e la corruzione della classe dirigente. L’opinione pubblica moderata avrebbe richiesto a gran voce il ristabilimento dell’ordine e il suo rafforzamento a qualsiasi prezzo. A questo punto, ‘soltanto le Forze Armate, da troppo tempo umiliate da insensate campagne denigratorie […] avevano l’opportunità di intervenire per ristabilire la legge […] portare a termine una ‘salutare’ pulizia dei gangli vitali, e conquistare così una funzione egemone”
172
Per porre in atto tale progetto, nel Fronte viene costituita anche una struttura occulta (il cosiddetto “gruppo B”173, contrapposto al gruppo A del livello palese), di cui fanno parte veri e propri gruppi armati clandestini da impiegare per gli scopi previsti dal testo citato. Proprio in tale ambito assumono un’importanza centrale i gruppi della destra radicale, in primis Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo, che sono chiamati a fornire i militanti da inserire nelle formazioni armate. Prima di analizzare specificamente la vicenda del golpe Borghese, si devono ricordare altri due eventi importanti che vedono coinvolti i militanti di estrema destra nel 1970.
171
F.Ferraresi, La destra eversiva, in F.Ferraresi (a cura di), La destra radicale, Milano, Feltrinelli, 1984, p.60
172
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.221
173
F.Ferraresi, La destra eversiva, in F.Ferraresi (a cura di), La destra radicale, op.cit., p.60
195
5.4.2 La rivolta di Reggio Calabria e la strage di Gioia Tauro Il Sud, tra il 1969 e il 1973 è teatro di una serie di manifestazioni e di episodi di protesta, tra i quali i già citati eventi di Avola (dicembre '68) e di Battipaglia (aprile '69), alla cui base ci sono, in primo luogo, "la natura frammentaria della società meridionale e la precarietà della sua modernizzazione"174. Particolarmente grave e intensa è la rivolta che interessa Reggio Calabria tra il 1970 e il 1971. Essa, prende le mosse dai conflitti derivanti dalla scelta del capoluogo della Regione Calabria nel 1970, tema sul quale i partiti delle grandi città calabre hanno impostato la campagna elettorale per le elezioni regionali. Anche a Reggio
Calabria
gli
uomini
politici
locali
hanno
promesso
l'assegnazione alla città del ruolo di sede del neonato governo regionale, nonché l'istituzione dell'università, che porterebbero forti ricadute positive sul piano dell'occupazione e del prestigio. La scelta definitiva nell'assegnazione del capoluogo regionale cade, tuttavia, su Catanzaro, mentre come sede universitaria viene designata Cosenza. Il sindaco democristiano Battaglia, sostenuto anche dal consigliere provinciale del MSI Aloi, organizza, a questo punto, da una parte il boicottaggio dell'assemblea regionale, alla quale non vengono mandati i consiglieri eletti a Reggio, e dall'altra una serie di manifestazioni di protesta, appoggiato anche dai sindacati "con uno sciopero generale cui tutti aderiscono"175 (5 luglio 1970). I partiti di sinistra (escluso il PSIUP), invece, che non condividono la linea dei manifestanti (non aderendo al boicottaggio e condannando gli scioperi), divengono il bersaglio degli attacchi della piazza. A Reggio vengono richiamate unità di polizia dalle città vicine, in particolare da Cosenza e da Catanzaro, che tentano di reprimere la protesta. Il risultato, però, è quello opposto. Vengono costruite barricate e la rivolta si radicalizza, con azioni
174
P.Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi..., op. cit., p.457
175
P.Rosenbaum, Il nuovo fascismo da Salò a Almirante, op. cit., p.158
196
spontanee contro le forze dell'ordine (con morti e feriti), mentre compaiono sociali"
176
.
"slogan Battaglia
qualunquisti viene
e
volantini
emarginato,
con
mentre
la
rivendicazioni direzione
del
movimento viene assunta da un comitato d'azione dominato da neofascisti ed esponenti del blocco agrario , i "boia chi molla"177, da cui si stacca ben presto un'ala guidata dal funzionario MSI-CISNAL Ciccio Franco. Quest'ultimo gruppo continua ad ingrossarsi, organizzando azioni sempre più violente; dalla fine di luglio i neofascisti si pongono decisamente
a
capo
della
rivolta,
minacciando
addirittura
una
"dichiarazione di indipendenza con Reggio Libera e la costituzione di una nuova regione della Calabria del sud"178. Le riunioni del comitato d'azione vengono spesso vietate, ma ciò non ferma gli incidenti, mentre cominciano ad arrivare nella città gruppi del Fronte Nazionale, di Avanguardia Nazionale e di Ordine Nuovo, che si inseriscono nella lotta a suon di attentati. In particolare, numerosi episodi di guerriglia urbana sembrano "guidati e coordinati da leader del gruppo [Avanguardia Nazionale], che li rivendicano orgogliosamente"179. La rivolta di Reggio Calabria,
diventata
nel
frattempo
sempre
più
occasione
di
strumentalizzazione da parte della destra e sempre meno espressione di una spontanea protesta popolare, si spegnerà definitivamente solo nel '71. Ai fini di questo lavoro, è importante sottolineare il ruolo di provocazione svolto dalla destra radicale nella rivolta, nonché di individuarne le responsabilità anche per ciò che riguarda un altro tragico episodio avvenuto nello stesso periodo (che è da collocarsi nel tentativo di aumentare
il livello della tensione attraverso attentati e
azioni violente predeterminate). Recentissime inchieste, hanno infatti illuminato i contorni di un 176 177
Ibidem, p.159 Ibidem
178
Ibidem, p.160
179
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.134
197
fatto gravissimo avvenuto in Calabria nel 1970. Il 22 luglio, un treno di lavoratori proveniente dalla Sicilia e diretto in Calabria “per ragioni sindacali”180, deraglia nei pressi della stazione di Gioia Tauro, provocando 6 morti e 72 feriti. Nell’inchiesta per l’accertamento delle cause del disastro, viene tra le altre spiegazioni, ipotizzato che sia stata un’esplosione ad asportare un piccola sezione di un binario, fatto che avrebbe
portato
al
deragliamento
del
treno.
Ciò
anche
in
considerazione delle analogie presentate dall’episodio con altri 3 attentati avvenuti sulla medesima linea ferroviaria nello stesso anno (“il 22 e 27 settembre e il 10 ottobre”181). L’istruttoria conclude comunque che l’attentato dinamitardo come causa del disastro “è solo un’ipotesi, per quanto la più probabile, «destinata a rimanere nel limbo delle congetture»”182. Solo negli ultimi anni, gli sviluppi dell’Operazione Olimpia del luglio 1995 condotta dalla DIA contro l’ultima ‘ndrangheta, sembrano aver accertato il quadro delle relazioni tra eversione nera e criminalità organizzata nel quale avrebbe avuto origine la strage, rapporti non circoscritti a quel singolo episodio, ma estesi, più in generale, all'intero insieme degli eventi reggini del '70-'71. L’indagine ha stabilito che, nel quadro dei disordini di Reggio Calabria, “ai gruppi che alimentavano la rivolta fu offerta la complicità di Paolo De Stefano, boss che aveva in mano la città”183. L’inchiesta ha anche chiarito che un altro episodio chiave nel testimoniare i legami tra n’drangheta ed eversione nera (e massoneria), fu “il soggiorno a Reggio Calabria di Franco Freda dopo la fuga dal carcere di Catanzaro”184. Il latitante, con la complicità di esponenti di Avanguardia Nazionale, si sarebbe rifugiato in casa di “parenti del boss Di Stefano”185. E anche la strage sarebbe
180
R.Minna, Il terrorismo di destra, op. cit., p.48
181
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.167
182
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.169
183 184 185
Ibidem Ibidem P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.170
198
maturata nello stesso fosco complesso di rapporti. In particolare, secondo la Dia, la bomba sul tratto ferroviario “fu piazzata da manovali mafiosi su mandato”186 dei neofascisti locali. Al di là delle responsabilità individuali (l’ordigno sarebbe stato posto da Vincenzo Caracciolo e Vito Silverini) quello che è più interessante è il delinearsi di un complesso intreccio di rapporti tra gli ambienti dell’estrema destra e la criminalità organizzata, a scopo eversivo. In particolare, il fine ultimo dell’alleanza sarebbe stato quello della “secessione del controllo politico-amministrativo della Regione” 187. Nella stessa direzione interpretativa, si colloca anche il presunto sostegno che la n'drangheta calabrese avrebbe concesso ad un tentativo eversivo ben più grave, di cui ora si dirà.
186 187
Ibidem Ibidem
199
5.4.3 Il Golpe Borghese La strategia golpista elaborata dal Fronte Nazionale sembra avere esito positivo sul finire del 1970. Nella notte tra il 7 e l'8 dicembre, infatti, la cosiddetta notte di Tora-Tora, avviene quello che, pur minimizzato in sede giudiziaria come una sorta di "golpe da operetta"188 effettuato da innocui nostalgici, appare ormai un tentativo molto serio di svolta autoritaria in Italia. Alla testa dell'operazione si trova in prima persona Junio Valerio Borghese. Il piano prevede l'occupazione dei centri nevralgici del potere, il ministero degli Interni, quello della Difesa, la Camera e il Senato, la sede della Rai-Tv, gli impianti telefonici e di radiocomunicazione, nonché l'arresto del presidente della Repubblica Saragat e l'uccisione del capo della polizia Vicari. Una volta effettuate tali operazioni, dovrebbe scattare un piano antiinsurrezionale che prevede "l'arresto da parte dei carabinieri di sindacalisti, esponenti politici e militari e altri interventi analoghi"189. Lo scopo è l'instaurazione di un regime militare, con il sostegno di "forze istituzionali che avevano dato il loro tacito assenso"190 all'operazione. Tra il 7 e l'8 dicembre, si cerca di portare a termine il progetto. Secondo le ricostruzioni più complete, nella notte, centinaia di congiurati, in gran parte militanti del Fronte, si concentrano a Roma. Circa 200 attendono in una palestra, pronti a ricevere le armi all'arrivo dell'ordine di Sandro Saccucci, un tenente dei paracadutisti stretto collaboratore di Borghese (nonché futuro deputato del MSI), anch'egli al comando di un altro gruppo avente il compito di arrestare uomini politici. Altri militanti sono concentrati nelle sedi delle organizzazioni della destra radicale, ON e AN, Europa Civiltà, mentre gli studenti di destra del Fronte Delta si assestano vicino all'università. Un nucleo armato guidato da Delle Chiaie, penetra nell'armeria del ministero dell'Interno, prelevando armi 188
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p. 70
189
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.249
190
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p. 71
200
e munizioni che vengono distribuite191. Nel frattempo, una colonna del Corpo Forestale guidata dal Maggiore Berti (già condannato per collaborazionismo con i nazisti) marcia verso Roma. Giunta nella capitale, si posiziona non lontano dagli studi Rai di via Teulada. Vicino a Milano, invece, il colonnello Spiazzi mette in movimento il suo reparto con "l'obiettivo di occupare Sesto San Giovanni"192. Sembra inoltre (hanno fatto dichiarazioni questo senso testimoni importanti come Carlo Digilio, Enzo Ferro ed altri ex-militanti di estrema destra193), che la mobilitazione avvenga anche a Venezia, Verona, Toscana e Umbria e a Reggio Calabria. Il quartier generale è installato a Montesacro, in uno dei cantieri edili di Remo Orlandini, braccio destro di Borghese. All'improvviso,
arriva
il
contrordine,
comunicato
dallo
stesso
comandante. Il piano abortisce e i congiurati devono smobilitare. Questi, in estrema sintesi, i fatti della notte di Tora Tora. Le ricostruzioni più recenti, si è detto, hanno dimostrato la serietà del tentativo di Borghese, sminuita in senso giudiziario nonostante il dimostrato coinvolgimento di un grande numero di militari e ufficiali di alto livello, tra i quali il gen.Casero e il col.Lo Vecchio, che garantivano di avere l'appoggio del Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica, il gen.Fanali194.
191 192
Cfr. Commissione Stragi, Il terrorismo, le stragi e il contesto storico politico, op.cit. Ibidem
193
Parte delle deposizioni sono riportate in P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., pp.263-269
194
Commissione Stragi, Il terrorismo, le stragi e il contesto storico politico, op.cit.
201
Numerose dichiarazioni di collaboratori di giustizia, inoltre, attestano il tentativo di coinvolgere nel progetto anche Cosa Nostra195 e la n'drangheta, come accertato dalla già citata operazione Olimpia del '95. Risulta anche provato il coinvolgimento della loggia massonica P2 (cui appartenevano diversi militari coinvolti) e di Licio Gelli, che si ipotizza addirittura essere stato l'autore del contrordine196, il cui ruolo, tuttavia, non si vuole qui approfondire. E', infine, emerso nelle ultime inchieste giudiziarie il fatto che i comandi NATO fossero informati del tentativo. Non è ancora univoca l'interpretazione dei fatti della notte tra il 7 e l'8 dicembre, anche se effettivamente, nonostante l’effettiva gravità dei fatti, non appare del tutto plausibile identificare la vicenda con un vero e proprio progetto di colpo di stato. Fa giustamente notare Giorgio Galli che: "Se i vertici militari vi avessero pensato, l'avrebbero gestito in proprio, non ne avrebbero affidato l'esecuzione a un ex ufficiale di Salò, il meno adatto di tutti a dire alla Tv, come pensava: «lo Stato avrà una sola bandiera: il nostro glorioso tricolore»; e: «la formula politica che per un venticinquennio ci ha governato e ha portato l'Italia sull'orlo dello sfacelo politico e morale ha cessato di esistere». Questo linguaggio del vecchio fascismo aveva il consenso di un italiano su venti, mentre quasi la metà dei cittadini votava a sinistra"197
195
Sul punto hanno fatto dichiarazioni Tommaso Buscetta, Nino Calderone e Luciano Leggio. Tutti ammettono i tentativi di coinvolgere Cosa Nostra nel colpo di stato. Leggio, tuttavia, ha affermato in tribunale che la partecipazione delle cosche non ci fu perchè Borghese pretendeva le liste dei mafiosi partecipanti al tentativo, e che essi indossassero un braccialetto di riconoscimento il giorno del tentativo. Calderone invece ha raccontato dell'invio a Roma di Natale Rimi, cui fu poi ritirata l'arma. Alfio Caruso, oltre a riportare tali dichiarazioni, racconta che "La tradizione orale che da un quarti di secolo fa il giro dell'isola narra, invece, un'altra storia. La storia dei cinquecento picciotti armati di tutto punto e imbarcati lungo la costa fra Trapani e Palermo, condotti nel porto di Civitavecchia e lì in attesa del segnale per irrompere nella capitale. Quel segnale però non giunse, e i cinquecento furono rimandati indietro" (Cfr. A.Caruso, Da Cosa nasce Cosa. Storia della mafia dal 1943 a oggi, Milano, Longanesi, 2000, pp.212-213) 196
Si veda a proposito M.Della Campa, G.Galli, La Massoneria Italiana…, op. cit., pp. 208-211 e P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.262-266 197
M.Della Campa, G.Galli, La Massoneria Italiana…, op. cit., pp. 210-211
202
Sembra quindi credibile interpretare la vicenda come un nuovo tentativo di influenzare l'asse politico in direzione di una stabilizzazione moderata e conservatrice effettuato dalle correnti conservatrici e anticomuniste presenti nel mondo politico, nell'esercito e nei centri di potere occulti (quali appunto la P2), con il contemporaneo obiettivo di colpire le forze più oltranziste orientate verso il golpe vero e proprio. La questione, comunque, non è del tutto chiarita. L'aspetto che interessa in questa sede, tuttavia, è ancora una volta la presenza dei gruppi della destra radicale in alleanza con altre forze per un tentativo di sovvertire l'ordine democratico. Nella vicenda del golpe Borghese, tuttavia, le formazioni dell'estrema destra sembrano svolgere un ruolo prevalentemente subalterno, non tanto dal punto di vista numerico, dato che moltissimi militanti sono coinvolti nell'azione, con la partecipazione diretta anche di Stefano Delle Chiaie, quanto sotto l'aspetto politico della vicenda, poiché tali gruppi eversivi sembrano
essere
stati
utilizzati
in
funzione
di
un
"colpo
d'avvertimento"198 al potere politico, in particolare alla DC. Infine, il golpe Borghese, all'interno della scansione temporale delineata in precedenza, sembra chiudere il periodo dei tentativi di golpe veri e propri. Si comprende, cioè, che l'Italia non è la Grecia, nè un paese sudamericano, bensì una nazione con una sinistra molto forte radicata nella società, e che per cambiare gli equilibri politici "bisogna fare appello non alla forza militare, ma a piani più raffinati di modifiche costituzionali"199. Comincia, a questo punto, una nuova fase, che si concluderà solo nel 1974, e che vedrà insieme residui tentativi delle forze filogolpiste, e un'azione di sganciamento condotta da settori degli apparati istituzionali nei confronti dei gruppi dell’estrema destra.
198
Ibidem, p.209
199
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p. 70
203
CAPITOLO 6 .................................................................................... 204 Dal 1971 al 1974. I gruppi di estrema destra e le strategie golpiste . 204 6.1 L’estremismo di destra nei primi anni ’70. Militanza e strategie ........................................................................................................ 204 6.2 La strage di Peteano ................................................................. 218 6.2.1 La strage ............................................................................. 218 6.2.2 I depistaggi e i collegamenti con gli apparati istituzionali. 228 6.3 La strage di via Fatebenefratelli e la strategia golpista del ‘73. Piazza Fontana: un golpe mancato? ............................................... 233 6.3.1 La strage di via Fatebenefratelli ......................................... 233 6.3.2 Le strategie golpiste del ’73 ............................................... 236 6.3.3 Il MAR................................................................................ 238 6.3.4 La Rosa dei Venti ............................................................... 242 6.4 Il 1974....................................................................................... 246 6.4.1 Introduzione........................................................................ 246 6.4.2 Gli attentati della primavera '74 ......................................... 250 6.4.3 La strage di Piazza della Loggia ........................................ 252 6.4.4 La strage del treno Italicus e il «golpe bianco».................. 256
CAPITOLO 6 Dal 1971 al 1974. I gruppi di estrema destra e le strategie golpiste
6.1 L’estremismo di destra nei primi anni ’70. Militanza e strategie
Nel capitolo precedente si sono ricostruite le principali attività dei movimenti dell’estrema destra nel periodo ‘66-’70, con particolare attenzione al biennio ‘69-’70, nel quale si è visto che alcuni gruppi del radicalismo nero sono coinvolti direttamente nella strategia della tensione. Sembra in special modo accertata la responsabilità delle cellule terroristiche legate a Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale nell’attuazione di una campagna di attentati culminante con la strage di Piazza Fontana, nonché il coinvolgimento dei militanti di estrema destra in attività di provocazione ed infiltrazione ai danni dei gruppi dell’estrema sinistra (è da rilevare ad esempio che ritenuti gli unici colpevoli dei tragici avvenimenti milanesi sono, fino al 1971, i componenti di un gruppo di anarchici in realtà innocenti, come proveranno i processi celebrati dopo diversi anni dall'eccidio alla Banca dell’Agricoltura). E’ peraltro da sottolineare che, se è vero che tutti i militanti
dell’estrema
destra
condividono
il
medesimo
substrato
ideologico antidemocratico e antisistema, solo una parte di essi viene direttamente implicata in pratiche terroristiche. Sul rapporto esistente tra estremismo politico e adesione alla lotta armata, sono molto precise le parole del giudice Giovanni Tamburino, quando afferma che:
204
“E’ certamente vero che l’estremismo di destra, come quello di sinistra, sono nel nostro paese fenomeni estesi, con dimensioni che possiamo definire di massa. Ma una cosa è la cultura o la politica dell’estremismo, di destra o di sinistra, e altra cosa è la storia del terrorismo. Le dimensioni, le realizzazioni, le impunità – in una parola la storia del terrorismo – non possono essere viste come una variabile dipendente dalla qualità o dalla dimensione del radicalismo, di destra o di sinistra, ma sono state una variabile dipendente in misura decisiva dalla funzionalità del terrorismo rispetto a una lotta politica esterna”1 Tuttavia, pur essendo il dispiegarsi del terrorismo di marca neofascista strettamente legato al contesto storico-politico, l’universo ideologico proprio dei gruppi dell’estrema destra, riveste una certa importanza nel connotare il percorso e l’operare dei militanti. La funzione esercitata dall’ideologia nei gruppi della destra radicale, in primo luogo, è quella di proporre “una visione semplificata, puerile, mitologica”2 del reale, ciò che costituisce un fattore centrale nella sua capacità di attrazione. Caratteristica della militanza nell’estremismo di destra, è la percezione di sé come appartenente ad una minoranza eroica, sconfitta dalla storia, secondo un percorso di autovittimizzazione che vede i propri richiami storici nel fascismo e nel nazismo, la cui epopea viene “intesa come mito e come eredità che viene consegnata alle nuove generazioni neofasciste”3. E tale autoraffigurazione trova conferma nella stigmatizzazione e nell’isolamento che circonda i giovani
1
G.Tamburino, Le stragi e il loro contesto, in P.Corsini, L.Novati, L'eversione nera..., op.cit., p.139
2
M.Fiasco, La simbiosi ambigua. Il neofascismo, i movimenti e la strategia delle stragi, in R.Catanzaro, Ideologie, movimenti, terrorismi, op.cit., p.186 3
Ibidem, p.159. In questo processo di autovittimizzazione, il richiamo agli eroi negativi porta ad identificarsi con la vittima per antonomasia, che è appunto la parte sconfitta di un conflitto bellico. Da ciò deriva la capacità di attrazione del modello etico e mitologico del regime nazionalsocialista e del fascismo della RSI, di una generazione di giovani che “si batté dall’Atlantico al Volga perché l’Europa vivesse” (M.Mainardi, “L’atlantismo non è la nostra bandiera”, Riscossa, 28.10.1970, p.2,cit. in R. Chiarini e P. Corsini, Da Salò a Piazza della Loggia, op.cit., p.290)
205
di destra negli anni in cui la partecipazione giovanile è volta prevalentemente verso i movimenti di sinistra, un’emarginazione che non viene solo subita, ma anche cercata “dai leader dei vari gruppi neofascisti”4. Il percorso di autovittimizzazione connota anche la percezione del sistema sociale e istituzionale, e degli avversari, identificati, di volta in volta, nei magistrati, nei poliziotti, nei militanti comunisti, nei delatori, che costantemente “aggrediscono e vanno ricambiati con la stessa moneta”5, secondo una rappresentazione della realtà stilizzata e primitiva. L’ideologia di estrema destra opera una radicale svalutazione della realtà in cui i militanti si trovano a vivere, una svalutazione che si intensifica progressivamente nel percorso del militante dall’attività legale alla clandestinità, condizione nella quale il mondo esterno al gruppo clandestino “è insignificante, e i rapporti limitati alla cerchia dei camerati divengono la totalità"6. La violenza, in questo contesto, appare lo strumento di affermazione della propria identità e appartenenza al gruppo, e della propria estraneità alla società e alle sue norme condivise. E’ proprio la radicale svalutazione dell’esistenza esterna alla comunità neofascista, che fonda la legittimità della “soluzione finale degli avversari [che è] conseguenza del porsi del gruppo neofascista come realtà che esclude ogni alterità”7. Ed è in questa prospettiva che appare la centralità del tradizionalismo evoliano per l’ambiente della destra radicale, nel quale esso rappresenta non tanto un supporto ideologico per la prassi armata, quanto “un patrimonio di metafore, di idealizzazioni a cui attingere […] per riceverne una sanzione del sentimento di estraneità, della pulsione verso la rottura delle norme”8.
4
M.Fiasco, La simbiosi ambigua…, op.cit., p.158
5
Ibidem, p.159
6
Ibidem, p.160
7
Ibidemk p.187
8
Ibidem, p.189
206
Un altro aspetto rilevante nell’analisi, è quello relativo al rapporto tra i gruppi della destra radicale e il MSI. Si tratta di un legame non lineare, caratterizzato da aree di contiguità anche ad alto livello e, al contempo, di contrasti spesso molto intensi. Come si è detto in precedenza, l’immobilismo micheliniano del quindicennio precedente, fortemente osteggiato dall’area dei movimenti di estrema destra esterni al partito, lascia il posto nel ’69 alla più dinamica direzione di Giorgio Almirante, che mira, attraverso una strategia del “doppio binario”9, da un lato all’accreditamento del MSI come forza d’ordine, e dall’altro alla partecipazione e alla fomentazione dello scontro con gli avversari politici, con un rinnovo e un’estensione dell’attivismo squadristico. Anche la nuova fase, comunque, è caratterizzata da un rapporto non lineare con le frange più estremiste della destra, che registra da una parte il ritorno nell’alveo missino degli aderenti a Ordine Nuovo guidati da Pino Rauti, e militanti del MSI uniti a quelli dei gruppi del radicalismo nero nelle violenze di piazza e nelle manifestazioni. Dall’altra, una dinamica complessa che vede partito e movimenti anche in forte conflitto. Se da un lato, infatti, c’è la comune partecipazione alla mobilitazione anticomunista e la disponibilità all’alleanza in vista di una possibile crisi e caduta del regime democratico, dall’altro, si ha la critica violenta espressa da numerosi esponenti dell’estremismo di destra al conservatorismo e al moderatismo del MSI, appena temperata dalla stima personale goduta da Almirante (“il più preparato ed intelligente tra gli uomini di destra”10). Accuse rivolte alla dirigenza anche da esponenti delle organizzazioni giovanili dello stesso partito. E’ la contraddittorietà della linea politica missina a rendere ambiguo il complesso di rapporti con i gruppi della destra radicale, le cui attività violente, vengono difese e protette quando rientrano nella logica del partito, e denunciate
9
P.Corsini, Il neofascismo bresciano tra “doppiopetto” e “alternativa rivoluzionaria” (1969-1974), in P.Corsini, L.Novati, L'eversione nera..., op.cit., p.192
10
M.Mainardi, “Il coraggio di dire no”, Riscossa, 30.11.1972, p.1, cit. in R. Chiarini e P. Corsini, Da Salò a Piazza della Loggia, op.cit., p.315
207
quando ne vanno a danno. Le accuse di strumentalizzazione e di tradimento rispetto alla base militante, presenti in tutto il periodo, si intensificano in special modo a partire del ’73, con il già citato episodio dell’uccisione dell’agente Marino durante una manifestazione missina non autorizzata. “La prima volta che mi sono sentito strumentalizzato e ho cominciato a prendere coscienza di tutta una serie di fattori è stato nel ’73 […] C’erano pesanti responsabilità parlamentari del Movimento Sociale che però non sono mai emerse”11 Proprio tale episodio, appare come momento di intensificazione della distanza tra dirigenza missina e giovani iscritti o simpatizzanti del partito, favorendone l’approdo ad organizzazioni extraparlamentari di destra,
caratterizzate
dall’impegno
politico
più
coerentemente
antisistema, in particolare nel rifiuto dell’ordine democratico12. E’ forte, nei
militanti
dell’estrema
destra,
la
percezione
della
propria
strumentalizzazione in chiave politica, atteggiamento che, come già detto, spingerà molti giovani ad abbracciare la via più radicale della lotta armata:
11
E.Pisetta, Militanza partitica e scelte eversive nei terroristi neofascisti, in R.Catanzaro, Ideologie, movimenti, terrorismi, op.cit., p.196 12
Sul punto, afferma Vincenzo Vinciguerra: “Dunque uscii dal MSI perché vidi che era un partito come tutti gli altri, non soltanto un partito come tutti gli altri nella sua struttura, nella sua organizzazione, con i suoi burocrati, i suoi impiegati, …la sua inattività politica. C’erano dei punti di discordanza notevolissimi, punti di discordanza tra i quali il primo si basava proprio sulla concezione dello stato, o almeno del rapporto che allora dovevamo avere con lo stato; se questo stato, se questo regime era un regime nato in opposizione a quello che era stato il fascismo, io non vedevo il perché di accettare i gioco interno di questo regime. Cioè, io parlamentarismo dell’eccesso o la sudditanza, meglio ancora, nei confronti dello stato e delle istituzioni dello stato a me non andava. Lo trovavo contraddittorio, non si potevano fare discorsi rivoluzionari in federazione e poi prostrarsi di fronte alla questura o di fronte ai carabinieri; non si poteva parlare di lotta al sistema e poi ascoltare i discorsi di Michelini e dello stesso Almirante. Cioè, c’era una contraddizione evidente, latente, palese ai miei occhi, e la risolsi uscendo dal MSI” (cit. in E.Pisetta, Militanza partitica e scelte eversive nei terroristi neofascisti, op.cit., p.203)
208
“Non si può perdonare il fatto che, per esempio, venissero mandati i ragazzi, davanti alle scuole, del Fronte della Gioventù a dare i volantini, quando si sapeva benissimo che davanti a queste scuole sarebbero stati sprangati …a noi parve chiaro che il partito aveva bisogno dei morti, dei morti in questo senso: loro speravano che forse ci fosse qualche vittima davanti alle scuole per dimostrare che la violenza era comunista”13 Per ciò che riguarda più specificamente i collegamenti del partito con le cellule terroristiche di estrema destra, si deve sottolineare anche in questo caso la complessità e l’ambiguità che li caratterizza. Ciò a partire dalla presenza nel MSI di Pino Rauti, destinato, nel decennio successivo ad occuparne, la massima carica. Gli stretti legami di Rauti con molti dei maggiori esponenti del terrorismo di destra sono certi. Non si può, comunque, dare per scontata l’adesione del fondatore di Ordine Nuovo all’elaborazione dei progetti del terrore, pur essendo conosciuti anche i rapporti da egli tenuti con la centrale portoghese dell’Aginter Press.
Sembra
però
che,
pur
essendo
collocato
su
posizioni
antisistema, Rauti non abbia partecipato in prima persona al dilagare della pratica terroristica, come peraltro sempre ribadito14 dallo stesso ex-leader missino. Tuttavia, pur essendo esagerata la percezione del MSI come responsabile ultimo dell’attacco portato alle istituzioni repubblicane, restano accertati, in un complesso di rapporti ancora non pienamente chiarificato,
“l’atteggiamento,
mai
smentito,
di
«comprensione»,
ideologica se non politica degli estremisti di destra e persino degli
13
Intervista al terrorista di destra A.D’I., p.57, cit. in E.Pisetta, Militanza partitica e scelte eversive nei terroristi neofascisti, op.cit., p.201 14
Va rilevato che Rauti, in precedenza già coinvolto in procedimenti giudiziari per strage ma sempre prosciolto, risulta al momento inquisito per un suo presunto coinvolgimento nella strage di piazza della Loggia (si veda A.Trocino, N.Vallini, “Rauti indagato per strage”, Corriere della Sera, 16.10.1999)
209
eversori”15, e la presenza di collegamenti anche a livello elevato tra singoli esponenti dell’eversione di destra (dei quali la maggior parte aventi un passato nel Movimento Sociale) e dirigenti missini, nonché episodi di coinvolgimento e di contiguità tra gli ambienti partitici e quelli dell’eversione di destra16. Ritorniamo, ora, alla ricostruzione delle attività dei gruppi della destra radicale nel periodo oggetto d’analisi. Nel ’69, appunto, vengono elaborati i disegni terroristici delle cellule venete, friulane, e romane. L’autunno vede, tuttavia, la scissione di una parte di Ordine Nuovo, che, guidata da Rauti, rientra nel MSI. Tale frattura viene spiegata da alcuni come «strumentale», cioè come mezzo per proteggere una parte dei dirigenti dell’estrema destra dalle inchieste e per continuare a dirigere le fila dell’eversione di destra in modo occulto17. Quello che avviene, probabilmente, è invece una sostanziale divisione all’interno delle frange più estremiste del radicalismo di destra sulla portata del progetto eversivo, pur rimanendo frequenti contatti e frequentazioni tra i diversi esponenti dell’estrema destra italiana18.
15
R. Chiarini, Destra italiana. Dall'unità d’Italia a Alleanza Nazionale, op. cit., p.132
16
Valga come esempio il citato episodio della manifestazione del 12..1973 culminante nell’uccisione dell’agente Marino, in cui sono coinvolti il dirigente nazionale del MSI Servello e giovani vicini al gruppo La Fenice di Rognoni, la cui presenza è certa in almeno due episodi di strage 17
E’ stato ipotizzato che Ordine Nuovo sia rientrato nel MSI (proprio alla vigilia della stagione stragista del ‘69-’74) per servirsi del partito come copertura. L’invito di Rauti ad “aprire l’ombrello”, cioè, viene interpretato come invito a rientrare nel MSI per sfuggire alla pioggia di inchieste che si sta per abbattere sull’area della destra radicale. Secondo Vinciguerra non è una coincidenza che Ordine Nuovo rientri nel MSI. “E’ un’affermazione perentoria che le scissioni che ci sono state – Ordine Nuovo che esce dal MSI, Avanguardia Nazionale che esce da Ordine Nuovo – sono state più che altro strumentali. Esse hanno infatti garantito il controllo pressoché assoluto dell’estremismo di destra da parte di pochi uomini che, al livello di vertice, sono sempre stati in contatto tra loro”. (Cfr. M.Dianese-G.Bettin, La strage..., op.cit., pp. 72-74). Non convince, di questa ricostruzione, il fatto che una parte di Ordine Nuovo rimanga all’esterno del partito, e precisamente il gruppo più estremista e intransigente, nonché il più coinvolto nella pratica terroristica. Se la scissione di ON è stata strumentale, perché lasciare fuori dal partito proprio gli elementi che più avrebbero bisogno di protezione dalle possibili inchieste future? 18
Cfr. G.Galli, La Destra in Italia, Milano, Gammalibri, 1983, pp.50-53
210
La destra radicale è, inoltre, intensamente impegnata nel mettere in atto progetti autoritari in collaborazione con altre forze, come attesta la vicenda del golpe Borghese. Gli uomini dell’estremismo «nero», in particolare, sembrano agire in collaborazione (e in parte anche all’interno) con le reti clandestine anticomuniste (come hanno mostrato le inchieste più recenti che individuano in Carlo Digilio l'uomo di collegamento tra le cellule ordinoviste e le reti NATO) e con gli esponenti di quei settori delle istituzioni e delle forze armate che ritengono che, per contrastare l’avanzata della sinistra, sia necessario e legittimo
l’utilizzo
del
repertorio
delle
tecniche
della
guerra
rivoluzionaria, in una prospettiva in cui, il comunismo, si starebbe lentamente infiltrando nella società e nella popolazione. L’obiettivo finale è quello di una stabilizzazione, intesa da alcuni settori come creazione di un regime militare o comunque autoritario a seguito dello stato di caos seguente all’applicazione delle strategie della guerra nonortodossa. Per altri, invece, si tratta di determinare un’emarginazione delle forze di sinistra con l’obiettivo ultimo di una svolta conservatrice, all’interno però di assetti democratici, preferibilmente corretti in senso presidenziale (ma “con un forte restringimento dei diritti civili e degli ambiti di libertà individuale
e sindacale”19). Una svolta certamente
reazionaria, non però di stampo golpista. Lo sviluppo del terrorismo e delle trame antidemocratiche sembra fondare la propria esistenza nel processo di avvicinamento tra le strategie politiche anticomuniste attuate dagli apparati di forza occidentali e l’estremismo di destra. Questa ipotesi interpretativa è sostenuta tra gli altri da Giorgio Galli, e sembra trovare riscontri crescenti anche con nelle più recenti indagini sui fatti di strage: “I servizi segreti e di sicurezza operano nell’ombra, perché è tale il loro compito istituzionale. Questo modo di operare è diventato una teoria politica alla luce delle esperienze della lotta al comunismo
19
Commissione Stragi, Luci sulle stragi..., op. cit., p.94
211
nell’arco di mezzo secolo. Questa teoria politica incontra sul suo cammino la cultura politica del radicalismo di destra, formatasi e tramandata in generazioni e generazioni di storia dell’Occidente”20 Anche il periodo successivo al tentato golpe Borghese (19711974) è per la destra radicale molto intenso, caratterizzato da dinamiche non sempre lineari e a volte contraddittorie. La destra, infatti, rinnova con forza la sua adesione a progetti autoritari, fornendo, in primo luogo, la manovalanza per compiere attentati in vista delle scadenze
golpiste.
Le
strategie
politiche
appaiono
provenire
dall’esterno dell’area. “La destra rivoluzionaria è senza progetto politico”21, presta le sue truppe allo schieramento anticomunista: “il golpismo diventa la nostra tattica […] perché attraverso di esso ci si può liberare del comunismo, che è il nemico più importante […] nella seconda fase si potrà fare la rivoluzione”22. Allo stesso tempo, lentamente,
comincia
a
prevalere
all’interno
degli
apparati
un
atteggiamento teso a liquidare la manovalanza terroristica, nel quadro, tuttavia, di una conflittualità che attraversa i settori dell’esercito, dei servizi e della politica coinvolti. Ciò produce un atteggiamento contraddittorio da parte dello stato, che da un lato mette in atto un’offensiva contro le cellule dell’estrema destra implicate, con l’apertura dell’istruttoria contro Ordine Nuovo, gli impulsi dati al procedimento giudiziario per il golpe Borghese e lo sviluppo delle inchieste contro i neofascisti sospettati di coinvolgimento nello stragismo, mentre dall’altro sono attivi processi di saldatura tra altri settori degli apparati di forza e l’estremismo nero, come attesta la vicenda dei MAR di cui si parlerà più avanti.
20
G.Galli, La Destra in Italia, op.cit., pp.62-63
21
M.Fiasco, La simbiosi ambigua…, op.cit., p.189
22
Intervista al terrorista di destra S.C. (si tratta probabilmente di Sergio Calore), cit. in M.Fiasco, La simbiosi ambigua…, op.cit., p.170
212
All’interno di questo quadro, nel periodo tra il ’71 e il ’74, la destra
radicale
pone
in
esecuzione
molteplici
linee
operative.
All’esterno, appunto, con il sostegno a progetti antidemocratici; all’interno dell’area, con una riorganizzazione dei movimenti, come conseguenza dell’avviarsi della dissoluzione dei gruppi storici a seguito delle istruttorie in corso, nel tentativo di non disperdere “l’eredità ideale di Ordine Nuovo”23. L’obiettivo, perseguito con una varietà di iniziative spesso anche “sovrapposte e intersecantesi”24, è quello di riaggregare i militanti storici in nuove formazioni e, al contempo, di estendere il reclutamento e l’influenza dei gruppi alle ultime generazioni. Vengono così costituiti numerosi centri studi e circoli culturali, per compattare l’ambiente di destra e fungere da struttura di appoggio logistico e di copertura alle attività illegali dei militanti, con supporto a latitanti, occultamento di armi ecc. E’ da sottolineare che, comunque, non tutti i gruppi di destra sono coinvolti in azioni di grave violenza o di terrorismo. Tra i circoli più importanti si deve annoverare il Circolo Drieu La Rochelle di Tivoli, fondato da Paolo Signorelli25 nei primi anni ’70. Leader del gruppo, oltre a Signorelli, sono Fabio De Felice e Pier Luigi Concutelli, il futuro killer del giudice Vittorio Occorsio. Nel periodo che va dal 1972 e il 1974 fa la sua comparsa anche un nuovo gruppo, Ordine Nero. Ad esso sono attribuiti circa quarantacinque attentati compiuti tra la fine del 1973 e l'inizio del 197526. All'ambiente di ON, al di là delle risultanze processuali, 23 24
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.242 Ibidem
25
Paolo Signorelli, ex-professore di filosofia e ordinovista della prima ora, rientra con Rauti nel MSI di Almirante nell’autunno ’69, staccandosene successivamente per fondare il gruppo di Tivoli, cui appunto assegna il nome di Circolo Europeo Drieu La Rochelle. Lo scopo è quello di costituire un polo di aggregazione, funzione che effettivamente il gruppo svolge già prima dello scioglimento del MPON di Clemente Graziani, subendo anche diverse metamorfosi e trasferendosi poi a Roma. Diversi militanti del gruppo saranno coinvolti in numerose vicende processuali, a partire da quelle gravissime del treno Italicus e della strage di Bologna. Una corrente del circolo di Tivoli, capeggiata da Sergio Calore e Paolo Aleandri, darà vita, nella seconda metà degli anni ’70 all’iniziativa di Costruiamo l’azione.
26
Cfr. F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.243
213
sembrano potersi ascrivere le due stragi più gravi del '74, quella di Piazza della Loggia a Brescia, e quella del treno Italicus. Di Ordine Nero non sono mai stati svelati i contorni precisi. Ad esso aderiscono comunque una serie di gruppi minori, tra cui le SAM (Squadre d'Azione Mussolini), il gruppo La Fenice di Milano, che le indagini più recenti (come visto nel capitolo precedente), hanno svelato essere, sostanzialmente, la succursale milanese di Ordine Nuovo, una cellula terroristica in stretto contatto con quelle venete e fortemente coinvolta negli attentati di Piazza Fontana e della Questura, nonché in altri gravi eventi di cui si dirà più avanti27. L'organizzazione ha, inoltre, "almeno sette unità territoriali"28, tra le quali particolare rilevanza (per l'entità e la gravità delle attività svolte) assumono le cellule toscane, i cui leader di spicco sono Mario Tuti e Augusto Cauchi. Ordine Nero appare caratterizzato da legami di tipo organizzativo-logistico più che da dinamiche di tipo movimentistico. Lo scopo principale del gruppo è l'attuazione di attentati strumentali alla realizzazione di progetti golpisti in alleanza con altre forze di diversa estrazione (alleanza che, come nel caso del MAR di Carlo Fumagalli del quale si parlerà più oltre, appare molto stretta). Nelle attività di Ordine Nero, è peculiare il ricorso all’azione «coperta», non rivendicata. Da un lato, il gruppo agisce «ufficialmente», portando a termine attentati incruenti, dimostrativi, dei quali viene riconosciuta la paternità con lo scopo di "raccogliere consensi e di catalizzare i vari momenti di protesta presenti nella società"29.
27
Da ciò che emerge nelle indagini più recenti per le stragi di Milano, Brescia e Bologna, il gruppo milanese guidato da Giancarlo Rognoni e comprendente, tra gli altri, Nico Azzi, Piero Battiston, Fabrizio Zani e Cesare Ferri, appare pesantemente implicato nei principali episodi di strage avvenuti tra il '69 e il '74.
28
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.243
29
Attentati Toscani, Assise, 160-161; 306, cit. in F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.247
214
Su un altro piano, quello degli attentati più gravi e delle stragi (mancate e riuscite), Ordine Nero agisce in modo occulto (anche nei confronti di numerosi militanti), con il fine di "favorire la diffusione indiscriminata del terrore"30. L'attentato non rivendicato, modalità operativa massicciamente presente31 nell'eversione di estrema destra, è appunto connessa alla necessità di creare uno stato di instabilità e di panico progressivo nel paese, per suscitare una richiesta d'ordine o per giustificare un'eventuale colpo di stato, che troverebbe nella artificiosa situazione di tensione la propria giustificazione. Questa interpretazione, ovviamente, vale in special modo per le stragi e per gli atti di sabotaggio più pericolosi, spesso connessi in modo preciso a disegni eversivi che coinvolgono apparati dello stato e organizzazioni diverse da quelle dell'estremismo di destra. La strategia golpista è ben delineata anche nelle dichiarazioni rese da alcuni ex-terroristi, in particolare per ciò che riguarda il periodo '73-'74: "Nel '74 si verifica una maggiore integrazione tra il politico e il militare, in quanto si parlava della possibilità che si verificasse una specie di colpo di stato. [E poi] l'entrare in rapporto con persone che sviluppano altri tipi di attività… si manifesta come potenziamento delle nostre capacità"32
30
Ibidem
31
Il rapporto tra attentati rivendicati dagli estremisti di destra (133) e quelli loro attribuiti (1339) dimostra in modo inequivocabile che il terrorismo di destra ha scelto di gran lunga l'opzione dell'azione coperta, non rivendicata (Cfr. R.Minna, Il terrorismo di destra, op. cit., p.51) 32
Intervista al terrorista di destra S.C. (si tratta probabilmente di Sergio Calore), cit. in M.Fiasco, La simbiosi ambigua…, op.cit., p.170
215
" […] se ne parlava di uno al giorno … si viveva in un'atmosfera incredibile, creata da falsi, veri, presunti colpi di stato che erano per avvenire"33 Nella fase '71-'74, infine, si afferma l'utilizzo del terrorismo indiscriminato da parte della destra eversiva, a differenza di ciò che era avvenuto in precedenza, quando il ricorso a pratiche terroristiche aveva presentato carattere sporadico e occasionale, stante anche la non scontata condivisione da parte dei militanti dell'area. In questo periodo, invece, il ricorso sistematico al terrorismo (come dimostra anche il forte incremento degli episodi terroristici) "si afferma come una scelta largamente accettata dagli aderenti ai gruppi"34. In conclusione, è comunque da ribadire che l'adesione dei gruppi della destra radicale al golpismo è da collocarsi in una prospettiva più vasta, nella quale operano forze diverse (movimenti dell'anticomunismo «bianco», gruppi di ufficiali dell'esercito e dei carabinieri, Rosa dei Venti, logge massoniche deviate ecc.) volte "a far lievitare, sull'onda di campagne terroristiche, un mutamento istituzionale di regime"35. In tale quadro, i militanti della destra radicale, pur rendendosi responsabili dei più gravi fatti di sangue del periodo, agiscono in posizione spesso subalterna, soprattutto, per ciò che riguarda le linee politiche da seguire (anche se ciò non esclude la messa in atto di numerose attività autonome), come sembrano dimostrare anche alcune affermazioni attribuite a diversi capi storici36 dell'area.
33
Intervista al terrorista di destra M.M., con particolare riferimento al contesto del neofascismo milanese del '72-'73, cit. in M.Fiasco, La simbiosi ambigua…, op.cit., pp.170-171 34
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.245
35
R. Chiarini e P. Corsini, Da Salò a Piazza della Loggia, op.cit., p.327
36
"Se io dovessi dire attraverso quali mezzi Ordine Nuovo si prefiggeva di conquistare il potere, io non lo so. E in effetti non ci avevano pensato neanche loro, i capi. Clemente Graziani, quando ci trovavamo qualche volta a cena, diceva: «speriamo che non ci danno il potere, se no non sappiamo che farcene» […] La
216
Si passa ora ad analizzare, in modo più preciso, gli avvenimenti del periodo che coinvolgono la destra radicale, anche se saranno trattate anche vicende non connesse direttamente all'estremismo «nero» ma, per diverse ragioni, ad esso collegate.
visione sociale che si ha nell'ambiente neofascista è estremamente semplificata […] Non si immagina la complessità; nonostante si parli del sistema, non si trae la conseguenza della valutazione di questo termine: si immagina che la società sia dominabile sul piano della forza"(Intervista al terrorista di destra S.C., cit. in M.Fiasco, La simbiosi ambigua…, op.cit., p.170). "[…] Signorelli ha gestito tutte le iniziative e tutti i fallimenti. Ciò non toglie che riuscisse a presentare sempre la propria posizione come una mossa tattica. Ma in realtà non esisteva più una linea, o meglio non è mai esistita una linea politica" (Ibidem). Queste osservazioni mostrano la limitatezza e le semplificazioni insite nella prospettiva politica dei leader della destra radicale, che sostanzialmente si limitava all'appoggio all'ipotesi golpista. Signorelli, in particolare, insiste su questa linea, come ricorda ancora Sergio Calore: "Fino a quando non accadde l'episodio di Pian del Rascino […] Signorelli disse sempre che era possibile o addirittura imminente un golpe di destra durante il quale avrebbero dovuto dare un contributo di fiancheggiamento …il progetto politico di Signorelli…era questo: creare una situazione insurrezionale in grado di provocare l'intervento di reparti militari regolari che di loro iniziativa avrebbero effettuato il colpo di stato, dentro il quale i nostri gruppi avrebbero avuto la funzione di Guardie della Rivoluzione" (Attentati Toscani, Assise, 291-292, cit. in F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.246). Un altro ex-militante di destra coinvolto nei processi per strage attribuisce a Signorelli la stessa linea: "Signorelli…era fautore di una linea politica che prevedeva l'appoggio dei militari…era favorevolissimo ad un intervento militare però creato da cause destabilizzanti…voleva attentati 'istintivi', cioè sul pesante"(Assise Bologna, 1567, cit. in F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.246)
217
6.2 La strage di Peteano
6.2.1 La strage Nel maggio 1972, gli uomini della destra radicale si rendono responsabili di un altro gravissimo episodio. Dopo aver abbandonato una FIAT 500 imbottita di esplosivo in un bosco vicino a Peteano di Sagrado, in provincia di Gorizia, e aver sparato alcuni colpi di pistola contro il parabrezza dell’automobile, la sera del 31, con una telefonata anonima, attirano sul posto un pattuglia di carabinieri. Quando uno di essi alza il cofano, la bomba esplode, dilaniando tre militari, che muoiono sul colpo, e ferendone gravemente un quarto. E’ la strage di Peteano, per la quale sono stati condannati in via definitiva Vincenzo Vinciguerra, Ivano Boccaccio e Carlo Cicuttini, tutti appartenenti a Ordine Nuovo. L’episodio friulano, è il primo della lunga stagione del terrore per il quale i responsabili siano stati identificati e abbiano subito una condanna definitiva. Tale risultato processuale è stato in gran parte reso possibile dalle dichiarazioni di Vinciguerra, che nel 1984 si è autoaccusato
del
delitto,
subendo
per
questo
una
condanna
all’ergastolo. Quella di Vinciguerra è una figura centrale e atipica nel panorama nelle indagini sui fatti di strage avvenuti in Italia tra il ’69 e l’84. Egli ha iniziato a collaborare più attivamente con gli inquirenti solo dopo che la condanna all’ergastolo comminatagli è passata in giudicato, e rifiutando lo status di «pentito» o «dissociato», in modo tale da non ottenere, con le sue successive dichiarazioni, alcun sconto di pena. Prima di analizzare il contenuto delle rivelazioni di Vinciguerra, è importante ricostruire in sintesi la storia del gruppo terroristico cui egli apparteneva. Come si è detto, dalla seconda metà degli anni ’50 circa, sono operanti nel Triveneto numerose sezioni di Ordine Nuovo. Vincenzo Vinciguerra, insieme al fratello Gaetano, guida la cellula ordinovista di
218
Udine. Il gruppo è attivo a partire dalla fine degli anni sessanta. Le azioni dei militanti conoscono un crescendo che va dalla “propaganda attiva, risse e pestaggi degli avversari […] ed almeno un caso di autofinanziamento
tramite
rapina
a
un
ufficio
postale”37,
alla
radicalizzazione del ‘71-’72. In questo periodo, inizia l’utilizzo di esplosivo da parte del nucleo friulano, che si rende responsabile di diversi attentati. Gli obiettivi prescelti vanno dalla sede provinciale della Democrazia Cristiana di Udine, alle linee ferroviarie (in segno di protesta contro la visita ufficiale di Tito in Italia), al monumento ai caduti di Latisana, all'abitazione dell’onorevole missino Michieli Vitturi38. Il culmine viene raggiunto appunto nel maggio e nell’ottobre del ’72, con la strage di Peteano e con l’episodio all'aeroporto di Ronchi dei Legionari (6 ottobre ’72), che vede protagonista Ivano Boccaccio, ex paracadutista e militante di ON, in un tentativo di dirottamento, allo scopo di ottenere un riscatto per finanziare il gruppo. Il giovane spara sui poliziotti e, in un'azione convulsa, viene ucciso. E’ importante ricordare che le indagini chiariscono che ad acquistare la pistola, una Luger calibro 22, è stato Carlo Cicuttini39 (“già noto all’Arma”40), e che lo stesso Cicuttini e Vincenzo Vinciguerra, avevano comprato a Locarno il paracadute con il quale Boccaccio intendeva lanciarsi durante il prospettato tragitto aereo Ronchi dei Legionari – Roma (che in realtà non ebbe mai luogo). Si è detto che la ricostruzione dell’effettiva dinamica e delle
37
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.233
38
Cfr. Aa.Vv., La Strategia delle stragi dalla sentenza della Corte d'Assise di Venezia per la strage di Peteano, op.cit., p.328 39
La questione dell'espatrio di Cicuttini coinvolse in prima persona il segretario del MSI Giorgio Almirante, che fu incriminato per favoreggiamento aggravato dello stragista (l'accusa si riferiva ad un versamento di $ 34650 a favore di Cicuttini effettuato verso la Spagna dall'avvocato Eno Pascoli su ordine del segretario missino). L'intervento del MSI a favore di Cicuttini nell'ambiente era dato per certo. Almirante evitò il processo non rinunciando ad un'amnistia nel frattempo intervenuta.
40
Rapporto del gruppo dei carabinieri di Udine del 9.10.1972, cit. in Aa.Vv., La Strategia delle stragi dalla sentenza della Corte d'Assise di Venezia per la strage di Peteano, op.cit., p.124
219
responsabilità individuali nella strage friulana sono state rese possibili, in primo luogo, dalle dichiarazioni di Vinciguerra, del quale ora verrà tratteggiata brevemente la figura. Vinciguerra, latitante dal ’74 prima in Spagna (dove aderisce “ad Avanguardia Nazionale […] gravitando intorno all’immancabile Stefano Delle Chiaie”41) e quindi in Argentina, si costituisce nel ’79, poiché “la vita da latitante lo avrebbe costretto a compromettere la sua dignità di militante rivoluzionario”42. Come già detto,
Vinciguerra
nel
1984
confessa
la
sua
responsabilità
nell’attentato. Così egli delinea le motivazioni sottostanti alla strage: “Mi assumo la responsabilità piena, completa e totale della ideazione,
della
organizzazione
e
dell’esecuzione
materiale
dell’attentato di Peteano, che si inquadra in una logica di rottura con la strategia che veniva allora seguita da forze che ritenevo rivoluzionarie cosiddette di destra e che invece seguivano una strategia dettata da centri di potere nazionali e internazionali collocati ai vertici dello stato. Dopo essermi reso conto gradualmente che tutta l’attività politica svolta in quel momento da me (comprese le operazioni di sabotaggio) aveva assecondato i fini di forze a noi estranee ideologicamente e spiritualmente, decisi un’azione di rottura che segnasse un’inversione di tendenza
che
segnalasse
a
quanti
ritenevano
inaccettabile
il
proseguimento di una lotta politica strumentalizzata la necessità di dare il via a una battaglia politica indipendente contro il regime politico imperante e contro tutte le forze che questo regime appoggiavano e sostenevano al di là di contrasti che erano solo apparenti e non sostanziali. L’episodio di Ronchi dei Legionari prosegue la logica dell’attentato di Peteano, dovendo fornire quel supporto finanziario necessario per poter essere realmente indipendenti e permettere una presa di contato con ambienti italiani e stranieri. E ciò per verificare
41 42
Commissione Stragi, Il terrorismo, le stragi e il contesto storico politico, op.cit. Ibidem
220
quanti altri erano giunti alle mie stesse conclusioni”43 Vinciguerra afferma, quindi, la carica rivoluzionaria dell’episodio, al contempo, un atto di guerra condotto contro lo stato (nelle persone dei carabinieri) e un segnale rivolto ai gruppi e i militanti della destra radicale coinvolti nelle strategie di parte degli apparati di quel regime che volevano abbattere. E’ probabilmente per questo che quella di Peteano è l’unica strage rivendicata dalla destra rivoluzionaria. La sola per la quale, dato il suo carattere di azione diretta esclusivamente contro uomini dello stato (e non contro una folla indiscriminata), l’ammissione di responsabilità rendesse possibile non "dismettere la veste di combattente rivoluzionario”44, di «soldato politico» da parte del colpevole. Così egli spiega la sua volontà di collaborazione spontanea con gli inquirenti: “La mia decisione di contribuire a fare chiarezza intorno ad un periodo di tempo che si è caratterizzato anche per le stragi costantemente definite di marca ’fascista’, non trae origine da motivi di interesse personale bensì da una insopprimibile esigenza politica. Il fine politico che attraverso le stragi si è tentato di raggiungere è molto chiaro: attraverso gravi ‘provocazioni’ innescare una risposta popolare di rabbia da utilizzare poi per una successiva repressione. In ultima analisi il fine massimo era quello di giungere alla promulgazione di leggi eccezionali o alla dichiarazione dello stato di emergenza. In tal modo si sarebbe realizzata quella operazione di rafforzamento del potere che di volta in volta sentiva vacillare il proprio dominio. Il tutto ovviamente inserito in un contesto internazionale nel quadro dell’inserimento
43
V.Vinciguerra, interrogatorio del 28.6.1984, cit. in Aa.Vv., La Strategia delle stragi dalla sentenza della Corte d'Assise di Venezia per la strage di Peteano, op.cit., p.238-239 44
Aa.Vv., La Strategia delle stragi dalla sentenza della Corte d'Assise di Venezia per la strage di Peteano, op.cit., p. XIV
221
italiano nel sistema delle alleanze occidentali”45 Vinciguerra, inoltre, svela con le sue deposizioni che le sue azioni sono state coperte da depistaggi e protezioni dagli apparati statali da egli non richieste in alcun modo, e che ne hanno assicurato l’impunità fino al momento della sua consegna spontanea alle autorità46. E’ da ricordarsi, infatti, che le indagini degli inquirenti si rivolgono inizialmente verso una pista «rossa», abbandonata ben presto per la sua evidente inconsistenza. Ad essa si sostituisce una «pista gialla», basata sul presunto coinvolgimento di un gruppo di piccoli pregiudicati locali, che vengono fatti oggetto di lunghe indagini e vari giudizi fino al 1979, quando ne viene accertata definitivamente l’innocenza. E’ da sottolineare come l’informatore dei carabinieri (Walter Di Biaggio), sulle cui rivelazioni viene costruito l’impianto accusatorio, si rifiuti di riconoscere in tribunale le proprie dichiarazioni47. Una pista nera, imboccata dopo che Ventura afferma di poter dare indicazioni utili per smascherare i colpevoli della strage, viene abbandonata quasi subito, nonostante gli indizi che cominciano ad emergere. Sembra che tale decisione sia stata presa a seguito di una velina del SID (datata 6 novembre ’72) contenente precise dichiarazioni in tal senso48. A proposito dei depistaggi effettuati da appartenenti agli organi 45
V.Vinciguerra, interrogatorio del 29.6.1984, cit. in Aa.Vv., La Strategia delle stragi dalla sentenza della Corte d'Assise di Venezia per la strage di Peteano, op.cit., p.239 46
“Vincenzo Vinciguerra ‘sentiva’ di essere protetto, ma ‘avvertiva’ che si trattava di una tutela che solo indirettamente si prefiggeva l’impunità dei responsabili dell’atto terroristico. Egli, che pur si riconosceva assassino di innocenti, era disturbato da tale modo di agire, che lo coinvolgeva e che era diretto al risultato di una lotta politica che tutto rendeva legittimo, anche la copertura di un assassinio. […] «Automaticamente scattò a mio favore, senza che io l’avessi in qualche modo sollecitato o richiesto, una copertura da parte di tutti i servizi informativi» ” (Cfr. AA.VV., La strage di Bologna, op.cit., p.63) 47
Per un resoconto dettagliato delle indagini sulla strage di Peteano precedenti alle ammissioni di Vinciguerra, delle irregolarità e delle modalità di azione seguite da inquirenti e magistratura nella gestione del caso, si veda G.P.Testa, La strage di Peteano, Torino, Einaudi, 1976. E’ interessante notare come nel testo, scritto appunto nel ’76, vengono indicati i nominativi completi della cellula ordinovista di Udine (p.14), indicata come probabile responsabile dell’attentato 48
G.P.Testa, La strage di Peteano, op.cit., p.15
222
dello stato, pur non volendo entrare nei particolari della vicenda, è da ricordare la questione dei bossoli calibro 22 rinvenuti nei dintorni della cinquecento. Ivano Boccaccio, ucciso nella sparatoria all’aeroporto di Ronchi dei Legionari, viene infatti trovato in possesso della stessa arma utilizzata per esplodere i colpi contro il parabrezza dell’automobile esplosa a Peteano, arma poi risultata di appartenenza di Carlo Cicuttini. E’ palese il valore centrale di tale ritrovamento per accertare la responsabilità degli estremisti di destra appartenenti alla cellula di Udine. La prova viene tuttavia occultata, e i rapporti ad essa relativi sostituiti con altri recanti informazioni false sul calibro dei bossoli ritrovati, in modo tale da celare il collegamento tra i due episodi. Per il fatto sono condannati in via definitiva, nel 1992, il generale dell’Arma Dino Mingarelli e il colonnello Chirico a tre anni e dieci mesi e il perito balistico Marco Morin a due anni e sei mesi49. Vinciguerra ricorda inoltre come il SID fosse probabilmente a conoscenza dei responsabili della strage, come attesterebbe una conversazione avuta dal capitano La Bruna con Massimiliano Fachini50. Inoltre, Vinciguerra stesso ricorda come l’attribuibilità dell’attentato all’estrema fosse data per certa nell’ambiente. Per quanto riguarda le dichiarazioni e le rivelazioni dell’ex ordinovista friulano, sono da fare alcune precisazioni. In primo luogo è da notare come siano stati sollevati dubbi sulle motivazioni sottostanti alla sua decisione di confessare la propria responsabilità nella strage di Peteano. Suscita infatti numerose perplessità il significato di «rottura» da egli attribuito all'attentato. Una rottura da attuarsi contro la destra solo superficialmente rivoluzionaria (in particolare Ordine Nuovo), ma in
49
Cfr. M.Dianese-G.Bettin, La strage..., op.cit., p.33
50
Nella conversazione, l’ufficiale del SID, ritenendo erroneamente che Vinciguerra dipendesse gerarchicamente da Fachini, avrebbe detto testualmente all’estremista di destra, riferendosi all’episodio di Peteano, «ora basta fare fesserie» (Cfr. Commissione Stragi, Il terrorismo, le stragi e il contesto storico politico, op.cit.)
223
realtà legata51, tramite i servizi, a quel regime che si dipingeva come nemico. Un segnale lanciato "affinché la destra mutasse rotta"52. Tuttavia, ciò appare in contrasto con la condotta di Vinciguerra, che non rivendica la strage per dodici anni, cercando di nascondere le proprie responsabilità anche negli ambienti del radicalismo «nero». L'attentato di Peteano, inoltre, pur diversificandosi per essere stato compiuto a danno di militari e non di una folla indifferenziata, non appare avulso dalla linea seguita dalla cellula friulana fino ad allora (attentati ai treni ecc.), che prevedeva un utilizzo progressivo della violenza e del terrore, una strage indicata da Vinciguerra medesimo come "inserita a pieno titolo nella strategia della tensione"53. E ciò crea dei dubbi a proposito del carattere di discontinuità attribuito all’episodio dallo stesso reo confesso. Infine, dopo la strage, egli continua a rimanere in contatto con quegli ambienti ai quali avrebbe lanciato il suo segnale di rottura, richiedendo e ottenendo il sostegno e la collaborazione dei canali ordinovisti anche per l'organizzazione della sua fuga e della sua latitanza. Tuttavia, pur permanendo degli interrogativi54 sulle reali motivazioni di Vinciguerra, incontestabile è la rilevanza delle sue deposizioni,
che
va
ben
oltre
l'identificazione
dei
responsabili
51
"[...] I falsi camerati che seguivano una strategia dettata da centri di potere nazionali e internazionali collocati ai vertici dello stato" (cit. in Aa.Vv., La Strategia delle stragi dalla sentenza della Corte d'Assise di Venezia per la strage di Peteano, op.cit., p. 333) 52
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.239
53
Aa.Vv., La Strategia delle stragi dalla sentenza della Corte d'Assise di Venezia per la strage di Peteano, op.cit., p. 333. La strage di Peteano, inoltre, si colloca perfettamente all'interno della strategia discussa da Franco Freda e di cui si è già parlato, strategia che prevedeva l'uso indiscriminato della violenza secondo «un programma di intensità ed effetti distruttivi degli attentati», i cui obiettivi dovevano essere cercati in centri «qualificati e rappresentativi del sistema, da colpire non più dimostrativamente dall'esterno, ma distruttivamente dall'interno...con colpi esemplari, per consentire alle forze della ragione e preferibilmente ad una emergenza di tipo militare di sostituirvisi» (Cfr. Ibidem) 54
E' stata avanzata l'ipotesi che il vero motivo di Vinciguerra fosse quello di tenere fuori dall'indagine il fratello Gaetano, e successivamente di proteggere Avanguardia Nazionale, di cui era entrato a far parte dopo aver lasciato Ordine Nuovo, dall'accusa di essere coinvolta in un'altra, più grave, strage, quella di Bologna. (Cfr. F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., pp.239-241)
224
dell'eccidio di Peteano. In particolare, le dichiarazioni dell'ex ordinovista nel corso delle indagini più recenti effettuate dal giudice Salvini negli anni '90 hanno permesso di chiarire alcune dinamiche della strategia della tensione che apparivano ancora oscure, in particolare per ciò che riguarda i collegamenti operativi tra i gruppi dell'estremismo di destra, i servizi segreti e gli apparati difensivi italiani e stranieri, nonché il ruolo dell'Aginter Press. A riguardo, si riporta di seguito un documento elaborato da Vinciguerra “[…] fin dal dopoguerra sarebbe stata costituita una struttura parallela ai servizi di sicurezza e che dipendeva dalla Alleanza Atlantica; i vertici politici e militari italiani ne erano perfettamente a conoscenza. Si trattava di una struttura attrezzata anche sul piano operativo
ad
interventi
di
sabotaggio
nel
caso
si
verificasse
un’invasione sovietica. Il personale veniva selezionato e reclutato negli ambienti di estrema destra […] Quindi la strategia della tensione che ha colpito l’Italia, e mi riferisco a tutti gli episodi che partono dal 1969 e anche prima, è dovuta all’esistenza della struttura occulta di cui ho detto e agli uomini che vi appartenevano e che sono stati utilizzati anche per fini interni da forze nazionali e internazionali, per forze internazionali intendo principalmente gli Stati Uniti d’America. Quella struttura è sorta ed ha agito non per rovesciare l’attuale sistema, ma semmai provocare degli spostamenti all’interno, nel senso che non c’è mai stato un tentativo di attuare un colpo di stato, ma vi è stato un tentativo di spostare l’equilibrio politico eventualmente mettendo fuori legge le opposizioni di sinistra e successivamente anche di estrema destra, non il MSI […] la linea stragista non è stata seguita da nessuna formazione di estrema destra in quanto tale, ma soltanto elementi mimetizzati e in realtà appartenenti ad apparati di sicurezza […] Tutte le stragi che hanno insanguinato l’Italia a partire dal 1969 appartengono ad un’unica matrice organizzativa. L’unica che organizzativamente è riferibile a persone non appartenenti a tale struttura, la strage di
225
Peteano, tuttavia nella struttura organizzativa predetta ha trovato conferma [..] “55 Vinciguerra, in sintesi, afferma un'interpretazione della strategia della tensione fondata sull'ipotesi di una strumentalizzazione dei militanti dell'estrema destra da parte di alcuni settori dei servizi e dell’esercito, attraverso il tramite dei leader dell'area del radicalismo «nero». In particolare, egli sottolinea
la "matrice americana"56 della
strategia della tensione, indicandone negli ambienti Nato "il vero cervello operativo"57. Anche se tale spiegazione non può essere accettata
integralmente,
poiché
eccessivamente
riduttiva
delle
responsabilità degli ambienti dell'estremismo di destra (in quanto le stragi, eccetto quella di Peteano, sono presentate quasi esclusivamente come risultato dell'operare dei servizi occidentali o di uomini ad essi legati mimetizzati negli ambienti di destra58), e pur con i limiti di una testimonianza volta esplicitamente alla ricostruzione dei processi storici 55
Dalle dichiarazioni di V.Vinciguerra riportate nella sentenza della Corte d’Assise di Venezia, 25 luglio 1987, cit. in P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., pp.178-179
56 57
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.374 Ibidem
58
In particolare Vinciguerra presenta la strage di Peteano (diretta contro uomini dello Stato) come momento di rottura rispetto allo stragismo indifferenziato, attuato a suo dire da esponenti di destra legati alle forze del potere, sia all'interno del paese che su scala mondiale (americani e NATO), quasi che tale tipologia di azione costituisca un corpo estraneo rispetto al repertorio del «soldato politico» dell'estrema destra. Su tale aspetto, e sulla possibile attribuzione (almeno in sede teorica) della pratica stragista all'universo ideologico dell'estrema destra è interessante riportare ciò che afferma Dino Cofrancesco in Le destre radicali davanti al fascismo (op.cit., pp.59-62). Cofrancesco, dopo aver definito come «cieca» la violenza dei gruppi dell'estrema destra, data la sostanziale improbabilità di un ritorno ai regimi totalitari del passato nelle società liberal-democratiche contemporanee, fornisce un’interpretazione della strage indiscriminata come gesto di testimonianza della presenza di uomini superiori di fronte alla massa indifferenziata del moderno contesto sociale. Nell'ambito delle società di massa, dominate da materialismo e consumismo, "i valori possono venire difesi solo lanciando sassi nella palude, propinando alla società di massa torbida e inebetita scariche elettriche a getto continuo, quasi a dimostrare - soprattutto alle future generazioni - che non tutto è quiete di morte, che il consumismo non ha narcotizzato tutti i sensi. Le stragi ferroviarie servono assai bene allo scopo: esse [...] spazzano via individui facenti parte di una indistinguibile massa damnationis, di un formicaio. Intanto, però, si è testimoniata la presenza di Űbermenschen, di individui superiori, che col formicaio non vogliono avere alcun commercio umano".
226
sottostanti
alla
strategia
della
tensione
e
alla
denuncia
di
compromissione di forze ritenute rivoluzionarie con apparati dello stato (più che all’individuazione dei singoli responsabili degli attentati terroristici), essa ha apportato notevoli contributi al disvelamento di parte delle dinamiche presenti nelle attività delle cellule terroristiche legate in particolare a Ordine Nuovo e sui rapporti esistenti con gli apparati statali e con il sistema difensivo occidentale. Senza voler entrare nei dettagli processuali della strage di Peteano, si è detto in precedenza che il procedimento giudiziario si è concluso anche con la condanna definitiva di alcuni alti ufficiali dei carabinieri per il depistaggio effettuato nelle indagini. Questa vicenda si ricollega più in generale al tema dei rapporti e dei collegamenti tra gli apparati di forza dello stato e le organizzazioni eversive di estrema destra, in particolare per ciò che riguarda le protezioni esercitate da SID e da uomini del ministero dell'Interno, di cui ora sinteticamente di riferirà.
227
6.2.2 I depistaggi e i collegamenti con gli apparati istituzionali Il tema delle coperture istituzionali
e dei collegamenti tra
appartenenti agli apparati statali e i gruppi di estrema destra autori delle pratiche eversive, viene qui analizzato solo nelle sue linee generali, senza ripercorrerne l'intera casistica59. Si è già riferito (nel capitolo 4) del processo di avvicinamento tra vertici militari e gruppi della destra radicale che si sviluppa, in particolare, dalla metà degli anni '60, con i citati episodi che coinvolgono Giannettini, Rauti, Freda e Ventura60. Proprio Guido Giannettini è al centro di una delle vicende più clamorose del periodo, che vede il coinvolgimento diretto del SID nel depistare e nell'ostacolare indagini riguardanti fatti di strage. Ventura, in alcuni interrogatori datati marzo '73, afferma di essersi infiltrato nel gruppo di Freda su incarico del SID, e "che il suo contatto col SID era Giannettini"61. Quest'ultimo diventa così oggetto delle indagini degli inquirenti milanesi. Egli, tuttavia, viene fatto segretamente espatriare dal SID a Parigi nell'aprile '73, poco prima della sua convocazione da parte del magistrato. Responsabili dell'operazione sono il generale Gianadelio Maletti, capo del reparto D del SID (controspionaggio) e il capitano Antonio La Bruna, suo principale collaboratore. Nei mesi successivi, le più alte autorità del servizio (il generale Vito Miceli e l'ammiraglio Eugenio Henke) negano l'appartenenza di Giannettini al servizio, nonostante egli venga ufficialmente incriminato per la strage di piazza Fontana in concorso
59
Per sottolineare l'entità della presenza dei servizi nel tema oggetto di quest'analisi, il giudice Tamburino afferma: "Non voglio certo fare qui un elenco dei casi nei quali c'è la certezza in fatto o la convinzione in linea logica della presenza attiva dei servizi nei gruppi e nelle loro principali operazioni. Chi ha provato a fare questo elenco, come ad esempio Gianni Flamini [...] ha riempito volumi e volumi" (G.Tamburino, Le stragi e il loro contesto, op. cit., p.142) 60
Ci si riferisce alla stesura e alla diffusione del pamphlet Le mani rosse sulle forze armate ad opera di Rauti e Giannettini su incarico dell'allora capo di stato maggiore G.Aloja e all'episodio del volantino sui Nuclei di Difesa dello Stato che coinvolge tutti gli estremisti citati e di cui si è già detto 61
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.192
228
con Freda e Ventura. I giudici lo accusano di essere l'uomo di collegamento tra cellule eversive e apparati statali62. La copertura di Giannettini viene fatta saltare in modo clamoroso da Giulio Andreotti con un'intervista pubblicata su "Il Mondo" il 20 giugno 1974, in cui il leader democristiano ne ammette l'appartenenza al servizio, e "sostenendo che la decisione, presa ad alto livello, di coprirlo con il segreto di Stato, era stata un grave errore"63. L'episodio relativo a Giannettini è solo uno dei tanti (anche se forse il più rilevante) che caratterizzano le attività di copertura degli estremisti e di depistaggio delle indagini dei magistrati effettuate nel periodo dal SID, dagli uomini dell'Ufficio Affari Riservati del Ministero dell'Interno e in generale da apparati istituzionali. Tra i diversi fatti si possono ricordare quello relativo all'espatrio di Marco Pozzan (molto simile nella dinamica alla vicenda di Giannettini), il bidello della scuola di Padova nella quale si incontrano il 18 aprile 1969 alcuni leader della destra eversiva per organizzare e dare il via alla campagna terroristica di quell'anno, la chiusura della fonte «Casalini» proprio mentre questi si accinge a "scaricarsi la coscienza"64, ecc. Quello che più interessa qui, comunque, non è tanto elencare tutti i casi che vedono coinvolti uomini degli apparati statali in attività di depistaggio e di copertura delle azioni eversive svolte dai gruppi dell'estrema destra, bensì di individuarne le dinamiche generali. In primo luogo, grazie anche alle indagini più recenti, appare possibile chiarire che, le sopracitate attività svolte dai servizi, sembrano aver
62
Così commentano i giudici di Catanzaro nella sentenza che condanna Giannettini all'ergastolo: "[la sua presenza nel complotto diede a Freda e Ventura la sicurezza di poter contare] su autorevoli appoggi provenienti da quel medesimo apparato statale alla cui sovversione essi tendevano [...] e nel cui seno si annidano elementi disposti a dare uno sbocco politico agli attentati. Guido Giannettini, anello di congiunzione fra questi elementi (rimasti in processo senza volto e senza nome) interessati per fini propri al controllo dell'attività terroristica, ed il gruppo di Freda e Ventura, svolse quindi un ruolo di primo piano" (cit. in F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.201) 63
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.192
64
Commissione Stragi, Luci sulle stragi..., op. cit., p.76
229
trovato le loro motivazioni non tanto nella necessità di coprire il coinvolgimento
diretto
di
propri
agenti
nell'organizzazione
e
nell'esecuzione degli attentati o nelle strategie eversive, quanto nel coprire i rapporti «inconfessabili» esistenti tra i gruppi dell'estrema destra e gli apparati di forza italiani e stranieri, in particolare il coinvolgimento nelle reti clandestine miste militari-civili anticomuniste di uomini della destra radicale, nonché le responsabilità politiche e istituzionali. Di quest'opinione è il sen. Pellegrino, che a proposito afferma che: "Il depistaggio compiuto dai Servizi segreti e più in generale dagli apparati
di
sicurezza
nei
confronti
della
magistratura
riguarda
soprattutto i fatti che si sono verificati dal 1969 al 1974. I Servizi volevano impedire che i giudici scoprissero l'esistenza di Gladio, coperta dal segreto atlantico, e di quella vasta rete di organizzazioni paramilitari clandestine legate agli apparati. Dovevano difendere il segreto NATO, ma temevano anche che la magistratura scoprisse l'alleanza operativa tra queste organizzazioni clandestine e la destra fascista e, ai livelli più alti, le connivenze e le responsabilità politiche. Dunque, anche quando quella strategia fu abbandonata, interessi istituzionali e politici impedivano che fosse disvelata"65
65
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., pp.109-110
230
L'interpretazione elaborata dal presidente della Commissione Stragi ha trovato una conferma anche nelle parole dello stesso gen.Maletti, durante l'audizione davanti alla commissione del 3 marzo 1997 a Johannesburg66. Se le attività di depistaggio e copertura svolte dal SID possono, probabilmente, trovare i loro motivi di giustificazione nell'interpretazione sopra esposta (almeno per ciò che riguarda una lettura generale), non è possibile estendere con certezza tale logica alle attività dell'Ufficio Affari Riservati del Ministero dell'Interno e di alcuni ufficiali di carabinieri e polizia convolti. Ciò, a causa dei contatti diretti esistenti tra i massimi dirigenti dell'Ufficio (in particolare Elvio Catenacci e Federico Umberto D'Amato) e alcuni esponenti di primo piano delle cellule terroristiche di estrema destra attivi nel periodo considerato, rapporti che non possono far escludere con certezza l'estraneità dei funzionari statali agli episodi terroristici. A proposito di tali legami, si riportano di seguito due brevi estratti da documenti giudiziari:
66
PRESIDENTE. [...] Generale Maletti, noi l'ascoltiamo sapendo di non udire un personaggio qualsiasi, ma un ufficiale che ha avuto alte responsabilità di intelligence. Le idee portanti sulle quali stiamo lavorando sono che le cause dello stragismo debbono andarsi a trovare all'interno di questa pluralità di reti clandestine, dove probabilmente è anche possibile che a un certo punto gli operatori, quelli esterni che come lei ha detto venivano arruolati fra i ruoli marginali dell'attività politica (destra eversiva ed altro, non però solo destra eversiva, indubbiamente) si siano potuti rendere autori delle stragi, anche per deviazioni individuali dai piani concordati, e che in realtà la ragione per la quale non si sono scoperte le responsabilità risiede nel fatto che ci si è preoccupati di coprire i rapporti istituzionali che questi avevano o avevano avuto nel passato. Riteniamo che in fondo sia questa la vera ragione della coltre di mistero che è calata su tutto lo stragismo. Le chiedo pertanto se a suo parere, riflettendo oggi su questo periodo della storia italiana, che ha avuto questa sua tragica singolarità, questa sia una spiegazione logica. MALETTI. Io credo che sia una spiegazione logica, però non riguarda l'azione svolta dal Reparto D nella copertura delle fonti, perché queste fonti, per lo meno quelle che noi conoscevamo, non risultavano direttamente coinvolte in stragi, ma erano degli operatori laterali. La sua teoria, senatore, è quanto mai accettabile - mi scusi questa valutazione così apertamente positiva - perché penso che al di là di una trama eversiva, all'interno di questa vi fosse una venatura di esaltazione attivistica che comportava reazioni individuali spesso non desiderate dalla direzione dei gruppi eversivi, anche se comprese nella strategia della tensione, ma forse intempestive. (Commissione Stragi, Inchiesta su stragi e depistaggi. Audizione del Gen. Gianadelio Maletti, Johannesburg, 3.3.1997)
231
"Delfo Zorzi, accusato di strage, «a contatto con l'Ufficio Affari Riservati del Ministero dell'Interno presso cui aveva ottime entrature [...] Evidenti collusioni con gli autori materiali degli attentati di apparati statali riconducibili anche al Ministero dell'Interno»"67 "Guglielmo Carlucci, già funzionario della Divisione Affari Riservati, ha riferito al giudice istruttore di Venezia di avere assistito personalmente a incontri tra Federico D'Amato e il capo di Avanguardia Nazionale Stefano Delle Chiaie, il quale «era solito frequentare D'Amato sia quando era vicedirettore che nei tempi successivi in cui era assurto alla carica di direttore della Divisione, trattenendosi con il prefetto nei locali dell'ufficio»"68 Al di là dell'interpretazione delle finalità sottostanti all'operato degli organi statali, appare quindi ancora una volta dimostrato, anche alla luce dei depistaggi e delle coperture verificatesi, e per la presenza di informatori nei gruppi della destra radicale, il rapporto esistente tra i servizi informativi dello stato e l'estremismo di destra, pur se non è ancora possibile stabilire in modo definitivo le dinamiche caratterizzanti tali collegamenti, se non secondo linee interpretative generali. Ciò, ovviamente, anche a causa dell'effettiva ambiguità esistente nella condotta degli apparati statali nei confronti di tali gruppi, indice della conflittualità attraversante i diversi centri di potere istituzionali, che rende estremamente arduo dare una lettura univoca dei legami di organi istituzionali con le frange più estremiste del radicalismo «nero» anche all'interno dei medesimi periodi temporali.
67
Tratto dall'Ordinanza di custodia cautelare in carcere per Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi dal Gip di Milano Clementina Forleo, 13.6.1997 (Documentazioni e considerazioni a cura di Gianni Flamini sulla sulla pubblicazione G.PellegrinoC.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., estratto dalla pagina web www.comune.bologna.it/iperbole/2agosto80/ pellegri.htm) 68
Dichiarazione al giudice istruttore di Venezia Carlo Mastelloni, 15.5.1997, Ibidem
232
6.3 La strage di via Fatebenefratelli e la strategia golpista del ‘73. Piazza Fontana: un golpe mancato?
6.3.1 La strage di via Fatebenefratelli La strage del 12 maggio ’73 alla questura di Milano, inserita dalla saggistica nel quadro delle strategie golpiste che attraversano l’Italia nel ‘73-’74, delle quali si dirà più avanti, è stata invece sottoposta, grazie alle indagini milanesi già citate, ad una diversa chiave di lettura. L’attentato, portato a termine con il lancio di una bomba a mano durante la cerimonia di commemorazione del commissario Calabresi nell’anniversario della morte, cui è presente anche Mariano Rumor, (all’epoca ministro dell’Interno) causa 4 morti e 46 feriti. L’esecutore materiale, arrestato in fragranza di reato, è Gianfranco Bertoli, che si dichiara anarchico. Anche in questo caso lo scopo è quello di addossare la responsabilità dei fatti alla sinistra. In realtà, le indagini accertano
l’ambiguità
della
figura
del
finto
anarchico
Bertoli,
pregiudicato per piccoli reati comuni, ex-aderente all’associazione “Pace e libertà” di Edgardo Sogno, in precedenza già alle dipendenze del SIFAR69 e in rapporto con Israele (paese nel quale egli aveva soggiornato nel 1971 e nel periodo precedente alla strage70).
69
Bertoli è stato sicuramente fonte del SIFAR dal novembre ’54 al marzo ’60, con il nome di copertura di “Negro”. In seguito, è stato di nuovo assunto dal Servizio nel ’66. I giudici non sono invece riusciti a scoprire il momento in cui il rapporto col servizio si interrompe per la seconda volta, anche se sembra che ancora nel ’71 Bertoli fosse in rapporto col SID. Certo è, tuttavia, che già nei primissimi giorni dopo la strage i servizi italiani erano a conoscenza dell’identità tra Gianfranco Bertoli e la fonte “Negro”, identità mai rivelata al giudice competente, e che il rapporto ta Bertoli e il SID era ancora in corso nel ’71. (Cfr. Stragi e terrorismo in Italia dal dopoguerra al 1974, Relazione presentata dai DS) 70
E’ stato ipotizzato che Bertoli fosse in stretto contatto con i servizi segreti israeliani, e che addirittura egli fosse all’epoca un agente israeliano (non si sa se informatore o operativo), anche in considerazione del fatto che egli torna da Israele portando con sé la bomba che successivamente utilizzerà nell’attentato. Cfr. Stragi e terrorismo in Italia dal dopoguerra al 1974, Relazione dei DS
233
Nel contesto di questo lavoro, al di là delle responsabilità individuali accertate dai procedimenti giudiziari già citati, è utile rievocare il quadro organizzativo in cui la strage matura. Come le indagini più recenti hanno chiarito, l’eccidio di via Fatebenefratelli è da attribuirsi al medesimo ambiente ordinovista che appare essere al centro degli episodi di strage del periodo ‘69-’74. In particolare, grazie anche alle rivelazioni di diversi collaboratori di giustizia (primi fra tutti Carlo
Digilio
e
Martino
Siciliano),
sembra
ormai
verificata
la
responsabilità del nucleo veneto capeggiato da Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi, reclutatori di Bertoli e mandanti dell’attentato che aveva come obiettivo proprio Mariano Rumor. E’ interessante comprendere le ragioni di tale tentativo. Secondo la ricostruzione effettuata dal giudice Salvini, sembra che “la macchina politico-militare”71 attivatasi durante il tentato golpe Borghese (7-8 dicembre 1970), dovesse essere innescata già alla fine dell’anno precedente, in concomitanza con la situazione di crisi creata dagli attentati del 12 dicembre ’69. In particolare, un ruolo fondamentale nel conferire una soluzione autoritaria alla crisi avrebbe dovuto essere svolto proprio da Rumor, all’epoca presidente del Consiglio, che avrebbe avuto il compito di “dare l’ultima spinta per un decreto di dichiarazione dello stato di emergenza”72. Tuttavia, egli, fortemente impressionato dalla risposta popolare ai funerali delle vittime, avrebbe cambiato idea, facendo fallire la strategia golpista. Sarebbe stato quindi «l’effetto strage» a bloccare il meccanismo del golpe. Al di là della correttezza di tale ricostruzione73, è certo che nel ‘69-’70 i gruppi dell’estrema destra si aspettano qualcosa (il colpo di 71
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.261
72
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.69
73
Il giudice Lombardi, il magistrato che ha indagato direttamente sulla strage di via Fatebenefratelli, non ha avallato la ricostruzione di Salvini. Anche Cossiga ritiene inverosimile la ricostruzione, in quanto per l’ex-presidente della Repubblica la proclamazione dello stato d’emergenza, all’epoca, avrebbe sancito lo scoppio della guerra civile (Cfr. G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.68-70)
234
stato) che non avviene. In particolare la dirigenza di Ordine Nuovo identifica in Rumor il traditore che, venendo meno alle (presunte) promesse fatte, provoca il fallimento del tentativo74. E l’attentato rappresenta una reazione dell’ambiente della destra radicale al mancato sviluppo in senso autoritario. Una vendetta contro Rumor, che, Zorzi e Maggi avrebbero già tentato di organizzare nel luglio ’72, cercando di affidare l’operazione a Vincenzo Vinciguerra, come racconta75 lo stesso reo confesso della strage di Peteano.
74
Così racconta Carlo Digilio: “Questi [Rumor] era odiato poiché i dirigenti di Ordine Nuovo ritenevano che l’onorevole Rumor, presidente del consiglio nel dicembre ’69, avesse fatto il vile, in quanto, venendo meno alle promesse fatte, non aveva attivato un certo meccanismo dopo gli attentati decretando lo stato di emergenza e mettendo in moto i militari, che avrebbero saputo che sbocco dare alla crisi” (cit. in G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., pp.79-80). Così Vinciguerra, invece, ricostruisce lo scenario dell’ipotetico golpe del dicembre ’69: “Indico negli attentati del 12 dicembre 1969 non l’inizio della strategia della tensione, bensì il detonatore che, facendo esplodere una situazione, avrebbe consentito a determinate autorità politiche e militari la proclamazione dello stato di emergenza” . Vinciguerra, inoltre, mette in evidenza il significato della manifestazione nazionale che il MSI aveva indetto per il 14 dicembre a Roma, alla quale dovevano “partecipare tutti, missini e ordinovisti, con i loro simboli […] un’adunata che poteva e doveva rappresentare la spallata decisiva e la parata della vittoria” (Cfr. V.Vinciguerra, Memoriale “L’albero caduto”, Archivio Commissione Stragi, cit. in P.CucchiarelliA.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., pp.160-161, e M.Dianese-G.Bettin, La strage..., op.cit.,pp.158-161) 75
Cfr. M.Dianese-G.Bettin, La strage..., op.cit.,pp.173-174. A Vinciguerra era stato proposto l’omicidio di Rumor nella sua villa, con l’assicurazione che “non ci sarebbero stati problemi con la sua scorta” (Ibidem). Egli fa notare come la proposta di Maggi e Zorzi, che garantiscono l’assenza di problemi con la scorta dell’esponente democristiano “dimostrò l’esistenza di legami insospettati con funzionari di polizia che dovevano trovarsi a ben alto livello per poter disporre dell’omicidio di un personaggio politico come Rumor, assicurando la neutralizzazione della scorta” (Ibidem). E’ da sottolineare che, non essendo nei fatti avvenuto il tentativo di eliminazione di Rumor secondo il piano prospettato da Zorzi e Maggi, questo episodio non può dimostrare il legame dei dirigenti ordinovisti con alti funzionari delle forze dell’ordine cui si riferisce Vinciguerra, poiché la circostanza dell’effettiva neutralizzazione della scorta non si è concretamente verificata.
235
6.3.2 Le strategie golpiste del ’73 L’attentato di via Fatebenefratelli, tuttavia, si presta anche ad una seconda lettura. Esso è infatti da inquadrarsi in una più vasta sequenza di eventi collegati tra loro che nell’aprile-maggio ’73 dovrebbe portare, nell’intenzione degli ideatori del piano, alla proclamazione dello stato di emergenza. A fare da innesco, una serie di gravi attentati e il “verificarsi di preordinati attacchi alle caserme dei Carabinieri della Valtellina”76, con lo scopo di suscitare un clima di tensione compatibile con l’intervento dei militari per ripristinare l’ordine. Come hanno chiarito le recenti indagini del giudice Salvini77, per il 7 aprile erano previsti degli attentati ferroviari (rispettivamente sul treno Brennero-Roma, sul treno Torino-Genova-Roma)
da
attribuirsi
alla
sinistra
(attraverso
lo
spargimento di falsi indizi sul luogo delle esplosioni), che dovevano essere seguiti dagli attacchi in Valtellina, da una grande manifestazione della Maggioranza Silenziosa78 prevista il 12 aprile (al posto della quale si tiene la manifestazione del MSI sfociata negli incidenti in cui perde la vita l’agente Marino, anch’essi da inserire nel medesimo disegno di provocazione), e infine dall’attentato a Rumor nel maggio, ad opera di Bertoli. Lo scopo di tutte le operazioni della primavera 1973, come già detto, è “l’intervento dei militari e la proclamazione quantomeno dello stato di emergenza interno”79.
76
Sentenza–ordinanza di G.Salvini, marzo 1995, cit. in cit. in P.CucchiarelliA.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.309 77
Particolarmente importanti nello svelare le trame golpiste del ‘73-’74 sono le testimonianze di Enzo Ferro, Vincenzo Vinciguerra, Gaetano Orlando, nonché l’inedita documentazione del SID messa a disposizione degli inquirenti dal cap. La Bruna nel corso degli anni ‘90
78
Movimento capeggiato dall’avvocato Adamo Dagli Occhi, poi risultato in rapporto con Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo, oltre che con il MSI 79
Sentenza–ordinanza di G.Salvini, marzo 1995, cit. in cit. in P.CucchiarelliA.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.309
236
A far fallire le iniziative golpiste è, probabilmente, l’episodio del 7 aprile, data in cui Nico Azzi, membro del circolo La Fenice, fa esplodere prematuramente l’innesco di una bomba che si sta accingendo a posizionare sul treno Genova-Ventimiglia, ferendosi. Il terrorista viene arrestato immediatamente, e l’esito negativo di questo attentato porta anche all’annullamento di quello programmato sulla linea BrenneroRoma80. Anche questo episodio evidenzia le gravi responsabilità del gruppo La Fenice di Milano nell’attuazione delle strategie stragiste (chiaramente in collaborazione con altre forze). A seguito dei falliti attentati ai treni, la manifestazione della Maggioranza Silenziosa viene annullata, con il conseguente svolgimento della manifestazione missina che sarà fatale all’agente Marino. E’ da ricordare che per gli stessi giorni è prevista un’operazione di depistaggio da parte delle cellule di destra, consistente nel far trovare una cassetta piena di armi ed esplosivo, nonché gli stessi timers usati per piazza Fontana, in una villa sull’Appennino ligure di proprietà di Giangiacomo Feltrinelli, con l’obiettivo di mettere in difficoltà (unitamente alla rivendicazione di sinistra degli attentati ferroviari) i magistrati di Milano, orientati in quel momento sulla «pista nera». L’operazione, tuttavia, a causa dell’esito negativo dell’attentato di Azzi, non ottiene l’esito sperato. La strage alla Questura di Milano va collocata all’interno di questa catena di eventi,
nella quale dovrebbe costituire uno degli
episodi più gravi. Al solito, il fine di questa strategia, è l’instaurazione di un
governo
forte.
Tale
interpretazione
dell’attentato
che
vede
protagonista Gianfranco Bertoli, inoltre, non inficia la validità della spiegazione di esso fornita nel paragrafo precedente, essendo compatibile con ambedue le finalità. E’ da sottolineare che il complesso insieme di iniziative messe in atto nel maggio-giugno ’73 vede all’opera, insieme agli estremisti di 80
“Mi fu detto che per l’episodio sul Brennero-Roma il contrordine era venuto da Milano una volta appreso del fallimento sul treno Torino-Genova-Ventimiglia”, testimonianza di Enzo Ferro cit. in P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.310
237
destra, attori diversi, dei quali è opportuno richiamare brevemente le vicende, con particolare attenzione per i collegamenti tra questi soggetti e i gruppi della destra rivoluzionaria. Si tornerà, quindi, ad analizzare le attività di questi ultimi nel periodo che va dalla seconda metà del 1973 al 1974, momento in cui si conclude questa ricostruzione.
6.3.3 Il MAR Il MAR (Movimento di Azione Rivoluzionaria) viene fondato nel ’62 da Carlo Fumagalli, ex-partigiano bianco81, nel contesto del clima politico creato dalla nascita del centrosinistra. Il gruppo è connotato in senso fortemente anticomunista e presidenzialista. Non è però una movimento neofascista, anche se con i gruppi dell’estrema destra, nella prima metà degli anni ’70, stringe un’alleanza militare in vista dell’attuazione di strategie golpiste tese, appunto, all’instaurazione di un «governo forte». La storia del MAR è stata ricostruita con una certa precisione, grazie alla collaborazione di Fumagalli stesso e, soprattutto, del suo braccio destro Gaetano Orlando. Quella del MAR è la vicenda di un gruppo nato per contrastare “l’avanzata del Partito Comunista […] e che a tal fine poteva disporre di armi”82 distribuite anche dalle Forze Armate italiane. Nel primo periodo della sua esistenza, il MAR svolge attività anche militari (con campi di addestramento e organizzazione di depositi di armi), comunque in un’ottica difensiva e di deterrenza. A partire dalla fine degli anni ’60, tuttavia, la formazione armata (composta prevalentemente da ex-partigiani bianchi e da giovani reclutati e addestrati dal movimento) ricopre un ruolo di primo piano nel 81
Fumagalli durante la guerra comanda i Gufi, una formazione partigiana bianca attiva in Valtellina. Durante la guerra Fumagalli entra in contatto con i servizi segreti statunitensi (e dagli americani, a guerra finita, viene decorato con la Bronze Star), e da essi inviato anni più tardi nello Yemen del sud per organizzare la guerriglia contro il governo di sinistra (Cfr. G.De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, op.cit., pp.120-123, A.Cipriani-G.Cipriani, Sovranità limitata..., op.cit., pp. 131-132) 82
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.315
238
contesto della strategia della tensione, a partire dagli attentati ai tralicci ENEL in Valtelllina del 1970. Elemento fondamentale nel caratterizzare la vicenda del MAR, è lo stretto rapporto che lega il gruppo con gli apparati istituzionali italiani e stranieri. A proposito, si riporta di seguito la testimonianza di Gaetano Orlando: “Il nostro gruppo aveva una collocazione ben chiara: eravamo tutti fermamente anticomunisti e comunque persone che si potrebbero definire dei galantuomini […] il nostro gruppo faceva parte di un quadro più ampio e pienamente sostenuto da apparati istituzionali e cioè esponenti dei carabinieri e dell’esercito, ed aveva come fine di impedire che il comunismo andasse al potere in Italia e di fare in modo che si instaurasse nel nostro paese una repubblica presidenziale e comunque un esecutivo più forte e più stabile […] I militari volevano una garanzia assoluta che in Valtellina, ma anche in altre regioni come la Toscana, vi fosse una buona organizzazione di civili pronti a ricevere le armi dai carabinieri
ed
affiancarli
quando
fosse
giunto
il
momento
del
mutamento istituzionale, sempre in un’ottica anticomunista come era la nostra. A queste riunioni erano presenti circa venti persone e per i militari c’era il colonnello Dogliotti, due ufficiali americani della Nato […], c’erano dei carabinieri […] e noi civili di varie regioni”83 In particolare sono documentati i rapporti tenuti dal gruppo di Fumagalli con la Divisione Pastrengo dei Carabinieri, comandata dal gen.Palumbo (poi risultato appartenere alla P2, è del quale è noto il coinvolgimento in numerosi episodi oscuri della strategia della tensione), con alti ufficiali quale il gen.Nardella, il col.Santoro (sempre interno alla Pastrengo), con il SID, con Amos Spiazzi e con altri ufficiali coinvolti nella vicenda della Rosa dei Venti (di cui si parlerà nel prossimo paragrafo). Inoltre, nel 1970, il Mar aderisce al movimento 83
Dalle dichiarazioni di Gaetano Orlando rese al G.I. Guido Salvini nel 1994, cit. in P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit.,pp.332-335
239
Italia Unita, una lega dei gruppi di destra costituita a Milano all’inizio di quell’anno con lo scopo di coordinare le attività dei diversi gruppi in vista di una soluzione autoritaria84. Le indagini giudiziarie hanno ormai documentato in modo inequivocabile la partecipazione del MAR alle trame golpiste del periodo ‘73-’74. Le attività del gruppo, costituite sostanzialmente da attentati con lo scopo di creare una situazione di tensione, si inquadrano, come si è visto, in un quadro complesso che vede agire in collegamento formazioni anticomuniste «bianche», organizzazioni dell’estrema destra, movimenti filogolpisti e settori dell’esercito. Nel periodo ‘69-’74 il Mar ha potuto godere di una sostanziale impunità, nonostante il SID fosse informato, tramite il proprio informatore Giorgio Zicari (un giornalista del Corriere della Sera che aveva avuto diversi colloqui con Fumagalli) delle iniziative e delle intenzioni della formazione valtellinese. In questa sede, in particolare, è importante ricostruire il contesto dei rapporti tra Mar e formazioni di estrema destra, che si fanno via via più stretti a partire dal ’72. In particolare, Fumagalli gestisce nel periodo considerato i rapporti con i gruppi più oltranzisti della destra milanese, a cominciare dal circolo La Fenice, le SAM, il Fronte Nazionale, Avanguardia Nazionale e Ordine Nero (come mostreranno in maniera inconfutabile alcuni episodi legati alla strage di Piazza della Loggia
a Brescia di cui poi si dirà) e altri microgruppi
gravitanti nell’area della destra rivoluzionaria. Nelle riunioni citate da Orlando nella dichiarazione riportata più sopra, inoltre, è segnalata la presenza di Massimiliano Fachini; accordi particolari con il Mar sembra siano “stati stabiliti dal gruppo Ordine Nuovo di Padova”85. Nel periodo ‘73-‘74, si cementa una vera e propria alleanza militare in funzione
84
Dirà diversi anni dopo Fumagalli: “Volevamo creare il caos in modo che poi sarebbero intervenuti i militari a rimettere ordine nel paese. Dopo di che sarebbe stata istituita una repubblica presidenziale, guidata da un uomo forte che loro avevano già individuato” (cit. in P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit.,p.316) 85
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit.,p.315
240
anticomunista tra il gruppo armato valtellinese e le formazioni della destra radicale, in particolare con il gruppo capeggiato da Giancarlo Esposti, un’alleanza che porterà
“molti partigiani ‘bianchi’ disgustati
dell’ideologia degli avanguardisti”86 ad abbandonare il MAR. L’unione è confermata anche da un documento redatto da Carlo Fumagalli il 7 maggio 1974, in cui egli afferma che: “SAM, Avanguardia Nazionale, Ordine Nero e Movimento di Azione Rivoluzionaria dichiarano ufficialmente guerra allo Stato e al bolscevismo: le ostilità inizieranno a partire dalle ore 24 di oggi mediante attacchi alle principali reti ferroviarie”87 Le vicende che coinvolgono il MAR, in conclusione, testimoniano la messa in atto di strategie che coinvolgono quelle strutture miste militari-civili in funzione di lotta ideologica delle quali si è detto nei capitoli precedenti. Sul punto, sono da riportare le parole del giudice Salvini: “La storia del MAR, che è stato possibile focalizzare solo in questa istruttoria grazie alla disponibilità di Gaetano Orlando, è forse l’esempio più indicativo dell’organicità dei legami che negli anni ’70 sono stati stretti fra organizzazioni eversive alti esponenti dell’esercito e dei Carabinieri e addirittura ufficiali NATO, del loro ruolo di controllo della politica italiana e dello stretto mantenimento del nostro paese nel campo atlantico e anticomunista”88
86
Estratti dalle dichiarazioni rese da Carlo Fumagalli al G.I. Salvini il 5.4.1991 e il 5.9.1992 (cit. in P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.335) 87
AA.VV., La strage di Bologna, op.cit., p.73
88
Cit. in P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.335
241
6.3.4 La Rosa dei Venti La vicenda della Rosa dei Venti, connessa con i tentativi golpistici del ‘73-’74, emerge con le inchieste del ’73 svolte, prima dal giudice Aldo Fais, e passate, successivamente, al giudice Giovanni Tamburino di Padova. L’indagine nasce dalle rivelazioni di un medico di Ortonovo (La Spezia), Giampaolo Porta Casucci, che consegna alla polizia “una borsa contenente un progetto di piano insurrezionale”89, nonché dal rinvenimento, nella sua abitazione, di un “vero e proprio archivio sui contatti in corso tra i vari gruppi per arrivare ad un colpo di stato”90, documenti e volantini firmati «Rosa dei Venti».
Le indagini
proseguono con numerosi arresti; tra gli altri viene catturato un sedicente magistrato militare, Roberto Cavallaro91. Interrogato dai magistrati,
egli
rivela
l’esistenza
di
un’organizzazione
che
egli
denomina «X». Tra le carte rinvenute nella borsa di Porta Casucci, ci sono anche alcuni assegni che, oltre a rivelare la presenza di finanziatori nel mondo imprenditoriale92, permettono di risalire al colonnello Amos Spiazzi, responsabile del settore «I» - “di fatto servizi segreti militari”93 – del reparto di artiglieria NATO di stanza a Verona. Cavallaro e Spiazzi, durante gli interrogatori, danno diverse definizioni dell’organizzazione «X». Tra le più interessanti: “Ricevetti un ordine da un mio superiore militare appartenente all’organizzazione di sicurezza delle Forze Armate, che non ha finalità eversive, ma si propone di proteggere le istituzioni contro il marxismo. Questo organismo non si identifica con il SID. Mi risulta che non ne 89
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.258
90
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.288
91
Cavallaro, falso magistrato militare, risulta tuttavia in possesso dei regolari documenti necessari per entrare e uscire liberamente dalle basi NATO 92
Fra le ditte coinvolte c’è anche la Gaiana del gruppo Piaggio (Cfr. P.CucchiarelliA.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.289) 93
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.290
242
facciano parte solo militari, ma anche civili, industriali, politici. Soltanto un vertice conosce tutto e ai vari livelli si rinvengono dei vertici parziali. Tale organizzazione è militare ma ce n’è una parallela di civili. Al vertice della gerarchia parallela stanno senz’altro dei militari”94 “L’organizzazione serviva a garantire il rispetto del potere vigente, dei patti NATO riservatamente sottoscritti, del regime sociale ed economico indotto da tali strutture. La filosofia che li ispira è quella dell’appartenenza
dell’Italia
al
Blocco
Occidentale,
inteso
come
immutabile, mobilitato permanentemente contro il comunismo e finalizzato a impedire l’ascesa alla direzione del paese da parte delle sinistre”95 La struttura delineata dai due è quella di un organismo legato ai servizi segreti, un’organizzazione mista, formata da militari e civili accomunati dall’anticomunismo e dall’ancoraggio al Blocco Atlantico. Le attività dell’organizzazione, sarebbero tese alla creazione di un clima di tensione, sfruttando l’azione di gruppi fiancheggiatori distribuiti sul territorio nazionale tra i quali i principali movimenti della destra radicale, dal Fronte Nazionale a
Ordine Nuovo, ad Avanguardia Nazionale, i
Giustizieri d’Italia, lo stesso MAR. Forte rilevanza assume, in questo contesto, lo stretto legame esistente tra Amos Spiazzi e i vertici di Ordine Nuovo, in particolare Graziani e Massagrande. Il simbolo dell’organizzazione, la «Rosa dei Venti» (che è anche il simbolo della NATO), voleva indicare secondo Cavallaro che “i gruppi non avrebbero avuto pietà e avrebbero colpito, in senso politico, in tutte le direzioni”96.
94
Dagli interrogatori dell’inchiesta sulla Rosa dei Venti, in Archivio Commissione Stragi, Spiazzi a confronto con Cavallaro, 4.5.1974 (cit. in P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.299) 95
Dagli interrogatori dell’inchiesta sulla Rosa dei Venti, in Archivio Commissione Stragi, Interrogatorio ad Amos Spiazzi, 12.5.1974 (P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.299) 96
Cit. in P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.291
243
Caratteristica importante della struttura è il carattere di legittimità che ad essa viene conferito da Cavallaro e Spiazzi, un’organizzazione legittima con numerosi aderenti ad alto livello tra le forze armate97 avente lo scopo ultimo di impedire la destabilizzazione delle istituzioni. Il probabile intervento dell’organizzazione nell’attuazione della strategia della tensione è spiegato ancora una volta da Roberto Cavallaro. “Chi
realizza
questa
strategia?
I
‘gruppi
paralleli’.
L’organizzazione esiste di per sé, ha una struttura legittima il cui scopo è di impedire turbative nelle istituzioni. Quando queste turbative si diffondono nel paese (disordini, tensioni sindacali, violenze, e così via) l’organizzazione si mette in moto per creare la possibilità di ristabilire l’ordine. E’ successo questo: che se le turbative non si verificavano, esse venivano create ad arte dalla organizzazione attraverso i gruppi paralleli, che sono tutti questi organismi di destra (ma ce ne sono anche di estrema sinistra) sotto processo nel quadro delle cosiddette trame nere (Rosa dei Venti, Ordine Nero, La Fenice, il Mar di Fumagalli e ecc.)”98 Nel ’74, sulla natura di tale organismo, si apre un vero e proprio scontro istituzionale, tra il direttore del SID gen.Miceli (che ne afferma la legalità) e il gen.Maletti (che la considera una struttura eversiva). Il 31 ottobre il giudice Tamburino ordina l’arresto di Miceli, contestandone il ruolo primario in “un’organizzazione di sicurezza supersegreta (si parlerà successivamente di SID parallelo) istituita nell’ambito NATO con protocolli segreti, avente lo scopo di garantire la fedeltà dell’Italia all’Alleanza Atlantica, ovvero di rendere impossibile ogni mutamento
97
C’erano almeno 87 ufficiali collegati all’organizzazione: tra questi 4 generali, un sotto-capo di Stato Maggiore delle Forze Armate (Cfr. Cit. in P.CucchiarelliA.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.291) 98
Cit. in P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.294
244
politico nel paese”99, una struttura con collegamenti in diverse regioni d’Italia, che si sarebbe servita dell’azione di vari gruppi armati per fomentare disordini, attentati e violenze, atte anche a provocare “un illegale mutamento della costituzione dello stato e della forma di governo attraverso l’intervento, provocato dalle attività dell’associazione medesima, delle forze armate dello Stato”100. La Cassazione provvederà poi a togliere l’indagine a Tamburino, accorpandola al processo per il golpe Borghese (gli imputati saranno tutti assolti con formula piena nel 1984). A rendere giustizia alle intuizioni di Tamburino sulla commistione tra servizi di sicurezza, apparati NATO e gruppi armati nell’attuazione della strategia della tensione e sui progetti sottostanti alle catene di attentati, arriveranno, un ventennio dopo, le indagini dei giudici milanesi e bresciani degli anni ’90.
99
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.260.
100
Ibidem
245
6.4 Il 1974
6.4.1 Introduzione Come si è visto, nel 1973, con gli episodi dell’aprile-giugno, viene messa in atto una strategia tesa al sovvertimento istituzionale tramite la creazione di una situazione di disordine nel paese da parte di varie entità (dal MAR ai gruppi della destra radicale ai movimenti filogolpisti) unite nell’azione di innesco della possibile svolta autoritaria. Per il 2 giugno, come dichiarato da Roberto Cavallaro, i Nuclei di Difesa dello Stato avevano organizzato “una mobilitazione generale armata che doveva portare ad un mutamento istituzionale”101, con il coinvolgimento di elementi reclutati dai gruppi oltranzisti, poi non avvenuta. Un ruolo importante
sarebbe
stato
svolto
anche
dal
Fronte
Nazionale,
“supportato ampiamente da ufficiali NATO e dal generale Mereu, capo di Stato Maggiore dell’esercito”102. I progetti, comunque, non si concretizzano nello sperato colpo di stato militare, posto che fosse davvero questo l’obiettivo ultimo di tutti gli attori presenti sulla scena103.
101
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p.320
102
Ibidem. Mereu risulterà iscritto alla P2 (come molti dei protagonisti del periodo tra i quali il gen. Palumbo); egli versò anche i soldi su un conto svizzero a favore dei cospiratori.
103
Questa frase fa riferimento ad un’interpretazione che tenga conto delle diverse finalità presenti nel contesto delle strategie terroristiche. Se, infatti, gli autori degli attentati e i gruppi oltranzisti aderenti alla strategia, nonché probabilmente parte dei militari coinvolti, sono concordi nell’inseguire un’evoluzione istituzionale in senso «forte», e quindi per essi il mancato pronunciamento militare rappresenta un fallimento, non è affatto certo che per tutti gli attori in gioco il golpe fosse l’obiettivo ultimo (soprattutto ai livelli più alti). Sul punto, e più in generale sul reale ruolo giocato dal terrorismo nero nelle vicende politiche italiane, afferma il giudice Tamburino: “Il problema del terrorismo nero, in sostanza, non è stato quello di una sua improduttività, o addirittura, come certuni pensano, una sua controproduttività. A mio parere, il terrorismo nero ha ottenuto gli effetti ritardanti sulle trasformazioni politiche italiane che si proponevano i suoi strateghi. Il problema è stato di costi eccessivi rispetto al risultato” (G.Tamburino, Le stragi e il loro contesto, op.cit., p.148)
246
Il 1973, quindi, vede i gruppi della destra radicale in azione nella messa in atto di operazioni terroristiche in collaborazione con altre forze. Tale cooperazione, tuttavia, non deve portare a pensare ad una perdita di autonomia da parte degli estremisti, quanto piuttosto a momenti di raccordo strategico con altri gruppi non escludenti attività indipendenti da parte dei militanti del radicalismo nero. In particolare, con le esplosioni sui treni dell'aprile viene messa in luce l’importanza del circolo La Fenice di Milano. Le indagini dei decenni successivi affermeranno i legami della cellula milanese con quelle venete e romane (in particolare sembra che Rognoni, leader e ideologo de La Fenice, dipendesse gerarchicamente104 da Paolo Signorelli, leader dell’area romana, coinvolto105 nella strategia terroristica del ‘73), suffragando l’ipotesi dell’unitarietà strategica delle cellule eversive di destra. Il 1973, inoltre, è un anno importante per i gruppi dell’estrema destra poiché vede mutare, in parte, l’atteggiamento dello stato nei confronti
dell’eversione
presente
negli
ambienti
«nera».
Nell’ambito
istituzionali,
che
di
una
emergerà
conflittualità in
maniera
dirompente nell’anno successivo, il 21 novembre ’73, infatti si conclude a Roma il processo contro il Movimento Politico Ordine Nuovo di Clemente Massagrande ed Elio Graziani con condanne a pene variabili da sei mesi a cinque anni e tre mesi di reclusione per 30 dei 39 imputati106.
104
Cfr. AA.VV., La strage di Bologna, op.cit., p.74
105
Secondo le testimonianze di Sergio Calore (terrorista di destra e uno dei massimi esponenti del gruppo di Tivoli fondato da Signorelli), Marco Affatigato e Mauro Marzorati (appartenente a La Fenice) il 6 aprile del ’73 (giorno precedente al fallito attentato di Azzi) si tenne una riunione presso la birreria Winervald ove si decisero gli utlimi dettagli dell’azione, alla quale, oltre alla dirigenza della Fenice, era presente anche Signorelli.
106
M.Battaglini, Il Movimento Politico Ordine Nuovo. Il processo di Roma del 1973, op.cit., p.27
247
Pochi giorni dopo (23 novembre) il ministro dell’Interno Taviani scioglie il movimento con decreto ministeriale. Il fatto, pur segando un episodio traumatico all’interno dell’area della destra radicale, della quale Ordine Nuovo costituisce indubbiamente la realtà più prestigiosa e significativa, non comporta l’immediata liquidazione della struttura organizzativa ordinovista, la cui vitalità sarà tragicamente testimoniata dagli
attentati
della
primavera-estate
del
’74.
La
contingenza,
comunque, costringe alcuni leader ad entrare in clandestinità, mentre altri riparano all’estero107. Come conseguenza dello scioglimento del MPON, si ha la riunione di Cattolica del 28 febbraio-2 marzo 1974, nella quale “i quadri del movimento decidono, di fatto, la riorganizzazione clandestina del proprio movimento”108. Paolo Signorelli assumerà di lì a poco la direzione del gruppo, dopo che Graziani avrà raggiunto Massagrande all’estero. Significativa è la presenza della moglie di Amos Spiazzi in rappresentanza del marito al convegno109. Ma ancor più rilevante nell’episodio è un altro aspetto. La riunione si tiene infatti presso l’Hotel Giada, gestito dall’albergatore Caterino Falzari, che assicura la sistemazione logistica e il soggiorno agli ordinovisti clandestini. Sconcertante è che Falzari sia “un collaboratore del SID”110, e che tale particolare sia a conoscenza degli organizzatori dell’incontro qualità. Sul punto, così commenta il G.I. di Bologna, dopo aver raccolto la testimonianza di Falzari il 20 luglio 1984:
107
Elio Massagrande, ad esempio si rifugia in Grecia del regime amico dei colonnelli, tenendosi tuttavia in contatto con la rete neofascista italiana 108 109 110
Cfr. AA.VV., La strage di Bologna, op.cit., p.68 Ibidem Ibidem, p.69
248
“Il titolare della pensione Giada era un collaboratore dei Servizi Segreti e di questa sua qualità si sono dichiarati a conoscenza i promotori della riunione. Ora è perlomeno insolito che i dirigenti di un movimento illegale scelgano, quale luogo di una loro riunione, proprio quello in cui sanno di poter essere sorvegliati. Resta la sola spiegazione che quello fosse l’unico posto sicuro dove operare, confidando nelle opportune coperture”111 Anche quest’episodio testimonia, quindi, l’ambiguità dei rapporti esistenti tra organizzazioni di estrema destra e servizi segreti italiani.
111
Cit. in AA.VV., La strage di Bologna, op.cit., p.69
249
6.4.2 Gli attentati della primavera '74 Nel 1974 ha luogo un'impressionante escalation terroristica che registra gli episodi pi첫 cruenti con la strage di Piazza della Loggia a Brescia il 28 maggio, e quella treno Italicus del 4 agosto. In questa progressione sono attive in modo preponderante le cellule eversive di destra, che agiscono tuttavia in contatto anche con altri gruppi. Tra gli avvenimenti pi첫 gravi, si possono ricordare: 1째 gennaio 1974: a Silvi Marina, in Liguria, una bomba innescata su un treno in corsa solo per puro caso non esplode 2 febbraio 1974: viene effettuato un attentato dinamitardo contro la sede dell'ANPI a Milano 6 marzo 1974: sono fatti saltare numerosi tralicci dell'energia elettrica in Toscana 13 marzo 1974: una bomba viene lanciata contro gli uffici del "Corriere della Sera" e contro il Centro Studi Gramsci a Milano 21 aprile 1974: vicino a Vaiano, in Toscana, una bomba ad alto potenziale esplode accidentalmente pochi minuti prima del passaggio di un treno sulla linea Firenze-Bologna, distruggendo 20 metri di binario (la carica era stata posta in un tratto di linea stretto tra una parete di roccia e un precipizio, prima di una galleria; se, come si intendeva, fosse esplosa al passaggio del treno, vi sarebbero state centinaia di vittime) 23 aprile 1974: tre attentati dinamitardi vengono realizzati simultaneamente contro l'Ufficio Imposte di Milano, una sede del Partito Socialista a Lecco e una Casa del Popolo a Moiano (Perugia)112
112
Per un resoconto degli attentati del periodo cfr. T.Barbato, Il terrorismo armato in Italia negli anni Settanta..., op.cit., p.74-83
250
Gli attentati sono da inserire nel contesto di un progetto di golpe previsto tra la fine di aprile e l'inizio di maggio 1974113, con il consueto schema volto a indurre una situazione di caos per sollecitare e giustificare l'intervento dei militari. Gli attori attivi in questo nuovo tentativo sono pressoché gli stessi dei tentativi del '73 con, in primo piano: il MAR, il Fronte Nazionale e i gruppi della destra radicale, la Rosa dei Venti e sullo sfondo militari golpisti, industriali e finanziatori, uomini politici. Ciò che contraddistingue questa fase, tuttavia, è l'intervento degli apparati statali per contrastare il tentativo, in primo luogo con l'azione del capitano dei carabinieri Francesco Delfino contro il MAR e i gruppi di destra ad esso collegati. Il 9 marzo, in Val Camonica, vengono arrestati Kim Borromeo e Giorgio Spedini, due giovani estremisti di destra bresciani appartenenti ad Avanguardia Nazionale, bloccati a bordo di un'automobile carica di esplosivo114, che si scopre provenire da
un'autofficina
di
Segrate
riferibile
a
Carlo
Fumagalli.
Da
quest'episodio parte l'inchiesta che porta il 9 maggio '74 all'arresto del capo dei MAR, insieme ad altri appartenenti al gruppo. Venti giorni dopo, a Brescia si consuma la strage di Piazza della Loggia, episodio che si passerà ora ad analizzare.
113
Cfr. F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.254
114
Cfr. R.Chiarini e P.Corsini, Da Salò a Piazza della Loggia, op.cit., pp. 328-329
251
6.4.3 La strage di Piazza della Loggia Nella tragica successione degli attentati del ’74, si colloca anche la vicenda di Brescia del maggio ’74. Il 28 maggio, in Piazza della Loggia,
durante
una
manifestazione
organizzata
dal
«Comitato
permanente antifascista»115 della città contro la violenza neofascista di cui Brescia è sistematicamente vittima da anni, esplode una bomba collocata in un cestino di rifiuti, provocando la morte di 8 persone e il ferimento di altre 94116. La strage si posiziona in un contesto, quello bresciano, che vede da tempo in azione militanti neofascisti impegnati in numerosi atti di violenza e di intimidazione. Tuttavia, nel ’73, avviene il “passaggio da una stagione di microviolenza diffusa a una di violenza terroristica”117. L’episodio che segna il punto di rottura è l’attentato contro la sede della federazione socialista bresciana del 3-4 febbraio ’73, eseguito da militanti di Avanguardia Nazionale, che, non rivendicato dal gruppo che persisterà anche in presenza di responsabilità evidenti a negarne la paternità, traccia il discrimine tra “teppismo e azione squadristica diretta da terrorismo e provocazione coperta”118. Ad esso, nell’ambito di una strategia locale che si collega in qualche modo ad una logica più vasta volta a “far lievitare, sull’onda di campagne terroristiche, un mutamento istituzionale di regime”119, seguono, oltre ad uno stillicidio di aggressioni contro studenti di sinistra, ex-partigiani e operai, le bombe dei primi mesi del ‘74 (in un supermercato il 15 febbraio, alla sede della CISL – ma l’ordigno viene disinnescato in tempo - l'8 maggio), e l’episodio della notte del 21 maggio, quando Silvio, Ferrari, un militante di Avanguardia
115
M.Rotella, Memoria di Piazza della Loggia (Brescia, 28 maggio 1974), cit. in V.Borraccetti, Eversione di destra, terrorismo e stragi, op. cit., pp.121-153 116
M.Galleni (a cura di), Rapporto sul terrorismo, op. cit., p.295
117
R. Chiarini e P. Corsini, Da Salò a Piazza della Loggia, op.cit., p.325
118
Ibidem, p.326
119
Ibidem, p.327
252
Nazionale,
muore
dilaniato
dall’esplosivo
che
egli
stesso
sta
trasportando con il suo scooter, probabilmente per compiere un attentato120. Vicino al cadavere del giovane vengono trovate copie di «Anno Zero» “testata intorno alla quale si sono raggruppati elementi di Ordine Nuovo”121. Mentre i locali esponenti della destra radicale gridano alla provocazione e alle responsabilità dei comunisti122, per il 28 maggio, in risposta all’escalation della violenza, viene indetta la manifestazione antifascista durante la quale, come già detto, si consuma la strage. La vicenda di piazza della Loggia ha dato origine ad una complessa vicenda giudiziaria123, tuttavia non si è risolta fino ad ora in condanne per gli esecutori dell’attentato, tuttora impunito. L’indagine 120
L’episodio non è stato chiarito, in quanto è stata avanzata l’ipotesi che l’ordigno trasportato da Ferrari sia stato manomesso dai suoi sodali per punire il giovane per la sua riluttanza a proseguire la strategia degli attentati (F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.250) 121
R. Chiarini e P. Corsini, Da Salò a Piazza della Loggia, op.cit., p.335
122
Ad esempio, il 27 maggio un volantino firmato «Ordine Nero - Gruppo Anno Zero – Brixien Gau» annuncia che «in risposta per la morte del camerata Ferrari, vittima inconsapevole delle trame rosse», gli uomini «nati uomini e non decisi a morire schiavi, avendo validi motivi per credere che tutte le azioni imperniati sulle Piste nere, altro non siano che abilissimi movimenti della peggiore canaglia comunista» hanno deciso di sostituirsi alla polizia e giudici colpevoli di essere in «combutta» con i nemici della «nostra Italia, fascista e corporativa, l’Italia dei Cesari e dell’ultimo dei Cesari» (cit. in R. Chiarini e P. Corsini, Da Salò a Piazza della Loggia, op.cit., p.336)
123
In estrema sintesi, nella vicenda giudiziaria per la strage di piazza della Loggia, si possono distinguere due filoni principali. Il primo è costituito dalle prime due istruttorie e dai relativi procedimenti, focalizzati su una pista locale, cioè verso un insieme eterogeneo formato da un gruppo di balordi e piccoli delinquenti comuni con simpatie di destra ed un gruppo di giovani neofascisti della Brescia bene. Il secondo filone include le altre due istruttorie e i relativi procedimenti, innescati dalle rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia provenienti dall’ambiente carcerario, e si focalizza sui gruppi della destra radicale milanese, attraversando l’intero panorama eversivo degli anni ’70. Il primo filone (apertosi nel ’74) si conclude nel 1987 con la conferma definitiva dell’assoluzione del gruppo bresciano con la formula dubitativa e che sottolinea la gravità degli indizi acarico degli imputati, il principale dei quali, Ermanno Buzzi, era stato ucciso in carcere nel 1981 dai due terroristi neri, Pierluigi Concutelli e Mario Tuti. Il secondo filone viene chiuso nel 1989 dalla sentenza della Cassazione che conferma l’asoluzione con formula piena di tutti gli imputati. Esito confermato anche da una quarta istruttoria, chiusa dalla sentenza-ordinanza del 23 maggio 1993 del giudice istruttore Zorzi con la richiesta di non luogo a procedere per l’imputazione di concorso in strage e con la formula per non aver commesso il fato nei confronti di altri imputati rientranti nella pista milanese (Fabrizio Zani, Marco Ballan, Giancarlo Rognoni, Bruno Luciano Benardelli e Marilisa Macchi) (Cfr. Commissione Stragi, Il terrorismo, le stragi e il contesto storico politico, op.cit.)
253
più recente effettuata presso la procura bresciana, indagine tuttora in corso che “nasce da uno stralcio operato dal G.I. Zorzi con l’ordinanzasentenza 23 maggio 1993 e che risulta essere stata innervata da esiti dell’attività investigativa condotta in Milano dal giudice Salvini”124, al di là degli esiti processuali, sembra però gettare nuova luce sulla vicenda bresciana. Dato il riserbo che circonda l’inchiesta non è possibile qui fornire ricostruzioni precise. Da alcuni documenti diventati pubblici, sembra comunque emergere un diretto coinvolgimento dello stesso gruppo veneto-milanese indicato come responsabile della strage di piazza Fontana125. In particolare si è ipotizzato che i servizi americani ai quali Digilio e Soffiati erano legati fossero a conoscenza del fatto che un attentato fosse in fase avanzata di organizzazione ed esecuzione, senza che questo si risolvesse nell’informare le autorità del probabile attentato. Data l’attuale scarsità di informazioni e di riscontri su tale
124
Commissione Stragi, Il terrorismo, le stragi e il contesto storico politico, op.cit.
125
Nell’interrogatorio del 13.1.1996 al G.I. Salvini, Digilio ha dichiarato che Zorzi gli disse di avere sistemato la gelignite [è l’esplosivo usato anche a piazza Fontana] acquistata da Rotelli in un casolare del mestrino simile a quello di Paese: “dai suoi accenni ho ragione di ritenere che questo casolare potesse trovarsi a Spinea, dove tra l’altro Zorzi e la sua famiglia avevano anche un interesse commerciale quale un negozio di pelletteria o qualcosa del genere”. Tale casolare è tornato alla ribalta allorché Digilio ha successivamente riferito all’autorità giudiziaria alcune circostanze, che aveva appreso da Marcello Soffiati, che ha ricollegato alla strage di Brescia di Piazza della Loggia. Soffiati gli aveva confidato di essere andato a prelevare con Zorzi, pochi giorni prima della strage del maggio ’74, candelotti in una vecchia casa tra Mirano e Spinea, di cui Zorzi aveva la disponibilità e di averli poi portati a Verona. Al riguardo il giudice Salvini ha concluso: “E’ verosimile che il gruppo mestrinoveneziano avesse bisogno di un nascondiglio di pronto uso e più prossimo”– rispetto al deposito di armi del casolare di Paese, che era situato in provincia di Treviso – “alla zona ove operava e questo poteva appunto essere il casolare di Mirano. E’ probabile che tale casolare, in qualche fase dell’attività del gruppo, sia stato anche il deposito della grande quantità di candelotti di gelignite, acquistati da Roberto Rotelli che Digilio non aveva mai notato nel casolare di Paese […] Non è possibile, allo stato, sapere se i candelotti e il congegno di innesco transitati a Verona e diretti con Marcello Soffiati alla volta di Milano e di Brescia nel maggio 1974 siano stati poi effettivamente utilizzati, in tutto o in parte, per il confezionamento dell’ordigno deposto in piazza della Loggia, a Brescia, in un cestino di rifiuti, il 28.5.1974. E’ comunque certo che tale episodio, descritto da Carlo Digilio e corroborato da importanti riscontri, costituisce un elemento significativo della stabile operatività della struttura di Ordine Nuovo dalla fine degli anni ’60 quantomeno sino al 1974, del raccordo strategico fra il gruppo veneto e i militanti della Lombardia e della costante disponibilità e preparazione di ordigni esplosivi di altissima capacità offensiva” (sentenza ordinanza del 3.2.1998, pp.230-231) Cfr. M.Dianese-G.Bettin, La strage..., op.cit., pp.49-50.
254
interpretazione, comunque, non si approfondirà oltre questa linea interpretativa126. Due giorni dopo, a Pian del Rascino in provincia di Rieti, viene ucciso in un conflitto a fuoco con guardie forestali e carabinieri un estremista di destra, Giancarlo Esposti, mentre vengono arrestati Alessandro D'Intino, Alessandro Danieletti e Salvatore Vivirito127. Esposti, uno dei leader delle SAM e di Ordine Nero, nonché legato agli ambienti ordinovisti sia di Milano che veneti, è anche uno degli uomini di collegamento tra il MAR e l'eterogenea galassia dei gruppi della destra radicale impegnati nel periodo nell'attuazione della campagna terroristica, ed ha contattti anche con ambienti militari. Intanto le indagini dei giudici bresciani vengono in qualche modo deviate dal cap.Delfino, che le indirizza sul gruppo legato a Ermanno Buzzi (viene coinvolto anche il figlio del giudice Arcai, che sta indagando
sul
Mar,
il
quale
viene
successivamente
sollevato
dal’inchiesta per oggettiva incompatibilità ambientale). E riguardo alle attività del cap.Delfino nei mesi precedenti e a ridosso della strage, anche alla luce delle risultanze dei processi sul MAR e Piazza della Loggia, sembra potersi condividere l'interpretazione che della vicenda dà il senatore Pellegrino, secondo il quale Delfino sarebbe stato mandato a Brescia per colpire le frange eversive la cui alleanza con gli apparati risultava ormai scomoda, e condurre tale operazione facendo in modo che non emergesse "il livello delle responsabilità più elevate"128 (le indagini dei giudici si stavano infatti rivolgendo ai complessi collegamenti tra MAR, Rosa dei Venti, Maggioranza Silenziosa ecc., quando vengono in qualche modo «stoppate», bloccando così l’approfondimento e il disvelamento del contesto eversivo). 126
Tra gli inquisiti nell'indagine che si sta svolgendo è da ricordare la presenza di Pino Rauti (si veda A.Trocino, N.Vallini, “Rauti indagato per strage”, Corriere della Sera, 16.10.1999
127
T.Barbato, Il terrorismo armato in Italia negli anni Settanta..., op.cit., p.78
255
6.4.4 La strage del treno Italicus e il «golpe bianco» La campagna del terrore del '74 non si chiude con la strage di Brescia. Sempre all'interno di una strategia tesa al sovvertimento istituzionale, continuano gli attentati nel giugno-agosto ’74, atti criminosi che culmineranno con la strage del treno Italicus. Riguardo le strategie golpiste messe in atto nel biennio ‘73-’74, c’è da registrare una variazione significativa rispetto a quelle del biennio ‘69-’70. In particolare i tentativi del ‘73-’74 sarebbero orientati, a differenza di quelli precedenti, non all’attuazione di un vero e proprio golpe militare, bensì “alla proclamazione di una Repubblica presidenziale, ancora di carattere formalmente democratico, ma con un forte restringimento dei diritti civili e degli ambiti di libertà individuale e sindacale”129. Come si è detto, l’altra grande strage che caratterizza il 1974 è quella del 4 agosto, quando all'uscita della galleria di San Benedetto Val di Sangro, vicino a Bologna, una bomba esplode sul treno Italicus (linea Monaco-Roma) provocando la morte di 12 passeggeri e il ferimento di altre 105 persone. La vicenda processuale relativa all’episodio, a causa principalmente della messa in atto "dell'intero repertorio
dei
possibili
incidenti,
ostacoli,
deviazioni,
coperture,
insabbiamenti"130, non ha dato esiti positivi, non pervenendo alla condanna dei colpevoli. Tuttavia, la lettura più plausibile per l'attentato ne attribuisce la responsabilità al Fronte Nazionale Rivoluzionario, un gruppo toscano legato a Ordine Nero.
128
G.Pellegrino-C.Sestieri-G.Fasanella, Segreto di Stato..., op.cit., p.76
129
Commissione Stragi, Il terrorismo, le stragi e il contesto storico politico, op.cit.
130
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia..., op.cit., p.251
256
Un ruolo importante sembra essere stato svolto anche dalla Loggia P2, sia nel finanziare e istigare il gruppo, che nel coprirne le attività131,
come
sanzionato
in
modo
netto
ed
esplicito
dalla
commissione Anselmi132. I principali protagonisti della cellula eversiva, a carico dei quali ci sono numerose testimonianze di estremisti di destra, sono Cauchi, Franci, Tuti e Malentacchi. Sembra che la cellula terroristica abbia agito autonomamente, anche se nel quadro di una strategia eversiva correlata “alla realizzazione di un colpo di stato atteso per quel periodo”133. Sul grado di pericolosità del gruppo, oltre alle sentenze ormai passate in giudicato per diversi omicidi e tentate stragi134, ci sono le stesse affermazioni di Mario Tuti, che in un’intervista
del
’75
descrive
la
nascita,
le
attività,
gli
scopi
(l’instaurazione di un regime nazionalsocialista) del Fronte Nazionale Rivoluzionario, e i metodi che il gruppo intende utilizzare per attuare i propri progetti:
131
“E’ risultato come all’epoca la massoneria – ed in particolare la Loggia P2 – fosse ben presente negli ambienti giudiziari, della polizia e dei carabinieri di Arezzo. Alcuni questori, il col. Tuminello, comandante del gruppo dei Carabinieri, due sostituti procuratori della Repubblica, fra cui il dott. Marsili, genero di Licio Gelli. Può ritenersi altresì verosimile che gli estremisti di destra usciti dal MSI, ma non dall’ambiente che gli gravitava attorno …] godessero di appoggi e protezioni presso le forze dell’ordine e fors’anche in ambienti giudiziari” (Appello Italicus, 430, cit. in F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.272)
132
Nella relazione di maggioranza della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulla Loggia P2 è stato infatti affermato: “1. La strage dell’Italicus è ascrivibile ad una organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana; 2. La Loggia P2 svolse opera di istigazione agli attentai e di finanziamento nei confronti della gruppi della destra extraparlamentare toscana; 3. La Loggia P2 è quindi gravemente coinvolta nella strage dell’Italicus e può considerarsi anzi addirittura responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale” (cit. in Commissione Stragi, Il terrorismo, le stragi e il contesto storico politico, op.cit.)
133
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.270
134
Il gruppo di Tuti ad esempio è stato condannato per l’attentato di Terontola del 6 gennaio 1975, nel quale vengono fatti saltare 55 cm di binario, fortunatamente senza conseguenze. Tuti e Franci, per il fatto, sono stati condannati per strage con sentenza passata in giudicato. Tuti stesso è stato condannato per l’omicidio a colpi di mitra di due dei tre agenti recatisi nel suo appartamento il 24 gennaio 1975 in esecuzione di un mandato di cattura connesso alla strage dell’Italicus (gli agenti, ingannati dall’immagine di impiegato modello mantenuta da Tuti per coprire le proprie attività eversive, non si curano di prendere particolari precauzioni nell’arrestare il presunto terrorista, e vengono falciati a freddo con diverse raffiche di mitra)
257
“Tutti i mezzi, dall’attentato terroristico alla psicodinamica, che la storia ha dimostrato utili per la vittoria di una minoranza consapevole ed attiva sulle masse abbruttite da trent’anni di malgoverno e corruzione […] Premetto fin da ora che gli attentati eseguiti dal Fronte hanno avuto carattere dimostrativo evitando di far vittime innocenti, e su tale strada ci proponiamo di continuare. E’ evidente però che per scuotere l’inerzia delle masse può, a volte, essere necessario colpire in maniera dura e indiscriminata”135 E’ da sottolineare che l’istruttoria relativa alla strage dell’Italicus e alla stazione di Bologna conclusasi nel 1994 con il deposito della sentenza del G.I. Grassi, ha messo in luce il probabile coinvolgimento nella strage del gruppo terroristico milanese inserito in Ordine Nero (composto da numerosi appartenenti al circolo La Fenice, tra i quali Fabrizio Zani, Cesare Ferri e Alessandro Danieletti, un nucleo legato fortemente anche alla figura di Giancarlo Esposti)136. Uomo di collegamento tra i gruppi sarebbe stato Augusto Cauchi, ordinovista e leader della destra radicale aretina. Proprio quest’ultimo, ci riporta nuovamente all’ambigua presenza dei servizi segreti nelle cellule terroristiche di destra, essendo Cauchi in collegamento col SID (“come precisava il piduista gen.Santovito, direttore del SISMI, Italicus, 5 maggio 1982”137), oltre che con Licio Gelli.
135
Autointervista rilasciata a “L’Europeo” del 9 maggio 1975 (cit. F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.271). A smentire il preteso carattere dimostrativo degli attentati della cellula toscana, oltre alla probabile responsabilità nella strage dell’Italicus e il certo coinvolgimento in altri gravi episodi (come quello già riportato di Terontola) è successivamente lo stesso Tuti: “Tuti ammise l’utilizzabilità di stragi come quella dell’Italicus nella guerra allo Stato, definendo il terrorismo, in sintonia con i combattenti per l’indipendenza dell’Algeria, ‘l’aereo da bombardamento dei poveri’ “ (Assise Italicus, 26, cit. in F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.271)
136
Cfr. P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., pp.194-197, estratto dell’ordinanza del G.I. Grassi per l’inchiesta bis su Italicus e stazione di Bolgoan, 5 luglio 1994
137
AA.VV., La strage di Bologna, op.cit., p.75
258
Proprio tale complesso intreccio, rende ancora più gravi le conseguenze
dell’esito
fallimentare
della
vicenda
giudiziaria
dell’Italicus, che, oltre a non aver sancito la colpevolezza dei responsabili, ha mancato “un’occasione forse irripetibile di sviscerare il contesto dell’eversione”138. Ritornando ad un’interpretazione più generale degli eventi dell’estate ’74, si è detto che la strage dell’Italicus viene probabilmente progettata sulla traccia di un tentativo di golpe di destra previsto per l’agosto ’74. E’ da sottolineare che l’attentato del 4 agosto, non è l’unico in programma. E’ quasi certo, infatti, che per i giorni immediatamente successivi alla strage ferroviaria, sia stato organizzato un attentato all’Arena di Verona, con l’obiettivo di colpire il pubblico presente alle rappresentazioni
estive.
Sembra
che
il
contrordine
sia
venuto
direttamente dai vertici della destra radicale, a causa dell’entità e dell’ingestibilità della strage (le bombe, che erano già state collocate, se esplose avrebbero provocato centinaia di morti139). Il disegno strategico sulla scia del quale viene organizzata la campagna del terrore (anche se per le stragi tentate e riuscite dell’estate ’74 sembra da rilevarsi una forte autonomia dei gruppi eversivi), è quello del cosiddetto «golpe bianco». La vicenda, ormai nota140, che vede come uno dei principali protagonisti Edgardo Sogno, ex-diplomatico ed ex-partigiano fortemente legato ai vertici dei servizi segreti americani, rappresenta il tentativo “più presentabile, quello più formalmente politico”141 di sovvertimento dell’ordine istituzionale. Il colpo di stato, fortemente orientato in senso presidenzialista, è previsto per il 10-15 agosto, e, come hanno chiarito le diverse inchieste della 138
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.274
139
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., pp.194-197. A parlare della strage sono diversi esponenti di primo piano dell’eversione nera, tra i quali Stefano Delle Chiaie, Pierluigi Concutelli e Angelo Izzo. Sembra che i responsabili del contrordine siano stati proprio Delle Chiaie e Concutelli 140
Per un resoconto dettagliato della vicenda del «golpe bianco» si rimanda in bibliografia
141
P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p 336
259
magistratura, prevede la partecipazione di numerosi uomini politici di primo piano, a partire da Randolfo Pacciardi. Vasti sono anche i collegamenti con il mondo imprenditoriale e con i settori militari (sembra che Manlio Brosio, già segretario generale della NATO, fosse direttamente implicato nella vicenda142). Fortemente connessi alla vicenda
sono
anche
il
Fronte
Nazionale,
il
Mar
e
i
gruppi
dell’estremismo di destra. Il tentativo è forse il più vicino a raggiungere l’obiettivo finale, tanto che gli organi governativi, informati tramite il SID delle attività di Sogno e i suoi consociati, dispongono per il luglio-agosto numerose misure di sicurezza, con spostamenti degli alti ufficiali sospettati di aderire al progetto, e la messa in stato di allerta “dei comandi delle divisioni dei Carabinieri, tutti i comandi di brigata e legione, i comandi dei carabinieri nell’Esercito, Marina e Aeronautica, e il Raggruppamento Guardie Presidenziali”143. Il progetto, tuttavia, fallisce, principalmente a causa della caduta di Nixon l’8 agosto e in seguito all’iniziativa giudiziaria del giudice Violante, come affermato dallo stesso Sogno: “Se non fosse stato per questi due eventi noi ci saremmo continuati a preparare, in attesa del punto critico”144.
142
Ibidem, p. 337
143
F.Ferraresi, Minacce alla democrazia…, op.cit., p.256
144
Cit. in P.Cucchiarelli-A.Giannuli, Lo Stato parallelo..., op.cit., p 341. A riprova dell’effettiva serietà del tentativo sono le dichiarazioni rilasciate dallo stesso Sogno nel 1990: “Con Pacciardi avevo messo a punto un programma politico che, una volta raggiunto il punto critico, prevedeva l’instaurazione di un nuovo governo. Se il PCI fosse andato al potere, anche in un governo di coalizione, sarebbe scattato un intervento militare. Era tutto pronto, carabinieri inclusi. Avevo contati con il generale Li Gobbi e con il comandante Zavattaro Ardizzi e con loro c’erano molti d’accordo su questa linea” (Ibidem). A proposito di Sogno, le indagini più recenti, rispetto a quelle dell’epoca, ne delineano il ruolo di coordinatore, impegnato nel compito di ricomporre attorno al progetto golpista l’ala moderata e presidenzialista della destra.
260
Con il fallimento del «golpe bianco», e con l’estate del ’74, si giunge ad un vero e proprio momento di svolta che inciderà profondamente sull’area dell’estremismo di destra radicale, modificando la conformazione dei gruppi, le caratteristiche della militanza, i referenti e gli obiettivi. Di ciò si dirà nel capitolo conclusivo di questo lavoro.
261
CONCLUSIONI
Questo lavoro conclude la sua ricostruzione con il 1974, anno in cui si registra una vera e propria svolta sia a livello internazionale che italiano. I cambiamenti nella politica estera americana derivanti principalmente dall'indebolimento dell'asse Nixon-Kissinger a causa dello scandalo Watergate e dai conflitti che attraversano i servizi segreti statunitensi e in particolare la CIA, con il prevalere di una linea meno rozza di opposizione al comunismo e con il progressivo cessare del sostegno a dittature e governi di estrema destra, si ripercuotono anche sullo scenario europeo. Entrano in crisi i regimi fascisti di Spagna, Grecia e Portogallo, che hanno garantito appoggi e coperture agli esponenti della destra radicale italiana. Anche i servizi italiani vedono emergere una contrapposizione che riflette quella attraversante i servizi statunitensi. Il 1974 registra infatti lo scontro durissimo tra il gen.Miceli e il gen.Maletti, con il temporaneo prevalere di quest'ultimo (sostenuto anche da Giulio Andreotti, all'epoca ministro dell'Interno). Sembra prendere il sopravvento una strategia volta a liquidare le connivenze degli apparati statali con le frange più estremiste della destra nell’ambito della stagione del terrorismo, anche se le vicende successive mostreranno che il ricambio all'interno delle istituzioni è più apparente che reale. Cambiano, infine, le dinamiche del sistema politico italiano, con l’evoluzione della strategia del «compromesso storico» lanciata da Berlinguer nel 1973 che porterà alla formazione dei governi di solidarietà nazionale. Il 1974 è un anno di svolta anche per l'area della destra radicale, che per la prima volta si trova a subire l'azione repressiva dello stato, con lo scioglimento di Ordine Nuovo, la morte di Giancarlo Esposti e lo
262
sviluppo di importanti inchieste giudiziarie. Anche se le attività di contrasto avranno un andamento altalenante e non necessariamente penalizzante per i militanti dell’estrema destra (si pensi alla mancata individuazione e condanna dei responsabili delle stragi) il passaggio viene vissuto in modo traumatico nell’ambiente, poiché è percepito come un tradimento da parte dello Stato. Muore nel ‘74 in Spagna il principe Borghese, mentre molti dei leader dell'estremismo nero (a partire da Stefano Delle Chiaie) si rifugiano all'estero per sfuggire ai mandati di cattura e al mutato clima non più favorevole alle attività dei «rivoluzionari» di destra. Nello stesso anno si afferma, inoltre, il terrorismo di sinistra (con il sequestro Sossi). In sintesi, il biennio 197475 vede la crisi e la trasformazione dell'eversione di destra, con il fallimento degli ultimi progetti golpisti e con la perdita dei consueti punti di riferimento all'interno degli apparati, impegnati in qualche modo in una complessa operazione di sganciamento dalla «manovalanza» terrorista attiva durante la strategia della tensione (anche Avanguardia Nazionale sarà sciolta nel ’76). Altro elemento problematico per l’area è l'affermarsi di una nuova generazione di militanti (nati dopo il 1950) rispetto ai «vecchi» aderenti ai gruppi storici. Il periodo è quindi contrassegnato dallo sforzo di riorganizzare l’ambiente, questa volta però all’insegna dell’attacco allo Stato. Tale strategia sarà sancita con la riunione dell’autunno ’75 ad Albano Laziale, che vedrà la leadership delle residue forze di AN e ON decidere l’unificazione dei due movimenti in vista dell’attuazione dell’offensiva contro il potere statale. Il periodo successivo al ’75, tuttavia, sarà contrassegnato da una mutazione qualitativa rispetto a quello precedente, con l’allentarsi del rigido controllo gerarchico sui militanti peculiare di gruppi come Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo, e con il prevalere di una leva di attivisti più votati al momento «militare» che alla riflessione ideologica e alla gestione politica dell’attività violenta, e, soprattutto, meno legati alla memoria storica del fascismo. Conseguenze di questo complesso processo, sarà la genesi di nuove formazioni di destra,
263
influenzate anche dalle mutazioni culturali derivanti dall’affermarsi del movimento del ’77, e il nascere del cosiddetto «spontaneismo armato», nell’ultima fase del terrorismo «nero». Ciò, tuttavia, esula dai limiti di questo
lavoro,
del
quale
ora
è
opportuno
tracciare
alcune
considerazioni conclusive. Nell’analisi svolta, si è cercato in primo luogo di ricostruire le origini dei movimenti di estrema destra a partire dall’immediato dopoguerra. Si è visto come negli anni ’50 il MSI estenda la propria egemonia all’intera area dell’estrema destra, anche se a partire dalla metà circa del decennio emergono forti critiche alla condotta ambigua del partito, diviso tra proclami antisistema e strategie parlamentari dirette all’avvicinamento all’area di governo. Alcune voci si levano con particolare intensità, a partire da Ordine Nuovo, il gruppo guidato da Rauti che nel ’56 consuma la propria scissione in polemica con la dirigenza missina. Si è visto, poi, come la crisi del MSI derivante dal fallimento del governo Tambroni e dalla mancata celebrazione del congresso di Genova del ’60 a causa dei violenti moti popolari, apra spazi
inediti
all’azione
dei
gruppi
radicali,
che
estendono
progressivamente il proprio reclutamento e la propria influenza. Alla ricostruzione delle attività dei principali movimenti della destra radicale, della sua leadership, delle attività, delle pubblicazioni e dei riferimenti ideologici è stata dedicata una successiva parte del lavoro. In particolare, si è cercato di comprendere il legame esistente tra il tradizionalismo evoliano e la pratica politica dell’estremismo di destra, con specifico riferimento ad un ipotetico rapporto esistente tra le concezioni del filosofo romano e pratica violenta dei gruppi di destra. Dall’analisi è emersa una sostanziale estraneità di Evola alle forme più estreme di lotta politica. Il ruolo della filosofia tradizionalista, infatti, è da identificarsi nel costituire un patrimonio di metafore e di idealizzazioni cui attingere per affermare il sentimento esistenziale di estraneità alla società moderna da parte dei militanti dell’estrema destra, più che nel fondare un sistema teorico giustificativo della lotta politica e in
264
particolare della lotta violenta e di stampo terroristico. Successivamente, l’analisi è proseguita con la ricostruzione del contesto storico cui più specificamente questo lavoro si riferisce. Si è visto come il clima di preoccupazione causato dalla costituzione del centrosinistra apra degli scenari favorevoli ai movimenti della destra radicale, per l’affidabilità in chiave anticomunista degli ambienti neofascisti. Essi vengono coinvolti nella «chiamata alle armi» sancita dal convegno all’Istituto Pollio, nel quale si incontrano radicalismo di destra e teoria politica di contrasto al comunismo espressa dagli strateghi della guerra rivoluzionaria. L’analisi ha mostrato come la contromobilitazione in difesa della civiltà occidentale messa in pericolo dall’espandersi della «minaccia comunista», provochi l’avvicinamento della leadership dell’estrema destra, in virtù della propria affidabilità in chiave «antisovversiva», alle più alte gerarchie dell’esercito e degli apparati dello stato, e l’affermazione di un rapporto privilegiato della destra con il potere. Si è cercato poi di analizzare il ruolo esercitato dai gruppi del radicalismo nero nella tragica stagione della strategia della tensione, il cui scenario è stato ricostruito facendo particolare riferimento alla situazione di anomalia che connota l’Italia a partire dalla Guerra fredda, e facendo uso di concetti quali «stato parallelo», «doppia lealtà» ecc. Si è cercato inoltre di approfondire il tema della strutture clandestine miste militari-civili in funzione di lotta ideologica anticomunista, strutture che nel corso degli anni ’60 vengono fortemente innervate da uomini della destra radicale, e il cui ruolo centrale nell’attuazione di strategie terroristiche viene a precisarsi sempre più grazie anche all’attività della Commissione Stragi del Parlamento e alle recenti indagini giudiziarie sui fatti di strage. L’analisi
ha
permesso
di
rilevare
come
le
formazioni
dell’estremismo di destra si inseriscano nella situazione di conflitto; si è osservato come esse non si limitino all’attuazione di strategie esterne, ma elaborino in proprio progetti terroristici ed eversivi, anche in
265
collaborazione con la rete neofascista internazionale (in particolare con la centrale portoghese dell’Aginter Press). Ciò a partire dal ’69, un vero e proprio momento di passaggio nell’operare dei gruppi, che, se in precedenza si era connotato come genericamente violento, si evolve in quell’anno
in
una
pianificazione
terroristica
e
stragista.
E’
un
mutamento che si manifesta anche con una divisione nell’area, che registra la scissione di Ordine Nuovo con il rientro nel MSI di Rauti e di una parte degli aderenti, probabilmente per il contrasto sull’entità dei progetti terroristici (anche se questo è un punto ancora in parte oscuro). Altro elemento importante che l’analisi ha permesso di rilevare, è il raccordo esistente tra le diverse cellule dell’estremismo di destra presenti in Italia nell’attuazione dei disegni eversivi, che appare sempre più evidente anche alla luce delle indagini condotte dagli inquirenti negli anni ’90. Si è cercato, infine, di ricostruire e di analizzare il percorso dei gruppi dell’estremismo di destra nel periodo ’69-’74, scandito nelle due fasi ‘69-’70 (in cui c’è una tensione verso l’attuazione di un vero e proprio colpo di stato autoritario) e ‘71-’74 (in cui i tentativi vanno nella direzione dell’instaurazione di un governo forte, di una repubblica presidenziale ancora formalmente democratica). Il quinquennio registra l’adesione dei movimenti della destra radicale a strategie golpiste in concorso con diversi settori delle forze armate, dei servizi, del mondo politico e di quello imprenditoriale. Questa fase registra una effettiva subalternità politica dell’area rispetto a progetti esterni, pur se l’ambiente conserva la propria autonomia operativa. Il lavoro si conclude, quindi, con il fallimento delle trame golpiste dell’estate ’74, anno che, come si è detto, registra una vera e propria svolta anche per l’area della destra rivoluzionaria, che si trova a subire l’azione repressiva dello stato, significativa più per la perdita dei tradizionali riferimenti di potere che per l’entità delle condanne subite dai singoli militanti.
266
In conclusione, si devono rilevare le difficoltà incontrate nel corso dell’analisi,
e
alcuni
punti
problematici
che
appaiono
ancora
necessitanti di approfondimento. Gli ostacoli riscontrati nel corso dell’elaborazione di questo lavoro si possono ripartire su due livelli. Il primo riguarda l’eterogeneità qualitativa presente nella pubblicistica del settore. Particolari avversità hanno rappresentato le incongruenze e le imprecisioni presenti in diversi testi utilizzati nel corso dell’analisi, in particolare per ciò che riguarda date, episodi, nomi dei personaggi coinvolti nelle diverse vicende ecc. E’ da rilevare anche l’uso spesso arbitrario e spregiudicato delle fonti documentarie attuato in particolare nei lavori di natura giornalistica. Un secondo livello di difficoltà è invece costituito dalla scarsità di organiche trattazioni teoriche riguardanti il radicalismo di destra, in particolare per ciò che riguarda l’Italia, un vuoto colmato solo in parte da studi politologici dedicate primariamente alle vicende del MSI. Correlato a questi aspetti critici, è sicuramente il carattere ancora oggi in
parte
«oscuro»
del
fenomeno
studiato.
In
particolare,
per
un’evoluzione dell’analisi e della ricerca sul percorso dell’estremismo di destra in Italia, saranno a mio parere fondamentali la pubblicazione ormai imminente dell’intero materiale raccolto nel corso della sua pluriennale attività dalla Commissione Stragi del Parlamento, e la conclusione dei procedimenti giudiziari in corso riguardanti le stragi di Piazza Fontana e di via Fatebenefratelli a Milano, e di Piazza della Loggia a Brescia, nell’auspicio che, oltre a identificare definitivamente i responsabili di eventi tragici che hanno segnato indelebilmente la storia del nostro paese, possano contribuire in misura decisiva a chiarire alcuni aspetti (quali il grado effettivo di eterodirezione dei gruppi della destra radicale e l’entità dei collegamenti con i servizi segreti italiani e stranieri) che rendono il fenomeno del radicalismo di destra in Italia ancora oggi segnato da rilevanti zone d’ombra.
267
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