I Frati Cappuccini ad Albino 1613 - 2013
I Frati Cappuccini ad Albino 1613 - 2013
a cura di
Franca Marina Moretti Giampiero Tiraboschi Angelo Calvi su progetto dello storico
Alberto Belotti
www.400fraticappuccinialbino.it www.vivalavita.eu/frati
Grafica
Maura Cuminetti per Fantagrafia pubblicitĂ www.fantagrafia.com
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Graphicscalve Aprile 2013
In copertina: Il convento dei Cappuccini di Albino in un dipinto ottocentesco, firmato Nava J. 1861, posto nell'attuale refettorio.
Indice Introduzione.................................................................................................. 8
Prof. Grado Giovanni Merlo
Fra Paolo Giavarini
Fra Paolo Giavarini
Francesco d’Assisi................................................................................... 11 L’Ordine francescano e i Cappuccini.............................................. 17 Il convento di Albino nella storia..................................................... 21
Giampiero Tiraboschi e Franca Marina Moretti Alla ricerca delle fonti..................................................................................................21 L’attesa dei Cappuccini...............................................................................................23 Il benefattore del convento.......................................................................................31 La discussa approvazione della fondazione...................................................35 La fabbrica del convento...........................................................................................39 La società albinese di inizio Seicento.................................................................51 Il servizio durante la peste del 1630...................................................................54 Le confessioni dei laici...............................................................................................58 La riforma innocenziana............................................................................................62 “L’aiuto spirituale alla terra”.......................................................................................63 La crescente pressione statale sui conventi...................................................69 L’ossequio al Beato Lorenzo da Brindisi...........................................................71 La soppressione napoleonica.................................................................................75 L’alienazione del convento.......................................................................................89 L’auspicato ritorno.........................................................................................................93 La demanializzazione scongiurata.......................................................................96 Prossimità e servizio...................................................................................................99 Appendice.......................................................................................................................111 Cappuccini di Albino..........................................................................................116 a cura di Franca Marina Moretti Cappuccini di Albino viventi.....................................................................153 a cura di Franca Marina Moretti Il Seminario serafico 1926-2003..........................................................155 da “Sui tuoi passi” 2003
Cenni sulla presenza delle Suore Cappuccine di Madre Rubatto ad Albino.......................................................................174
Archivio storico Istituto Suore Cappuccine Una prima Comunione in Convento nel 1960...............................................177 Maria Franca Mismetti Storia dell’architettura nel convento................................................179 Anna Maria Mologni I Cappuccini e Albino nel 1900.............................................................195 Angelo Calvi
Vita e attività dei Frati Cappuccini presenti oggi nel convento di Albino.............................................200
Fra Giambattista Ghilardi
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Fra Sergio Pesenti Vicario della Provincia Lombarda dei Frati Minori Cappuccini
Avendo avuto la fortuna di “accompagnare” la formazione di questo libro, mi sono accorto che, in 4 secoli di presenza in Albino, l'attività e il ministero dei Frati Minori Cappuccini sono stati notevoli e incisivi. Anche se nel silenzio del convento, o in giro per il ministero o per la questua, i frati sono stati importanti per la gente di Albino e della Valle. Noi siamo dei “nani sulle spalle di giganti” che ci hanno preceduto, hanno seminato la Parola, hanno offerto il perdono (e in momenti di calamità anche il pane e la minestra), hanno esercitato il ministero della consolazione, hanno formato spiritualmente e culturalmente generazioni di giovani (si pensi solo all’esperienza del seminario per le scuole medie inferiori, alla pastorale giovanile-vocazionale, alla pastorale dell’evangelizzazione). Quando penso che in questo convento sono passati frati dichiarati “santi” dalla Chiesa universale: (il Beato Innocenzo da Berzo); o che sono incamminati verso la santità (il servo di Dio p. Carlo Vigevano da Abbiategrasso, il servo di Dio fra Cecilio Cortinovis da Costa Serina); grandi missionari (vedi Mons. Camillo Carrara, vescovo di Asmara, p. Rufino Carrara: solo per ricordare i missionari defunti); grandi predicatori, celebri questuanti (i più vecchi ricorderanno fra Battista da Bruntino), mi viene da pensare che questo luogo ha “forgiato”, lungo questi 400 anni, uomini, cristiani, frati che hanno fatto la storia (anche se non andranno sui manuali di storia!), la storia del Regno di Dio che è cresciuto e che da piccolo seme è diventato una pianta (cfr Mt 13,31-32). Tocca a noi ora continuare queste opere che spesso non sono visibili; ma il “lavoro” per il Regno ci chiede di essere come il seme che deve morire per dare vita alla spiga e al frumento. Il beato Giovanni Paolo II scrivendo ai religiosi ha detto: "Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare, da raccontare, ma una grande storia da costruire" (VC110). Queste parole, scritte da questo grande papa, credo che ben si addicano alla celebrazione del IV° centenario di presenza di noi Frati Cappuccini in Albino. 2
Il libro-ricordo che avete tra le mani narra la storia passata, ma noi non ci fermiamo al passato perché la vita continua e quindi abbiamo una grande storia da costruire. I Frati che sono in mezzo a voi continuano, e vogliono continuare, l'opera di evangelizzazione attraverso l'annuncio del Vangelo, del perdono, della carità e la formazione spirituale del popolo di Dio mediante il ministero dell'accoglienza e dell'ascolto. Mi piace, a questo punto, ringraziare tutti coloro che si sono prodigati perché questo libro potesse venire alla luce: il Comitato preparatorio del IV° centenario voluto dai miei predecessori e, per non essere generico, fra Alessandro Ferrari, Franca Marina Moretti, Giampiero Tiraboschi, il prof. Calvi, Fabio Gualandris, fra Emanuele Raimondo, fra Paolo Giavarini, don Giuseppe Locatelli, il prof. Luigi Pellegrini, il prof. Grado Merlo e i Frati che risiedono attualmente nel convento e che voi conoscete. A conclusione, vorrei ricordare che il IV° centenario (anche se è fatto di numeri e di date) è formato soprattutto da persone che hanno fatto la storia di Albino e della Valle. A tutti i Frati, viventi e non, il mio grazie per il servizio svolto perché il buon nome dei Frati Cappuccini potesse essere una benedizione per tante persone. E quindi: buon cammino!
Fra Sergio Pesenti
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Don Giuseppe Locatelli Prevosto di S. Giuliano in Albino
I santi dalle grandi orecchie, i grandi occhi, le grandi mani, i grandi piedi… dal grande cuore! Il tempo della carità Mi ricordo la prima volta che vidi l’affresco di Giotto ad Assisi, che rappresenta S. Francesco nella sua raffigurazione più antica, quindi più vicina alle origini. Mi ero detto: “Certo che non è proprio molto bello con quelle orecchie (oggi diremmo a sventola)! Probabilmente doveva essere un tipo veramente carismatico”. Poi, strada facendo negli studi, mi imbatto in uno dei Padri della Chiesa occidentali: S. Ambrogio, la cui raffigurazione nella basilica di Milano che porta lo stesso nome non scherza. Anche lui con grandi orecchie! Comincia a sorgere un dubbio: o questi santi hanno tutti le stesse caratteristiche (cosa che sembra improbabile), oppure c’è qualche motivo. Ecco che facendo un po’ come Maria, che manteneva nel cuore le cose che non capiva ma che andavano un po’ per volta componendosi, arrivi a fare la scoperta plausibile. Questi sensi enfatizzati sono effettivamente legati a un cammino di santità che va nella direzione di Dio e dei fratelli. Sono lì a dire quanto questo santo abbia fatto dell’ascolto il suo atteggiamento di fondo: ascolto della Parola di Dio e ascolto dei fratelli. Così pure questi grandi occhi, che si consumano nello studio della Parola, ma anche nell’attenzione dei fratelli, capaci di andare in profondità; quei grandi piedi in un cammino spedito sulla strada della santità che porta a Dio e ai fratelli; quelle grandi mani che dicono una comprensione, un abbraccio, una carità, un’accoglienza. Un grande cuore! E di questi grandi santi, un po’ bruttini per non confondere la bontà con la bellezza, fan parte certamente tanti piccoli uomini. Anche qui, mi torna alla mente la figura familiare alla mia fanciullezza del frate che, ogni tanto, passava in paese a raccogliere quanto la povertà e la generosità della gente poteva dargli in natura. E lo si guardava da sotto in su quando 4
la mamma lo invitava a fermarsi con noi a tavola. Piccoli uomini, ma umili, buoni, di poche parole. Ma che belle figure! Fan parte del tempo in cui la gente metteva due uova nel cestino fatto di filo di ferro che il chierichetto portava quando il parroco passava per la “benedizione delle case” (adesso non si dice più così; ma non si fa neppure più così; purtroppo). Il tempo in cui una donna, se aveva molto latte, allattava anche piccoli di altre famiglie; oppure decideva di sposare il marito della propria sorella, morta mentre dava alla luce il quarto o il quinto bambino (anche se non c’era amore; ma che grande amore c’era!). Il tempo in cui c’era poco, ma quel poco bastava per tanti. È anche il tempo di oggi, dove la presenza dei frati non passa inosservata; tant’è che, quando ne incontri uno, la prima cosa che guardi sono i piedi: se ha le scarpe rischia di essersi imborghesito (chissà perché non si pensa che, magari, anche lui ha una salute... di ferro e che può prendere la ruggine); se ha i sandali è fuori di testa, soprattutto in alcuni periodi. È una presenza che fa pensare e dire sempre qualcosa. Perché i frati non sono mai insignificanti. Vorrei tanto che non sognassero solo terre di missione; e che qui da noi non si sentissero inutili. Perché per noi sono sempre il segno della carità; e della fraternità. Sapendo bene quanto anche nelle nostre case non sia facile essere fratelli; ma quanto vuoto ci sia quando non lo siamo. Che S. Francesco dalle grandi orecchie ascolti, e faccia crescere la presenza di piccoli uomini che gli assomiglino; dal cuore grande, e robusto nelle prove. Don Giuseppe
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Luca Carrara Sindaco di Albino
Nelle memorie storiche di Padre Valdemiro da Bergamo (1883) si scrive a proposito del movimento civile che portò alla fondazione del Convento dei Cappuccini ad Albino. “Gli albinesi in generale furono sempre affezionati ai Cappuccini, ma tali specialmente mostraronsi i signori Giambattista Seradobati, Maria Seniori e Bernardo Spino, il quale nel 1582 con Francesco Moroni e Bernardo Usubello a nome del comune, presentossi nel nostro capitolo adunato a Milano e supplicò i Cappuccini a prendere stanza in Albino”. Ormai caduto in stato di abbandono il convento benedettino di Abbazia, che aveva subito una profonda crisi sin dal XV secolo, nel territorio, nel corso del Cinquecento, si erano affermati due conventi carmelitani, quello maschile di S. Maria della Ripa in Desenzano e quello femminile di S. Anna. Nonostante queste importanti presenze conventuali, la comunità verso l’ultimo quarto del secolo, dal 1582 appunto, si mosse con raccolta di fondi e lasciti testamentari per portare i Cappuccini ad Albino. La ragione di questa preferenza sta probabilmente nel fatto che dei Cappuccini venivano apprezzati i servizi religiosi (predicazione, confessioni, assistenza ai poveri e malati) che potevano offrire in favore della comunità, a beneficio quindi dell’intera popolazione. È inoltre importante sottolineare che certamente i francescani erano già attivi nel territorio: nel capolavoro di arte sacra di Moroni, il Cristo in Croce, conservato nella prepositurale di S. Giuliano, sono raffigurati infatti due santi francescani, San Bernardino e Sant’Antonio da Padova. Le celebrazioni programmate per questo anniversario possono dunque essere l’occasione per rinsaldare la conoscenza del nostro passato e proporre in tempo di crisi un’immagine positiva di Albino “città del Moroni”, nella convinzione che anche a questo passato così ricco di storia dobbiamo appellarci oggi per cercare soluzioni e linee guida per 6
superare la crisi. Il convento dei Cappuccini è l’unico convento albinese sopravvissuto, nonostante la soppressione napoleonica, con la comunità dei frati ancora attiva e viva e che in occasione di questo anniversario ha saputo dimostrare di essere un’importante risorsa spirituale e culturale, capace di contribuire all’arricchimento e alla crescita dell’intera comunità. Per questo colgo l’occasione per ringraziare la fraternità dei Cappuccini di Albino e gli autori di questo volume che ci hanno offerto importanti e nuovi contributi. Il sindaco Arch. Luca Carrara
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Introduzione Prof. Grado Giovanni Merlo Il passato come speranza per il futuro Oggi il rapporto con il passato non è facile né scontato. La “crisi del presente” tende a far dimenticare tutto ciò che sembra oramai lontano, inoperante, inefficace. La preoccupazione è verso il futuro. Eppure, il passato è più vicino di quanto si pensi normalmente. Lo stesso svolgersi della nostra vita, in modo inesorabile, produce passato, nelle conquiste e nelle sconfitte. Dentro di noi portiamo il passato nostro e altrui, poiché condividiamo, in noi e fuori di noi, la condizione umana. Intorno a noi la quasi totalità delle cose materiali proviene dal passato e il nuovo si crea con materiali antichi, talvolta antichissimi. Se un edificio si costruisce con sabbia, pietre, cemento, ferro, argilla, come pensare di costruire il nostro futuro senza usare i supporti immateriali prodotti e trasmessi dalle generazioni che ci hanno proceduto su questa terra? Il convento dei frati Minori Cappuccini di Albino è una forma tangibile della memoria che coniuga la staticità apparente delle strutture architettoniche con la dinamicità delle cose in esso accadute nel corso di quattro secoli: dinamicità di cose e, dobbiamo aggiungere, dinamicità di uomini e di donne. Su tale tessuto si innesta la concretezza dei vari contributi di questo volume, in cui si segnalano, tra gli altri, lo studio su Il convento di Albino nella storia di Giampiero Tiraboschi e Franca Marina Moretti e i profili di Cappuccini di Albino della stessa Moretti. Sono interessanti tentativi di ricostruire per capire il passato, senza condizionamenti apologetici o campanilistici. L’apporto di conoscenza vale in quanto è libero e non finalizzato ad altro che alla conoscenza: e conoscere il passato è possesso di strumenti utili a comprendere il presente, ovvero è un’indicazione preziosa per essere, a propria volta, liberi nel rapportarsi a se stessi, a non aver paura di chiarire chi siamo in superficie e nel profondo, di fare luce negli angoli bui della nostra coscienza e della nostra fragilità. L’aggettivo nostro ha un valore non solo personale, ma pure collettivo. Pertanto, lo studio della presenza cappuccina negli ultimi quattro secoli 8
diventa un punto, alto e basso, per osservare una comunità, la comunità di Albino. Non c’è una storia sacra del convento e una storia profana della popolazione. C’è la storia comune di una collettività attraverso il tempo, lontano e vicino: una collettività di cui la fraternità cappuccina è stata parte integrante, senza con ciò rinunciare alla propria identità, che però non sarebbe esistita senza essere in Albino e senza uscire da Albino da parte dei Cappuccini. Albino è se stessa e altro ancora, proiettata nel mondo attraverso i suoi frati, che in qualsiasi parte si siano trovati, come gli altri emigranti, hanno portato con sé la propria terra e la propria cultura di origine, condizionati e arricchiti dall’appartenenza al loro Ordine religioso. La vocazione religiosa, pur nella sua esigente totalità, non ha mai eliminato la relazione con la “piccola patria” di Albino, un tempo così generosa nel donare propri figli ai Cappuccini. Il lento ridursi di questo fenomeno interroga sia la fraternità cappuccina sia la comunità albinese e pone interrogativi inquietanti: non per generare improduttive “dichiarazioni di colpa” o confessioni di inadeguatezza, ma per sollecitare il confronto insieme sulla realtà contemporanea, che in ogni campo dell’esistenza genera vocazioni in numero sempre minore. Anche da una celebrazione centenaria e da un libro commemorativo possono nascere nuove occasioni per riprendere il cammino con maggiore lena e attesa, dopo aver guardato quanta strada è stata fatta e quanto abbiamo imparato nel ripensarne le tappe, le difficoltà, i dolori e le gioie. Il convento di Albino è ancora lì a ricordarcelo e a sostenerci nella fatica e nella speranza. Grado Giovanni Merlo
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Francesco d’Assisi Fra Paolo Giavarini
Il Signore concesse a me, fratello Francesco, d'incominciare a fare penitenza… (Dal Testamento) San Francesco nacque ad Assisi nel 1181 o nel 1182, non lo sappiamo con certezza. Morì nella notte fra il 3 e il 4 ottobre 1226, nel territorio d’Assisi, presso la chiesetta di Santa Maria degli Angeli.
Infanzia e giovinezza
Figlio primogenito del ricco mercante Pietro di Bernardone e di madonna Pica, forse di origini francesi. La sua non è una famiglia nobile, ma benestante; così Francesco cresce nella ricchezza e nel benessere, seguendo gli ideali del suo tempo: denaro, cavalleria, fama e onore.
La conversione
Più o meno diciottenne, inizia un percorso di parecchi anni, sette o otto, in cui vive diverse esperienze: la battaglia di Assisi contro Perugia, l’amara sconfitta e il duro anno di prigionia, con il rientro ad Assisi dopo il pagamento del riscatto.Tenta di diventare cavaliere: parte per il sud d’Italia, ma si ammala e deve rinunciare. Si dà al commercio con successo, ma dà troppo poco valore al denaro e alla “roba”, entrando per questo in urto con il padre. La nota comune di queste vicende è la progressiva sensazione di vuoto, la ricerca Nella pagina a fianco: Cimabue, San Francesco, particolare dell’affresco “Madonna col Bambino in trono fra quattro angeli e San Francesco”, Assisi, Basilica inferiore di San Francesco. Cimabue ha voluto dipingere un ‘vero’ ritratto di Francesco ben lontano da quelli stereotipati dell’iconografia e delle biografie francescane, tuttavia dandone un’immagine divinizzata. L’abito è quello scelto da Francesco, adottando non un abito monastico o religioso, che lo inquadri in un una categoria circondata da stima, ma il modo di vestire comune ai poveri e ai contadini, una tunica, come prescritto da Gesù ai discepoli nel vangelo, di stoffa di sacco; tuttavia il pittore ha reso ben visibili le stimmate del costato, delle mani e dei piedi che, primo santo della storia, lo assimilano così a Cristo, in contrasto con la parte finale della vita del santo di Assisi, in cui egli le tenne per sé celate a tutti salvo un discepolo.
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di significato e di valore che sempre pare sfuggirgli. L’abbraccio con il lebbroso e l’incontro con Gesù crocifisso e risorto - una icona nella chiesetta diroccata di San Damiano - si collocano in questi anni: costituiscono la svolta della sua esistenza. Scopre la misericordia per gli altri e sperimenta la dolcezza dell’amore di Dio: saranno tutta la sua vita. Infine, entrato in collisione definitiva con gli ideali paterni, rinuncia al suo censo e alla sua stessa famiglia: davanti alle autorità civili e religiose e di fronte a tutto il popolo d’Assisi, restituisce al padre anche i vestiti, scegliendo Dio come unico Padre. Inizia il periodo in cui si dedica a riparare alcune chiesette nel circondario di Assisi.
I primi compagni Nel giro di poco tempo, alcuni dei suoi amici abbandonano tutto e lo seguono. Scelto il nome di Penitenti d’Assisi - trasformato poi in Frati minori, nome che si potrebbe tradurre con Fratelli che scelgono l’umiltà evangelica - decidono di ispirare la loro vita all’osservanza del Vangelo: lavorano nei campi aiutando i contadini, assistono i lebbrosi, predicano la Parola di Dio nelle piazze, vivono insieme poveri ed entusiasti. Arrivati al numero di dodici, nel 1209 si recano a Roma e ottengono da papa Innocenzo III di vivere “secondo il modello del Santo Vangelo”, senza possedere nulla e in piena obbedienza alla Chiesa.
L’Ordine dei Minori si allarga. La rinuncia. Gradualmente, ma con rapidità, si accresce il numero di coloro che scelgono di seguire lo stato di vita povero e fraterno di Francesco e dei Frati minori: la fraternitas si diffonde in Italia e all’estero. Chiara, una giovane nobile d’Assisi, chiede di seguire la vita di Francesco: nasce il secondo Ordine francescano, quello delle Povere dame, poi Clarisse. In seguito anche delle persone sposate chiederanno di seguire l’ideale francescano: sarà il Terzo Ordine francescano. La crescita dei frati è sempre più numerosa, ma con essa progressivamente sembra entrare in crisi lo spirito delle origini. Così, Francesco è sempre più gravato dai problemi dell’Ordine in espansione: necessità di norme, facilitazioni dalla Chiesa e dalle diocesi, preoccupazioni disciplinari. È soprattutto afflitto dalla dura contrapposizione dei cosiddetti Spirituali, cioè i frati che vorrebbero vivere l’eroicità dei primi tempi, e dei Dotti, quelli che chiedono di adattare l’ideale originario alle esigenze del nu12
mero, dei compiti assunti, delle richieste della Chiesa. La sua fama intanto è cresciuta: Francesco alterna periodi di solitario ritiro e di intensa preghiera a viaggi per l’Italia, predicando, sanando lotte e discordie, visitando gente e frati. Nel 1219, durante una Crociata, compie un viaggio nelle terre occupate dai Musulmani. Senz’armi entra nel territorio nemico: catturato, è condotto alla presenza del Sultano che - colpito dalla sua persona - lo tratta con amicizia e lo rimanda libero. Tornato in Italia, deve prendere posizione contro un tentativo, da parte di alcuni frati, di regolamentazione del suo Ordine attraverso alcuni usi monastici. Le tensioni nell’Ordine si riflettono su Francesco in modo crescente, fino a portarlo alla decisione - tutt’altro che indolore - di tirarsi da parte, affidando ad altri il governo dei Frati minori. Lui decide di vivere in modo sempre più ritirato. Inizia la stesura della Regola, con le polemiche, i rifacimenti e le sofferenze che l’accompagneranno. La Regola definitiva è approvata da papa Onorio III nel novembre del 1223. Un mese dopo a Greccio, celebra la nascita di Cristo allestendo un presepe in una grotta sulla montagna, per sottolineare la scelta di donazione totale di Gesù con la povertà dell’Incarnazione.
Le stimmate e la morte
Nel frattempo, l’austerità con cui ha sempre trattato la sua persona e una serie di malattie hanno minato irreparabilmente la salute del poverello d’Assisi, che perde gradualmente la vista, sempre tormentato dai problemi dell’Ordine fino alla sensazione di totale fallimento. Durante la permanenza presso il monte della Verna, in Toscana, nel settembre del 1224, vive l’esperienza mistica del dono delle stimmate, i segni della Passione di Gesù sul suo corpo. Ciò lo prostra ulteriormente a livello fisico, sebbene lo rassereni moralmente.Vive gli ultimi anni della sua vita in modo sempre meno autosufficiente per l’aggravarsi della condizione fisica, ma in modo sempre più pacificato e sereno, nell’umile consapevolezza del suo cammino e nell’invito ai suoi frati a compiere il loro. Muore ad Assisi, ormai venerato come santo, nella notte tra il 3 e il 4 ottobre 1226. Per un approfondimento: R. MANSELLI, San Francesco d’Assisi. Editio maior, Ed. San Paolo 2002. F. CARDINI, Francesco d’Assisi, Mondadori 1989. C. FRUGONI, Vita di un uomo: Francesco d’Assisi, Einaudi 1995. N. KUSTER, Francesco d’Assisi maestro di spiritualità, Ed. Messaggero di Padova 2002. A. VAUCHEZ, Francesco d’Assisi, Einaudi 2010.
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TESTAMENTO DI SAN FRANCESCO (1226)
1- Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi,
corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo, che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri.
2- e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia.
11- E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi.
3- E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo. 4- E il Signore mi dette tale fede nelle chiese, che io così semplicemente pregavo e dicevo: 5- Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo. 6- Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa romana, a motivo del loro ordine, che se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. 7- E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e trovassi dei sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà. 8- E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. 9- E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io discerno il Figlio di Dio e sono miei signori. 10- E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo
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12- E i santissimi nomi e le parole di lui scritte, dovunque le troverò in luoghi indecenti, voglio raccoglierle, e prego che siano raccolte e collocate in luogo decoroso. 13- E tutti i teologi e quelli che amministrano le santissime parole divine, dobbiamo onorarli e venerarli come coloro che ci amministrano lo spirito e la vita. 14- E dopo che il Signore mi dette dei fratelli, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. 15- E io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor papa me la confermò. 16- E quelli che venivano per intraprendere questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca, rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache. 17- E non volevamo avere di più. 18- Noi chierici dicevamo l’ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i Pater noster, e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese.
19- Ed eravamo illetterati e sottomessi a tutti. 20- E io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà. 21- E quelli che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio. 22- Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l’elemosina di porta in porta.
25- Comando fermamente per obbedienza a tutti i frati che, dovunque si trovino, non osino chiedere lettera alcuna [di privilegio] nella Curia romana, né personalmente né per interposta persona, né a favore di chiesa o di altro luogo, né sotto il pretesto della predicazione, né per la persecuzione dei loro corpi; 26- ma, dovunque non saranno accolti, fuggano in altra terra a fare penitenza con la benedizione di Dio. 27- E fermamente voglio obbedire al mini-
23- Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: «Il Signore ti dia la pace!» . 24- Si guardino bene i frati di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e tutto quanto viene costruito per loro, se non fossero come si addice alla santa povertà, che abbiamo promesso nella Regola, sempre dimorandovi da ospiti come forestieri e pellegrini.
Assisi Sagrestia della Basilica di S. Francesco Tonaca attribuita al Santo. Fotografia conservata da Libio Milanese, Terziario Francescano albinese.
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stro generale di questa fraternità e ad altro guardiano che gli sarà piaciuto di assegnarmi. 28- E così voglio essere prigioniero nelle sue mani, che io non possa andare o fare oltre l’obbedienza e la volontà sua, perché egli è mio signore. 29- E sebbene sia semplice e infermo, tuttavia voglio sempre avere un chierico, che mi reciti l’ufficio, così come è prescritto nella Regola. 30- E tutti gli altri frati siano tenuti ad obbedire così ai loro guardiani e a dire l’ufficio secondo la Regola. 31- E se si trovassero dei frati che non dicessero l’ufficio secondo la Regola, e volessero variarlo in altro modo, o non fossero cattolici, tutti i frati, ovunque sono, siano tenuti per obbedienza, ovunque trovassero qualcuno di essi, a farlo comparire davanti al custode più vicino al luogo dove l’avranno trovato. 32- E il custode sia fermamente tenuto per obbedienza a custodirlo severamente, come un uomo in prigione giorno e notte, così che non possa essergli tolto di mano finché non lo consegni di persona nelle mani del suo ministro. 33- E il ministro sia fermamente tenuto, per obbedienza, a mandarlo per mezzo di tali frati che lo custodiscano giorno e notte come un uomo imprigionato, finché non lo presentino davanti al signore di Ostia, che è signore, protettore e correttore di tutta la fraternità. 34- E non dicano i frati: «Questa è un’altra Regola», perché questa è un ricordo, un’ammonizione, un’esortazione e il mio testamento, che io, frate Francesco piccolino, faccio a voi, fratelli miei benedetti, affinché osserviamo più cattolicamente la Regola che abbiamo promes-
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so al Signore. 35- E il ministro generale e tutti gli altri ministri e custodi siano tenuti, per obbedienza, a non aggiungere e a non togliere niente da queste parole. 36- E sempre abbiano con sé questo scritto accanto alla Regola. 37- E in tutti i capitoli che fanno, quando leggono la Regola, leggano anche queste parole. 38- E a tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per obbedienza, che non inseriscano spiegazioni nella Regola né in queste parole dicendo: «Così devono essere intese»; 39- ma come il Signore ha dato a me di dire e di scrivere con semplicità e purezza la Regola e queste parole, così voi con semplicità e senza commento cercate di comprenderle, e con santa operazione osservatele sino alla fine. 40- E chiunque osserverà queste cose, sia ricolmo in cielo della benedizione dell’altissimo Padre, e in terra sia ricolmo della benedizione del suo Figlio diletto con il santissimo Spirito Paraclito e con tutte le potenze dei cieli e con tutti i santi. 41- E io frate Francesco piccolino, vostro servo, per quel poco che posso, confermo a voi dentro e fuori questa santissima benedizione. [Amen].
L’Ordine francescano e i Cappuccini Fra Paolo Giavarini
Durante i suoi otto secoli di vita la fraternitas francescana ha avuto una storia ricca e complessa che l’ha portata a diventare prima l’Ordine dei Frati Minori e in seguito a suddividersi in diversi rami che altrettanto complesse vicende hanno modificato fino quasi ai nostri giorni. Oggi il Primo Ordine francescano è suddiviso in Ordine dei Frati Minori Conventuali, Ordine dei Frati Minori, Ordine dei Frati Minori Cappuccini.Tutti gli ordini fanno riferimento a San Francesco e alla sua Regola, ma ciascuno la interpreta secondo ordinamenti particolari, chiamati Costituzioni. È impossibile riassumere in poche righe la storia dell’Ordine francescano, ma il cuore della questione potrebbe essere indicato proprio nella diversa interpretazione della Regola di San Francesco da parte dei suoi seguaci. Il Fondatore stesso visse, in prima persona e per anni, la dolorosa fatica di tenere unita la sua creazione e, prima di morire, redasse un Testamento che egli stesso definì come la corretta interpretazione della regola, per fissare i punti fondamentali del vivere secondo il modello del Santo Vangelo. Non fu sufficiente per l’unità. Due correnti si scontravano. Da una parte, coloro che aspiravano a vivere secondo lo spirito francescano delle origini (il carisma del fondatore) e che - pur non rinnegando predicazione e apostolato - facevano della povertà, della preghiera ritirata, del servizio agli ultimi e del lavoro manuale, i loro riferimenti irrinunciabili da viversi in luoghi piccoli, spesso discosti dai centri abitati, per favorire appunto il silenzio e il raccoglimento. Dall’altra parte, coloro che accettavano l’evoluzione del carisma originario in istituzione, fondamentalmente in funzione del servizio alla Chiesa, accettando l’uso del denaro, grandi chiese aperte al pubblico e ampi conventi in centri abitati; per questi frati il lavoro era soprattutto quello pastorale, sostenuto dallo studio. Questa seconda corrente, maggioritaria dal punto di vista numerico, generalmente tendeva a sentire l’altra come un pericolo e a volerla inglobare, conformandola al suo modus vivendi. La prima giocava invece il ruolo di coscienza critica, richiamando l’altra alla fedeltà alle origini, denunciandola spesso di tradimento, qualche volta fino a scivolare in 17
uno sterile anacronismo: fino allo scontro, generalmente col prevalere dei più numerosi. Quando però l’istituzione prevale, al suo interno si genera progressivamente una sorta di malessere che porta col tempo alla nascita di una nuova corrente carismatica, che piano piano si costituisce in movimento di riforma e genera un nuovo scontro, prima sommesso, poi sempre più diffuso. I Cappuccini sono una di queste riforme francescane: nascono più o meno verso il 1525, cioè in un periodo in cui la Chiesa cattolica è già di per sé attraversata da profonde aspirazioni di riforma che sfoceranno nella spaccatura con i cristiani della Riforma protestante e, dopo la metà del secolo XVI, nella Riforma cattolica del Concilio di Trento. Nascono nelle Marche da un gruppo di frati che si staccano da una precedente riforma che si era data il nome di Osservanza. Anni difficili, quelli degli inizi, caratterizzati da entusiasmi e cadute. Si pensi, per esempio, che i tre frati considerati i fondatori dei Cappuccini - Matteo da Bascio, Lodovico e Raffaele da Fossombrone - dopo i primi anni escono o sono espulsi tutti e tre dalla riforma che avevano generato. Ma il seme gettato fiorisce: nel 1535 vengono redatte le prime Costituzioni dei Cappuccini che restano famose per il rigore delle scelte, lo spirito squisitamente francescano che le attraversa, l’oculatezza delle strutture e delle mansioni. In Italia i Cappuccini diverranno famosi per la radicalità della loro vita e per l’entratura nelle classi popolari, soprattutto nei momenti di crisi (pestilenze, lotta agli “eretici”), consacrati definitivamente a questo ruolo di “frati del popolo” dal romanzo storico del Manzoni, I Promessi sposi. Oggi l’Ordine dei Frati Minori Cappuccini conta circa undicimila religiosi diffusi in tutto il mondo. E se in Europa l’Ordine dà l’idea di un lento ma inesorabile ridimensionarsi, in molti paesi del globo sta conoscendo una nuova fioritura: America Latina, ma anche Africa e in Asia. Senza scordare che ogni tanto anche dai Cappuccini si staccano gruppi di frati con l’intento di dare vita a nuove riforme. Perché lo Spirito di Francesco è tuttora vivo. E lo Spirito soffia dove vuole. Per un approfondimento: L. IRIARTE, Storia del Francescanesimo, Ed. Dehoniane Napoli 1982. G. G. MERLO, Nel nome di San Francesco. Storia dei frati Minori e del francescanesimo sino agli inizi del XVI secolo, Ed. Francescane 2003. A. BINDA, Chi sono i Cappuccini? Sintesi storica dalle origini ai nostri giorni, Borla 1969. M. D’ALATRI, I Cappuccini. Storia di una famiglia francescana, San Paolo 1995.
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Padre CRISTOFORO Il più famoso dei Cappuccini, Padre Cristoforo, non è mai esistito, ma è una delle figure più importanti de I promessi sposi di Alessandro Manzoni, testimone di carità operosa e fermezza cristiana. Nato nella famiglia di un mercante, il suo nome originario era Lodovico. Un giorno era venuto a contendere per via con un nobiluomo cui non aveva voluto cedere il passo. Ne era nato un tafferuglio, in cui i ‘bravi’ dell’avversario avevano ucciso un suo servo, Cristoforo. Accecato dall’ira, Lodovico aveva ucciso il suo rivale. Pentitosi, era divenuto Cappuccino con il nome del suo servo ucciso, Cristoforo. Conservava un pane, ricevuto dal fratello del nobile ucciso quando si era recato da lui a chiedere perdono. Padre Cristoforo è il confessore di Lucia ed è il protettore dei due giovani promessi. Quando viene a sapere del rifiuto del curato Don Abbondio di sposare i due giovani, decide di recarsi lui stesso al castello del signorotto Don Rodrigo. Le macchinazioni di Don Rodrigo e del cugino Attilio, che si rivolgono al “conte zio” perchè contatti il Padre Provinciale dei Cappuccini, portano poi Padre Cristoforo lontano dai suoi protetti. Renzo lo rincontra alla fine del romanzo, a Milano durante l’epidemia di peste. Con lui ritrova Lucia, che Padre Cristoforo scioglie dal voto di castità che aveva fatto, prigioniera dell’Innominato. I due promessi sono sul punto si sposarsi, quando li raggiunge la notizia che Padre Cristoforo è morto di peste. Alessandro Manzoni offre anche il ritratto, storico e ideale insieme, dei Frati Cappuccini: “...tale era la condizione de’ cappuccini, che nulla pareva per loro troppo basso, né troppo elevato. Servire gl’infimi, ed esser servito da’ potenti; entrar ne’ palazzi e ne’ tuguri, con lo stesso contegno d’umiltà e di sicurezza; esser talvolta, nella stessa casa, un soggetto di passatempo e un personaggio senza il quale non si decideva nulla; chieder l’elemosina per tutto, e farla a tutti quelli che la chiedevano al convento: a tutto era avvezzo un cappuccino...” (I promessi sposi, cap. III, 459466).
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Il convento dei Cappuccini di Albino in un dipinto ottocentesco, firmato Nava J. 1861, posto nell'attuale refettorio.
Legenda APA = Archivio Parrocchiale S. Giuliano di Albino. APCL = Archivio Provinciale Cappuccini Lombardi di Milano. ASB = Archivio di Stato di Bergamo. ASDB = Archivio Storico Diocesano di Bergamo. ASV = Archivio di Stato di Venezia. BCB = Biblioteca Civica A. Mai di Bergamo. ECA = Archivio ECA in Archivio Storico Comunale di Albino.
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Il convento di Albino nella storia Giampiero Tiraboschi e Franca Marina Moretti
Alla ricerca delle fonti Non è semplice raccontare quattrocento anni di vita vissuta da una comunità religiosa nelle sue dimensioni personali e comunitarie, nei suoi rapporti con il territorio, nelle problematiche conseguenti agli orientamenti delle autorità civili. È necessario raccogliere i documenti d’epoca nella maggiore completezza possibile, interrogarli e analizzarli per estrarne gli elementi informativi da esporre, senza lasciarsi tentare da interpretazioni troppo soggettive o da spiegazioni non sufficientemente motivate. Le carte raccontano soprattutto gli aspetti ufficiali della comunità, molto più spesso quelli legati alla dimensione economica e alle strutture edilizie, e sono molto più sobrie nel delineare i percorsi personali di vita religiosa, le relazioni con il territorio, la ricerca, talora faticosa, di fedeltà al carisma dell’ordine, i piccoli gesti di carità quotidiana destinati a rimanere nel nascondimento dei contatti con il prossimo, talora quello più provato dalla vita. Pertanto la storia della centenaria presenza dei Cappuccini di Albino, in carenza di studi storici precedenti, si è costruita sul filo della documentazione resasi disponibile, accettando le numerose inevitabili lacune di informazione e l’abbondanza di dati riguardanti aspetti meno rilevanti della istituzione religiosa. L’ Archivio storico del convento dei Cappuccini di Albino è stato da anni depositato presso l’Archivio provinciale cappuccino di Milano, dove è confluito per la parte più antica al momento della soppressione napoleonica del convento, mentre la parte più recente vi è stata trasferita da pochi decenni, alla cessazione del seminario serafico. Anche la fornitissima biblioteca del convento ha lasciato da qualche decennio Albino ed è stata accorpata alla biblioteca del convento Cappuccino di Bergamo. Sono queste le due principali sedi a cui attingere i dati necessari per tracciare il percorso umano e religioso di questa istituzione. Si è lasciato ad altri di indagare in futuro di quali libri i Frati di Albino si siano serviti per accrescere la loro cultura e approfondire la loro spiritualità, mentre ci si è rivolti 21
all’archivio della provincia cappuccina di Milano per chiedere copia della documentazione riguardante Albino. Si è preso atto dell’assenza di un inventario dell’archivio e ci si è dovuti affidare alla solerzia e alla memoria di padre Fedele per ricevere, a più riprese, porzioni di documenti in parte originali e in parte in note dattiloscritte di qualche studioso che aveva sintetizzato alcune carte da lui esaminate. Non è emerso il cronicon del convento, a cui alcune relazioni fanno riferimento, che avrebbe permesso di costruire con maggiore organicità e fedeltà lo sviluppo storico della comunità religiosa di Albino. In mancanza della voce dei protagonisti della vita conventuale nel corso dei secoli, sono stati sottoposti ad esame i documenti ufficiali, in buona parte dal carattere più formale e meno incline ad esplicitare le motivazioni, i progetti, i risvolti umani delle vicende. Si è così entrati in possesso di alcune rilevanze documentarie atte a tracciare i capisaldi della parabola storica del convento: le varie fasi amministrative per dare vita alla nuova fondazione, le relazioni sullo stato morale ed economico del convento tracciate dai guardiani in epoche diverse, i risvolti conseguenti alle soppressioni disposte dall’autorità civile, la straordinaria ricorrenza della beatificazione di Fra Lorenzo da Brindisi. La documentazione incompleta e lacunosa ha richiesto indagini anche in altri archivi. L’Archivio della diocesi di Bergamo ha fornito alcuni documenti riguardanti la fondazione del convento, i rapporti con la parrocchia di Albino e le pratiche per sfuggire alla soppressione predisposta dal nuovo governo italiano. Pochi sono risultati gli elementi di corrispondenza con il vescovo e solo fuggevoli accenni ai Cappuccini hanno riservato le visite pastorali, perché i religiosi non erano soggetti al controllo vescovile. Dall’Archivio parrocchiale di Albino sono emersi numerosi piccoli accenni ai costanti servizi assicurati dai Cappuccini alla popolazione locale con la predicazione, le confessioni, le celebrazioni, l’ascolto dei bisogni, le solennità per la consacrazione sacerdotale di cappuccini albinesi. L’Archivio di Stato di Bergamo ha fornito ulteriori elementi riguardanti i rapporti con l’autorità civile, sempre più invasiva nel suo controllo dalla metà del Settecento fino alla soppressione napoleonica; gli atti notarili hanno rivelato i contratti riguardanti la fabbrica del convento e il suo trasferimento di proprietà al momento delle soppressioni, oltre ai lasciti testamentari ad esso destinati. L’archivio di Stato di Milano ha aggiunto informazioni circa la soppressione 22
napoleonica e la descrizione della realtà conventuale a inizio Ottocento. Le poche fonti edite, che hanno permesso alcuni sintetici riscontri di elaborazione o di integrazione della documentazione già in buona parte posseduta, riguardano soprattutto gli eventi legati alla fondazione del convento, fornendo solo accenni sommari a poche altre cruciali vicende della sua storia. L’ultimo secolo di vita del convento è molto più ricco di testimonianze edite o documentarie che illustrano figure carismatiche di Cappuccini e la vita del seminario serafico, vivaio di vocazioni e fucina di religiosi protagonisti della missione cappuccina. Gli aspetti di vita più ordinari si desumono da note di cronaca colte dai notiziari locali, in cui si vedono all’opera i Frati nelle diverse circostanze del loro operare. L’esposizione che segue intende ricostruire a grandi linee la parabola storica del convento di Albino, lasciando a contributi specifici futuri di scavare più a fondo le valenze umane, spirituali e sociali che questa presenza ha significato.
L’attesa dei Cappuccini Nella seconda metà del Cinquecento si fa spazio in Albino il desiderio di avere sul territorio albinese un convento di Frati Cappuccini, la forma più innovativa fra le famiglie religiose nate dall’insegnamento e dall’esempio di Francesco d’Assisi. Ad Albino, tuttavia, era già presente da oltre un secolo un convento di carmelitani della Congregazione di Mantova, fondato su iniziativa della famiglia Comenduno nel 1465 a seguito della crescente devozione per la Madonna, che, secondo la tradizione, era apparsa nel 1440 a Venturina Bonelli, una fanciulla undicenne affetta da una inguaribile cancrena alla gamba, e l’aveva risanata. Il convento carmelitano, collocato alla Ripa di Desenzano, era polo di attrazione di una folla di fedeli che accorrevano numerosi soprattutto in occasione della ricorrenza del miracolo e delle festività connesse, ed era promotore della spiritualità mariana che ha portato alla fondazione di una diffusa rete di confraternite del Carmelo. Questo convento era sentito come proprio da tutta la comunità albinese, che concorreva alla sua manutenzione tramite la Confraternita della Ripa, i cui reggenti erano nominati direttamente dai comuni di Albino, Desenzano e Comenduno. Sotto la vigilanza e la direzione spirituale di questo convento era sorto nel 1525 il monastero carmelitano femminile di Sant’Anna, in cui prendevano 23
i voti le figlie delle famiglie più facoltose del circondario1. La determinazione degli albinesi di chiedere, con allargato consenso, una comunità di Cappuccini potrebbe essere uno dei frutti della visita apostolica di Carlo Borromeo alla parrocchia di Albino nell’autunno 1575, che, oltre a rinsaldare gli orientamenti scaturiti dal Concilio di Trento, aveva posto le basi per un sensibile rinnovamento spirituale e comunitario della vita religiosa locale. Il cappuccino Padre Valdemiro da Bergamo nelle Memorie Storiche2 narra che Gli albinesi in generale furono sempre affezionati a’ Cappuccini, ma tali specialmente mostraronsi i signori Giambattista Seradobati, Maria Seniori e Bernardo Spino, il quale nel 1582 con Francesco Moroni e Giambattista Usubello a nome del comune, presentossi al nostro Capitolo adunato in Milano e supplicò i Cappuccini a prendere stanza in Albino. Ma essi, pochi essendo di numero rispetto a molti conventi già accettati, non poterono assentire alle istanze di quegli egregi postulatori. Ma gli albinesi non si danno per vinti e iniziano a raccogliere fondi e a predisporre lasciti testamentari finalizzati alla costruzione del convento qualora i Cappuccini si fossero resi disponibili a venire ad Albino. Tra gli oblatori si distinguono i Personeni: Marziale con il suo testamento dell’anno 1582 e Sebastiano con un codicillo del 1601 dispongono un lascito di 200 scudi3. Questa parentela di notai e speziali originaria della Valle Imagna, ma nel Quattrocento trapiantata ad Albino da cui sviluppa anche commerci itineranti lungo la costa adriatica, ha il patronato della cappella di San Francesco nella chiesa parrocchiale in cui sono collocate le tombe di famiglia e quelle dei Locatelli e dei De Spino, importanti consorterie mercantili di Albino4. Quale può essere il motivo della preferenza per una comunità di Cappuc-
1 - Giampiero Tiraboschi, Il monastero di Sant’Anna in Albino, note storiche, Albino, Fantagrafia, 2011. 2 - Padre Valdemiro da Bergamo, I conventi ed i cappuccini bergamaschi. Memorie storiche, Milano, Tipografia Lodovico Felice Cogliati, 1883, p. 42. 3 - ASB, notaio Giovanni Personeni, cart. 1847, 30 aprile 1582, codicillo del dott. Marziale Personeni. Notaio Gio.Antonio Licini, cart. 3507, 1 ottobre 1601, codicillo di Sebastiano Personeni. Anche Antonia vedova di Pietro Pulzini lascia un quarto della sua eredità per il nuovo convento (ASB, notaio Gio.Antonio Licini, cart. 3507, c. 143, 9 febbraio 1605). 4 - BCB, Estimo del Comune di Albino 1476, c. 93. Notaio Giorgi Paolo, cart.670, 30/6/1484. Notaio Moroni Maffiolo, cart.1031, c.211, 27/11/1512.
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cini? A Bergamo sono insediati in città alta, dal XIII secolo, un convento di Francescani, con una trentina di religiosi, e in città bassa dal 1422 il convento di Santa Maria delle Grazie dei Frati Minori dell’Osservanza, a cui fa capo una fiorente congregazione di Terziari. I Cappuccini, che incarnavano il ritorno all’originario spirito francescano, erano giunti a Bergamo solo il 2 maggio 1535, con la permanenza discreta di due frati dediti ad una vita eremitica ascetica di solitudine, preghiera e penitenza. Dopo un momentaneo insediamento sul colle San Vigilio, grazie a un legato di Domenico Tasso avevano acquisito un terreno in Borgo Palazzo, oltre la Morla, su cui nel 1536 avevano costruito un piccolo convento, il primo in Lombardia5. Non erano stati facili i primi anni della loro presenza, perché si erano manifestati preoccupanti sospetti quando nel 1542 il loro generale Fra Bernardino Ochino era passato al protestantesimo. L’anno seguente erano stati sottoposti a una indagine inquisitoriale per aver dato ospitalità a un sacerdote proveniente dalla Svizzera, uno dei principali poli della riforma protestante. Quindi la diffusione della riforma cappuccina nel bergamasco era stata frenata per alcuni anni. Grazie al comportamento convincente dei religiosi, la fase critica era stata superata e nel 1564 il capitolo provinciale cappuccino aveva deciso l’ampliamento del convento per renderlo idoneo alla funzione di luogo di studio per giovani frati. Un motivo di preferenza per i Cappuccini ci è suggerito da Fra Celestino Colleoni6, quando parla della fortuna dei mercanti bergamaschi. Et se mi si dimandasse la cagione di questa loro buona sorte, due principalmente fra le altre ne addurrei io: una direi essere la prudenza loro e l’altra, che primiera direi anco, sono le larghe limosine ch’eglino per amor di Dio, dal quale riconoscono ogni loro prosperità nè negocii, fanno a poveri e in particolare a Frati Capuccini, percioché e nella Toscana, e nella Marca, e nell’Umbria, e nel Regno di Napoli, e ‘n somma in ogni Provincia, e Città, e Terra, ove i Capuccini hanno Conventi, se ve ne stanno venti, non ve ne sarebbono diece, se i Mercanti Bergomaschi, che quivi habitano, largamente non li sovvenissero.
5 - P. Ilarino da Milano, La venuta dei frati minori cappuccini a Bergamo, in “Bergomum” anno 1935, pp. 74-89. 6 - Fra Celestino Colleoni, Historia quadripartita di Bergomo et suo territorio nato gentile e rinato cristiano, Bergamo, Valerio Ventura, 1617, p. 534.
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Numerosi mercanti bergamaschi nel corso del Cinquecento sono in costante movimento lungo gli itinerari commerciali della penisola italiana, hanno i loro fondaci nei principali centri fieristici e spesso fruiscono dell’ospitalità dei conventi dei Cappuccini. Fra questi mercanti itineranti vi è un significativo numero di operatori albinesi che trasferiscono sui mercati italiani i prodotti della fiorente manifattura locale dei panni lana. È emblematica, a questo proposito, la vertenza sollevata nel 1546 tra gli Spini e i Marini, soci in affari, per il riparto dell’onere di 2000 ducati d’oro ricevuti a mutuo nel 1538 da Marcantonio Grumelli, cittadino di Bergamo: per definire le rispettive pendenze presentano agli arbitri una distinta di 121 debitori dislocati in Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Abruzzo, Lazio, Lombardia e Toscana7. Un’altra motivazione orientava la preferenza sui Cappuccini: rappresentavano un elemento innovativo nel contesto religioso tradizionale per il loro stile di vita evangelica vissuta nel rigore della povertà, e la loro dedizione ai poveri, così come i Gesuiti erano innovativi soprattutto per la loro dottrina. I due Ordini interpretavano al meglio le istanze scaturite dall’esigenza di riforma promossa dal Concilio di Trento e applicate nella visita apostolica di Carlo Borromeo. I Cappuccini erano apprezzati per la loro predicazione, che procurava molte conversioni, e godevano di una stima universale per il soccorso che avevano dato alla gente in particolare durante le malattie contagiose. Il Cappuccino è il frate del popolo; finché vi sarà un popolo, come quello delle nostre ville, costretto a sudar sulla gleba e a rusticar nei campi, una confraternita religiosa che si dedichi specialmente a dirozzare quegli animi e ad addolcire quei sudori, emulandone l’asprezza coll’esempio e nobilitandone la bassezza colla religione, potrà sempre essere di gran frutto morale e civile8.
7 - ASB, Fondo notarile, notaio Gian Luigi Seradobati, cart. 1474, c. 742, 24 marzo 1546. 8 - P. Rocco da Cesinale, Storia delle missioni dei Cappuccini, tomo I, Parigi, P. Lethielleux, 1867, p. 28. Nei capitoli III e IV dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni si ha un profilo incisivo dell’opera dei Cappuccini.
Nella pagina a fianco: Crocifisso con i santi Bernardino e Antonio da Padova, 1573-75 di Giovan Battista Moroni. Albino, Chiesa Prepositurale di S. Giuliano. I due Santi sono Francescani non Cappuccini.
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La presenza dei Cappuccini sul territorio bergamasco si era così diffusa ed erano sorti i conventi di Sovere (1571),Vertova (1576), Romano (1577),Trescore (1580),Treviglio (1585), Breno (1586), Almenno San Salvatore (1586). Nel 1575 in occasione della visita apostolica alla parrocchia di Vertova, il cardinale Carlo Borromeo dà la sua approvazione all’intento, espresso già da alcuni anni dalla popolazione, di accogliere i Frati Cappuccini, per la cui venuta si sta restaurando il fatiscente oratorio di San Giuseppe. La comunità, che è disponibile a sobbarcarsi tutte le spese di allestimento del convento, ottiene nel 1576 l’approvazione del ministro generale dell’ordine. Giovanni Antonio Pesenti, mercante di Bergamo, offre un contributo determinante e gli si concede di costruire due stanze per proprio uso sopra le celle dei religiosi. Dà un apporto economico anche il mercante e imprenditore albinese Bernardo Spini, che fa allestire a proprie spese nella chiesa conventuale una cappella dedicata a San Giovanni Battista9. I Cappuccini sono apprezzati per la loro predicazione e nel 1576 il vescovo Federico Cornaro invita tutti i parroci ad accogliere e mettere in pratica gli insegnamenti del predicatore cappuccino Fra Arcangelo di Brescia, che ha licenza di tenere sermoni in ciascuna delle chiese della diocesi “massimamente per levar ogni sorta di peccati”, per insegnare a tutti gli uomini e donne che ne hanno bisogno “la Santa Institution Cristiana”, per tenere tutti i capi famiglia ben eccitati a continuare ogni sera, assieme a tutti i membri della famiglia, l’orazione già istituita dal vescovo10. Il desiderio di una comunità cappuccina ad Albino deriva anche da una crescente disaffezione
9 - Franco Irranca, Vertova veneta (1427-1497), Vertova, Lediberggroup, 2010, p. 212. 10 - ASDB, Tribunale ecclesiastico, vacchetta 42 (1573-1577) , c. 65, 24 aprile 1576.
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degli albinesi nei confronti dei Carmelitani della Ripa. PiÚ di una volta sono sorti contrasti fra il parroco di Albino e i Carmelitani, accusati di intromettersi indebitamente nella cura d’anime e di sottrarre possibili proventi alla parrocchia, orientando la devozione e i lasciti verso il loro convento.
Il Convento di Vertova in una vecchia fotografia. (Foto tratta dal libro di Franco Irranca, Vertova veneta (1427-1797), Vertova, Lediberggroup, 2010, p. 248)
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Alcuni giovani sacerdoti di Albino sono molto critici sulla direzione spirituale del monastero di Sant’Anna svolta dai frati della Ripa e vorrebbero che il monastero passasse sotto il controllo del Vescovo per subentrare loro stessi nella guida spirituale delle monache. Il dissenso verso i Carmelitani si aggrega attorno al sacerdote Simone Flora con la richiesta, inoltrata nel 1603 da alcuni notabili albinesi, parenti delle monache di Sant’Anna, alla Congregazione dei Regolari, di togliere ai Carmelitani della Ripa la direzione spirituale del monastero e assegnarla ai preti secolari. La motivazione della richiesta, sottoscritta da 14 influenti albinesi, è dovuta a un giudizio negativo sulla preparazione dei Frati carmelitani e “per notori scandali di rottura di clausura e di carnalità”, peraltro non documentati11. Anche questo contribuisce a rafforzare il desiderio della venuta dei Cappuccini di cui si apprezza lo stile di vita, l’efficacia della predicazione e la vicinanza ai poveri. Don Simone è uno dei giovani sacerdoti che esprimono fermenti culturali innovativi all’interno della chiesa di Albino e sono favorevoli all’avvento dei Cappuccini. Egli si nutre della spiritualità gesuitica che condivide con Don Leone Cucchi, parroco di Cenate e cognato dell’albinese Fabrizio Personeni, e con il canonico Marco Moroni di Albino. Don Leone offre nel 1591 la prepositura di Misma ai Gesuiti, ma la città di Bergamo, ligia agli indirizzi politici di Venezia, non concede il consenso, perché li ritiene troppo fedeli al papa. Il canonico Marco Moroni era stato segretario del cardinale Giovanni Michele Saraceno al Concilio di Trento; è cappellano della chiesa di San Bartolomeo di Albino, ma vive a Bergamo, dove collabora con il vescovo soprattutto per la cura dei monasteri femminili; nel 1575 è convisitatore del cardinale Borromeo durante la visita apostolica alla diocesi di Bergamo. Uomo di vasta cultura possiede una consistente e aggiornata biblioteca che nel suo testamento dell’anno 1592 dispone sia data ai Cappuccini di Bergamo che la dovrebbero cedere ai Gesuiti quando si fossero insediati nel circondario. Nel 1598 Don Simone Flora propone al Comune di vendere il castello, il giardino e la torre della comunità ai fratelli Gio. Battista e Pietro Moroni per costruirvi un monastero di Suore Cappuccine o d’altro ordine, che facciano
11 - Ermenegildo Camozzi, Le Istituzioni monastiche e religiose a Bergamo nel seicento. Contributo alla storia della Soppressione Innocenziana nella Repubblica Veneta, in “Bergomum”, 1982, n. 1-4, II, pp. 228-234. ASB, notaio Giovan Antonio Licini, cart. 3507, c. 89.
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uso della chiesa di Santo Stefano ivi esistente, con la clausola che se il progetto non andasse a buon fine detti luoghi ritornerebbero alla comunità12. Ma questa proposta non è accolta. Un monastero di Suore Cappuccine esisteva già ad Alzano superiore e in esso è professa l’albinese Suor Maddalena Usubelli13. Mentre ad Albino si continuano a raccogliere fondi per la fondazione del convento, nel 1608 Bernardo Spini convoca il Consiglio dei 45 per proporre il rinnovo della domanda all’Ordine dei Cappuccini. Anche questa richiesta però non è accettata per non aggravare troppo la comunità di Albino, già oberata da imposte, e perché lo Spini non può disporre di una cifra più consistente per costruire il convento14.
Il benefattore del convento Appariva sempre più evidente che l’obiettivo dell’insediamento dei Cappuccini in Albino non sarebbe stato raggiunto se la famiglia di Bernardo Spini non avesse dato un apporto economico decisivo. L’occasione si presenta nel 1612 quando Bernardo Spini, ammalato gravemente, decide di far redigere il suo testamento. In esso fra i legati pii destina un lascito di 2000 scudi per la costruzione ad Albino di un convento di Padri Cappuccini o Padri “Zoccolanti” (Francescani riformati), e assegna 4 pesi di olio d’oliva annui in perpetuo per illuminare la lampada del Santissimo Sacramento nella chiesa del nuovo cenobio15. Bernardo muore il 13 settembre 1612 e suo figlio Giovanni, anche a nome dei fratelli in minore età, chiede al giudice tutelare l’accertamento dei beni ereditati, ed è nominato con la madre e Francesco Tomini cura-
12 - ASB, Dipartimento del Serio, Culto, Cart. 706, copia tratta dal libro “Azioni del Comune di Albino” dell’anno 1576, foglio 78, 19 aprile 1598. 13 - ASB, notaio Carrara Gottardo, cart. 3502, 9 maggio 1592. 14 - Davide Cugini, Alcuni cenni storici sulla famiglia dei Conti Spini di Bergamo, in Atti e memorie del Quarto Congresso Storico Lombardo, Pavia, 1939. 15 - ASB, notaio Giacomo Seradobati, cart. 6300, c. 255, 25 agosto 1612; notaio Pietro Ballis, cart. 3535, c. 109, 26 agosto 1612.
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tore dell’eredità16. Quale era stata la parabola esistenziale di questo benefattore del convento e quali sono le motivazioni del suo impegno per la venuta dei Cappuccini ? La fortuna della famiglia Spini era iniziata con l’esercizio della tintoria, a cui aveva affiancato il commercio dei panni lana, la compravendita immobiliare e il prestito di denaro. Bernardo, nato nel 1536, primogenito dei tre figli di Marcantonio, secondo la tradizione di famiglia affianca il padre negli affari e dopo la sua morte mantiene la comunione dei beni con i suoi fratelli. Il benessere raggiunto permette a Bernardo di contrarre matrimonio con la nobile Pace Rivola il 16 novembre 1568, con una dote di 2000 scudi17. L’importante alleanza matrimoniale è celebrata con i ritratti di Bernardo e Pace dipinti da Giovan Battista Moroni, tra le opere più importanti della maturità del pittore18. Bernardo, oltre alla cittadinanza di Bergamo, possiede anche quella di Brescia e di Lugo di Romagna, dove ha estesi possedimenti, con sensibili vantaggi fiscali. Il suo palazzo in fondo Albino assume i caratteri distintivi delle abitazioni aristocratiche. Ad Albino, Bernardo, la cui ricchezza non ha uguali in paese, assume un ruolo super partes ed è protaStemma della famiglia Spini sul portale della Cà del Fatur. 16 - BCB, Inventari cure tutele, n. 22, c. 11. L’inventario dei beni immobili elenca 4 “possessioni” (due a Romano, una a Urgnano ed una a Cologno) per oltre 900 pertiche di terra; 2 tenute e 150 pertiche di terra in Albino; 15 case e 3 mulini in Albino; 3 case a Gromo, San Giovanni Bianco e Bergamo; 20 pertiche di terra in Pradalunga; 2 fienili con prato in Ganda. Non sono elencate le proprietà al di fuori del circondario bergamasco che sono consistenti sia nel territorio di Brescia che in quello di Lugo di Romagna. 17 - ASB, Fondo notarile, notaio Lazzaro Solari, cart. 2726, 16 novembre 1568. 18 - Ora si trovano all’Accademia Carrara di Bergamo.
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gonista nella soluzione di numerosi problemi civici. Alla sua famiglia è assegnata una quota d’estimo, ai fini fiscali, distinta da quella di ciascuna delle cinque contrade del capoluogo di Albino. La comunità ricorre a Bernardo per risolvere le questioni più impegnative19 e alcuni albinesi nelle loro disposizioni testamentarie gli affidano la tutela dei loro figli minori20. Assieme al fratello Gian Francesco dimostra tenacia e intraprendenza nella bonifica delle zone golenali lungo il fiume Serio, a valle del ponte di Albino, per ricavarne prati e campi. Nulla lo arresta quando sono in gioco i suoi progetti: né le piene del fiume che vanificano parte del lavoro svolto, né l’opposizione della città di Bergamo che denuncia il danno derivante all’imboccatura della roggia Serio grande che alimenta gli opifici cittadini. Per questo tra il 1573 ed il 1589 si sviluppa un’aspra vertenza; ma gli Spini, che sanno tutelare i loro interessi, vincono la causa21. Costante è l’impegno di Bernardo nelle locali istituzioni religiose, a cui mette a disposizione la sua competenza per la gestione amministrativa e patrimoniale. È ministro della Scuola del Santissimo Sacramento nel 1571, 1572, 1577, 1578, 1580 e consigliere fino al 1598; ministro della Misericordia nel 1577; ministro della fabbrica della chiesa parrocchiale nel 1575; sindaco del monastero di Sant’Anna nel 1597, 1598, 1601. La sua importanza sociale è esibita nel corso delle processioni del Santissimo Sacramento in cui lui e i suoi famigliari maschi, con pochi altri maggiorenti del paese hanno l’esclusiva di portare il baldacchino. Su sollecitazione del cardinale Borromeo, si impegna a portare a termine l’ampliamento della cappella dell’altare maggiore nella chiesa parrocchiale di cui la famiglia ha il patronato22. Malgrado la sua manifesta religiosità Bernardo rimane spregiudicato negli affari e nella vita. Infatti i suoi tre figli sono frutto di rapporti extra-matri-
19 - ASB, Fondo notarile, notaio Gian Battista Seradobati, cart. 3950, c. 227, 28 ottobre 1567; cart. 3950, c. 300, 29 luglio 1569. Ibid., notaio Giulio Donati, cart. 3209, c. 108, 8 gennaio 1576. Ibid., notaio Lazzaro Solari, cart. 2730, c. 202, 14 settembre 1579. Ibid., notaio Gottardo Carrara, cart. 3504, 14 novembre 1601. 20 - ASB, Fondo notarile, notaio Lazzaro Solari, cart. 2729, c. 10, 25 febbraio 1574; cart. 2730, c. 140, 24 febbraio 1579. Ibid., notaio Gian Giorgio Verdabbio, cart. 3134, c. 5, 28 luglio 1571. BCB, registri delle Cure Tutele Inventari, n. 12, c. 345, 20 novembre 1578. 21 - BCB, Processi in materia di acque, Serij Exemplum Processus contra Spinum in causa Serij; Contra D.Bernardum Spinum de Albino pro Serio. 22 - A. G. Roncalli, Gli Atti della Visita Apostolica di San Carlo Borromeo, Firenze 1936-1957, vol. 6, p. 216.
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Nei ritratti di Giovan Battista Moroni, Bernardo Spini e sua moglie Pace Rivola (olio su tela, cm 197 x 98; Bergamo, Accademia Carrara). In alto, le scritte «bernardvs spinvs /obyt an° mdcxii / etatis lxxvi [i]» (Bernardo Spini morì nel 1612 all’età di 76 anni) e «pax rivola spinvs / obyt an. 1613 etatis 72 (Pace Rivola Spini morì nel 1613 all’età di 72 anni).
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moniali, come risulta dal suo testamento, ma sono stati da lui riconosciuti e sono cresciuti nella sua famiglia: Giovanni è nato da Elisabetta di Gasparino da Mola di Bondione, Marcantonio e Giulia sono nati da Pace di Giovan Antonio Coter di Fiobbio. In famiglia con Bernardo vive Giuseppe, figlio di Gio. Francesco, suo defunto fratello, ma lo deve cacciare, dopo che ha rapito certe donzelle del milanese Ferrante Novà e le ha nascoste in casa sua. Giuseppe poi diventa “bravo”23 dei conti Agliardi e va in giro con gente armata24. Bernardo, favorendo la nascita del convento di Albino, con il conseguente patronato, intende coronare il significativo grado di ricchezza e di influenza nel contesto sociale locale, garantendo alla famiglia, già benedetta da Dio con il buon andamento degli affari, anche una perpetua fruizione di suffragi per i defunti della parentela. Così era avvenuto in passato per i Suardi, patroni dell’abbazia benedettina di Valle alta, e per i Signori di Comenduno con la fondazione del convento carmelitano della Ripa.
La discussa approvazione della fondazione Dopo la morte del marito, Pace Rivola, coadiuvata dal figlio Giovanni, si attiva per ottenere una sollecita fondazione del convento. Si serve allo scopo del predicatore cappuccino Padre Cirillo del convento di Vertova, venuto ad Albino a predicare durante una festa. Lo incarica di intervenire presso il capitolo provinciale dei Cappuccini che si tiene a Brescia, pregandoli di concedere l’approvazione all’insediamento di un convento in Albino, promettendo che al lascito del marito avrebbe aggiunto altri mille scudi provenienti dalla sua dote25. Il capitolo provinciale, riunito nel convento dei Santi Pietro e Marcellino,
23 - I “bravi” sono sgherri al servizio di un potente come guardia del corpo o esecutori di violenze. 24 -ASV, Avogaria di Comun, busta 75, 3822 C. BCB, Cancelleria Pretoria, s 2,210, cc.41, 42, 44. Queste informazioni si hanno a seguito di una vertenza fra Giovanni, figlio di Bernardo, e lo stesso Giuseppe condotta nel 1636/1638 davanti ai tribunali di Padova e di Venezia a motivo dell’eredità di famiglia. 25 - Padre Cirillo in una testimonianza del 16 dicembre 1619 dichiara che Pace Rivola gli aveva chiesto di scrivere al capitolo e aveva mostrato la lettera anche al figlio Giovanni (APCL, A. 306, p. 26), mentre in un’altra testimonianza del 20 gennaio 1620 dichiara che gli aveva chiesto di recarsi a Brescia presso il capitolo (ASDB, Parrocchia S.Giuliano di Albino, fasc. Convento Frati Cappuccini).
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affronta la questione l’11 gennaio 1613 e approva la fondazione con 38 voti favorevoli e 16 contrari26. Preso atto dell’approvazione, Pace l’8 luglio 1613 detta il suo testamento al notaio Pietro Ballis, confermando il lascito di 1000 scudi a condizione che il convento sia fabbricato entro quattro anni27. Se il convento non fosse costruito nel tempo stabilito, Pace assegna 800 scudi del suo lascito alla Scuola di Carità o alla Scuola del Santissimo Sacramento di Albino, con l’onere di far celebrare una messa perpetua, e 200 scudi alla Misericordia di Vertova. Vuole che la messa perpetua sia celebrata dal presbitero Gio. Giacomo Notari nelle chiese di San Giuliano, della Madonna del Pianto e nella cappella di San Carlo allestita in casa Spini; dopo la morte di questo sacerdote la celebreranno i Frati Cappuccini. Nel caso non si faccia il convento, si daranno 228 scudi alla chiesa di San Giuliano per mantenere un predicatore. Se il convento sarà eretto, i religiosi dello stesso dovranno assicurare alla parrocchia i predicatori, e i 228 scudi saranno così ripartiti: 1196 lire all’erede Giovanni, e 400 lire a 16 donzelle di Albino di buona fama e povere, in occasione del loro matrimonio (lire 25 ciascuna). I Francescani riformati, sostenuti da gruppi di persone e da una parte del clero locale, conosciuto il dettato del testamento di Bernardo Spini, avanzano il diritto all’assegnazione del convento al loro ordine e promuovono la convocazione del Consiglio minore di Albino, che si pronuncia a favore dei Riformati con 37 voti, mentre solo 13 vanno ai Cappuccini28. Forti di questa approvazione i Riformati inoltrano la loro istanza nelle sedi competenti a Bergamo, Venezia e Roma, sostenendo in particolare che loro si dedicano anche alla amministrazione dei sacramenti e in particolare alle confessioni, contrariamente ai Cappuccini che vivono una vita più ritirata e sono restii a confessare. Nel frattempo è inviato un esposto al Doge, nel quale si fa rilevare che è solo una donna a volere i Cappuccini e non tutta la popolazione. La fondazione di un convento, secondo le convenzioni di quell’epoca, non riguarda solo la comunità religiosa, ma è possibile unicamente con l’autorizzazione della suprema istanza della Repubblica veneziana, il cui
26 - APCL, A. 306, p. 26. 27 - ASB, notaio Pietro Ballis, cart. 3535, c. 281, 8 luglio 1613. 28 - I Cappuccini e la Congregazione Romana dei Vescovi e Regolari, vol. V, 1613-1615, a cura di Vincenzo Criscuolo, Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 1993, p. 11.
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consenso è determinante. Si gioca in questo campo una delicata partita di equilibri fra il potere statale e il potere di Roma, considerata sul piano temporale una potenza straniera e non la suprema istanza religiosa. Con il pragmatismo che contraddistingue le istituzioni centrali, da Venezia giunge ai Rettori di Bergamo l’ordine di verificare se la richiesta corrisponda al volere della cittadinanza e se vi sia un sufficiente capitale di legati per la costruzione del convento. Le autorità veneziane non sono favorevoli alla diffusione dei Cappuccini, nei confronti dei quali nutrono una certa diffidenza, dopo il contenzioso con papa Paolo V che, il 17 aprile 1606, aveva imposto l’interdetto al territorio veneto29. L’interdetto è una censura che esclude dalle funzioni sacre, dai sacramenti e dalla sepoltura ecclesiastica. La crisi diplomatica era nata da un conflitto sull’esercizio della giustizia nei confronti degli ecclesiastici: Venezia, con il suo teologo fra Paolo Sarpi, si era attestata su posizioni di intransigenza per la difesa della sua autonomia giurisdizionale anche verso persone ecclesiastiche, mentre Roma rivendicava il giudizio al solo tribunale ecclesiastico. Venezia aveva proibito su tutto il territorio la pubblicazione della bolla dell’interdetto, pena l’esilio o la prigione o la confisca dei beni. Il clero e i religiosi di Bergamo, dopo qualche esitazione, si erano sottoposti agli ordini di Venezia, cominciando dal vescovo Gian Battista Milani, tranne i Teatini e i Cappuccini che avevano preferito lasciare la città pur di rimanere fedeli a Paolo V. I Cappuccini […] uscirono tutti, nessuno eccettuato, dagli Stati della Serenissima; e quest’atto di ossequio alle prescrizioni ecclesiastiche fruttò due nuovi Conventi alla nostra Congregazione; perché gli abitanti di Caravaggio e quei di Rivolta d’Adda, ove eransi ritirati molti di loro, innamoratisi della loro conversazione, li vollero stabilmente tra loro30. L’interdetto era poi stato tolto il 21 aprile 1607. Il 22 luglio 1613 i Rettori di Bergamo emettono un ordine che obbliga tutti i capifamiglia di Albino a partecipare il giovedì seguente al consiglio
29 - Per l’interdetto si rinvia alle comunicazioni di Vincenzo Lavenia, Corrado Pin e Pier Maria Soglian nelle pubblicazioni “on line” dell’anno 2006 della Biblioteca A. Mai di Bergamo. 30 - Valdemiro da Bergamo, I Conventi... cit., p. 302. Treviglio e Rivolta d’Adda erano in territorio del Ducato di Milano.
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generale nel luogo fissato dal console; nessuno potrà portare armi o fare strepito, ma pazientemente potrà dire il suo parere e prestare il suo voto in coscienza, sotto pena di 25 scudi di multa, prigione, corda e altre pene per i disobbedienti e per coloro che provocassero disordini. Il banditore Battista Pelorsi comunica la convocazione del consiglio alla popolazione, andando casa per casa. Il 25 luglio il consiglio si riunisce nella chiesa parrocchiale in presenza di Gio. Maria Rota, cancelliere del podestà di Bergamo31. Il curato Don Giovanni Licini esorta a raccomandarsi a Dio ed espone il Santissimo Sacramento. Dopo di lui Gio. Battista Persona, medico e filosofo di indiscusso prestigio per la sua cultura32, parla a favore dei Cappuccini e risolve tutti i dubbi in una disputa con il curato. Altre persone influenti prendono la parola per caldeggiare la venuta dei Cappuccini, che è proposta alle seguenti condizioni: né la comunità, né la Misericordia di Albino dovranno sostenere spesa alcuna per la fondazione; i Padri Cappuccini non potranno avvalersi della chiesa della Concezione; nel convento dovrà sempre esserci un padre atto a predicare durante le feste dell’anno, tranne che in quaresima; chiunque voglia dovrà potersi confessare dai padri. Le 327 persone convocate esprimono col voto il loro parere e l’esito è di 305 favorevoli ai Cappuccini, 16 contrari e 6 astenuti. La decisione è registrata sul libro della comunità e portata in copia ai Rettori di Bergamo, che la inviano alle autorità veneziane. Il 16 settembre 1613 la signora Pace Rivola, per fugare qualsiasi dubbio, rilascia al notaio una dichiarazione in cui afferma che il marito, nel suo testamento, ha menzionato i Frati Zoccolanti solo nel caso che i Cappuccini non volessero venire ad Albino, e Don Simone Flora, che era presente alla redazione del testamento, lo conferma. La vedova Spini asserisce inoltre che aveva scritto al capitolo dei Cappuccini di sua spontanea volontà, per eseguire le disposizioni del marito, e non perché pressata da altri33.
31- APA, Frati Cappuccini, Serie X.1. 32 - Nato ad Albino nel 1575, studia teologia e filosofia a Milano sotto la guida del gesuita Bernardino Salino. A Padova frequenta le lezioni di Francesco Piccolomini e si laurea in medicina. È membro di numerose accademie letterarie. Pubblica diverse opere di medicina e di letteratura. Muore a Bergamo il 23 aprile 1619. (Donato Calvi, Scena letteraria degli scrittori bergamaschi, I, Bergamo, Rossi, 1664, pp. 231232). 33 - ASB, notaio Pietro Ballis, cart. 3535, c. 306, 16 settembre 1613.
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Il 10 ottobre 1613 il Doge firma il decreto che autorizza la costruzione del convento e il 24 ottobre i Rettori di Bergamo lo comunicano alle autorità albinesi. La concorrenza fra i Cappuccini e gli Osservanti riformati per conseguire il convento di Albino non è il solo episodio che evidenzia le tensioni tra i due ordini. Se ne rende conto il Vescovo Federico Cornaro appena giunto in diocesi nel 1623 quando, per la somiglianza dell’abito delle due famiglie religiose, i Riformati sono accusati di abusarne con la questua, chiedendo e ricevendo elemosine che la gente riteneva di destinare ai Cappuccini. Il vicario generale del vescovo interviene per costringere i Riformati a modificare l’abito, anche se pare che non tutto il clero condividesse la sua iniziativa, come si desume da una dichiarazione inviata alla curia romana in cui si asserisce che il popolo non può essere tratto in inganno, perché i Cappuccini si distinguono nel cappuccio e nella barba34.
La fabbrica del convento I religiosi scelgono il luogo idoneo per la nuova fondazione in contrada della Quada, nella zona campestre ad ovest dell’abitato, sui terreni di cinque diversi proprietari, tutti concordi per cederli a pagamento. Sono nominati addetti alla fabbrica i rappresentanti le principali famiglie imprenditrici e mercantili locali: Paolo Usubelli, Martino Carrara, Giuseppe Seradobati, Paolo Gromazzo, Giacomo Benvenuti, Michele Cari e Gianantonio Marini. Seguendo la tradizione che prevede una liturgia apposita per l’avvio della costruzione di un luogo di culto, lunedì 28 ottobre, festa dei Santi Apostoli Simone e Giuda Taddeo, una solenne processione guidata dal parroco Don Giovanni Licini, accompagnato dal Cappuccino Padre Leonardo di Bergamo vice del Provinciale, dai guardiani dei conventi di Bergamo, Vertova, Trescore, Cologno, da 16 altri frati provenienti da diverse località del bergamasco e del bresciano, dai sacerdoti del circondario, dai padri della Ripa, dalle confraternite albinesi e da tutto il popolo, con la scorta della
34 - Ermenegildo Camozzi, Le istituzioni monastiche e religiose a Bergamo nel Seicento. Contributo alla storia della Soppressione Innocenziana nella Repubblica Veneta, I, in “Bergomum”, 1981, n. 1-4, p. 317.
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milizia, si avvia al suono delle campane dalla chiesa parrocchiale verso il luogo dove deve sorgere il convento, portando una croce di legno sorretta dalla più nobile gioventù di Albino e la prima pietra di fondazione tenuta da quattro padri cappuccini. Sulla pietra squadrata, adorna di gioie e di una collana d’oro, è incisa in latino questa iscrizione: Essendo papa Paolo V, principe di Venezia Marcantonio Momo, vescovo di Bergamo Giovanni Emo, provinciale dei padri cappuccini fra Marcantonio da Brescia, rettore di Albino pre’ Giovanni Licini, pose nelle fondamenta questa prima pietra della chiesa dei frati cappuccini da edificare nel nome della Beata Vergine Maria e del serafico San Francesco, consacrata con rito solenne il 28 ottobre 1613. Cantando inni e orazioni di lode a Dio e ai Santi, arrivano al luogo stabilito e dopo aver recitato le orazioni e dato le benedizioni previste dal pontificale, collocano la pietra guidata dalla mano di Padre Benalio e del Curato, mentre i muratori Giulio Moroni e Piero Dividoni la sigillano con calce. Poco distante è piantata la croce. Si ritorna poi alla parrocchiale cantando le litanie e ringraziando Dio. La cronaca della straordinaria cerimonia è fissata in un atto pubblico dal notaio Terzi35. A fine anno 1613 cessa di vivere la gentildonna Pace Rivola e i figli Giovanni e Marcantonio si fanno premura di versare le somme destinate dai genitori alla costruzione del convento36, che con la presenza e la collaborazione di alcuni frati, è ultimato in meno di tre anni. Il convento è fabbricato secondo le regole e la semplicità cappuccina.
35 - ASB, notaio Gio.Giacomo Terzi, cart. 2676, c. 449, 28 ottobre 1613. Fra Celestino Colleoni, Breve ragguaglio del tempo in cui vennero a Bergamo i Cappuccini Frati Minori di San Francesco e de monasteri fabbricati loro da bergamaschi, e per necessario preambolo, dell’habito, e dell’orgine loro, Brescia 1622. Il testo di quest'ultima in traduzione in italiano corrente è alle pagine 111-115. 36 - Nel ritratto di Pace Rivola dipinto da Giovan Battista Moroni è stata apposta l’annotazione postuma della sua morte nel 1613 a 72 anni di età. L’ultimo atto notarile che segnala Pace ancora vivente è del 16 novembre 1613 (APA, Libro dell’instrumenti della Veneranda Misericordia di Albino, c. 216v).
Nella pagina a fianco e nelle pagine a seguire: tracce dell'antico Convento. (Pag 40, 43, 44, 45, 46, Foto di Anna Maria Mologni - Pag 42 il chiostro, Foto Franco Carrara Agasy, 4 giugno 1964).
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Al piano superiore sono realizzate 19 celle e 4 infermerie attorno al chiostro dove zampilla una fontana con acqua abbondante, che serve anche per l’orto. All’altare maggiore della piccola chiesa è collocata la tela del pittore Francesco Zucco che raffigura la Vergine Santissima che porge il bambino Gesù a San Francesco inginocchiato, con accanto Sant’Albino in abito pontificale e San Carlo Borromeo37. Il tabernacolo che vale più di 100 scudi è donato da Marsilio Cabrini e dai suoi nipoti. La pisside e un bel calice, che vale 50 scudi, sono comperati con le elemosine raccolte38. Sul lato sinistro della chiesa Giovanni Spini fa allestire a sue spese una cappella in onore dei santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista e dà l’incarico al pittore Cavagna di dipingere la pala con i due santi ai piedi della Beata Vergine Maria. Nella cappella di fronte c’è un grande crocifisso in rilievo. L’8 ottobre 1614 Don Simone Flora di Albino celebra la prima messa all’altare maggiore della chiesa del convento alla presenza di diversi padri cappuccini. Il 12 aprile 1625 il Vescovo di Bergamo Federico II Cornaro procede alla consacrazione della chiesa, che è dedicata ai Santi Francesco e Albino39. Le strutture essenziali del convento sono terminate nel 1615 e il primo guardiano è Padre Benedetto da Alzano. Tra il 1614 e il 1621 Giacomo Antonio Marini, tesoriere della fabbrica del convento, che si serve della collaborazione dell’agente Bartolomeo Filipponi, acquista altri piccoli appezzamenti di terra necessari alle pertinenze del convento e per tracciare il fossato che dalla sorgente (Fontanì dè Pias) porta l’acqua al convento; acquista anche un paio di buoi per i lavori della fabbrica, e provvede a saldare il dovuto ai fornitori dei materiali e ai vari prestatori d’opera40. I fabbricieri, a richiesta di Giovanni Spini, forniscono due resoconti delle
37 - Di questa tela si sono perse le tracce durante la soppressione napoleonica. 38 - Fra Celestino Colleoni, Breve ragguaglio... cit. 39 - Donato Calvi, Effemeride sagro profana di quanto di memorabile sia successo in Bergamo sua diocese et territorio, vol. I, Milano, Francesco Vigone, 1676, ristampa anastatica Arnaldo Forni, 1975, p. 429. Celestino Colleoni, Breve ragguaglio del tempo in cui vennero a Bergomo i Capuccini Frati Minori di San Francesco e de monasteri fabricati loro da bergamaschi, e per necessario preambolo, dell’habito, e dell’origine loro, Brescia 1623. Il testo di quest'ultima in traduzione in italiano corrente è alle pagine 111-115. 40 - ASB, notaio Gio. Giacomo Terzi, cart. 2677, anni 1614-1615 cc. 31, 113, 169, 180; anno 1619 c. 14; anno 1620 c. 172; anno 1621 c. 217.
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spese effettuate41. Il primo, in data 15 novembre 1615, illustra come hanno speso nella fabbrica le 14.000 lire del legato di Bernardo: 19 lire per la posa della prima croce, 3094 lire per l’acquisto della terra, 28 lire per il dazio di acquisto della stessa, 322 lire per il fieno da dare ai buoi, 10.537 lire per pagare i materiali e gli operai; il secondo, in data 29 ottobre 1621, rende conto di come sono state spese le 7000 lire del legato Pace Rivola per l’acquisto dell’orto e per pagare i creditori della fabbrica, il fornaciaio e il fieno dato ai buoi. Nel gennaio 1620 i Frati Cappuccini, avendo la necessità di completare la fabbrica del convento, dove ora vivono dodici frati, con il consenso di Giovanni Spini supplicano il vescovo di convertire il legato di messe perpetue in un certo numero di messe da celebrare una volta sola, dato che le loro costituzioni vietano di accettare legati perpetui42. Chiedono anche di dispensarli dal legato disposto dalla signora Pace Rivola di celebrare una messa settimanale perpetua nella cappella di San Carlo43. La cappella di San Carlo era stata allestita nell’abitazione della famiglia Spini, nella camera di Don Simone, con meraviglia e scandalo dei vicini, poiché in detta camera avevano dormito marito e moglie ed era contigua ad altre stanze dove si dorme e si abita famigliarmente. Per questo la commutazione era importante, almeno per evitare ogni occasione di scandalo. Il 5 maggio 1620 il Vicario del Vescovo dichiara che il legato Pace Rivola può essere soddisfatto celebrando 1400 messe. I superiori scelgono ben presto il convento di Albino per casa di noviziato, perché San Francesco benedice largamente questi suoi figli inviando loro molte vocazioni. Nel 1623, dieci anni dopo la morte di Pace Rivola, nel convento dei Cap-
41 - ASB, notaio Gio. Giacomo Terzi, cart. 2676, cc. 180, 217. 42 - ASDB, Parrocchia di San Giuliano di Albino, fascicolo Convento Frati Cappuccini, 9 gennaio 1620. 43 - La cappella di San Carlo era stata allestita nell’abitazione della famiglia Spini in fondo Albino (attuale Ca’ del Fatùr).
Pagina a fianco: nell'atto del notaio Terzi, del 28 ottobre 1613, l'elenco dei Cappuccini presenti.
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puccini è collocata una lapide che ricorda le beneficenze della famiglia Spini, il cui testo in latino recita: Avendo il nobile Bernardo Spini legato 2000 scudi per l’acquisto del fondo e per l’edificazione della chiesa e del cenobio dei frati cappuccini, e la moglie Pace Rivola, imitando la pietà del marito, avendo legato 1000 scudi, gli eredi signori Giovanni e Marcantonio hanno soddisfatto alla volontà di ambedue. Inoltre essendo stata dagli stessi costruita , ornata e dotata di sacre suppellettili la cappella del beato Giovanni, con l’incisione di questa lapide i sovrintendenti alla fabbrica ne hanno lasciato attestazione. 1623. In conformità al legato perpetuo del nobile signor Bernardo Spini gli eredi devono ogni anno 40 libbre di olio di oliva da 30 once ciascuna per il lume davanti alla Sacrosanta Eucarestia.
Lapide attualmente posta a sinistra della porta d'ingresso del convento.
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La società albinese di inizio Seicento I Cappuccini giungendo ad Albino nel 1613, dopo anni di attesa e di sollecito della popolazione, trovano un ambiente dalle caratteristiche sociali e religiose ben definite. La popolazione della parrocchia di San Giuliano, che estende la sua cura anche ai territori di Fiobbio, Bondo, Amora, Ama, Predale, conta circa 3000 anime di cui 1700 da comunione44. L’attività economica del paese attraversa un momento di crisi, perché la manifattura italiana subisce la concorrenza dei prodotti del nord Europa qualitativamente migliori. Il sistema di mercato, anche in ambito albinese, è favorevole ai mercanti-imprenditori e comprime i redditi dei prestatori d’opera. Vi sono quindi rapidi arricchimenti, soprattutto degli operatori albinesi che sono presenti con i loro fondaci in varie località d’Italia (Chieti, Lanciano, Lucera, Bari, Barletta, Ostuni, Benevento, Montefusco, Napoli, Roma), ove assumono l’appalto delle imposte, svolgono una funzione bancaria ed esercitano l’attività di import-export. Chi è rimasto al paese a esercitare attività artigianale vive di un reddito modesto, ma dignitoso. Lo scivolamento nella povertà può essere però rapido, in conseguenza di precarie condizioni di salute, delle pestilenze, dell’indebitamento e della penuria derivante da una gestione esosa delle proprietà agrarie nei confronti dei coloni. A fianco dei poveri storici si trovano i poveri “vergognosi”, cascati in basso da una situazione benestante anche a seguito di tracolli finanziari. Questi talvolta ricorrono al convento, dove i Frati, pur vivendo nella povertà, sanno condividere ciò che hanno con chi è nel bisogno. Albino non avrebbe avuto bisogno dei Cappuccini per le necessità liturgiche o per l’assistenza religiosa alla popolazione. Infatti vi è una discreta presenza di sacerdoti: 12 nel 1600 , 20 nel 1613, 13 nel 1638, 22 nel 1658 con 6 chierici in formazione. Questi sacerdoti secolari si occupano principalmente della celebrazione delle numerosissime messe disposte dai legati e curano anche gli affari di famiglia; solo alcuni di loro collaborano nella cura d’anime e alcuni svolgono un ruolo importante nell’istruzione
44 - Le anime da comunione erano le persone ammesse alla Comunione sacramentale, dai 12 anni in su.
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della popolazione45. Il consiglio del Comune di Albino esercita il diritto di verificare che i candidati alla funzione di curato siano idonei, per scienza e per stile di vita, ad assumere la cura d’anime di una comunità esigente. I Cappuccini sono però richiesti per l’edificante stile di vita e per l’incisivo insegnamento che propongono con la predicazione festiva. Nella tensione della controriforma le gerarchie ecclesiastiche orientano il clero ad un costante aggiornamento promosso attraverso le congregazioni dei sacerdoti volte a promuovere l’ortodossia del pensiero, dettando gli indirizzi con i sinodi diocesani, nei quali anche i religiosi sono coinvolti. Il sinodo diocesano celebrato nel 1628 dal Vescovo Agostino Priuli affronta ogni aspetto essenziale della vita ecclesiale, con particolare attenzione alla spiritualità del sacerdote, che è orientata con dettagliate istruzioni relative alla recita dell’ufficio e alla preparazione della celebrazione della messa; si propongono letture spirituali per sviluppare la pratica dell’orazione mentale. Acquistano importanza le congregazioni mensili dei sacerdoti su base vicariale, a cui sono invitati anche i religiosi, soprattutto i confessori: in esse si discutono casi particolari proposti da un definitore che ha il compito di coordinare la discussione e trarre una sintesi con una soluzione magistrale da trasmettere al prefetto generale delle congregazioni che risiede in città e dipende dal vescovo46. Per il popolo opera con regolarità e con metodologie puntuali la Scuola della Dottrina Cristiana, con obbligo di frequenza fino ai 25 anni, ed anche oltre per gli adulti con scarsa conoscenza dei rudimenti della fede. Il Vescovo Gregorio Barbarigo47 la rende obbligatoria per tutti. Dal 1635 prende avvio nel convento di Sant’Anna un educandato, che
45 - ASDB, Registri Visite Pastorali, vol. 35, pp. 269, 273; vol. 38, pp. 87, 154, 189; vol. 42, p. 174; vol. 45, pp. 124, 136; vol. 52, pp. 18, 36, 306; vol. 56, pp. 23, 83, 355. Il verbale della Visita Pastorale dell’anno 1658 segnala due maestri di scuola, sacerdoti: uno insegna agli allievi lettura, scrittura e grammatica, e legge i casi di coscienza ai chierici; l’altro insegna a leggere ai più piccoli. Nel 1666 sei sacerdoti sono maestri di scuola per i fanciulli; una maestra insegna alle fanciulle lettura e cucito. 46 - Constitutiones et decreta in synodo prima dioecesana celebrata sub illustriss. et reverendiss. D. D. Augustino Priolo episcopo Bergomi anno a Nativitate Domini MDCXXVIII die 4 mensis maii, Bergamo, Pietro Ventura, 1628. 47 - Gregorio Barbarigo (Venezia 1625 - Padova 1697) regge la chiesa di Bergamo dal 1657 al 1664 e la rinnova profondamente secondo le direttive tridentine. È creato cardinale nel 1660. Beatificato nel 1761, è stato canonizzato da Papa Giovanni XXIII nel 1960.
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ospita le figliole delle migliori famiglie albinesi, in attesa che scelgano il matrimonio o la vocazione religiosa. Una diffusa religiosità permea il tessuto sociale albinese e trova la sua espressione nella cura dei luoghi di culto, nelle numerose raffigurazioni devozionali, nelle celebrazioni, nei legati pii. Una partecipazione corale alle differenti confraternite religiose, autentiche scuole di preghiera e di crescita morale, si suddivide fra le Scuole di Santa Maria o della Misericordia e della Carità di Santo Stefano, dedite all’esercizio della solidarietà fraterna, le Scuole del Santissimo Sacramento, del SS. Rosario, del SS. Nome di Gesù, dei Disciplini di San Lorenzo e Gottardo, del Suffragio dei Morti, di San Sebastiano e San Rocco, orientate su indirizzi devozionali specifici. Nonostante questo, Albino vive in un contesto di diffusa litigiosità, legata spesso a suddivisioni di patrimoni, ad insolvenze o a vere e proprie truffe, che suscitano annose vertenze presso le magistrature di Bergamo e di Venezia. In questo contesto i Cappuccini sono chiamati ad essere uomini di pace. Non mancano le prevaricazioni ad opera di potenti. Uno di questi è Giovanni Spini, il figlio del benefattore del convento, che tiene una condotta eccessivamente disinvolta, come altri signorotti locali dell’epoca. Si circonda di bravi e incute timore; esercita una supremazia che non tollera concorrenza, tanto che quando uno dei suoi bravi ammazza sulla piazza Francesco Benvenuti, giovane mercante rientrato con Alessandro Varotari detto Padovanino (Padova 1588 - Venezia 1648), Estasi di S. Francesco, olio su tela, cm 212x132. (Albino, prepositurale di S. Giuliano, terza cappella a destra)
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una buona fortuna da Chieti, ma inviso allo Spini, le autorità locali non osano intervenire per arrestare il colpevole, temendo le minacce del potente. Et per la tema et terrore che hanno gl’huomeni della sudetta terra delli sopradetti Spini, niuno hebbe ardire di sonar campana a martello, essendosi di più essi Spini lasciati intender di voler batter per terra otto o dieci testimonii; havendo li predetti comesso le cose predette rispettive scientemente, dolosamente, pensatamente, proditoriamente, de mandato, con arme prohibite dalle leggi, et con quelli altri mali modi et qualità come in processo. 48
Il servizio durante la peste del 1630 Nel 1627 muore senza prole Vincenzo II Gonzaga, duca di Mantova, lasciando libero campo alle mire dei potentati d’Europa che vorrebbero impadronirsi di quel dominio o collocarvi qualche loro alleato. Scoppia così una guerra fra i pretendenti e il passaggio delle truppe imperiali in Lombardia porta sul finire del 1629 la pestilenza, che l’anno seguente devasta ogni contrada. Scoppiata la peste in Milano e nel suo territorio, il magistrato della città affida a padre Felice Casati da Milano la direzione del lazzaretto, nel quale, in quasi due anni, periscono tredici Cappuccini. La relazione sugli eventi di quegli anni, ben nota agli storici, è stata utilizzata da Alessandro Manzoni ne I Promessi Sposi per la drammatica descrizione della peste milanese. Nel Bresciano 170 Cappuccini accorrono a servire i malati e ne periscono 101; lo stesso avviene a Bergamo, dove i Cappuccini vittime della peste sono 64. In queste occasioni i Cappuccini si conformavano alle indicazioni delle costituzioni cappuccine degli anni 1535/36, che dicevano: E perché a quelli che con amore in terra è dolce, justa et debita cosa morir per chi morì per noi in croce, si ordina che nel tempo de la peste, li frati servano, secondo disponeranno li loro vicari; li quali in simil caso si sforzeranno di haver aperti l’occhi de la discreta charità. Anche se nelle costituzioni del 1552 questo comma è stato omesso, nondimeno i frati continuano ad esporre la propria vita nelle ricorrenti epi48 - ASV, Avogaria di Comun, Raspe, 3708/68, cc. 33v-35. BCB, Archivio Sozzi-Vimercati, XXXIX, 7, c. 96.
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demie di pestilenza. Lorenzo Ghirardelli, cancelliere della città e dell’ufficio di sanità di Bergamo, uno dei testimoni più autorevoli del contagio, su incarico del consiglio della città, traccia la cronaca del terribile flagello come verifica dell’efficacia dei provvedimenti pubblici adottati e del concorso di tutta la società civile, perché rimanga a futura memoria e serva da riferimento in caso si ripresentino simili eventi49. Narra che i Rettori della città e i sopraintendenti in materia di sanità avevano emesso dei proclami affinché si usassero precauzioni atte ad evitare la diffusione del contagio. Uno del 20 giugno riguardava i mietitori, che dalle valli scendevano a prestare la loro opera in pianura, poiché al loro ritorno non si mescolassero all’altra gente, ma tornati a casa “far contumacia di giorni quindeci stando chiusi nelle case proprie e restando sani s’intendano liberi”. Nel tentativo di preservare il proprio territorio dal contagio, diversi paesi respingevano qualsiasi persona proveniente dalla città, nonostante i proclami dei Rettori, preoccupati perché erano cessati i flussi di generi di prima necessità verso l’area cittadina, imponessero il libero transito alle persone munite di fedi di sanità. Fattasi perciò relatione di molte disobedientie commesse da diverse persone in diversi luoghi, che non volevano admettere alcuno della città, ancorché accompagnato con fedi di sanità, fatte con le suddette cautioni, e che non permettevano il libero transito a chi voleva condurre vettovaglie nella città e meno il ritorno nelle ville a chi dentro era stato nei borghi, il Zeno diede ordine al suo Cavaliere e officiali, che dovessero ritener alcuni della terra d’Albino, altri della terra di Palosco e altri di Sarnico, come quelli che particolarmente havevano disobbedito.
49 - Lorenzo Ghirardelli, Storia della peste del 1630, Brembate sopra, Archivio Storico Brembatese, 1974, pp. 357-358. Contiene copia fotostatica de Il memorando contagio seguito in Bergamo l’anno 1630. Historia scritta d’Ordine Publico da Lorenzo Ghirardelli. Libri Otto. Consacrata all’immortalità della stessa Ill.ma Città di Bergamo, Bergamo, Fratelli Rossi, 1631. La statistica tracciata nel 1631 sulle conseguenze della peste presenta per il circondario i seguenti dati: vivi morti maschi femmine totale maschi femmine totale Valle Seriana Inferiore 1880 2340 4220 2309 2451 4760 Albino 620 791 1411 592 652 1244 Desenzano 58 88 146 146 120 266 Comenduno 54 70 124 76 82 158 Bruseto 12 14 26 14 13 27 Vall’Alta 170 198 368 159 142 301
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Malgrado questo, il contagio si era diffuso rapidamente “né valsero a quelli di Alzano l’usar rigori di straordinarie diligenze, né a quelli di Nembro e Albino essere guardinghi, che aspramente furono percossi”. Il Ghirardelli racconta che i Padri Cappuccini si preservarono assai felicemente circospetti e cauti nella loro ritiratezza. Non somministrarono l’opera loro in così gravi turbolenze della Patria per esser loro vietato dagl’instituti proprii di quella Religione il confessare, e far sì fatte parochiali funtioni. Bramavano molti di loro la dispensa e facoltà de Superiori di potersi adoperare per incontrar la corona del martirio con l’impiego di se medesimi a prò de miseri appestati. Ma non essendo venuta se non tardi la licenza da Roma, dove a questo fine fu scritto, non poterono se non esser dolenti spettatori nella città e in tutto il territorio delle pubbliche sciagure, eccetto che a Clusone, ove tre di quelli furono da quell’Arciprete impiegati in sollievo della sua popolata cura, uno de quali per nome fra Giacomo da Scalve morì con evidenti segni di sue eroiche virtù. È il Cappuccino Teodoro Foresti da Bergamo ad esortare, con una memorabile predica tenuta in cattedrale, tutti i sacerdoti della città a soccorrere gli appestati50. L’amministrazione dei sacramenti e la cura d’anime non rientravano negli orientamenti dei Cappuccini che tuttavia, in questi frangenti di emergenza, si erano immediatamente rivolti ai superiori, a cui dovevano obbedienza, per averne licenza. Il Ghirardelli vuole stigmatizzare questo ritardato intervento, anche se probabilmente non ha informazioni esaustive riguardo al territorio, perché i Frati Cappuccini di Albino hanno l’occasione di mostrare alla gente la loro carità, sacrificandosi al servizio degli appestati. Quattro religiosi perdono la vita: Padre Arcangelo da Bergamo, Padre Celso da Clusone, Padre Cherubino da Nossa e Padre Girolamo da Martinengo. Così racconta una cronaca interna51: Non mancarono col solito fervore accorrere tutti, viscere di carità, i Cappuccini ad un tanto bisogno. In questo uno morì dopo pochi giorni di fatiche nel servire delli appestati, e fu il padre Girolamo da Martinengo sacerdote, et un altro fu solo martire di desiderio. Questi era il padre
50 - Valdemiro da Bergamo, I conventi... cit, pp. 105-106. Mariano d’Alatri, I Cappuccini, storia di una famiglia francescana, Roma, Istituto storico dei Cappuccini, 1994. 51 - ASM, Fondo di religione, Soppressioni napoleoniche.
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Arcangelo da Bergamo predicatore della nobil famiglia Carera, quale lo stesso giorno che si propose d’uscire cadde infermo e scopertasi in esso la peste inter e non molto morse, havendo prima predetto il giorno e l’ora della sua morte a fra Pietro da Casnico laico ben tre volte in tempo diverso. Il giorno che doveva morire si fece dare un habito netto per comparire anco con la veste esteriore monda alle nozze del suo celeste sposo, anzi portandogli il detto frate, avanti il suo passaggio da questa a miglior vita, da desinare gli fece ivi lasciare il manto e partirsi, dicendo volersi prima raccomandare al Signore, e in questo mentre che orava rese l’anima al suo creatore e passò a cibarsi de dolcissimi nettari del paradiso nel giorno ed hora predetta, che fu in venerdì a mezzo giorno; ritornato il fratello laico per vedere se havesse pranzato lo ritrovò già defunto. Anche i frati del convento di Vertova si distinguono nella cura degli appestati. Nel loro Libro cronologico si legge52: In quest’anno, alli due di luglio, si scoperse la peste in questa terra di Vertova, la quale in breve tempo, facendo grandissima strage, lasciò in questa terra solo un sacerdote che ministrasse i sacramenti agli infermi: laonde et esso e i deputati della terra facendo grand’istanza ai nostri frati per essere suffragati di sacerdoti in questa necessità, il padre guardiano, per libertà avuta dal molto rev. Padre provinciale (quantunque il bisogno non patisse dilazione) in virtù di un indulto impetrato da Sua Santità a questo fine per tutta la provincia, deputò il P. F. Nicolò d’Ardesio et il P. F. Carlo da Bergamo, sacerdoti di questa famiglia, acciò aiutassero il rev. Curato a ministrar i sacramenti agli infermi della terra. I due frati si prodigano nella cura assistenziale dal 24 luglio al 4 agosto, quando si ammalano; Fra Giovita da Saviore si offre spontaneamente di assisterli, ma dopo tre giorni muore Padre Carlo ed egli stesso, colpito dalla peste, muore dopo sei giorni. Il 22 agosto il contagio entra nel convento ed altri frati ne sono vittime. La peste, considerata dal popolo manifestazione della collera divina, scuote le coscienze e consiglia molti a far uso del proprio denaro per riconciliarsi con Dio, istituendo legati per celebrazioni di messe di suffragio. Destinatari di numerosi lasciti in natura o in denaro sono i Cappuccini per
52 - Franco Irranca, Vertova veneta (1427-1797), Vertova, Lediberggroup, 2010, p. 248.
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i quali è costante l’affezione degli albinesi53. Per soddisfare a tutte le celebrazioni richieste nasce dentro la parrocchia l’esigenza di un clero secolare più numeroso e più disponibile a promuovere il rinnovamento spirituale della comunità. Già dagli inizi del Seicento in alcune chiese parrocchiali del circondario di Bergamo erano state costituite delle Residenze Collegiate, composte da sacerdoti a cui era garantita una rendita, con l’obbligo di risiedere nella parrocchia, recitare quotidianamente l’ufficio divino in coro, celebrare le messe in soddisfacimento dei legati e partecipare collegialmente alle principali manifestazioni di culto. Anche ad Albino nasce una Residenza Collegiata per volontà di due mercanti arricchitisi con i commerci condotti in varie parti del Regno di Napoli. Sono Giambattista Carrara Polona, che poco prima di morire nel dicembre 1630 lascia 3000 scudi alla chiesa parrocchiale di Albino per l’erezione di una Residenza di sacerdoti, e Gerolamo Zenuchino Signori, che nel febbraio del 1631 è accolto come novizio nel convento dei Cappuccini di San Francesco di Caserta e lascia 4000 scudi per una Residenza composta da un prefetto e 5 sacerdoti da affiancare a quella del Polona; contestualmente dispone un lascito di 500 scudi per il convento dei Cappuccini di Albino, ai quali, dopo la sua professione, si devono consegnare i suoi quadri di pitture sacre per ornare la loro chiesa, la biancheria e i mobili che dovessero servire54.
Le confessioni dei laici Fin dalle origini le costituzioni dei Cappuccini, influenzate dall’orientamento eremitico, limitavano drasticamente il ministero delle confessioni, esercitato solo in caso di necessità. Non sia deputato alcuno per confessore, il quale non abbia almeno quarant’anni, e sia virtuoso e discreto, sufficientemente istrutto, si che sappia discernere tra peccato e peccato. Né si permetta ad alcuno il sentire
53 - Fra i più significativi: ASB, not. Giacomo Seradobati, cart. 6307, c. 154, 3 giugno 1627 (lascito di 2 some di frumento per 3 anni); not. Gio.Battista Seradobati, cart. 4996, c. 462, 17 luglio 1630 (lascito di 4 scudi); not. Simone Bianchetti, cart. 4721, c. 59, 11 luglio 1647 (celebrazione di 300 messe). 54 - APA, RZ.1.1.
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confessioni de’ secolari, eccetto per urgentissima e necessariissima causa da esser giudicata tale dal superiore, stando che ogni regola patisce eccezione .55. Il divieto di confessare i laici era stato formalizzato da Papa Gregorio XIV nel 1591, su richiesta dei superiori dell’ordine cappuccino, ma i Papi Clemente VIII e Paolo V lo avevano mitigato per singoli confessori e a favore di particolari penitenti56. Le costituzioni del 1608 erano esplicite: “S’ordina che non s’ammetta nella nostra Congregazione in tempo alcuno il confessare secolari di qual si voglia sesso, grado, stato, e condizione, come è consuetudine della nostra Religione, servato però l’ordine de’ Pontefici”. Questo aveva fornito la principale motivazione ai Francescani riformati per tentare di ottenere al proprio ordine la fondazione del convento di Albino. La proibizione di confessare però non è assoluta, ma rimessa alla volontà del Papa, che in casi particolari autorizza ad esercitare tale ministero. Per questo il Vescovo di Bergamo scrive alla Congregazione dei regolari nel 162457: “È anco qua un monastero de padri Cappuccini, i quali se bene non confessano ordinariamente, stimarei nondimeno molto a proposito l’opera loro, se a qualch’uno d’essi si concedesse di poterla essercitare”. Durante la peste del 1630 i Cappuccini sollecitano, in virtù dell’obbedienza, l’autorizzazione papale per l’esercizio delle confessioni a favore degli appestati, in deroga ai vincoli delle costituzioni. Malgrado la richiesta reiterata dei fedeli andasse in senso opposto, le costituzioni del 1643 rafforzano questa limitazione: Per schifare il pericolo dei sudditi e dei prelati, e per fuggire ogni occa-
55 - Zaccaria Boverio, Annali de’ Frati Minori Cappuccini, Venezia, appresso i Giunti, 1648. 56 - Mariano d’Alatri, I Cappuccini, storia di una famiglia francescana, Roma, Istituto storico dei Cappuccini, 1994. 57 - Ermenegildo Camozzi, Le istituzioni monastiche e religiose a Bergamo nel Seicento. Contributo alla storia della Soppressione Innocenziana nella Repubblica Veneta, II, in “Bergomum”, 1982, n. 1-4, p. 239.
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sione di distrazione di mente, onde ristretti e raccolti in Cristo possiamo senza intoppo più sicuramente correre alla celeste patria, s’ordina che non s’ammetta nella nostra Congregazione in tempo alcuno il confessare secolari di qualsivoglia sesso, grado, stato e condizione, come è consuetudine della nostra Religione58. La renitenza a confessare, in sintonia con le radici spirituali dell’ordine, rimane un fatto consolidato e periodicamente gli albinesi devono fare riferimento alla convenzione contestuale alla fondazione del convento di Albino per obbligare i Frati a prestarsi per questo servizio. Nel 1770 la richiesta procede dall’ambito amministrativo più ampio della Valle Seriana inferiore, il cui Consiglio degli Anziani prende atto con soddisfazione che il Padre Provinciale dei Cappuccini ha deputato alcuni Padri del convento di Albino a confessare. Ma siccome poi gli stessi Padri chiedono, con lettera di Padre Bernardo di Albino, di esserne dispensati, lo stesso Consiglio, con 7 voti a favore e uno contrario, si oppone a tale dispensa, invitando i Padri ad accantonare con cieca obbedienza le loro ragioni e a prestarsi all’adempimento del desiderio pubblico59. Ma pochi anni dopo, all’inizio del1788, la questione si ripropone: il conte Vincenzo Spini che, come i suoi antenati, continua ad esercitare il patronato sul convento, presenta al Vescovo Gian Paolo Dolfin il documento di erezione del convento del 1613 per ricordare l’obbligo dei Padri Cappuccini ad amministrare il sacramento della confessione a qualsiasi parrocchiano di Albino che lo richieda. Lo Spini asserisce che in parrocchia mancano i confessori secolari e chiede che i Cappuccini rispettino i patti. Il Vescovo con un decreto del 24 gennaio ordina al Guardiano ed ai suoi successori di esercitare il ministero delle confessioni per gli albinesi60. L’iniziativa del conte Spini sembra fosse stata presa senza consultare il parroco di Albino Don Antonio Zenoni, o contro il suo parere, perché il sacerdote il 10 febbraio indirizza una lettera al conte esprimendo la grande pena che la questione gli ha procurato, sia perché inattesa, sia per il rilievo che ha assunto, anche se lui ritiene di non aver mancato in nulla.
58 - Constitutiones Ordinis Fratrum Minorum Capuccinorum saeculorum decursu promulgata, vol. I, edizione anastatica a cura di Fidel Elizondo, Roma 1980, p. 603. 59 - APCL, Sezione 01, cassetto 01, cartella Albino. 60 - APCL, Sezione 01, cassetto 01, cartella Albino.
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Per tranquillizzare ogni cosa il parroco rimette tutto nelle mani dell’Arcidiacono Primicerio della cattedrale e dell’Arciprete Nicoli parroco di San Pancrazio. Il 16 febbraio il conte si presenta alla cancelleria vescovile per ottenere che il Vescovo mantenga l’ordinanza e il 5 marzo Pietro Carrara, sindaco di Albino, scrive al Parroco per rassicurarlo, sostenendo che il comune assumendo l’iniziativa sulla questione delle confessioni non ha mai avuto l’intenzione di offenderlo, affliggerlo o disprezzarlo. All’interno dell’Ordine Cappuccino l’atteggiamento circa il ministero delle confessioni è tutt’altro che concorde. Ancora nel 1780 Padre Viatore da Coccaglio scrive: Adesso dipende dal ministro e dal definitorio generale il fatto di aprire le porte per l’introduzione delle confessioni dei secolari. In questo momento è questione di veder se ciò convenga oppure no. Ma il problema si può risolvere facilmente, senza pericolo di errore. Si interroghino i conventi o le province che sono stati costretti ad ammettere le confessioni, e si chieda loro se la regolare osservanza ne sia stata avvantaggiata oppure sia caduta in un torpore mortale; se i nostri religiosi si siano conciliati una maggiore benevolenza da parte dei secolari […]; e, finalmente, se le elemosine siano ivi aumentate. Sono vecchio ed ho visto molte province onerate dal ministero delle confessioni, ed ascoltai lamentele di questo genere: Beate le province che tengono le porte delle chiese chiuse alle confessioni dei secolari! Dico perciò che è bene non assumere l’onere delle confessioni dei secolari; ma, se la necessità lo richiede, allora bisogna applicarvisi con tutte le forze dell’anima. Solamente alla metà del Settecento Padre Fabiano da Ferrara, mentre è ministro della provincia di Bologna, permette che tutti i Frati del convento di Lugo possano confessare i fedeli di ambo i sessi. Questo e altri fatti simili indicano che si sta andando verso una completa assunzione del ministero della riconciliazione. Comunque nel secolo XIX diventa per i Cappuccini una consuetudine, così che i Padri Capitolari nel 1847 non si ritengono più obbligati a rifarsi all’antica disciplina prevista dalla costituzione ancora in vigore, anzi stabiliscono che in ogni convento vi sia un sacerdote incaricato di ascoltare le confessioni degli uomini61.
61 - Mariano d’Alatri, I Cappuccini... cit.
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La riforma innocenziana Papa Innocenzo X, giudicando maturi i tempi per attuare una riforma globale della vita religiosa secondo le indicazioni tridentine, istituisce nel marzo 1649 la Congregazione sullo stato dei Regolari e invita i superiori dei conventi ad inviare tra gennaio e aprile 1650 una relazione sullo stato delle comunità secondo un formulario che è loro suggerito. L’anno seguente i guardiani dei conventi cappuccini del territorio di Bergamo (insediati a Diego Velázquez, Ritratto di Innocenzo X Bergamo, Albino, Almenno San Salvatore, Romano Lombardo, San Giovanni Bianco, Sovere, Trescore e Vertova) inviano alla Congregazione relazioni estremamente sintetiche, seguendo il medesimo formulario ed evidentemente concordate62: forniscono solo l’elenco dei religiosi, omettendo le notizie di carattere storico, gli accenni allo stato delle strutture conventuali, le indicazioni di carattere economico sulle entrate e le uscite, il calcolo della quota annua pro capite di spesa che per gli altri ordini mendicanti si aggirava fra i 36 e i 52 scudi. Di Albino si dice: Il convento non ha entrate annue, né uscite, né debiti, né crediti, né alcun peso ordinario né straordinario. Si mantiene di pura mendicità quotidiana, per le informationi havute e da noi diligentemente esaminate, le quali habbiamo trovate fedeli e degne di fede, stimiamo che dette limosine ordinarie vi si possano mantenere dodeci frati et al presente sono solo undeci, tutti necessari tra sacerdoti, chierici e laici: Padre Francesco da Bergamo guardiano, Padre Agapito da Bagnatica vicario, Padre Apollinare da Brembate, Padre Zefferino da Sovere, Padre Antonio da Villongo, Padre Paterno da Mezzoldo; chierici: Fra Lucido da Gorlago, Fra Antonio da Calcinate; laici: Fra Michele da Leffe, Fra Bernardo d’Albino, Fra Sisto da Romano. Alla Congregazione sono inviate relazioni di 835 conventi cappuccini. Nel 1652 il Papa emana la bolla Instaurandae regularis disciplinae con cui
62 - Ermenegildo Camozzi, Le istituzioni monastiche e religiose a Bergamo nel Seicento. Contributo alla storia della Soppressione Innocenziana nella Repubblica Veneta, I, in “Bergomum”, 1981, n. 1-4, pp. 248-258.
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sopprime circa un quarto dei conventi italiani, risultati troppo piccoli, ma poche sono le case cappuccine soppresse, dato che le costituzioni del 1608 già stabilivano un numero minimo di 12 frati per convento, anche se poi, nella prassi, questo criterio fu ampiamente disatteso. I conventi soppressi rimangono chiusi dal 1660 al 1667, quando il nuovo Papa Clemente IX ne permette la riapertura. Nel 1666, nel corso della visita pastorale del Vescovo di Bergamo, si rileva che i Cappuccini del convento di Albino sono saliti a 14.
“L’aiuto spirituale alla terra” Fin dagli inizi la predicazione fu l’attività specifica e preminente dei Cappuccini, anche se durante il primo secolo della loro storia i predicatori furono una minoranza, ma ben preparata e dalla vita esemplare. L’incarico di predicare era assegnato dal ministro provinciale, ma non di rado interveniva direttamente il ministro generale, soprattutto allorché si trattava di inviare predicatori fuori dal territorio della loro provincia. Le antiche costituzioni esortavano i predicatori a svolgere il loro compito non solo in Quaresima o in Avvento, ma anche in tutte le feste. La caratteristica della predicazione dei Cappuccini era il ritorno alla semplicità dell’annuncio Evangelico. Essi predicavano i comandamenti di Dio, il Vangelo e la Sacra Scrittura, riprendevano con forza i vizi ed esaltavano le sante virtù. Era uno stile di predicazione nuovo, condotto con tanto fervore, che faceva presa sul popolo, mentre a quel tempo le prediche toccavano per lo più questioni teologiche o letterarie. Uscendo i cappuccini in questo predicar la Scrittura con fervore, bisognò che tutti i predicatori d’altre religioni, se volevano esser accettati, s’accomodassero a predicar le Scritture sacre […], e lasciar tante questioni e sottigliezze e tante filosofie; altrimenti predicavano alli banchi. I cappuccini dunque diedero occasione che si predicasse la Scrittura […] e tanto piacque universalmente, che i popoli, come non sentivano predicar il Vangelo, non li volevano udire, e così furono sforzati tutti a lasciar le favole e predicare il Vangelo di Cristo, se volevano piacere63.
63 - Bernardino da Colpetrazzo, Historia ordinis fratrum min. capuccinorum, in Monumenta historica Ordinis min. capuccinorum, a cura di Melchiorre da Pobladura, Assisi-Roma 1939-1941.
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Per rendere duraturi i frutti della predicazione, i Cappuccini diffusero tra il popolo la pratica dell’orazione mentale64. Il tempo forte della vita di pietà dei Cappuccini era costituito da due ore di meditazione giornaliere, da fare comunitariamente, in assoluto raccoglimento, a porte chiuse e luci spente. La meditazione del mattino era preceduta dalla recita delle litanie dei santi, mentre quella della sera era introdotta dalla recita delle litanie della Madonna. Fin dal secolo XVII, alla meditazione o riflessione personale si premetteva una lettura che di preferenza riguardava la passione di Cristo e i novissimi65. Fulcro della pietà dei Cappuccini era la passione del Signore, ma ciò non escludeva altri momenti della vita di Gesù, quali la sua infanzia e la presenza nell’Eucarestia. I frati orientavano la pietà popolare soprattutto verso Cristo, uomo dei dolori. A questo proposito si servivano soprattutto del pio esercizio della Via Crucis, spesso celebrato all’aperto, per l’impossibilità di accogliere nelle chiese la moltitudine dei fedeli. I Cappuccini valorizzavano in modo particolare la celebrazione delle Quarantore per indurre gli animi alla penitenza e ristabilire la pace mediante il ricordo della passione del Signore. In via ordinaria la si praticava verso la fine della Quaresima, dalla domenica delle Palme al mercoledì Santo. L’Eucarestia rimaneva esposta per lo spazio di quaranta ore continue tra addobbi, luminarie, canti e sermoni ad ogni ora per le varie categorie dei fedeli. Le Quarantore avevano il ruolo di missioni popolari. Per favorire il rinnovamento della pratica cristiana, a conclusione dei loro corsi di predicazione i Cappuccini erano soliti erigere delle congregazioni con finalità non solo devozionale (preghiera mentale, culto eucaristico, frequenza dei sacramenti), ma anche di carattere sociale, quali la cura degli infermi negli ospedali, l’assistenza ai carcerati e il soccorso ai poveri. Siccome ogni predicatore era accompagnato da un frate, spesso, specialmente durante la quaresima, i conventi rimanevano parzialmente vuoti. Perciò il capitolo generale del 1671 ordina ai ministri provinciali di non
64 - Fra Mattia Bellintani da Salò, Prattica dell’oration mentale, Venezia, Pietro Dusinelli, 1607. 65 - A tale effetto furono scritti appositi libri, tra i quali ebbero un grandissimo successo la Vita Christi di Martino da Cochem e, nella prima metà del settecento, la celeberrima opera di Gaetano Maria da Bergamo dal titolo Pensieri ed affetti sopra la passione di Gesù Cristo per ogni giorno dell’anno (Bergamo 1733), presto tradotta nelle principali lingue europee e ristampata numerosissime volte.
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fornire per la quaresima un numero troppo elevato di predicatori, per evitare che ne soffrisse l’ufficiatura del coro e della chiesa66. Questo servizio spirituale ha lasciato innumerevoli piccole tracce lungo i secoli nei documenti che segnalano l’intervento dei Cappuccini di Albino per animare le pratiche religiose locali. Nel 1659 il verbale della visita pastorale alla parrocchia di Albino del Vescovo Gregorio Barbarigo conferma che i Padri Cappuccini “sono di molto aiuto spirituale alla terra”. La Misericordia di Albino, che ha l’onere di far celebrare un numero consistente di messe richieste dalle donazioni e dai legati, nel 1661 propone ai Cappuccini di celebrare nella chiesa parrocchiale 467 messe, per un compenso di 100 scudi. La proposta intende sovvenire i frati per le urgenti riparazioni alle strutture del convento fortemente danneggiate dal terremoto del 22 marzo, come ricorda Donato Calvi67: Giorno di venerdì sempre memorando in cui la patria nostra fu da fierissimo terremoto crollata, che cagionò nel territorio moltissimi danni: caduta del refettorio de Padri di Montecchio con morte d’alcuni, conquassamento del Convento de Cappuccini d’Albino, aperture voraginose della terra, staccamento de Monti dal luogo loro con altre rovine. Fu il terremoto sentito non solo hoggi, ma anco in altri giorni antecedenti e susseguenti, ma l’hodierno riuscì più de gl’altri spaventoso. I frati chiedono al cardinale Barbarigo, Vescovo di Bergamo, di concedere che le messe proposte dalla Misericordia si possano celebrare nella chiesa del convento e ne ottengono licenza il 31 maggio 1661, così possono far fronte ai restauri68. Il 27 luglio 1699 Tommaso Giannini, che ha assistito il Parroco di Albino nella verifica della clausura delle monache carmelitane di Sant’Anna, invia al Vescovo una relazione69 nella quale fra le varie informazioni segnala:
66 - Mariano d’Alatri, I Cappuccini, storia di una famiglia francescana, Roma, Istituto storico dei Cappuccini, 1994. 67 - Donato Calvi, Effemeride... cit., vol. I, p. 306. 68 - ASDB, Parrocchia S.Giuliano di Albino, fasc. Convento Frati Cappuccini, 31 maggio 1661. 69 - ASDB, Monasteri soppressi, Monastero carmelitano di S.Anna di Albino, varie.
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L’esposizione del Venerabile nella chiesa dei Padri Cappuccini di Albino non poteva riuscire più fruttuosa. Il discorso di uno di quei Padri incitò l’udienza a pregar Dio perché dia vigore alla grande opera in cui Vostra Signoria Illustrissima è impegnata. Vi sono 17 Padri Cappuccini che animati dalla gran carità del Padre Guardiano porgono incessanti voti all’Altissimo per la sua persona. Dopo la morte della contessa Anastasia Spini70 nel 1714 si apre il suo testamento che assegna una casa e 300 scudi alla Fabbriceria della chiesa parrocchiale di Albino, con l’onere di investire la somma in una idonea proprietà agricola, utilizzando i proventi per pagare in perpetuo il predicatore quaresimale nella chiesa parrocchiale di Albino, a suffragio dell’anima sua e dei suoi eredi. La contessa dispone che il predicatore sia scelto ogni quattro anni tra i soggetti virtuosi, riservandone due ai Padri Cappuccini, uno ai Carmelitani e uno ai Riformati o ad un altro ordine più apprezzato. Un consulto del canonico Martin Antonio Guerini sancisce che la facoltà di eleggere il predicatore per la Quaresima, a seguito del testamento di Anastasia, è dei signori Spini che possono chiedere agli ordini religiosi il soggetto a loro gradito71. Con testamento dell’11 ottobre 1731 il conte Giovanni Spini affida al fratello le sue intenzioni pie: Obbligo il detto sig. Conte Carlo mio fratello et herede come sopra a dispensar in termine d’anni quindeci dopo mia morte a poveri bisognosi del Comune Maggiore d’Albino scudi mille e cinquecento da lire 7 l’uno, raccomandandogli di far partecipe de tali limosine anche il convento de Reverendi Padri Cappuccini di questa terra d’Albino e d’impiegarne parte, anco in collocamento in matrimonio di povere figlie di questa cura d’Albino, massime le pericolose, o già pericolate.
70 - Anastasia era figlia di Giovanni fu Bernardo Spini, a cui il 15 novembre 1687 il Senato Veneto riconosce il titolo di conte, avendo egli acquistato il feudo di Gattara Maiocca dalla Corona di Spagna, con l’esborso di 500 lire (Libro d’oro de’ veri Titolati della Serenissima Repubblica di Venezia, c. 221). 71 - APA, Serie V.1.1.41. Al testamento del 15 gennaio 1689 negli atti del notaio Andrea Baglioni seguono due codicilli del 5 dicembre 1691 e 19 gennaio 1702 e un capitolo del 6 aprile 1710.
Nella pagina a destra: dipinto con Francescani, fra cui S. Bernardino da Siena, nel Battistero della Prepositurale di S. Giuliano. (Foto di Maurizio Pulcini)
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Ai Cappuccini lascia un appezzamento di due pertiche e mezza di terra attigua al convento72. In occasione della visita pastorale del 1779 alla parrocchia di Albino, il Vescovo Giampaolo Dolfin rende visita al convento dei Cappuccini. Finita la funzione della Cresima se ne andò, come aveva preannunciato, alla chiesa del convento dei Cappuccini di Albino, avendo già il tesoriere versato al Presule l’elemosina dei frati secondo la consuetudine. Baciata la croce presentata dal Padre guardiano del convento, accolto sotto l’ombrello, dopo essersi asperso, fu incensato alle porte, e compiute tutte le altre cerimonie, dall’altar maggiore benedisse il popolo e, seduto sotto il baldacchino, ricevette dai frati il bacio della mano. Alzatosi recitò il requiem per i defunti e, visitato il tabernacolo, adorò il Venerabile come pure le reliquie, vide il deposito dell’olio per gli infermi e delegò il Padre guardiano a fare il resto. Fatta l’orazione e consultati il Guardiano ed i frati, uscì con la sua comitiva dalla chiesa e dal monastero e, preceduto da numeroso clero, andò alla casa parrocchiale, ove, recitati i vespri, cenò. Il Parroco informa il Vescovo che il convento ha l’obbligo di mantenere in perpetuo un predicatore che tiene il sermone almeno due volte al mese, cioè la prima e terza domenica, nel periodo compreso fra la festa di Pentecoste e la terza domenica di agosto. E ciò per convenzione fatta con la comunità nel 1613. Il Comune invece fa predicare a sue spese tutte le feste di Avvento e le tre feste del Natale73.
La crescente pressione statale sui conventi La grande carestia degli anni 1764-1766 mette in evidenza le disfunzioni strutturali nel campo dell’assistenza pubblica; le istituzioni ecclesiastiche si sono ingigantite polarizzando su di sé buona parte delle risorse che potrebbero essere orientate per le istanze assistenziali di una popolazione provata dalla penuria.
72 - ASB, notaio Giuseppe Noris, cart. 5144. 73 - ASDB, Visite Pastorali, vol. 102, pp. 15, 83.
A sinistra: dipinto con Cappuccini Missionari nella Prepositurale di S. Giuliano. (Foto di Maurizio Pulcini)
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Il controllo sui religiosi da parte delle magistrature veneziane si fa sempre più stringente, con provvedimenti anche di carattere costrittivo, come il divieto di accettare novizi, la riduzione delle funzioni religiose e delle solennità esterne, l’obbligo di render conto al magistrato dell’amministrazione conventuale, con esclusione perpetua dalla responsabilità di superiore per i religiosi che avessero prodotto un bilancio passivo. Ne è un esempio la lettera datata 30 luglio 1766 del Collegio dei 10 Savi sopra le decime a Rialto, con cui si chiede al sagrista della chiesa dei Cappuccini di Albino di fornire l’elenco degli obblighi di messe degli ultimi cinque anni, da chi siano officiate, il numero delle messe avventizie e con quale elemosina siano celebrate74. Il 3 dicembre 1764 Venezia prescrive il numero massimo di membri per ogni casa religiosa; il 20 novembre 1767 sospende le vestizioni dei religiosi mendicanti e inizia la soppressione dei conventi che non hanno reddito o questue sufficienti per 12 elementi. La fiera reazione di Roma non vale a far revocare quel dispositivo vessatorio.Venezia risponde con ampie proteste di fedeltà e di zelo per il bene comune delle anime. L’anno successivo concede le vestizioni, ma non prima dei 21 anni, la professione religiosa non prima dei 25 e pochi anni dopo la vestizione a 16 anni e la professione solenne a 21. Le autorità civili degli Stati dell’Italia settentrionale alle prese con difficili situazioni di bilancio avviano una politica di soppressione dei piccoli monasteri per incamerare nei beni demaniali le loro proprietà immobiliari75. Nel 1769 il governo della Repubblica di Venezia comunica al ministro provinciale che i conventi cappuccini devono essere ridotti da 41 a 21 e il numero dei frati portato dagli attuali 1306 a 703. Le misure governative, sbandierate come provvedimenti di riforma, colpiscono tutti gli ordini religiosi, possidenti o mendicanti, senza distinguere se vivano una vita osservante o rilassata. I vari governi sono interessati ai riflessi patrimoniali e sociali degli istituti religiosi, ma prevedono un trattamento di riguardo per chi è impegnato nella cura delle anime sotto la guida dei vescovi. Il 30 agosto 1769 il Senato obbliga alla chiusura il convento di Vertova e nel giro di poche ore Padre Gianantonio da Vertova deve andarsene con tutti i confratelli. Alcuni trovano rifugio presso il convento di Bergamo, altri si fermano in quello di Albino. Nel Libro cronologico del convento76 è scritto che
74 - APCL, Sez. 01, cassetto 01, Albino (segnatura provvisoria). 75 - R. Rusconi, Confraternite, compagnie e devozioni, in Storia d’Italia. Annali 9. La chiesa e il potere politico, Torino, Einaudi, 1986. 76 - APCL, ms, A 317. Franco Irranca, Vertova veneta (1427-1797), Vertova, Lediberggroup, 2010, p. 406.
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un ufficiale de corazzieri, entrato con 7 militi in convento con decreto della Repubblica, intimò lo sgombero a tutti i religiosi, obbligandoli a dipartirsene immediatamente, cosa che avvenne, eseguita sotto gli occhi dell’ufficiale ed il giorno 7 del seguente settembre anche i loro mobili eran già trasportati ad Albino, meno quelli reputati necessari dal magistrato per officiare la chiesa... Il convento di Vertova, messo all’incanto, non trova acquirenti. Cinque degli undici conventi della custodia cappuccina bergamasca sono soppressi e tutti i religiosi che non erano nati sudditi della Serenissima sono espulsi; tuttavia nel 1773 l’amministrazione dell’Ospedale Grande di Bergamo chiama i Cappuccini per la cura spirituale dei degenti e, attendendo con zelo all’adempimento dei loro doveri, vi sono rimasti fino ai nostri giorni. Cade sotto questi provvedimenti della declinante Repubblica di Venezia anche il convento carmelitano della Ripa nel 1788.
L’ossequio al Beato Lorenzo da Brindisi Il sommo pontefice Pio VI nel 1784 innalza all’onore degli altari il Beato Lorenzo da Brindisi77, che era stato Vicario Generale dei Cappuccini dal 1602 al 1604: in tutte le chiese della diocesi di Bergamo si festeggia con tridui solenni la beatificazione. Anche il convento di Albino decide di onorare il nuovo santo. Essendo ne comizi dell’anno scorso stato eletto in Provinciale il Reverendo Padre Bernardo d’Albino, ed in Guardiano pure d’Albino il Reverendo Padre Claudio da Nembro d’unanime consenso colla Famiglia, pensarono essi di rendere i dovuti ossequi al nuovo Beato in guisa di non essere inferiori all’altre Famiglie. Fu perciò stabilito il giorno primo secondo e terzo del mese d’agosto 1784, cadeva la domenica lunedì e martedì, comprendendo così la loro Festa della Porziuncola78.
77 - Giulio Cesare Russo nasce a Brindisi il 22 luglio 1559. Rimasto orfano, a 14 anni si trasferisce presso uno zio a Venezia, dove il 18 febbraio 1575 veste l’abito dei Minori Cappuccini con il nome di fra Lorenzo da Brindisi. È ordinato sacerdote nel 1582. Ricopre numerosi incarichi nell’ordine fino a diventare vicario generale nel 1602. Muore nel 1619. È beatificato da papa Pio VI nel 1783 ed è canonizzato da papa Leone XIII nel 1881. Nel 1959 papa Giovanni XXIII lo proclama dottore della chiesa col titolo di doctor apostolicus. 78 - APCL, cart. 11, fasc. 10.
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Si progetta e si mette in atto una festa grandiosa, curata in modo minuzioso in tutti i suoi apparati e in tutte le sue fasi, descritte con esuberante entusiasmo79. Alla festa partecipa per devozione o per curiosità un numero sorprendente di persone d’ogni ceto. Qual poi fosse il concorso a questa si strepitosa beatificazione ogn’uno può immaginarlo, la stagione d’estate, i giorni lunghi, stagione che non lasciava temer pioggia, la sicura serenità, la fama dell’apparato e delle musiche, il giorno della Porziuncola che da sé sola trae sempre gran concorso, insomma la divozione e la curiosità, e tutt’insieme attivò un tal sorprendente numero di popolo d’ogni classe sesso e grado che il simile non v’è memoria ne' più vecchi siasi più veduto in Albino, in nessuna occasione, pieni tutti i siti vicini e lontani dal convento, non che la chiesa, piazza e claustri, piene furono le piazze e strade, e piene tutte le osterie, piene tutte le case de particolari di loro forestieri parenti ed amici, che se alcuni non vollero concorrere, forse assai più ad alloggiarli ed alla mensa. Il concorso continuo della gente a cavallo o in legni non può abbastanza spiegarsi, fu continuo giorno e notte lo stridere delle ruote e la longa contrada di Nimalbino fu vista da capo a fondo tutta infilata di legni. Nulla successe però pel criminale: alla pubblica quiete giovò assai un distaccamento di croati a cavallo80 fatti venire da padri cappuccini sia per decoro della funzione che per ovviare ogni inconveniente. Fu, è vero, eccessivo calore, ma nessuno se non per esso ebbe occasione non concorrere, perché il tempo era già da un mese avanti ostinato nella serenità che accompagnò la funzione, e seguitò fin dopo due ottave. Per l’occasione è allestito un apparato scenografico eccezionale: un arco trionfale è collocato all’ingresso della strada che porta al convento e nel suo frontespizio, a caratteri cubitali, è scritta la dedica al Beato Lorenzo; una teoria di archi lo segue, tra i quali sono tesi panni di più colori ricamati d’oro e d’argento, col soffitto tutto coperto di bianco e turchino, così da formare un’unica galleria per riparare dai cocenti raggi del sole. Sulla piazza antistante la chiesa è allestita una struttura architettonica con colonne e statue, all’interno della quale sono collocati medaglioni con episodi della vita del Beato.
79 - Nel testo sono riportati solo alcuni passaggi della lunga relazione, atti a rendere conto dell’enorme sforzo decorativo profuso. 80 - Soldati mercenari di cavalleria leggera.
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Nei pressi è creato un giardino con viali spaziosi, pergolati, laghetto, vasi di fiori e di agrumi e al centro la figura del Beato Lorenzo in atto di spiegare le controversie della fede agli eretici. Aperta era la cinta nella parte opposta, quasi contigua una caffetteria con varie ale, dalla quale godeasi la prospettiva del centro del giardino v’erasi formata, rendeva vaghezza, ingrandiva lo spazio, traeva popolo al passeggio del giardino, che accresceva assai la sua vaghezza in vederlo sempre passeggiato da ogni sorte di gente, e specialmente civile e nobile, oltre di che giovava a portare in parte la piazza nel massimo color del giorno, tralasciando il bel comodo dei rinfreschi; ad ogni ora illuminato, la sera faceva maggior comparsa. Davanti all’ingresso della chiesa un atrio ottagonale è tappezzato di damasco cremisi con piedestalli e statue di marmo di Carrara rappresentanti l’Amor di Dio, la Pace, la Religione, lo Zelo da cui si esce a destra verso il giardino e a sinistra in una galleria di quadri raffiguranti storie, battaglie, paesi, prospetti, ritratti. Prima che entriamo in Chiesa diamo uno sguardo in fondo della piazza, ove nel campo contiguo eretto vedeasi un anfiteatro rotondo ripartato a nicchie, a pilastri; ornavano quelle quattro grandi obelischi posti su doppi piedestalli, questi avevano vari fatti del Beato a chiaro oscuro; in faccia stava un prospetto ornato con un grande e longo cartellone latino qual diceva: Cittadini albinesi e voi altri che abitate la regione del Serio accorrete tutti e venerate con animo devoto Lorenzo da Brindisi sommo presule della famiglia cappuccina annoverato nel fasto dei Beati, che i romani pontefici, i cesari, i re e tutti i popoli colmarono di onori81. Il tutto è combinato per provocare l’ammirazione dello spettatore, confuso dalla grandiosità che si presenta alla vista. Qui dunque stando s’aveva a destra in fuga la prospettiva del portico laterale alla piazza, a sinistra la fuga dei chiostri del convento, che terminava in una lontananza di verdure, ed in facciata s’aveva la vista della
81 - Oppidani Albinates vosque caeteri qui oram Serii colitis accurrite universi Laurentium a Brundusio Capuccinorum Familiae summum praesulem, quem Romani Pontifices, Caesares, Reges, Populique omnes honoribus cumularunt, in Beatorum fastos relatum, devoto animo veneramini.
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galleria nella qual siamo indi l’atrio innanzi la chiesa, poi il nobilissimo pergolato di verdura del giardino, che terminava collo sforo d’un ampio rastellone, e tutte queste fughe in linea retta, longhe in guisa di non conoscere le persone da un capo all’altro. Tutto l’interno della chiesa è riccamente decorato con architetture, ornati, emblemi, pitture, festoni, medaglioni. Dalle lunette o vele sopra li balconi pendeano rosoni doppi decorati a bronzo dorato, da quali pendeano cascate di cipressi fasciati alla greca, che poggiando sull’estremo della rotondità del cornicione l’abellivano e lo religavano. Con bone grazie di raso cremese a falde ricche e rincrespate erano compiti li voltini, formati dal già detto cornicione delle finestre tutte e con tende o coltri candide pendenti, ma aperte in mezzo veniva temperata l’acuta vista dell’aria. Ne quatro campi laterali alle cappelle vi s’erano formate altrettante orchestre uguali, ornate in guisa come se fossero state di vero moderno intaglio, li di cui specchi maggiori avevano pittoricamente intruppati e religati instromenti musicali a chiaroscuro d’oro, e i specchi minori intrecciati di piccoli e gentili rami d’alloro minore o sia regio in nastri d’argento; il sottinsù di dette cantorie era a rosoni antichi. Non manca un omaggio ai pontefici che hanno fatto la fortuna del Beato. Le lunette poi sopra le cappelle, che passavano su nel volto, venivano compite ed occupate da due medaglioni di rilievo: uno rappresentante l’immagine di Pio VI, che l’elevò alli altari, e l’altra di Paolo V che lo spedì Legato in Germania; erano ornati all’intorno con festoni di verdura che finivano col poggiare sull’architrave della sottoposta cappella. L’altri due spazi che raccolgono questo di mezzo s’erano ugualmente ornati con diverso disegno, ma ambidue simili in tutto. Una ben grande dorata medaglia di pittura a fresco assai vaga, con angeli in cielo e fra lucenti nubi in atti di suonare instromenti musicali, occupava il mezzo, contorniata elegantemente alla greca, e i due spazi laterali dall’estremo della gran medaglia sino al fine del declivio del volto fu ornato con un massiccio mosaico a cassettoni quadrati; nel fondo d’ogn’uno formatavi una rosa di otto foglie d’alloro con bottolo d’oro. Nel presbiterio, “meravigliosamente ornato” con varie figure simboleggianti il Sacramento, si concentra lo sforzo decorativo convergente sulla statua del Beato. 74
S’ergevano otto colonne corintie d’argento, fasciate a rami d’alloro adorato in parte, sicché formavano come una fasciatura lucente d’oro e smeraldi ed era riuscito così brillante quest’ornamento, che l’occhio non si saziava mai per quanto vi si tenesse fisso. Le basi di capitelli d’oro minutamente lavorati le rinchiudevano, una cornice architravata posava sulle dette colonne, tra le arcate stavano su suoi zoccoli quattro statue di Carrara intieramente isolate, rappresentanti quattro virtù del Beato Lorenzo con i geroglifici d’oro in mano. Il fondo dietro esse colonne era di un vero color di rosa, qual faceva bonissimo effetto all’occhio, sbattendo assai graziosamente l’argento delle colonne, il bianco delle statue; pendevano dal sottinsù dell’architrave alcuni secchi d’argento pieni di fiori naturali. Un padiglione di tutto oro sostenuto da una brillante corona d’intaglio novamente adorata e cascante con nobilissimi pieghi artificiali, con angeli che ne sostenevano le falde legate in cordoni e mazzi d’oro, accoglieva la statua del Beato in abito sacerdotale con ricchissima pianeta elevato su nobile piedestallo; a lato d’esso a mezz’aria stava come in lucida nube il Bambino Gesù al quale piegava la faccia come in estasi: veniva così rappresentato il fatto occorsoli nell’apparizione. Il cronista appagato per il notevole sforzo descrittivo sostenuto, si accommiata con un giudizio finale di particolare soddisfazione. ...tutto era grande ricco e nobile e tutto confluiva a compimento dell’apparato quale di grado in grado andava sempre accrescendo a proporzione che s’avanzava al luogo ove era collocata la statua del Beato. S’era studiata una continuata diversità di ornamenti, salva sempre l’unità del pensiero, sicché tutto era unisono e tutto vario, tutto insieme adunque prendendo l’esterno e l’interno, e unite tutte le diverse parti formava un vero oggetto d’ammirazione e di sorprendenza, e a tutti sembrava uno spettacolo in nessun luogo mai visto. Spiccava la ricchezza e la magnificenza, unita alla povertà e semplicità cappuccina; nulla di confuso, nulla di vuoto, tutto insomma grandioso e semplice.
La soppressione napoleonica Nel 1796 il Direttorio della Repubblica Francese, per rifornire l’erario esausto, affida la campagna d’Italia a Napoleone Bonaparte, che la conduce con rapidità e fortuna e, mediante i sequestri nei territori da lui conquistati, fa pervenire a Parigi e alle truppe sul Reno immense somme 75
di denaro e beni di ogni genere. Con l’arrivo dei francesi cessa il dominio di Venezia: i funzionari veneti lasciano Bergamo il 13 marzo 1797. Nasce la Repubblica Bergamasca che dura poco più di tre mesi, poi si integra nella prima Repubblica Cisalpina che instaura il centralismo statale, lasciando Bergamo capoluogo del Dipartimento del Serio, ma dipendente da Milano. La perdita dell’autonomia provoca notevole scontento nelle valli che da secoli avevano difeso la loro indipendenza dalla città. Nel 1797, durante l’occupazione francese, la famiglia Bettonagli acquista il convento di Vertova con l’intento di restituirlo ai Cappuccini, cosa che appare possibile nel 1799 con la cacciata dei Francesi da parte dell’esercito austro-russo. Ma il tentativo di ritorno di otto frati nel corso dell’anno è definitivamente vanificato dal ritorno dei Francesi, i quali ripristinano la Repubblica Cisalpina. La seconda Repubblica Cisalpina, divenuta nel 1802 Repubblica Italiana e nel 1805 Regno d’Italia, subisce lo stretto controllo napoleonico, che introduce nella legislazione locale radicali cambiamenti basati su criteri di laicizzazione e di efficienza. Il clero e le strutture ecclesiastiche sono sottoposte allo Stato e i rapporti della Chiesa con le masse popolari e la società civile sono rivoluzionati. Ai comuni è affidata l’istruzione primaria e l’assistenza pubblica; si creano i registri dello stato civile fino allora tenuti dal clero. Si riducono gli ordini religiosi, si diminuiscono i seminari e si limita il numero dei seminaristi, si sopprimono le diocesi con poche parrocchie, si codifica il matrimonio come contratto privato risolubile, si tutela l’autorità civile contro ogni tentazione temporale delle gerarchie ecclesiastiche. Le suore sono indirizzate al servizio negli ospedali e negli istituti di beneficenza laicizzati. Con l’intenzione dichiarata di togliere i privilegi ecclesiastici in nome della libertà e dell’uguaglianza si recide il legame del clero secolare con la Corte romana; agli ecclesiastici è sottratta la responsabilità della gestione dei beni patrimoniali e i bilanci delle parrocchie stesse sono sottoposti a stretto controllo pubblico. Lo Stato impone sempre nuove tasse e incamera i beni delle corporazioni religiose soppresse. Tutti i conventi cappuccini sono soppressi, tranne quelli di Bergamo, di Albino e di Romano. Nel 1799 il commissario di governo, per accertarsi che le comunità religiose non si ingrandiscano, invia ai superiori un questionario, a cui il Padre Guardiano del convento di Albino così risponde: 76
Cittadino Commissario In sequela dell’ordine inoltratomi prontamente rispondo Qui né è stato, né abbiam di presente noviziato, dal quale abbiamo a rimandare novizi, né si aprirà in avvenire. Nessuno in conseguenza ha qui fatto la professione nel periodo indicato. Qui non abbiamo individui forastieri. Venuto in tempo della Cisalpina, prima del succeduto Governo Austriaco fra Ermenegildo da Camerata laico professo nella provincia di Genova, di là partito per il cangiato Governo, con carta espressa del Commissario di quel tempo, venne affigliato nei conventi della Cisalpina. Questo è quanto e posso e debbo rispondere in attestato del mio rispetto all’amministrazione Governativa nell’atto che mi sottoscrivo. Salute e venerazione. Fra Giuseppe Gaetano da Bergamo guardiano82. Negli elenchi del clero secolare e regolare della diocesi di Bergamo dell’anno 1801 è annotato che nel convento dei Padri Cappuccini di Albino risiedono 8 religiosi. Le autorità governative promuovono una raccolta di informazioni utili per individuare quali conventi debbano essere sottoposti alla programmata soppressione. Il 10 luglio 1802 il Padre Guardiano Giuseppe Gaetano da Bergamo invia al Prefetto del Dipartimento del Serio il seguente rapporto sul convento dei Padri Cappuccini di Albino83: Il convento di Albino è intitolato a San Francesco ed è dell’Istituto dei Cappuccini. Compongono la famiglia: sacerdoti: Padre Giuseppe Gaetano da Bergamo guardiano d’anni 57, P. Ignazio da Clusone vice d’anni 55, P. Lauro da Gazzaniga d’anni 70, P. Giacomo da Valtorta d’anni 69, P. Lorenzo da Clusone d’anni 67, P. Ferdinando da Lovere assistente all’Ospedale d’anni 66, P. Gaetano da Levate d’anni 58, P. Barnaba da Caporgnatica d’anni 30, P. Mauro da Bergamo d’anni 30, P. Gerolamo d’Alzano d’anni 29;
82 - ASM, fondo di Religione, Soppressioni napoleoniche. 83 - ASB, Dipartimento del Serio, Culto, cart. 812.
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laici professi: Fra Angelo da Redona d’anni 76, F. Zefirino da Nembro d’anni 63, F. Angelo da Cologno d’anni 36, F. Evangelista da Rosciate terziario non professo inserviente al convento d’anni 30. P. Giacomo da Valtorta fu concentrato questo convento d’ordine del Governo all’epoca della soppressione del convento di San Giovanni Bianco. I Cappuccini hanno per obbligo essenziale l’osservanza dei tre voti solenni di povertà, castità e obbedienza e della regola di San Francesco. Prestano al pubblico il loro servizio spirituale con l’assidua officiatura della chiesa, l’assistenza al coro, e di giorno e di notte, con ascoltare le confessioni e col prestarsi alla predicazione e all’assistenza dei moribondi, ogni qual volta sono richiesti. Quanto poi alla cura delle anime nessun convento di questa Provincia ha precisamente un tal carico, ma il Provinciale spedisce dei Cappuccini missionari nella Rezia, dove sono a carico di tutto il corpo della Provincia Ticinese, parrocchie volgarmente dette missioni amministrate dai Cappuccini. In questo convento non c’è incombenza di pubblica istruzione, ma in ordine al servizio degli ospedali, sta nel Provinciale il levare da questo e dagli altri conventi gli assistenti agli ospedali di Bergamo, di Crema e di Verola o (alternativamente con altri ordini) di Brescia e in tale oggetto sogliono essere gli impiegati 14, uno dei quali attualmente appartiene a questo convento. In questo convento non vi è studio. Non esiste che una piccola libreria senza alcuna scientifica suppellettile. Per ciò che spetta ai sacramenti e ai sacramentali i Cappuccini sono soggetti ai rispettivi vescovi; per ragioni d’Istituto hanno relazione in spiritualibus col m. r. Padre Generale, che d’ordinario risiede a Roma. L’elezione del Provinciale e dei quattro definitori appartiene al capitolo, che vien formato dai superiori dei conventi e da altri locali; l’elezione poi dei guardiani spetta al Provinciale unitamente ai definitori. Le professioni si fanno al corpo nazionale della Provincia ossia della Congregazione e non alle Cure in particolare. Le visite si fanno dal Provinciale, essendo ancora incombenza annessa al mio ufficio e d’ordinario si fanno nel primo e terz’anno del suo governo. Un netto stacco anagrafico esiste nel convento di Albino fra un gruppo più numeroso di frati anziani e un gruppo più ristretto di giovani: pare sia l’effetto delle restrizioni nell’accettazione di novizi imposto da Venezia, che aveva avuto la sua efficacia iniziale, ma si era poi allentato nelle ultime fasi di decadenza della Repubblica. Nel 1805 il Comune di Albino, informato dell’intenzione governativa di sopprimere il convento, si affretta ad indirizzare, anche a nome dei conti 78
Spini, una lettera al Ministro per il Culto di Milano per chiedere la conservazione del convento dei Cappuccini di Albino, segnalando che, in caso di soppressione, gli immobili dovrebbero tornare alla famiglia dei fondatori. Anche Vincenzo, Pietro, Filippo, Marc’Antonio, Pietro Andrea e Anastasia Spini scrivono al Prefetto chiedendo di mantenere il convento di Albino, perché i loro antenati l’hanno fondato per il bene della comunità84. Nonostante il Vescovo in data 9 febbraio 1810, inviando ai consiglieri di Stato, tramite il prefetto del Dipartimento del Serio, l’elenco dei conventi esistenti nella sua diocesi, asserisca che il convento di Albino è di proprietà Spini, la soppressione di tutti i Conventi Cappuccini è decisa con regio decreto 25 aprile emanato dal Sovrano Napoleone, primo imperatore dei Francesi e Re d’Italia. Il provvedimento è dirompente: non si tratta soltanto della soppressione di una istituzione locale per incamerarne i suoi beni, ma è l’annullamento della scelta di vita dei religiosi con la cessazione dell’ordine di appartenenza, la riduzione allo stato laicale e il ritorno al luogo di origine. Per far fronte alle necessità della nuova condizione di vita, agli 11 religiosi del convento di Albino è assegnato un sussidio di Cippo stradale all'imbocco di Albino con la 2.200 lire85. scritta: Albino Cappuccini. Il successivo giovedì 10 maggio alcuni mi- (foto di Maurizio Pulcini) nistri di finanza, inviati dal Prefetto di Bergamo, vengono al convento di Albino per mettere in atto le formalità del decreto di soppressione. Il verbale dell’operazione registra nei minimi dettagli tutta la procedura.
84 - ASB, Dipartimento del Serio, Culto, cart. 813, 23 giugno 1805. 85 - ASB, Dipartimento del Serio, Culto, cart. 812.
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Regno d’Italia IX Dipartimento del Serio in Albino - Distretto della Nesa - Cantone I Questo giorno di giovedì 10 maggio 1810 alle ore sei pomeridiane. In conseguenza dell’incombenza di cui io sottoscritto fui onerato con Lettera Prefettizia del giorno 9 maggio corrente, mi sono di giorno portato al convento delli Padri Capucini d’Albino unitamente al Signor Antonio Carpani impiegato in questa Regia Finanza, ed al Signor Pietro Gotti perito ragatiere, ed ivi, a senso delle istruzioni portate dall’ossequiata Lettera Prefettizia, suddetta ho fatto chiamare il Padre Guardiano, per nome Domenico al secolo ed Ignazio Pedretti in monastero, nativo di Clusone, incombendo allo stesso in nome della Prefettura di radunare i religiosi del di lui convento, avendo io da comunicarle delle ministeriali disposizioni. Convocati quindi in una stanza terranea del suddetto Convento all’entrata del primo cortile, ne intervenne anche l’anzidetto Padre Guardiano, feci alli stessi la lettura ad alta ed intelligibile voce della citata Lettera Prefettizia e poscia del Sovrano Decreto 25 aprile 1810, lasciandone allo stesso un esemplare, passai ad ordinare quanto segue, cioè: Dichiarai a tutti i Religiosi radunati che essendo soppresso il Convento dovessero entro il termine di giorni quindeci, decorribili dal giorno di ieri, dimettere l’abito e qualonque siasi distintivo esteriore dell’ordine ed istituto, ed abbandonare il locale di connivenza. Che sarà loro fornito un sussidio di lire duecento per il loro vestiario, in tutto e per tutto a senso dell’accennata Lettera Prefettizia. Che i nationali debbano rendersi ai Dipartimenti ove sono nati colla rispettiva carta di residenza indicante il nome, cognome, istituto e provenienza. Che ai non nazionali che debbano sortire del Regno sarà fatto fornire un sussidio soltanto per una volta ragguagliato in ragione di lire una per ogni miglia di viaggio a quel confine del Regno dove dovranno rendersi per rimpatriare e sarà loro concesso un sussidio pel viaggio per recarsi al loro paese. Che sarà concesso il trasportare, nell’atto che sortano dalle case di convivenza, o a realizzare li effetti di loro individuale e pertinenza o di uso strettamente personale, prestandone prima la descrizione giustificata dal Superiore, ingiungendo allo stesso Gotti di presentarla alla Prefettura. E poscia ordinai al detto Superiore che facesse retirare tutti gli individui Religiosi. Ordinai inoltre al Superiore che entro due giorni dovesse presentare l’elenco degli individui che appartengono al Convento col nome e cognome di famiglia e col nome preso al ingresso della Religione e con tutte quelle altre accortezze che vedansi descritte nella succitata Lettera Prefettizia. 80
Finalmente incombensai pure il detto Superiore a compilare indilatamente lo stato specificato della rendita d’ogni sorte e lo rassegni alla Prefettura coi libri e carte che vi si riferiscano, facendo allo stesso sentire che sarà sicuramente vegliato perché nell’intervallo permesso ai religiosi di rimanere in Convento non sia sottratto alcun effetto mobiliare di ragione della Casa e tanto meno vi sieno manomessi li infissi, venga disperso o trafugato ciò che possa appartenere ai fondi ed alle rendite di qualonque sorta, siano documenti siano registri, siano scorte vive o morte, sotto la pena comminata nella ridetta Lettera Prefettizia. Le raccomandazioni del funzionario perché non sia sottratto nulla al suo controllo lasciano trasparire una diffidenza di fondo e un sospetto forse frutto di precedenti analoghe esperienze. Mentre i religiosi si ritirano nelle loro celle, si inizia la redazione di un minuzioso inventario degli arredi e delle suppellettili del convento, attribuendo a ciascuno il suo valore di mercato. Dietro a quanto sopra passai a dar principio all’inventario dei mobili ed effetti tutti di ragione del detto Convento cominciando nella sagrestia della chiesa ove fui introdotto dall’anzidetto Padre Guardiano. Nella sagrestia N.1 Un armario di noce con più cassettoni ed al di sopra cinque reliquie compresa una con dentro un Cristo e due reliquiari piccoli con entro i seguenti capi N.2 Numero tre cotte con pizzi ordinari stimate lire 6 £. 6 N.3 Sei camici con pizzo ordinario lire trenta sei £. 36 N.4 Sedici amitti tela bianca con otto cordoni da camise £. 10 N.5 Cinque pianete compite non guarnite di passamano bianco e giallo £.25 N.6 Tre pianete bianche compite guarnite di passamano bianco, di camelotte, le quali ha dichiarato il Padre Guardiano che sono di ragione del soppresso Convento di Trescore, cioè delli eredi di Giambattista Barcella di Trescore, stimate del valore £.18 N.7 Altre quattro pianete di camelotto bianco compite guarnite di passamano giallo £.24 N.8 Altre due pianete di seta verde guarnita di passamano bianco compite £.16 N.9 Due tovaglie, una di tela nostrana £.4 N.10 Tre sugamani di tela ordinaria £.1,50 N.11 Un vello con sua borsa di seta guarnito d’oro falso stimato £.1,50 N.12 Altro di seta marrone come sopra, guarnito d’argento £.1,50 N.13 Altro fondo verde con fiori ed oro e borsa guarnita d’argento fino 81
£.1,50 N.14 Due altre di tela d’argento con borsa guarnita d’oro fino £.3 N.15 Un sedellino ottone con sua asperie £.3 N.16 Due tovaglie logore £.3 N.17 Altre quattro tovaglie logore £.1,50 N.18 Numero sessanta purificatori £.1,50 N.19 Numero tre tovaglie di tela £.10 N.20 Diverse scatole legno e due barine ottone £.0,50 N.21 Quattro velli con sua borsa di damasco £.3 N.22 Venti corporali con sue animete tela £.4 N.23 Numero venti cinque fazzoletti tela parte logori e parte buoni £.6 N.24 Diversi fazzoletti tela logori £.3 N.25 Cinque messali da vivo e cinque de’ morti £.18 N.26 Un calice con patena e coppa d’argento e piedestallo ottone £.25 N.27 Altro d’argento con sua patena adorata, pesa once 10 circa £.40 N.28 Una reliquia di legno con sopra coperta di argento £.8 Si dichiara che l’armario grande al N.1 in principio del presente inventario è stimato £.40. Li reliquiari poi in numero di cinque esperimenti ossi sacri £.20 Li due reliquarini uniti al suddetto numero uno esperimenta l’uno S. Girolamo e l’altro l’Annonciata, li quali ha dichiarato il Padre Guardiano essere di particolare ragione del ex Padre Claudio Ne detto Ghilardi di Nembro £.12 NB. Li suddetti capi di robba si riferiscono al N.1 in principio del presente inventario, quali si sono qui richiamati per non esser stati da prima peritati. N.29 Un cassabanco di noce con sua chiave £.2 N.30 Un porta panni di noce £.1 N.31 Due genuflettori di noce £.2 N.32 Un quadrettino con cornice di noce esperimente S. Girolamo £.1,50 N.33 Altro simile esperimente Ecce Omo £.0,50 N.34 Altro quadrettino esperimente la Beata Vergine £.3 La sagrestia co suoi seramenti, vedriate e serata, essendo ora mai le ore nove della sera abbiamo chiuso il presente inventario avendo posta sotto sigilli tutto ciò che non era di indispensabile uso del suddetto Convento. Il giorno d’oggi undeci maggio corrente 1810 dovendosi continuare la compilazione del presente inventario alla presenza come sopra dell’anzidetto Padre Guardiano si ha principiato nel Coro della chiesa essendo le ore cinque antimeridiane e vi abbiamo trovato quanto segue: N.35 Un sedile al intorno di noce con suoi banchini avanti £.30 N.36 Un corale con suo capobanco di noce porta corale e letterario di noce £.10 82
N.37 Un quadro rappresentante S. Giuseppe di Lionezza, altro rappresentante S. Girolamo, altro la Santissima Vergine, altro S. Felice, tutti logori £.8 N.38 Cinque altri quadri diversi logori £.4 N.39 Un Crocifisso di legno £.1,50 Nello stanzino contiguo N.40 Un cassabanco di noce £.3 N.41 Un sedile con suo banchino peghera £.2 N.42 Sei quadri logori £.1,50 Nella Cappellina contigua secreta N.43 Un altare di mattone con fornimento di legno, quattro candellieri, il tabernacolo e due statue di legno £.8 N.44 Un ancona affatto logora rappresentante S. Fedele £.2 N.45 Un tappeto muzzola ed una mappa renzo e due cossini con fiori di seta ed un fassoletto tela £.5 dichiarandosi che tutte le suddette stanze sono fornite di seratura, chiavi, vetri e ferrata. N.46 Due banchini di noce con suo genuflesore £.1,50 N.47 Due quadri uno rappresentante la Santissima Vergine e l’altro l’Annonciata £.0,50 Nella chiesa del Convento N.48 Una capella, cioè un altare laterale di mattoni con paliotto avanti di tela piturata e fornito di noce intagliato , con sei candellieri simili, le tavolette simili, quattro vasi di terra per li fiori £.16 N.49 L’ancona del suddetto altare rappresentata S. Giuseppe, la Santissima Vergine ed il bambino al quale abbiamo apposto il sugello della Misericordia di Dio £.6 N.50 Due altri quadri logori £.1,50 N.51 La balaustra avanti di noce £.10 N.51 Due tende laterali di tela lana logora, con sua bachetta ferro ed altra tenda sopra la finestra £.4 N.52 Due banchini laterali di peghera, con entro alcune palme fiori logore ed il bronzino per le Messe £.2,50 N.53 Numero tre mappe sul altare ed una copertina tela con due cussini di curame £.6 Dall’altra parte laterale N.54 Altra capella con altare di mattone tutto guarnito di legno, con suoi candellieri simili, le tavolette ed il Crocefisso avanti tutto di legno £.8 N.55 Il palioto avanti detto altare di tela dipinta £.2 N.56 Tre mappe renso ed una sopra coperta muzzola logora con due cussini di basana £.8 N.57 Due banchini laterali di pighera, con entro due cussini seta logori, 83
due tavolette di legno e quattro palme fiori £.3 N.58 L’ancona del suddetto altare rappresentante l’Assonta e S. Giovanni, con la cornice di noce intagliata, con al di sopra uno stemma che il Padre Guardiano disse essere della famiglia Spini, come ancona l’ancona medesima a cui abbiamo posto il sugello rappresentante la Misericordia £.20 N.59 Due quadri laterali con cornice di legno l’uno S. Felice, l’altro S. Antonio £.2 N.60 La balaustra avanti detto altare di noce £.6 N.61 Due tende laterali di tela lana ed altra tenda tela sulla finestra con suoi ferri £.4 N.62 L’altare maggiore di legno con sua scalinata pure di legno di noce, sei candellieri simili, le tavolette simili, sei vasi maiolica £.18 N.63 Il tabernacolo di legno indorato con diverse statue £.30 N.64 Nel suddetto tabernacolo la pisside ove è riposto il Santissimo, considerata della pesa di once otto £.24 N.65 Tre tovaglie di renso, con due cussini basana con l’abito basana fiorata £.10 N.66 L’ancona grande rappresentante la Santissima Vergine degli Angeli e S. Francesco, a cui vi è apposto il suddetto sugello, e che il Padre Guardiano ha soggiunto di essere di proprietà della famiglia Noris Giandarelli £.30 N.67 Un quadro con cornice di legno rappresentante S. Giuliano, altro simile rappresentante l’adorazione dei Re Maggi, altro S. Madalena ed uno simile S. Carlo £.4 N.68 Una tenda grande di tela morella inserviente a coprire l’ancona £.2 N.69 Due altre, una di camelotto rigato, ed altra di seta verde inserviente a coprire l’altare £.6 N.70 Sei palioti diversi di carta fiorata, sette altri di seta diversi guarniti di passamano di seta £.25 N.71 Tre lampade di ottone diverse £.12 N.72 Un palioto di legno a ferrata con sua tendina tela stampata £.3 N.73 Un organino di ottone per le Messe, un banchino di legno peghera £.1 N.74 La balaustra avanti di noce £.10 N.75 Dieci nove banche con suoi sedili diversi £.30 N.76 Due cantonali laterali alla chiesa rappresentanti due altari, con entro due statue, un abito di frate, otto candellieri di legno, ed al di sopra il porta lampade di ferro, con vetriata e coperta al di sopra £.30 N.77 Tre confessionali di noce stimati £.60 N.78 Una tenda tela grande sopra la porta della chiesa, altre tre tende £.8 84
N.79 Il pulpito di legno con suo crocefisso £.4 N.80 Un quadro grande con cornice legno rappresentante Gesù colla Croce in spalla, altro simile S. Antonio, altro simile S. Francesco, altro simile Gesù nell’orto £.5 N.81 Due altri grandi uno rappresentante S. Francesco, e l’altro il corpo di Gesù Cristo morto £.2,50 N.82 Cinque altri quadretti diversi logori considerati di poco valore £.1,50 Le finestre della sudetta chiesa con invedriate e regnate, porta grande d’ingresso con suoi catenacci, serrature e chiave. Il Padre Guardiano ha dichiarato che i due quadri posto alli N. rappresentanti S. Giuliano e l’adorazione de Maggi sono di proprietà della chiesa di S. Giuliano di Albino. In un stanzino in fondo alla chiesa. N.83 Numero nove baghe per trasporto di vino logore £.4 N.84 Diversi legnami logori ed un confessionario di peghera £.3 Nel campanile. N.85 Una campana con suo battente, considerato del peso di pesi sette circa £.140 Avendo il Padre Guardiano dichiarato di nulla altro esserci di mobile sacro addetto alla chiesa, e di aver rassegnato col presente inventario tutto ciò che si trovava esistere ragione della chiesa medesima dal giorno di ieri in avanti, e di non essere a di lui cognizione che sia stato traffugato ne nascosto cosa alcuna di ragione del Convento medesimo, sono quindi passato ad eseguire l’inventario dei mobili ed effetti tutti che si trovavano sparsi nel suddetto locale secondo i rispettivi usi e perciò fui introdotto nella cusina ove ho inventariato quanto segue: N.86 In mezzo a detta cusina un camino grande con sosta e sostile di ferro £.8 N.87 Un testo di forno e due ferri per il forno £.4 N.88 Altro ferro, le molette ed altro forno che cinge il foco £.3 N.89 Un cassabanco di peghera con suoi casetti logori £.2,50 N.90 Quattro banchette peghera ed una scranna logora £.1,50 N.91 Due mastelli legno con cerchi ferro logore £.3 N.92 Sei cassarole assaio e diversi capoletti di legno £.1 N.93 Una cassa per l’acqua di assaio £.0,50 N.94 Una bilancia ferro con suo mazzo £.1,50 N.95 Due pignatte una delle quali con coperchio rame, un stagnato ed altro stegnadino, quattro cassarole diverse, tutte col manico di ferro, pesano pesi 1 e libre sette a £.2 la libra £.34 N.96 Due soste, una graticola, tre tripiedi, la moletta, una pila e il ferro che cinge il fuoco £.5 N.97 Il sofietto, diversi pezzi di legno, la tridarola,tre lumi ferro diversi 85
£.1,50 N.98 Un cassabanco di noce con diversi cassetti £.5 Le finestre tutti li seramenti della sudetta cusina sono tutti compiti, con chiave e ceradure rapporto ai serramenti, regnate e ferrate rapporto alle finestre. Nella dispensa. N.99 Una moscera a legno, due banchette, un regiado di legno e due di pietra murati £.8 Nel refettorio. N.100 Diversi sedili con sua tavola davanti di noce ed un piccolo credenzino di pighera £.20 N.101 Dieci quadri logori stimati lire sei £.6 Tutte le finestre sono con ferrate e regnate ed i serramenti compiti. Nello stanzino contiguo. N.102 Un armario grande con quattro ante di pighere, due cassabanchi di peghera £.6 N.103 Dieci otto tovaglioli renzo logori, diverse posate ferro con manico legno e cucchiai simile £.8 N.104 Sei baghegelle per il vino ultimate lire sei £.6 N.105 Un bareletto per l’aceto £.4 N.106 Un altro simile logoro £.2 Nella cantina. N.107 Due vasetti piccoli con quattro cerchi ferro brente tre per cadauno £.20 N.108 Un simile della tenuta di brente otto £.18 N.109 Altro simile della tenuta di brente dodeci £.25 N.110 Altro simile della tenuta di brente quindeci con sopra un iscrisione di essere ragione del Signor Vincenzo Spini £.30 con entro due brente di vino piccolo N.111 Altro vasello della tenuta di brente otto con sopra un iscrizione essere del Signor Giacomo Noris Fiamarelli di Albino £.24 N.112 Un vasellino piccolo della tenuta di brente una £.4 N.113 Altro vasello simile di brente otto con sopra un iscrizione essere di ragione del Signor Filippo Spini, con entro brente quattro vino piccolo £.20 Dichiarandosi che le dette iscrisioni sopra li acennati vaselli sono di carta volante affissa con bollini con cui viene espresso la proprietà dei vaselli medesimi. N.114 Due mastelli con cerchi ferro e due martelli ferro £.4 N.115 Un pedre legno £.0,50 N.116 Cinque carte geografiche, altre nove carte diverse £.0,50 N.117 Due tavoli logori e cinque scranne logore £.2 Nella stanza una finestra con regnata e ferrata e l’uscio con sua chiave 86
e serratura. Nella stanza contigua. La finestra con regnata e ferrata e l’uscio senza chiave. N.118 Una lettiera con pagliericcio e casino della canapa £.2 N.119 Numero cinque banche logore e due vasterini pigliera logori £.3 N.120 Due quadri logori e palette per il fuoco logore £.1 Nella stanza contigua. N.121 Due lettiere peghera logore con due pagliarici logori e tre cussini e due coperte lana logora £.6 N.122 Otto carte diverse, una banca noce £.1,50 N.123 Le porta dell’ingresso del convento con la serratura e catanacio chiave e nel primo e secondo atrio del Convento esistono all’intorno diversi quadretti carta con cornice nera ordinari e affatto logori £.2 N.124 Una campanella con molla di ferro ad uso del portinaio che pesa libre sei circa £.12 Nel lavandaio. N.125 Due tinelle con sette cerchi di ferro in tutte due £.8 Le finestre con ferrate e l’uscio con serratura e chiave. N.126 Sopra il sudetto lavandaio e portico adiacente carra tre legna circa dolce £.30 N.127 Un banco falegname e morse di legno e molla £.3 N.128 Diversi canoni di terra £.3 Nel corridore di sopra. N.129 Un orologio grande con campane di bronzo e ruote di ottone con contrappesi di pietra £.50 N.130 Una campanello sul tetto appartenente al suddetto orologio di libre due circa con suoi ferri che la sostengono £.8 Nella stanza ad uso di sartoria. N.131 Un cassabanco di paghera con due ante logoro £.2,50 N.132 Due armari con serradura e chiave della stanza sudetta £.6 N.133 Tre paette corda logore £.2 Nella stanza sotto il N.7 nel detto corridore. Si è trovato una quantità di libri dispersi per terra e però si è creduto convenienti di opporvi il sugello rassegnando la chiave al Padre Guardiano. N.134 Nella stanza sotto il N.5 due armari paghera logori £.4 N.135 Nella stanza N.2 lirette sette cera in candele che ha dichiarato il Padre Guardiano essere di ragione del Padre Angelo Berizzi £.21 Nella stanza ad uso biblioteca. Diversi libri esistenti per la maggior parte irregolarmente ed anche per terra. Si dichiara che fu interrogato il Padre Guardiano se dei libri stessi ne fossero stati levati e trasportati altrove, il che rispose non essere a di lui cognizione che abbi avuto luogo un tal fatto, fu quindi chiusa la stanza 87
medesima e consegnato la chiave al detto Padre Guardiano, a cui però si è apposto anche il sugello per maggiore causione. Dopo di aver dichiarato il Padre Guardiano di aver per quanto a lui noto consegnato tutti i mobili ragione del Monastero, non che addetti al servizio della chiesa, non che di essere a di lui cognizione che sia stata trafugata cosa alcuna per opera dei di lui religiosi ne da qualonque altra persona. Totale stima mille quattro cento quaranta tre diconsi £.1443. Si è fatta la descrizione nel locale del Convento dichiarando consistere questa nella chiesa sopra accennata portico avanti una sagrestia, coro, due stanze laterali ad uso della chiesa medesima, con i suoi corridori d’ingresso per entrare nel Convento, la porta maestra che conduce nel Convento con due atrii al di dentro, uno de’ quali con piccolo orticello in mezzo e fontana di marmo. In seguito diverse stanze terranee ad uso di foresteria, cucina, dispensa refettorio, cantina al di sotto e diverse altre stanze terranee ad uso di servizio. Un brolo all’interno vidato, prativo e fruttivo, ed in parte ad uso di ortaglia, al di sopra tre corridori colle rispettive celle, scala d’ingresso di pietra e poscia immediatamente i tetti nessuno de’ quali forniti delli occorrenti canali. Dichiarandosi che tutte le aperture superiori del sudetto Convento in quanto alli usi sono forniti delle chiavi, a riguardo poi delle finestre non sono munite che di un semplice scuro e di un telaio coperto di carta. Le finestre poi del detto Convento a pian terreno sono fornite di ferrata, vetri e regnate come si è di sopra spiegato. L’anzidetto Padre Guardiano si è fatto carico di riferire sulle istanze fattegli dal Signor Pietro Spini, di Vincenzo di lui fratello figli e rappresentanti il fu Conte Filippo Spini, che il detto Convento ed annessi è di propria loro ragione, essendo già in tale fatto stato anche superiormente riconosciuto dietro a quanto sopra lusingatosi il fatto scritto di aver compita la di lui onorevole commissione, passato a consegnare tutti gli effetti come sopra inventariati, non che il Convento e la chiesa al prelodato Superiore Pedretti confidando allo stesso, nell’intervallo permesso alla dimissione dell’abito, la custodia di quanto sopra in qualità di Delegato sotto la di lui responsabilità, e ciò fino a tanto che il Signor Intendente di Finanza vi abbia apposta la Regia mano. Ho fatto inoltre sentire al detto Reverendo Superiore ora delegato come sopra che sarà vegliato sicuramente nell’intervallo permesso ai religiosi di dimorare in Convento non sia sottratto alcun effetto mobilia di ragione della casa, e tanto meno vi siano manomesse le infisse, o venga disperso o trafugato quanto si è come sopra inventariato, o che possa appartenere ai fondi ed alle rendite di qualonque sorta appartenenti al detto Convento, sotto la pena comminata nella lettera di mia commissione. 88
Fu fatto il presente atto nella cella del detto Reverendo Padre Guardiano posta al N.14, presente lo stesso Guardiano e li Signori Gio.Maria Botti del fu Bonaventura, caffettiere di professione domiciliato in Nembro, ed il Signor Don Giuseppe Solari del Signor Giovanni, domiciliato in Albino, ambi testimoni noti e godenti dei diritti civili e d’età maggiore. Pietro Gotti Fra Ignazio Pedretti Guardiano, ed affermo il presente inventario Prete Giuseppe Solari son testimonio quanto sopra Gio.Maria Botti fui testimonio come sopra Antonio Zenucchi delegato
L’ alienazione del convento Dopo che i religiosi hanno lasciato il convento con i propri effetti personali, il 19 giugno 1810 un funzionario governativo ne prende possesso e lo affida ad un custode. Il 27 luglio l’Intendente di Bergamo scrive al custode chiedendogli di agevolare le indagini del signor Signori, un ex monaco benedettino, incaricato dal governo di verificare se nel convento esistano libri, lapidi o altri monumenti antichi che meritino di essere preservati dalla vendita. Nel frattempo Vincenzo Spini, nel tentativo di scongiurare l’incameramento nel demanio e la messa all’asta del convento, inoltra un ricorso all’Intendente sostenendo che le strutture realizzate con il lascito dei suoi antenati spetterebbero alla sua famiglia. Ma l’Intendente risponde che le sue pretese sono destituite di fondamento. Lo Spini inoltra allora alla Prefettura del Monte Napoleone l’istanza per il rilascio dell’edificio del convento e di una porzione dei mobili, ma lo stesso Intendente il 31 agosto gli segnala che nella pratica mancano i testamenti di Bernardo Spini e Pace Rivola, e non è possibile fare riferimento a clausole di restituzione inserite in documenti successivi alla morte dei coniugi Spini. La restituzione inoltre sarebbe possibile solo come volontario rilascio dei Cappuccini, cosa non verificabile dal momento che sono stati soppressi. Lo Spini il 10 settembre ribadisce all’Intendente che il legato di 3000 scudi versato da Giovanni e Marc’Antonio Spini, con atto 31 ottobre 1622, è condizionato al diritto di reversibilità, cosa nota al Principe veneto e al Comune di Albino, confermata dalla legge 1807 in cui si dichiarano i conventi di Verola e di Albino di privata proprietà. Intanto la macchina burocratica mostra la sua efficienza nel monetizzare gli effetti acquisiti al demanio e il 7 novembre 1810 sono messi all’asta i 89
Mappa Napoleonica. (Archivio Anna Maria Mologni)
mobili e le suppellettili del convento. Carlo Mazzoleni si aggiudica i due altarini di San Felice e del Beato Lorenzo per 35 lire. Per disfarlo e prelevarlo sale su una scala nell’altarino del Beato Lorenzo, ma cade all’indietro battendo violentemente la testa e per un’ora non dà segno di vita; quando comincia a riprendersi è portato a casa sua senza che possa articolare parola. Gli è amministrata l’Estrema Unzione e la notte seguente muore. Il giorno successivo è sepolto nel cimitero. Questo incidente desta una sensazione di sgomento in tutto il popolo di Albino e si dice che il Beato Lorenzo da Brindisi per miracolo lo ha fatto precipitare a terra. Il bellissimo tabernacolo dell’altare maggiore finemente lavorato è assegnato agli abitanti dell’Abbazia per 35 lire. Il bancone della sacrestia è aggiudicato a Padre Giacomo Signori per 51 lire. I confessionali toccano alla chiesa di Albino per 61 lire. Avendo rilevato nel corso dell’asta che alcuni mobili segnati nell’inventario sono mancanti, il 10 marzo 1811 l’Intendente di Bergamo chiede a Pietro 90
Noris, custode del convento, di renderne conto entro tre giorni. Il Noris non si presenta e l’8 aprile scrive di avere informato la Finanza che i mobili mancanti sono stati rubati e che la maggior parte degli effetti sono stati asportati o cambiati dai soppressi religiosi. In attesa dell’autorizzazione alla vendita, il 22 novembre 1810 si mette all’asta l’affitto dell’ortaglia del convento: Marc’Antonio Spini offre alla Regia Intendenza di Finanza 210 lire italiane e chiede di essere avvisato se vi sono maggiori offerenti. Una nuova licitazione è fissata per il successivo 8 gennaio fra i due aspiranti all’affitto dell’ortaglia, da assegnarsi al miglior offerente. Il 9 maggio 1813 Luigi Cugini, ricevitore comunale di Vall’alta, che aveva fatto pignorare il brolo dei Cappuccini per un suo credito di 1440,60 lire nei confronti del Demanio, per ricuperare il suo denaro fa mettere all’asta, col consenso della Giudicatura di pace di Alzano, 10 pertiche del brolo. Unico offerente è Andrea fu Giuliano Cugini di Albino, che se le aggiudica per 1501 lire86. La conferma del diniego di riconoscimento ai consorti Spini del diritto di riavere le strutture del convento e dei mobili in esso esistenti viene solo il 31 maggio 1813 dal direttore della Prefettura del Monte Napoleone con una motivazione formale: la richiesta risulta inammissibile perché la legge 26 marzo 1603 a cui gli Spini hanno fatto riferimento non ha valore87. Il 5 gennaio 1818 il convento è consegnato in affitto a Gio. Battista Gandossi, a cui “come persona interessata, non avendo ritrovata altra persona più opportuna ed onesta che volesse assumere tale incarico, in vista specialmente dell’anticipato pagamento dei materiali occorribili e delle giornate”, il 18 novembre 1823 si affida il compito di fare eseguire in via economica, con la sorveglianza del perito Giuliano Prada, l’inSimbolo francescano, posto sopra l'altare di terramento dell’acquedotto che conduce S. Francesco nella Prepositurale di S. Giuliano, consacrata nel 1816. (Foto di Maurizio Pulcini)
86 - ASB, notaio Antonio Nighersoli, cart. 13075, n. 464, 18 maggio 1813. 87 - APCL, sez. 01, cassetto 01 Albino segnatura provvisoria.
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l’acqua all’ex convento dei Cappuccini, rimettendo il relativo rimborso al Delegato Demaniale “ritenuto che tutti li materiali occorribili siano di buona e perfetta qualità”. Allegato all’atto c’è un disegno del tracciato datato 14 marzo 1828 a firma dello stesso perito88. Il 3 marzo 1828 Gio. Battista Gandossi, possidente e negoziante di Albino, forse per diritto di prelazione essendo affittuario, acquista dal Demanio gli immobili del convento e, probabilmente al fine di saldare quanto dovuto per l’acquisto, il 29 maggio 1833 accende un mutuo di 2250 crocioni d’argento di Baviera89 a favore di Giovanni Varisco, con la conseguente ipoteca, che grava, oltre che sul convento, anche su altri terreni di sua proprietà90.
L’auspicato ritorno Dopo il crollo dell’impero napoleonico e la disponibilità di numerosi governi alla restaurazione della vita religiosa, il cammino di riorganizzazione degli ordini soppressi è lungo e accidentato. I Cappuccini rientrano in Lombardia nel 1835, ma bisogna attendere il 1847 perché si possa di nuovo celebrare un capitolo generale, dopo 58 anni dal precedente. Si abbandona la vecchia suddivisione nelle provincie religiose di Brescia e di Milano per costituire la provincia di San Carlo in Lombardia, che comprende i conventi situati nella regione. Il desiderio del ritorno dei Cappuccini ad Albino rimane vivo e il 9 maggio 1855 i deputati del Comune di Albino comunicano a Padre Ilarione da Asiago, Curato dell’Ospedale Maggiore di Bergamo, che la popolazione è disposta ad acquistare dal signor Gandossi l’ex convento e assicurano che ci saranno questue sufficienti per sostenere il loro ritorno. Si fa interprete della volontà della gente anche il prefetto della Residenza Collegiata di Albino Don Giuseppe Colleoni. 88 - APCL, Sezione 07, cassetto 01, n. 1 e 5. 89 - Il crocione è una moneta d’argento del peso di circa 30 grammi coniata a Milano dagli imperatori d’Austria nel periodo 1786-1800. 90 - ASB, notaio Francesco Bana, cart. 12987, n. 400. L’atto di acquisto del convento è rogato dal notaio milanese Ignazio Saroggi.
Pagina a fianco: il frutteto e la serra.
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Il Vescovo di Bergamo Pietro Luigi Speranza a sua volta interviene, chiedendo al superiore dei Cappuccini che, siccome la riapertura del convento necessita di tempi lunghi per ottenere tutti i permessi, sia disponibile ad aprirvi da subito almeno un ospizio, per fare in modo che il convento non sia venduto nel frattempo ad altri. Il provinciale cappuccino Padre Lorenzo due giorni dopo fa pervenire il suo consenso a riaprire da subito il convento come ospizio, per evitare che venga occupato dai Francescani riformati. Il 2 luglio Padre Cherubino da Ligornetto, definitore generale e rappresentante ufficioso della Provincia Svizzera, scrive da Roma a Padre Ilarione consigliando ai deputati di Albino di firmare subito il contratto per non perdere l’opportunità, assicurando che il Padre Generale e i Definitori daranno l’assenso. A questo scopo segnala che è già disponibile una somma proveniente dal Governo del Canton Ticino, pervenuta come indennizzo per la ingiusta espulsione dei Cappuccini che là risiedevano. Avuta il 20 luglio la conferma del Definitore generale91, è redatto un preliminare di acquisto per il prezzo di 16.500 lire, con una caparra di 1500 lire da versare entro due mesi e il saldo entro 4 anni, durante i quali il venditore si riserva la proprietà. Nel frattempo i Cappuccini possono fare restauri e riattamenti, tranne che nella porzione abitata dal Gandossi92. Il 7 agosto 1855 l’atto di acquisto è formalizzato con rogito del notaio Antonio Sacchi: Giovan Battista Gandossi vende a Don Pietro Colleoni, amministratore dei Luoghi Pii Elemosinieri di Albino, gli edifici del soppresso convento di Albino con la chiesa, il piazzale e l’ortaglia di circa 15 pertiche cinta da muro. Il venditore si impegna a lasciare liberi i locali l’11 novembre 1857, a restituire lo stabile in stato lodevole e senza tagliare alberi. Edotti dalle esperienze passate, i contraenti inseriscono nel contratto clausole atte ad evitare possibili futuri incameramenti degli immobili nei beni demaniali: Essendosi però dal signor Amministratore compratore ottenuto il denaro necessitato per il presente acquisto per offerta fatta da un Benefattore che non vuole essere palesato, ed a condizione espressa e risolutiva che il denaro medesimo debba essere erogato per quest’acquisto e colla condizione che il godimento e materiale possesso dell’acquisto stesso abbia a
91 - APCL, Sezione 07, cassetto 01, n.15-16. 92 - APCL, Sezione 07, cassetto 01, n.29.
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trasferirsi nell’ordine religioso dei Capuccini della Provincia di San Carlo in Lombardia e tale pure essendo lo scopo del venditore, così in adempimento di questo sacro e religioso dovere il compratore dichiara a mutua stipulazione del pure qui presente Reverendo Padre Lorenzo Maria da Albino Provinciale, si dichiara e si accetta che il godimento plenario e l’usufrutto complessivo di questo acquisto debba senza restrizione alcuna passare nell’ordine suddetto, quale potrà in costanza dell’ordine farne quell’uso che meglio crederà, cioè tanto per Convento quanto per Ospizio, e come si crederà di migliore convenienza, ritornando però il godimento medesimo nel compratore LL PP Elemosiniero all’evento della sopressione dell’ordine, come pur ritornerà in materiale possesso dei Capuccini al riattivarsi con vescovile rispettato permesso il loro ordine93. Il primo febbraio 1856 Padre Alessandro da Germanedo celebra la prima messa nel convento e comincia ad abitarvi, predicando la Quaresima in Albino. Il 7 giugno 1856 Don Pietro Colleoni, che aveva già ricevuto dal Padre provinciale e dato al venditore le 1500 lire del fondo versato dal Governo Svizzero alla Curia arcivescovile di Milano, apprende con costernazione che il Definitore generale, per sopraggiunte difficoltà, nega la somma promessa per l’acquisto del convento e vuole rescindere il contratto. Siccome i Luoghi Pii Elemosinieri di Albino, nuovi intestatari, non hanno a disposizioni i fondi necessari per onorare il contratto, Don Pietro Colleoni vorrebbe andare a Roma per esporre le sue buone ragioni, ma Padre Lorenzo gli consiglia di fare ricorso al Vescovo per farsi tutelare. Il Padre Generale dei Cappuccini fa pressione presso l’Arcivescovo di Milano, che ha in deposito il capitale proveniente dalla Svizzera, perché non venga assegnato ai singoli religiosi e ai conventi che li ospitano, che per voto di povertà non possono possedere nulla, ma sia impiegato per far fronte agli impegni assunti con l’acquisto del convento di Albino94. Il 29 maggio 1857 la vicenda si chiude positivamente con l’erogazione delle somme necessarie e l’11 novembre Francesco Gandossi, erede di Gio. Battista, rilascia al sacerdote Pietro Colleoni piena quietanza per aver
93 - APCL, Sezione 07, cassetto 01, n.24. 94 - APCL, Sezione 07, cassetto 01, n.35-40. ASDB, Parrocchia S.Giuliano di Albino, fasc. Convento Frati cappuccini, 19 febbraio e 29 maggio 1857.
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effettuato il pagamento delle 1500 lire, che sono state versate a Giovanni Varisco, creditore degli eredi Gandossi, e il 18 novembre si avvia la pratica per la cancellazione dell’ipoteca che grava sugli immobili conventuali95. Nel 1856 Padre Lorenzo di Albino scrive alla Deputazione Comunale di Albino per segnalare che la strada in salita di accesso al convento è rovinata dal tempo e dall’incuria e quasi impraticabile. Sollecita un suo riattamento a spese comunali o l’apertura di una nuova strada di meno difficile accesso al convento, che sarebbe più comoda e di ornamento al paese96.
La demanializzazione scongiurata L’unificazione dell’Italia a seguito della spedizione dei Mille nel 1860 e la proclamazione di Vittorio Emanule II re d’Italia il 17 marzo 1861 lascia inquieti i religiosi e le religiose, perché sanno che nel 1855 nel Regno di Sardegna, con lo stesso regnante, le leggi hanno soppresso le corporazioni religiose che non avevano scopi di predicazione, educazione o assistenza e ne hanno incamerato i beni. Il governo di Torino ha urgente bisogno di denaro, essendo il più indebitato degli Stati italiani; perciò fa obbligo a tutta l’Italia di rimborsargli le forti spese incontrate per l’unificazione. In realtà una notevole parte del suo debito pubblico era dovuta ai lavori pubblici e alla industrializzazione promossi dal primo ministro Cavour nelle regioni settentrionali, con investimenti allora ritenuti azzardati. Per le necessità finanziarie conseguenti alla terza guerra d’indipendenza con l’Austria, lo Stato liberale vara la legge 7 luglio 1866 che disconosce la personalità giuridica di 1809 comunità religiose che perdono quindi la capacità giuridica di possedere i loro beni che vengono incamerati nel demanio. L’espropriazione e la vendita di una consistente massa di beni patrimoniali ecclesiastici rappresenta uno degli aspetti tipici della rivoluzione nazionale borghese, sia in Italia, sia nelle nazioni progredite d’Europa. Ne beneficia soprattutto la borghesia che sostiene il nuovo stato. Dopo questo provvedimento, che vuole avere solo carattere finanziario, viene avviata un’azione diplomatica con la Santa Sede che porta lo Stato a rinunciare ad
95 - APCL, Sezione 07, cassetto 01, n.56-60. 96 - APCL, Sezione 07, cassetto 01, n. 48.
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ogni ingerenza nella vita della Chiesa. La legge 15 agosto 1867 vieta però alla Chiesa di possedere beni che non siano legati all’esercizio del culto e questo priva del riconoscimento giuridico 25.000 enti ecclesiastici, forniti di proprio patrimonio, ma privi di cura d’anime. È presentendo forse queste iniziative che i fabbricieri della chiesa parrocchiale di Albino sottoscrivono la seguente dichiarazione97: Albino li 1 gennaio 1866 La Fabbriceria di questa Chiesa parrocchiale di S. Giuliano dichiara che gli infrascritti oggetti esistenti nella chiesa dei RR. Padri Cappuccini riguardata quale succursale, sono di sua propria esclusiva ragione e proprietà: 1 la pala dell’altare maggiore rappresentante la B.V., S. Francesco ed altri Santi. 2 i due piccoli quadri sopra le portine del coro. 3 il crocifisso grande appeso in alto nel coro. 4 il crocifisso grande titolare della cappella a destra entrando in chiesa. 5 la pala di S. Antonio nell’altra cappella di prospetto. 6 due quadri di S. Francesco e di S. Antonio laterali nelle cappelle. 7 il quadro di S. Francesco di fianco alla porta in alto. 8 un quadro la decollazione di S. Giovanni battista. 9 nel refettorio, la cena degli apostoli, la venuta dello Spirito Santo, il ritratto del patriarca Corrier. 10 un calice di ottone inargentato con patena. La Fabbriceria Sacerdote Giuseppe Colleoni Gio. Battista Zanchi Zenoni Antonio Ad Albino l’Istituto Elemosiniere, o Congregazione di Carità, che aveva dato garanzie per il credito concesso a Don Colleoni per l’acquisto del convento, si era tutelato facendo apporre una ipoteca sullo stesso, per poter evitare l’eventuale incameramento degli immobili in caso di soppressione. L’ipoteca era stata autorizzata dalla Deputazione Provinciale il 9 aprile 186398.
97 - APA VII.5.1. 98 - ECA, cart. 4, fasc. 3. L’ipoteca è imposta con atto del notaio Francesco Carrara il 25 aprile 1863.
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Il 7 settembre 1866 l’ingegnere P. Noris Chiorda consegna alla Congregazione di Carità la perizia di misura e stima degli immobili del convento, intestato nel nuovo Censuario al Luogo Pio Elemosiniere della Misericordia in Albino con l’usufrutto dei reverendi padri Cappuccini99. Essendo stato privato di personalità giuridica l’ordine dei Cappuccini, nel mese di giugno 1868 la Direzione del Demanio si attiva per incamerare i loro beni: gli agenti demaniali, con una encomiabile efficienza, vengono al convento di Albino e procedono alla inventariazione dei mobili ed alla formale presa di possesso del convento e dell’ortaglia100. Il 27 giugno l’Ufficio Atti Giudiziali del Demanio comunica al Sindaco di Albino che ha l’ordine di pagare al Padre Guardiano le somme di anticipazione delle pensioni che sono assegnate a ciascuno dei suoi frati come indennizzo e il 5 luglio sono recapitati i certificati di pensione. Davanti a questa evidenza, la Congregazione di Carità l’8 luglio dà mandato all’avv. Locatelli di presentare ricorso al Deputato al Parlamento Achille Mauri, che si trova a Milano, perché faccia annullare la presa di possesso del convento da parte dei delegati demaniali, che risulta illegale, perché gli immobili di Albino sono solo in uso all’ordine religioso. Se ne chiede l’immediata restituzione101. Il 31 agosto l’Ufficio del Registro degli atti giudiziari riconosce che la proprietà del convento è della Congregazione di Carità, ma dispone che la stessa debba versare 2000 lire al fondo per il culto come controvalore delle migliorie apportate agli immobili dai religiosi102. Il 30 settembre la Congregazione di Carità comunica che non è disponibile a versare la somma richiesta perché la nuova costruzione fatta dai Cappuccini è ritenuta più di danno che di utilità ed è stata fatta con denari prestati da terza persona, che devono essere restituiti; la Congregazione inoltre dichiara di essere in condizione di penuria103. La vertenza con il Demanio si conclude il 10 maggio 1869 con il verbale di rilascio alla Congregazione dei beni che erano goduti dai Cappuccini;
99 - APCL, Sezione 07, cassetto 01, n. 34. 100 - APCL, Sezione 07, cassetto 01, n. 104. 101 - APCL, Sezione 07, cassetto 01, n. 90-92. 102 - APCL, Sezione 07, cassetto 01, n. 98. 103 - APCL, Sezione 07, cassetto 01, n. 101, 102.
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il rilascio diventerà operativo solo dopo l’approvazione della superiore autorità finanziaria. La Congregazione versa alla cassa del Demanio 279 lire corrispondenti al valore dei mobili che erano dei Cappuccini e che le vengono ceduti104. Lo Stato non rinuncia tuttavia ad una azione di controllo e con una severa nota del primo febbraio 1870 il Prefetto considera intollerabile che la Congregazione di Carità non abbia utilizzato gli immobili del convento per le proprie finalità caritative, lasciando che i Frati Cappuccini continuino a dimorarvi in comune sotto le consuete discipline religiose. Avrebbe dovuto usarli, anche alienandoli, per ricavare risorse a vantaggio dei poveri. Ordina quindi di sgomberare al più presto i Frati e di deliberare una destinazione più conveniente dei fabbricati. La Congregazione replica di avere già provveduto da alcuni mesi, assegnando l’uso degli immobili e l’abitazione al signor Gaspare Rainoldi fino all’11 novembre 1870, che deve versare l’interesse annuo del 4,5% sul capitale ipotecario, soddisfacendo anche alle pubbliche imposte e provvedendo alle riparazioni, per un corrispettivo di 670 lire105. Al momento non si poteva trovare miglior partito, non essendovi altre persone disponibili ad affittare o acquistare il convento. Le condizioni per vendere il convento si concretizzano il 16 maggio 1870, quando, con l’approvazione delle autorità civili, il notaio Francesco Carrara redige l’atto di alienazione a Giacomo Cortinovis di Desenzano al Serio, agente di Luigi Stecchetti, per 12.000 lire106. I frati continuano però ad abitare il convento con il consenso del nuovo proprietario e lo Stato non ha più modo di recriminare.
Prossimità e servizio Gli sconvolgimenti conseguenti alle vicende napoleoniche hanno procurato la laicizzazione dello Stato e l’allontanamento di molti dalla tradizionale pratica religiosa; le soppressioni hanno anche interrotto la pia pratica delle
104 - APCL, Sezione 07, cassetto 01, n.108. 105 - ECA, cart. 4, fasc. 3. 106 - APCL, Sezione 07, cassetto 01, n.113.
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missioni popolari dei Cappuccini. Ma, appena restaurate le province, i Cappuccini tornano a svolgere questa attività pastorale, risvegliando il sentimento e la pratica religiosa in mezzo al popolo. Le missioni popolari danno numerosi frutti non solo in Europa ma anche nelle missioni d’America, dove molti Frati, costretti dalla persecuzione e dalle soppressioni, si sono trasferiti. La presenza dei Cappuccini rimane provvidenziale, considerato il progressivo impoverimento della popolazione. Le carenze alimentari e igieniche nel 1867 favoriscono il dilagare dell’epidemia di colera, con altissima incidenza di casi letali. In occasioni come queste i Frati si prodigano e fanno sentire alla gente la loro vicinanza spirituale e il loro sostegno materiale. Il popolo d’Albino ricorda ancora con compiacenza il soccorso prestatogli dai Cappuccini anche nelle ultime epidemie del colera, in occasion del quale i nostri non si mostrarono punto degeneri dagli antichi, né meno affettuosi verso gli Albinesi. I quali in compenso nell’ultima soppressione (1868) si prestarono con ogni sollecitudine per conservare e mantenere la religiosa famiglia de’ Cappuccini nella loro parrocchia. In questi ultimi anni per zelo de’ Superiori e generosità de’ benefattori si adornò la Chiesa di tre altari a lucido e di una bussola tutta a noce, si innalzarono nuove celle verso mattina, e così oltre la religiosa famiglia de’ professi, vi hanno comoda stanza i nostri Chierici che attendono agli studi.107 Siamo agli inizi delle grandi trasformazioni della rivoluzione industriale che vede l’imponente diffondersi in Valle Seriana delle attività tessili cotoniere all’origine di un consistente sviluppo economico che non migliora tuttavia le condizioni di vita delle classi popolari. I salari rimangono al di sotto dei livelli minimi di sussistenza, nonostante le lunghe giornate di lavoro in condizioni igienico-sanitarie più che precarie108. Sono anni di grande travaglio per la gente comune, con l’emigrazione di massa, il lavoro minorile, le precarie condizioni di salute, la povertà, la guerra; anni di lotte sindacali e politiche, di lente conquiste sociali, che permettono di raggiungere nella seconda metà del XX secolo condizioni di vita e di benessere più dignitose. In tutte queste vicissitudini i Frati di Albino sono compagni di viaggio e il
107 - Valdemiro da Bergamo, I Conventi...cit., p. 46. 108 - Mauro Gelfi, L’età contemporanea, in Storia delle Terre di Albino, a cura di Alberto Belotti, Giulio Orazio Bravi e Pier Maria Soglian, vol. I, Brescia, Grapho, 1996.
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Il primo panorama albinese fissato da una macchina fotografica (circa 1890). (Albino, collezione privata)
convento è un porto sicuro a cui bussare. Per le parrocchie del circondario l’ausilio dei Frati è determinante per una evangelizzazione più incisiva, attuata attraverso le predicazioni straordinarie, le missioni popolari, l’ascolto e il ministero delle confessioni. La silenziosa ma efficace prossimità dei Cappuccini emerge da un caleidoscopio di episodi che si riportano per semplici accenni in ordine cronologico, così come sono stati colti. Eloquente è un ricordo d’infanzia scritto nel 1898 dal prof. Gian Battista Ceroni109:
109 - Gian Battista Ceroni, Festa di famiglia, Tipografia S.Giuseppe in Milano, 10 aprile 1898, p. 25. Opuscolo stampato in occasione dell’ordinazione sacerdotale del fratello don Pio Ceroni.
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Dipinto raffigurante il Convento. (foto di Riccardo Poletti)
Noi s’andava alla chiesa dei Cappuccini a fare il chierico per ricevere i quadretti e le immagini modeste e povere come la condizione del donatore, il buon Fra Maseo; ma in certi tempi dell’anno si disertava dalla chiesa dei Frati, per schiericare in Sant’Anna, poiché ai semplici doni cappuccineschi si preferivano quelli più eleganti e signorili che, con l’ovo di Pasqua, istoriato dai simboli della Passion di Cristo, ci regalavano le Figlie del Sacro Cuore, quando, nella settimana Santa, celebrante con pompa magna l’ottimo don Gio. Casari, noi facevamo l’accolito, o si portava il turibolo, il mio sospiro d’allora, la mia passione prediletta e pur contrastatami sempre dalle mie gambe, che mantenevano ognora, con pervicacia degna di miglior causa, la stessa longitudine. Ma era giusto che le monache ci compensassero meglio, perché, con loro, non potevamo rifarci come nel convento dei Cappuccini, dove nel giardino, si trovava spesso qualche tacita compensazione, disturbata solo dalla rabbiosa e secca tosse o dall’eco delle rumorose espettorazioni del padre Angelo di venerata memoria, o dal sopraggiungere di Fra Leone, che invece di castigarci, come ci meritavamo, accarezzandoci, ne diceva: adesso n’avete abbastanza? Sfido a volerne ancora! S’avea le tasche piene di frutta, senza quella che s’era mangiata. 102
All’inizio del Novecento emerge l’esigenza di adeguare le strutture del convento di Albino perché possa meglio rispondere alla sua funzione secondo gli indirizzi del lungimirante Padre Provinciale Camillo Carrara da Albino. Nel 1905 si dà avvio all’ampliamento del convento con la costruzione di una nuova ala al cui interno si ricava il locale biblioteca. L’opera si realizza con il contributo di “benefattori” fra i quali spiccano gli industriali Honegger di Albino, Pesenti di Alzano, Crespi di Nembro. Per coprire le spese per il nuovo ampliamento si promuove una raccolta fondi, in cui si distingue il frate dedito alla cerca: E poi ci fu allora quel Fra Leone da Bagnatica, religioso di soda virtù, zio di Padre Basilio, che spiegò tutta la sua operosità in detta occasione; circondato dall’aureola di 44 anni dell’ufficio di cercatore, adempiuto sempre con la massima edificazione, armato del suo fido bastoncello, aveva ormai 70 anni, col volto sempre sorridente avvolto in fluente e candida barba che svolazzava al contatto con l’aria, incominciò tosto con ardore la sua missione “pro Fabbrica” e fruttava, fruttava110. La biblioteca, strumento fondamentale di formazione dei religiosi, contiene 15000 volumi, con opere di pregio, dal sacro (dogmatica, morale, sacra scrittura, storia ecclesiastica , diritto, patristica) al profano (letteratura, opere scientifiche). Il convento, ormai dotato di strutture edilizie adeguate e collocato in una posizione salubre, nel 1909 è scelto come sede dello studentato per il ginnasio superiore. Dal 29 aprile al primo maggio 1910, mentre è Guardiano padre Pietro da Casnigo, si celebra il settimo centenario della fondazione dell’Ordine: sono presenti i Cappuccini Monsignor Tei di Pesaro e Monsignor Fiorini di Pontremoli e il Cardinale di Milano Andrea Ferrari che giunge con l’automobile messa a disposizione dal “benefattore” Marino Guffanti, industriale del cemento. L’anno 1911 si apprende con emozione la nomina del Cappuccino albi-
110 - Questa informazione e alcune di quelle che seguono provengono da note dattiloscritte, che si dicono tratte dal Libro Primo di Cronaca del Convento, di cui attualmente si ignora l’esistenza e la collocazione.
Nelle pagine seguenti: foto della via dei Cappuccini e il convento nella prima metà del secolo XX, anni venti.
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Sagrato con le piante.
nese Mons. Camillo Carrara a Primo Vicario apostolico dell’Eritrea. Il 20 maggio il noviziato è trasferito da Lovere ad Albino, sotto la guida del maestro padre Gian Francesco da Cascina Ferrara e del vice maestro padre Emiliano da Brescia, poi consacrato Vescovo. Qualche anno dopo nel convento si svolgono gli studi di teologia fondamentale. Il 25 febbraio 1912 il Guardiano padre Francesco da Berzo erige la congregazione del Terz’ordine Francescano. Durante la prima guerra mondiale, essendo la scuola comunale occupata dai militari, i Cappuccini mettono a disposizione del Comune i locali per la scuola elementare. Nel 1920 il Guardiano padre Basilio, col consenso del parroco di Albino Don Ercole Bezzi, fa costruire l’Edicola Buona Stampa, gestita inizialmente dalla vedova di guerra “Selvinèlla”, a cui subentra il primo maggio 1923 Emilia Bulandi, umile figura di donna esemplare dedita al servizio di tutti. Dal 27 aprile al primo maggio maggio 1927 si celebrano nel convento di Albino feste solenni in onore del settimo centenario della morte di San Francesco. 106
Antonia Parolini
Maria Parolini
Teresa Parolini
Palmina Parolini
LE SORELLE PAROLINI Il terreno per la costruzione del seminario serafico, nel 1928, fu donato dalle sorelle Parolini, “Pìte”, figlie di Pietro (1848-1895) e di Angela Birolini (1848-1888). In quell’anno ne erano viventi ancora quattro: Antonia (1878-1963), Maria (1882-1953), Teresa (1883-1963), Palmina (1885-1948); nel 1928 moriva Angelina (nata nel 1872), mentre nel 1906 era già morta Maddalena, nata nel 1877. Avevano avuto anche un fratello sacerdote, Angelo, nato nel 1875 e morto nel 1924. La loro casa, alla fine di via Carnevali (l’attuale via Matteotti), dove gestivano un negozio di tessuti, era un luogo di preghiera e di carità. Quando c’era un bisogno nella zona di Cim’Albino si diceva: “A m’ và di Pìte”. In particolari ricorrenze religiose, come la festa della Madonna di Lourdes, della cui grotta avevano nell’atrio della casa una riproduzione in tufo, chiamavano a pregare i bambini del vicinato, donando loro, poi, dolci e frutta. La loro beneficenza, come d’uso allora, si esprimeva nel fare la madrina alle bambine delle altre famiglie in occasione dei sacramenti; alle loro “figliocce”, il giorno di S. Lucia, portavano ogni anno un regalo . Si prestarono anche a preparare il pranzo di nozze di giovani spose. In particolare Maria e Palmina furono impegnate attivamente nella comunità parrocchiale del prevosto Don Ercole Bezzi, continuando poi con il successore Don Pietro Gamba. In una casa adiacente, di loro proprietà, in piazza Camparo, affittata alla famiglia di Angelo Carrara, coniugato con Rita Bulandi, e alle sorelle di questa, Emilia Bulandi, "la Milia dell'edicola", e Ninetta, durante la seconda guerra mondiale furono nascosti, affidati ai suddetti, quadri e centinaia di libri di valore, di un antiquario ebreo di Milano, Emanuele Almansi, coniugato con l'albinese Onorina Berra e amico e collega del poeta Umberto Saba, che pure fu di passaggio ad Albino e fors'anche vi lasciò cose sue, per sottrarre, con successo, quelli e queste al sequestro imposto dalle leggi razziali fasciste. Lo stesso Vescovo di Bergamo, Mons. Adriano Bernareggi, ricordano ancora, fra l'altro, le figlie dell' "Angelì Clusù", consultò preziosi libri custoditivi, già visti da Don Carlo Novara, "Noarì", residente in una casa di fronte. Le sorelle Parolini ospitarono Mons. Angelo Giuseppe Roncalli, il futuro Papa Giovanni XXIII, di passaggio ad Albino. Quando donarono il loro terreno adiacente al convento, era guardiano dello stesso lo zio, Padre Davide da Desenzano, Alessandro Angeli. Al cimitero, ancora oggi, abolite le cappelle, loro tombe sono a disposizione dei Frati Cappuccini sepolti ad Albino.
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Nel Capitolo Provinciale del 25 aprile 1928, tenuto nel convento di Bergamo, si decide di fabbricare un nuovo edificio per il Seminario Serafico sul terreno donato dalle sorelle Parolini. Il capomastro Piccoli di Albino, sotto la direzione di fra Romualdo da Brignano, che ha preparato i disegni con la consulenza dell’ingegnere Bonorandi, pure di Albino, presta il suo servizio gratuitamente fino al completamento dei lavori. Anche in questa circostanza, come nelle precedenti, non manca il concorso di tanti buoni albinesi che dimostrano così il loro affetto, la stima e la venerazione per i frati. Gli operai prestano gratuitamente il loro lavoro e varie imprese di Albino e dei dintorni offrono i materiali necessari alla costruzione. Il 18 agosto 1929 ha luogo l’inaugurazione del seminario per le Missioni Estere dei Cappuccini, preceduta dal triduo in onore del Beato Francesco da Camporosso: il seminario comprende la cappella centrale, due ampi dormitori, le scuole, il refettorio, il salone per lo studio, i luoghi per la ricreazione e altri ambienti; in esso sono ospitate la classe preparatoria e le prime tre classi del ginnasio. Qui si preparano i futuri missionari che lavoreranno in Africa e in Brasile. È l’anno in cui si manifesta la grande crisi economica che provoca una grande carestia, come rilevata dalla cronaca conventuale del 31 luglio 1932: In conseguenza della crisi mondiale, chiusi tutti gli stabilimenti di questi paesi, da un anno circa affluiscono al convento gli affamati; oltre i poveri di Albino, ne vengono da Cene, Comenduno, Desenzano, Fiobbio, Badia, Pradalunga. Fino ad oggi se ne è dato a tutti, fedeli all’ordine del Padre Provinciale: “Non lasciare andare via i poveri senza pane”. Ieri si è dato pane a 208 poveri, ad altri 100 si distribuisce minestra e polenta. I ricchi non ci aiutano; la spesa è sostenuta tutta dalla cassa provincializia... domani si comincerà a diminuire, perché la cassa non è grande come il cuore. Nel 1934 il Vescovo di Bergamo Mons. Adriano Bernareggi, in visita alla parrocchia di Albino, trova nel convento affidato alla cura di padre Augusto da Milano sette frati professi e 75 postulanti. È rigoglioso il Collegio per le missioni francescane. Il notiziario parrocchiale di Albino riporta a futura memoria gli eventi più significativi della comunità, fra i quali l’apprezzata predicazione dei Padri cappuccini nelle occasioni più significative della vita religosa della comunità. Riporta la cronaca della solenne celebrazione della prima messa dei Padri 108
cappuccini albinesi Maria Mario Valli (1934), Rufino Carrara (1939), Benedetto Poloni ed Emiliano Riva (1940), Luciano Mologni (1942). Il 22 ottobre 1941esprime il grande cordoglio per la morte nell’ospedale locale di padre Davide Angelo da Desenzano, apprezzato per la sua predicazione, il prezioso consiglio e la vita esemplare. Il 4 giugno 1944 nella parrocchiale si tiene la commemorazione del ventennale della morte di Mons. Camillo Carrara, Vescovo e Primo Delegato Apostolico dell’Eritrea, fatta da Mons. Remigio Negroni che lo ha conosciuto; il testo della commemorazione è stampato e diffuso a cura del Gruppo Uomini Cattolici in offerta “pro restauri” della chiesa prepositurale. Nel 1951 durante l’alluvione del Polesine sono ospitati per alcuni mesi nel convento di Albino 20 bambini. Un libretto ad uso degli alunni, edito nel 1955 a cura degli insegnati elementari di Albino, riassume il profondo rapporto fra il convento e gli albinesi: Lo scopo del convento francescano di Albino, come di tutti i conventi francescani del mondo, è l’esercizio della carità compiuta in mille modi e sempre nell’ombra. E la carità dei frati Cappuccini di Albino è e fu, infatti, grande in ogni tempo. […] Albino ebbe, durante tutte le vicissitudini tristi della sua vita, l’appoggio della carità dei figli di Assisi che hanno fatto loro le parole di fra Galdino del Manzoni: “Noi cappuccini siamo come il mare che riceve acqua da tutte le parti e torna a distribuirla a tutti i fiumi”. Ad Albino la carità francescana continua la sua tradizione nella distribuzione della minestra e del pane ai poveri non solo del paese. […] Gli albinesi del resto ricambiano con tanto affetto e riconoscenza l’opera svolta dai frati cappuccini e lo dimostrano affollando la piccola chiesa. […] È nella pace e nel raccoglimento di questa piccola chiesa che il popolo di Albino va a cercare conforto, è dalla saggezza dei frati che va a sentire il consiglio illuminato ed è nella pace del chiostro che 12 albinesi vivono oggi di preghiera, di lavoro, di carità verso il prossimo più infelice111.
111 - Albino (Notizie d’ambiente ad uso degli scolari del Comune di Albino), Albino, Tipografia Breda e Carrara, 1959, p. 76.
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Appendice documentaria del 1622 Breve ragguaglio del tempo in cui vennero a Bergomo i Capuccini Frati Minori di San Francesco e de monasteri fabricati loro da bergamaschi, e per necessario preambolo, dell’habito, e dell’origine loro. Raccolta per F. Celestino Sacerd. Capuccino dedicato all’illustrissimo Conte Gio Girolamo Albano Cavaliere di San Stefano. In Brescia, MDCXXII112. La terra di Albino fu sempre amorevolissima verso i Frati Cappuccini in generale; ma in particolare Bernardo Spino, Gio Battista Seradobati e Maria Seniori si dimostrarono in ogni tempo ‘sviscerati’ nell’alloggiarli e blandirli. Tutti gli Albinesi desiderarono costruire loro un convento, attratti dalla loro esemplare e fruttuosa conversazione e perciò, nell’anno1582, il suddetto Bernardo Spino, Francesco Morone e Gio Battista Usubello, a nome di tutti, si presentarono ai Padri riuniti in capitolo a Milano, e li supplicarono di far loro un sì grande favore. Cappuccini, che non avevano bisogno di monasteri in quanto non erano molto numerosi rispetto alla grandezza della Provincia, risposero che per il momento non potevano venire loro incontro. Non per questo il corale desiderio degli Albinesi si raffreddò; essi, anzi, speravano che, se non in quel tempo, in avvenire l’evento potesse adempirsi e volendo inoltre i detti Albinesi aver parte in un’opera così santa, prima di morire, lasciarono diversi legati a tal proposito, come fece tra gli altri Marziale Persona, che lasciò duecento scudi. Per liberarsi da quest’obbligo gli eredi di costui diedero tanti beni alla Misericordia e alla Scuola del Santissimo Sacramento, con l’impegno, se mai si fosse creato qui un Convento dei Cappuccini, di sborsare per quella costruzione la suddetta somma di duecento scudi. Ultimamente, nel 1608, essendo riunito il Consiglio dei 45, esso determinò di dare un nuovo assalto ai Padri; e così fu scritta una lettera contenente un grandissima istanza. Ricevutala, avvenne che i Padri fossero inclini ad assecondare la richiesta, essendo nel frattempo molto cresciuti di numero. Cionondimeno si astennero, per allora, dal rispondere, non volendo addossare una simile spesa alla Comunità di detta Terra e soprattutto vedendo che quella decisione (degli Albinesi) era stata presa senza il suddetto Spino; il quale, essendo benestante, avrebbe potuto aiutare una tale impresa e, in quanto ‘amorevolissimo’, l’avrebbe aiutata, ma che, per certi aspetti particolari e interessi privati ben noti ai Padri, a quel tempo se ne sarebbe astenuto. Ora cosa avvenne? Iddio, che aveva spinto quelli del Consiglio a fare la richiesta, permise che Bernardo si ammalasse, e, aggravandosi il suo male nell’anno 1612, egli stesso, di spontanea volontà, tra gli altri pii legati che fece nel suo testamento, lasciò duemila scudi per costruire nella terra di Albino un Convento
112 - Il testo della traduzione in italiano corrente è stato curato da Augusto Arizzi nel 2005, che ha inserito fra parentesi le integrazioni che agevolano la comprensione.
Deposizione del pittore Piero Testa, 1962,Chiesa dei Cappuccini. Vi è ritratto il fra Battista di spalle. (Foto Maurizio Pulcini)
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per i Frati Cappuccini. Morto che fu, la di lui moglie Pace Rivola, che aveva sempre gareggiato con lui in devozione e amore verso i Frati, desiderosa oltremodo di questa costruzione, inviò come offerta al capitolo dei Frati, riunito in Brescia nel mese di febbraio dell’anno 1613, oltre ai duemila scudi lasciati dal marito, altri mille scudi della propria dote, chiedendo loro che prendessero una decisione. Per cui, i Padri, sollecitati al proposito anche da altri, vedendo che, senza danno della Comunità, si sarebbe potuto procedere alla costruzione e accondiscendendo alle preghiere di persone tanto amorevoli, accettarono l’offerta. Ma è vero, purtroppo, che il nemico giurato della salvezza umana ci si mette sempre di mezzo e si oppone, e cerca di impedire le buone opere, soprattutto quelle pubbliche, vedendole indirizzate a infrangere i suoi disegni ed a opporsi ai propri sforzi. Per questo si è meritato il nome di Satanasso, che, presso gli Ebrei, significa ‘avversario’, o diciamo, ‘contrario’. Infatti egli, con ogni suo potere, si industria di essere tale per l’uomo, tanto che già Salomone disse: Iddio mi ha dato riposo, e non ho alcun Satanasso, cioè avversario; Requiem dedit Deus mihi per circuitum, et non est Satan etc. E il Profeta Zaccaria, parlando del Gran Sacerdote Gesù, afferma che Satanasso gli stava a man dritta per essergli avversario. Et Satan stabat a dextris eius,ut adversaretur ei. E il Salvatore stesso, a Pietro che lo dissuadeva dal subire la Passione, ebbe a dire: Vieni a me Satanasso, che mi sei un grande impedimento, e Contrario. Vade retro me Satana, scandalum mihi es. E occorre sapere che presso i Greci ha lo stesso valore la parola “diavolo”, come Satanasso presso gli Ebrei. Quindi molto a ragione il Principe degli Apostoli ha queste due voci accoppiate tra loro: Adversarius vester diabolus, ect., per darci ad intendere che ci è contrarissimo: di modo che non mangia, non beve, non dorme, non riposa, ma sempre s’industria e macina il nostro male. Questi, dunque, trasfigurandosi in angelo di luce, come usa talvolta per ingannarci più agevolmente - come ci
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avvisa l’Apostolo - sotto forma di maggior bene, fece in modo di confondere quell’azione tanto profittevole, in questo modo. Essendo il Principe (di Venezia) stato supplicato per avere il suo consenso circa la costruzione di questo Monastero, si trovò una persona che, persuasa dall’evidente pensiero di voler procurare maggior utilità spirituale agli Albinesi, scrisse a sua Serenità in modo contrario, asserendo che era una donna sola ( intendendo la Pace) e non la Terra di Albino a presentare richiesta ai Cappuccini; con tutto ciò, essendo quest’opera di Dio, e da Dio, non ottenne nulla. Per questa ragione, il prudente e avveduto Principe, ben consigliato, diede ordine ai Rettori di Bergamo di informarsi accuratamente. Primo, se c’erano realmente i tremila scudi per la costruzione; secondo, se la Terra (di Albino) aveva a cuore l’idea e richiedeva la presenza dei Frati Cappuccini. Ed essi (i Rettori), trovato veritiero il primo, per accertarsi del secondo, vollero che fosse creato un sindacato generale (un referendum). Il 25 giugno gli Albinesi furono convocati perciò nella Chiesa Parrocchiale. Gio. Maria Rota - lì inviato dal Podestà ad assistere in sua vece affinché non scoppiasse qualche disordine e le cose avvenissero senza liti, e canonicamente - cominciò con l’appello nominale dei presenti, in ordine alfabetico; e la conclusione fu che di trecentoventisette presenti, solo sedici si dichiararono contrari e cinque o sei non sinceri; e questo, per particolare divina disposizione, perché, se fossero stati tutti favorevoli, si sarebbe potuto sospettare una qualche frode o che fosse esistita una qualche costrizione; mentre invece, essendo stati parecchi (i favorevoli), vi si constatò la libertà (di adesione) e se ne dedusse che la votazione era risultata reale e veritiera. Né si deve passare sotto silenzio come la divina provvidenza, Ex ore infantium, come dice il Profeta reale, et lactentium perfecit laudem, per bocca dei fanciulli manifestò agli uomini in terra cosa era stato sancito dal divino concistoro in Cielo. In quanto, mentre numerose schiere di uomini si avviavano per entrare in Chiesa, un numero tra venticinque e trenta fanciulli, riuniti sulla piazza antistante, cominciò a gridare all’unisono: Cappuccini, Cappuccini; e tanto più gli adulti li sgridavano per farli tacere, tanto più questi ripetevano ancor più forte: Cappuccini, Cappuccini. Riunitisi poi gli uomini, e chiuse le porte della Chiesa, D. Giovanni Licino Curato, dopo aver esposto il Santissimo Sacramento tra molti lumi accesi, con breve ma efficace ragionamento, esortò ciascuno a raccomandarsi a Dio, a chiedergli di essere guidato dalla sua divina grazia in quella trattativa così importante che si doveva concludere e, dopo aver riposta ogni passione, parzialità, timore, odio, amore disordinato, ecc., dare poi il proprio voto il più fecondo possibile per essere a maggior onore di Dio, a beneficio della Patria. E aggiunse anche quattro parole in lode della Religione Cappuccina. Dopo di lui, Gio. Battista Persona, eccellente Dottore di filosofia e di medicina, dopo aver respinto alcune opposizioni ai Cappuccini sollevate da qualcuno dei presenti, concluse che dai Frati veniva molto onore alla Terra (di Albino) e che, accettandoli, ne sarebbe derivato molto profitto spirituale alle anime. Si arrivò quindi immediatamente al ballottaggio e avvenne quello che si è detto. Concluso il tutto, non solo quel giorno, ma anche la notte seguente, tutti fecero grande festa e allegrezza, con suono di campane e altri modi. L’accordo fu registrato così nel libro della Comunità e portato in copia ai Rettori, e da questi inviato a Venezia al Principe; posta quindi la parte in Pregadi, fu da questo Consiglio concessa ‘graziosa licenza’, come appare dalla seguente lettera Ducale. Marcus Antonius Memo Dei gratia Dux Venet. etc: Nobilibus, et sapientibus Viris Petro Paulo Battalea de suo mandato Potestati, et Aloysio Mocenigo Capitaneo Bergomi, et successoribus fidelibus dilectis salutem, et dilectionis affectum. Significamus vobis hodie in Consilio nostro Rogatorum captam fuisse Partem tenoris infrascriptii videlicet. Che ad onore del Signore Dio sia concessa licenza ai RR. Padri Cappuccini di poter costruire una chiesa e un monastero della Terra di Albino, Territorio Bergamasco, di modo che sia esaudita la pia idea del fu Bernardo Spino che per tale effetto ha assegnato a detti padri duemila scudi nel proprio testamento, e alla consorte dello stesso che ne aggiunge altri mille, come hanno richiesto i detti Padri e consigliato i Rettori di Bergamo nelle risposte duplicate lette ora, non essendovi, specialmente in detta Terra un altro monastero.
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Quare auctoritate suprascripti Consilii mandamus vobis, ut suprascriptam Partem obseruetis, et ab omnibus inviolabiliter observari, ubi opus fuerit registrari, presentique restitui faciatis. Dat. In nostro Ducali Palatio die X Oct. Indict. XII. 1613. Antonio Anselmi Secretario. Avuta questa licenza il 28 Ottobre, con infinito concorso e applauso anche dei popoli viciniori, con le sacre e consuete cerimonie, fu benedetta la pietra che per prima doveva essere messa nelle fondamenta, dal suddetto curato, su ordine del vescovo, che non poté farlo per indisposizione corporale; adorna di molti gioielli e di collane d’oro, la pietra fu portata in processione dai Frati Cappuccini che erano presenti in numero di dodici; fu inoltre accompagnata da tutto il clero e il popolo di Albino; e ancora, i principali Albinesi fecero a gara nel portare una pesante e lunga croce di legno che doveva essere piantata nel sito dell’altare; su detta pietra era inciso:
D.O.M. Paulo V. P. M. Marco Ant. Memo Venet. Principe. Io, Emo Berg. Episcopo P. F. Marcoant. Capuc. Provinciali Io Licinus Albius Rector primum hunc Lapidem pro Eccl. Fr. Capuc. aedificanda in honor B. V. M. ac Seraph., P. N. Fran. ritus sollenni Consacratum posuit in fundamentis Die XXIIX Octob. M. DC. XIII. Occorre sapere che nel benedire questa pietra, oltre a S. Francesco, fu anche citato, dal predetto curato, anche S. Albino vescovo, sebbene non fosse espressamente citato nell’iscrizione; e questo accadde perché alcuni principali di Albino volevano che anche a questo Santo fosse dedicata la chiesa; ma la Pace, con i soldi della quale soprattutto si doveva costruire detta chiesa, volle in ogni modo S. Francesco, sia perché era devotissima di questo gran Patriarca, sia perché in tutta la Valle Seriana inferiore, media e superiore non c’era altra Chiesa dedicata a lui; per di più, tutti gli abitanti gli erano molto devoti, come si può capire dai monasteri della sua Religione qui fondati. Ma che ragione avevano gli Albinesi di volere che questa chiesa fosse dedicata a S. Albino? Lo dirò ora. Seguendo egli lo spirito veramente pio e veramente cristiano dei suoi antenati, i quali, considerando di avere per grazia di Dio già da tante centinaia d’anni abbandonati i riti gentileschi imparati dal suo fondatore, avevano ritenuto giusto e ragionevole di smettere di far derivare il nome della loro Terra dal suo nome e perciò avevano deciso e preteso di mettere la stessa Terra sotto la protezione del già citato S. Albino vescovo ed anche di chiamarla con lo stesso nome. Ed a ragione potevano far questo, poiché altre nazioni avevano fatto lo stesso. I Settempedani (questo è certo), popoli già celebri nella marca di Ancona per la grande devozione dedicata al corpo di S. Severino loro vescovo, col nome di questi vollero che si chiamasse la loro città, e nel mare Ionio si trova un’isola nobilitata con il nome di Santa Maura vergine e martire illustre e per questo nominata S. Maura. In Francia, la città già chiamata Veromanda porta al presente il nome di San Quintino, e da San Quintino martire insigne trae il suo nome; lo stesso fatto si annota altrove. Ma perché mai occorre portare esempi stranieri? Nella nostra patria abbiamo diverse terre chiamate con
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i nomi di santi. San Gervasio, San Gio. Bianco, San Gallo, Sant’Omobono, San Pellegrino. Per questo, non avendo fin qui avuto altra occasione di farlo, gli Albinesi desideravano che a S. Albino venisse dedicata questa chiesa; ma poiché non era possibile per le citate ragioni, e tuttavia volendo anche in parte far loro piacere ed accondiscendere alla loro richiesta, fu il santo vescovo insieme con il serafico Padre, con ordine che ad ambedue fosse dedicata e consacrata la chiesa e che ambedue fossero dipinti nell’Icona, dando tuttavia il primo posto a S. Francesco. E ricordo qui che sono presenti tre Santi Albini vescovi nel Martirologo Romano: uno di Bressinone, da alcuni chiamata anche Brescia, il cui natale è il 5 Febbraio; l’altro, di Andegavia, il primo di Marzo; il terzo, di Leone, il 5 settembre. Ma il protettore di Albino è il vescovo di Andegavia (Angiò/Angers, Francia). Fu così iniziata questa costruzione e Giovanni Spino, figlio del già citato fondatore Bernardo, desideroso di dimostrarsi legittimo erede, non tanto delle facoltà lasciategli dal padre, ma ancor più dell’amore e della liberalità verso i Frati, oltre ad averli sempre amati, favoriti e blanditi, oltre alle elemosine ordinarie elargite loro, benché il padre gli avesse dato come termine quattro anni di tempo per sborsare i duemila scudi, ciononostante offrì e sborsò immediatamente tale somma, per cui con molta sollecitudine fu portata avanti la costruzione cui assistettero e a cui lavorarono sempre alcuni frati. Nel 1616 si installò così nel convento una famiglia di dodici frati che vi abitavano comodamente, secondo i loro propositi e la loro professione. Essi vengono aiutati dalle elemosine degli Albinesi ed anche da quelle degli abitanti di Nembro, di Alzano e di altre zone viciniori. Al piano di sopra vengono realizzate 19 celle e quattro infermerie; nel chiostro viene eretta una fontana con buona ed abbondante acqua che serve anche ad irrigare l’orto. Nello stesso tempo si costruì anche la chiesa, alquanto piccola in verità, ma ben ornata ed atta al raccoglimento; sopra l’altare maggiore, Gio. Battista Noris fece eseguire l’Icona dal pittore Francesco Zucco, che non è inferiore ai primi (artisti) della Patria; in essa si vede in alto la Santissima Vergine porgere il Bambino Gesù a San Francesco che le sta innanzi inginocchiato; sotto di essa vi è S. Albino vescovo, in abito pontificale e dall’altro lato S. Carlo. Il tabernacolo, grande e magnifico, che supera la somma di cento scudi, fu donato da Marsilio Cabrini e due suoi nipoti, Gio. Battista e Bettino. La pisside ove si conserva il Santissimo Sacramento e un bel calice d’argento furono comperati con cinquanta scudi raccolti con varie elemosine. In tempi vari e successivi, diversi e pii benefattori hanno dotato la sagrestia dei paramenti necessari per l’altare e per i sacerdoti, secondo la professione cappuccina che non ammette né oro né seta, se non sopra il Santissimo Sacramento. Il già citato Giovanni Spino, non contento di avere già sborsato anticipatamente i duemila scudi, come si è detto, né di aver perfezionato la cappella fondata dal padre, come si è già visto, nella chiesa dei Cappuccini di Vertova, per mostrare sempre più quanto fosse bramoso di promuovere questa costruzione, in questa chiesa di Albino ha fatto altresì costruire, a sue spese, la cappella minore, sotto l’invocazione e il titolo dei Santi Giovanni Battista e Giovanni apostolo ed evangelista, che vi si vedono dipinti, sotto la Vergine Santissima, che, attorniata da angeli, tiene in grembo il pargoletto Gesù nell’Icona dell’altare fatta da Gio. Paolo Cavagna, pittore eccellente che gareggia con i primi (artisti) in Patria e all’estero e che, in seguito, ha fatto fare alcuni paramenti per l’altare e per i sacerdoti che vi celebrano. Tutto quello che ho scritto qui o altrove, io F. Celestino sacerdote cappuccino da Bergamo, tutto fin nella minima parola, lo sottopongo alla censura e correzione della Santa Madre Chiesa Romana, nella cui fede ed obbedienza professo di voler vivere e morire. Lode, gloria e onore alla Santissima Trinità, all’Immacolata Vergine Maria, al mio serafico Padre San Francesco e a tutta la corte celestiale.
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Cappuccini di Albino a cura di Franca Marina Moretti
Sigle delle fonti e degli autori: SdTdA = Storia delle Terre di Albino, vol. II, Comune di Albino/Grafo, 1996. Necr. = Necrologio dei Frati Minori Cappuccini della Provincia di S. Carlo di Lombardia - Marzo 1982. A.B. = Alberto Belotti. A.C. = Angelo Calvi . A.F. = Alessandro Ferrari. G.V. = Giampiero Valoti (con la collaborazione di Giuseppe Carobbio).
In ordine cronologico di morte
Fra APOLLONIO da Albino morto a Breno il 12 luglio 1625 (Necr.) Padre BERNARDO da Albino, morto a Romano di L.dia l’8 gennaio 1676 (Necr.) Fra BERNARDO da Albino morto a Bergamo il 26 febbraio 1683 (Necr.) Padre MICHELANGELO da Albino morto a Bergamo il 7 agosto 1688 (Necr.) Fra GIANMARIA da Albino morto a Bergamo il 22 maggio 1703 (Necr.) Padre SERAFINO da Albino, morto a Bergamo il 20 novembre 1715 (Necr.) Fra PAOLO da Casale di Albino, morto a Bergamo il 19 ottobre 1717 (Necr.) Padre BENEDETTO da Albino morto a Vertova il 6 febbraio 1718, Predicatore (Necr.) Fra FRANCESCO da Albino morto a Bergamo il 26 novembre 1738 (Necr.) Fra SEMPLICE da Albino morto ad Albino il 7 gennaio 1743 (Necr.) Padre GIANMARIA da Albino morto ad Albino il 27 gennaio 1752, Predicatore (Necr.) Fra ROMUALDO da Vall’Alta di Albino morto ad Albino il 17 maggio 1772 (Necr.) Padre ANTONIO da Albino morto a Bergamo il 14 settembre 1808, predicatore e missionario, maestro dei novizi, definitore e vicario provinciale (Necr.) 116
Colleoni Felice Bartolomeo (Padre Lorenzo Maria) Nato ad Albino il 10 aprile 1811, sacerdote cappuccino. Fu Guardiano e maestro dei novizi, direttore degli studenti e curato all’Ospedale Maggiore di Milano; venne anche eletto più volte moderatore provinciale. Morì ad Albino il 20 luglio 1887. (SdTdA-A.B.) - Lettore, superiore, maestro dei novizi. Definitore. Fu il primo parroco all’Ospedale Maggiore di Milano. Provinciale (18551858/1864-1869/1884-1887) e contemporaneamente nell’ultimo triennio parroco all’Ospedale di Bergamo (1883-1888). Per circa un decennio fu anche direttore spirituale delle Madri Benedettine Collezione Sig.ra Valentina Zenoni. di Trieste.Vero padre e pastore, prudente e saggio. (Foto di Giambattista Moroni) (Necr.)
Scalvinoni Giovanni (Beato Innocenzo da Berzo) Giovanni Scalvinoni, poi padre Innocenzo da Berzo, era nato a Niardo in provincia di Brescia il 19 marzo 1844. Entrato nel seminario diocesano, il 2 giugno 1867 ricevette l’ordinazione sacerdotale. Don Giovanni, vicario parrocchiale a Cevo (Bs) e quindi a Berzo, si sentì chiamato a una dura vita e volle entrare nell’ordine dei Frati Minori Cappuccini, novizio nel convento dell’Annunciata. Pronunciati i primi voti, viene mandato per un anno al convento di Albino dove pronuncia i voti solenni. Il 16 aprile 1874 diviene padre Innocenzo. Di nuovo mandato all’Annunciata, vi rimane 14 anni. Dopo alcuni trasferimenti a Milano e Crema, gli viene affidato l’incarico di predicare gli esercizi spirituali nei conventi di Milano, Albino, Bergamo e Brescia, ma ad Albino, la salute già minata, si ammala gravemente e viene trasferito nell’infermeria dei Cappuccini di Bergamo, dove muore il 3 marzo 1890. La sua beatificazione, decisa da papa Giovanni XXIII, fu da questi celebrata il 12 novembre 1961. I frati lo ricordano “come insuperabile quando si trattava di aiutare un povero o di restare in adorazione davanti al tabernacolo”. Quand’era sacerdote diocesano, la mamma sapeva che tutto poteva scomparire da casa; bastava arrivasse un povero e ogni cosa utile andava a finire 117
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in quelle mani: il suo materasso a una povera inferma, un pollo in pentola già pronto per la cena: “Tanto noi possiamo mangiare anche domani: bisogna considerare il nostro prossimo come coricato nel grembo del Salvatore”. Se non era impegnato in attività pastorali, era in preghiera silenziosa vicino all’altare. Da frate dell’Annunciata, spesso tornava dalla questua con la bisaccia vuota, perché nel giro di raccolta aveva dato tutto. Le sue messe superavano il solito orario e parevano interminabili e anche gli strattoni alla pianeta per avvertirlo servivano a poco. Incaricato di spolverare i banchi non finiva mai per poter restare davanti al tabernacolo. Nella chiesa di Ossimo, dove era stato a confessare, il Parroco lo trovò al mattino, dopo una notte adorante, quando venne ad aprire la porta. Giovanni XXIII lo definì “un santo moderno”; Paolo VI specificò così questa modernità nel mondo consumistico e nel regno delle cose: “Dicono i biografi che teneva la testa bassa e difficilmente si poteva perfin vedere il suo sguardo, ma la sua anima teneva gli occhi in alto”. Il segreto del fratino di Berzo era come per Francesco: “Mio Dio e mio tutto”. Ha lasciato scritto: “L’amore di Dio non consiste in grandi sentimenti, ma in una grande nudità e pazienza per l’amato Dio”. Ad Albino era ricordato per le ore che passava nelle chiese del convento e della Concezione. Il giovane Angelo Carrara, poi Mons. Camillo - anche nel processo di beatificazione -, testimonia che un giorno al convento aspettavano padre Innocenzo, ma non arrivava. Aveva celebrato la S. Messa al mattino e non era rientrato. Camillo andò a cercarlo e lo trovò nella chiesetta in contemplazione. Un piccolo quadro in questa chiesa lo ricorda appunto in preghiera adorante. Invece il grande affresco a lui dedicato, opera di fra Damaso Bianchi, in uno dei due altari laterali della chiesa del convento, lo ritrae, dal 1971, rivolto ai bisodel Beato Innocenzo, gnosi del paese di Albino: gli anziani, i giovani, le fami- Dipinto Chiesa della Concezione. glie, le vocazioni religiose. (A.C., da Fonti Cappuccine). (Foto di Maurizio Pulcini) Pagina a fianco: affresco di fra Damaso Bianchi nella Chiesa del Convento. (Foto di Maurizio Pulcini)
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Fassi Fortunato (Fra Salvatore)
Fortunato Fassi nacque il 28 giugno 1872 ad Albino ed entrò nell’Ordine Cappuccino nel 1892. Scriveva padre Rufino Carrara: “Conservo ricordi della mia personale infanzia che presso i parenti Palasì trascorrevo nei tempi di vacanza estiva. Conversazioni serali e incontri familiari si richiamavano spesso al giovane Fortunato che a vent’anni, dopo il servizio militare, aveva scelto di battere al vicino convento dei Cappuccini per diventare frate e missionario. La sua memoria non è mai stata separata dal ricordo di Mons. Carrara. Provengono entrambi dalla stessa contrada albinese che si stende ai piedi del monte della Croce: la contrada di Piazzo”. E fra Salvatore, fratello laico, fu inviato nelle missioni cappuccine in Brasile, nell’Alto Alegre, nello stato del Maranhao. Qui era impegnato, come si direbbe oggi, nella promozione dell’uomo: era coordinatore di attività agricole e della costruzione di abitazioni; la faticosa vita del contadino l’aveva conosciuta in gioventù. La beata Francesca Rubatto, Madre Generale delle Suore Cappuccine, scrisse: “Vidi con i miei occhi le fatiche, le pene, i sacrifici che sostennero questi ottimi padri”. Fatto sta che il 31 marzo 1901, quando aveva solo 28 anni, fu massacrato dagli indios insieme ai confratelli, sette suore e duecento altri indigeni. Una spiegazione del massacro, che fece epoca, non solo nei racconti della contrada di Piazzo, secondo padre Rufino sta nel fatto che i Cappuccini “nel loro entusiasmo Immagine di Fra Salvatore conservata possono essere incorsi in situazioda Libio Milanese 120
Immagine d'epoca.
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ni di zelo inopportune” con gli indios. La rivista Missionari Cappuccini del Centenario del massacro rileva come “catechesi e colonialismo fossero un connubio infelice” che scatenò, con altri interessi, una reazione violenta degli indios. Sull’impreparazione del tempo a capire i diversi e a realizzare l’inculturazione del Vangelo, sulla stessa rivista, fratel Arturo Paoli invita a non soffermarsi, “affinché non si cancelli quel messaggio di entusiasmo, di donazione, di carità, diffuso a scapito di ogni interesse personale”. A Barra du Corda decenni dopo fu costruita una chiesa nel ricordo dei “martiri di Alto Alegre”, per iniziativa, a partire dal 1939, del missionario albinese fra Adriano da Bondo. Delle cinque campane, quella dedicata a fra Salvatore, fu patrocinata dalla comunità civile ed ecclesiale di Albino. Padre Rufino, allora presente in paese, scrisse più tardi: “A distanza di 100 anni, la memoria di fra Salvatore Fassi rende consapevole la comunità di Albino della sua identità che nel nome del Vangelo ravviva la responsabilità per fare di tutti una vera, pacifica e felice famiglia di Dio”. (A.C.)
Pezzoli Giovanni (Padre Marino)
Nato ad Albino il 6 febbraio 1842. Fu ordinato sacerdote nel 1865. Vestì l’abito cappuccino nel 1880. Morì a Bergamo il 12 settembre 1905. (SdTdAA.B.) - Entrò nell’ordine già sacerdote. Predicatore, superiore, curato dell’Ospedale di Bergamo. (Necr.)
Selvinelli Pietro (Padre Alessandro)
Nato il 16 ottobre 1861 ad Albino. Vestito l’abito cappuccino, venne ordinato sacerdote nel 1886. Ricoprì l’incarico di superiore, ma afflitto da una lunga malattia, morì a Salò il 23 maggio 1906. (SdTdA-A.B.) - Superiore, si prodigò per gli infermi. (Necr.)
Nicoli Michele (Fra Benedetto)
Nacque a Vall’Alta di Albino il 28 settembre 1822. Vestì l’abito cappuccino nel 1852 e visse da fratello laico. Morì a Brescia il 14 dicembre 1906. (SdTdA-A.B.) 122
Birolini Pietro (Padre Bernardo)
Nacque ad Albino il 10 ottobre 1864. Vestito l’abito cappuccino, venne ordinato sacerdote nel 1891. Fu superiore nei conventi delle diocesi di Cremona e Bergamo. All’Ospedale Maggiore di Bergamo, dove svolse per alcuni anni la sua attività, contrasse una malattia infettiva che lo costrinse a ridurre la propria attività. Morì nel convento di Sovere il 27 gennaio 1919. (SdTdAA.B.) - Predicatore, superiore, cappellano all’Ospedale Maggiore di Bergamo (1808-1811). Sopportò rassegnato una lunga malattia. (Necr.)
Cugini Giovanni (Padre Guglielmo)
Nacque il 25 gennaio 1856 a Vall’Alta di Albino da Benedetto e Maria Cagnoni abitanti a Molinello. Entrato nel seminario diocesano venne ordinato sacerdote nel 1882. Dopo nove anni come parroco di Ama entrò nell’Ordine Cappuccino. Fu direttore spirituale e presidente del convento di Lovere e di Casalmaggiore. In seguito venne inviato a Milano e poi a Bergamo quale confessore degli studenti e del clero. Morì a Bergamo il 28 febbraio 1924. (SdTdA-A.B.) - Già sacerdote e parroco di Ama per nove anni. Fu direttore spirituale per moltissimi anni nel seminario serafico. (Necr.)
(Archivio Famiglia Cugini)
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Carrara Giuseppe (Mons. Camillo Carrara)
Giuseppe Carrara (Mons. Camillo) era nato ad Albino il 14 marzo 1871, nella casa dei “Capelù”, da Giovanni e Teresa Moroni, contadini della zona di Piazzo. Una lapide, postavi nel 1934, ancora ne fa memoria. Frequentò il vicino convento e, ragazzo piccolo e robusto, entrò presto nel seminario serafico di Lovere. Ricevette l’ordinazione sacerdotale il 22 settembre 1894. Fu quindi precettore e Guardiano nei conventi di Crema, Cremona e Bergamo. Nel 1901 lo raggiunge la notizia del massacro dell’Alto Alegre in Brasile, in cui fra gli altri fu ucciso fra Salvatore Fassi, nato ad Albino un anno dopo di lui, anche se non suo compagno di convento. Ministro provinciale dei Cappuccini lombardi, fu visitatore apostolico della missione nel Parà-Maranhao. “Egli aveva sognato la vita missionaria” scriveva padre Ezechia di Iseo, nel suo “Pionieri di fede e civiltà” del 1936. E la nomina a Vicario Apostolico dell’Eritrea avvenne pochi mesi dopo il suo ritorno dal Brasile. Fu consacrato vescovo il 26 febbraio 1911 a Milano dal Card. Ferrari. Dopo una breve visita di saluto ad Albino, continua padre Ezechia, “a Roma, Mons. Carrara fu ricevuto in privata udienza dal S. padre Pio X, dal nostro amatissimo Re Vittorio Emanuele III, dal Presidente del Consi-
La casa natale oggi.
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glio On. Luzzati, dal Ministro degli Esteri On. Di S. Giuliano, dal Ministro della guerra gen. Spingardi e da tutti ebbe preziosi consigli e considerevole aiuto”. Dunque, allora la missione si svolgeva in un contesto di colonizzazione e rischiava “quell’infelice connubio” (Missionari Cappuccini, marzo 2001). Non si era attenti a quanto istruiva, ad esempio, la Sacra Congregazione de Propaganda Fide nel 1622: “Non c’è niente di più assurdo che trasferire presso i Cinesi, la Francia, la Spagna, l’Italia, qualunque altro paese d’Europa. Non dovete portare la cultura dei nostri paesi, ma la fede”. Ed ecco invece quanto scriveva padre Ezechia nella biografia di Mons. Camillo del 1926: “Dall’eterna città spiccavano il volo le aquile romane per posarsi dominatrici sui popoli; da Roma partono oggi gli Apostoli del Vangelo per recarsi, consolatori ed amici, tra popoli barbari col dono della verità, della grazia e della virtù”. Il giorno 19 marzo 1911, il Vicario Apostolico salpava da Napoli sul piroscafo Etruria coi suoi compagni: Padre Celestino da Desio, Padre Vittorino da Intimiano, Padre Ezechia di Iseo (appunto, n.d.r.), Padre Fernando da Manerbio, Padre Apollonio da Desenzano al Serio, Frate Benvenuto da Albino, Frate Siro da Brembilla, Frate Flaminio da Casatenovo, Frate Bernardino da Desio”. Attraversato il canale di Suez, “alla sera del 31 marzo arrivammo a Massaua accolti con molta deferenza dal Commissario locale Cav.Talamonti, dal Comandante la base navale, dalle truppe del presidio, dai Padri, dalle Suore, dai bambini della Missione e dai connazionali. Il 3 aprile partimmo per Asmara; fino a Nefasit in ferrovia, da Nefasit all’Asmara in carrozza. Si inizia per Mons. Carrara un lavoro delicato e complesso al quale donò tutta la sua instancabile attività e la sua esperimentata prudenza”. Non ci è dato sapere quanto la segnalata commistione fra evangelizzazione e colonizzazione fosse presente a Mons. Camillo, poco citato direttamente dal suo biografo. All’opposto “è scontata talvolta, la tentazione di fare di un inviato del Papa un precursore, un anticipatore di non so quali istanze e disegni politici. Si arriva al punto di dimenticare un uomo che ha vissuto con intensità il suo tempo, un cristiano che si è confrontato con il proprio tempo alla luce del Vangelo” (fra Marcello Rota, Missionari Cappuccini, maggio 2004). In una lettera a don A. Musitelli, parroco delle Grazie in Bergamo, Mons. Camillo scrive: “Sono confuso, quasi spaventato. Sono un povero frate buono a nulla, ma ci vado volentieri perché sento che laggiù c’è da fare molto bene. Dio lo farà e io sarò umile strumento nelle sue mani. Quanto avverrà di 125
buono io l’attribuirò sempre alla sua grazia divina e alla preghiera dei cari amici”. Padre Ezechia comunque identificò il suo programma nel risolvere “il triplice problema”: “ La sua opera di Vicario Apostolico doveva affrontare un problema politico, un problema sociale, un problema religioso”. “Se la politica è l’arte di presentire ciò che vuole un popolo, Mons. Carrara fu un politico di primo ordine. Egli si mise in contatto con tutte le autorità civili e militari; volle sentire i rappresentanti di tutte le classi sociali, e intuì quali erano i bisogni del popolo ita- Ritratto di Mons. Camillo Carrara, liano dimorante in colonia; percorse opera di G. Lecchi del 1927 più volte con cuore di Padre i paesi indigeni e potè conoscere quali fossero i loro più ardenti voti”. “Problema sociale”: “Mons. Carrara, anima mite, aperta ad ogni ideale di bontà, comprese che l’apostolo del secolo XX deve saper inquadrare la sua
Mons. Carrara in visita ai Cunama è ricevuto da una danza delle donne. Pagina a fianco: refezione del Vicario Ap. in viaggio, cartolina postale dell'epoca. (Archivio della famiglia di Giovan Ambrogio Carrara)
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azione religiosa nel tumulto delle opere moderne. Oggi per il sacerdote non basta più il servizio della sua chiesa, ma deve scendere nel vasto campo della beneficenza, perché solo una bontà illuminata e fattiva vince i sordi rancori”. “Problema religioso”:“Conservare la fede dei cattolici indigeni; rifare nell’anima italiana dei nostri fratelli, immagine cristiana deturpata”. Volle sciogliere il triplice problema con “un’opera di civiltà”: “Mons. Carrara voleva rifare questa piccola società coloniale e perciò rivolse il suo sguardo di Padre e di educatore alla scuola. Il Vicario volle che l’insegnamento elementare fosse principal cura della Suore Figlie di S. Anna innanzitutto ad Assab”. Finché “nel 1923 concordò il passaggio delle scuole elementari governative alla missione: a Cheren, a Adi-Ugri, Adi Caié, Ghinda”. Nel 1913,“in Seganeti sorge la Scuola di Arte e Mestieri dedicata a S. Michele.Vi sono due laboratori, uno per i sellai, uno per i sarti”, inizialmente. “Per sua volontà sorse la nostra Tipografia Francescana. «Parole buone», bollettino mensile della missione, divulga e raccoglie quanto può essere utile al nostro apostolato”. “Nel 1911 Pio X aveva benedetto gli inizi dell’attività apostolica del vescovo con parole che lo colpirono profondamente: - Senza la stampa invano si fondano missioni e si aprono scuole” (Padre Rufino, Continenti, n. 9). Padre Rufino Carrara: “Durante lo spazio di 13 anni sollecitò la stampa di decine e decine di pubblicazioni scolastiche, liturgiche, religiose, in diverse lingue: tigrino, arabo, tigré, cunama, bileno e italiano. Di prima importanza la pubblicazione della Sacra Bibbia in lingua Ghe’ez”. E qui siamo sulla via dell’inculturazione.
Il Vicario Apostolico Mons. Carrara con il governatore dell'Eritrea Sen. G. De Martino. (Archivio della famiglia di Giovan Ambrogio Carrara)
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“L’opera di religione” fu sia per gli italiani, sia per “i suoi figli neri”. Seguiamo ancora la traccia delle biografie di padre Ezechia. “Mons. Carrara si sentiva padre dei coloni bianchi, qua e là dispersi in Eritrea che corrono il pericolo di perdere la fede. Il suo cuore soffriva: pregò, pianse, sperò e per le sue cure assidue la fede ebbe di nuovo alito di vita”. “L’opera di religione come missionari per i suoi figli neri ha nell’Eritrea tre campi diversi: l’altopiano dove domina la fede copta; la valle dell’Anseba dove vivono i Bileni con un miscuglio di credenze cristiane e musulmane; il territorio bagnato dal Gasc e dal Setit, dove dimorano i Cunama che vivono ancora da pagani. Mons. Carrara, dalla piccola casa dove abitava ad Asmara, volle visitare tutte le località - anche più lontane - della colonia. Egli così gracile di salute. Dopo aver percorso venti, quaranta chilometri a dorso di mulo per sentieri scavati nel vivo della montagna, il Padre buono arrivava. In una povera capanna, aperta ad ogni vento o sotto una tenda improvvisata, il buon Vescovo ascoltava tutti, riceveva tutti, consolava tutti. Bimbi orfani, derelitti, dalle carni piagate, ebbero pane, protezione e conforto; donne cacciate dal proprio marito, vecchi rimasti soli nella tristezza della vita, infermi non curati e fuggiti dai famigliari, tutti provarono gli effetti della carità di Mons. Carrara che era sempre dolce come un bacio materno”. Si presentava “alla gente con un nome accattivante e di vero stile locale: Abuna Joseph” (Padre Rufino), riprendendo il suo nome di battesimo. “Ho faticato molto”, scriveva egli, “non so come abbia fatto a sopravvivere, ma ho goduto immense consolazioni. Dio mi ha svelato il cuore e l’anima di questa gente perché comprendessi il grande bene che io posso e debbo fare per la loro salute” (cit. nell’opuscolo commemorativo per il Centenario dell’Istituzione del Vicariato Apostolico dell’Eritrea, Asmara, 2011). “Mons. Carrara sognava la conquista del popolo Cunama alla fede. Con fermo volere pose all’opera i suoi missionari”(Padre Ezechia). “Il nuovo Vicario Apostolico era tornato in sede dalla prima visita al Vicariato con una lucida intuizione: il popolo Cunama, stanziato lungo il bassopiano occidentale tra le valli del Tekkese-Setit e Barca, costituiva insieme con i Nara l’unico gruppo nilotico-sahariano in Eritrea, e perciò etnicamente e culturalmente il più genuinamente africano. Non ancora raggiunto dal cristianesimo, e marginalmente sfiorato dall’Islam, rappresentava una rara opportunità per la prima evangelizzazione. Nel luglio del 1912, padre Celestino Cattaneo da Desio, futuro successore 129
di Mons. Carrara, fu inviato a fondare la prima stazione missionaria di Barentù ma, affetto dalle micidiali febbri malariche che infestavano la regione, fu costretto ad abbandonarla dopo soli sei mesi, avendo appena gettate le fondamenta della nuova casa missionaria. Era stato da poco raggiunto, nel dicembre dello stesso anno, da Padre Egidio Galimberti da Verano (facente parte del secondo gruppo di missionari giunti in Eritrea nel dicembre 2011, n.d.r.), seguito a sua volta da Padre Diego da Castelcellesi (febbraio 1913). La difficoltà della lingua cunama fu superata attraverso lo studio e grazie all’insistenza e paterna pressione di Mons. Carrara: frutto di questo impegno fu La grammatica della Lingua Cunama che Padre Egidio comporrà con Padre Diego, e la Tipografia Francescana stamperà nel 1918. Come sempre nel suo stile, il Vescovo non si limita a parole di incoraggiamento, si reca di persona a rendersi conto dei problemi: - La missione Cunama, sottolinea Padre Egidio in una lettera del 1918, sarebbe stata certamente abbandonata, se non ci fosse stato per quel sant’uomo di Mons. Carrara. La grande svolta arriva tra la fine del 1921 e gli inizi del 1922. Nello stesso villaggio di Dasè, il vecchio Aroda, nonno di un ex alunno della missione, accetta il Battesimo in articulo mortis, seguito da tutta la sua famiglia. Nel giro di poche settimane l’intero villaggio abbraccia il cristianesimo. L’esempio di Dasè rimbalza di villaggio in villaggio” (Fra Tewelde Beyene, Missionari Cappuccini, aprile-giugno 2011). “Più di un migliaio di Cunama sono oggi (1926, n.d.r.) uniti alla Chiesa di Roma”(Padre Ezechia). “La prima richiesta venne da una famiglia dalla quale discende l’attuale Eparca di Barentù, mons.Tommaso” (Padre Rufino, Continenti, n. 9) “Mons. Carrara pose ogni sua sollecitudine nella formazione del clero indigeno. Pupilla dei suoi occhi era il seminario di Cheren; riorganizzato, abbellito, animato. Volle un programma di studi più organico: scelse i migliori insegnanti”. “Tra i competenti del problema missionario è la convinzione generale che le Missioni (oggi diremmo le Chiese locali, n.d.r.) non possono consolidarsi, né prosperare 130
se non per mezzo del clero indigeno. È naturale: questi preti indigeni possiedono la lingua del paese ed è in questa lingua che il popolo dev’essere istruito, conoscono le tradizioni ed i costumi dei loro fratelli, sono più accetti, più ascoltati; assicurano la continuità della Missione nel caso di una separazione provocata da avvenimenti politici” Padre Ezechia). “In dodici anni aumentò i preti eritrei da 33 a 62, i seminaristi da 20 a 58” (opuscolo per il Centenario, 2011). E “sorge la chiesa di Barentù, quella di Massaua e il magnifico tempio di Asmara”, una cattedrale, per altro, “con linee architettoniche in stile romanico lombardo”...“I dirigenti imposero lo stile: non quello etiopico, però, che fu scartato a priori” (Padre Rufino, Continenti, n. 9). Il progetto fu dell’architetto il milanese Oreste Scanavini, mentre il lavoro venne seguito dall’ingegnere Mario Mazzetti di Montese (Modena). “Che bel giorno fu quello per Mons. Carrara!” il 14 ottobre 1923. Era venuto in Italia, l’anno prima, per chiedere aiuti. Si formarono comitati civici a Bergamo, Milano, Torino e in altre città. Per le campane mendicò il bronzo direttamente dal Governo che mise a disposizione quello dei cannoni della guerra ’15-18, “quello nemico seminatore di morte sulle doline del Carso” (Padre Ezechia)... L’organo della cattedrale fu offerto dalla parrocchia di Albino. Fu sollecitata la venuta in Eritrea di una decina di nuclei familiari friulani, che affrettarono la costruzione. “La folla ha portato in trionfo per le vie della città il Corpo Santo di Gesù. Nel discorso che egli tenne ai pontificali mandava un saluto di ammirazione e d’affetto alla memoria di Benedetto XV, il Pontefice della Pace. La cattedrale che era il sogno della sua vita episcopale era ormai consacrata, ma le fatiche, le emozioni di questa storica giornata, avevano ferito a morte il cuore di Mons. Carrara” (Padre Ezechia). Il 2 novembre era colpito da improvviso malore. Era stato colto da un “colpo apoplettico”. Dopo un miglioramento, nel mese di febbraio partiva per Cheren, sperando nel cambiamento di clima. “Quanta dolcezza nel suo sguardo, quanta gentilezza nella sua parola”. “L’illustre Presule aveva riacquistato l’uso della parte paralizzata”, ma verso la metà di maggio fu costretto ad un riposo assoluto. Il 15 giugno 1924 si telegrafò l’annuncio:“Addoloratissimo comunico morte amatissimo nostro Vescovo oggi ore pomeridiane”. Aveva 53 anni. “Prova luminosa della stima in cui era tenuto e dell’autorità morale acquistata su tutti, è che i capi cristiani e musulmani del Commissariato di Cheren 131
chiesero a S. E. il Governatore che lasciasse tra loro il corpo del Vescovo”. A Keren avvenne la tumulazione. La salma sarà portata nella cattedrale di Asmara il 15 maggio 1926 e lì tumulata, tutt’ora, con un monumento a “Mons. Camillo Carrara d’Albino”. (A.C.)
La salma di Mons. Camillo Carrara composta a Cheren- Keren.
Signori Giacomo (Fra Ippolito)
Nato ad Albino il 26 dicembre 1856, fu fratello laico dell’Ordine Cappuccino con mansioni di cercatore di elemosine e cuciniere in vari conventi. Ad Albino venne colpito da tisi ossea e morì all’Ospedale di Bergamo il 23 marzo 1929. (SdTdA-A.B.) - Semplice e retto, generoso in ogni ufficio. (Necr.)
Bulandi Albino (Padre Gianmaria)
Nacque al Albino il 29 luglio 1871. Duranti gli studi nel seminario diocesano passò all’Ordine Cappuccino e nel 1897 venne ordinato sacerdote. Dopo 132
un lungo periodo nel convento di Salò divenne precettore nel collegio di Sovere. A Milano fu lettore e segretario provinciale; a Bergamo Guardiano e a Roma Vice Segretario provinciale. Di salute cagionevole, dovette ritornare in Lombardia; fu presidente a Sovere e, nel 1922, curato del Pio Ricovero di Bergamo. Qui promosse dei lavori per la chiesa dell’Istituto e in particolare per la decorazione dell’abside. Morì a Bergamo il 16 marzo 1930. (SdTdAA.B.) - Già alunno del seminario vescovile di Bergamo, precettore, lettore, segretario provinciale, vice segretario generale (1908-1914), fu poi curato alla Clementina di Bergamo (1922-1930). (Necr.)
Cassader Corrado (Padre Lorenzo) Nacque a Desenzano al Serio l’11 febbraio 1905 da Cristoforo e Bortola Piantoni. Entrato nell’Ordine Cappuccino, fu ordinato sacerdote il 15 agosto 1931. Di salute cagionevole, fu assegnato dapprima al noviziato di Albino, poi a Fidenza ed infine al convento dell’Annunciata di Darfo in qualità di vicario. Qui morì in giovane età l’8 giugno 1938. Nel 1987 le sue spoglie sono state trasportate nel cimitero del suo paese natale. (SdTdA-A.B.) - Ogni giorno praticava il pio esercizio della Via Crucis. (Necr.)
Angeli Alessandro (Padre Davide) Nacque a Desenzano al Serio il 13 aprile 1869. Entrato nell’Ordine Cappuccino divenne sacerdote nel 1892. Due anni dopo partì per il Brasile, destinato alla missione della capitale dello stato del Maranhao. Nel 1899 fu inviato nello stato del Cearà dove, a Canindè, fondò una residenza. Per tre anni fu superiore della nuova casa e direttore del collegio annesso. Nel 1905 divenne superiore a Belem nel Parà. Dopo 5 anni trascorsi nella regione di Manaos venne nominato vicario generale della diocesi. Nelle varie località dove svolse il suo apostolato costruì cappelle, scuole, collegi. Ritornato in Italia nel 1911 si dedicò in particolare alla predicazione delle missioni in Lombardia. Fu eletto per cinque volte Guardiano dei conventi lombardi e per due volte definitore provinciale. Morì nel convento di Albino il 22 ottobre 1941. Una parte dei suoi carteggi è conservato nell’archivio provinciale dell’ordine a Milano. (SdTdA-A.B.) - Missionario in Brasile dal 1894 al 1911. “Desobrigante” nelle parrocchie di Maranhao e del Parà. Fondatore del grande collegio del Canindè dal quale uscirono uomini preparati per la vita 133
sociale e spirituale. Predicatore delle missioni popolari. Consigliere di Mons. Costa. Amministratore apostolico di Manaos e suo vicario generale. Ritornato in Italia per motivi di salute, continuò le missioni al popolo di cui era specialista. Superiore in vari conventi e definitore provinciale. Uomo austero, ligio alla povertà e alla regola dell’osservanza. (Necr.)
Persico Giacomo (Fra Masseo) Nacque ad Albino il 16 luglio 1877. Fratello laico cappuccino, emise la Professione solenne nel 1904. Fu assistente al seminario di Lovere. Durante la grande guerra fu destinato a Roma, prima al Collegio Etiopico e poi a quello di S. Lorenzo, dove fu cuciniere e provveditore. Morì a Roma il 18 maggio 1946. (SdTdA-A.B.)
Valle Francesco Giuseppe (Padre Mario) Dal Cronicon, scritto dal prevosto di S. Giuliano di Albino, don Pietro Gamba, in data 16 settembre1934, solennità della B.V. del Pianto: “Celebra la prima messa solenne il cappuccino padre Maria Mario Valle immigrato in Albino da vari anni”. Di quel giorno di festa, l’archivio familiare delle famiglie Valle custodisce una serie di fotografie della processione per le vie del paese con il novello sacerdote cappuccino, l’ancor giovane prevosto don Gamba, Mons. Alessandro Solari, i Superiori Cappuccini, i fratini che scendono dal convento per la stradina fra i campi e percorrono il selciato del paese, preceduti e seguiti dalle associazioni religiose parrocchiali, di fanciulli e di adulti. La vocazione alla vita religiosa Francesco Giuseppe Valle l’aveva avuta ad Albino, dopo aver conosciuto i Frati Cappuccini del locale convento. Era nato il 10 gennaio del 1908 a Zambla, figlio di Giovanni Battista Francesco e di Maria Caterina Luigia Valle, che, con l’altro figlio Isacco, lasciarono presto Zambla per stabilirsi ad Albino. Francesco era entrato in convento a 15 anni, il 30 agosto 1923, e il 16 gennaio 1929 aveva emesso i Voti solenni. Il 29 luglio 1934 era divenuto sacerdote. Non erano mancate le difficoltà: “A Bergamo, dopo soli tre mesi dalla Professione semplice, mentre attendeva con entusiasmo agli studi, una emotisi 134
(Archivio fotografico della famiglia Valle)
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lo obbligava ad allontanarsi dai suoi cari compagni di studio” (Fra Ferdinando da Manerbio, Guardiano cappuccino). Fu soprattutto sacerdote, predicatore e confessore. Nel 1943 anche vicario e quindi Guardiano e vice-maestro di novizi. Ma “per l’improvviso riacutirsi della malattia rinunciava all’ufficio e si ritirava qui nel nostro quieto convento di Salò, sperando che il clima dolce e l’amorosa assistenza dei confratelli gli restituisse la sanità”. Invece “il giorno 25 novembre 1948, rendeva la sua bell’anima a Dio” (Fra Ferdinando da Manerbio), a quarant’anni. (A.C.)
Azzola Fermo (Fra Benvenuto) Fermo Azzola nacque il 30 agosto 1867, nella zona di Piazzo. Da bimbo, ricordò, sostava a pregare sotto il portichetto della chiesa della Concezione. Di povera famiglia, ancora ragazzo fu accolto come domestico nel convento, dove ben presto vestì l’abito religioso. Giovane, divenne portinaio nel convento di Monforte a Milano, dove rimase per 19 anni. Qui ebbe modo di incontrare il Beato Innocenzo da Berzo. Nel 1911 il conterraneo Mons. Camillo Carrara lo volle fra i suoi compagni nella missione in Eritrea. Dell’udienza con papa S. Pio X frate Benvenuto ricordò le bonarie raccomandazioni rivoltegli. Furono quasi cinquanta gli anni di missione trascorsi in quella terra d’Africa, salvo tornare fuggevolmente ad Albino nel 1932. Gli fu affidata prima la direzione dei vari lavori agricoli nei dintorni di Asmara in zona Gaggiret: dissodò l’arida terra a colpi di zappa e vanga, scavando pozzi. La Croce al Merito per il suo lavoro che il governo coloniale volle appuntare sul suo saio, se non altro ne testimonia la quantità. Divenne, in seguito, ortolano e cuciniere della comunità religiosa della cattedrale di Asmara, ultima opera, nel 1923, del vicario apostolico Mons. C. Carrara. La sua soddisfazione era vedere i confratelli contenti della sua verdura e della sua frutta. Ed era pronto a qualsiasi servizio, anche di infermiere, positivo, incoraggiante, allegro, come riporta in un suo scritto padre Zenone da Vertova. Negli ultimi anni, quasi cieco, visse ancora più intensamente l’orazione, a cui in precedenza si dedicava al mattino presto, mentre ancora la comunità 136
riposava, e alla sera dopo la cena: la sua giornata era intessuta di Via Crucis, Rosari e visite al SS. Sacramento. Non mancò, l’anno prima di morire, il 1957, di chiedere a padre Rufino, pure da Albino, una vanga, “sì una vera vanga di oltre 40 cm. perché lì vangavano ancora con sassi e pioli”. Morì ad Asmara il 18 febbraio 1958. (A.C., da Fonti Cappuccine)
Alberini Ernesto (Padre Apollonio) Nacque a Desenzano al Serio il 12 ottobre 1885 da Achille e Maddalena Carrara. Entrato nell’Ordine Cappuccino fu ordinato Sacerdote nel 1909. Due anni dopo partì per l’Eritrea dove ebbe l’incarico di assistente alle scuole tecniche di Saganeiti e di Asmara. Dopo la prima guerra mondiale fu inviato a Brescia come delegato generale dell’Istituto. Scrisse corrispondenze per i periodici “Massaia” di Roma e “Annali Francescani” di Milano. È autore di un film definito “grandioso” che presentava la storia e le attività delle Missioni Cappuccine lombarde in Brasile. Successivamente si ridusse a vita laicale. (SdTdA-A.B.)
Moioli Camillo (Padre Felice) Nacque a Desenzano al Serio il 26 ottobre 1890. Dopo aver lavorato come operaio al cotonificio Honegger, a 15 anni entrò nel seminario cappuccino di Sovere e venne ordinato sacerdote a Rho nel 1915. Fu assistente negli oratori cappuccini di Crema e Milano S. Francesco; direttore spirituale nei seminari di Albino, Crema e Cremona e Maestro dei novizi. Ebbe anche incarichi particolari: nel 1924-25 partecipò all’organizzazione dell’esposizione missionaria di Roma e nel 1926 fu inviato a Milano con compiti di assistenza ai socialmente disagiati. Durante la sua permanenza a Milano fu consigliere spirituale di famiglie molto in vista nell’ambiente cattolico. Coltivò numerose amicizie documentate dalla folta corrispondenza e dai suoi numerosi diari. Durante l’ultima parte della guerra svolse un ruolo di mediatore fra le parti in lotta. Nei giorni della liberazione, quand’era superiore al convento di Bergamo, evitò che la colonna del gerarca Farinacci in fuga da Cremona nell’attraversare la città orobica spargesse altro sangue. Nel 1948 aprì una nuova casa dell’ordine a Oreno. Dedicò gli ultimi anni al santuario della Fontana di Casalmaggiore. Morì a Bergamo il 13 settembre 1969. (SdTdA-A.B.) - Superiore, maestro dei no137
vizi, direttore spirituale nei luoghi di formazione, Assistente degli oratori di Crema, Milano S. Francesco e Monforte ove ebbe la preziosa collaborazione di Armida Barelli. (Necr.)
Ceresoli Luigi (Padre Adriano) Nato il 4 marzo 1897 a Zanica da Angelo e Anna Salvetti. La famiglia si trasferì ben presto a Bondo Petello. Entrò nel Seminario dei Cappuccini a Sovere nel 1911. Dopo aver combattuto nella grande guerra, venne ordinato sacerdote nel 1928 a Milano. Nello stesso tempo partì come missionario per il Brasile. Rientrato in Italia nel 1939 a causa di una malattia, si dedicò a concretizzare un suo progetto: la chiesa di Barra do Corda che avrebbe accolto le salme dei religiosi uccisi al Alto Alegre nel 1910. Infatti al termine della guerra porterà in Brasile oltre sessanta tonnellate di materiale artistico per la chiesa portata a termine nel 1951. In Brasile fondò anche scuole, biblioteche e corpi musicali; costruì cappelle e aprì nuove strade. A Esplanada (Bahìa) impiantò officine e fondò un campo di istruzione agricola. Passò cinque anni nel lebbrosario “Antonio Justa” di Maracanau (Cearà). Ritornato in Italia, morì a Bergamo il 22 dicembre 1971. Pubblicò nel 1946 “Tra gli Indi della foresta tropicale” (Milano PIME). (SdTdA-A.B.-E.M.) - Ferito e decorato al valore militare nella prima guerra mondiale. Missionario in Brasile (1930-1939), fu incaricato della “desobriga” a Barra do Corda. Pensò di realizzare un tempio di ricordo dei ns. martiri. Tornato temporaneamente in Italia (1939) dovette rimanere per gli eventi bellici sino al 1946. Il suo carattere gioviale suscitò le vocazioni di molti ragazzi e giovani. Rientrato in Brasile (19461965) realizzò il tempio a Barra do Corda. Cappellano nel lebbrosario di Maracanau del Cearà (1960-1965), ritornò in patria per malattia. (Necr.)
Riva Natale (Padre Emiliano) Nacque ad Albino il 24 dicembre 1914. Entrò nell’Ordine dei Cappuccini e venne ordinato sacerdote nel 1940. Predicatore, si dedicò alla ricerca e alla formazione delle vocazioni. Negli ultimi anni prestò servizio presso l’Ospedale Maggiore di Bergamo. Qui morì l’8 138
(Dall'archivio della Famiglia Riva)
agosto 1973. (SdTdA-A.B.) Predicatore facile e popolare, stimolatore di vocazioni all’ordine. Cappellano all’Ospedale di Bergamo. (Necr.)
Carobbio Mario (Padre METODIO)
Una vita dedicati agli studi religiosi e alle ricerche storiche. Frate Cappuccino, professore di lettere nei licei, insegnante di filosofia del diritto, quindi docente di missionologia e teologia missionaria all’Università Lateranense, oratore facondo e incisivo, predicatore efficace e brillante, ricercatore infaticabile di storia dell’Ordine e di storia delle missioni, padre Metodio da Nembro, come amava firmare i numerosi libri pubblicati nel corso della sua vita densa di attività e di studi, era nato il 20 novembre 1914 da una semplice famiglia nembrese di operai- contadini, una come tante di quegli anni in cui il solo lavoro della terra spesso non bastava a mantenere tutta la famiglia. I suoi antenati provenivano dalla Valle del Riso ed erano soprannominati “Onéda”; il padre lavorava un po’ di terra, ma faceva anche le otto ore ai forni dell’Italcementi. La famiglia Carobbio viveva in via Ronchetti, in una di quelle case con la grande aia al centro dell’edificio e l’ampio portone adatto al passaggio dei carri: tutti i Carobbio vengono da lì. La mamma era Lucia Gritti, una donna di quelle di una volta: grande fede, salda pietà, dedizione instancabile alla famiglia e al prossimo. Per un ragazzo di umili origini quale era Mario forse l’unica possibilità di studiare era offerta dal seminario o dal convento. La vocazione religiosa e l’amore per lo studio e la lettura si manifestarono ben presto in lui e nell’ottobre 1930, quando non aveva ancora sedici anni, fece la sua prima vestizione religiosa. Un ragazzo giudizioso. Il cav. Serafino Sala, che gli fu vicino di casa e amico, lo ricorda come un bambino che amava il gioco come gli altri suoi compagni, allegro, vivace ma giudizioso e osservatore: fin dai primi anni di scuola si distinse nello studio e ben presto, dopo la quarta elementare (maestro don Vigiani), abbandonò le scuole pubbliche di Nembro per frequentare ad Albino presso i Padri Cappuccini. Una malattia agli occhi però lo costrinse ad abbandonare il convento per qualche tempo e a tornare a casa per curarsi. Anche in quei mesi di convalescenza però non abbandonava i libri benché il dottore gli avesse raccomandato di lasciar riposare gli occhi: si faceva raccontare le fiabe dall’amico Sala e in 139
cambio gli leggeva qualche canto dalla “Divina Commedia”. La passione per lo studio e per la lettura era prepotente in lui, conferma l’amico. Anche Mario Signori, suo coetaneo e compagno di scuola, non ha dimenticato la sua vivacità e allegria; gli piaceva anche scherzare e una volta, durante l’intervallo delle lezioni legò con uno spago tutti gli zoccoli che i suoi compagni avevano lasciato in un angolo per giocare a piedi nudi, per correre e saltare meglio. Gli zoccoli erano allora la calzatura usuale di bambini e adulti che non potevano permettersi le scarpe. Quando fu il momento di riprendere le lezioni si trovarono tutti gli zoccoli fissati insieme e ne nacque un gran putiferio... Mario Carobbio sorrideva con lo sguardo birichino... Frate Cappuccino. Superata l’affezione oculare, Mario fu riammesso al Seminario, continuò gli studi con profitto e venne ordinato sacerdote nel 1939, nel Duomo di Milano. Conseguì la laurea in Belle Lettere nel 1941 e più tardi si specializzò in Missionologia. In quel periodo trascorse più di un anno all’Asmara in Eritrea, quale professore di filosofia del diritto in quella Università. Là scrisse la storia dei Cappuccini in Eritrea che gli valse la medaglia d’oro dal Pontificio Ateneo di Propaganda Fide. Dopo lunghe ricerche condotte sul campo, negli anni successivi compilò anche la storia dei Cappuccini del Brasile.Tornato in patria, insegnò nelle Università cattoliche romane e partecipò come conferenziere a seminari e convegni nazionali e internazionali. Tuttavia manteneva viva anche la sua attività di predicatore alla quale teneva molto e che ha lasciato anche a Nembro vivi ricordi: quando veniva nel paese natale per tenere il solenne Triduo, la chiesa parrocchiale era sempre gremita: la sua predicazione era densa, focosa, espressiva, ricca di immagini e di accenti ad un tempo forti e dolci. Una storia “spirituale”. L’interesse di padre Metodio è incentrato soprattutto sulla storia spirituale dei religiosi che hanno costruito l’Ordine e lo hanno portato nelle terre di Missione. Allo stesso tempo egli estende la sua attenzione agli scrittori ed ai teologi cappuccini: è convinto che lo studio degli autori spirituali possa offrire indicazioni utili anche per la comprensione della cultura e della storia del loro tempo. La “fatica improba” che la ricerca impone è per lui un dovere verso quell’Ordine che lo ha accolto ed educato e al quale sente di dovere riconoscenza ed affetto. Il suo metodo è quello del ricercatore diligente e accurato, preciso nella documentazione e nella indicazione delle fonti. La sua ottica è 140
quella del religioso che indirizza naturalmente il suo lavoro e la sua stessa esistenza verso l’affermazione e la legittimazione storica dell’Ordine al quale appartiene e li ispira intimamente alla superiore istanza della fede. La “Cronaca di fra Salvatore da Rivolta”. La ricerca e lo studio delle fonti sono uno dei filoni di lavoro di padre Metodio: così nel 1973, nel pieno della maturità di studioso, egli pubblicò la “Cronaca” di fra Salvatore Raseri, da Rivolta d’Adda, un cappuccino vissuto tra Cinque e Seicento in piena epoca del Concilio di Trento e autore di una dettagliata ricostruzione dell’affermarsi dell’Ordine a cui apparteneva, sorto nel 1525 nell’ambito della generale ripresa religiosa cattolica seguita alla Riforma protestante. I Cappuccini, di ispirazione francescana, si caratterizzarono per il rigore ascetico e per l’austera semplicità di vita. La diligente ricostruzione di fra Salvatore, portata alla luce da padre Metodio, ci racconta così gli avvenimenti, anche minimi, legati alla nascita dei conventi Cappuccini dell’alta Italia e della Svizzera italiana, baluardi posti anche nelle più sperdute valli quali sentinelle dell’ortodossia e presidio della fede cattolica contro le possibili infiltrazioni dell’eresia provenienti dal nord. Sorgono conventi a Edolo, a Breno, a Lecco e poi a Chiavenna, a Morbegno, a Tirano... Erano anni di profonde lacerazioni, le passioni e le fedi religiose si erano armate; anni di persecuzioni feroci (come il “sacro macello” della Valtellina), di defezioni improvvise e traumatiche come quella del frate Bernardino Ochino, il famoso predicatore senese, per quattro anni superiore generale dell’Ordine Cappuccino, che nel 1542 gettò l’abito e proclamando idee ispirate alla Riforma si rifugiò in Svizzera. La predicazione dei Cappuccini contribuì a richiamare la Chiesa ai doveri che le erano propri; il loro stile di vita era una denuncia vivente delle degenerazioni mondane di tanti religiosi del tempo. La “Cronaca” di fra Salvatore offre al lettore curioso anche molte indicazioni relative alla vita e alla fede semplice della fine del Cinquecento e dei primi decenni del Seicento: così sappiamo che le celle dei primi conventi erano fatte spesso di “creta” e di “vimini e graticce”. Chissà se erano fatte così anche quelle del convento di Vertova fondato nel 1576 e oggi sede delle iniziative culturali del Comune? Conosciamo anche i molti episodi miracolosi, segno di una fede ingenua e totale, che accompagnarono la nascita dei tanti “luoghi” Cappuccini: il miracolo delle rondini, l’episodio della legna, le “conversioni” dei munifici benefattori... 141
Fino all’ultimo. Nel 1974, quando ha già al suo attivo decine e decine di studi e di ricerche di storia dell’Ordine, accettò il servizio come cappellano del lebbrosario del Prata, in Brasile: il clima di quelle regioni debilitò notevolmente il suo fisico già provato dalla malattia fin dal 1964. Scrisse in quell’occasione: “Qui il clima proprio non mi fa e uno specialista mi ha detto che vado al camposanto, se rimango... Ahi, i miei propositi crollati”. A malincuore dovette abbandonare quella terra di missione dove si era augurato di concludere “con un suo significato” l’ esistenza. In Italia fu sottoposto a ripetute visite, controlli e cure mediche; la malattia però ebbe la meglio e lo portò via il 7 febbraio 1976. Aveva 61 anni e l’ enorme mole di lavoro di ricerca e di studio che aveva svolto, contenuta in centinaia di articoli e decine di opere, faceva da presupposto ad altri saggi lasciati incompiuti, ad altri progetti già vagheggiati. Proprio come avviene per tutti gli storici di razza. I confratelli che lo assistettero negli ultimi tempi ricordano che quando i dolori e la febbre gli davano tregua ne approfittava per mettersi furtivamente a tavolino, per poi ricadere stremato nel suo letto. (G.V.)
Ghirardi Severo (Padre Ezechiele da Rigosa) Nato a Bondo Petello il 16 luglio 1900. Entrato nell’Ordine dei Cappuccini venne ordinato sacerdote a Milano il 20 luglio 1924. Superiore locale, direttore e definitore; insegnante nelle scuole dell’Ordine, fu predicatore in varie parti d’Italia. Morì a Milano l’8 febbraio 1976. (SdTdA-A.B.) - Bersagliere nella guerra 1915-1918. Lettore e direttore di studentato. Superiore, definitore provinciale. Educatore saggio, predicatore forbito ed aggiornato. (Necr.)
Schena Luigi (Fra Giunipero) Nato ad Albino il 23 agosto 1904. Fratello laico dell’Ordine dei Cappuccini, ebbe umili incarichi di aiuto-cuciniere, aiuto-ortolano e aiuto-infermiere a Casalpusterlengo e in altri conventi. Morì a Bergamo il13 gennaio 1980 nella più assoluta povertà. (StTdA-A.B.) - Semplice come un bambino, rese più bella la vita delle nostre comunità. (Necr.)
Carrara Camillo (Padre Giampiero)
Nato ad Albino il 14 ottobre 1923 da Antonio e Matilde Birolini, a 12 142
anni entrò nel seminario cappuccino e divenne sacerdote nel 1949. Predicatore dall’oratoria “piacevole, chiara, convincente e nello stesso tempo profonda” percorse l’Italia chiamato per quaresimali, missioni e mesi mariani. Risiedette nei conventi di Bergamo, Lecco, Lovere, Oreno, Salò, Cerro Maggiore, Sondrio. Dal 1982 al 1985 fu superiore nel convento di Sestri Levante. Era noto per la maestria con cui realizzava presepi. Morì a Lavagna l’8 febbraio 1987. La sua salma riposa nel cimitero di Albino. (SdTdA-A.B.) - Carattere gioioso, allegro e sereno. Predicatore ricercato per zelo e facilità di esposizione. Superiore buono e attento. Fu vero maestro nell’arte del presepio in miniatura e alcune sue opere furono premiate all’esposizione mondiale di Roma. (Necr.)
Carrara Gidino (Padre Guglielmo)
(Dall'archivio della famiglia Carrara)
Nato ad Albino il 19 ottobre 1927. Ebbe dal padre, custode del Santuario della Madonna del Lupo, il nome del bambino protagonista del miracolo. Venne ordinato sacerdote cappuccino nel 1954. Predicatore nel convento di Bergamo, passò poi a Brescia (1961) e a Sondrio (1964). Nel 1967 si trasferì a Lovere, indi a Cremona e a Bergamo. Nel 1973 venne nominato segretario provinciale per la predicazione e, nel 1982, vicario della Fraternità del Sacro Cuore di Milano. In questa città morì il 2 luglio 1989. (SdTdA-A.B.) - Attraverso la predicazione, le confessioni e la direzione spirituale, ha guidato molte anime nella via del vangelo. Negli ultimi anni, vicario a Monforte, ha curato il decoro della chiesa, riscuotendo ammirazione. (Necr.)
Poloni Giuseppe (Padre Benedetto) Nato ad Albino il 25 maggio 1914. Emette la Prima Professione il 4 agosto 1934 e viene ordinato il 4 agosto 1940. Dopo aver fatto il predicatore per parecchi anni, fu inviato in Belgio come cappellano degli emigranti e vi rimase fino a qualche anno prima di morire, quando per motivi di salute rientrò in Italia e chiese di essere destinato ad Albino. Morì a Bergamo in infermeria il 12 agosto 2003. (A.F.) 143
Padre Benedetto Poloni. Sopra: con i genitori Camillo e Teresa, a destra la sorella Camilla, in braccio al nonno la nipotina Carla. A fianco: Padre Benedetto Poloni a destra, Padre Rufino a sinistra e al centro Suor Maria Alfonsa, nipote di Mons. Camillo Carrara. (Foto dall'archivio di Maria Franca Mismetti)
Sonzogni Frumenzio (Padre Frumenzio)
Nato a Sant’Antonio Abbandonato (BG) il 2 agosto 1918. Entrò tra i Cappuccini ed emise la Prima Professione religiosa il 2 settembre 1938. Il 25 giugno 1944 fu ordinato presbitero. Fu inviato a Bergamo come predicatore e si prestò alle predicazioni tradizionali: tridui, quarant’ore, missioni popolari; fu molto impegnato nella “peregrinatio Marie” del 1954. Arrivò ad Albino all’inizio degli anni ’60 e vi rimase sino alla grave malattia che lo portò in infermeria a Bergamo dove morì il 7 marzo 2005. Ad Albino continuò l’attività di predicatore, fu quindi redattore della rivista del Seminario “Fratini e Missioni” ed infine si era dedicato alle confessioni del convento. (A.F)
Mologni Luciano (Padre Luciano)
Nato a Pradalunga il 10 febbraio 1916. Dal 1940 al 1950 per parecchio tempo svolse la sua opera in vari ospedali; dal 1951 al 1961 fu cappellano 144
degli emigranti in Svizzera e aiuto al cimitero di Bergamo. Dal 1961 all’11 maggio 2007, giorno della sua morte, ad Albino esercitò il ministero dell’accoglienza di persone sofferenti. (A.C.)
Carrara Angelo Martino (Padre Rufino) La vocazione missionaria di padre Rufino Carrara per l’Eritrea, che lo ribattezzò abbà Rufaiel, quale degno continuatore albinese del vescovo cappuccino Mons. Camillo Carrara, era nata proprio ascoltando il Vescovo Missionario nato in Piazzo, nella casa dei Capelù, proprio adiacente a quella dei Palasì, famiglia della madre, Elisa Spinelli. Angelo Martino, di Piero, nato in Cim’Albino e battezzato l’11 novembre 1915, a otto anni aveva ascoltato, nell’oratorio, il primo vicario apostolico dell’Eritrea ritornato a chiedere aiuti anche ai parrocchiani albinesi. “Sopra di me e mia mamma invocò la benedizione di Dio”, racconta nella sua testimonianza per il numero unico del “Seminario di Albino, 1926-2003”. “In quegli anni appresi la storia dei frati albinesi: fra Salvatore Fassi, missionario trucidato in Brasile; fra Benvenuto agricoltore missionario in Eritrea”. Seguito da padre Massimino da Mesero e padre Liberato da Sellere, comunica formalmente con una lettera al padre, chiedendogli il consenso a seguire quella che sente la sua vocazione, anche se sa di lasciare fratellini più piccoli in una famiglia numerosa. Nell’estate del 1926 fu presentato come aspirante fratino al padre provinciale. “Non ebbe buona impressione! Ero un bambino gracile, figlio della guerra, con complicazioni polmonari. Con le sue mani mi ‘palpò’ come ‘palpa i poe’: il giudizio dato ai miei genitori fu: - Troppo magro!. Intervenne padre Liberato: -È nipote di Mons. Carrara”… Dall’ottobre del 1927 al novembre 1930 è nel nuovo seminario di Albino: “Non c’erano vacanze né libere uscite. 70/80 fratini disputavano allegri le prime partite a pallone con la tonaca e a piedi scalzi e nudi…”, nel campetto che avevano contribuito a costruire, armati con picconi, badili e carriole, con lavori di sterro a riempire la valletta. “Soffrii quando morì mio nonno. Vidi il funerale che scendeva da Piazzo verso la Chiesa e il cimitero. Sentivo i canti e la preghiera dei familiari. Non mi era permesso di partecipare. Ma non ne feci un dramma”. Entra poi nell’altrettanto rigido seminario di Lovere. Giunge ad essere ordinato sacerdote il 9 agosto 1939 dal cardinale di Milano, Ildefonso Schuster. La guerra mondiale gli impedisce di realizzare subito il suo sogno missionario in 145
Eritrea.Vice-maestro, il più giovane dei frati, del convento di Lovere, “col suo stile giovane mostrava come la vita francescana fosse entusiasmante” (Fra Umberto Paris, in Missionari Cappuccini, novembre 2007). Da un sacerdote diocesano di Asmara, abba Woldemicael Weldghiorghis, che aveva chiesto di entrare nell’Ordine dei Cappuccini, comincia a imparare il tigrino, lingua eritrea, e la lingua liturgica Ghe'ez. È poi, durante la guerra, anche nel convento di Varese. Qui trovarono rifu-
Padre Rufino all'Asmara, nel 1950, con i piccoli eritrei. Alla tomba di Mons. Camillo Carrara, nella Cattedrale di Asmara.
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gio e appoggio numerosi politici perseguitati dal fascismo ed ebrei braccati dalle leggi e persecuzioni razziali nazi-fasciste, “la maggior parte lì indirizzati dai confratelli di Milano per favorirne la fuga in Svizzera” (testimonianza di padre Rufino al settimanale «Luce» di Varese, 24 aprile 1944). Quando si costituì segretamente il Comitato di liberazione varesino, “il convento fu subito richiesto come luogo di fidato incontro”, ordinariamente di domenica, come per un ritiro spirituale. “La scelta maturò soprattutto per la disponibilità dimostrata al riguardo da Padre Rufino”, che aveva stabilito rapporti di conoscenza e di amicizia con esponenti di Azione Cattolica, desiderosi di pace e libertà. Preziose informazioni “portava con la sua fida bicicletta”, ai gruppi di resistenza fuori città, il seminarista Pasquale Macchi, poi segretario di Papa Paolo VI. Finalmente, nell’ottobre 1946, può partire per l’Eritrea e sbarca a Massaua il 13 gennaio del 1947.“Il primo incarico che gli viene assegnato è quello di direttore degli studenti di filosofia e teologia. In seguito ricopre l’incarico di segretario di sua eccellenza monsignor Giangrisostomo Marinoni e di parroco nella chiesa di Amba Galliano” (Padre Marino Hailé, in Missionari Cappuccini, nov. 2007) per un anno, per poi avere residenza definitiva nel Santuario di S. Antonio a Godaif, all’Asmara. Nei dieci anni quale segretario del Vescovo Cappuccino bergamasco ebbe anche contatti con i cristiani copti e protestanti, con i musulmani, “che non erano fondamentalisti”: “Questo mi ha permesso di conoscere a fondo la cultura, le tradizioni e le vicende sociali e politiche di quella gente, di avvicinarmi alla loro mentalità, di sentirmi uno di loro” (Missionari Cappuccini, genn. 1999). Fu un processo di inculturazione, maturato anche grazie alla conoscenza di molte lingue: il tigrino, l’amarico, l’arabo, l’inglese, il francese. Al suo arrivo il piccolo Santuario di Godaif era “frequentato da pochi fedeli italiani”, ma con lui “l’assistenza pastorale si allarga anche ai nativi e ai tanti bambini eritrei. Padre Rufino li accoglieva, li istruiva, dava loro il modo di aggregarsi in ambienti appositamente costruiti per loro. Si fa affiancare dalle Suore Orsoline di Gandino per portare avanti le attività socio-assistenziali e di promozione, in modo particolare delle donne. Il 10 ottobre 1951 ottiene dalle autorità governative la licenza di aprire un ambulatorio per il servizio sanitario alla popolazione. Dopo due mesi apre una scuola fino alla terza media. Nel giro di pochi anni la scuola viene frequentata da più di 700 alunni. Col tempo costruisce un ostello per gli studenti poveri che dai villaggi arrivano all’Asmara per continuare gli studi superiori, una casa per anziani, una 148
casa di accoglienza per bambini orfani. Nel 1978 quando l’escalation della guerra tra le forze etiopiche ed i guerriglieri eritrei raggiunse il suo culmine e il popolo eritreo venne attanagliato dalla morsa della fame, padre Rufino servendosi in modo particolare di monsignor Macchi, segretario personale di Paolo VI, ebbe modo di fargli presente la situazione disastrosa in cui versava il suo popolo per mancanza di cibo. Grazie all’appello del Papa”, all’Angelus domenicale, la comunità internazionale mandò aiuti. “In quegli anni ho condiviso l’eroica testimonianza dei Cappuccini eritrei... subirono distruzioni di missioni, prigionia, esilio e disprezzo politico...” (Missionari Cappuccini, nov. 2005). Le sue scuole e il suo ambulatorio furono nazionalizzate, divise da un muro alto e massiccio. “Anche quando, durante la guerra di liberazione eritrea dall’Etiopia, mi mettevano al muro con il fucile puntato, alla fine si riusciva sempre a dialogare” (Missionari Cappuccini, genn. 1999). Quando le autorità etiopiche avevano ordinato di ammainare la bandiera eritrea e issare quella etiopica nelle scuole e nei pubblici uffici, padre Rufino piegò bene la prima e la nascose, “perché verrà il momento in cui dovrà essere ancora issata”. E quel momento divenne oggetto di racconti quasi leggendari:“Quando il 25 maggio 1991 l’esercito etiopico si ritirò da Asmara senza colpo ferire e i guerriglieri fecero irruzione in città dalla zona di Godaif, padre Rufino consegnò la bandiera al primo guerrigliero che incontrò davanti al Santuario” (Padre Marino Hailé, Missionari Cappuccini, novembre 2007) o “le truppe nazionali che passavano davanti al suo santuario, videro ondeggiare la bandiera nazionale sul campanile, tirata fuori da un misterioso ripostiglio” (L’Osservatore Romano, 15 luglio 2009), dopo 32 anni. Padre Rufino fu missionario in Eritrea per 43 anni, fino al 1994. Ritornato in Italia, per le precarie condizioni di salute, nei conventi di Crema e Lecco, dove visse i suoi ultimi 13 anni, continuò a pensare alla sua Eritrea, bella nonostante tutto, e a mendicare per lei fra i cristiani italiani sempre più deboli nella fede, quanto più ricchi consumatori. Chiamava a raccolta, con lettere personali, scritte, con vista e dita incerte, con una vecchissima macchina da scrivere, dai tasti sconnessi, i “Calogeri”, dal greco, i “bei vecchi”: “Venite, venite! Da veri Calogeri si impara a dare esempio e coraggio ai giovani e adolescenti. Si impara ad essere cristiani comprensivi verso quanti laggiù, in Eritrea e in Etiopia, stanno morendo di fame” (Natale 2003). Nel 2000 diffuse un appello del vescovo di Keren, città in cui era morto il 149
15 giugno 1924 Mons. Camillo Carrara: “Particolarmente penosa è la situazione della nuova Eparchia di Keren, eretta nel 1996, affidata al vescovo abune Tesfamariam Bedho”. Nello stesso anno 2000, fece dipingere e portare in Eritrea, dopo averla esposta anche sugli altari della parrocchiale di S. Giuliano e della chiesa del convento di Albino, una croce di pace per chiedere questo dono ai popoli dell’Eritrea e dell’Etiopia, di nuovo in sanguinosissima guerra, poi latente, ma paralizzante lo sviluppo della regione, sempre dimenticata dal resto del mondo, salvo quando i suoi giovani in fuga trovano la morte nel deserto o nel “mare nostrum”, il Mediterraneo. Alla Pentecoste 2003 partecipa alle celebrazioni delle cresime ai ragazzi di Albino, con il nuovo vescovo di Keren, abba Yebio Kidane, a sostegno della condivisione con il Centro giovanile della diocesi, pensato con il predecessore dal prof. Attilio Manara, e quindi realizzato. I suoi ultimi scritti giornalistici, già in Eritrea era stato direttore editoriale di “Veritas et vita”, voce ufficiale della Chiesa latina in Eritrea, inviati anche a varie riviste missionarie italiane, chiedevano giustizia per i massacri coloniali, mai riconosciuti abbastanza e che aspettano richiesta di perdono dall’Italia: “Recenti pubblicazioni degli storici Del Boca e Paolo Borruso hanno documentato la barbarie della colonizzazione fascista in Etiopia, provocate dal Gen. Graziani nel febbraio 1938: la fucilazione dei Patriarca Abuna Petros, di vescovi e abati e la strage di monaci, diaconi, fedeli. Tristi eventi di cui la memoria permane soprattutto tra monaci ed ecclesiastici ortodossi” (Bol150
lettino della parrocchia S. Francesco, Lecco, novembre 2006). “Gli anni non attenuarono la sua limpida vivacità, neppure quando lasciò trapelare un certo affievolimento del cuore che riduceva lentamente la prorompente vitalità” (L’Osservatore Romano, 15 luglio 2009). All’inizio del luglio 2007 è colpito da infarto e ricoverato in ospedale. Il pensiero è ancora e subito per la sua Eritrea. Dal canto suo chiede la corona del rosario. Vuole pure il suo bastone. “L’aveva avuto dal cardinal Martini, qualche anno prima, durante una veglia missionaria, dopo essersi intrufolato fra i giovani partenti per le missioni. Al Cardinale, che, meravigliato di trovarsi questo anziano fraticello, gli aveva fatto osservare la sua non più giovane età, aveva risposto: - Missionario una volta, missionario per sempre!” (Fra Tommaso Grigis, Missionari Cappuccini, novembre 2007). Lunedì 9 luglio, alle 6.30, mentre sta pregando, china il capo, cadono gli occhiali e alza le mani al cielo. (A.C.)
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Cappuccini di Albino viventi a cura Franca Marina Moretti
Fra REDENTO BONASSI
Nasce ad Albino il 9 settembre 1923, professa il 18 maggio 1949. La prima parte della sua vita è vissuta da fratello laico con gli impegni relativi: portinaio, cuciniere, questuante. Chiede di essere inviato come missionario in Brasile e lì compie gli studi per essere ordinato oresbitero. Viene ordinato nel 1969. Desobrigante, vicario parrocchiale...; per motivi di salute rientra in Italia e si rende disponibile all’assistenza spirituale degli ammalati, prima all’Ospedale di Lecco, poi a quello di Bergamo. È stato cappellano al Cimitero Civico di Bergamo. Per motivi di salute viene inviato in infermeria, dove risiede attualmente.
Fra TEOTIMO RONDI
Nasce ad Albino il 4 settembre 1924. Emette la Prima Professione il 15 agosto 1945 e viene ordinato il 22 dicembre 1951. Dopo l’ordinazione presbiterale viene inviato come missionario in Eritrea. Rientra durante il conflitto Etiopico-Eritreo ed è nominato parroco del popoloso quartiere Tiburtina III. Viene quindi inviato missionario negli Emirati-Arabi. Rientrato in Italia è nominato parroco della parrocchia del Sacro Cuore di Brescia.Terminato il suo incarico è destinato come confessore nel convento di Milano-Monforte e vicario parrocchiale a Como (parrocchia di S. Giuseppe). Lì si trova ora.
Fra ANGELO CARRARA
Nasce ad Albino il 21 luglio 1927. Professa il 15 agosto 1946 ed è ordinato presbitero il 20 febbraio 1953. Vari sono i campi del suo apostolato, ma soprattutto l’assistenza spirituale agli ammalati, la predicazione. Attualmente si trova nel convento di Bergamo. (Aveva un fratello frate: fra Giampiero Carrara, già defunto).
Pagina a fianco: elenco dei Guardiani appeso nel Convento di Albino (Foto di Maurizio Pulcini)
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Il Convento e il Seminario l'11 Ottobre 1961. (Foto Franco Carrara Agasy)
Fra MARIO CORTINOVIS
Nasce ad Albino il 20 gennaio 1948. Professa il 4 ottobre 1966 e viene ordinato presbitero il 28 giugno 1974. Parte per le missioni in Brasile e vi rimane sino a quando la salute non regge più (rientra nel 1985). Cappellano all’Ospedale di Bergamo, quindi a Oreno di Vimercate e attualmente cappellano al Cimitero Civico di Bergamo.
Fra CARLO POLONI
(Nipote di fra Benedetto Poloni ) Nasce il 13 febbraio 1972. Professa il 5 settembre 1993 e viene ordinato il 10 giugno 2000 nel Duomo di Milano. Prima destinazione la parrocchia di Casalpusterlengo come vicario parrocchiale, quindi cappellano all’Ospedale di Bergamo. A Varese e Oreno di Vimercate (dove si trova attualmente) si dedica alla pastorale giovanilevocazionale e addetto alla Gioventù Francescana (=Gi-Fra).
Fra GIORGIO PERACCHI
Della parrocchia di Desenzano di Albino, nasce il 30 gennaio 1973. Emette la Prima Professione il 4 settembre 1994 e viene ordinato a Varese il 30 giugno 2001. Destinato alla pastorale giovanile-vocazionale prima a Varese, poi a Milano e ora a Cremona. 154
Il Seminario Serafico 1926-2003 (Estratti dal numero unico “Il seminario di Albino 1926- 2003”, “ Sui tuoi passi”, luglio 2003)
Nella vita di questo fabbricato c’è la storia della Provincia di circa mezzo secolo, forse la più trepida e meno conosciuta; alla sorgente che alimenta il suo vivere, ella se ne sta china come mamma alla coltura dei teneri germogli nei quali Dio ha collocato elementi di vocazione cappuccina. Sacrificio ignorato, ma assai notevole. Nel clima di un virtuoso culto della povertà francescana, venne prendendo vita e assumendo volto il Seminario Serafico, prima chiamato Collegetto. In antecedenza i giovani che venivano all’Ordine, erano ammessi quasi immediatamente al noviziato. È comprensibile che per molti anni, vere e proprie costruzioni separate non si poterono avere, o meglio, non si vollero avere. Qua e là adattamenti parziali dei vecchi Conventi, i quali Foto di gruppo con gli educatori, 1936.
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per altro se potevano subito sciupare la loro fisionomia, assai scarsamente poi offrivano funzioni adatte al nuovo servizio, il quale d’ordinario aveva breve durata. Preoccupazione dei Superiori, come del resto di tutta la Provincia, era di iniziare i Piccoli Aspiranti allo spirito francescano cappuccino. L’accostamento di tale spirito, in una forma di progressiva assimilazione, che la rendesse ansia di personale desiderio nel fratino, era compito didattico tutt’altro che facile; impegno trepido di ogni Padre Provinciale e cura inquieta dei Padri addetti alla educazione. Gli anni 1927 ´28 ´29 tre conventi ospitavano i Fratini: Lovere, Brescia, Albino. Lovere, specie per opera del benemerito Padre Valdimiro, era divenuto un po’ la Casa Madre dei Fratini che vi rimasero fino al 1938. Ottima e panoramica la posizione in apertura sul lago, ma assai povera di locali e poco funzionali. Quando nel 1928, le Sorelle Parolini di Albino, nipoti dell’allora Padre Guardiano Padre Davide da Desenzano, offrirono in dono una buona estensione di terreno, contiguo alla cinta, a Nord e a Est del convento, Padre Luigi da Guanzate, Provinciale, costruì un fabbricato per il solo Seminario. Disponeva di una Cappellina e Coro esclusivo per le pratiche di pietà dei Fratini, qualche aula scolastica, un ampio dormitorio, un salone di studio con 70 banchini e in adiacenza al Guardaroba, qualche celletta per l’infermeria. Era un gran passo. La costruzione era stata affidata a Fra Romualdo da Brignano, capomastro, il quale coadiuvato da qualche muratore del luogo, aveva evitato spese di Architetti e Ditte. Pure il materiale edile era stato raccolto, fin dove fu possibile dalla questua. L’arredamento scolastico invece lo aveva curato Fra Zaccaria da Castano Primo, qualificato nella lavorazione del legno. Quando nel settembre del 1929 entrarono i fratini quelli che già alloggiavano nelle celle del Convento di Albino e quelli che si trovavano a Brescia non vi trovarono certo del lusso: pavimenti in cemento, una stufa per il riscaldamento dei locali di abituale soggiorno e poco più. Un portichetto che rincorreva in parte il perimetro del cortile interno, consentiva i passaggi e le ricreazioni al coperto. Il Seminario cominciò ad avere un Padre Direttore proprio e un Padre Spirituale, con vita separata dal Convento, quantunque il Padre Guardiano rimanesse l’unico che ne amministrava la economia. Ospitava i più grandicelli che compivano il Ginnasio e passavano poi al 156
Foto pagina a fianco: 1951, Nuovo Claustro Seminario.
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Noviziato. Nel 1938 accolse la Preparatoria, il I - II - III anno di Ginnasio, mentre il IV e V anno di Ginnasio fu trasferito nel 1938 a Sovere e poi definitivamente a Varese nel 1940. Aumentate le Vocazioni, resi insufficienti o meno adatti gli ambienti, il Rev. mo Padre Benigno da S. Ilario ex Generale dell’Ordine, allora Provinciale, progettò una sistemazione razionale, pur mantenendosi nei limiti dello spirito di povertà. Acquistato un appezzamento di terreno sul lato Nord, con l’appoggio di una ditta edile di Casalpusterlengo molto benevola ai frati, costruì un’aula, nella quale trovò posto un’ampia Cappella, un dormitorio, un’aula di studio, utilizzando il precedente fabbricato per aule scolastiche. L'inaugurazione avveniva il 12 dicembre 1939. Sembrò, come era, sistemazione ideale. Ma il vorticoso progredire della vita sociale da cui i nostri ragazzi vengono, impose ai superiori nuovi problemi di trasformazione. Nel 1958 caduto sotto il piccone un vecchio edificio accanto al convento, sorse in sua vece una nuova ala corrispondente a quella del lato nord. In essa vi trovano posto, nel seminterrato la lavanderia, docce, officine, a pian terreno due luminose aule, e nel piano superiore numerose celle per il convento. Con l’annessione di nuovo terreno a monte e con lo sbancamento di due sopralzi, il Seminario venne dotato di due ampi cortili lastricati in porfido, per sane e serene ore di svago. padre Leandro da Malegno Io, Fra Ismaele Bertani, ho passato complessivamente 18 anni nel seminario di Albino: quattro come alunno delle medie e 14 come assistente e direttore. Posso perciò ripercorrere un po’ di storia del seminario stesso. Vi entrai come alunno il 5 settembre 1941 e dopo pochi giorni diventai un “fratino”, perché quasi subito i ragazzini, con una cerimonia particolare venivano vestiti con abito e cingolo e... prendevano un nome nuovo. Lasciai perciò il nome di battesimo, Giovanni, e assunsi il nome di Fra Ismaele. La vita era fissata da orari ben precisi per i tempi di preghiera che, alla luce della psicologia di oggi, erano troppo esigenti per ragazzi di quell’età, per la frequenza alla scuola e per i tempi di ricreazione. Era richiesta una disciplina abbastanza rigida che era considerata la custodia dell’ordine e il giudizio di bontà o meno era basato proprio sulla capacità di accettare o sopportare tale disciplina. Pagina a fianco: la Cappella del Seminario
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Ciò nonostante tra noi non mancava l’allegria che veniva condita di marachelle, di sotterfugi e di inevitabili penitenze. C’erano anche le feste che, allora, erano proprio avvenimenti: gli onomastici del direttore o del Padre assistente. Si preparavano spettacoli di teatro o accademie, si mangiava bene in abbondanza per poi ripiombare nel solito quotidiano. La tonacella che, d’inverno, poteva dare l’apparenza di difesa per il freddo, d’estate diventava un supplizio, perché s’impregnava di sudore specie la notte, sì, la notte, perché si dormiva avvolti dalla sacra tonaca. Dal quarantuno al quarantacinque, tempo della seconda guerra mondiale, facemmo l’esperienza non solo delle pulci, di razza francescana, ma anche dei pidocchi che divennero un supplizio e di cui fu difficile sbarazzarci. Tra ragazzi nascevano inevitabilmente piccoli ma intensi problemi. A chi raccontarli? C’era un Padre Spirituale che poteva venire buono, ma chi andava a raccontargli la propria storia interiore? Spesso (eravamo allora sui centoventi) compagni se ne tornavano a casa e si creavano dei vuoti, dolorosi: o perché chiedevano loro o perché sorpresi su alcune tipiche mancanze, che allora erano decisive. La famiglia era cancellata: non si andava più a casa se non per la morte del padre o della madre. La vacanze venivano passate tutte in seminario in modo poco educativo, al parere di oggi, perché piuttosto noiose. Una cosa bella che ci entusiasmava era il canto, faticoso nell’apprendimento ma poi di consolazione nell’esecuzione. Pensate: ragazzi delle medie che riuscivano a cantare messe, allora in latino, a tre voci pari virili!!! I direttori del mio tempo furono Padre Guido da Curnasco e Padre Anni '60 (Archivio Riccardo Poletti)
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Anni '60 (Archivio Riccardo Poletti)
Bentivoglio da Bossico, mentre gli assistenti furono Padre Merchiorre da Verano, poi Padre Eligio da Chiari e Padre Raimondo da Treviglio. Era commovente la partenza dei ragazzi di terza media per Varese che era visto come un traguardo desiderato. Era una serata indimenticabile che rivedo ancora oggi. Alla fine i ragazzi erano capaci di volersi veramente bene! Terminati gli studi approdai, per obbedienza, ad Albino come insegnante di preparatoria. Divenni poi assistente fino al 1964, poi direttore fino al 67 e indi guardiano e direttore dal 67 al 1970. Durante questi quattordici anni avvenne una profonda trasformazione logistica. Fu costruito l’ambiente del preseminario, la nuova portineria, i due cortili verso la montagna. Si cambiò uso di locali: il grande salone di studio divenne salone di teatro e le aule, luogo di studio separato per classi. Con la costruzione del preseminario furono spostate la cucina e il refettorio nel seminterrato del nuovo ambiente e cosÏ altre trasformazioni. 161
Anni '60 (Archivio Riccardo Poletti)
I direttori del seminario che si susseguirono furono: Padre Contardo (56-58), Padre Teodosio (58-61), Padre Eufrasio (61-64), Padre Ismaele (64-70). La vita, lo spirito, la struttura richiamavano ancora lo stile degli anni quaranta, con qualche piccolo ritocco. Con Padre Eufrasio si tolse in parte la tonacella che poi fu relegata definitivamente negli armadi. Si cominciò ad introdurre qualche settimana di vacanza estiva in famiglia. Dal 1965 si decise di cercare una casa in montagna per portarvi i ragazzi a turno per vivere in modo diverso il periodo della vacanza tra famiglia e montagna. La prima casa fu a Valleve (1965-66) , poi a Colere (1967-68), poi l’esperienza con le tende. Con l’anno 1960 si iniziò l’esperienza del preseminario che accolse i ragazzi di quinta elementare. Fu una invenzione abbastanza generale tra i seminari minori nella speranza di trovare più ragazzi da avviare alla vita religiosa. Ad Albino si trovarono a convivere queste due realtà con una certa difficoltà, come ogni novità. Primo responsabile del preseminario fu Padre Cesare Signorini con assistente Padre Ismaele Bertani. 162
Il numero dei ragazzi in tali anni si aggirò tra gli ottanta e i novanta anche dopo la soppressione della quinta elementare avvenuta nell’anno 1965. Cambiò molto lo stile educativo dei ragazzi divisi in classi con un loro educatore, con l’avvio di una scuola più attenta alla persona, con un contatto con le famiglie più frequente e più dialogato. In quegli anni avvenne la parifica (se non erro) con esami statali prima esterni e poi interni. Il giudizio su un ragazzo sia per la resa scolastica, sia per un esame globale della sua permanenza in seminario, non fu solo del direttore, ma dell’équipe costituita da tutti i formatori, assistenti e professori. Con l’apporto di alcuni giovani professori, Padre Luigi Pellegrini e Padre Pierantonio Zanni, psicologo, la scuola si adeguò al ritmo delle scuole statali e la formazione dei docenti potè usufruire di mezzi formativi costituiti da incontri a livello nazionale o da interventi di esperti invitati nei nostri ambienti. Anni '60 (Archivio Riccardo Poletti)
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Preziosa fu sempre l’opera degli animatori vocazionali, allora chiamati “vocazionisti” che fecero un’opera di animazione e di discernimento molto puntuale. Posso dare un dato statistico dagli anni 1956 al 1970 sulla riuscita dei ragazzi passati da Albino e approdati al sacerdozio o alla professione perpetua perché ho conservato un quaderno che appuntava le entrate in seminario anno per anno e constatarne la perseveranza. Su quattrocento sessanta ragazzi entrati dal 1956 al 1970 sono arrivati al traguardo 45 quasi il 10%. fra Ismaele Bertani Vi arrivai nel luglio del 1966, cioè quarant’anni dopo la sua apertura (1926), trovandovi 86 ragazzi seminaristi e 14 religiosi circa. La vita era quella dei seminari di un tempo, divisa tra Chiesa, scuola, ricreazione e passeggiate. Il tutto regolato da una disciplina non rigida, ma sufficientemente severa: anche perché al seminario era annesso il convento dei “Padri”, che avevano diritto di non essere distratti dalle loro occupazioni. Si pretendeva troppo dai ragazzi di 12-13 anni? I tempi erano quelli e anche la disciplina era quella di “allora”. La stessa in cui eravamo stati formati pure noi, e che doveva avere la sua efficacia, se ci aveva preparato a raccogliere il testimone dei nostri formatori. Ma ci si rese subito conto che qualcosa attorno stava cambiando. Anzi, che era già cambiato. I ragazzi erano diversi da “quelli di una volta”: meno timidi, più disinvolti, più restii all’inquadramento e alla massificazione. Erano diventati perfino critici. Ma soprattutto v’era stato il vento del Vaticano II, i cui documenti stavano rivoluzionando la vita della Chiesa. Fra questi uno (l’Optatam totius) riguardava anche i seminari, i cui punti salienti si riferivano alla loro conduzione, da affidare alla “guida paterna dei Superiori coadiuvati opportunamente dai genitori”. Si parlava anche di norme di “sana psicologia”; di una “congrua esperienza delle cose umane”; di un “ordinamento degli studi in grado di essere proseguiti altrove senza danno per gli interessati”, ecc. Suggerimenti a cui forse qualcuno aveva già pensato, grazie a quel buon senso ereditato dallo spirito lombardo, ma che non si poteva applicare senza autorevoli permessi. 164
Al funerale di Elisa Spinelli Carrara, 31 Ottobre 1969. (Foto Franco Carrara Agasy)
La lettura del Documento fu come una sferzata. Ci guardammo in faccia e ci dicemmo che era tempo di “mettere mano all’aratro” per aprire solchi nuovi, indicati dal magistero, e quindi “cattolici” a tutti gli effetti. Non era facile armonizzare la libertà con la disciplina, la responsabilità con la disponibilità, l’educazione all’autonomia con il pericolo della indipendenza, la “fervente preghiera” con il “sano divertimento”. Tentammo. Ci riuscimmo? Una mamma ci scrisse allora: “Con l’entrata di Sergio in seminario, venni a scoprire un mondo di cui non avrei mai immaginato l’esistenza. Il comportamento gioviale dei Padri non metteva in soggezione i ragazzi, anzi, permetteva loro una giusta confidenza, mettendoli a proprio agio per farli migliorare. Ho scoperto un’organizzazione scolastica veramente ammirevole, un sistema moderno con cui portavano avanti il vasto programma con impegno. Molti problemi furono affrontati e risolti nel migliore dei modi 165
durante i frequenti incontri tra i rappresentanti dei genitori, di cui facevo parte, e gli educatori...”. La signora si riferisce alla disciplina non coercitiva, ma responsabile - autodisciplina - che vigeva a scuola; alle materie parascolastiche che furono introdotte con largo anticipo sulle indicazioni del Ministero, come la musica (ah quell’orchestrina!), le attività sportive, l’artigianato del legno e del ferro; il modellaggio e la pittura; la tipografia; la dattilografia; l’elettronica; l’immissione dei laici del corpo insegnante; la liberalizzazione delle energie dell’alunno stimolato ad esprimersi in modo più autentico e più spontaneo. Rivoluzionario sembrò il ridimensionamento della figura del Padre spirituale, che non fu più “uno per tutti” come era previsto in passato, ma uno a scelta del singolo ragazzo, lasciando a quello nominato “ex officio” il ruolo di animatore liturgico, di coordinatore delle meditazioni dettate a turno dagli educatori, di esperto delle iniziative promosse in campo religioso. Idee nuove che prima furono circondate da una fitta siepe di interrogativi, ma che poi, quando venne la sospirata parità scolastica perseguita e voluta Gruppo di educatori degli anni ’70. I tre in alto da sinistra: fra Frumenzio Sonzogni, fra Fidenzio Volpi, fra Tommaso Grigis. In basso da sinistra: fra Ferruccio Consonni, fra Gennaro Signori, fra Floriano Zambaiti, fra Ferruccio Ferri, fra Giulio Savoldi, fra Eugenio Perolini, fra Luciano Mologni.
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dall’intelligente intraprendenza di Padre Luigi Pellegrini, allora Preside, e i conseguenti ottimi risultati dei seminaristi sia per i successi scolastici, sia per l’ottima partecipazione ai giochi della gioventù che per la realizzazione di un film “fatto in casa” suscitarono approvazioni e riconoscimenti dalle diverse autorità e dalla gente della Val Seriana e della Bergamasca. “Dopo tre anni passati da mio figlio Sergio in Seminario - continua a dire la signora Eva - mi sono trovato a casa un ragazzo più aperto, non più permaloso e più sicuro di sé, capace di percepire la vita come un dono da usare bene”. Il merito della trasformazione fu dovuto al rinnovo dei programmi educativi, spirituali e scolastici attuati in équipe da tutti gli educatori: “Al polso deciso ma aperto al dialogo di Padre Fidenzio - scrisse la signora Eva all’acuta sensibilità di Padre Ferri, alla calma di Padre Floriano, all’allegria di Padre Perolini e all’impegno di tutti gli altri”. fra Fidenzio Volpi Nel 1974, a Milano, fui ordinato sacerdote. I superiori mi inviarono ad Albino quasi per ricominciare. Ma nel frattempo in seminario tante, tantissime cose erano cambiate. Il Concilio Vaticano II aveva lasciato un segno profondo. La mia prima esperienza pastorale fu quella del “vocazionista”; cosi venivano chiamati coloro che erano addetti alla pastorale vocazionale. Era un lavoro che mi piaceva moltissimo anche se faticoso e non privo di delusioni. Si trattava di accostare tanti ragazzi e tante famiglie, un lavoro capillare, casa per casa. A tutti quei ragazzi rivolgevo la proposta: sei disposto a verificare nel nostro seminario di Albino che cosa il Signore vuole da te? e se ti chiamasse a diventare un fraticello come me? se ti chiamasse a seguire S. Francesco? Così, per cinque anni, ho accostato migliaia di ragazzi nelle colonie marine e montane,
In vacanza sul finire degli anni ’70 o inizio anni ’80.
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nelle parrocchie, nelle scuole e, infine, in famiglia; seguivano gli incontri di fine settimana in seminario, i campi scuola in estate. A settembre un bel gruppo di ragazzi entrava in seminario e per il “vocazionista” il lavoro riprendeva da capo: al raccolto seguiva la semina ed alla semina il raccolto. Forse in modo un po’ azzardato, dopo cinque anni di impegno nella pastorale vocazionale, i superiori mi affidarono l’incarico di Direttore dei Seminario di Albino. Si trattava di accompagnare quei vispi ragazzetti nella loro crescita e nella accoglienza del disegno del Signore sulla loro vita. Erano invitati a percepirsi come inventati da una fantasia piena di amore e come disegnati dalle mani di un grande artista: sulla loro vita, come sulla vita di ognuno di noi, c’era un disegno, il più fantastico, il disegno di Dio. Scoprirlo ed attuarlo; ecco l’avventura entusiasmante che ti prende tutta la vita. Era un lavoro corale, perché pensato e sviluppato insieme. Sì, di quegli anni ricordo soprattutto le lunghe riunioni a ritmo quasi settimanale tra noi frati educatori e con gli insegnanti. Si camminava insieme, come una grande famiglia e si era contenti di camminare insieme. Non penso di esagerare se affermo che il seminario di Albino è stato, nel corso degli anni, per diversi giovani frati una scuola di crescita in uno stile di vita fraterno. Si discuteva, si progettava, si rivedeva il cammino fatto o non fatto. Con amicizia e con franchezza! Ogni ragazzo veniva preso in considerazione, veniva seguito personalmente. Non ci si fermava alla semplice constatazione dei fatti e dei comportamenti, ci si chiedeva sempre il perché: perché il tal ragazzo si è comportato in quel modo? perché non esprime le sue potenzialità? C’era molto cuore in tutto quello che si faceva. E c’era molta inventiva, molta creatività. Ci si metteva in discussione, si tentavano strade e metodi nuovi... Era ricorrente in quegli anni uno slogan: La fantasia al potere! E nel seminario dei frati ad Albino la fantasia certo non mancava! Era un lavoro corale perché coinvolgeva i genitori. Ecco un altro aspetto che mi ha sempre convinto e appassionato! Le famiglie dei ragazzi non erano considerate estranee e tanto meno guardate con diffidenza, ma fortemente invitate a partecipare al cammino dei figli. Tra i frati del seminario ed i genitori del ragazzi si instaurava ben presto molta familiarità e confidenza. Così anche per i genitori iniziava spesso un cammino di crescita: si sentivano in buona compagnia come se la loro famiglia, con l’entrata del figlio in seminario, avesse trovato nuovo ossigeno, nuovi stimoli. Come 168
Fra Marco e fra Alessandro, vocazionisti degli anni ’80.
se si fosse allargata ed aperta. Il comunicarsi esperienze, il confidarsi problemi ed il confrontarsi sugli interventi educativi creavano una sintonia che faceva bene a noi frati ed ai genitori. Sono rimasto ad Albino per undici anni, gli anni della mia giovinezza, quelli delle prime esperienze sacerdotali, i più ingenui ed i più freschi. Quando li ripenso, ormai uomo maturo (almeno per l’anagrafe!), la mente mi si affolla di tanti ricordi ed immagini, di tanti volti e vicende. Allora ringrazio il Signore per quella lunga esperienza condivisa con altri frati, con tanti ragazzi e famiglie. Ringrazio il Signore perché, alcuni di quei vispi ragazzetti, incontrati al mare o in montagna, sono adesso frati come me e migliori di me. Dico spesso, con tutta sincerità, che questo è uno dei regali più belli che 169
il Signore mi ha fatto: qualcuno che anche attraverso la mia voce e la mia presenza ha scoperto il fantastico disegno di Dio sulla sua vita: seguire Francesco d’Assisi. fra Tommaso Grigis Quando nell’agosto del 1979 il Padre Provinciale mi chiese la disponibilità a lavorare nel seminario di Albino, si premurò di dirmi: “È un’emergenza! Ho bisogno di te per un anno!” Avevo ventisei anni, ero Sacerdote da pochi mesi e in corpo un grande entusiasmo. Nella vita, dicono, niente è più stabile del provvisorio: quell’“emergenza” si è protratta per ben quindici anni. Scherzo da frate? Sicuro, ma ben riuscito! Non rimpiango di aver condiviso gli anni della mia esuberante giovinezza con tanti ragazzi i cui volti ancora oggi porto negli occhi e nel cuore. Non fosse altro perché non mi hanno mai permesso di sedermi e di chiudermi in sicurezze, in “cose già viste”, scontate o monotone. L’imprevedibile, il nuovo, l’inatteso che caratterizza le verdi generazioni, è il pane quotidiano che mastichi e che dà vita anche a te. Tante sequenze scorrono sul nastro della mia memoria: fatti, incontri, persone, attività. E come in un film che attinge ad esperienze di vita, rivivo i momenti più significativi di quella lunga stagione. Dalla montagna dei ricordi, emergono gli ultimi tre anni di questa avventura, vissuta con gli adolescenti delle Superiori. Elencare i loro nomi, descrivere i loro volti è una tentazione che non assecondo per non annoiare chi legge. Ma dietro ogni volto rivedo una relazione caparbiamente voluta, un dialogo a volte interrotto e sempre riannodato con pazienza. Rivedo nel cielo di quel tempo adolescenziale un’alternanza di nubi e schiarite, di tempesta e di quiete e sull’arduo cammino verso l’autonomia ricordo le partenze e gli arresti, la voglia di spaccare il mondo e la fatica di non farsi schiacciare. Rivivo le aggressività e le richieste di aiuto, i desideri di indipendenza e il bisogno di tenerezza, le confusioni e i turbamenti affettivi, i disagi scolastici e le crisi di fede, i silenzi carichi di piccole depressioni e le gioie esplosive. L’adolescenza, “età negata”, “età incompiuta”, come viene spesso definita, mi ha rimesso ancora una volta in ascolto e mi ha costretto a ripartire e a rimuovere sicurezze che credevo raggiunte. 170
Quanto tempo passato insieme in quelle piccole stanze del piano di sopra alle prese con libri e compiti! Le giornate iniziate con la preghiera avvolta dal sonno, continuavano nel viaggio verso le scuole di Bergamo spesso in compagnia della preoccupazione di interrogazioni e di compiti in classe. E non sempre il pranzo al ritorno era un momento di festa, se al mattino qualcosa andava storto. Con Fra Sergio, ogni giorno scrutavamo il termometro a misurare gli umori di ciascuno e nei casi di cattivo tempo prolungato offrivamo una vicinanza discreta e una disponibilità capace di riportare il sereno. Studio, gioco, preghiera, dialogo e amicizia hanno costituito il tessuto di quegli anni. A volte, come la tela di Penelope, quanto già confezionato veniva disfatto e ci si doveva rimettere al telaio con pazienza. Non so quanto abbia saputo offrire a quei giovani che oggi, o sono felicemente sposati o si preparano ad esserlo. So con certezza che molto da loro ho ricevuto e mi sono portato dietro. Ho imparato, pur tra errori e buchi da gruviera, ad esercitare rispetto e ad offrire affetto, stima libertà, disponibilità, attesa paziente, dialogo e... stupore. Ho imparato che nessuno è uguale all’altro, nessuno in serie; ognuno è pezzo raro e unico. E per esaltare la sua bellezza ti devi mettere in ascolto. Ascolto infinitamente paziente che parte dal cuore e crea comunione. In punta di piedi.
Seminaristi in gita negli anni '80 o primi anni '90.
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“Bussare prima di entrare”, è il titolo di un libro che ho da poco finito di leggere. Una lezione appresa in quegli anni fecondi che ancora oggi porto con me. fra Adriano Moraschini Negli anni ’90, in cui altri Istituti Religiosi avevano già concluso l’esperienza del seminario minore, la Provincia dei Frati Cappuccini di Lombardia ha ritenuto significativo offrire ancora ai ragazzi e alle famiglie questa esperienza di crescita umana, di ricerca e verifica vocazionale. Da sempre il nostro seminario si è caratterizzato per l’attenzione e la dedizione alla crescita L'ultimo gruppo di seminaristi con fra Agostino. e alla vita di ogni ragazzo e in questo ultimo decennio in modo ancora più preciso e puntuale. L’aver accompagnato nel cammino non solo ragazzi motivati umanamente e vocazionalmente, ma anche preadolescenti con situazioni di difficoltà, è stato il compito primario che ci siamo assunti come educatori ed insegnanti. Il Seminario è stato pertanto luogo di formazione all’interno del quale i ragazzi sono stati gradualmente indirizzati verso una crescita umana e cristiana e aiutati a scoprire i segni della chiamata di Dio. Il metodo “familiare” proprio dell’esperienza francescana ha contraddistinto la vita dei ragazzi e degli educatori all’interno del seminario: rapporti confidenziali tra educatori - ragazzi - genitori hanno favorito il buon funzionamento e l’acquisizione di successi poco apparenti ma immensamente preziosi. È doveroso ricordare che gli ultimi due decenni di vita del seminario sono stati anni “infecondi” dal punto di vista vocazionale, ma non per questo non 172
significativi e validi. Anni di semina vissuti dagli educatori con passione, coinvolgendosi totalmente. Anni importanti per i ragazzi dentro i quali si è dipanata una fase serena della loro preadolescenza ed è maturata una “prima” scelta per la loro vita. Anni significativi per i genitori dei seminaristi, occasione di confronto e di dialogo educativo... , ma anche cammino di riscoperta della loro vocazione matrimoniale e cristiana. Non sta certamente a noi valutare o quantificare l’importanza e lo ricchezza del “raccolto”; sta alla vita di ogni ragazzo e di ogni persona che ha vissuto l’esperienza del nostro seminario essere “perla preziosa, tesoro nascosto”, testimonianza dentro la quotidianità. Tanti sono i momenti che andrebbero ricordati, ognuno col proprio valore e significato; a ciascuno focalizzare e rendere sempre vivo nel profondo quanto si è vissuto. Tutti portiamo nel cuore il ricordo di qualcosa di bello vissuto insieme: fasi del cammino, volti importanti, relazioni sbocciate e maturate, momenti di fatica e... a volte qualche delusione, risultati e successi ottenuti... La conquista più bella è stata vedere crescere e maturare la storia di ognuno.Tutti ci siamo sentiti importanti perché dentro questa realtà ci si è voluti bene. Quanti giovani in questi anni sono “ritornati” nel nostro seminario, anche solo per una breve visita per incontrare frati o rivedere luoghi; dentro il cuore il ricordo di momenti belli o particolari vissuti insieme, la nostalgia nel ripensare volti di amici e compagni non più incontrati, l’emozione nel ricordare fatti di vita condivisi e ora “nascosti” nell’intimo come un bene da custodire. ...Il “raccolto” della semina non è, per fortuna, sempre compito nostro... La soddisfazione più bella e grande è aver sparso con abbondanza. fra Nunzio Conti
Gli ultimi vocazionisti fra Giuseppe e fra Beppe.
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Cenni sulla presenza delle
Suore Cappuccine di Madre Rubatto ad Albino Archivio Storico dell'istituto delle Suore Cappuccine
Centro di rieducazione motoria dell’istituto Croce Rossa Italiana. La data di fondazione della prima presenza delle Suore Terziarie Cappuccine ad Albino (Bg) risale al 2 dicembre 1957. La finalità dell’Opera è l’Assistenza ai discinetici presso il Centro di Rieducazione Motoria dell’Istituto Croce Rossa Italiana. La prima Comunità religiosa è composta da Sr. Elena Maria di S. Antonio (Clotilde Vitali), Superiora della Casa, Sr. Maria Giustina della Resurrezione (Maria Della Torre), Sr. Maria Adelaide di S. Carlo (Stefanina Fostinelli) a cui successivamente “vista la necessità fu aggiunta una quarta Suora, Suor Gaetana” (forse Sr. Maria Geatana di S. Francesco, al secolo Costantina Maria Curnis), come riporta la Relazione annuale del 1958, mentre un’altra fonte indica come quarta suora Sr. Maria Liduina di S. Carlo (Luigia Zanga). “Alle Suore è affidata la Direzione religiosa, morale ed economica dell’Istituto. I bambini ospitati durante l’anno a rotazione sono in media giornaliera quarantasei, tra maschi e femmine, dai tre ai dodici anni. Il Centro è presieduto da un Dirigente medico, oltre che da un Comitato della C.R.I. provinciale. Il personale è diviso in gruppi a seconda delle mansioni loro affidate, cioè: tre signorine Fisioterapiste specializzate; tre signorine Occupazionali terapiste; due Insegnanti statali per le Scuole elementari; sei Inservienti bambinaie; sei persone di fatica e un Custode (…)” (dalla Relazione annuale del 1958 della Casa di Albino; Archivio storico della Curia Generale dell’Istituto, FA II, 5). Nel 1961 la Comunità è composta da Sr. Elena Maria di S. Antonio, Superiora, Sr. Maria Rosalia dei S. Angeli Custodi (Carolina Luigia Berra) “Vicaria, disimpegna l’ufficio d’infermiera, è preposta alle varie dispense per i piccoli bambini, coadiuva la Superiora agli uffici e servizi generali
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con spirito di sacrificio e di abnegazione”; Sr. Maria Giannina di S. Tomaso (Pierina Canini) “malgrado la sua non florida salute, attende all’ufficio di guardaroba con dedizione”; Sr. Maria Severina di S. Alberto “da circa due anni dimostra abilità e buona volontà nell’ufficio di cuoca” (dalla Relazione annuale del 1961 della Casa di Albino; Archivio storico della Curia Generale dell’Istituto, FA II, 6). Nelle successive relazioni con ci sono note particolari. La Casa risulta chiusa dall’aprile del 1986.
Padiglione Honegger (Albino) L'archivio ha solo un’esigua documentazione fotografica sulla Clinica.
Casa Del Preseminario Serafico (Albino) La data d’inizio della presenza delle Suore Terziarie Cappuccine nel Preseminario risale al 26 maggio del 1960. La finalità della Casa è l’assistenza ai “fratini” (cioè gli aspiranti religiosi accolti in età scolare in Convento), nei loro studi dopo le lezioni scolastiche, insieme al servizio di guardaroba e di cucina. Della prima Comunità religiosa, composta di tre Suore, si conosce il nome solo di due: Sr. Maria Francesca (alla Vestizione Sr. M. Grata) di S. Pietro (Francesca Teresa Pizio) e Sr. Maria (alla Vestizione Sr. M. Barberina) di S. Rodolfo (Maria Giuseppina Trecchi). “Le Suore si occupano della cucina, del guardaroba e svolgono la loro opera anche assistendo i più piccoli e più bisognosi dei candidati al Seminario Serafico nelle loro piccole necessità morali e anche fisiche, curandoli quando si ammalano (…)” (dalla Relazione annuale del 1960 della Casa di Albino; Archivio storico della Curia Generale dell’Istituto, FA II, 6). Il servizio delle Suore risulta concluso il 30 giugno 1981: nell’Informativo n° 113 del 29 maggio dello stesso anno la Madre Provinciale d’Italia Sr. Agnese 175
Le suore, in cucina e in guardaroba, costituiscono un prezioso aiuto per il buon andamento del seminario. (Dall'opuscolo per i 50 anni del Seminario 1926-1976)
Vedovati scriveva: “Siamo in trattative per ritirare le Suore dal seminario Serafico di Albino poiché non ci è possibile sostituire nel servizio Sr. Faustina Zamboni che si è ammalata e si trova degente in Clinica S. Francesco”. In occasione della chiusura della Casa P. Lino Garavaglia ofmcapp, Ministro Provinciale tra l’altro così scrive: “Ho sperato fino all’ultimo che si potesse risolvere il problema in altro modo, non solo per il prezioso servizio che le Suore prestavano, ma soprattutto per il significato della cooperazione del ramo francescano femminile alla preparazione dei candidati al Primo Ordine e per la spirituale loro partecipazione alla formazione tra i nostri ragazzi: segno formativo e di comunione”.
Casa Di Assistenza Degli Anziani (Albino) Nell’Informativo n° 18 del 15 gennaio 1973 così la Madre Provinciale d’Italia Sr. Giancarla Clivati annuncia l’apertura della Casa: “Portiamo a conoscenza di tutta la Comunità (…) che la Provincia (…) ha accettato l’apertura di un piccolo Ospedale per lungo degenti in Albino, con un numero di 40 posti letto. Questa decisione, in un momento di scarsità di elementi, vuole essere sacrificio e autentica testimonianza di carità verso i più poveri e bisognosi. La nostra espressa preferenza verso questa classe di persone - che rappresenta veramente ‘i poveri di Dio’- pensiamo sia benedetta dal Signore e ci permetta di guardare con fiducia maggiore ad un’attesa fioritura di vocazioni”. La Casa viene aperta nel 1973 e chiusa nel 1994. 176
Una Prima Comunione in Convento nel 1960 Maria Franca Mismetti
“Il 18 settembre, evento unico, una bambina riceverà la sua Prima Comunione in convento”. “La bambina è Maria Franca Mismetti, ha solo cinque anni”. Questo si mormora in paese ed è il grande evento che mobilita il convento di Albino. Mai, né prima né dopo, in questo, ma probabilmente anche in tutti gli altri conventi, verrà celebrato il sacramento della Prima Comunione, non previsto dalle disposizioni canoniche sulle parrocchie. Lo zio padre Benedetto Poloni aveva detto: “Il 18 settembre festeggerò ad Albino il 20° anniversario di ordinazione sacerdotale; mi piacerebbe che mia nipote Franca in quell’occasione ricevesse la Prima Comunione”. Mia mamma, Camilla Poloni, sorella di padre Benedetto, inizia una lunga e faticosa, vera e propria lotta con il prevosto don Pietro Gamba, che cercherà di opporsi all’evento e, in fine, acconsentirà. Entusiasmo alle stelle da parte dei miei genitori, mentre io, per la verità non capii molto; ma da quel giorno vissi un’esperienza unica. Ricordo che la
Franca con Suor Barberina all’altare della Madonna nel Convento. Padre Benedetto Poloni con la nipote Franca il giorno della Prima Comunione fuori dal Convento.
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mamma mi diceva: “Tu sei come Marcellino pane e vino”. Per alcuni mesi trascorsi i miei pomeriggi presso il convento dei frati, affidata alle cure di suor Barberina, una delle suore Cappuccine di Madre Rubatto, che allora vivevano in un’ala del convento di Albino. Con suor Barberina, io piccola bambina di cinque anni, imparai il catechismo, ma soprattutto scoprii tutti gli angoli del convento; ancora ricordo scalette, soffitte, sala cucito, dispense, celle, orti. In quegli anni nessuno varcava la clausura, ma suor Barberina ed io, dietro di lei, sì. Il fatidico 18 settembre arrivò e la festa del 20° anniversario di sacerdozio finì in secondo piano. La festa fu tutta per me. Maria Franca Mismetti (Ricordo dedicato al papà Angelo, che amò come un fratello lo zio padre Benedetto)
1960 - il Santino della Comunione con il ventennio dello zio Padre Benedetto
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Storia dell’architettura nel convento Anna Maria Mologni
L’architettura cappuccina nella povertà delle sue “forme” è portatrice di un intenso significato che va al di là del valore visivo. Essa presenta caratteri peculiari che esprimono profondi valori evangelici, quali l’essenzialità, l’accoglienza e la fraternità. I primi cappuccini sino agli anni 1530-1531 non ebbero luoghi costruiti appositamente per loro, così come più tardi le Costituzioni ne tracceranno il semplicissimo disegno basandosi sui criteri di “altissima povertà” e avendo come modello S. Damiano e l’Eremo delle Carceri ad Assisi. Il convento cappuccino doveva essere il segno e simbolo del costruirsi della “Città di Dio” e perciò viene costruito non troppo vicino, né troppo lontano dalla “città degli uomini”. L’impianto monastico, costruito al margine della città, da una parte si presenta come modello di vita di fraternità, con strutture murarie e spazi architettonici chiusi e separati; dall’altra l’edificio va via via sempre più inserendosi nelle strutture cittadine, condizionando la topografia paesistica ed urbanistica. I moduli estetici o le forme possono assomigliare forse, ad altri moduli e forme già in uso presso antichissimi Ordini, ma ciò non toglie che si possa parlare dell’esistenza di una originalissima architettura cappuccina, perché di fatto esiste una originalissima esperienza di fraternità conventuale espressa da una architettura che, pur coerente alla particolare concezione francescana, si trova tuttavia calata nelle particolari condizioni umane e storiche. La chiesa cappuccina, presenta la sua facciata direttamente sulla strada o sulla tipica piazza, che rappresenta il luogo di incontro e di reciproco aiuto delle due città. I frati cappuccini, il cui compito è quello di vivere una spiritualità intensa e semplice “per vivere in mezzo al mondo”, si accontentano di un piccolo coro, mentre la navata unica della loro chiesa, come un’accogliente sala, presenta direttamente la centralità del mistero Eucaristico e della Parola. Le celle del convento sono piccole a significare il luogo della breve permanenza dei frati che “pellegrini e forestieri in questo mondo”, devono essere 179
sempre pronti a comunicare il prezioso dono della salvezza agli uomini. Il convento è simbolo di fraternità intensa come reciprocità “alter alterius”. L’idea di fraternità trova la sua visualizzazione non tanto nella chiesa del convento, quanto nel chiostro, che è il vero centro regolatore dell’intero complesso e della vita comune. I vari locali, dai più importanti come il refettorio, la biblioteca, lo scaldatoio, l’infermeria, il medesimo coro, ai più umili come le officine e le foresterie generalmente si aprono sul chiostro che diventa spazio di incontro fraterno e non un semplice disimpegno tra le varie parti del convento. L’idea di funzionalità si trova nella divisione del convento in settori, che organicamente si dispongono attorno al chiostro come centro che serve da filtro e da regolatore dell’intera comunità. Si ha così il “settore religioso” o “settore preghiera”, dove il cappuccino, insieme con la sua fraternità, assolve all’“opus Dei” , il “settore comunità” con i locali per l’incontro fraterno; il “settore lavoro” con le officine per l’attività artigianale, il “settore filtro” per l’incontro con il mondo dei borghesi; e infine il “settore servizi” il quale, a differenza degli altri, non può essere evidentemente localizzato, ma ne completa e armonizza la funzionalità globale. Con termini tratti da scritture del secolo XVIII i singoli settori si compongono dei seguenti ambienti:
Settore preghiera
Settore comunità
1. Croce: situata sempre sulla piazzetta della chiesa 2. Sagrato 3. Chiesa 4. Cappelle 5. Altare maggiore: chiamato anche Sancta Sanctorum 6. Oratorii: Coretti laterali al presbiterio per l’ufficio dei fratelli laici 7. Sacrestia 8. Sottosacrestia 9. Coro 1. Dormitori: il termine indica il piano superiore con le celle dei singoli frati e il lungo e stretto corridoio che le unisce 2. Comunità: luogo dove i frati mettevano il saio e la biancheria in comune 3. Libreria: non veniva usato il termine biblioteca 4. Scuola: locale per la preparazione sacerdotale dei cierici
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5. Cucina 6. Cucinotto 7. Canavetto: dal termine canova, cioè luogo dove si metteva il vino o generi commestibili per il consumo giornaliero 8. Lavello del refettorio: per la pulizia delle stoviglie 9. Scaldatoio: l’unica stanza del convento che aveva il camino per il riscaldamento ad uso dei frati 10. Bugattara: luogo dove si faceva il bucato 11. Refettorio 12.
Settore lavoro:
Settore filtro
1. Bottega del Sarto 2. Bottega del falegname 3. Stanze del panificio 4. Stanziolo del cercatore 5. Stanza del lanificio 6. Botteghe: termine molto generico per indicare luoghi di lavoro particolari o di magazzino, ripostiglio, laboratorio. 7. Molino: all’esterno della clausura 8. Fabbreria 9. Stanziolo dell’acquavite 10. Stanzino per fare il tabacco 11. Stanza dei frutti 12. Legnara: legnaia 13. polaro: pollaio 14. Portico e porticali: per carri e strumenti di lavoro campestre 15. Cortile: specie di aia 16. Piazzetta dei carri 17. Ortino dei cucinieri: appezzamento riservato per maggior comodità ai frati impegnati in cucina 18. Ortino dei fiori: esteso per assicurare fiori sempre freschi per gli altare ed il culto liturgico 19. Ortino con prospettiva: cioè con cappella dipinta che rappresentava strutture architettoniche o elementi paesistici 20. Ortino dei lanini: riserva assicurata ai frati che lavoravano nel lanificio a favore dei loro benefattori 21. Ortino del cercatore: del questuante per i benefattori 22. Prativo: spazio coltivato a prato 1. Portineria 2. Stanza del portinaio
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3. Stanze della porta: per l’uomo dei servizi 4. Stanze delle donne: per eventuali donne ospitate, con i rispettivi luoghi comuni 5. Stanze degli uomini: per ospitare gli uomini 6. Foresteria 7. Claustro 8. Anditi 9. Criptoportico perimetrale del claustro
Settore servizi
1. Pozzo: quasi sempre nel claustro 2. Fontanina 3. Cloaca 4. Luoghi comuni: gabinetti 5. Scala del dormitorio: dalle soglie del refettorio al piano superiore 6. Scala del coro: dal coro al piano superiore 7. Scala sotterranea: per la cantina 8. Stradoni dell’orto: delimitano geograficamente gli spazi coltivati ad ortaggi da quelli prativi 9. Canale per adacquare 10. Portone dei carri 11. Porta delle mura 12. Mura.
Il valore emblematico della povertà cappuccina è possibile coglierlo negli elementi architettonici purificati da ogni forma essenziale. Prevale la linea retta e curva degli archi a tutto sesto. La semplice planimetria della chiesa cappuccina incarna la sconvolgente e povera immagine della croce latina. I materiali impiegati per la costruzione sono poveri, il pavimento in cotto rappresenta l’umiltà dello spirito, ma ancor più rilevante appare l’eliminazione di spazi e volumi superflui. Costruire un nuovo convento era un banco di prova per i cappuccini e per l’autenticità della loro scelta francescana. A destare preoccupazione non era tanto il problema economico, sempre risolto dalla generosità di ricchi privati e dalla gente affezionata ai frati di cui richiedeva con insistenza la presenza e la predicazione, quanto era evitare di capitalizzare edifici numerosi ed eccessivamente comodi che potevano simulare una certa potenza feudataria come per altri ordini (cistercensi, benedettini ecc.). Il convento veniva perciò costruito per motivi di carattere strettamente 182
religioso e ciò ebbe un particolare significato nel Cinquecento, in piena Controriforma, quando, anche per la forte spinta riformatrice di San Carlo Borromeo, ai cappuccini fu affidato il non facile compito di evangelizzare città e vasti territori con la loro presenza conventuale vicina ai fedeli e tanto diversa dalla grandiosità degli insediamenti monastici dell’alto medioevo.
Convento di Albino Il convento di Albino trae le sue origini già dal 1613. La chiesa annessa, fu intitolata a S. Francesco e S. Albino nell’atto di consacrazione del 1625 dal Vescovo Federico II Cornaro.
Mappa del 1814 - Catasto Napoleonico
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Mappa del 1853 - Catasto di Maria Teresa
Non si conosce la forma e dimensione dell’originario convento, il primo documento catastale per il territorio di Albino è il rilevamento del 1814 (Catasto Napoleonico) nel quale si evidenzia planimetricamente la struttura monastica. La destinazione del convento a casa di propria abitazione è dovuta alla soppressione degli ordini religiosi voluto da Napoleone nel 1810. Sicuramente la posizione e la dimensione non si discosta notevolmente da quella originaria seicentesca. Il convento fu edificato all’esterno del centro abitato e fu costruito in modo tale da sfruttare il più possibile l’arco solare. Nella progettazione delle strutture monastiche cappuccine non esisteva un punto cardinale preferito, anche se si privilegiava l’inclinazione Nord-Ovest e Sud-Est. Il convento di Albino venne costruito sull’asse Nord-Ovest, con la chiesa sul 184
Ipotesi di divisione in settori del convento ottocentesco
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Ipotesi di divisione in settori del convento ottocentesco
Ipotesi di divisione in settori del convento ottocentesco
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Mappa del 1903 Cessato Catasto
lato Nord per proteggere parzialmente il convento dai venti invernali. L’angolazione solare ed il decentramento delle due strutture permetteva di sfruttare il più possibile la luce ed il calore solare senza che gli alti muri della chiesa creassero ombre sulle strutture abitative. Al piano terreno nella posizione più salubre, venivano collocati gli ambienti più importanti e frequentati come il refettorio con l’annessa cucina e le foresterie, mentre al piano rialzato le celle per i frati residenti. Il refettorio si trovava così quasi sempre dal lato opposto della chiesa. Nel refettorio è conservato un dipinto del 1861 del pittore Nava dal quale si evincono i tratti tipologici del convento nelle sue forme ottocentesche. Nel rilevamento catastale del 1903 è già presente parte della struttura del Seminario con l’ampliamento del complesso conventuale verso nord. La nuova fabbrica con forma a quadriportico si sviluppa attorno ad un secondo chiostro, sviluppandosi su due piani fuori terra. È degli anni 20 la sua trasformazione con l’aggiunta della cappella e lo sviluppo di due corpi di fabbrica longitudinali. Trasformato e ampliato intorno agli anni 60 oggi ospita la Scuola di S. Anna. 187
Fasi storiche
La Chiesa Facciata Il prospetto principale si affaccia su un piccolo sagrato, ed è diviso orizzontalmente da porticato. Il corpo centrale, corrispondente con l’unica navata della Chiesa, presenta una serie di cinque affreschi votivi di differenti dimensioni, ad opera dell’artista Achille Compagnoni (1955). Il portale principale è coronato da affresco raffigurante “Madonna con S. Francesco, S. Antonio da Padova e alcuni frati”. Tutti i personaggi sono rappresentati a mezzo busto. La Vergine si trova al centro dell’affresco, con le braccia e i palmi delle mani rivolti verso il cielo; indossa una veste bianca con il manto e la cinta azzurra, il capo è cinto da una aureola di dodici stelle, come descritto nel libro dell’Apocalisse (Apocalisse 12 v.1). La Vergine è circondata dai frati, cinque da una parte e cinque dall’altra. S. Francesco ed altre quattro figure significative per l’ordine a destra, S. An188
Facciata della chiesa e particolare degli affreschi
tonio da Padova col giglio, due frati e due giovani a sinistra. Tutti indossano il saio marrone e il cingolo con i tre nodi, simbolo dei voti di Castità, Povertà ed Obbedienza; tranne i due fanciulli che l’autore ha inserito come due seminaristi. I personaggi sono stati rappresentati in diverse posizioni in atteggiamenti di adorazione. Sul lato destro, tra i frati, è riconoscibile S. Francesco che porge sul cuscino rosso la corona alla Vergine, esprimendo il riconoscimento di Regina dell’ordine in quanto riferimento spirituale dei francescani. Dall’altra parte S. Antonio da Padova regge il giglio bianco simbolo di purezza. La scena si svolge all’aperto, in un paesaggio collinare, si scorgono ai lati alcuni cipressi, sullo sfondo il cielo blu. 189
Le cornici del portale sono in cemento bocciardato tinteggiate in bianco. La struttura muraria è rivestita da intonaco di malta cementizia posato a grandi riquadri ad imitazione della pietra. La facciata è sormontata da timpano con modanatura tinteggiata in ocra ad imitazione dei mattoni dei pilastri del porticato. La facciata è abbellita da due finte nicchie poste ai lati dell’ingresso principale; al loro interno due dipinti raffiguranti angeli che sostengono iscrizioni tratte dai fioretti di S. Francesco. Le finte nicchie sono racchiuse da una cornice con semplici decorazioni in cemento. Nella nicchia di destra è raffigurato un angelo in posizione eretta che regge tra le mani un cartiglio con l’iscrizione della benedizione di San Francesco, la cui fonte sono i Fioretti di San Francesco: “Il Signore ti guardi e benedica e volti la sua faccia verso di te. Il Signore abbia di te misericordia e ti dia pace. Il Signore ti dia la sua santa benedizione”. L’angelo, riconoscibile dalle grandi ali rosse, è di aspetto giovane, di carnagione chiara e con lunghi capelli scuri. Indossa una tunica di colore giallo tendente al verde in parte coperta da un ampio mantello rosso, ai piedi porta dei calzari aperti come da tradizione francescana. L’angelo sembra guardare l’osservatore coinvolgendolo nella scena e invitandolo a riflettere sul messaggio da lui portato. Il personaggio è posto su uno sfondo bluastro senza respiro spaziale che in alto a destra sembra illuminarsi. Nella nicchia di sinistra invece Angelo vestito con veste color terra di siena bruciata e “mantello” verde regge in mano un cartiglio indicante il testamento di San Francesco: “Noi ti adoriamo S.S. Signore Gesù Cristo qui e in tutte le Chiese tue che sono in tutto il mondo e ti benediciamo perché per la tua Croce hai ricomperato il mondo” (Testamento di San Francesco).
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Ai piedi indossa i sandali - evidente riferimento all’ordine francescano. Posizionata al di sopra del porticato troviamo una finestra semicircolare con modanatura. Lateralmente al corpo centrale sono posti gli ingressi al convento ed al ex seminario. Sopra la porta di sinistra (convento) è collocato un affresco che rappresenta la passione di Cristo e San Francesco. La scena si apre su un paesaggio estremamente semplice composto da una montagna dipinta in toni piuttosto scuri ed un cielo nuvoloso dipinto a toni azzurro verdastri. In primo piano i due personaggi identificabili in Cristo e San Francesco. I due, recanti le croci in spalla, affrontano la salita verso il monte del Calvario. Sopra la porta di destra (ex seminario) un affresco raffigurante Gesù che indica il Santissimo a Francesco fanciullo; la scena si svolge all’interno di un paesaggio semplice: sulla sinistra è rappresentata una montagna, dove è presente 191
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l’altare in cui è posto il calice segno della presenza divina. Un alto zoccolo in ceppo corre su tutto il perimetro della facciata. Pianta La pianta della chiesa è a navata unica (come tutte le chiese cappuccine), con copertura a volta a botte. Le cappelle laterali, una per ogni lato, sono di forma quadrata e rialzate rispetto alla navata di due gradini. Nella cappella di destra era posto un grande crocefisso in rilievo che è stato sostituito da una pala di Fra Damaso Bianchi in cui è raffigurata la “Glorificazione di Fra Beato Innocenzo da Berzo”. Nella cappella di sinistra vi era l’altare dedicato ai Santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista arricchito da una pregiata tela del Cavagna raffigurante i suddetti santi. Attualmente l’altare è dedicato alla Madonna e vi è posta una statua della Vergine Immacolata. L’altare maggiore era anticamente arricchito da una Pala ad opera del pittore Zeno, raffigurante la Vergine Santissima che con gesto materno porge a S. Francesco suo figlio Gesù; accanto al Santo le figure di S. Carlo Borromeo e S. Albino. Questo quadro, ai tempi della soppressione napoleonica, passò in altre mani e venne sostituito da una pala con la Sacra Famiglia circondata da angeli ed ai piedi S. Francesco che offre a Maria il cuore e S. Pietro che le presenta le chiavi. Questo dipinto ora si trova al convento di Bergamo. Attualmente vi campeggia un grande affresco ad opera di Achille Compagnoni. L’affresco occupa tutta la superficie della parete di fondo del presbiterio, interrompendosi in corrispondenza della grata che collega l’abside al coro retrostante. L’opera è costruita seguendo uno schema a prospettiva centrale le cui linee convergono nella figura di S. Francesco che è rappresentato in posizione eretta con le braccia allargate nell’atto di ricevere lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo, come vuole l’iconografia, è rappresentato sotto le sembianze di colomba. L’artista ha raggiunto la stilizzazione del simbolo dipingendo uno stormo di uccelli e ottenendo la forma di colomba.
Achille Compagnoni, Gloria del Poverello, 1955. Per un devoto che sale la scalinata fece da modello Ernesto Moroni (1896-1969), amico del convento della vicina Via Concezione.
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San Francesco è circondato da numerose figure con riferimento al Cantico delle creature. Da sinistra a destra troviamo: l’acqua, il fuoco, il sole, la morte corporale, madre terra con tutte le sue creature, la malattia, la pace, Santa Chiara che regge il calice eucaristico, le tribolazioni della vita. Sullo stesso piano in basso a destra troviamo un riferimento alle vicende di San Francesco nella rappresentazione del lupo e dell’agnello. Sulla scalinata centrale che conduce a San Francesco sono raffigurati sei personaggi: a sinistra tre frati oranti , rivolti verso l’osservatore, rappresentano i tre voti di obbedienza, povertà e castità; a destra tre personaggi di diverse nazionalità, rivolti verso il Santo, rappresentano l’universalità del messaggio cristiano. Entro due nicchie poste ai lati della scalinata sono raffigurati due angioletti monocromi che reggono rispettivamente le tavole dei dieci comandamenti e un libro recante l’iscrizione “Evangelium domini nostri Iesu Christi”. Sul secondo gradino partendo dal basso si può notare l’acrostico del nome del pittore e la data. Gli interni della chiesa furono interamente decorati dai pittori Nembrini di Pradalunga intorno agli anni ’50, e probabilmente dai fratelli Dino e Gioachino (infatti sono riscontrabili analogie con le decorazioni presenti nella Parrocchiale di S. Girolamo Dottore in Torre de Roveri). Negli anni settanta tutte le superfici furono interamente ritinteggiate con un colore grigio-bianco; l’unico accenno di decorazione è uno spugnato di colore azzurro tenue contornato da una cornice grigia, eseguito in corrispondenza delle lesene e dei sott’archi dell’altare maggiore e di quelli laterali. Una parte della decorazione, quella relativa alle pareti del presbiterio, è stata riportata in luce nel 2005 in collaborazione con la scuola di restauro “A. Fantoni” di Bergamo.
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I Cappuccini e Albino nel ‘900 Angelo Calvi
Due sono le istituzioni che, nel secolo scorso, legano i Cappuccini, “i poveri frati del Poverello”, alla povera gente albinese, al di là della vita ordinaria del convento nella preghiera, nei sacramenti, nella predicazione, nella questua e mensa dei poveri: il seminario e il Terz’ordine. Del seminario (1926-2003) si dice in altre pagine; qui, dei Terziari, come modalità di vivere da laici, e non solo da religiosi e religiose, la sequela di S. Francesco, laica figura testimoniale del Vangelo di Gesù Cristo. Ci fa inizialmente da guida il supplemento del periodico Annali Francescani che riferisce sul Congresso Francescano di Valle Seriana del 10 settembre 1933. Il Terz’ordine, in epoca moderna, era stato rilanciato da papa Leone XIII con l’enciclica “Misericors Dei Filius” del 30 maggio 1883. Prima di questa non esistevano nel distretto del convento di Albino, la Valle Seriana appunto, che sole tre Congregazioni di Terziari: quelle di Gazzaniga e di Selvino, fondate nel 1879, e di Alzano Superiore, nel 1880. Gandino e Peia rimontano al 1883. Nel 1900 le Congregazioni raggiungono il numero di 10. “Negli anni seguenti fino al 1921 le erezioni aumentano sempre più fino a che in detto anno - centenario della fondazione del Terz’ordine - ogni parrocchia ha la rispettiva Congregazione Terziaria”, “questa che oseremmo chiamare la più grande istituzione francescana ed ecclesiastica di portata ascetico-sociale dal 1200 in poi”, grazie allo “spirito di povertà-distacco, di umiltà e di fraternità” di cui è esempio di vita il Serafico Padre Francesco, “perfetto imitatore” di Gesù. dello Stendardo dei Terziari 1921, “Il Terzordine fiorisce e si diffonde, nutre e for- Foto Chiesa prepositurale di S. Giuliano. ma uomini eminenti, ma la società non è mu- (Foto di Maurizio Pulcini) 195
tata di troppo. Perché? Forse il Terzordine ha perso in profondità quanto ha guadagnato in estensione”. Tuttavia, nel decennio successivo, primo periodo trionfante del regime e della mentalità paganeggiante fascista, di Congregazioni francescane “ormai non ne rimanevano che una ventina circa”, poi divenute 40 nel 1933, a riempire la chiesa parrocchiale di Albino al Congresso di Valle Seriana, coordinate da 12 terziari e 15 terziarie locali. Fra questi, il 13 marzo 1932, aveva ricevuto la vestizione dell’abito del Terz’Ordine del padre S. Francesco Libio Milanese, quello che il vescovo Roberto Amadei chiamerà “un santo locale”. Nato il 21 Libio Milanese luglio di vent’anni prima, stava per essere arruolato per il servizio militare che, con la guerra, lo terrà per anni lontano dalla famiglia che gestiva un negozio in via Vittorio Veneto, quasi in cima al “Risòl”. “All’inizio della ripresa post-bellica - narra la sua biografia, pubblicata nel 1987 nel terzo anniversario della sua morte1 - al termine di un corso di esercizi spirituali, non sentendosi chiamato al sacerdozio, definì la vocazione della sua vita, una vocazione originale, non solo per Albino, ma innovativa anche per il tempo in cui viveva e al di fuori delle usuali vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa: Libio si impegnava, con decisione definitiva, a dedicare tutta la sua vita all’oratorio di Albino, in spirito di verginità, povertà e con disponibilità totale. Fu una scelta consapevole, convinta, a cui rimase 1 - Libio Milanese, Albino, 1987.
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sempre fedele”. Fra i libri di cui nutriva la sua vita spirituale e che ha conservato sempre, il Vangelo, in edizione del 1924, e la Regola del Terz’ordine secolare di San Francesco, edizione del 1927: “I Terziari e le Terziarie si astengano in ogni cosa dal lusso e dalla raffinata eleganza” (Capo II, paragrafo I); “mettano in comune, giusta la possibilità di ciascuno, alcun che per sollevare i confratelli bisognosi” (par. XII). Nell’anno 1954 partecipò al Terziario Francescano Pellegrinaggio al santuario mariano di Caravaggio, in cui fu rinnovato l’atto di Professione del Terziario francescano. “Nell’abitazione e nel vestire, si avvertiva nettissimamente l’ispirazione francescana, assolutamente non intaccata quando crebbe la società del benessere. Nella sua attività per la Conferenza di S. Vincenzo traspariva che il suo era un servizio di Cristo nei poveri. I poveri e la povertà furono valori perenni per lui”. Non lo furono per molti, anche se cristiani “praticanti”, sia durante il ventennio del “puro tipo italico”, sia con il benessere, il consumismo e l’individualismo post-moderni. A contrastare la diffusione dello spirito e delle organizzazioni Cartello con il simbolo del Perdono D'Assisi dei Terziari, in francescane stanno l’infedeltà uso per il loro funerale. Chiesa prepositurale di S. Giuliano. al Vangelo dei cristiani, a tutti i (Foto di Maurizio Pulcini) livelli, e diverse forme di pastorale sostenute dalla stessa “gerarchia” ecclesiastica. Per quanto riguarda queste, torniamo al 1933. Allora papa Pio XI aveva sì inviato un messaggio al Congresso di Albino a firma 197
cardinale Pacelli: “Santo Padre (…) benedice di cuore”. Tuttavia diversa era l’organizzazione ecclesiastica “pupilla dei suoi occhi”. Nella Chiesa italiana, antecedentemente al papato di Pio XI “il laicato era organizzato dai grandi ordini e congregazioni religiose come i terz’ordini, in modo particolare quelli che dipendevano dalle grandi famiglie francescane, dalle Congregazioni mariane, i cooperatori salesiani, ecc.”2. Anche nella parrocchia di Albino il laicato era organizzato in congregazioni, la più diffusa quella femminile delle Figlie di Maria. Diversamente Pio XI “per circoscrivere l’invadenza del fascismo (...) ebbe chiara l’idea che il cattolicesimo non poteva essere solo un’appartenenza di coscienze, ma doveva essere anche una grande organizzazione di massa centralizzandolo intorno a un capo”3. Pertanto ristrutturò il mondo cattolico attorno al piano portante dell’Azione Cattolica:“Pio XI favorì e privilegiò l’A.C. (...) considerandola come una forza nuova al servizio della Chiesa alla dipendenza diretta del Papa, dei vescovi e dei parroci”4. Si persegue il progetto di una “cristianesimo totalitario” che diventi egemone nella società in concorrenza con il totalitarismo fascista che ci si illude di cristianizzare. La perdita di centralità delle Congregazioni, in particolare dei Terziari francescani, in favore di una pastorale che compete con il potere, invano, per dominare la società, contribuisce a mettere in un canto, nel modello di cristiano e di Chiesa, quello spirito di povertà che invece è il primo, se non tutto, lo spirito delle beatitudini evangeliche. L’emarginazione pastorale della congregazioni, inoltre, ne accentua lo spiritualismo, tenStendardo del gruppo di preghiera di Padre Pio. (foto di Maurizio Pulcini)
2 - G. Zagheri, La croce e il fascio, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2006, p. 188. 3 - ivi, p. 160. 4 - ivi, p. 188.
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tazione già presente sia nella teologia, che poneva e pone al centro, non la sequela di Cristo, “fattosi uomo”, ma l’espiazione per la salvezza delle anime, sia nella liturgia celebrata in lingua latina. Così il terziario chiedeva la vestizione: “Pater, ego humiliter postulo habitum Tertii Ordinis de Poenitentia, ut cum eo salutem aeternam facilius consequi valeam”. “Ossia in lingua volgare: Padre, io umilmente domando l’abito del Terz’Ordine della Penitenza, affinchè per esso possa più facilmente ottenere l’eterna salvezza”: solo un abito di Fra Battista con la sua bisaccia di cercatore penitenza lasciapassare per l’al di là. in cui è posto Gurano Carrara, 10 ottobre Malgrado il disconoscimento istituzionale, 1956. (Foto Franco Carrara Agasy) a livello individuale e familiare rimase viva la diffusa condivisione di uno spirito, fino a quando si visse la “povertà contenta e benedetta” di cui è cantore anche papa Giovanni XXIII. Sino agli anni del boom economico, nella seconda parte del secolo, tante famiglie erano un tutt’uno con i cappuccini, specie quelle di Albino alta, ma anche delle contrade di Albino centro e dell’Albina: dai fornai molte famiglie pagavano un chilo di pane alla settimana o al mese per i fratini del seminario, per lo più figli di poveri; la plaga riempiva il carretto del “Fra circòt”, tirato da un cavallo rossiccio, che passava per raccogliere alimenti: il forno del convento e la mensa, poi, a mezzogiorno, restituivano la carità al paese, alla fila che veniva a ricevere un pasto caldo. Le stesse vestine francescane, il piccolo saio che i fratini portavano ad un certo punto della loro formazione, erano tagliate, secondo il modello, nelle case di Albino, in particolare in una casa dell’Acquada, di via R. Carrara, nella casa di Maria Birolini in Moroni (1901-1981), madre di sei figli, di sera, con lavoro gratuito; poi erano cucite dalle suore francescane. Uno spirito e una condivisione, oggi da ricostruire, persi sul finire del secolo, in una fruizione individuale del convento (e della parrocchia), come una stazione di servizi religiosi. Da ricostruire in forme semplici di vita familiare ed ecclesiale, come Francesco alla sequela del Gesù di Nazaret, nell’essenzialità radicale del Vangelo5. 5 - P. Sequeri, Charles de Foucauld. Il vangelo viene da Nazaret, Milano, Vita e pensiero, 2010.
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Vita e attività dei Frati Cappuccini presenti oggi nel convento di Albino Fra Giambattista Ghilardi
La fraternità dei Frati Minori Cappuccini di Albino è composta, da qualche anno, da otto frati, di età compresa tra gli 82 del frate anziano e i 29 del frate giovane. È una comunità “viva” e ben inserita nella Chiesa locale di Bergamo. Essa offre la testimonianza della Vita Consacrata sulle orme di San Francesco e di Santa Chiara d’Assisi, secondo il carisma Cappuccino. I Frati Cappuccini si erano già insediati sul finire del 1500 qui in valle, nel convento di Vertova (a pochi chilometri da Albino) e si erano distinti per la carità nei confronti dei malati contagiosi. Il popolo si affezionò presto a questi uomini rudi, con barba incolta, abiti logori, piedi nudi in sandali fatti a mano con materiale di fortuna, con sulle spalle un corto mantello che a mala pena riparava dai rigori del freddo... ma che avevano un cuore caldo dell’amore di Dio per ogni persona e che distribuivano a larghe braccia e con generosità infinita. Presero a chiamarli “frati del popolo” perché li sentivano accanto a loro, alle loro quotidiane fatiche e sofferenze... E così siamo rimasti nei secoli: amati e venerati dal popolo di Dio proprio per l’espressione di tangibile vicinanza. Onore al merito! Siamo nani sulle spalle di giganti! Ancor oggi possiamo fruire della benevolenza e dell’affetto delle persone che circondano e frequentano le nostre Chiese e i nostri Conventi per l’esempio di tanti santi confratelli che nel nome del Signore hanno fatto tanto bene in mezzo al popolo. Sto pensando ai frati questuanti che ogni giorno giravano per le città, i paesi e le campagne, chiedendo e ricevendo carità (Foto di Anna Maria Mologni, 2002) 200
per i poveri e per il convento e distribuendo, al tempo stesso, conforto e sostegno con la Parola del Signore e con le proprie povere e semplici parole, tanto cariche di amore, rispetto e umanità. Attualmente le nostre attività di servizio pastorale si rivolgono ai paesi e alle parrocchie del territorio dove è collocato il nostro convento: la chiesa del convento è sempre stata, e ancora lo è, un luogo molto frequentato, prezioso riferimento per la partecipazione alla celebrazione quotidiana della Santa Messa, per la possibilità di accostarsi ogni giorno al sacramento della Riconciliazione: il detto popolare dei frati “dalla manica larga” dice dell’accoglienza e della carità in Dio che ogni persona trova nel confessionale, incontrando la misericordia del Signore nel frate confessore che lo riconcilia con Dio e con la Chiesa. Inoltre siamo in aiuto ai sacerdoti che chiedono sostegno per la celebrazione dell’Eucaristia e per le confessioni. Il convento di Albino è stato per tanti anni un luogo di formazione dei candidati alla nostra vita. Nel 1927 i superiori della Provincia decisero di costruire, accanto al convento, il Seminario Serafico. Il capitolo provinciale del 2003 stabilì che il convento divenisse sede della casa di accoglienza per giovani in ricerca vocazionale e per coloro che volessero fare esperienza della nostra vita. Questo convento anche oggi è casa di formazione! Dal 2008 è infatti casa di pre-postulato del nostro Ordine: significa, cioè, che accogliamo e accompagniamo i giovani che, dopo aver fatto un cammino di ricerca vocazionale, iniziano il cammino di approfondimento della chiamata di Dio, preparandosi ad entrare nella Casa di Postulato, iniziando così il cammino di adesione alla nostra scelta di vita consacrata. La vita insieme con noi, fatta di fraternità, di lavoro, di condivisione e di preghiera, chiarifica il loro orientamento addentrandosi sempre più in un percorso di discernimento del progetto che Dio vuole compiere con loro e nella loro vita. E non è solo casa formativa! Il nostro convento è pure sede del Centro di “Servizio Annuncio della Parola”, e cioè delle “Missioni Popolari”. Due frati sono i coordinatori e i responsabili del folto gruppo di “predicatori” e “missionari del popolo” che per 15 giorni “invadono” paesi e città annunciando la parola di Dio e facendo visita alle famiglie in ogni casa, portando la benedizione di Dio. Nel Novembre del 2013 “i frati missionari” invaderanno Albino: si celebreranno le Missioni Popolari, preparate con grande cura e 201
con largo anticipo. I fedeli stanno da tempo pregando ogni giorno il Signore in tutte le Chiese presenti nel paese affinché i cuori si aprano alla grazia delle “Missioni”, all’ascolto della Parola di Dio, alla conversione e al rinnovamento della vita di fede parrocchiale e personale. Il nostro convento offre la possibilità di conoscenza e partecipazione alla spiritualità francescano-cappuccina attraverso l’adesione all’Ordine Francescano Secolare: è stata un’intelligente invenzione di San Francesco in risposta alle tante persone laiche che gli avevano chiesto di poter condividere la sua scelta di vita: osservare il Santo Vangelo vivendolo ogni giorno in semplicità di vita, secondo le occupazioni e gli impegni di vita e di vocazione di ciascuno. Ottima proposta di fede! Lungo la settimana vengono offerti percorsi per persone adulte di preghiera, catechesi e riflessione sulla Parola di Dio e su tematiche di fede. Ancora: siamo incaricati dell’assistenza educativa-spirituale alla scuola primaria e secondaria di primo grado adiacente il convento nella persona di un frate della nostra comunità che insegna anche “religione” nelle Medie. Dopo la chiusura del seminario (2003) gli ambienti del seminario sono stati dati in comodato ad un scuola cattolica (Sant’Anna) che ha come riferimento la diocesi di Bergamo. Quindi il convento-seminario non ha cambiato destinazione: continua ad essere un luogo formativo. La devozione mariana ha sempre contraddistinto l’Ordine Francescano che ha in Maria Immacolata la sua particolare patrona: due volte al mese, sempre nel nostro convento, un nostro frate prega e anima il Santo Rosario con riflessione guidata dei misteri insieme alle persone che lo desiderano, che sono in cammino di conversione e di ri-avvicinamento alla fede e che, partecipando a pellegrinaggi mariani, per grazia di Dio e della Madonna, hanno ripreso in mano la loro vita di fede e intendono proseguire nell’impegnativo ma gioioso cammino di cristiani. Siamo detti “frati del popolo”, abbiamo detto. E noi vogliamo continuare ad esserlo! Durante le due guerre mondiali la portineria del convento è stato un luogo di riferimento e di aiuto per poveri e bisognosi. I frati del convento, grazie al lavoro dei frati questuanti, sono stati di aiuto alla popolazione che era nel bisogno e nella miseria. La carità è sempre stata una caratteristica 202
del convento di Albino (come di tanti altri conventi, nel momento del bisogno): come non aprire ancora oggi le porte del nostro convento e non offrire aiuto ai bisognosi? A chi cerca pane per sfamarsi, a chi è in difficoltà per problemi spirituali e di fede, per chi vive problemi alcoolcorrelati. Le persone in difficoltà che il Signore ci fa incontrare ricevono innanzitutto il saluto francescano di “Pace e Bene” che li rimette in pace con se stessi e con il mondo e li pone soprattutto immediatamente a contatto con Dio, fonte della vita e della pace di ogni cuore.
(Foto di Anna Maria Mologni)
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