Appunti di manovra in navigazione. navigazione. “Queste sono note semplici che devono servire come promemoria delle varie manovre che sono necessarie a bordo. L’intento con cui sono state scritte e’ quello di fornire in pochi capoversi i criteri elementari a cui e’ necessario attenersi durante la navigazione. Poiche’ si parla di manovre, accade che la descrizione spesso risulta piu’ complicata della realta’ stessa, per cui, forse, il modo migliore di utilizzare queste pagine e’ quello di portarle a bordo rileggendole di tanto in tanto per confrontarle con quanto si fa o si sta per fare.” Iniziava in questo modo la prima stesura di questi appunti. Dopo alcuni anni queste paginette hanno girato parecchie mani e con discreto successo. Ho pensato di farne una seconda stesura, piu’ completa e articolata, sempre pero’ cercando di matenere intatta la caratteristica originaria, cioe’ l’agilita’ di lettura e la semplicita’ descrittiva. Il problema questa volta semmai e’ stato quello di non scrivere troppo, per non appesantire la lettura e forse non sempre ci sono riuscito. Ripeto, questo non e’ un ennesimo manuale della vela ( di cui credo non molti sentano il bisogno ). Chi ha voglia di approfondire la teoria e la pratica della navigazione a vela trovera’ nelle librerie tutto quello che gli occorre. Scrivendo queste pagine avevo in mente coloro ( e sono tanti ) che amano il mare e la navigazione ma non possono o non vogliono acquistare una barca, per cui ogni estate, con notevoli sacrifici, salgono a bordo delle barche degli amici oppure ne noleggiano direttamente una, magari con uno skipper. Chi va per mare a vela non lo fa soltanto perche’ e’ un bellissimo modo per stare a contatto con la natura, ma anche perche’ vuole misurarsi con questa, mettere alla prova la propria intelligenza, il proprio coraggio, persino la propria resistenza fisica. Per questo chi sceglie di spendere in mare il proprio tempo libero vuole anche partecipare direttamente a questa avventura, non come passeggero, ma come protagonista attivo. La vela quando e’ vissuta in questo modo, rivela poco a poco i suoi segreti. Agli antipodi del furore nevrastenico che caratterizza gran parte della nostra vita “sociale” ( e spesso anche delle nostre vacanze ), la vela ci fa scoprire con piacere aspetti di noi stessi che credevamo ormai dimenticati, atmosfere e profumi antichi, ma profondamente radicati dentro di noi: si comincia a comprendere che non e’ importante dove si va, ma come ci si arriva. Basta un po’ d’occhio e si riconosceranno subito tra la massa dei viaggiatori d’estate che invadono le citta’ coloro che sono giunti fin li’ dal mare: hanno un altro sguardio, i loro movimenti e i loro gesti sono diversi, inconsueti. I
Loro sono giunti fin li’ non trasportati in poche ore o addirittura in pochi minuti come dei pacchetti postali, hanno dovuto impiegare giorni, a volte settimane e la loro meta, una volta raggiunta, ha tutto un altro sapore, non quello sciapo e un po’ metallico del mondo usa e getta dei nostri tempi. La lentezza della navigazione permette di osservare, fuori e dentro noi stessi, cose che altrimenti rimangono celate e spesso sono proprio le piu’ belle. Dunque, e’ per questi “matti” che passano il loro tempo libero a sudare tirando delle corde, a giocare ( e qualche volta a lottare ) con il vento e con il mare che queste pagine sono state pensate ed e’ a questi “matti” che in un certo senso sono dedicate.
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Indice. Indice. Prima Sezione: Dentro e fuori fuori dai porto e dalle baie… Cap. I: L’ Ormeggio Diario di Bordo: La Balena Cap. 2: Manovre di ormeggio a motore in porto Diario di Bordo: Ormeggio a vela a Riva di Traiano Cap. 3: Cime Diario di Bordo: Entrata a Missolungi Cap. 4: Girarsi su se stessi Diario di Bordo: Nebbia ed altro Cap. 5: Partenza dal molo con vento contrario Diario di Bordo: Alla panna a Minorca Capitolo 6: Manovre a vela nei porti Diario di Bordo: Problemi, problemi, problemi… Cap. 7: Ancora incattivata Diario di Bordo: Nella culla di Apollo e di Artemide Cap. 8: Ancoraggi Diario di Bordo: Un po’ di matematica Cap. 9: I Nodi Diario di Bordo: Dormire tranquilli ( o quasi )
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Seconda Sezione: In mare Cap.10: Regolazioni delle vele Diario di Bordo: Andando in poppa… Cap.11: Velatura Diario di Bordo: Bolinando… Cap.12: Riduzione e cambio di Vele Diario di Bordo: C’e’ un luogo ad Oriente… Cap.13: Manovre con cattivo tempo Diario di Bordo: Stella Maris Cap.14: Uomo a mare
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Capitolo I: L’Ormeggio Le Cime Un buon ormeggio si fa con tre coppie di cime: • • • • •
Barbetta di prua (dalla prua in avanti verso la banchina) Codetta di poppa (dalla poppa indietro verso la banchina) Traversino di prua (dalla prua perpendicolarmente alla banchina) Traversino di poppa (dalla poppa perpendicolarmente alla banchina) Spring di prua (volta in banchina all’altezza della poppa ma bitta in barca a prua) • Spring di poppa (volta in banchina all’altezza della prua ma bitta in barca a poppa)
Le sei cime devono essere regolate in modo da lavorare accoppiate: Quelle che impediscono alla barca di avanzare ( codetta di poppa e spring di prua ) Quelle che impediscono alla barca di indietreggiare ( barbetta di prua e spring di poppa ) Quelle che impediscono alla barca di allontanarsi dalla banchina ( traversini )
Quando si ormeggia a fianco di altre imbarcazioni, la procedura e’ la stessa di quando si ormeggia ad un molo. 2
LA BARBETTA DI PRUA E LA CODETTA DI POPPA DEVONO ESSERE PASSATE DIRETTAMENTE ALLE BITTE DEL MOLO, MENTRE SPRINGS E TRAVERSINI SI PASSANO SULLA BARCA AFFIANCATA.
Questo perche’ in caso contrario, se si alza vento, gli ormeggi della prima barca devono sostenere tutte le barche affiancate, rischiando di spezzare le proprie cime o far saltare le proprie bitte. Le gasse da passare negli anelli o sulle bitte devono essere piuttosto allungate e se ci sono cime di altre barche si passano le nostre internamente a queste, in modo che gli altri possono disimpegnare il proprio ormeggio, in caso di necessita’, con maggiore facilita’.
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All’ormeggio, salvo per brevi periodi, oppure prima della manovra per lasciare la banchina o all’ arrivo, NON SI PASSANO LE CIME A DOPPINO. Facendo cosi’ le cime si consumano a meta’ della propria lunghezza e prima o poi dovremo tagliarle in quel punto, dimezzandole. REGOLA GENERALE: BASTANO ANCHE SOLO QUATTRO CIME PER ASSICURARE LA BARCA ALL’ORMEGGIO, MA DEVONO ESSERE SIMMETRICHE: • barbetta di prua e codetta di poppa piu’ i due springs • barbetta di prua e codetta di poppa piu’ i due traversini • i due springs e i due traversini E’ necessario ricordare che e’ sempre chi arriva per ultimo a mettere fuori i propri parabordi e controllare che non vi siano pericoli per chi e’ gia’ ormeggiato. In caso di affollamento fa parte della normale solidarieta’ tra le gente di mare permettere l’affiancamento di altre imbarcazioni. Noi magari arriviamo da una baietta distante poche miglia, ma i nostri vicini possono giungere in porto dopo ore o giorni di mare. Ricordiamo pure che ogni imbarcazione ha a bordo un comandante responsabile. E’ QUINDI MALEDUCATO E SCORRETTO DURANTE LE MANOVRE DELLE ALTRE IMBARCAZIONI LANCIARE CONSIGLI E SUGGERIMENTI NON RICHIESTI SU COME PROCEDERE ALL’ORMEGGIO, salvo in caso di pericoli o avvertenze ( ad esempio scogli sommersi, aree proibite ecc. ) di cui siamo a conoscenza essendo giunti in porto prima. Alla fine della manovra, se si ritiene che la nostra imbarcazione non sia sicura, si puo’ chiedere al comandante della barca appena ormeggiata di aggiungere una cima o di spostarsi quanto necessario. Nel caso che tali “avvertimenti” e “consigli” siano rivolti a noi, ignorarli semplicemente, riferendosi esclusivamente agli ordini impartiti dal proprio comandante. Una volta giunti in porto, se siamo costretti a metterci in seconda o terza andana, sara’ necessario chiedere il permesso alle altre imbarcazioni per scendere a terra. IL PERMESSO SI CHIEDE SOLO LA PRIMA VOLTA. Quando si passa su altre barche, si tolgono le scarpe e si attraversa dalla parte prodiera o comunque il piu’ lontano possibile dal pozzetto altrui, cercando di disturbare il meno possibile.
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Diario di Bordo La Balena Navigavamo ormai da diverse ore ad ovest della Corsica, diretti verso Calvi. Non molto vento, mare calmo. La giornata cominciava a volgere al termine, una bellissima giornata di ottobre, tiepida e dolce. Le rocce imponenti della costa tra Porto e la Girolata assumevano piano piano toni di colore sempre piu’ rosso.Ad un tratto, a qualche centinaio di metri da noi, scorgiamo una massa scura a pelo dell’acqua. “ Un delfino, avviciniamoci “ Ma quel delfino aveva qualcosa di strano, procedeva lentamente verso nord con un andatura regolare, quasi scivolasse sull’ acqua. E’ stato solo a pochi metri, non piu’ di sette o otto, che ci siamo resi conto: “E’ una balena, e sara’ lunga almeno tredici o quattorici metri, senza dubbio molto di piu’ della nostra stessa barca”. “Fa rotta 20 gradi, perfetti” commento’ qualcuno. “E velocita’ circa quattro nodi “ Cosi’ da vicino vedevamo sott’ acqua tutta la sua enorme sagoma e un vago senso di inquietudine prese un po’ tutti noi. A intervalli regolari, si immergeva a picco nelle profondita’ del mare e scompariva alla vista per qualche minuto. Allora osservavamo ansiosi la superficie del mare e, anche se nessuno lo disse, il pensiero di tutti era che riemergesse proprio sotto la nostra barca. Invece, precisa come un capitano di lunga esperienza, riemergeva sempre sulla sua rotta 20 gradi e proseguiva in superficie per un altro po’ di tempo. Nel silenzio del tramonto osservavamo la sua gobba che emergeva dall’ acqua: in cima, un’ apertura che a me sembro’ enorme, da cui usciva un respiro profondo, cavernoso, come fa certe volte il mare quando entra nelle grotte sul pelo dell’acqua. Quasi nessuno parlava e per almeno mezzora abbiamo affiancato quell’ animale, procedendo alla stessa velocita’ e sulla stessa rotta a sette o otto metri di distanza. Cominciava veramente a fare scuro e dovevamo arrivare a Calvi. A malincuore ci siamo allontanati da quell’ essere maestoso e solitario. Quando ormai si intravedeva appena in lontananza uno di noi ha mormorato: “E’ stato come avere visto l’ origine della vita “. 5
Capitolo 2: Manovre di ormeggio a motore in porto Effetto evolutivo evolutivo dell’elica Le pale dell’elica di un motore entrobordo esercitano una spinta diversa, secondo la profondita’ dell’acqua in cui si trovano ad operare ruotando. Infatti la pala che si trova piu’ in basso opera in una densita’ maggiore dell’acqua rispetto a quella piu’ in superficie e quindi esercita una spinta maggiore.
Da cio’ deriva una tendenza della barca, quando va a motore, a deviare dalla rotta stabilita. A macchina avanti pero’ questa tendenza viene del tutto annullata dalla pala del timone su cui scarica l’acqua spostata dall’elica. Viceversa a macchina indietro l’acqua spostata dall’elica si dirige nella direzione opposta a quella dove si trova la pala del timone e il bulbo e’ troppo lontano per annullare l’effetto deviante. Quindi, se a macchina avanti il senso di rotazione dell’elica e’ orario, a macchina indietro la poppa della barca tendera’ a ruotare verso sinistra (elica sinistrorsa ). Se invece a macchina avanti il senso di rotazione dell’elica e’ antiorario, a macchina indietro la poppa tendera’ a ruotare verso destra ( elica destrorsa ).
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Facciamo due esempi: Dobbiamo accostare di poppa al molo e poiche’ la nostra elica e’ sinistrorsa, ci porremo con una inclinazione di circa 20 gradi DALLA PARTE SINISTRA dell’ormeggio scelto. Dando macchina indietro la barca arretrando spostera’ la poppa verso sinistra, per l’effetto evolutivo dell’elica, e si allineera’ nel modo corretto alla banchina.
Dobbiamo questa volta affiancarci alla banchina all’inglese, tra due barche gia’ ormeggiate e abbiamo ancora una volta un’elica sinistrorsa. Ci avvicineremo allora con la prua fin quasi a toccare la banchina, PROVENIENDO DALLA PARTE DESTRA. Agendo sul timone allineiamo il piu’ possibile la barca alla banchina, poi, per fermare l’abbrivio, diamo un colpo di macchina indietro. La barca si ferma e contemporaneamente sposta la poppa verso sinistra, accostando parallelamente al molo.
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Effetto del vento sulle manovre a motore Anche se ormai ( salvo in casi di emergenza ) le manovre di attracco devono essere effettuate a motore, il vento esercita comunque un’azione spesso decisiva. La direzione e la forza del vento sono fondamentali quando ci si appresta ad effettuare una determinata manovra. La barca evoluisce soltanto se ha un certo abbrivio e quando la sua velocita’ diminuisce ( e questo ovviamente accade avvicinandoci alla banchina ) gli agenti esterni ( vento e onde ) prendono progressivamente il sopravvento sulla nostra capacita’ di condizionare la direzione della imbarcazione attraverso il timone. E’ necessario quindi sfruttare questi agenti in modo da facilitare la manovra in corso e non essere ostacolati da questi. Tutto cio’ sembra cosi’ ovvio da essere addirittura banale, eppure, osservando certe manovre di attracco nei porti e’ possibile notare come queste valutazioni siano ignorate il piu’ delle volte. REGOLA GENERALE’: LA BARCA TENDE SEMPRE A STRINGERE IL VENTO
A barca ferma questo effetto si sentira’ di piu’. Esempi: Supponiamo che dobbiamo ormeggiare di poppa tra due barche e c’e’ vento che proviene parallelamente alla banchina da sinistra. Andando indietro la barca tendera’ a ruotare la poppa verso il vento, cioe’ verso sinistra. Se poi la nostra elica e’ sinistrorsa i due effetti si sommeranno (sia quello 8
relativo allo spostamento a sinistra della poppa per effetto del vento, sia quello relativo all’ effetto dell’elica ) e puo’ risultare impossibile infilarsi nell’ ormeggio prescelto. Dovremo allora presentarci dalla parte sinistra con un angolo maggiore dei 20 gradi indicati in precedenza, in relazione alla forza del vento. ( Se il vento provenisse invece da destra e fosse abbastanza sensibile, potrebbe compensare l’effetto evolutivo dell’elica e basterebbe presentarci dritti con la poppa all’ormeggio ).
In definitiva la regola da ricordare e’: ELICA SINISTRORSA ORMEGGIO DI POPPA: SI ARRIVA IN BANCHINA SEMPRE DALLA PARTE SINISTRA ORMEGGIO ALL’INGLESE: SI ACCOSTA IN BANCHINA CON IL LATO SINISTRO ELICA DESTRORSA: ORMEGGIO DI POPPA: SI ARRIVA IN BANCHINA SEMPRE DALLA PARTE DESTRA ORMEGGIO ALL’INGLESE: SI ACCOSTA IN BANCHINA CON IL LATO DI DRITTA Vento e ormeggi Al di la’ della tendenza della barca a deviare dalla propria rotta a macchina indietro, la direzione del vento ( e la sua intensita’ ) devono essere considerate sempre quando ci si avvicina ad un molo. E’ necessario ripetere che avvicinandoci 9
alla banchina dobbiamo ridurre la nostra velocita’ e quindi l’azione del vento sull’imbarcazione diventa progressivamente piu’ forte. Ancora una volta il vento puo’ aiutarci a portare felicemente a compimento una determinata manovra oppure contrastarla anche seriamente fino a farla fallire. Le possibilita’ che si presentano in genere sono schematicamente tre: • Il vento soffia verso il molo • Il vento proviene dal molo • Il vento e’ parallelo al molo Quando il vento soffia verso il molo sara’ esso stesso a spingerci per cui, dovendo ormeggiare all’inglese, dovremo effettuare l’allineamento un po’ piu’ lontani dal molo stesso. Viceversa se il vento l’abbiamo contro l’abbrivio dovra’ essere fermato il piu’ vicino possibile alla banchina, per non vedere allontanare la barca prima di poter lanciare una cima o far saltare qualcuno a terra.
Se il vento corre parallelamente alla banchina, potendo, sarebbe meglio arrivare contro vento. Ci si allinea lentamente piu’ paralleli possibile: ci sara’ poco bisogno di dare un colpo di macchina indietro, il vento stesso ci fermera’. Se invece abbiamo il vento in poppa la manovra e’ piu’ complessa: il vento, infatti, anche se soffia con intensita’ minima, tendera’ a far allontanare la nostra poppa dalla banchina. 10
E’ necessario allora passare rapidamente la codetta di poppa, senza pero’ cazzarla eccessivamente, per non incollare la poppa al molo e conseguentemente allontanare la prua. Subito dopo lo spring prodiero, anch’esso senza cazzarlo eccessivamente per non ottenere l’effetto opposto ( prua schiacciata sul molo e poppa che si allontana ). QUANDO SI LASCIA L’ORMEGGIO LE ULTIME CIME DA TOGLIERE SONO QUELLE CHE SI OPPONGONO ALLA FORZA DEL VENTO, QUANDO SI ARRIVA ALL’ORMEGGIO LE PRIME CIME DA PASSARE SONO QUELLE CHE SI OPPONGONO ALLA FORZA DEL VENTO.
Puo’ accadere di dover ormeggiare tra due barche con vento molto forte al traverso. Se il vento e’ davvero forte e si valuta pericoloso l’attracco di poppa per lo spostamento laterale dovuto a questo e inoltre non ci sentiamo sicuri di poter valutare l’effetto evolutivo dell’elica, vista la poca acqua a disposizione, possiamo arrivare in banchina direttamente in prua. 11
In questo caso diamo fondo all’ancora da prua, avanzando verso la banchina e filando la catena. Quando siamo in prossimita’ della banchina passiamo la catena tutta esterna allo scafo e la recuperiamo da poppa dando volta. Se infine il vento soffia con violenza da terra e c’e’ poca acqua a disposizione si puo’ andare dritti in banchina, saltare a terra e alare la barca sulle cime.
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Diario di Bordo Ormeggio a vela a Riva di Traiano Partiamo da Porto Santo Stefano verso le 10,15 ora locale, costeggiando Monte Argentario. Il vento proviene da est sud-est e tende a rinforzare. Finalmente scopriamo l’ isola di Giannutri e facciamo rotta su di essa. Il vento rinforza ancora: diamo la prima mano di terzaroli. Arriviamo a Giannutri verso le 14,00, facciamo il bagno in Cala Maestra, ancora contro mare e cima a terra. Salpiamo verso le 15,00 costeggiando il lato Ovest dell’ isola, dopodiche’ facciamo una rotta diretta verso Riva di Traiano, un nuovo porto per Civitavecchia ( finalmente ) appena finito ma credo non ancora aperto. La distanza e’ di 35 miglia, la rotta 110 gradi. Adesso il vento e’ Sud Est preciso: ammainata la vela a prua diamo motore e randa con una mano e puntiamo direttamente contro vento. Ore 15,30. Ci ha raggiunto un forte temporale che ci accompagna per tutta la traversata. Molti fulmini e pioggia fitta. Ci alterniamo al timone ogni 20 minuti; chi smonta va sottocoperta ad asciugarsi. Si prepara del te’ bollente. Scendo sotto al mio turno e mi spoglio ; rimango in maglietta e calzoncini bevendo il te’ caldo: un vero piacere dopo venti minuti sotto la pioggia battente. Ore 18,00. Non si vede piu’ niente: la visibilita’ e’ scesa a meno di 100 metri, da oltre un’ ora non si vede piu’ la costa. Ore 19,00. Finalmente, sotto un cielo scuro e minaccioso, dove corrono nuvole nere che si illuminano improvvisamente alla luce dei fulmini, scorgiamo tra la pioggia le ciminiere fumanti di Civitavecchia. Ore 19,30. Una delle guarnizioni che collegano i tubi del circuito di raffreddamento del motore, probabilmente difettosa all’ origine, cede e il circuito di raffreddamento si svuota completamente. Suona l’ allarme , vado a controllare e sono investito da una nuvola di vapore caldissimo, mentre il motore, surriscaldato, si spegne. 13
Non abbiamo altra scelta, dobbiamo risalire al vento verso Riva di Traiano. Issiamo il fiocco 2 e diamo due mani di terzaroli; avanzando sotto la pioggia il log indica 5 nodi. Ore 20,30. Dopo numerosi bordi di bolina stretta, ci mettiamo in contatto radio con Riva di Traiano e chiediamo l’ autorizzazione ad entrare nel porto a vela per avaria al motore. L’ autorizzazione ci viene concessa: la torre di controllo ci indichera’ su quale molo ormeggiare appena entriamo. Mandiamo a riva il fiocco 3, per ridurre la velocita’, e prepariamo le cime da ormeggio. Ore 21,00. Entriamo a Riva di Traiano: non c’e’ nessuna barca. Il porto nuovissimo e grandissimo, fa una certa impressione cosi’ vuoto. Il molo indicato dalla torre di controllo e’ allineato quasi perfettamente contro vento: arriviamo di bolina stretta e sventiamo prima il fiocco e poi la randa, mentre tre ormeggiatori del porto ci assistono raccogliendo le cime e ormeggiando la barca.
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Capitolo 3: Cime ime Lanciare una cima Lanciare una cima a terra E’ UNA MANOVRA DELICATA, che puo’ rovinare tutta la manovra di ormeggio, magari difficile, condotta fino a quel momento. Analogamente, una manovra di avvicinamento in banchina un po’ pasticciata puo’ essere felicemente risolta da una cima ben lanciata sul molo. E’ ESSENZIALE SAPER LANCIARE UNA CIMA DI ORMEGGIO NEL MODO DOVUTO. Il segreto di un buon lancio sta tutto nella PREPARAZIONE DELLA CIMA. Bisogna adugliare il cavo in modo che le volte siano bene in chiaro. Poi dividere le volte nelle due mani, tenendone un numero minore nella mano che effettuera’ il lancio. CONSIDERARE IL VENTO. Lasciar oscillare la parte da lanciare per due o tre volte, poi lanciare aprendo la mano e lasciar scorrere la cima fino all’esaurimento delle volte nella prima mano; aprire l’altra mano e far scorrere tutta la cima. ERRORE PIU’ FREQUENTE: PREPARARE MALE LA CIMA CHE AL MOMENTO DEL LANCIO NON SI SVOLGE COME DOVREBBE, FA DEI NODI E CADE IN ACQUA. ERRORE MENO FREQUENTE ( MA PIUTTOSTO COMUNE ): NON CONSIDERARE L’EFFETTO DEL VENTO, LANCIARE LA CIMA DA UNA DISTANZA CHE IN ASSENZA DI VENTO SAREBBE GIUSTA E VEDERLA CADERE IN ACQUA BLOCCATA DALLE RAFFICHE. Calcolare bene la distanza dal molo e le proprie forze, considerare che non sempre si lanciano cime dello stesso peso. Tenere presente che una cima bagnata e’ sensibilmente piu’ pesante di una cima asciutta. Non si lanciano cime a terra con catene attaccate. RICORDARSI SEMPRE CHE NON C’E’ FRETTA !!! Meglio lanciare una cima con un po’ di ritardo che lanciarla troppo presto, vederla cadere in acqua, doverla recuperare, adugliarla di nuovo e rilanciarla.
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Cogliere una cima Qualunque cavo ritorto deve essere colto secondo il suo verso, CHE E’ SEMPRE QUELLO ORARIO. Questa e’ una convenzione adottata da tutti i produttori. Le volte devono essere abbastanza ampie ( la quantita’ di cima per ogni volta e’ pari a un po’ meno della lunghezza delle braccia aperte ). Ad ogni volta e’ necessario torcere leggermente il cavo tra il pollice e l’indice, in modo da ottenere degli anelli e non degli otto. Si comincia a cogliere una cima SEMPRE DALL’ESTREMITA’ FISSA. Una volta che la cima e’ stata completamente colta, si fano due o tre anelli intorno alla matassa, poi si passa a doppino la cima restante all’interno della matassa stessa e si infila nell’anello che emerge la parte finale della cima.
Se la cima deve essere appesa, si utilizza la parte terminale del cavo per assicurarla, altrimenti, se deve essere riposta, ad esempio in un gavone, è meglio “chiuderla”: il doppino passato all’interno della matassa viene avvolto intorno all’estremità della matassa stessa, tirando verso il basso laparte finale del cavo.
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Diario di Bordo Entrata a Missolungi 2 dicembre, ore 11,00 locali, porto di Patrasso. Salpiamo piuttosto tardi perche’ facciamo un’abbondante colazione e riempiamo i serbatoi d’acqua. Ci voleva perche’ dopo qualche miglio usciamo dal ridosso di Patrasso e iniziamo una navigazione impegnativa verso Missolungi. La nostra meta non e’ lontana ma sara’ bene non perdere molto tempo, perche’ d’inverno il sole scende giu’ presto e queste acque non sono troppo familiari. Da quando siamo partiti da Atene, il 29 novembre, non abbiamo mai trovato venti inferiori a 25 nodi. Nel golfo di Corinto non si sbaglia, o e’ Est o Ovest ! Adesso pero’ nel golfo di Patrasso troviamo un’onda corta e ripida, maligna, che mette a dura prova le nostre forze. Il vento apparente ( siamo al gran lasco ) non scende mai sotto i 30 nodi. Abbiamo a riva la randa con due mani di terzaroli e il fiocco 2 e certe volte parrebbe di essere troppo invelati, ma la navigazione al lasco tutto sommato non crea troppi problemi. Missolungi, una volta sul mare, ha subito un progressivo interramento nel corso dei secoli e adesso un canale dragato di circa 2 miglia collega il suo vecchio porto rotondo con il golfo. L’entrata del canale, secondo il portolano, e’ segnalata da 4 coppie di mede. La barca parte continuamente in planata e il log sta fisso a fondo scala. Ore 15,00, avvistiamo la costa davanti a Missolungi, ma non riusciamo ad individuare le mede che segnalano il canale, anche perche’ siamo piuttosto al largo. Improvvisamente le avvistiamo ma scopriamo di averle ormai abbondantemente superate: non resta che virare e risalire di bolina per circa un miglio. Navigazione durissima ! Sono tentato di togliere il fiocco 2 e issare il 3 perche’ la barca e’ eccessivamente sbandata e risale faticosamente. Ma manca solo un miglio, anche meno e mandare qualcuno a prua e’ piuttosto arduo. Finalmente riusciamo ad impegnare il canale, mentre il sole comincia a tramontare. 17
Il vento ci da buono e man mano che ci addentriamo nel canale dragato tende a diminuire. Avevo pensato di ammainare le vele e procedere a motore ( il canale in alcuni punti non e’ piu’ largo di nove dieci metri ) ma, vista la situazione cambio idea e procediamo al traverso, adesso decisamente sottoinvelati. Lingue di sabbia deserte e selvagge, con cespugli bassi, orlano il canale. Non si vedono costruzioni ne’ persone. Nella luce dorata del tramonto, mentre ormai a un miglio dall’entrata del canale il vento non supera i nove, dieci nodi e navighiamo a vela in un silenzio perfetto, appaiono improvvisamente alcuni cavalli che galoppano velocemente sulle lingue di terra. Non hanno sella e sono piuttosto giovani. E’ un’apparizione emozionante, tanto piu’ che casualmente pochi attimi prima qualcuno ha messo sul registratore “Wild Horses” dei Rolling Stones. Ammainiamo le vele al centro del bacino, praticamente deserto. Scopriamo dal comandante del porto che siamo la prima barca che entra a Missolungi dalla fine di settembre, piu’ di due mesi !
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Capitolo 4: Girarsi su se stessi Manovrando in acque ristrette puo’ essere necessario ruotare la barca su se stessa. Non e’ una manovra difficile, basta conoscerne la tecnica. Innanzitutto bisogna sapere se la nostra elica e’ sinistrorsa o destrorsa, perche’ la manovra potra’ essere effettuata solo in un senso di rotazione, dipendente appunto dal senso di rotazione dell’elica. Supponiamo di avere un’elica sinistrorsa ( a macchina indietro la poppa tende a deviare verso sinistra ). In questo caso la rotazione avvera’ verso destra. • A barca ferma un piccolo colpo di accellerazione con il timone tutto verso destra: la barca spostera’ la prua di qualche grado a dritta e comincera’ ad avanzare, mentre la poppa si spostera’ verso sinistra. • Appena la barca si e’ spostata di poco, mantenendo il timone sempre tutto a destra si da un piccolo colpo di macchina indietro: l’abbrivio verra’ interrotto ma l’effetto evolutivo dell’elica spostera’ ulteriormente a sinistra la poppa. Non si modifica l’angolo della pala perche’ non si deve tornare indietro. • Un nuovo colpetto di accellerazione in avanti fara’ ruotare la barca ancora verso dritta e cosi’ via fino alla rotazione completa.
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Diario di Bordo Nebbia e altro 13 marzo, ora locale 13,30. Lasciamo Molfetta alla volta di Crotone. Sulla carta ci sono 210 miglia. Un venticello di Nord Est ci spinge a 5 nodi. Randa piena e Genoa tra bolina larga e traverso. Ma presto cade e come nei giorni scorsi comincia a salire la nebbia. Ovviamente quando c’e’ nebbia non c’e’ vento, quindi accendiamo il motore e ci disponiamo a turni di vedetta. Il pilota automatico finalmente ha smesso di fare le bizze, quindi e’ sufficiente controllare bene quel poco che si vede seduti in pozzetto. Navigare con la nebbia e’ un’ esperienza nuova per me: in Tirreno sono veramente rare le giornate come questa ( e come quelle dei giorni precedenti ). Adesso capisco perche’ molte barche, anche piuttosto piccole, montano il radar. Me ne ero accorto gia’ nei giorni precedenti nei vari porti che abbiamo toccato, ma l’ avevo presa per una forma di snobismo. Niente di piu’ sbagliato ! Un radar adesso farebbe molto comodo. Intorno alla barca si stende un vapore lattescente il cui limite si confonde con la superficie del mare, sembra di essere ciechi. Ogni tanto si sente il potente rumore dei motori delle navi prima sempre piu’ forte, poi sempre piu’ debole. Non c’e’ alcun mezzo per capire da quale parte provenga. Navigo in quei frangenti con la costante apprensione di veder apparire davanti alla prua il tagliamare di qualche mercantile o qualche petroliera. Per fortuna non accade niente di simile. La nebbia si dirada un po’ nelle prime ore del mattino, ma gia’ verso le una o le due torna a calare prima in banchi e poi in modo uniforme. In queste condizioni non e’ possibile nemmeno rinfrescare le stima e il Loran fornisce dei punti nave che non mi convincono affatto: sempre troppo al largo, ma e’ cosi’ convincente con i suoi numeri verdi fosforescenti che sforna in continuazione. Abbiamo ormai superato Brindisi e contiamo di arrivare al traverso di Otranto nella mattinata di domani; se magari domattina la nebbia si dirada un po’ sara’ possibile fare qualche rilevamento per aggiornare il punto stimato. 20
Un po’ perche’ il Loran fornisce una posizione molto al largo, un po’ per avvicinarmi a terra per i rilevamenti, decido di accostare a dritta di 5 gradi, assumendo come posizione un punto a meta’ tra la mia stima e i dati forniti dal Loran. La notte passa tranquilla. Ore 6,00. Sono seduto in cima alla scaletta che conduce sottocoperta e osservo questa melassa lattiginosa davanti alla prua, aspettando che si diradi un po’. Mi sento tirare per i pantaloni: il mio compagno di viaggio si e’ svegliato e mi propone un caffe’. Do un’ ultima occhiata a prua e poi scendo sottocoperta. Mentre aspetto il caffe’ sono rivolto con la spalle alla prua e con la coda dell’ occhio vedo attraverso il tambuccio scivolare via verso poppa una imponente massa scura. La barca in questo momento sta navigando a circa 6 nodi con il motore e il pilota automatico. Mi lancio con il cuore in gola in coperta per raggiungere il timone mentre rifletto rapidamente: “ Non puo’ essere che una nave, ma come ho fatto a non sentire il rumore dei motori ?” Appena fuori mi rendo conto della situazione: la nave e’ in realta’ un grosso scoglio che la barca ha schivato per miracolo mentre ero sotto coperta e adesso si sta dirigendo a tutta forza verso un altro scoglio, gemello del primo, che e‘ sbucato fuori dalla nebbia. Faccio appena a tempo a sbloccare il pilota automatico e a deviare dalla rotta di collisione: roba di pochissimi metri. Un’occhiata ai fondali mi conferma il sospetto: 3,4 metri di fondo; siamo in costa ! Successivamente scopriro’ che all’ interno della presa del Loran si e’ dissaldato il filo della massa e quindi lo strumento ha cominciato a fornire dati fasulli. La stima era piu’ precisa ed io accostando di 5 gradi la notte precedente mi stavo dirigendo direttamente verso terra. I due grossi scogli si trovano appena a Nord di Otranto e vengono chiamati le Due Sorelle.
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Capitolo 5: Partenza dal molo con vento contrario Possiamo scostarci dalla banchina in caso di vento contrario uscendo sia di prua che di poppa: Uscita di prua: • • • •
Mettere un parabordo a poppa ( perche’ questa si schiaccera’ sul molo ) Passare a doppino lo spring di poppa Pala del timone orientata verso il molo Macchina indietro ( poca forza e per breve tempo ): lo spring si tende, la poppa si schiaccia contro il molo e la prua si scosta • Quando lo spring e’ ben teso, ancora un po’ di macchina indietro e la prua si allontana decisamente dal molo • Si fila il doppino, macchina avanti e via
Questa manovra fa discostare la prua solo di un modesto angolo rispetto al molo e non risulta possibile se la nostra imbarcazione ha poca acqua a disposizione ( ad esempio una grossa barca ormeggiata davanti alla nostra prua ), oppure se la forza del vento e’ notevole. In questo caso la manovra da eseguire e’ quella della Uscita di poppa: • • • •
Mettere un parabordo a prua ( perche’ questa si schiaccera’ sul molo ) Passare a doppino lo spring di prua Pala del timone orientata verso il molo Macchina avanti ( poca forza e per breve tempo ): lo spring si tende, la prua si schiaccia contro il molo e la poppa si scosta • Quando lo spring e’ ben teso, ancora un po’ di macchina avanti e la poppa si allontana decisamente dal molo • Quando la poppa e’ ben fuori, si fila il doppino e si esce a macchina indietro
Questo secondo sistema produce un effetto molto deciso. Anche con vento forte possiamo arrivare a mettere la barca perpendicolare alla banchina. 22
RICORDARE CHE IN PORTO NON SERVE DARE DEI GRANDI COLPI DI MOTORE: SONO SUFFICIENTI PICCOLE ACCELLERAZIONI SUCCESSIVE PER OTTENERE GLI SPOSTAMENTI DESIDERATI
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Diario di Bordo Alla Panna a Minorca 10 agosto. Ore 12,00 locali. Dopo tre giorni lasciamo il porto di Barcellona diretti alle isole Baleari, isola di Minorca. Ci assiste un bel cielo sereno, con un bel sole, ed anche un discreto vento, intorno ai 20 nodi, proveniente da Ovest Sud-Ovest. Man mano che ci allontaniamo dalla costa il mare appare sempre piu’ formato, con onde intorno a un metro, un metro e mezzo. Ore 14,00. Stiamo scarrocciando in modo eccessivo per la presenza di una corrente che ci spinge verso Cabo Caballeria, per cui orziamo di circa 5 gradi. La nuova rotta e’ adesso 140 gradi. A causa del mare la barca rolla e beccheggia e il timoniere non riesce a tenere con precisione la rotta. Ore 16.00 il vento rinforza ancora; navighiamo adesso con randa con una mano e il fiocco 2, mentre alcune onde cominciano ad essere intorno ai due metri, ma pochi sono gli spruzzi d’ acqua che salgono in coperta. Navighiamo adesso al traverso. Ore 18.00 avvistiamo il traghetto che dalle Baleari porta a Barcellona; pare che fatichi piu’ di noi. Ore 23,00, avvistato Cabo Formentor; abbiamo orzato molto. Ore 02,00, avvistiamo il faro di cabo Nati Ore 03,00, si cominciano a vedere le luci di Ciudadela, a Minorca. Siamo stati velocissimi, l’ ora prevista di arrivo era intorno alle sei del mattino, invece sono le 3 di notte e siamo praticamente arrivati. Non c’e’ che una cosa da fare, mettersi in panna e aspettare il giorno. Il porto di Ciudadela e’ stretto e sicuramente affollato di barche. Diamo la seconda mano di terzaroli alla randa, manteniamo il fiocco 2 e viriamo in panna. La nostra posizione e’ Lat N 40 gradi 04 primi, Lg E 3 gradi 37 primi. Ore 06,45. Adesso tutto e’ chiaro. Il sole e’ sorto e iniziamo l’ avvicinamento a Ciudadela. La nostra panna e’ durata circa 3 ore e mezzo, ma lo scarroccio e’ stato contenuto, non piu’ di due miglia. 24
Capitolo 6: Manovre a vela nei porti Non capita piu' tanto spesso di dover effettuare delle manovre a vela nei porti. Del resto puo' accadere, e non poi cosi' raramente, di venir piantati dal motore, spesso proprio nei momenti in cui e' piu' necessario. Ad esempio, nel corso degli anni, si accumulano nel serbatoio del motore e nei filtri residui di nafta che, in occasione di forti rollii dell' imbarcazione , possono intasare il circuito bloccando il motore, magari proprio quando dopo una navigazione agitata, stiamo per entrare in porto. E' necessario allora far vela di nuovo e allontanarsi oppure saper manovrare a vela con una certa precisione. E' essenziale conoscere la barca, la sua inerzia e saper valutare la direzione e l' intensita' del vento e delle onde. Barche con dislocamento leggero si fermeranno prima di barche con dislocamento pesante, sotto l'influenza dell' onda o del vento. In caso di necessita' di manovrare a vela, PRIMA DI TUTTO RIDURRE LA VELATURA: una mano di terzaroli ed un fiocco consentono una riduzione della velocita' e una buona manovrabilita' anche con venti leggeri ( virate e strambate ). E' necessario tenere a riva ambedue le vele perche' si puo' mancare la manovra e dover riprendere immediatamente velocita' allontanandosi dai pericoli: una barca ben equilibrata dal punto di vista velico consente di farlo piuttosto rapidamente. Consideriamo anche che in prossimita' di porti e ridossi la direzione e la forza del vento possono essere mutevoli e discontinue, a causa degli ostacoli che a terra deviano i flussi. . Prendere una boa Boe e gavitelli si prendono avvicinandoci di bolina stretta e mettendosi controvento dopo aver valutato l' inerzia della barca.
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Al momento dell' ultima orzata, quando la barca entra nel letto del vento, si ammaina il fiocco tenendolo pero' pronto per essere issato nel caso che la manovra non riesca. L' abbrivio avvicina la barca alla boa, la randa rimane issata perche' se arriviamo corti, bordandola un po' si puo' guadagnare i metri che mancano. E' quindi meglio UNA STIMA CORTA PIUTTOSTO CHE LUNGA. Dopo aver dato volta alla cima si ammaina la randa rapidamente se il vento e' forte. Le cose si possono complicare in presenza di corrente. Quando la corrente ha la stessa direzione oppure la direzione contraria al vento cio' modifichera' un po' l' abbrivio della barca e di questo e' necessario tener conto. In caso di corrente al traverso rispetto al vento e' necessario osservare come sono messe le imbarcazioni alla fonda: la loro posizione sara' la risultante dell' effetto del vento e della corrente. In questo caso bisogna presentarci alla boa paralleli alla direzione delle altre barche. In casi eccezionali ( mancanza di acqua sottovento ) puo' essere necessario arrivare in boa con vento in poppa. In questo caso, dopo aver ammainato la vela di prua, si ammaina parzialmente anche la randa, in modo da arrivare in boa con velocita' ridotta.
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Attracco a vela nei nei porti IN BANCHINA SI ARRIVA SEMPRE A SECCO DI VELE Vento verso la banchina E' il vento che ci porta in banchina: basta dar fondo nel punto voluto e poi filare il calumo fino all' accosto. Ormeggiando paralleli alla banchina, a meno di aver molta acqua ( col vento al traverso ne occorre veramente molta per fermarsi ), risulta impossibile effettuare la manovra: dovremo allora ammainare la vela di prua e parzialmente la randa ( senza dare terzaroli , si fila la drizza facendo scendere la randa per meta' e piu' della sua corsa: poiche' siamo in poppa e dovremo ammainare rapidamente e' bene che ci sia poca vela a riva ) appena si ha l' abbrivio necessario si ammaina totalmente la randa e si accosta in prua. Tonneggiando si completa l' ormeggio.
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Vento dalla dalla banchina La manovra e' identica alla presa della boa: si arriva con velatura ridotta in bolina, si entra nel letto del vento valutando l' abbrivio e si attracca; in banchina pero' si attracca a secco di vele, quindi anche la randa deve essere ammainata prima, quando siamo con vento in prua, che e' l' unico modo di essere certi che la randa scenda velocemente. Tonneggiando si sistema la barca. Vento parallelo alla banchina Si arriva in bolina stretta, con la minima velocita' possibile, all' ultimo momento si orza e ci si porta filo al vento: e' in pratica la stessa manovra che si fa per prendere la boa. Quando si lascia un ormeggio a vela Vento che spinge verso la banchina Se il vento spinge verso la banchina non c'e' altro sistema se non quello di alarsi sulla catena dell' ancora, se l' abbiamo messa all' arrivo. Altrimenti bisogna dar fondo all' ancora con il battellino. In questo caso sara' il vento stesso a facilitare i movimenti del tender, ma ricordarsi che in manovre di questo genere il calumo deve deve essere tutto a bordo del battellino. Giunti nel punto voluto per dar fondo all' ancora la si butta in mare con tutto il calumo, che pero' e' fissato ad una cima sottile che verra' riportata a bordo e servira' per recuperarlo, altrimenti il peso del calumo, man mano che viene riportato verso la barca impedira' le manovre del battellino stesso. Vento che allontana dalla banchina E' sufficiente un fiocco o una tormentina a riva per allontanare la barca dalla banchina. Occhio alla poppa quando inizia la manovra, puo' sbattere sul molo. Se non c'e' acqua sottovento sara' bene issare anche la randa, magari terzarolata, per poter orzare meglio ed evitare i pericoli.
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Vento parallelo alla banchina Si puo' effettuare la manovra solo se il vento viene da prua. Se viene da poppa bisogna alarsi sulla catena come nel primo caso, oppure ruotare la barca con delle cime e mettere la prua al vento. Con prua al vento si issa la randa, si lascia a doppino lo spring di poppa e si aspetta che il vento scosti la prua dal molo. Anche in questo caso occhio alla poppa che puo' sbattere. Il vento allontanera' la prua dalla banchina e fara' indietreggiare un po' la barca: lo spring di poppa si tende e la barca comincia a ruotare. Se c' e' poco vento si puo' issare anche il fiocco e metterlo a collo per facilitare la poggiata. Appena siamo fuori si recupera lo spring e si cazzano le vele. Questa manovra puo' essere effettuata anche se il vento non e' esattamente parallelo alla banchina, ma spinge un po' obliquamente. In questo caso sara' necessario scostare la prua con il mezzo marinaio, fino a mettere la prua contro vento, dopodiche' si effettua la manovra come descritto sopra.
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Diario di Bordo Problemi, problemi, problemi‌ Acqua dolce e nafta‌ 4 agosto, ore 17.30 UTC. Salpiamo da Portoferraio con rotta Ustica-Palermo. Un' area di alta pressione estesa su tutto il Mediterraneo centro occidentale ci lascia poche speranze di incontrare vento al largo. Per adesso pero' una brezza leggera ci permette di issare lo Spinnaker. Abbiamo comunque imbarcato due taniche di nafta di rispetto nell' eventualita' dovessero servire. 4 agosto, ore 24.00 UTC. L' Elba e' ormai di poppa ma man mano che ci allontaniamo il vento molla e ormai e' tempo di accendere il motore. A bordo siamo in sette e le "doccettine" dopo i bagni in mare, a cui qualcuno non riesce proprio a rinunciare, stanno diminuendo vistosamente le riserve di acqua dolce. Si organizzano i turni di guardia e sale in coperta il primo che dovra' smontare alle tre. 5 agosto, ore 20.30 UTC. La giornata e' scorsa tranquillamente, altri bagni e assoluta mancanza di vento. Effettuato il primo rabbocco di nafta ( 40 litri ) Finito anche il primo serbatoio di acqua dolce. La nafta dovrebbe bastare ma sarebbe meglio se si alzasse il vento. Avviso di burrasca ricevuto da Roma radio. 5 agosto ore 22.30 UTC. Avviso da Roma radio: cessate condizioni temporalesche. Ancora calma di vento. Notata infiltrazione di acqua di mare in sentina. 6 agosto ore 01.00 UTC. Anche il secondo serbatoio d' acqua e' finito ( praticamente 40 litri di acqua dolce a testa in due giorni e mezzo ! ) e siamo di nuovo in riserva con la nafta ( o almeno lo saremo tra poco ). Non e' quindi possibile insistere su questa rotta. Il vento continua a mancare. Decido di accostare in direzione di Ponza, 60 miglia a Est, che e' la terra piu' vicina. La' faremo rifornimento prima di volgere di nuovo la prua a Sud. 6 agosto ore 08.30 UTC. Avvistiamo l' arcipelago e finalmente uno scirocco intorno ai 10/15 nodi ci permette di issare le vele. Boliniamo in direzione di Ponza.
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6 agosto ore 18.30 UTC. Entriamo a Ponza e con qualche difficolta' troviamo un ormeggio a un pontile galleggiante ( carissimo ). Possiamo pero' finalmente rifornirci di acqua e nafta. Acqua salata ‌ 6 agosto ore 20.00 UTC. L' infiltrazione d' acqua proviene dalla linea d' asse. La cuffia che protegge il premistoppa in teflon non tiene a sufficienza sul supporto di vetroresina. Probabilmente l' astuccio e' deteriorato e non e' possibile stringere ulteriormente le fascette. L' infiltrazione pare comunque essere di entita' contenuta. Controlleremo in seguito la quantita' di acqua che entra. 07 agosto, ore 13.00 UTC. Lasciamo Ponza porto. 08 agosto, ore 01.00 UTC. Notte chiarissima ma di nuovo siamo senza vento. Ustica e' davanti alla nostra prua , a circa 100 miglia di distanza. 08 agosto, ore 12.00 UTC. La linea d' asse fa acqua, dobbiamo usare le pompe di sentina almeno una volta ogni 6 ore. 08 agosto, ore 19.00 UTC. Entriamo nel porticciolo di Ustica dopo aver percorso le ultime miglia con lo Spinnaker a riva, ammainandolo proprio davanti all' entrata. ( Ancora una volta troviamo il vento solo intorno alle isole‌) L' infiltrazione, forse per le vibrazioni dovute al motore, e' adesso piu' importante: da questa mattina dobbiamo usare le pompe di sentina a intervalli di tre ore. E' necessario quindi intervenire in qualche modo per riparare l' avaria. Telefoniamo a Palermo da Ustica e concertiamo un appuntamento con meccanici e gruisti per l' indomani mattina. 08 agosto, ore 24.00 UTC. Lasciamo Ustica. Vento assente, mare calmo, qualche difficolta' ad evitare barche e barchette che pescano intorno all' isola. La notte e' stellata ma umida e il faro di Ustica lascia una lunga scia luminosa in cielo. 09 agosto, ore 05.00 UTC. Navigazione tranquilla, avvistiamo Capo Gallo. 09 agosto, ore 08.30 UTC. Entriamo in porto a Palermo, e come d' accordo, scorgiamo in banchina la gru e il meccanico che ci aspettano. La barca viene tirata in secco e messa in un invaso. Approfittiamo per fare carena mentre il meccanico inizia la riparazione, che consiste nel sostituire il premistoppa in teflon con tre paraoli alloggiati in una boccola di bronzo che viene inserita all' interno della parte ancora integra dell' astuccio. La boccola viene poi bloccata con del mastice elastico. Obietto al meccanico che forse sarebbe meglio resinarla, ma lui ribatte che cio' potrebbe determinare un' eccessiva rigidita' e rischi di nuove rotture per le vibrazioni del motore. 09 agosto, ore 18.00 UTC. La barca e' di nuovo in acqua. In tutto sono 31
occorse 9 ore. Pare che la riparazione tenga. Ormeggiamo trainati da un gommone per non accendere il motore troppo presto e permettere al mastice di tirare bene. Comunque abbiamo deciso di fare sosta a Palermo qualche giorno per visitare la citta', per cui c'e' tutto il tempo. Motore‌ Un altro problema comunque si sta profilando: un controllo del liquido di raffreddamento del motore indica una perdita nel circuito. Quando lo accenderemo dovremo controllare anche quella. 13 agosto, ore 24.00 UTC. Lasciamo Palermo per raggiungere Trapani. Due membri dell' equipaggio sono sbarcati ( e' finito il loro periodo di ferie ) quindi adesso siamo in cinque e non dovremmo avere altri problemi nel consumo di acqua dolce. La riparazione della linea d' asse tiene bene, ma ho la sensazione che le vibrazioni a motore siano superiori al solito. 13 agosto ore 04.00 UTC. Il controllo relativo alla perdita del liquido di raffreddamento non ha dato esito positivo: la perdita c'e' ancora ed e' piuttosto importante. Sono necessari rabbocchi ogni due ore. 13 agosto, ore 05.00 UTC. Finalmente si alza una po' di vento e possiamo issare randa e genoa. 13 agosto, ore 12.00 UTC. Continua la navigazione a vela. Doppiamo Capo San Vito. 13 agosto, ore 14.00 UTC. Diamo fondo nella baia sotto monte Cofano, 10 miglia a Nord di Trapani. La perdita del liquido di raffreddamento dipende dalla pompa di circolazione. L' avaria non e' riparabile ed e' necessario sostituire l' intera pompa. Adesso la fuoriuscita e' cosi' rapida che il motore si surriscalda immediatamente e si spegne per l' azione del termostato di sicurezza. Dormiremo qui e domani vedremo cosa si puo' fare a Trapani. 14 agosto, ore 11.00 UTC. Iniziamo l' avvicinamento a Trapani. Vento leggero e navigazione tranquilla, costeggiando. 14 agosto, ore 15.00 UTC. Ammainiamo il tender davanti al porto e inviamo a terra due membri dell' equipaggio per prendere accordi per l' ormeggio. Nell' attesa incrociamo davanti all' entrata con la sola randa. Poco dopo arriva un gommone che ci traina in banchina. Un altro membro dell' equipaggio ci lascia per sopravvenuti problemi di famiglia. Adesso siamo solo in quattro. In barca stiamo molto meglio e non avremo piu' problemi di consumi, semmai qualche difficolta' puo' nascere per i turni di guardia la notte. Vedremo. 16 agosto, ore 12.30 UTC. Fatto rifornimento di acqua e nafta lasciamo Trapani e ci mettiamo in rotta per Favignana, la principale isola delle Egadi. 32
Vento leggero da Nord Ovest, mare poco mosso. Mandiamo a riva lo Spinnaker. La pompa di circolazione difettosa non e' stata sostituita e non e' stato possibile ripararla in alcun modo. Il concessionario locale Volvo Penta non ha neppure una girante ! Esito negativo ha dato anche un contatto telefonico con Messina dove esiste il magazzino Volvo Penta per il Sud Italia. Pare che il pezzo sia disponibile solo a Milano. A questo punto decidiamo unanimemente di proseguire con le sole vele. La nostra prossima meta, dopo aver visitato le Egadi e' il porto de La Caletta, presso Siniscola, qualche miglia a Sud di Olbia, nella costa Nord orientale della Sardegna. 16 agosto ore 16.00 UTC. Entriamo a Favignana. Domani mattina, dopo una visita a Levanzo, lasceremo definitivamente le Egadi per volgere la prua a Nord. Facciamo il punto della situazione: dovremo utilizzare le utenze elettriche al minimo perche' non abbiamo la possibilita' di ricaricare le batterie. Escludiamo l' autoclave, tutte le luci non necessarie, tutto quanto puo' aumentare i consumi elettrici, privilegiando solo la strumentazione di bordo. 17 agosto, ore 07.30 UTC. Lasciamo Favignana con un bel vento sui 20/25 nodi, e impegniamo il tratto di mare che la separa da Levanzo con due mani di terzaroli e un piccolo fiocco. 17 agosto, ore 15.00 UTC. Lasciamo Levanzo con un mare ripido e incrociato, due mani di terzaroli e il fiocco 3 iniziando la traversata verso la Sardegna. 17 agosto, ore 20.30 UTC. Siamo ormai fuori dall' arcipelago e progressivamente il vento diminuisce: adesso portiamo a riva la randa piena e il genoa, con 8/9 nodi di vento reale. Alla deriva‌ 17 agosto, ore 24.00 UTC. Ci siamo ! calma assoluta di vento. Le vele sbattono senza vita, mentre la luna appena sorta ( primo quarto ) lascia una scia dritta e immobile sul mare. 18 agosto, ore 15.00 UTC. Il punto stimato ci pone a circa 100 miglia da La Caletta, quindi siamo grosso modo a meta' della traversata. Continuiamo a navigare nella bonaccia sebbene una tenuissima corrente, di circa mezzo nodo, ci spinga verso Nord. Nonostante le precauzioni, le batterie cominciano ad esaurirsi. 18 agosto, ore 24.00 UTC. Seconda notte di navigazione, organizziamo le guardie: ogni turno, un membro dell' equipaggio da solo, per due ore. 19 agosto, ore 12.00 UTC. Finalmente si alza un po' di vento, 6/7 nodi, le vele riprendono vita e anche il contamiglia si rianima: 2 nodi di velocita' ! 33
19 agosto ore 22.00 Il vento e' aumentato gradatamente per tutto il pomeriggio. Un' ora fa abbiamo avvistato Capo Bellavista. Adesso navighiamo a 5 nodi e mezzo con 15 nodi di vento apparente. La posizione stimata ci pone a circa 40 miglia da La Caletta, ma dobbiamo fare bordi per risalire. 20 agosto, ore 13.30. Dopo aver bolinato tutta la notte, la mattina il vento ha mollato e ora spira a 5/6 nodi, ma ormai siamo in vista della nostra meta, sebbene con due giorni di ritardo sulle previsioni. Ci attendevano alcuni amici con la loro barca ma ormai avevano perso ogni speranza. Invece li incrociamo proprio fuori da La Caletta mentre vanno a fare il bagno. Li salutiamo e ci diamo appuntamento a piu' tardi. Entriamo in porto e ormeggiamo a vela all' inglese al pontile di accosto. C'e' poco vento e la manovra non e' particolarmente impegnativa. La prima cosa che facciamo e' quella di scaricare un' imponente quantita' di sacchetti dell' immondizia accumulatisi durante la traversata e stivati in ogni angolo libero della barca. La seconda quella di prendere un aperitivo al bar del porto e acquistare le sigarette finite da due giorni. La terza telefonare ad Olbia e prendere accordi per la sostituzione della pompa di circolazione. Una riflessione‌ Per due notti e un giorno siamo praticamente andati alla deriva, sospinti verso Nord solo da una debole corrente. Non potevamo fare gran che se non cercare di mantenere approssimativamente la rotta stabilita. All'inizio, abituati come siamo a forzare la mano alla natura ed ad accendere il motore ogni volta che il vento molla, questa condizione ha creato una leggera apprensione, un certo disagio. Ma poi, col passare delle ore la vita a bordo ha ritrovato il suo ritmo e il suo equilibrio.
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Capitolo 7: Ancora incattivata Andando per porti, soprattutto d’estate, accade frequentemente di incattivare l’ancora. L’affollamento notevole, la necessita’ di mettersi in seconda o terza andana rendono assai probabile questa eventualita’. Regole: E’ necessario conoscere con una certa precisione la posizione della nostra ancora, magari facendo degli allineamenti quando si da fondo, in modo da poter valutare se abbiamo calumi sopra il nostro al momento della partenza. In molti casi la manovra piu’ semplice e piu’ veloce, se sappiamo con precisione che la nostra linea di ancoraggio giace sotto quella di altre imbarcazioni, e’ quella di proporre alle imbarcazioni interessate di tonneggiarsi per liberare i rispettivi calumi. Marinai esperti accetteranno volentieri di partecipare a questo tipo di manovra, ben sapendo quanto sia piu’ agevole e veloce rispetto ad interventi di altro tipo.
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Si tolgono gli ormeggi di poppa dell’altra imbarcazione tranne uno che, passando sulla prua della nostra barca, torna in banchina ad una bitta. Se c’e’ vento si passa un doppino in banchina che sara’ tolto all’ultimo momento, mentre la cima che passa davanti alla nostra barca sara’ fissata temporaneamente sulla nostra prua. Mollato il doppino la barca recupera alcuni metri di catena in modo da scostarsi dalla banchina . Quando la sua poppa e’ abbastanza discosta da permetterci di passarle dietro, molliamo la cima a prua in modo che la barca possa riaccostarsi alla banchina. Appena siamo passati sulla sua poppa possiamo salpare l’ ancora che non e’ piu’ incattivata. Questa manovra puo’ essere eseguita anche contemporaneamente da piu’ imbarcazioni. Per facilitarne lo svolgimento e’ bene considerare la direzione del vento e far scadere le barche che si tonneggiano. Noi passeremo quindi sopravvento alle altre.
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Quando non e’ possibile effettuare una manovra come quella descritta , oppure si scopre di avere l’ancora incattivata quando ormai abbiamo lasciato l’ormeggio, non resta che una soluzione: Il Capone
La manovra si svolge secondo la procedura seguente: • Avvisare l’imbarcazione la cui linea di ancoraggio giace sopra la nostra di filare catena • Recuperare il nostro calumo il piu’ possibile ( se l’altra barca fila abbastanza catena non e’ un’ impresa difficile • Normalmente, man mano che si recupera, la catena dell’altra imbarcazione scorre fino a incattivarsi sulla nostra ancora, ma anche se questo non accade non e’ un problema • Appena e’ visibile, o fuori dall’acqua o in acqua, la catena dell’altra barca, interrompere il recupero, calare il capone sostenuto dalla cima verticale ( nel disegno quella blu ) e agganciare la catena dell’altra barca, mettendo bene in tensione la cima su una bitta • Far cadere a fondo di nuovo la nostra ancora. Questa volta la catena rimane sospesa sostenuta dal capone mentre l’ancora si libera • Salpare l’ancora e portarla a bordo • Mettere in tensione la cima orizzontale del capone ( nel disegno quella rossa ) e poi mollare la cima che sostiene il capone verticalmente: il capone si capovolge e la catena dell’altra barca va a fondo • Avvisare l’equipaggio dell’altra barca che puo’ di nuovo mettere in tensione il proprio calumo 38
Ancore Incattivate !
Si recupera la nostra catena il piu’ possibile possibile
Si aggancia l’altra catena con il capone e si mette in forza
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Si lascia cadere sul fondo la nostra ancora; l’altra rimane appesa al capone
Si recupera la nostra ancora, si mette in forza la cima sull’occhio orizzontale del capone e si molla l’altra l’altra cima: la catena dell’altra barca si libera e cade sul fondo
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Diario di Bordo Nella culla di Apollo e di Artemide
11 agosto, ore 12,30 UTC. Lasciamo Siros diretti a Rhenea. Il Meltemi che ormai dura da diversi giorni assomiglia al nostro Grecale. Il cielo e' sereno ma non limpido, e il colore del mare e' lo stesso del Tirreno quando spirano venti da E - NE. 20 - 25 nodi stabili con rinforzi verso mezzogiorno e cadute durante la notte. Un fiocco e una mano di terzaroli ( qualche volta due ) costituiscono la nostra velatura costante. L'unico vero problema sono le correnti che si formano nei passaggi tra le varie isole come ad esempio tra Kea e Khytnos. Le miglia da Siros a Rhenea sono solo 17 sulla carta ma procediamo di bolina, quindi dovremmo giungere nell' isola nel tardo pomeriggio. Sulla carta e' indicata una baia, che si divide in due rami, nel lato Sud, ed e' li' che proveremo a dare fondo, protetti dal Meltemi. Le colline intorno alla baia sono piuttosto basse, quindi non ci dovrebbero essere raffiche pericolose. 11 agosto, ore 17.30 UTC. Entriamo nella baia e diamo fondo nel solito modo: ancora contro mare e lunga cima galleggiante ( segnalata da qualche parabordo ) portata a terra col battellino e data volta ad un ulivo. 41
Comunque la baia e' deserta e mentre qualcuno prende un bagno altri vanno a terra per un' escursione. Rhenea e' un' isola brulla e rocciosa, poco abitata e relativamente coltivata, qualche piccola casa di contadini sparsa qua e la' e molto silenzio ( a parte il Meltemi ). Poiche' l' isola di Delos, separata da un braccio di mare di qualche centinaio di metri, era considerata sacra, nessuno poteva nascere o morire, quindi parti e sepolture avvenivamento tutte a Rhenea. Delos invece, isola sacra ad Apollo, viene quotidianamente invasa dai turisti che si imbarcano sui caicchi di Mikonos. Per fortuna alle cinque del pomeriggio parte l' ultimo caicco e fino al tramonto rimane deserta. Poiche' e' proibito passare la notte alla fonda a Delos, salperemo nel pomeriggio, per visitarla e far ritorno a Rhenea al tramonto. 12 agosto, ore 17,00 locali. Siamo a Delos e sta partendo l' ultimo caicco che i riporta i turisti a Mikonos, oltre a noi, un' altra barca a vela e un catamarano. L' isola adesso e' quasi completamente deserta. Il Meltemi soffia tra le colonne del santuario di Apollo e sui leoni di marmo a guardia del Lago Sacro. Delos un tempo fu il centro politico e religioso del mondo antico. L' isola era nel IV secolo A.C. a capo della Confederazione delio-attica ed oggi e' completamente disabitata ( a parte i custodi ) e rappresenta un vero e proprio museo e cielo aperto. Secondo la mitologia, Delos e' il luogo di nascita di Apollo e di Artemide. Qui si rifugio' Latona, amante di Zeus e madre dei due dei, per sfuggire alla gelosia di Era. Il porto antico si trovava sul lato Ovest dell' isola, protetto da Rhenea. Ma Delos, ultimo ridosso sicuro nella rotta da Atene verso l' Asia e' anche protetto a Nord da Tinos e ad Est da Mykonos questo forse spiega la sua fortuna passata. Mentre passeggio lungo la Via Sacra il sole comincia a tramontare dietro Rhenea e le rovine assumono sfumature rosate. E' tempo di salpare. Anche il Meltemi adesso ha perso la violenza del giorno e soffia dolcemente. Mentre lasciamo l' isola a poppa, scorgo in lontananza i monumenti illuminati dall' ultimo sole.
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Capitolo 8: Ancoraggi REGOLA GENERALE: LA LUNGHEZZA DEL CALUMO DEVE ESSERE DA TRE A CINQUE VOLTE LA PROFONDITA’ DEL MARE, CONSIDERANDO GLI EFFETTI DELLA MAREA. Non c’e’ bisogno di esagerare: se diamo fondo in una baia, un calumo troppo lungo determinera’ una ruota molto ampia: un rischio in caso di salti di vento.
Come dare fondo: Con vento in prua • Tutto deve essere in chiaro a prua: l’ ancora pronta ad essere lasciata cadere in acqua, la catena in chiaro ( ricordarsi che l’estremita’ della linea d’ormeggio deve essere assicurata a bordo in qualche modo ) • Scelto il punto stabilito per dare fondo lo si raggiunge senza abbrivio e contro vento • Si lascia cadere l’ancora in acqua all’ordine: “ Fondo !”
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• A macchina indietro lentamente (o lasciandoci spingere dal vento scontrando la randa) si fila una lunghezza pari a poco piu’ del fondale ( 7-8 metri su quattro con ancora a picco lungo) • A questo punto si da volta; la catena si distende completamente, l’ancora fa testa e la barca viene bruscamente richiamata nel letto del vento • Mettendo una mano sulla catena si puo’ capire se l’ancora ha fatto testa: se la catena si tende e si allenta come animata da piccoli sussulti l’ancora sta arando • Quando l’ancora ha fatto testa si fila calumo sufficiente per giungere in banchina o per avere la lunghezza desiderata in baia
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Se non si utilizza il motore, quando l’ancora ha fatto presa, si fila il calumo necessario cercando di distenderlo bene. Per fare ciò è necessario filare il calumo quando la barca, brandeggiando, si trova nel letto del vento.
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Se c’e’ pochissimo vento e siamo a vela risultera’ impossibile attestare l’ancora. In questo caso bisogna dar fondo in poppa, filando il calumo ancora con le vele che portano. Al momento di attestare l’ancora si orza leggermente e si agguanta. La barca verra’ richiamata contro vento piuttosto rapidamente appena l’ancora ha fatto testa. Attenzione alla ruota !
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Morale: Il raggio di rotazione della barca, (ruota), dipendente dalla lunghezza del calumo, non deve comportare pericoli. Attenzione al calumo !
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Morale: Controlla che il calumo sia ben disteso, e prendi degli allineamenti a terra per verificare che l’ancora non non stia arando.
Tecniche di Ancoraggio Scegliere un fondale non eccessivamente profondo ( meno calumo da filare e possibilita’ di immergerci se l’ancora si incattiva sulle rocce ) Ancora Singola Qualunque sia il tipo di ancora ( CQR, Danforth, Bruce, Delta, Ammiragliato ecc. ) la vera sicurezza nasce dalla lunghezza della catena. L’ancora per lavorare bene non deve sollevarsi dal fondo. Anche in caso di forti oscillazioni verticali, la lunghezza della catena deve essere tale che una parte di essa e piu’ precisamente quella parte che e’ collegata all’ancora, rimanga comunque distesa sul fondo.
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Comunque, in caso di mare lungo abbastanza formato, la catena subira’ degli strattoni notevoli, mettendo a dura prova la resistenza delle strutture. Cio’ soprattutto se i fondali non sono molto profondi. In casi del genere allungare il calumo non cambia granche’ la situazione: il fondale non e’ abbastanza profondo da permettere alla catena di fare “peso” e formare un’ampia curva. Essa tende a formare una linea rettilinea tra ancora e imbarcazione e durante i beccheggi sono possibili avarie alla bitta d’ormeggio o alla catena stessa. Inoltre allungando il calumo si aumenta la ruota e cio’ puo’ non essere possibile per la presenza di pericoli. Un buon sistema e’ quello di creare un’ ammortizzatore alla catena utilizzando un cavo di nylon, collegato con un nodo di bozza alla catena e ben fasciato nel punto di passaggio nella bocca di rancio per evitarne l’usura.
Nel caso che la nostra linea di ancoraggio sia “mista”, cioe’ costituita in parte da catena e in parte da cima tessile, un grosso galleggiante alla fine della catena impedira’ al tessile ad essa collegato di rischiare di essere tagliato dalle rocce, tenendo sollevata dal fondo l’estremita’ stessa della catena.
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Il grippiale Ancorando in baia con tempo non perfettamente dichiarato, e’ sempre consigliabile utilizzare un grippiale. La tecnica e’ la seguente: Si prepara una cima sufficiente a sollevare l’ancora e lunga quanto l’altezza del fondale. Si da volta con una gassa alla cima sul diamante dell’ancora. Si collega poi con un’altra gassa la cima a un gavitello o anche a un parabordo. Al momento di dar fondo si fila il tutto in acqua assieme all’ancora. In caso di incattivamento dell’ancora si puo’ recuperarla attraverso il grippiale. 50
Si puo’ anche fissare uno spezzone di catena , la cui lunghezza deve essere superiore al fondale, all’ancora. Allo spezzone si collega la cima e il gavitello come descritto prima. Questo per poter appennellare con minore fatica l’ancora singola in caso di necessita’: recuperando il grippiale infatti si puo’ collegare allo spezzone la seconda ancora, manovra altrimenti difficoltosa in caso di vento e mare formato.
Afforco L’ afforco consiste nel dare fondo, a prua, due ancore, ciascuna con UN ANGOLO DI CIRCA 30 GRADI RISPETTO ALLA DIREZIONE DA CUI PROVIENE ILVENTO. Le ancore devono avere la stessa lunghezza di catena, affinche’ possano lavorare assieme. Per afforcarsi: • Si da fondo alla prima ancora nel solito modo. • Si fila il calumo. • Ci si porta nel punto dove si e’ deciso di dar fondo alla seconda ancora. • Dopo aver dato fondo alla seconda ancora si fa scadere la barca fino a che i due calumi hanno la stessa lunghezza. • Si da volta prima ad un calumo poi all’altro per verificare la presa delle due ancore • Si fila la stessa misura di calumo secondo la lunghezza necessaria 51
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Se si decide di afforcarsi in un secondo tempo si puo’ utilizzare il battellino per portare l’ancora e la catena nel punto voluto. 52
In questo questo caso si carica sul battellino TUTTO IL CALUMO, collegandolo con una cima. Sara’ quest’ultima ad essere riportata a bordo e permettera’ di recuperare la catena, altrimenti non sara’ possibile rimorchiare col battellino la catena che pesa troppo. Appennellare Appennellare E’ questo il metodo piu’ sicuro per dar fondo. Il suo difetto e’ che non e’ di facile realizzazione ed e’ ancora piu’ difficile da salpare. • • • • •
Si collegano due ancore con uno spezzone di catena di alcuni metri. Si da fondo alla prima filando la catena. Si da fondo alla seconda filando altri metri di catena. Si controlla che le ancore abbiano preso dando volta. Si fila la quantita’ necessaria di catena secondo il fondale e le condizioni del mare.
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Barba di gatto In determinate situazioni puo’ diventare necessario rinforzare l’ormeggio senza che sia possibile afforcarsi o appennellarsi. In questo caso possiamo tentare di rinforzare l’ormeggio calando una seconda ancora a barba di gatto. • Ci si recupera con cautela sull’ancora stando attenti a non farle perdere la presa. ( Con vento e mare la prua si alza e si abbassa tendendo la catena e rischiando di sollevare anche l’ancora ) • Appena di valuta di aver recuperato abbastanza, si da fondo da bordo a una seconda ancora, praticamente nella stessa direzione della prima. • Si fila quanta piu’ catena possibile ( compatibilmente con l’acqua libera che abbiamo a poppa )
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Ancora Guardiana Se non si ha la possibilita’ di scadere sottovento per filare la barba di gatto, si ricorre all’ancora guardiana: si da fondo ad una seconda ancora sotto la barca con la catena in bando. Questa costituisce una speranza di far presa se la prima ancora ara lentamente, inoltre attutisce con il suo peso le guizzate della prua, facilitando la tenuta della prima ancora.
La cima a terra In acque ristrette si puo’ portare una cima a terra. E’ bene avere una buona cima galleggiante a bordo che, collegata ad un anello di catena costituira’ il nostro ormeggio a terra. Infatti non sempre è possibile assicurare la cima a un tronco d’albero o a una pietrra levigata. 55
Spesso abbiamo a disposizione solo scogli acuminati che possono rapidamente tranciare per sfregamento una cima tessile. Una volta assicurata la cima a terra, soprattutto in caso di sosta notturna, sarà bene segnalarla, utilizzando dei galleggianti (vanno bene anche i parabordi). Portare una cima a terra Portare una cima a terra, con i battellini di servizio, soprattutto quelli a chiglia piatta, non è affatto semplice. Se la cima non è di nylon, quindi galleggiante, man mano che la si fila questa va a fondo e diviene così pesante da rendere veramente difficoltosa la rotta di atterraggio del battellino, soprattutto in presenza di vento. Il sistema migliore è quello di caricare l’intera cima sul battellino e dirigersi a terra, trovare il punto dove assicurarla e poi tornare verso la barca, filandola man mano che ci si avvicina. Il punto dove si è assicurata la cima a terra è infatti fisso, immobile, mentre se assicuriamo la cima alla bitta della barca e poi la filiamo mentre ci si avvicina a terra, la barca all’ancora brandeggia per l’effetto del vento, spostando continuamente e tirando lateralmente la cima stessa, rendendo così complicato l’avvicinamento a terra. E’ bene quindi dirigersi a terra con tutta la cima, l’ anello di catena e qualche parabordo che legheremo alla cima, una volta assicurata, mentre torniamo a bordo. Se fa caldo e possiamo avvicinarci sufficientemente a terra, possiamo tuffarci direttamente in acqua e portare la cima a terra a nuoto. In questo caso assicureremo ad un parabordo l’anello di catena e un’estremità della cima, lo gettermo in acqua, poi ci tufferemo e nuotando spingeremo il parabordo verso terra. In questo caso l’altra estremità della cima rimane a bordo. Il parabordo di permette di portare la catena a terra, altrimenti non è possibile farlo. Raccomandazioni finali per gli ancoraggi • Scegliere un fondo possibilmente non di roccia o di alga ( sui primi le ancore si incattivano, sui secondi tendono ad arare ) • Non dare fondo in fondali profondi ( in caso di necessita’ irraggiungibili con un’immersione e comunque necessitano di notevoli lunghezze di calumo ) • Evitare luoghi esposti a forti correnti 56
• Cercare ridossi ben protetti, insenature chiuse e prive di pericoli • Stimare bene il raggio della ruota per evitare collisioni con altre barche, scogli o secche • Controllare il tipo di ancoraggio delle altre imbarcazioni presenti ( alla ruota, ad un corpo morto, a due corpi morti di prua e poppa ) considerando che alcuni tipi di ancoraggio non modificano la posizione della barca se il vento gira mentre la nostra, se siamo alla ruota, puo’ spostarsi • Tenere presente che in caso di raffica catamarani e motoscafi si muovono sulla superficie dell’acqua molto piu’ velocemente delle barche a vela il cui bulbo offre una buona resistenza allo spostamento • Ancorare sufficientemente lontano dalla costa • Controllare con allineamenti se l’ancora ara • Salpare subito se ci si trova esposti ad un peggioramento improvviso del tempo e non esitare a cercare un ridosso migliore ( quando il mare diventa duro, la manovra per salpare puo’ risultare impossibile ) Un ultima considerazione: può sembrare una buona idea quella di filare un calumo molto lungo, soprattutto in porti affollati, per evitare problemi di incattivamento dell’ancora, magari ricorrendo a tutta la catena e anche al tessile. In effetti un calumo lungo, anche in bassi fondali permette di posizionare l’ancora lontano da possibili fonti di incattivamento. Bisogna però tenere presente che maggiore è la lunghezza del calumo maggiore risulta la sua elasticità. In certi porti dove i traghetti di linea ( soprattutto in Mediterraneo Orientale ) entrano ed escono a velocità notevoli, si può sollevare una notevole risacca e se il nostro calumo è molto lungo e quindi molto elastico, la barca può rinculare notevolmente fino a sbattere con la poppa in banchina.
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Diario di Bordo Un po’ di matematica... Calcolare la vera intensità del vento reale e la sua direzione non è un calcolo complesso, a patto di avere a bordo un calcolatore scientifico con funzioni trigonometriche.
Il problema di tipo vettoriale si risolve con un paio di formule trigonometriche:
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La direzione del vento reale è uguale alla somma degli angoli γ + δ, dove γ è uguale alla direzione del vento apparente ( 135 gradi ) e δ è uguale all’angolo α che può essere determinato trigonometricamente 59
Determinato l’angolo α, basterà sommarlo all’angolo del vento apparente per ottenere la direzione effettiva del vento reale.
Naturalmente se la rotta dell’imbarcazione non è 0 gradi, per calcolare l’angolo del vento apparente basterà metterlo in relazione con la rotta della barca. Esempio: Rotta barca 45, direzione vento apparente 90, angolo vento apparente rispetto alla rotta 45.
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Capitolo 9: I Nodi Non sono poi molti i nodi necessari in mare: Conoscendone 5 o 6, si puo’ fare tranquillamente il giro del mondo. Il problema e’ che una cosa e’ fare i nodi seduti nel pozzetto con la cima sulle ginocchia, una cosa e’ farli quando la prua salta sulle onde, le vele sbattono e il mare sale in coperta. Lo stesso nodo, che siamo abituati a fare sempre nello stesso modo, puo’ capitare di doverlo fare da sotto in su, o alla rovescia e allora cambia tutto. QUINDI: SONO POCHI I NODI CHE VERAMENTE SERVONO MA DOBBIAMO SAPERLI FARE A OCCHI CHIUSI E IN TUTTE LE POSIZIONI. Corrente e Dormiente La parte di cima con cui si fa il nodo e che rimane morta alla fine si chiama corrente, quella che mentre si fa il nodo rimane fissa e che fatto il nodo va in forza si chiama dormiente. Il Mezzo Collo E’ il nodo piu’ semplice che si usa in mare. Quasi mai da solo ma come rinforzo ad altri nodi ( gassa e parlato ad esempio ). Da solo si fa sempre doppio. Si puo’ passare la cima in un anello e fare due mezzi colli per assicurarla, ma una gassa in questo caso e’ piu’ sicura.
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Il Savoia
E’ un nodo di arresto ( impedisce alle scotte e alle drizze di sfilarsi dal loro circuito e cominciare a ballare sul mare fuori bordo ). NON SI FA IL NODO DI ARRESTO SULLA DRIZZA DELLO SPINNAKER .Il Savoia e’ un nodo facile da fare e facile da sciogliere se necessario. Inoltre non si assucca e non stressa la cima che rimane integra anche dopo lunghi periodi. E’ il nodo d’ arresto migliore per le scotte. La Gassa Si utilizza principalmente per legare le scotte alla bugna della vela di prua, ma puo’ essere usato anche per l’ormeggio ad un anello o ad una bitta sul molo. E’ un nodo usatissimo in mare e, come tutti i nodi che si usano nella marineria e’ veloce da farsi, tiene e si scioglie con facilita’. Puo’ sciogliersi se sbatte molto. La precauzione per evitarne lo scioglimento e’ quella di lasciare il corrente piuttosto lungo o fare con questo un mezzo collo sul dormiente.
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Il Nodo Parlato Si usa per legare una cima ad un dormiente rotondo, ad esempio una bitta, il pulpito di prua o il balcone di poppa, le draglie. E’ il nodo che si usa per i parabordi ( per lo piu’ ganciato ). Si puo’ fare un mezzo collo per rendere il suo scioglimento piu’ difficile. Il parlato e' utilizzato anche per un ormeggio ad una grossa bitta ma se perde tensione tende a sciogliersi; un mezzo collo fatto con il corrente evitera' che si disfi.
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Il Nodo Bandiera Serve per unire due cime ( allungare una cima d’ ormeggio per portarla a terra ). Si puo’ fare semplice o doppio ( quello semplice si scioglie facilmente, quello doppio si usa sempre quando le due cime da unire hanno diametro diverso ). Si puo’ rinforzare con un mezzo collo.
Il Nodo di Bozza Quando e’ necessario collegarsi ad una cima gia’ in tensione con un’ altra cima, il nodo da fare e’ quello di bozza. Si utilizza ad esempio per deviare la trazione di una scotta incattivata ( volte accavallate ) nel winch e poter allentare la trazione stessa e liberare le volte. Facendo il nodo di bozza a monte del winch e mettendo in forza la nuova cima su un altro winch, la scotta si allenta ed e’ a questo punto semplice togliere le volte accavallate. Un altro uso e’ quello di rinviare su un winch il calumo incattivato sott’ acqua per poter far emergere la catena , se il salpancore non ce la fa. Il nodo di bozza ha la proprieta', quando non e' in tensione, di poter scorrere liberamente lungo la cima su cui e' stato fatto. Questo e' un vantaggio perche' possiamo fare il nodo di bozza lungo la cima che ci interessa stando in un luogo protetto della barca e solo dopo averlo preparato farlo scorrere nel punto preciso della cima dove vogliamo esercitare la trazione.
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Il Cappuccino Cappuccino E’ un altro nodo di arresto che viene fatto abitualmente sulle drizze della randa e delle vele di prua. Non si scioglie facilmente e tende a rovinare l’ estremita’ della drizza. Poiche’ pero’ una volta fatto sulle drizze non viene piu’ disfatto, e’ il nodo piu’ usato per questa necessita’.
Il Paranco di Poldo E’ un paranco semplicissimo molto utile per tesare con forza delle manovre. In caso ad esempio di rottura dello strallo o di una sartia, si puo’ utilizzare questo paranco per approntare una riparazione di fortuna. Puo’ venire utilizzato anche per mettere in forza una cima e lasciarla in tensione. La sua utilita’ inoltre e’ dovuta al fatto che facendo scorrere il paranco in un senso questo aumenta la sua tensione, mentre nell’ altro la diminuisce. E’ costituito semplicemente da due gasse in un circuito.
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Fare una cimatura Ormai quasi nessuno piu' ferma le cime. I materiali sintetici, tagliati a caldo, rendono supeflua la legatura . Superflua ma non tanto. Piu' volte la cima si sfilaccia e allora non rimane che accorciarla per riprendere i trefoli. La legatura di fine cima invece e' solida e resistente e, con un minimo di pratica, la si fa in pochi minuti. Ecco come si fa: • Infilare l' ago attraverso la cima, a circa un terzo del suo diametro.
• Tirando bene, eseguire una serie di volte verso l'estremita' della cima. Infilare di nuovo l'ago.
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• A questo punto eseguire il primo passante, infilando l'ago dove inizia la parte bassa dell'avvolgimento ( sempre a un terzo del diametro della cima ). Tirare bene il filo.
• Eseguire adesso il secondo passante dal basso verso l'alto
• Eseguire infine il terzo passante dall' alto verso il basso, tirando bene il filo e uscire con l'ago dalla cima approssimativamente dove si e' inziato. Avremo un avvolgimento fermato da tre passanti che dividono la circonferenza del cavo in tre parti uguali.
• Per fermare la legatura basta fare un mezzo collo intorno al passante. ( Vedi il prossimo capitolo sui nodi ).
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Diario di Bordo Dormire tranquilli ( o quasi …) Alla fonda in baia. Improvvisamente si alza vento e dalla colline scendono giu’ raffiche rabbiose. E’ notte e il ridosso e’ sicuro dal mare, non vale la pena di salpare. Ma l’ancora puo’ sferrare, sottoposta agli strattoni della barca che brandeggia sensibilmente sotto raffica. E’ necessario organizzare una guardia, ma si puo’ fare anche qualcosa d’altro. Una seconda ancora calata fuori bordo, proprio sotto la barca, con quel tanto di imbando alla catena che compensi il brandeggio. Tutto il resto della catena ben abbisciato sulla tuga. Si puo’ provare a dormire.
Durante la notte l’ancora infine sferra e la barca comincia a derivare. Quando pero’ la catena della seconda ancora si tende, il mucchio abbisciato sulla tuga si svolge e cade in mare con gran fracasso !
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Capitolo 10: Regolazioni delle Vele Lasciamo da parte in questo capitolo le regolazioni di fino dell’attrezzatura, specifica per le regate. Elenchiamo le regolazioni fondamentali, quelle che rendono una barca sicura e manovriera in mare, anche in condizioni meteomarine dure. Una barca ben regolata non subira’ stress all’attrezzatura, avra’ un timone docile e governabile, risalira’ bene di bolina, sara’ in una parola una barca affidabile nelle varie condizioni. L’Albero La prima regolazione da fare e’ quella della ferramenta di coperta, in particolare dell’albero. Per una barca da crociera l’albero dovra’ avere un’inclinazione in senso longitudinale quasi nulla o leggermente spostata verso poppa. Questa inclinazione la si ottiene cazzando opportunamente il paterazzo ( strallo di poppa ), dopo aver cazzato lo stralletto, se la barca ce l’ha. L’effetto che ne risulta e’ anche quello di tendere bene lo strallo di prua, condizione questa che assicura un buon rendimento dei fiocchi.
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A barca orziera si inclina l’albero verso prua A barca puggera si inclina l’albero verso poppa La regolazione laterale dell’albero deve essere quanto piu’ rigida possibile. E’ importantissimo che l’albero rimanga perpendicolare alla coperta anche quando la barca e’ sbandata. Per far questo e’ necessario controllare la linea dell’albero quando si naviga di bolina, sia con mure a dritta sia con mure a sinistra e regolare la tensione delle sartie in conseguenza. Vele di Prua Tensione dello Strallo La prima cosa che dobbiamo controllare e’ la tensione dello strallo di prua. Questo deve essere ben tesato. Lo si puo’ controllare navigando di bolina: sotto la pressione della vela, tendera’ a piegarsi, assumendo una forma ad arco. Se cio’ avviene significa che lo strallo e’ poco tesato e bisogna agire sul paterazzo.
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Tensione della Drizza La seconda cosa da verificare e’ la tensione della drizza. Questa deve mantenere la ralinga ben tesa lungo tutta la sua lunghezza. Se la drizza non e’ abbastanza tesata per il vento che c’e’ la vela di prua fara’ dei festoni lungo lo strallo. Viceversa, se e’ troppo tesata, si formeranno sulla vela, vicino alla ralinga, delle pieghe in senso verticale ed obliquo.
Le vele di prua, per come vengono tagliate dal velaio, hanno una superficie concava che tende a spostarsi verso poppa man mano che il vento aumenta. Tesando opportunamente la drizza, questa concavita’ viene riportata verso prua. Per cui quando il vento aumenta la drizza deve essere cazzata maggiormente. Viceversa se il vento diminuisce. Cio’ vale anche secondo l’andatura su cui si procede: di bolina la pressione del vento apparente aumenta e la drizza deve essere cazzata, mentre con le andature portanti la drizza deve essere allascata. Basta osservare la ralinga: se issiamo la vela di prua contro vento, come si fa normalmente, la prima andatura sara’ di bolina stretta. Quindi cazziamo la drizza della vela di conseguenza. Come pero’cominciamo a puggiare perche’ magari la nostra rotta prevede un lasco o una poppa osserveremo il formarsi di pieghe verticali lungo lo strallo: la tensione della drizza, corretta per la bolina, diventa eccessiva per il lasco o la poppa. Dobbiamo quindi regolarla di nuovo, lascandola un po’. 72
Punto di richiamo della Scotta La terza cosa da controllare e’ la posizione del punto di richiamo della scotta sul carrello. Per ottenere la giusta posizione si utilizzano generalmente due criteri: • Lo sventamento della vela quando entra nel letto del vento • L’angolo che si forma tra la scotta e la vela stessa 1. Se di bolina orziamo ancora un po’ entriamo nel letto del vento e la vela comincia a fileggiare. Se il fileggiamento si manifesta contemporaneamente lungo tutta la ralinga la posizione del carrello e’ corretta. Se il fileggiamento inizia prima di tutto in alto il carrello deve essere spostato in avanti. Se invece il fileggiamento inizia prima di tutto in basso il carrello deve essere spostato indietro.
2. Di bolina la scotta forma due angoli: il primo tra la scotta e la balumina, il secondo tra la scotta e la base. Questi due angoli devono essere approssimativamente uguali, quindi il punto di rinvio deve essere spostato in avanti o indietro per ottenere questo risultato.
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Variando la posizione del carrello della scotta si puo’ regolare anche lo svergolamento della vela di prua. Carrello avanti: balumina piu’ tesa, quindi minor svergolamento in alto, grembiule lasco Carrello indietro: balumina piu’ lasca, maggior svergolamento in alto, grembiule teso Ricordare che una buona regolazione della vela di prua puo’ comunque non impedire un certo rifiuto nella parte alta, dovuto all’effetto dell’onda sulla prua dell’imbarcazione. Regolazione della Scotta La tendenza piu’ diffusa tra i principianti e’ quella di tenere le vele troppo cazzate. LE VELE DEVONO RESPIRARE ! Un lieve fileggiamento lungo il bordo d’entrata del vento e’ il segnale della giusta regolazione della vela. Ci si puo’ aiutare con i segnavento cuciti sulla vela, controllando che siano in posizione orizzontale. Il segnavento piu’ importante e’ quello che sta piu’ in alto di tutti. Per la regolazione della scotta della vela di prua sono disponibili i verricelli che permettono uno sforzo minore. La procedura e’ comunque questa: fino a che e’ possibile si cazza la vela con la sola forza delle braccia dando una sola volta al verricello, poi si passano altre volte e ci si aiuta con questo, infine quando neanche cosi’ e’ possibile esercitare una trazione sufficiente, si usa la maniglia.
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La Randa Molte delle considerazioni fatte sulle vele di prua valgono anche per la randa. La tensione della drizza prima di tutto. Se questa non e’ abbastanza tesa la randa fara’ i festoni lungo l’albero. Anche il tesabase deve essere ben regolato, in modo da eliminare le pieghe della vela lungo il boma.
Con venti deboli si ingrassa la vela allascando la drizza e il tesa base, con venti freschi si smagrisce la vela cazzandoli. Inoltre alle andature larghe si allasca la vela per aumentare la concavita’ alla base, mentre di bolina si smagrisce tesando drizza e tesa base.
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Il carrello della Randa Il carrello su cui e’ rinviata la scotta di randa e’ molto importante perche’ permette la regolazione dello svergolamento in alto della vela. Il terzo superiore della randa e’ quello che piu’ di ogni altra parte della vela fornisce il massimo rendimento, quindi la sua buona regolazione e’ decisiva. Nelle andature portanti con vento leggero il carrello deve essere portato sottovento, per appiattire la superficie, mentre di bolina con vento leggero si sposta il carrello sopravvento per aumentare il grasso della vela. Se invece il vento rinfresca, lo spostamento sottovento del carrello, anche e soprattutto di bolina, appiattisce la vela. Questa e’ la prima manovra da fare prima ancora di pensare di ridurre la velatura.
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Il vang Quando, nelle andature portanti, il carrello della scotta di randa e’ ormai giunto a fine corsa sottovento e la scotta e’ ben lascata, si presenta la necessita’ di evitare che il boma si sollevi in alto facendo svergolare la vela. Il vang ben tesato serve appunto ad evitare questa possibilita’. RICORDARSI QUINDI DI CONTROLLARE CHE NELLE ANDATURE PORTANTI IL VANG SIA BEN CAZZATO. La ritenuta del boma In fil di ruota e al gran lasco e’ necessario armare una ritenuta del boma. Questa evitera’ le sue oscillazioni con poco vento e le strambate involontarie quando il vento rinfresca. La strambata involontaria con vento fresco, spesso determinata da un’ onda che sposta improvvisamente la poppa dell’imbarcazione, puo’ provocare incidenti all’equipaggio e anche serie avarie all’attrezzatura. In particolare al boma stesso o alle sartie sottovento. La ritenuta non deve essere armata perpendicolare al boma, perche’ in questo modo non permette la necessaria elasticita’ dello stesso, ma a prora. In caso di straorzata il boma puo’ immergersi in acqua e se non puo’ flettere rischia di spezzarsi. Si puo’ utilizzare il caricabasso dello Spi, che e’ sempre rinviato a prua.
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Lo Spinnaker
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Lo Spinnaker e’ la vela principale per le andature portanti. E’ una vela che veramente permette di macinare miglia e miglia, soprattutto con venti moderati quando altrimenti la barca si trascinerebbe faticosamente rollando in continuazione con altri tipi di vele.
E’ pero’ una vela che perdona meno facilmente delle altre errori di manovra per cui, per evitare piccole e grandi disavventure, e’ necessario conoscerne bene le caratteristiche di base.
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Piegare lo Spi nel suo sacco La prima cosa da saper fare e’ la preparazione dello spi nel suo sacco. Una buona piegatura e’ alla base di una issata senza che la vela prenda delle volte. • Si parte da uno dei due angoli di scotta o dall’angolo di penna • Si procede estraendo dal mucchio un punto qualsiasi delle balumine o della base e seguendo tutto il bordo della vela si fanno delle pieghe di circa un metro • Man mano che si va avanti lungo il bordo si troveranno gli altri angoli della vela ( punto di scotta e penna ) • Si continua a fare le pieghe finche’ non si ritorna al punto di partenza • Alla fine avremo raccolto assieme i due angoli di scotta, l’angolo di penna e l’intero bordo della vela piegato, mentre rimarra’ a terra tutta la parte centrale dello Spi • Si mette nel sacco prima la parte centrale e sopra la parte raccolta • Alla fine emergeranno dalla bocca del sacco le pieghe, i punti di scotta e la penna • Si chiude il sacco Armare lo Spi • Si porta in coperta il sacco e si mura alla battagliola sottovento approssimativamente a meta’ della vela di prua che e’ a riva • Si passano scotta e braccio, fuori tutto, murando anch’essi alla battagliola vicino al sacco • Il braccio viene passato nella pastecca sopravvento murata alla falchetta, appena a proravia dell’albero • Si incoccia il tangone, sostenuto da amantiglio e caricabasso, sopravvento, all’altezza approssimativa che si ritiene ottimale • Si passa il braccio nel gancio del tangone • Si passa la drizza dello Spinnaker all’esterno dello strallo e la si recupera da sotto la vela di prua a riva all’altezza del sacco murandola accanto al braccio e alla scotta • Si apre il sacco e si tira fuori l’angolo di scotta, l’angolo di braccio e angolo di penna murandoli alle rispettive cime • Si cazza il braccio fino a portare all’altezza dello strallo ( fino al gancio del tangone ) l’angolo di braccio • Si cazza un po’ la scotta fino a far uscire buona parte della base dello Spinnaker dal sacco stesso 80
• Si orza un po’ e siamo pronti ad issare la vela che si gonfiera’ sottovento alla vela di prua a riva • Appena issato, si regolano tangone e scotta e si ammaina la vela di prua
Regole generali per una una buona regolazione dello Spinnaker • Lo Spi deve sempre stare piu’ “aperto” possibile ( scotta il piu’ possibile filata ) in modo che scarichi l’aria • Lo Spi deve prendere piu’ aria possibile ( si puo’ mettere un segnavento sul tangone e regolarlo in modo che faccia un angolo di 90 gradi rispetto al vento ). Conseguentemente la varea del tangone deve essere piu’ lontana possibile dall’albero. • Il grembiule deve essere orizzontale rispetto al mare, quindi le due bugne devono lavorare alla stessa altezza
I segnavento sulle sartie non danno indicazioni sicure con lo Spi, perche’ lavorano in turbolenza. Meglio un segnavento sul paterazzo o meglio ancora in testa d’albero. Il tangone deve essere orizzontale, perpendicolare al vento relativo e sempre il piu’ basso possibile sul mare. 81
Un tangone troppo alto fa perdere rendimento allo Spi, un tangone troppo basso non peggiora molto il rendimento della vela. La randa si tiene un po’ piu’ cazzata per diminuire gli effetti della turbolenza sullo Spi. La scotta viene cazzata quel tanto da portare il bordo d’entrata ( balumina sopravvento ) al limite del fileggiamento ( orecchia ).
Poiche’ dal pozzetto non si possono fare queste osservazioni, e’ bene che l’uomo che regola la scotta si posizioni sottovento all’albero e da li’ osservi il comportamento del bordo d’entrata. Poiche’ lo Spi deve sempre prendere piu’ vento possibile, il braccio sara’ progressivamente strallato man mano che si orza. Si regola sempre la scotta; il braccio viene orientato diversamente solo se si cambia la rotta. Strambata La tecnica della strambata dipende dalla grandezza dello Spi e dal tipo di tangone ( simmetrico e asimmetrico ). Per barche di grandi dimensioni si utilizzano due tangoni. 82
In piccole imbarcazioni, generalmente dotate di tangone simmetrico, la compressione sul tangone stesso non e’ mai cosi’ forte da impedire ad un membro dell’equipaggio di togliere il tangone stesso e incocciarlo sulle mura opposte.
Se il tangone e’ simmetrico la manovra e’ la seguente: • Ci si mette in poppa e si regolano le vele di conseguenza • Si scoccia il tangone dall’albero e si incoccia il gancio liberato sulla scotta sottovento • Si scoccia il gancio sul vecchio braccio e lo si mura all’albero • Si passa il nuovo braccio nella pastecca e si libera il vecchio dall’altra pastecca sulla falchetta • Si stramba la randa Se il tangone non e’ simmetrico • Ci si mette in poppa e si regolano le vele • Si libera il caricabasso e si fila l’amantiglio scocciando il tangone dal braccio e abbassandolo • Si ruota il tangone portandolo sull’altro bordo e incocciandolo sulla scotta 83
• Si cazza amantiglio e caricabasso riportando il tangone orizzontale • Si passa il braccio nella pastecca e si libera la scotta dalla pastecca sulle altre mura • Si stramba la randa Problemi con lo Spinnaker Rollio ritmico A volte, in fil di ruota e con vento fresco, la barca sotto Spi si mette a rollare da banda a banda, lo Spi dondola da un bordo all’altro e le rollate diventano sempre piu’ ampie, fino a portare il boma in acqua. E’ necessario allora cazzare bene la scotta dello Spi e abbassare il tangone. Se questo non e’ sufficiente bisognera’ orzare un po’. Straorzata Sotto raffica e con il tangone strallato la barca puo’ partire in straorzata. Bisogna essere pronti a filare rapidamente sia la scotta dello Spi che quella della randa ( quest’ultima ha un notevole effetto ). Strapuggiata E’ ben piu’ pericolosa della straorzata e puo’ portare la barca a coricarsi sul mare con seri effetti sull’equipaggio e sull’attrezzatura. Avviene per lo piu’ quando si naviga in fil di ruota: la barca comincia a rollare sempre piu’ fino a che rischia la strambata involontaria con susseguente straorzata. Non si puo’ fare molto per prevenirla, salvo evitare andature in fil di ruota con mare lungo, ma una volta avvenuta la situazione della barca e’ precaria e se ancora non si e’ rotto niente qualcosa si rompera’ in breve: la barca e’ coricata sul mare, il tangone e’ in acqua, tutto e’ sottosopra. Lascare la randa, non esitare a filare per occhio lo Spi dalla drizza. Questo e’ l’unico modo per riportare la barca in assetto. Piu’ tardi, con calma, si cerchera’ di ripassare la drizza.
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Spinnaker incaramellato Il piu’ delle volte accade perche’ lo Spi era stato piegato male e quando viene issato fa delle volte intorno allo strallo, ma puo’ accadere anche con poco vento e onda, come pure durante una strambata non eseguita correttamente. Se si suppone questa possibilita’ bisogna stendere le balumine il piu’ possibile, cazzando la scotta e abbassando il piu’ possibile il tangone. Se nonostante cio’ lo Spi prende delle volte la prima cosa da fare e’ strambare. Le volte dovrebbero disfarsi da sole per l’azione del vento. Non sempre pero’ accade, soprattutto se la direzione del moto ondoso non e’ la stessa della direzione del vento. A questo punto e’ necessario togliere le volte manualmente. Primo tentativo: Si molla la drizza e si tenta di far scivolare le volte lungo lo strallo del pulpito. Se, quando si e’ ammainata la vela di prua, abbiamo incocciato la drizza sul pulpito e le volte dello Spi prendono sia lo strallo che la drizza del fiocco, non c’e’ niente da fare, lo Spi non verra’ giu’. Quando si ammaina la vela di prua ricordarsi di portare la drizza a piede d’albero. Se le volte sono strette e lo Spi non scende si puo’ dar volta con una cima alla base della vela, rinviare la cima ad un bozzello e portarla sul verricello, cazzandola. Lo Spi e’ molto piu’ resistente di quanto si pensi e potrebbe cominciare a scendere lungo lo strallo pian piano. Secondo tentativo: Lo Spi non scende. Si scoccia scotta e braccio e si cerca di srotolarlo da prua partendo dal grembiule, con delicatezza e pazienza. E’ un lavoro lungo e faticoso e non e’ detto che funzioni. Terzo tentativo: Si issa un uomo in testa d’ albero che disfera’ le volte dall’alto, calandolo lungo lo strallo man mano che le volte si sciolgono. Attenzione al rollio della barca, man mano che l’uomo scende lungo lo strallo si allontana sempre piu’ dall’albero e non ha piu’ molti punti di appiglio. Meglio cercare di tenerlo fermo armando un caricabasso al bansigo e una ritenuta sullo strallo. 85
Ammainare lo Spinnaker
• Si orza un po’ • Si fila il braccio fino a strallare il tangone il piu’ possibile • Un uomo a prua sgancia il moschettone del braccio: lo Spi, trattenuto solo dalla drizza e dalla scotta, si distende sul mare come una bandiera • Si comincia a filare la drizza mentre un uomo sottovento recupera la vela da sotto il boma e la passa ad un altro che si occupa di farla scendere sotto coperta
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Diario di Bordo Andando in poppa… Sappiamo bene che l’andatura di poppa non e’ certo la piu’ veloce oltre che la piu’ comoda. La barca rolla, se siamo a farfalla e’ difficile far portare la vela di prua, si rischiano strambate involontarie. Orzando un poco invece l’andatura e’ piu’ stabile ed anche piu’ veloce. Ma la rotta non ci porta piu’ dove dobbiamo arrivare. Orziamo, ad esempio, di 20 gradi. Adesso la nuova andatura e’ al gran lasco e filiamo veloci guadagnando circa un nodo e mezzo rispetto alla poppa piena. Ma ne vale la pena ? Esaminiamo questa idea nel dettaglio. Se invece di fare rotta diretta in poppa piena verso la nostra meta, diciamo a 40 miglia di distanza, con velocita’ media di 5 nodi, orziamo, come abbiamo detto, di 20 gradi e la nostra velocita’ passa a 6 nodi e mezzo, dovremo a circa meta’ percorso, strambare e dirigerci verso la nostra meta sulle altre mura, di nuovo al gran lasco, sempre a 20 gradi rispetto al vento. Un po’ di matematica…
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Ci vuole una piccola calcolatrice scientifica: il tratto AB e’ uguale a
Per cui l’intero tratto sara’ esattamente il doppio ( 42,56 miglia ), strambando esattamente a meta’ percorso ( 21,28 miglia ). La prima cosa che notiamo e’ che nonostante la notevole deviazione dalla rotta stabilita, allunghiamo il percorso di sole 2,56 miglia. E quanto tempo ci mettiamo ? Percorrere la rotta stabilita ( 40 miglia a 5 nodi ) implica 8 ore esatte di navigazione. Percorrere la nuova rotta, per quanto piu’ lunga ( 42,56 miglia a 6,5 nodi ) implica una durata di navigazione di circa 6 ore e 30 minuti. Abbiamo risparmiato un’ ora e mezzo ! Supponiamo di orzare di ben 30 gradi per ottenere una velocita’ media di 7 nodi.
L’intero tratto sara’ adesso di 46,18 miglia e dovremo strambare a 23,09 miglia. Percorrendolo a 7 nodi raggiungeremo la nostra meta dopo 6 ore e 35 minuti. Ancora una volta abbiamo risparmiato un’ ora e mezzo ! In pratica, trovandoci in una situazione del genere, proviamo ad orzare di 10, 20, 30 gradi rispetto alla rotta diretta ( oltre 30 gradi non conviene piu’ ) e controlliamo l’aumento della velocita’.
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Poi determiniamo l’aumento del percorso sempre per 10, 20, 30 gradi e calcoliamo in base alla velocita’ guadagnata quale possa essere il risparmio di tempo. Consideriamo anche che se il tratto da percorrere e’ lungo e la situazione meteo non e’ stabile, il vento puo’ ruotare annullando l’incremento della nostra velocita’. In questo caso e’ meglio scegliere modifiche della nostra rotta originaria non troppo ampie. P.S. ricordarsi che dividendo le miglia da percorrere ottenute con questo calcoletto per la velocita’, il risultato che fornisce il calcolatore e’ in centesimi e non sessagimale. Ad esempio 46,18 miglia divise per 7 nodi viene 6,60 cioe’ 6 ore e 60/100 di ora cioe’ 60*60/100 = 36 minuti
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Capitolo 11: Velatura
Sebbene un armamento a Sloop comporti un tipo di velatura relativamente semplice, in confronto ad altri tipi di armamento come ad esempio quello di uno Scooner come quello raffigurato qui sopra, esistono diverse possibilita’ di utilizzare le vele a disposizione secondo le situazioni e le andature. Innanzitutto non e’ detto che comunque si debba avere a riva sempre il massimo di velatura possibile secondo il vento che c’e’. La riduzione di velatura non ha solo la funzione di mettere la barca in assetto con vento fresco, ma anche di regolare la velocita’ secondo la necessita’ e di ottenere un tipo di andatura idoneo agli scopi che ci siamo prefissi. Una tendenza piuttosto comune e’ quella di decidere il tipo di velatura esclusivamente in funzione delle condizioni meteo. In realta’ la decisione di quali 90
vele tenere a riva e’ il risultato di valutazioni che implicano considerazioni piu’ ampie e generali.
Esempi: • Si puo’ terzarolare la randa e ridurre la velatura di prua allo scopo di ridurre la velocita’ della barca e facilitare le virate e le strambate perche’ si deve navigare in acque ristrette o in acque sconosciute e pericolose • La riduzione di velatura puo’avere anche lo scopo di organizzare un assetto di navigazione piu’ comodo e tranquillo, per mangiare o cucinare ad esempio, oppure nella necessita’ di dover provvedere a qualche riparazione o altra mansione di bordo • Si puo’ decidere di rallentare la propria velocita’ perche’ si prevede di arrivare troppo presto nel luogo prefissato, magari di notte in un porto sconosciuto • Si puo’ utilizzare stroppi di acciaio allo scopo di alzare il punto di mura delle fiocco per avere il massaimo di visibilita’ possibile a prua
Quello che comunque non bisogna dimenticare e’ che qualunque tipo di velatura sia a riva, deve essere tale da lasciare la barca ben equilibrata e manovriera, capace di orzare o puggiare secondo la necessita’. 91
Ad esempio non si impegna una baia per andare all’ancoraggio con solo un genoa a riva. Se la manovra non riesce ed abbiamo poca acqua a disposizione ben difficilmente riusciremo a riprendere velocita’ senza scadere molto, non avendo la randa. Panna Mettersi in panna e’ un modo per fermare la barca che comincia a scarrocciare molto lentamente creando una remora sopravvento. La manovra e’ praticamente identica a quella per mettersi alla cappa, ma viene utilizzata non in condizioni di cattivo tempo, bensi’ semplicemente per fermare la barca e riposarsi, mangiare, effettuare qualche riparazione, aspettare. Dopo essersi messi di bolina si cazza a ferro il fiocco e la randa e si vira senza toccare le scotte. La randa cambia mure e il fiocco rimane a collo. A questo punto di porta il timone all’orza e lo si fissa in quella posizione. L’equilibrio velico nella panna dipende dai vari tipi di imbarcazione, ma generalmente, per la tendenza orziera delle barche moderne, si ottiene terzarolando la randa e comunque riducendo l’effetto orziero delle vele. La panna e’ la manovra da fare tutte le volte che ci si sente particolarmente stanchi, affamati, oppure incerti sul da farsi (ad esmpio non sappiamo piu’ bene dove siamo, siamo arrivati a notte fonda in prossimita’ di una costa sconosciuta ecc. )
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Andature Portanti Le imbarcazioni moderne hanno la tendenza a rollare molto con venti e mare da poppa e lasco. Cio’ e’ dovuto ai bulbi appesi, lunghi e stretti che, garantendo una buona resa di bolina, non offrono quella stabilita’ longitudinale che sarebbe necessaria dovendo affrontare lunghi bordi con venti portanti. Con vento in poppa si puo’ utlizzare l’andatura a “farfalla” che pero’ e’ un po’ difficile ed impegnativa e richiede una concentrazione continua da parte del timoniere. Non e’ quindi adatta a lunghi percorsi. Anche utilizzando una ritenuta del boma, bastano pochi gradi di fuori rotta per vedere il genoa perdere il vento, oppure un’onda presa male puo’ spostare notevolmente la nostra poppa, esponendoci al rischio di una straorzata spettacolare.
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In casi del genere si puo’ armare sopravvento il fiocco, utilizzando il tangone dello Spi e tenere aperto il genoa sottovento, creando cosi’ una grande superficie velica a prua.
La manovra necessita’ pero’ di un secondo strallo per ingarrocciare le due vele di prua. Per questa necessita’ si puo’ utilizzare una drizza di rispetto, ( come la drizza dello Spi o la seconda drizza del fiocco ) murate sul cavallotto di prua. Se il vento e’ fresco e i rischi di straorzata notevoli si puo’ allora ammainare completamente la randa, togliere il tesabase e incocciarlo direttamente nel punto di scotta del genoa sottovento.
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Avremo cosi’ un’ unica grande superficie velica a prua, formata dal fiocco armato con il tangone sopravvento e dal genoa sottovento che puo’ essere regolato utilizzando direttamente la scotta della randa, in quanto la vela e’ controllata dal boma a cui e’ collegata tramite il tesabase ( oppure da una borosa dei terzaroli se il tesabase e’ troppo corto ).
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La barca correra’ veloce sulle onde come “ tirata per il naso”; non ci saranno rischi di straorzare e in caso di eccessivo rollio che immerge il boma in acqua l’assenza della ritenuta del boma, non necessaria, impedira’ danni alle strutture. Con questo tipo di velatura, regolando opportunamente il tangone, si ha un buon angolo di navigazione che va dalla poppa piena fino al gran lasco e al lasco. In caso di necessita’ di virare, se abbiamo avuto l’accortezza di passare la scotta sottovento del fiocco sopra l’amantiglio del tangone, sara’ sufficiente ammainare il genoa, sganciare la scotta sopravvento del fiocco dal tangone e filare l’amantiglio per appoggiare il tangone in coperta per farlo. Una miglioria veramente notevole a questo tipo di velatura e’ la presenza di una veletta di stabilizzazione ingarrocciata allo strallo di poppa e issata in alto tramite la drizza della randa, tesando il punto di mura con una cima rinviata alla base dello strallo di poppa e il punto di scotta a piede d’albero, tramite un bozzello di rinvio collegato ad una slitta che scorre nella canaletta della randa. La veletta, cucita dal velaio piatta, avra’ l’esclusiva funzione di stabilizzare l’andatura, diminuendo fortemente il rollio della barca nelle andature portanti. Cazzata a ferro non ostacolera’ la resa delle vele di prua, data la sua ridotta superficie. Si possono in questo modo macinare centinaia di miglia con venti portanti, mentre la barca fila dritta come sui binari di un treno e la vita a bordo e’ molto piu’ confortevole.
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Diario di Bordo Bolinando…
Quando dobbiamo raggiungere una meta controvento, il miglior guadagno lo si ottiene in bolina stretta.. Supponendo che la nostra barca stringa il vento di 45 gradi, il percorso piu’ breve tra noi e la meta che dobbiamo raggiungere si trova all’interno di un settore di 90 gradi, 45 da un lato e 45 dall’altro rispetto alla direzione esatta da cui proviene il vento ( Settore giallo ) . All’interno di questo settore, qualunque sia il numero dei bordi effettuati ( sempre stringendo il vento di 45 gradi ), la distanza per raggiungere la meta sara’ sempre la stessa.
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Inoltre se piu’ barche ( rossa, verde e azzurra ) si trovano all’interno di questo settore e al momento della partenza sono tutte allineate lungo una retta immaginaria perpendicolare alla direzione del vento ( linea tratteggiata grigia orizzontale ), qualunque bordo decidano di effettuare percorreranno la stessa distanza per giungere in A. La barca nera, invece, trovandosi al di fuori del settore di bordeggio, dovra’ percorrere una distanza maggiore rispetto alle altre per raggiungere il punto “A”. Prima regola: Se dobbiamo raggiungere un punto che si trova sopravvento a noi, la prima cosa da fare e’ quella di entrare nel settore di bordeggio e, mantenendoci all’interno di questo, risalire al vento fino a raggiungere raggiungere la nostra meta. meta Immaginiamo adesso due barche che navigano all’interno del settore di bordeggio. Nel diagramma qui sotto la barca rossa e la barca blu si trovano alla stessa distanza dal punto “A”, in quanto raggiungono nello stesso momento la retta immaginaria ( linea tratteggiata grigia orizzontale ) perpendicolare alla direzione del vento.
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Ma guardiamo che cosa succede se il vento gira…
Il vento e’ ruotato di 20 gradi circa a sinistra e conseguentemente il nuovo settore di bordeggio e’ ruotato anch’esso. A questo punto pero’ , la barca azzurra si trova piu’ vicina al punto “A” perche’ la linea immaginaria perpendicolare alla nuova direzione del vento, indicata con il colore nero, la vede molto piu’ vicina rispetto alla barca rossa. Sara’ quindi la barca azzurra a raggiungere per prima il punto “A”, bolinando all’interno del nuovo settore di bordeggio. Il motivo per cui e’ stata la barca azzurra ad essere avvantaggiata rispetto alla barca rossa, dipende dal fatto che la rotazione del vento e’ avvenuta in senso antiorario, cioe’dalla parte del settore verde del diagramma. Se la rotazione fosse stata in senso orario sarebbe accaduto l’inverso. Seconda regola: Aspettando una rotazione del vento, bisogna tenersi dalla parte del settore da cui si prevede che arrivi il nuovo vento. ( nel nostro esempio dalla parte colorata in verde ).
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Capitolo 12: Riduzione e cambio di Vele
La velatura di un’ imbarcazione deve essere adeguata agli scopi della navigazione. Non necessariamente per l’aumento del vento, ma anche per ridurre la velocita’ in acque sconosciute e pericolose, per effettuare un ormeggio, una riparazione, per mangiare ecc. Comunque, quando il vento rinfresca, con andature dal traverso alla bolina, la barca aumenta il proprio sbandamento, immerge ripetutamente la falchetta in acqua, tende continuamente all’orza e deve essere contrastata con il timone fino a mettere la pala cosi’ alla puggia da rallentarla notevolmente, mentre un angolo eccessivo di sbandamento deforma in maniera tale le linee d’acqua dello scafo da determinare anch’ esso una notevole riduzione della velocita’. Le vele stesse rischiano di deformarsi se sottoposte ad una forza di vento per cui non sono state progettate. Con andature portanti i rischi di straorzate e strapuggiate aumentano, c’e’ il rischio di mettere il boma in acqua e di rompere qualcosa, la barca rolla molto. Generalmente, quando si comincia a pensare di ridurre la velatura, il momento giusto e’ gia’ passato. Sono l’esperienza ed il tempo che ci insegnano quando e’ opportuno iniziare la manovra. Una certa capacita’ di saper anticipare e prevedere lo svolgersi della situazione meteo rappresenta un notevole vantaggio: una riduzione di vela effettuata qualche tempo prima che lo stato del mare e la forza del vento peggiorino in maniera sensibile, permette di effettuare la manovra rapidamente e in sicurezza, senza alcun affanno; viceversa, la riduzione della velatura puo’ diventare faticosa, difficile, lenta e comportare perfino qualche pericolo per l’equipaggio impegnato. Sempre meglio quindi, in navigazione, agire con prudenza.
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Al rinfrescare del vento la scelta del momento adatto comunque deve tenere conto dei seguenti fattori: • Lo sbandamento della barca diventa eccessivo ( falchetta in acqua ) oppure le rollate fanno temere improvvise straorzate, mentre il boma rischia di immergersi in acqua • Il timone diventa duro di bolina e comunque manovra con sempre maggiore difficolta’ • La barca tende ad andare costantemente all’orza • Le vele non possono piu’ essere ben regolate e devono essere tenute sventate sempre piu’ a lungo La riduzione della velatura di uno sloop si effettua diminuendo al superficie della randa e sostituendo a prua le vele con altre sempre piu’ piccole. Terzarolare la randa • Prima Fase ( preparazione preparazione ) 1. Mettersi in bolina stretta ( boma in pozzetto ) e lascare appena la randa per farla fileggiare leggemente
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2. Mettere in forza l’amantiglio del boma per impedirgli di venire in pozzetto quando si filera’ la drizza della randa
3. Lascare il vang per far salire il boma quando si cazzera’ la borosa del terzarolo e avvicinare la bugna al boma stesso
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4. Passare la borosa del terzarolo ( se non era gia’ armata ) nella bugna apposita sulla randa. Se la borosa non era armata dovremo salire sul boma per passarla nella bugna. Una cintura di sicurezza assicurata ad una drizza di rispetto o alla drizza dello spi eviteranno pericoli di cadute accidentali dovute a passi falsi o a rotture della randa vecchia e consunta. La borosa sara’ recuperata sotto il boma con una gassa.
A questo punto siamo pronti ad effettuare la manovra di riduzione. 104
• Seconda fase ( presa del terzarolo ) 5. Si fila la drizza della randa fino ad infilare la bugna della mano sul gancio che si trova sulla trozza del boma. Dopodiche’ si cazza bene la drizza
6. Si cazza la borosa della mano, aiutando la bugna ad appoggiarsi sul boma, lascando un po’ la scotta di randa o addirittura sollevando il boma con le mani.
A questo punto la mano e’ data 105
• Terza Fase: ( rimettere a posto ) 7. Cazzare di nuovo vang e scotta di randa, lascare l’amantiglio del boma 8. Raccogliere la vela arrotolandola sul boma e fermarla con i matafioni 9. Passare uno stroppo robusto di rinforzo attraverso l’occhiello della borosa introno al boma, facendogli fare tre o quattro volte e poi fermarlo con un paio di mezzi colli
Per togliere la mano si procede in senso inverso: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.
Mettersi di bolina e lasciar fileggiare la randa Mettere in forza l’amantiglio Togliere lo stroppo sul boma e liberare la vela dai matafioni Lascare il vang Liberare la borosa Filare un po’ la drizza della randa liberando la vela dal gancio sul boma Rimettere in forza la drizza della randa Lascare l’amantiglio Cazzare di nuovo il vang 106
In particolari condizioni si puo’ dare la mano di terzaroli in poppa. Se c’e’ molto vento e onde formate effettuare la manovra di bolina, con barca molto sbandata puo’ essere infatti complicato e faticoso. Ci si mette in poppa, si cazza bene la randa portando il boma a centro barca: la barca non sbanda e la manovra riesce piu’ semplicemente. Bisogna stare attenti alle strambate involontarie e fare un po’ piu’ forza sulla randa che scende meno bene lungo l’inferitura. In alcune imbarcazioni si puo’ dare la cosiddetta “mezza mano” . E’ questa una riduzione di vela intermedia tra la randa piena e la prima mano di terzaroli. Si effettua quando il vento rinfresca un po’ e si ha la necessita’ di smagrire la randa, togliendo la parte grassa della vela in basso. Di bolina, cazzato l’amantiglio del boma e lascato il vang, si fila la drizza fino ad incocciare nel gancio sulla trozza del boma l’anello intermedio tra la mura della randa e la prima mano di terzaroli. Si rimette poi in forza la drizza. La mezza mano non comporta l’uso della borosa in varea del boma e neppure dei matafioni. Riduzione della della Velatura di prua Il motore della barca e’ la vela di prua. La potenza, la velocita’, sono generate dall’azione della vela di prua. La randa permette la manovrabilita’ dell’imbarcazione, la sua capacita’ di risalire al vento, di virare rapidamente, di districarsi felicemente in acque difficili. Per questo motivo, quando si tratta di ridurre la velatura, si preferisce in genere ridurre prima la randa che la vela a prua. Con una randa ridotta e vento fresco la barca manovra bene ma non perde in potenza. La sequenza che si può adottare è questa: Genoa - Randa Genoa - Una mano di terzaroli Fiocco 1 - Una mano di terzaroli Fiocco 1 - Due mani di terzaroli Fiocco 2 - Due mani di terzaroli Fiocco 2 - Tre mani di terzaroli Tormentina - Tre mani di terzaroli Tormentina - Randa da tempesta ( o randa ammainata ) Cappa a secco di vele 107
Generalmente, il momento giusto per ridurre la velatura viene soprattutto con l’esperienza, anche se rimane sempre valido il detto: “Quando si comincia a pensare di ridurre la vela il momento giusto e’ gia’ passato “ . Falchetta in acqua, timone duro o che non governa, sbandamento eccessivo, necessita’ di far fileggiare la randa sempre piu’ spesso per ridurre lo sbandamento, barca che va costantemente all’orza, sono i segni inequivocabili che bisogna ridurre la tela a riva. La riduzione della vela di prua non e’ particolarmente complessa, il problema maggiore consiste nel fatto che generalmente viene effettuata con mare formato e la prua della barca balla molto. CHI VA A CAMBIARE LE VELE DI PRUA DEVE SEMPRE ESSERE ASSICURATO CON UNA CINTURA DI SICUREZZA. SI ARRIVA A PRUA LUNGO LA LIFE LINE, CI SI SISTEMA BENE IN EQUILIBRIO, SEDUTI SULLA COPERTA, SOPRAVVENTO, SI ASSICURA LA CINTURA AL PULPITO SE NECESSARIO. La manovra per ridurre la vela di prua si svolge nella maniera seguente: 1. Si porta in coperta il fiocco nuovo e lo si assicura.
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2. Si mura la nuova vela e la si ingarroccia tutta sotto il primo garroccio della vela a riva
3. Si ammaina la vela a riva e si tolgono i garrocci dallo strallo .
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4. Si smaniglia la drizza della vela ammainata e la si mura sulla nuova vela, si disfano le gasse e si rifanno sulla vela da issare
5. Si issa la nuova vela Se la manovra viene svolta in questa sequenza non staremo molto tempo senza una vela a riva a prua. Problemi che si incontrano cambiando la vela di prua • Difficolta’ nell’eseguire la manovra ( soprattutto se si e’ aspettato troppo ) con onda che fa saltare la prua come un cavallo imbizzarrito • Assicurarsi con una cintura di sicurezza alla life line, mettersi bene in equilibrio, lavorando sopravvento. Iil timoniere deve seguire con attenzione la manovra, aiutando la discesa della vela sventandola • Possibilita’ che la vela cada in acqua mentre la si ammaina • Non e’ un problema, la vela e’ assicurata e non accade niente. Comunque chi ammaina la vela presti attenzione e ne freni la caduta, mentre il timoniere, orzando, mette al vento la barca e fa cadere la vela in coperta. Le scotte devono comunque essere lasche ambedue per impedire che si formi una sacca, la quale, riempiendosi d’acqua, puo’ determinare la rottura della vela stessa. • La drizza fa delle volte intorno alle crocette nel momento in cui e’ lasca 110
• Mentre la vela scende e’ necessario tenere la drizza un po’ tesa e quando la vela e’ in coperta e dobbiamo togliere i garrocci e’ meglio murare provvisoriamente la drizza da qualche parte ( generalmente c’e’ un anello apposito sul pulpito ) e tesarla un po’ per non farla oscillare esageratamente allo scopo di evitare di vederla incattivare da qualche parte • La drizza nel momento in cui viene tolta dalla vela ammainata e murata sulla nuova, fa delle volte intorno allo strallo • Attenzione ! Soprattutto di notte e’ impossibile accorgersi se ci sono delle volte intorno allo strallo, perche’ queste si raccolgono tutte in alto. Una drizza che fa delle volte in questo modo si deteriora in poche ore ed e’ dura da ammainare. Basta ricordarsi di incocciare subito la drizza all’anello del pulpito appena scende la vela ammainata, senza farle fare giri intorno allo strallo.
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Diario di Bordo C’e’ un luogo ad Oriente… Per tutta la giornata un venticello leggero ci ha sospinti verso Est. Alle 18.00 il vento cessa e dobbiamo ammainare lo Spi. La nostra rotta ci porta piu’ a Sud, ma abbiamo tempo. Il paesaggio costiero e’ austero, montuoso e spoglio. La carta indica qualche miglio piu’ avanti, verso Nord, un’ampia baia la cui entrata e’ parzialmente chiusa da tre isolotti due dei quali superano i centocinquanta metri di altezza. La baia si trova al di fuori delle rotte abituali e il portolano non indica alcuna risorsa sulla costa, ad eccezione di un piccolo agglomerato di case. Alle 19.00 impegniamo il canale tra due dei tre isolotti. La baia sembra essere ai confini del mondo: il paesaggio e’ desertico, dominato dalle rocce e dalle scogliere a picco sull’acqua di un blu profondo. In fondo, la baia si divide in due bracci, uno dei quali ospita un minuscolo villaggio, quattro o cinque casolari in tutto. Una strada in terra battuta, piuttosto malmessa, si arrampica sulle ultime propaggini della catena del Parnaso e rappresenta l’unico collegamento con il villaggio. La baia e’ deserta, nessuna imbarcazione in vista. Nel calanco davanti al villaggio, dove diamo fondo, non e’ piu’ visibile il mare aperto. Un paio di barchette di pescatori si dondolano sull’acqua e qualche rete e’ ammucchiata sulla spiaggetta sassosa. Scendiamo a terra e incontriamo uno degli abitanti che ci invita a casa e ci offre da bere. Lavora e vive nella grande citta’, ma ha ereditato la casupola dai suoi genitori ed ogni estate passa qualche settimana nel villaggio, nel silenzio, pescando e passeggiando.Ci scambiamo racconti e impressioni, fino a che le ombre si allungano e ci costringono ad accendere una lampada a petrolio. Gia’, perche’ non c’e’ energia elettrica nel villaggio. Risaliamo a bordo per cenare, domani dovremo salpare di buonora. Al mattino lasciamo di poppa il villaggio e la baia con la sua acqua blu, diretti a Sud. Qualcuno getta in quell’acqua un fascio di rose rosse. Chissa’ se avremo occasione di rivedere quella baia… 112
Capitolo 13: Manovre con cattivo tempo
Prepararsi Le valutazioni da fare in caso dell’approssimarsi del cattivo tempo sono numerose. Non riguardano soltanto l’efficienza complessiva dell’imbarcazione e le sue dotazioni specifiche per il cattivo tempo, ma anche la capacita’ marina dell’equipaggio, la sua resistenza, il suo affiatamento. Infine ci sono le valutazioni sulla rotta da seguire, la meta da raggiungere, la possibilita’ di dover fuggire al cattivo tempo perdendo miglia su miglia. E’ necessaria una grande obbiettivita’, una grande capacita’ di valutare freddamente le proprie e le altrui risorse. Se non si e’ perfettamente sicuri di essere in grado di affrontare il cattivo tempo che si avvicina, la soluzione obbligatoria e’ quella di far rotta sul ridosso piu’ vicino. In alternativa, perche’ magari la costa e’ molto lontana, modificare la propria rotta per iniziare un avvicinamento al ridosso piu’ vicino, riducendo al minimo indispensabile il periodo di tempo in cui si sara’ costretti a subire la burrasca in arrivo. Altrimenti preparare subito rotte alternative nel caso che la situazione meteo ci costringa a modificare il percorso tracciato. Fatto questo si procede a preparare le barca: • Ognuno deve sistemare e indossare salvagenti e cinture di sicurezza • Tutto deve essere ben rizzato in coperta e sottocoperta 113
• Tutte le saracinesche, gli oblo’ e i passi d’uomo devono essere ben chiusi • Chiudere con stracci o altro le condotte del gavone di prua dell’ancora, togliendo l’ancora e la catena che devono essere rizzate a centro barca. Il gavone sara’ riempito di parabordi per impedire che penetri una’ quantita’ eccessiva d’acqua nel caso che la barca si immerga nell’ onda. • Si armano le life lines • Si preparano a prua degli stroppi di acciaio per alzare la mura della vela • Se ci sono vele imbrogliate in coperta, toglierle e stivarle • Togliere i materassi dalla cabina di prua e trasformarla in cala vele • Distribuire eventualmente pillole per il mal di mare all’ equipaggio ( il loro effetto comincia a farsi sentire dopo circa un’ ora ) • Preparare degli alimenti caldi ( pastina in brodo o simili ) e chiuderli in un thermos Raggiungere un ridosso Se ci troviamo nelle vicinanze di una una costa ospitale, NON CI SONO DUBBI POSSIBILI: bisogna rientrare. Cio’ a condizione che il ridosso scelto abbia queste caratteristiche: • Sia facilmente riconoscibile ( con maltempo la visibilita’ puo’ rapidamente ridursi anche di molto e in poco tempo ) • Sia facilmente accessibile in quella data situazione meteomarina Se esiste la possibilita’ di scegliere e’ meglio un ridosso sopravvento: il mare sara’ meno duro avvicinandoci. Prendere il largo Se non esistono ridossi accessibili e siamo vicino alla costa, costa, la scelta da farsi e’ altrettanto indubbia: BISOGNA IMMEDIATAMENTE PRENDERE IL LARGO. Al largo le onde sono meno dure e piu’ regolari, i bassi fondali non influiscono sullo disposizione. e. stato del mare, un’eventuale avaria sara’ riparata con piu’ tempo a disposizion CON MALTEMPO EVITARE SEMPRE BASSI FONDALI, ZONE CON FORTI CORRENTI, PASSAGGI STRETTI, TUTTE LE ZONE PERICOLOSE PER LA NAVIGAZIONE.
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Condotta dell’imbarcazione con cattivo tempo 1. Condotta dell’imbarcazione rispetto al tipo di andatura Bolina Vantaggi: Si percepisce esattamente la forza del vento, anche maggiore di quella che e’ in realta’, ( andando di bolina a 7 nodi con 30 nodi di vento, a bordo se ne sentono 37 ). Si presenta al mare la parte piu’ solida della barca, la prua. La barca ha un comportamento chiaro e inequivocabile: ci si rende perfettamente conto di quello di cui ha bisogno. Svantaggi: L’andatura e’ scomoda: la barca sbandata, spruzzi d’acqua in coperta e in pozzetto, vita sottocoperta difficile. Infiltrazioni d’ acqua sottocoperta ( la forza di penetrazione delle onde e’ notevole ). Le attrezzature sono sottoposte a sforzi notevoli, lo scafo stesso subisce colpi sull’onda. Cose da fare: La prua tende a immergersi nelle onde, quindi e’ necessario alleggerirla, portando a centro barca i pesi eccessivi ( ancora e catena ). Le onde possono salire in coperta e strappare il fiocco. Bisogna alzare il punto di mura della vela di prua con uno stroppo d’acciaio di almeno un metro.
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La barca tende a sbattere sull’onda: cio’ accade perche’ la barca salta dalla cresta dell’ onda al vuoto che si trova dietro di essa. Per ridurre la frequenza di questo comportamento si puo’: • Orzare un poco per rallentare la velocita’. Il rischio e’ quello di far fileggiare le vele che alla lunga si rovinano. L’altro rischio e’ che aumenta lo scarroccio e si perde acqua. • Puggiare molto. Le onde prese bene al traverso non fanno sbattere la barca. Ovviamente si perde molta acqua • Timonare puggiando mentre si sale sulla cresta dell’onda e orzando quando si scende. Tecnica faticosa per il timoniere e possibile solo con mare formato ( con mare corto e ripido non riesce )
Non bisogna comunque far fileggiare le vele. Se necessario cazzare un po’ il meolo della base del fiocco. Un occhio anche alla volante sottovento, se c’e’: sfregando contro la randa puo’ rovinare le cuciture della vela. Traverso Vantaggi La barca sbatte poco e la vita a bordo e’ piu’ comoda, si va via velocissimi. Svantaggi La barca prende le onde al traverso, per cui esiste il pericolo che a causa di un’onda piu’ grossa delle altre si straorzi, mettendo randa e boma in acqua con serio rischio di rotture. Al traverso con cattivo tempo la straorzata e’ sempre in agguato. 116
Cose da fare Si puo’ armare una ritenuta rinviata a prua ( ad esempio il caricabasso del tangone dello spi ). Se il boma va in acqua il caricabasso si tende e, poiche’ lavora da prua con una piccola inclinazione, lascera’ rientrare il boma verso lo scafo senza romperlo, rottura invece garantita se si e’ armata una ritenuta del boma a mezza nave.
Si puo’ inoltre alzare il boma, dando una mano di terzaroli soltanto con la borosa. Il boma in questo modo lavorera’ con la prte poppiera rialzata e diminuira’ il rischio di immergersi in acqua.
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Si puo’ infine ammainare completamente la randa ed eventualmente issare al suo posto, murata normalmente e tesata con il tes base della randa, una tormentina bassa e allungata ( in assenza di randa di cappa ).
Andature portanti Vantaggi Il principale vantaggio e’ che si corre nella stessa direzione del vento. La barca non sbatte piu’ sulle onde e la vita a bordo e’ relativamente piu’ comoda. La barca e’ piu’ asciutta. Svantaggi Non si ha una precisa sensazione della forza del vento ( correndo a 10 nodi con vento in poppa di 30, a bordo se ne sentono 20 ). La barca rolla sensibilmente e il suo rollio puo’ provocare straorzate o strambate dagli esiti anche catastrofici. Infine la barca presenta al mare la sua parte meno solida, la poppa. Cose da fare Puo’ risultare necessario ammainare completamente la randa, per evitare il pericolo di strambate involontarie o straorzate. Una vela a prua, anche relativamente grande, tirera’ la barca avanti “per il naso” senza troppi pericoli.
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2. Condotta della barca rispetto alle condizioni del tempo Arriva comunque un momento in cui non e’ possibile manovrare secondo la rotta che abbiamo deciso. Le condizioni del vento e del mare rendono impossibile una determinata andatura prestabilita per raggiungere la nostra meta. Dobbiamo quindi cedere alla violenza degli elementi e prendere la cosiddetta Andatura di fuga CON QUESTA ANDATURA SI TIENE CONTO PIU’ DELLA DIREZIONE DA CUI PROVENGONO LE ONDE CHE DI QUELLA DA CUI PROVIENE IL VENTO. Normalmente si cerca di prendere le onde a circa 30 gradi rispetto alla poppa, quindi al gran lasco, e fuggire via con a riva una piccola vela a prua ( fiocchetto o tormentina ). La vela deve avere una superficie tale, rispetto alla forza del vento, da far sbandare decisamente la barca. Se esistono volanti, saranno ambedue ben cazzate per sostenere l’albero. Lo strallo non dovra’ essere eccessivamente tesato, per non aumentare gli sforzi dell’attrezzatura. Questi accorgimenti servono a: • Diminuire la velocita’ della barca in planata perche’ al momento di “scendere” nel cavo dell’onda non andiamo “giu’ in picchiata”, ma quasi al traverso e si puo’ ancora orzare, volendo. • Lo sbandamento solleva la deriva dell’imbarcazione, alzando il baricentro sul centro di deriva: quando un’onda eccezionale prendera’ la barca, portandola “ a spasso “ prima di depositarla di nuovo, la barca sara’ gia’ abbastanza sbandata da diminuire notevolmente l’effetto “ giravolta “ dovuto all’impatto della deriva sulla superficie del mare • La velocita’ della barca rimarra’ comunque abbastanza sostenuta, mantenendo quindi quella relativa al frangente piuttosto bassa, quindi con meno possibilita’ di vedere inondare il pozzetto da un maroso di poppa • La vela a prua puo’ comunque essere ammainata piuttosto semplicemente e rapidamente anche con tempi duri
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La discussione sul fatto se con tempi duri convenga rallentare la velocita’ pare ormai definitivamente superata. Aveva un senso con barche a dislocamento pesante, ormai rare. Adesso l’elemento velocita’ e’ considerato essenziale in queste condizioni. Fondamentalmente i motivi sono due: • Come gia’ accennato, se l’imbarcazione corre veloce sulle onde sara’ eventualmente raggiunta dai frangenti di poppa con una velocita’ relativa inferiore, per cui l’impatto risultera’ meno grave. • Una barca che traina cavi a poppa per ridurre la velocita’, quando viene superata dall’onda, rallenta notevolmente, fin quasi a fermarsi per l’effetto del traino. In queste condizioni il timone non e’ in grado di governare e al sopraggiungere dell’onda successiva non sara’ possibile contrastare la guizzata che tende a far ruotare l’imbarcazione facendo perno sul bulbo La Cappa In determinate condizioni puo’ risultare impossibile o non consigliabile l’andatura di fuga: • Abbiamo una costa sottovento e l’andatura di fuga al gran lasco ci porterebbe dritti a scogli • Siamo giunti alla meta ma le condizioni del tempo ci impediscono di avvicinarci troppo alla costa • Prendendo l’andatura di fuga perderemmo troppa acqua, quando la nostra meta si trova sopravvento a dove siamo • Abbiamo la necessita’ di far riposare l’equipaggio, allentare la tensione a bordo, diminuire la pressione sulle attrezzature In questi casi la manovra da eseguire e’ quella di mettersi alla cappa. La manovra in se’ non e’ complicata: • Randa opportunamente terzarolata e bordata normalmente • Tormentina a collo sopravvento • Timone all’orza La randa bordata porta all’orza, aiutata dal timone, fintanto che comincia a fileggiare, non porta piu’ e prevale l’azione del fiocco a collo che fa puggiare l’imbarcazione. Quando il fiocco comincia a fileggiare a sua volta prevale di nuovo l’effetto orziero della randa. 120
In questo modo la barca continua ad avanzare un poco, scarrocciando molto, le attrezzature soffrono poco, lo scarroccio crea una remora sopravvento che contrasta la violenza delle onde. La vita sottocoperta e’ relativamente comoda: si puo’ aspettare che le condizioni meteo cambino. Passando il fiocco sottovento la barca e’ immediatamente in condizione di riprednere la sua rotta. E’ necessario sperimentare su ogni barca quale equilibrio velico offre il miglior rendimento per l’andatura di cappa ( generalmente con grandi superfici veliche a riva il risultato non e’ molto efficiente ). Cappa secca La cappa puo’ anche essere presa a secco di vele ( buon sistema per le barche moderne, a dislocamento leggero ). In questo caso basta tenere il timone all’orza. In condizioni dure lo scarroccio e’ notevole ( si possono fare anche 3-4 nodi ) ma in compenso tutto sembra calmarsi e le onde sopravvento non frangono piu’. La barca rimane inclinata per la pressione del vento sullo scafo e sulle attrezzature e la vita a bordo diventa abbastanza comoda. Lo scarroccio, come detto, e’ notevole, quindi bisogna avere molta acqua sottovento, ma si puo’ anche andare a dormire dopo aver fissato il timone all’orza.
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Diario di Bordo Stella Maris
Le carte antiche sono piene di fascino; in qualche modo parlano al navigante. Con una sola occhiata si capisce subito quali sono i porti piu’ sicuri e protetti: la rada di Portoferraio, il golfo di Porto Azzurro all’Isola d’Elba, Porto Ercole all’Argentario sono ampliati e deformati dalla fantasia del cartografo fino ad assumere dimensioni molto superiori alla realta’. La navigazione di un tempo non conosceva ikl modo di determinare la longitudine, per cui gli elementi fondamentali da considerare in un lungo viaggio per mare erano essenzialmente due: la direzione e la distanza. Quindi due erano gli strumenti fondamentali: la bussola e il solcometro. Ma i timonieri di una volta erano perlopiu’ analfabeti ed era necessario trasmettere gli ordini di navigazione in modo comprensibile, prescindendo dall’uso di numeri e lettere. Ecco che allora il nostro orizzonte circolare venne diviso in quattro quadranti di 90 gradi ciascuno e ciascun quadrante venne diviso a sua volta in due settori di 45 gradi, i venti. A sua volta ogni vento era diviso in due settori uguali, i mezzi venti ed ogni mezzo vento in due ulteriori settori, le quarte. 122
C’erano infine le mezze quarte e le quartine come suddivisioni finali. Quadrante: 90 gradi Vento: 45 gradi Mezzo Vento: 22 gradi 30 primi Quarta: 11 gradi 15 primi Mezza Quarta: 5 gradi 37 primi 30 secondi Quartina: 2 gradi 48 primi 45 secondi
Oggi diremmo al nostro timoniere: “ mettiti per 100 gradi ! “ Una volta si sarebbe detto: “ vai per Est una quarta a Sud Est ! “ Oppure: “ Accosta di 20 gradi a dritta ! “ mentre una volta avremmo ordinato : “ Accosta di due quarte a dritta ! “
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La determinazione della velocita’ si faceva invece gettando in mare una tavoletta di forma approssimativamente triangolare assicurata con tre cime ad una sagola ( legatura chiamata a patta d’oca ).
La tavoletta fungeva da punto fisso e la sagola, trattenuta a bordo, si sfilava man mano che la nave si allontanava. Poiche’ la tavoletta era zavorrata su un lato, essa all’inizio si immergeva sott’acqua e subiva poi l’influenza dei vortici lasciati dalla scia della nave. In un secondo momento si stabilizzava e si poteva iniziare il calcolo della velocita’. Quindi il primo tratto di sagola non veniva utilizzato e veniva chiamato “sagola morta”. Si calcolava che la lunghezza della sagola morta dovesse essere circa quanto era la lunghezza dell’ imbarcazione. Dopo la sagola morta veniva fatto un nodo lungo e da quello iniziava il conteggio. La clessidra, quando il primo nodo passava tra le mani del marinaio incaricato, veniva rovesciata e la sabbia cominciava a scandire il tempo. Generalmente la sabbia si esauriva in 30 secondi, che rappresentano la centoventesima parte di un’ora. Quindi si trattava di fare un nodo ogni 120 parti di miglio per conoscere la velocita’ oraria della nave. Un miglio marino e’ 1852 metri, dividendolo per 120 si ottiene 15,44 metri.
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Poiche’ pero’ la tavoletta in parte era trascinata dal movimento della nave si compensava questo spostamento del punto fisso facendo i nodi sulla sagola ogni 14,62 metri. Secondo quanti di questi nodi passavano attraverso le mani del lanciatore in trenta secondi, quella era la velocita’ oraria dell’imbarcazione. Per recuperare la tavoletta si dava un forte strattone e poiche’ una delle tre cimette non era legata alla tavoletta ma assicurata con una caviglia ad uno dei fori, la caviglia si sfilava e la tavoletta, trascinata dalla sagola, si metteve orizzontalmente sul mare non opponendo piu’ resistenza al recupero. Bussola e solcometro, distanza e direzione, erano questi gli elementi principali su cui si basavano gli antichi navigatori per percorrere le loro rotte. Con questi strumenti e con l’aiuto delle stelle e dell’esperienza solcavano i mari, spesso senza neppure una carta che li aiutasse a determinare la loro posizione. Ma anche senza le carte, la “Raxon del Martelojo” permetteva loro di fare lunghi bordi controvento con una notevole precisione. Si trattava di una tavola di dati che, consultata o imparata a mente, permetteva con pochi e semplici calcoli a chiunque di pianificare una lunga rotta, comprendente dei bordi controvento, senza neppure l’ausilio di una carta nautica. Lo stesso Cristoforo Colombo ne aveva una preparata personalmente.
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Supponiamo che un’imbarcazione dovesse intraprendere un lungo viaggio verso una meta ad Est che pero’ risultasse irraggiungibile attraverso una rotta diretta o a causa della direzione da cui proveniva il vento o per altri motivi ( nemici, pirati, opportunita’ logistiche ecc. ) Si trattava allora di pianificare un avvicinamento alla meta per bordi. La prima considerazione da fare allora era di quante quarte l’imbarcazione avrebbe accostato rispetto alla rotta diretta. Ad esempio, le galee veneziane del quindicesimo secolo, armate di vele latine, erano capaci di stringere il vento, senza l’aiuto dei rematori, fino a 55°, vale a dire circa cinque quarte. Dovendo percorrere una data rotta per raggiungere una meta contro vento, il capitano di una di quelle galee avrebbe dovuto tenere a mente solo un paio di formulette, ed avere a portata di mano un Martelojo
Le formulette da tenere a mente erano queste:
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Quindi se lungo il bordo prescelto fossero state percorse 90 miglia, per scoprire quanto la nave si era allontanata dalla rotta diretta e quando fosse avanzata in direzione della meta, il calcolo risultava semplice: entrando nella tavola del Martelojo nella colonna relativa a 5 quarte si ricavava il valore del ritorno, cioe’ 12. L’alargo ottenuto dal primo calcolo entrava poi nella seconda operazione da fare, assieme all’ avanzo de ritorno, anch’ esso ricavato dalla tavola ( per 5 quarte il valore e’ 6,5 ).
Quindi rispetto alla rotta diretta risultava un allontanamento pari a 75 miglia e, sempre rispetto alla rotta diretta e alle 90 miglia percorse, l’avanzamento effettivo verso la meta era stato di 48,75 miglia.
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Se a questo punto il nostro capitano decideva di virare e riportare la galea verso la rotta diretta, facendo questa volta, con l’aiuto dei rematori, un angolo di quattro quarte rispetto al vento, ma sulle altre mura, i nuovi valcoli erano altrettanto semplici; non si trattava più di valutare l’alargo e l’avanzo, bensì il ritorno e l’avanzo di ritorno:
L’alargo calcolato era stato di 75 miglia, mentre il valore del ritorno, per la quarta quarta, risultava dalla tavola essere di 14. Per il secondo calcolo il valore dell’alargo rimaneva lo stesso e il valore dell’avanzo de ritorno, sempre ricavato della tavola, risultava essere di 10.
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Si doveva quindi percorrere 105 miglia per ritrovare la rotta diretta e una volta raggiunta saremmo avanzati rispetto alla meta di altre 75 miglia.
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Capitolo 14: Uomo a mare. mare.
Il recupero di un membro dell’equipaggio caduto in mare e’ una manovra estremamente delicata, perche’ le conseguenze di un fallimento possono essere tragiche. Purtroppo le percentuali di recupero di un uomo caduto fuoribordo sono basse, quasi nulle di notte, per cui e’ importantissimo prestare attenzione a tutti gli accorgimenti che possono evitare questa eventualita’. Life lines, salvagenti, cinture, manovre in coperta effettuate in condizioni di sicurezza sono tutti elementi essenziali. Dotare di notte tutti gli uomini di guardia in coperta di boette luminose personali e’ un ottima idea, come pure non far mai fare guardie singole di notte ( ci deve essere sempre qualcun altro a dare l’allarme ). Anche le cime in coperta devono essere in chiaro ( non e’ raro il caso di qualcuno sbalzato fuoribordo da una cima che tendendosi improvvisamente lo ha trascinato in mare ) Se le condizioni lo permettono, E’ PREFERIBILE AMMAINARE IMMEDIATAMENTE LA VELA DI PRUA, ACCENDERE IL MOTORE E PROCEDERE AL RECUPERO PORTANDOSI SOPRAVVENTO AL NAUFRAGO, MA MAI ARRIVANDOGLI ADDOSSO CON LA PRUA, PERCHE’ SI RISCHIA NEL BECCHEGGIO DI MASSACRARLO CON IL TAGLIAMARE. 130
Spesso e’ necessario procedere al recupero a vela, in quanto le condizioni meteo sono tali da non permettere ai deboli motori di cui sono normalmente equipaggiate le imbarcazioni, di manovrare a sufficienza contro la violenza del mare. Quelle che seguono sono le fasi della manovra che devono essere eseguite nell’ordine descritto MANTENERE IL MASSIMO SANGUE FREDDO ED ESEGUIRE LE MANOVRE DI RECUPERO CON METODO E’ ESSENZIALE . • Lanciare immediatamente il salvagente con la sua cima galleggiante ( che ha la funzione non di essere trattenuta a bordo ma di aumentare la possibilita’ da parte del caduto, svolgendosi sulla superficie del mare, di recuperare il salvagente stesso.) Di notte deve essere assicurato al salvagente un segnalamento luminoso ( meglio le boette che emettono una specie di flash intermittente simile a quello delle macchine fotografiche ). Anche l’asta galleggiante ( se la si ha ) aumenta le possibilita’ di individuare il caduto tra le onde. ( E’ estremamente difficile individuare con mare duro la testa del caduto che appare e scompare tra le onde ). • Adibire un membro dell’equipaggio, che deve DISINTERESSARSI DI QUALUNQUE ALTRA MANOVRA, A NON PERDERE DI VISTA, NEPPURE PER UN ISTANTE, IL CADUTO, SEGNALANDO LA SUA POSIZIONE CON IL METODO DELL’OROLOGIO ( ore 12 a prua, ore 6 a poppa, ore 3 al traverso di dritta, ore 9 al traverso di sinistra e cosi’ via ). • Portarsi rapidamente verso l’uomo caduto dopo aver virato o strambato secondo la necessita’. • Dirigere verso un punto sottovento al naufrago. Appena oltrepassato il caduto in mare, virare nuovamente portandosi alla cappa sopravvento a questo. • la barca scarroccera’ verso il caduto, creando una remora sopravvento e proteggendo con lo scafo il naufrago dalle onde.
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Non sempre pero’ la manovra riesce liscia..
Se la caduta in mare avviene di notte, e/o magari siamo sotto Spi, e’ impossibile tornare sui propri passi rapidamente, con la certezza di rifare la stessa rotta nel senso inverso. 132
In questi casi e’ essenziale: NON PERDERE ASSOLUTAMENTE LA CALMA. UNA INVERSIONE DI ROTTA IMMEDIATA SENZA LO SPI PRODURREBBE AD ESEMPIO CONSEGUENZE CATASTROFICHE ED IL NAUFRAGO SAREBBE IRRIMEDIABILMENTE PERDUTO. E’ necessario allora, oltre alle manovre descritte prima: • Annotare immediatamente l’ora, i minuti e i secondi dell’incidente, la velocita’ della barca e le miglia indicate dal log. • Continuare, CON LA MASSIMA PRECISIONE POSSIBILE, la propria rotta, mentre l’equipaggio ammaina lo Spinnaker. • Appena fatto si vira di bordo immediatamente con la sola randa ( per non perdere ulteriore tempo ), issando il fiocco subito dopo. • Sotto coperta un uomo al carteggio, sulla la carta nautica o su un foglio quadrettato segnera’ il punto della caduta ( con l’ora i minuti, i secondi, la velocita’, le miglia al log e la rotta ) tracciando lo spostamento della barca da quel momento. • Puo’ essere utile, in questo tempo, gettare a poppa materiale galleggiante ( parabordi, cuscini, materassi, taniche ecc. ) che aiutino a “ritornare sui propri passi” , ma attenzione allo scarroccio del materiale galleggiante leggero. • Una volta invertita la rotta, seguendo sul carteggio, si setaccia la zona con piccoli bordi in un senso e nell’ altro. • Quando si e’ sicuri di aver oltrepassato il punto della caduta, si inverte di nuovo la rotta facendo bordi di setaccio piu' ampi e cosi' via. •
Individuato il naufrago si procede al recupero come descritto prima.
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Bisogna aver chiaro in mente che un uomo non cade in mare con calma di vento ( altrimenti si tratta di un bagno, sia pure involontario ). Gia’ quando il vento aumenta e risulta necessario ridurre la velatura per la prima volta il rischio di cadute in mare si fa sensibile. Cio’ puo’ accadere nel modo piu’ impensato. C’e’ chi e’ caduto in mare gettatovi da un collo della scotta di randa durante una strambata involontaria, oppure chi aveva messo fuori la testa dal tambuccio per prendere un rilevamento nel momento in cui un’onda maligna aveva coricato la barca frangendo in pozzetto. COMUNQUE CAMBI DI VELE A PRUA E STRAMBATE INVOLONTARIE ( CON RELATIVA MAZZATA DEL BOMA ) SONO LE CAUSE PIU’ FREQUENTI . Gli skipper sono quelli che statisticamente corrono di piu’ questo rischio perche’ risultano essere anche i piu’ restii ad usare materiale di sicurezza. Recupero a bordo del caduto Se l’ uomo in mare e’ in buone condizioni risulta relativamente semplice issarlo a bordo. CONSIDERARE CHE LA MANOVRA DI RECUPERO PUO’ NON RIUSCIRE PERFETTA, QUINDI E’ NECESSARIO AVERE PRONTA UNA CIMA DA LANCIARE SE LA BARCA NON RIESCE AD AVVICINARSI PIU’ DI TANTO ALL’UOMO IN MARE. Una volta lanciata la cima possiamo aiutarlo a scorrere lungo lo scafo fino a una biscaglina o alla scaletta. Il piu’ delle volte pero’ il naufrago non sara’ in condizioni ideali per risalire a bordo con i propri mezzi e non bisogna dimenticare che gli indumenti bagnati aumentano notevolmente il suo peso. In questo caso, se il naufrago e’ presente a se stesso, si puo’ armare il vang all’ estremita’ poppiera del boma, far uscire il boma fino sulla perpendicolare dell’ uomo in acqua e usare il vang stesso come paranco, una volta che il caduto se l’ e’ assicurato alla cintura. Se la cintura non c’e’ si puo’ calare col vang il bansigo che verra’ indossato dal caduto. Si puo’ anche utilizzare una drizza allo stesso scopo ( quella dello Spi ad esempio ) che puo’ essere incocciata alla cintura di sicurezza o calata con una imbracatura preparata. L’uomo verra’ poi recuperato con il verricello.
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SOLO IN CASI ESTREMI UN MEMBRO DELL’EQUIPAGGIO SI PUO’ CALARE IN MARE, BEN ASSICURATO DA ALMENO DUE CIME, PER PRESTARE SOCCORSO.
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