U n m u ro c o n t ro l ’ i m m i g r a z i o n e
Evros porta orientale d’Europa
di Mauro Prandelli a cura di Sandro Iovine
Fotografie di Mauro Prandelli a cura di Sandro Iovine postproduzione Stefano Pasini
Evros porta orientale d’Europa Un muro contro l’immigrazione
Un fiume, confine naturale lungo 160 chilometri, separa la Grecia dalla Turchia, l’Europa dall’Asia. Sulle rive del fiume Evros, che dal 2007 è diventato una delle vie preferenziali per l’immigrazione verso l’Europa, era prevista la costruzione di un fossato di cui sono stati consegnati i primi 15 km ad agosto 2011. Il progetto, considerato troppo dispendioso, è stato modificato ed il fossato trasformato in una doppia barriera di reticolato e filo spinato. Da settembre 2011 si sono susseguiti, da parte dell’Unione Europea, plausi ed approvazioni al progetto. Il governo Greco, dopo aver discusso a fine marzo 2012 riguardo la costruzione di nuovi centri detentivi nei pressi del confine, il 13 aprile 2012 ha dato il via ai lavori per la realizzazione della recinzione. Lo St ato Ellenico ha stimato un costo di oltre 3.000.000 di Euro per questo progetto nonostante la pesante crisi economica. Nel 2011 Frontex, forza militare formata e sostenuta dall’unione Europea, ha dato il via al “progetto Poseidon” teso a controllare e bloccare il flusso migratorio. Sempre nel 2011 circa 55.000 persone (dati Frontex) provenienti da Asia, Medio Oriente ed Africa cercano rifugio in Europa. 250 persone al giorno (dati Eulex) provano, con l’aiuto di trafficanti di uomini definiti “agenti” dai migranti, ad entrare in Grecia alla ricerca di una vita normale e di un futuro migliore.
Durante il giorno si incontrano sulla strada che parte da Kastanies ed arriva ad Alexandropoli, gruppi di persone che camminano a passo veloce: migranti che hanno attraversato il fiume Evros in cerca di una speranza e che hanno Atene come primo obiettivo. Alcuni si fermeranno nella capitale Ellenica, che conta una comunitĂ migrante molto vasta, mentre altri tenteranno tramite i loro “agentiâ€? di raggiungere altri paesi d’Europa.
Mauro Prandelli aprile 2012
Confine turco Prangio - Dal trattato di Losanna del 1922, l’Evros è confine fra la Grecia e la Turchia. è un corso d’acqua lungo 170 km e nel 2011 è stato attraversato da circa 55.000 migranti in cerca di una nuova vita in Europa. La tensione è alta fra i due Paesi dopo la conferma del progetto di recinzione che segna un confine ideologico oltre che politico e culturale.
Pattuglia Frontex Pithio - Ogni notte il confine è tenuto sotto controllo dai militari di Frontex: forza multinazionale costituita dall’Europa per controllare il “perimetro“ dell’Unione Europea. Nel 2011 Frontex da il via alla missione Poseidon che ha il compito di vigilare il confine greco dalla Bulgaria al Mar Egeo. Per sorvegliare la frontiera, Frontex ha a disposizione le attrezzature militari più moderne. Ogni notte dalle colline sopra l’Evros pattuglie munite di termo-camere ad alta definizione controllano il territorio.
La rete Kastanies - Approvato il progetto della recinzione nel dicembre 2011 e confermato dal ministro dell’Ordine Pubblico Christos Papoutsis, il 17 aprile 2012 viene dato il via ai lavori all’altezza di Kastanies, nord della Grecia, a qualche centinaio di metri dal confine turco dal ministro “per la protezione dei cittadini” Michalis Chrisochoidis. La recinzione è stata consegnata a dicembre 2012 ed è costata allo stato Ellenico più di 3.100.000 Euro.
Oggetti intimi Pythio - Sono centinaia ogni giorno i migranti che attraversano l’Evros. Una volta arrivati sulla costa greca, in Europa, si spogliano dagli abiti e dagli oggetti che li hanno accompagnati durante la traversata per proseguire il loro viaggio verso la capitale. Camminando nei campi che separano il fiume dalla strada principale giacciono abbandonati i segni del loro passaggio, della loro vita fino a quel momento.
A piedi al tramonto Prangio - Sulla strada che collega Orestiada ad Alessandropoli si vedono passare gruppi di migranti che hanno appena attraversato il fiume. Qualcuno si è cambiato, altri hanno freddo, alcuni sono stanchi e c’è anche chi non mangia da giorni. Tutti hanno rischiato la vita. Gli abitanti di questa regione assistono ogni giorno al passaggio di uomini e donne disorientati in cerca della via per raggiungere Atene.
Santa Biblia Petrades - Dalle acque dell’Evros arrivano in Europa migranti asiatici, mediorientali africani e sudamericani. Dalla Repubblica Dominicana alla Somalia, dalla Somalia in Turchia fino in Europa. Stremati dopo ore di cammino confidano nella loro fede che li protegga durante il lungo viaggio.
Contatti Petrades - Un gruppo di migranti dominicani controlla i contatti dei loro “agenti”. La rete di “agenti” o trafficanti, non solo organizza il viaggio ma è presente in ogni Stato del percorso per raggiungere l’Europa. Dal centro America sono necessari quasi 2.000 dollari per arrivare in Grecia, senza garanzie nè certezze.
Algerini si coprono il volto Pythio - Con il rafforzamento dei controlli nel mar Mediterraneo, dopo la “Primavera Araba” e il conflitto libico, molti nordafricani scelgono di arrivare in Europa attraversando la Turchia. Il viaggio, pur essendo molto lungo, è considerato più sicuro del viaggio via mare. Alle prime luci dell’alba un gruppo di algerini corre a viso coperto per non farsi identificare.
Canotto giallo Pythio - L’Evros è un passaggio obbligato per accedere in Europa dalla Turchia. Una rotta sempre piÚ battuta da migranti che si affidano ai trafficanti di uomini per il loro viaggio e, spesso, vengono picchiati e obbligati a salire su canotti o imbarcazioni di fortuna per attraversare il fiume.
Corano Pythio - I primi paesi turchi sono a pochi chilometri dal confine. All’ora della preghiera la voce dei muezzin raggiunge la pianura che separa l’Evros dalla strada per Alessandropoli. Sulle rive del fiume un Corano abbandonato o dimenticato per la premura di scappare dai controlli, ha le pagine ancora umide.
Missing Dydimoteicho - All’ingresso dell’ospedale è posta una bacheca dove vengono appesi annunci con foto di persone scomparse o morte durante l’attraversamento del fiume. Spesso, in ospedale, giungono migranti malati o feriti. Il pronto soccorso è obbligato a comunicare alla polizia l’arrivo del paziente che viene schedato e piantonato durante tutta la degenza.
Cimitero musulmano Sidirò Sidirò - A trenta chilometri dalla strada che costeggia l’Evros, è presente l’unico cimitero islamico della regione che ospita i migranti musulmani, o presunti tali, recuperati morti dalle acque del fiume o rinvenuti nei campi dopo l’attraversamento. Fino al 2010 i corpi senza vita ritrovati venivano seppelliti in una fossa comune non conforme alle normative europee. Il muftì Mohammed Sharif e sua moglie Fatme ricevono un contributo dal governo greco per occuparsi della sepoltura. Dall’inizio del 2012 sono 12 i morti a causa di annegamento o ipotermia.
“Io non ucciderò i miei fratelli” Prangio - Johan, 26 anni, curdo siriano, abitava ad Afrin vicino ad Aleppo. Johan è laureato in economia e commercio ad Homs. Ha lasciato la Siria da una settimana, dopo essere stato chiamato a prestare servizio nell’esercito di Bashar al-Assad. Johan ha disertato per non uccidere i suoi fratelli curdi. è diretto verso Atene per cercare asilo politico anche se, con i patti bilaterali tra Grecia e Turchia, siriani, armeni, georgiani e iracheni rischiano di essere deportati in Turchia e da lì nei loro paesi d’origine. Se rinpatriato, Johan, rischia la pena di morte per diserzione.
Foto ricordo Pythio - Un gruppo di algerini che hanno appena attraversato l’Evros, alle prime luci dell’alba, scattano una foto ricordo della loro avventura. Quasi increduli di essere arrivati in Europa sono felici anche se ora, dopo il rischio corso nell’attraversare il fiume, li aspetta una strada fatta di identificazioni e vita precaria.
Bengalesi Stazione di Alessandropoli - Shakil, 25 anni bengalese, è partito quasi due mesi fa da un villaggio vicino Dacca. Dopo la visita e l’identificazione di routine gli è stata rilasciata la “ Pink Card “, un permesso temporaneo valido 30 giorni. Lui e gli altri compagni di viaggio aspettano il treno che li porterà ad Atene.
Stop Evros Wall Orestiada - Un gruppo formato da bengalesi e afgani aspetta il treno per Alessandropoli. Il freddo invernale rende l’attesa piÚ lunga. Sharif, 28 anni afgano, si copre il viso per proteggersi dalle sferzate di vento gelido, sono tre giorni che non dorme. A pochi chilometri a nord sta per partire il progetto del muro che dovrebbe fermare l’ondata migratoria via terra.
Neo Fascist Group Orestiada - Gruppi xenofobi si vanno affermando in Grecia, anche grazie ad alcuni rappresentanti della classe politica che additano il problema immigrazione come una delle maggiori cause della crisi economica. Tra le schiere di gruppi neofascisti, il partito Chrysi Avyi (Golden Dawn o Alba d’oro) è uno dei più numerosi. Aderente al network “ European National Front ” si è reso più volte responsabile di atti di violenza e aggressioni nei confronti dei migranti. Il 28 marzo 2012, Chrysi Avyi ha organizzato un corteo per proporre un disegno di legge che dia il via libera alle forze dell’ordine per aprire il fuoco contro i migranti che passano la frontiera e per posizionare mine antiuomo, bandite dal trattato di Ginevra del 1980, sul confine.
Chrysi Avyi , alle elezioni del 18 giugno, ha raggiunto il 7% delle preferenze, entrando in parlamento con 19 seggi.
CPT Venna - A pochi chilometri da Komotini sorge uno dei pochi centri di detenzione per migranti ancora in funzione. Dato l’afflusso elevato e le denunce sollevate da Médecins Sans Frontières e Human Right Watch per lo stato di degrado e di inumanità di questi centri, è stata avviata la ristrutturazione per quello di Filakyo e di altre caserme detentive. A fine marzo 2012, il Ministero dell’Interno ha comunicato un progetto atto alla costruzione di trenta centri detentivi con una capacità complessiva di circa trentamila migranti.
CPT ultima chiamata Venna - Il centro di detenzione temporanea di Venna ospita 90 migranti. I detenuti non hanno commesso reato ma, i loro casi necessitano di maggior approfondimento. Come spiega Kamargios, portavoce delle forze di polizia ad Alessandropoli, i migranti nei centri temporanei sono trattenuti per verificarne la provenienza o per risolvere problemi burocratici. L’agente responsabile della struttura afferma che i detenuti possono essere liberati, a qualche chilometro dalla prima città fornita di mezzi pubblici, quando hanno sbrigato le pratiche che possono durare da un giorno fino a tre mesi.
Identificazione Alessandropoli - Per l’identificazione i migranti sono costretti ad abbandonare cellulari e beni personali fuori dalla caserma. Vengono divisi in gruppi, visitati e schedati. Alcuni vengono rilasciati con un permesso di trenta giorni mentre altri vengono trattenuti presso centri di detenzione, non c’è differenza tra migranti richiedenti asilo e migranti economici.
Partenza per Atene Alessandropoli - Due ragazzi pachistani, arrivati in mattinata ad Alessandropoli dopo aver attraversato il fiume Evros, prendono il treno per Atene. Nominata Alessandropoli dopo il 1920 (l’antico nome turco era Dedeağaçche significa grandfather tree) situata a sud dell’Evros è il collo d’imbuto dove si ritrovano tutti coloro che hanno attraversato il confine orientale della Grecia. Ogni giorno un centinaio di migranti attendono il treno o il pullman per Atene.
Solidarity to immigrants Alessandropoli - Nonostante le campagne contro l’immigrazione, sono presenti gruppi di solidarità e supporto ai migranti. Dal gruppo Stop Evros Wall , che monitora la costruzione del muro, a realtà umanitarie come Médecins Sans Frontières , i quali offrono assistenza medica.
Dentro la stazione Alessandropoli - I migranti che perdono il treno delle 15:40, l’ultimo per Atene, devono aspettare fino alla mattina dopo. Il vento freddo invernale spazza i binari e fino alle ore 22 trovano rifugio in stazione, poi per strada. La stanchezza è tanta, spesso sono giorni che non mangiano e non dormono, ma hanno la speranza piegata fra un biglietto del treno per Atene e un permesso temporaneo di 30 giorni.
Notte nel treno Alessandropoli - Dopo le 22 la stazione chiude i battenti ed i migranti trovano rifugio in vagoni abbandonati. L’interno è sporco, pieno di polvere e rifiuti e l’aria si fa presto irrespirabile per il fumo di sigaretta. Si chiacchiera e ci si sdraia uno vicino all’altro per scaldarsi. Si cerca di dormire.
Notte Alessandropoli - l’indomani i migranti arriveranno ad Atene, una città con quasi 700.000 abitanti di cui più del 10% stranieri. Il 30 marzo 2012, con l’azione di polizia denominata “Atene pulita”, ne sono stati arrestati quasi 500 senza permesso di soggiorno. L’attraversamento del fiume Evros è solo il primo degli ostacoli che devono superare per entrare in Europa.
L’importanza di informare l’importanza di essere informati Hai appena finito di sfogliare un piccolo libro di fotografie. Se così non fosse non staresti leggendo queste righe. È probabile che tu lo abbia acquistato dopo aver visitato la mostra di cui costituisce il catalogo. Bene, sei giunto alle ultime pagine e potrebbe essere il caso che tu inizi a porti qualche domanda. Per esempio avevi mai sentito nominare il fiume Evros prima di oggi? Sapevi che da lì passa una consistente percentuale di immigrazione clandestina verso l’Europa? Sapevi che un governo europeo ha concepito la costruzione di un muro di filo spinato per proteggere i propri confini? Avevi una qualche idea di chi fossero quelli che cercano di oltrepassare questo confine? Ti sei mai chiesto perché rischiano la vita per farlo? Ti sei domandato cosa lasciano nel loro paese? Ti sei interrogato su cosa trovano quando, attraversato il fiume, magari a nuoto e in pieno inverno, sbarcano in Grecia? Ti ricordi qual è il loro volto? È probabile che se ti avessero posto quesiti del genere prima di aver sfogliato queste pagine o aver visitato la mostra, non avresti saputo rispondere. Adesso invece forse puoi farlo perché sai qualcosa in più, hai delle informazioni. Certo vanno approfondite, ma sono pur sempre informazioni. Forse non te ne sei ancora reso conto, ma ora che hai visto possiedi uno strumento, prezioso, che sarà il motore per saperne di più sfruttando la messe di dati che il mondo contemporaneo offre a basso costo, almeno a livello teorico, praticamente a chiunque, quantomeno in quest’Occidente di cui amiamo esser fieri di far parte. Questo è, o forse sarebbe più corretto dire dovrebbe , essere il ruolo del fotogiornalismo: mettere le persone in condizioni di conoscere ciò accade in luoghi in cui non si ha la possibilità di accedere.
La mole di informazione oggi disponibile è enorme, ma si deve registrare anche una parzialità enorme in quelli che sono i canali ufficiali di veicolazione delle notizie, quelli che di fatto concentrano su di sé, per tradizione consolidata o inveterata pigrizia, la maggior parte degli utenti. Di conseguenza, in un fenomeno tipico di tutti quei Paesi in cui la libertà di stampa non è certo il fiore all’occhiello, l’informazione finisce per essere diluita, indirizzata, annichilita in rivoli di non notizie che presto si trasformano in letali anestetici promossi da un Potere , che non si identifica né in un colore, né in un’ideologia, ma solo in se stesso e mira solo controllo di una massa ignorante (in senso etimologico) e non più in grado di pensare autonomamente. Di fatto i nostri mezzi di informazione tacciono più che sovente sugli argomenti che possono creare cali di consenso. I clandestini? Meglio non parlarne, si rischia di alienarsi il consenso di ampie fasce di popolazione intollerante. Al massimo ce ne si può occupare quando gli sbarchi rischiano di compromettere la stagione turistica. Oppure perché non si può proprio fare a meno di parlarne in quanto la disperazione di braccianti più prossimi alla condizione di schiavi che di uomini liberi, è sfociata in rivolta. Ma tutto sommato è sempre meglio che non si sappia chi sono, che volto hanno e perché sono qui questi clandestini che han rischiato la vita in traversate non di rado mortali. A meno che naturalmente interessi economici superiori non abbia motivo per sostenere l’opposizione al potere di quei paesi da cui questi uomini e queste donne fuggono. Alla fotografia e a ciò che resta del fotogiornalismo, forse, può ancora spettare il ruolo di interrompere il flusso continuo, debordante e, in fin dei conti anestetizzante, come si diceva poc’anzi. È una tesi che per una ventina e più anni ha alimentato la speranza di un futuro professionale in chi, operando con coscienza, inesorabilmente sentiva anno dopo anno il terreno franare sotto ai propri piedi, eroso senza pietà dall’arrembaggio del medium televisivo. «Je pense que c’est peut-être une bonne chose de laisser le monstre de la télévision aller en avant, informer le grand public, tout le monde, par satellite, et que la photographie reprenne sa véritable place, una place qui est peut-être de second plan, mais qui est plus à même de prendre son vrai rôle. C’est-à-dire d’obliger les gens à regarder, que les gens se penchent un peu plus sur l’image, qu’ils prennent un peu plus de temps, qu’ils s’arrêtent.» 1 afferma ancora pieno di fiducia nel 1980, ai microfoni di Radio France Culture, Raymond Depardon, straordinario fotogiornalista e documentarista francese dell’agenzia Magnum.
Una tesi che sarà sostenuta da molti, ma che poco ha influenzato il mercato fagocitato da un consumo scellerato di informazioni, o pseudo tali. Un mercato all’interno del quale ha preso vita l’ infotainment , la cui componente entertainment si è sviluppata in modo parossistico, e a dire il vero anche un po’ grottesco, fino allo stato attuale in cui ha praticamente finito per fagocitare la componente information . Una tesi quella di Depardon che affonda in ultima analisi le proprie radici nelle distinzioni che Boltanski 2 negli anni Sessanta proponeva negli anni Sessanta attraverso il confronto nell’utilizzo delle immagini da parte di France Soir (quotidiano) e Paris Match (settimanale). Da una parte la necessità di essere sulla notizia e proporre l’avvenimento per ciò che è, investendo la fotografia (dove materialmente possibile) del ruolo di testimone oculare, dall’altra la restituzione dell’informazione in aneddoti particolari . «Questi aneddoti evocano l’avvenimento, ma come una tela di sfondo su cui si muoverebbero gli attori, come una scenografia che che consente di situare le loro azioni e di conferire loro un senso.» 3 Quindi il ruolo dell’immagine fotografica è stato da tempo ormai invocato come salvifico rispetto all’informazione transeunte e all’incontinenza ricettiva dei processi cognitivi che il nostro tempo sembra aver attuato sulla maggioranza dei soggetti sociali. La fotografia giornalistica che si attiva come una sorta di centro percettivo delle informazioni, probabilmente senza la pretesa di esaurirne la portata, ma come catalizzatore di attenzione e combustibile per quella curiosità che invita all’approfondimento. Indagando e mostrando aspetti apparentemente minori, secondari per dirla con Depardon, in realtà mostra una visione dal baso di accadimenti spesso di portata internazionale. Ma, essere informati o informare non vuol dire portare necessariamente a soluzione i problemi. Per rimanere sul concreto adesso che tu, lettore di queste pagine sai cosa accade lungo le rive dell’Evros, il governo greco non smetterà per questo di costruire i suoi muri, come non lo hanno fatto in passato altri governi in differenti luoghi, come non lo faranno in futuro. Ma forse potrai guardare con occhi diversi quelli che incroci per strada tutti i giorni e cinquanta anni fa non avresti mai incontrato nel tuo paese. Forse potrai muoverti per conquistare altre informazioni, imparando a discernere la manipolazioni dagli accadimenti reali che poi inserirai in un tuo quadro di pensiero e valutazione critica. Quando si riesce a far germogliare questi semi e far crescere le piante della curiosità e dell’integrazione reciproca, allora probabilmente si sta iniziando a svelare il segreto di una reale e più rapida evoluzione sociale. Ma perché quei semi vengano piantati, e innaffiati, perché successivamente le piante che da essi derivano vengano coltivate, è necessario che ci siano degli uomini e delle donne disposti a
recarsi sul campo per indagare e conoscere. Per offrirci la possibilità di sapere. L’evoluzione sarà possibile se saremo informati, e saremo informati solo se continueranno a esserci giornalisti onesti e preparati che ci porteranno in luoghi dove non saremo mai potuti andare. Il mercato ha probabilmente pronunciato da tempo la condanna del fotogiornalismo per come lo si è conosciuto finora sull’onda lunga dei fasti di Life . Ma la voglia di informare ed essere informati non sembra darsene particolare pena. Ci sarà speranza che si continui a ricevere informazioni degne di questo nome e non del solo appiattimento indispensabile a far fare senza discussioni a un popolo ciò che il suo governante desidera, finché ci sarà qualcuno disposto a immaginare di essere abbastanza flessibile da poter affermare: «J’avais tout sacrifié pour ce metier, je ne regrette pas, mais j’avais envie d’autre chose, tout en continuant de parler du présent.» 4. E se sei arrivato a leggere fin qui vuol dire che vale ancora la pena di cercare strade per raccontare storie, anche se queste difficilmente arriveranno ad occupare le pagine dei giornali cartacei o virtuali che siano. Come i muri di filo spinato lungo l’Evros non riusciranno mai ad arginare completamente il flusso migratrio, così probabilmente nessuno riuscirà a fermare la forza delle immagini se qualcuno continuerà a produrle.
Sandro Iovine gennaio 2013
1 «Credo che possa essere una buona cosa lasciare che il mostro televisivo vada avanti, informi il grande pubblico, tutti, con i satelliti, e che la fotografia riprenda il suo vero posto, un posto che può essere secondario, ma più vicino al suo vero ruolo. Vale a dire obbligare la gente a guardare, a portare un po‘ di più la propria attenzione sull’immagine, a prendersi un po‘ più di tempo, a fermarsi.» (trad. Sandro Iovine). Raymond Depardon, La solitude heureuse du voyager, précedé de Note, Éditions Points, Paris, 2006; pag. 70-71. 2 Cfr. La retorica della figura di Luc Boltanski, in La fotografia, usi e funzioni sociali di un’arte media a cura di Pierre Bourdieu, Rimini, 2004; pag. 199-226. 3 Ivi, pag. 204. 4 «Ho sacrificato tutto a questa professione, non lo rimpiango, ma volevo qualcosa di differente, continuando a parlare del presente» (trad. Sandro Iovine). ibidem, pag 13.
Ringraziamenti Anna Conti Rovescali, Vigilio Prandelli, Costantina Ricci, Sergio Ricci, Giampaolo Musumeci, Sandro Iovine, Marco Scalvi, Luca Gambaretti, Walter Moladori, Valentina Francia, Paolo Lozzi, Cristina Benzon, Alessandro Bracchi, Marco Palini, Alberto Sabotti, Paolo Zani, Porzia Ballotta, Alessandro Boccingher, Francesca Cherubini, Stefano Pasini, Matteo Montaldo, Andrea Carrubba, Roberto Bernè.
Nato nel 1979, si è avvicinato alla fotografia nel 2007 come assitente fotografo specializzato in eventi, avendo così la possibilità di documentare, approfondendo gli aspetti del reportage, diverse situazioni. Dopo due anni ha iniziato l’attività come free lance con lavori di fotografia industriale e di architettura. Nel 2010 si è avvicinato alla fotografia still-life e video. Nel 2011, spinto dalla voglia di approfondire e confrontarsi con professionisti del settore, ho conseguito il diploma in fotogiornalismo seguendo un corso tenuto da Sandro Iovine. Ha così cominciato a produrre i primi reportage focalizzati sulle problematiche sociali e sulla documentazione della realizzazione di opere d’arte, collaborando con artisti di fama internazionale. Oggi si dedica in maniera continuativa alla fotografia di reportage per descrivere il mondo che lo circonda. www.mauroprandelli.com
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