HAT applicazioni dell'arte nella moda

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MINISTERO DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA A.F.A.M ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI PALERMO DIPLOMA ACCADEMICO DI I LIVELLO IN PROGETTAZIONE DELLA MODA

“HAT” APPLICAZIONI DELL’ARTE NELLA MODA DI

MELANIA CARDILLO RELATORE PROF. SERGIO PAUSIG

A.A. 2011-2012


“il cappello esiste perchè esiste la necessità di preservare, anche solo simbolicamente, la parte più nobile dell’uomo, la testa e quindi il pensiero”


INDICE INTRODUZIONE

P. 5

la storia del cappello

P. 7 P. 9 P.13 P.17 P.23 P.27 P.35 P.53

le origini del termine il rinascimento dal barocco al fasto del rococò in testa alla rivoluzione l’ottocento il novecento il cappello nell’alta moda

CENTO CAPPELLI

collezione privata famiglia saitta

P.57

HAT

P.93

book

P.121

elaborazioni

P.145

disegni di tipologie di cappelli

P.175

bibliografia

P.183

ringraziamenti

P.184

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INTRODUZIONE È risaputo che tutte le invenzioni della storia nascono da un senso di estrema necessità ed anche il cappello non si allontana da tale logica. Da sempre infatti l’uomo ha tentato di ripararsi dal freddo, dal caldo o dalla pioggia con tutti gli strumenti a lui a disposizione, dai tempi più remoti, in Egitto, in Grecia, in Asia, fino all’epoca più moderna, quando in Europa nel 1400 si diffonde la moda del cappello, il copricapo di feltro caratterizzato da una copertura per l’intera testa ed una visiera. Solo nei corredi più eleganti compaiono rari cappelli in velluto,in paglia o in feltro, nelle tipologie cortesi, o in quella particolare chiamata à bec o grecanica, usata anche dagli uomini. Quest’arte col tempo non incontrò mai arredamento, anzi, conobbe la sua massima fioritura nel 1700 con Luigi XV che lanciò la moda del cappello a tre punte, il cosiddetto tricorno. Il cappello divenne vero e proprio simbolo di civetteria e vanto, di fatto le nobildonne inglesi e francesi amavano esibire i loro copricapo arricchiti con piume o fiori evidenti e vistosi. Nel corso degli anni il cappello ha sempre avuto un ruolo rilevante, simbolo di stile, ma anche di livello sociale, ogni modello poteva parlare e descrivere colui che lo indossa. Eleganti, casual o sportivi i copricapo, con la loro duplice essenza, funzionale ed estetica, sono da sempre molto amati e il loro impiego è tuttora immancabile.

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cappello d’oro di Berlino manufatto risalente alla tarda età del bronzo, realizzato in una sottile lamina d’oro. Fu utilizzato come copertura esterna di un lungo copricapo conico, probabilmente realizzato in materiale organico.

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STORIA DEL CAPPELLO

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LE

ORIGINI DEL TERMINE

Per trovare il vero antenato del cappello moderno dobbiamo risalire al Medioevo, quando la cappa, una sorta di mantello con un cappuccio sul dietro, chiamato capperuccia, veniva indossato da uomini, donne, monaci e chierici. I lessici medievali infatti la definiscono “vestis species qua viri laici mulieres laica e monachi e clerici induebantur”1. Anche se è difficile non mettere in relazione il termine cappa con il latino caput, la testa, dobbiamo dedurre che originariamente esso è un indumento che oltre alla testa, avvolge anche il resto del corpo. In italiano il termine cappa è oggi presente in espressioni derivate come l’accrescitivo cappotto, ma storicamente il termine ha avuto larghissima diffusione nelle lingue neolatine dove permane in moltissimi nomi di copricapo. Tale termine lo ritroviamo anche nell’alto tedesco kappa, greco-bizantino kappa, nell’ungherese antico kepa. Nel latino tardo il termine assume il significato di cappuccio ad indicare quindi un tipo di copricapo staccato dal mantello e indossato separatamente. Per molto tempo i cappucci furono i copricapo più indossati,infatti nelle città medievali si portavano gli almuzi,dei cappucci variamente piegati sul capo e con un lembo ricadente sulla spalla. Il termine cappellus , diminutivo di cappa, sta quindi inizialmente ad indicare un cappuccio in velluto o in feltro allacciato sotto il mento, che rimarrà in uso fino al XV secolo. Il vocabolario della Crusca definisce il cappello 9


una “coperta del capo fatta alla forma di esso, circondata nella parte inferiore da un giro che sporge in fuori, il quale si chiama tesa o piega”2,lasciando intendere che la caratteristica principale per definire un copricapo cappello sia quella che esso deve essere dotato di una falda. L’etimologia è fatta risalire al latino ribbus, un cappuccio schiacciato dotato di una visiera giunto a Roma dalla Persia e modificato rispetto alla originaria forma a calotta con alette ricadenti sulle orecchie. Nella storia del copricapo il berretto e la berretta hanno avuto uno sviluppo parallelo ma non identico. Con il vocabolo berretto si ci riferisce ad un copricapo di forma schiacciata, con o senza tesa sulla fronte,nel modello del berretto basco. La berretta invece indica principalmente il copricapo rigido a tre o quattro spicchi con nappina, usato nel Medioevo tra le classi colte e le gerarchie ecclesiastiche. La distinzione tra berretto e cappello era molto netta, nel Cinquecento infatti esistevano due corporazioni distinte: quella dei berrettai e quella dei cappellai, spesso in lite tra loro, poiché i berretti erano più usati dei cappelli e quindi i berrettai rivendicavano la loro superiorità rispetto ai cappellai. Dal canto loro, i cappellai si distinguevano a loro volta in cappellai di feltro e cappellai di lana. La ricchezza di chi lo indossava era evidenziata dalla differenza dei materiali: pellicce, ricami, pietre preziose. Essi si alternavano ai semplici cappucci usati al solo scopo di ripararsi dalle intemperie. Per parlare di cappello vero e proprio dobbiamo 10


aspettare la fine del XIV secolo quando fa il suo trionfante ingresso in società il copricapo con tesa. Il cappello, di feltro, di paglia o di stoffa, non serve più soltanto a proteggere la testa o ripararsi dalle intemperie, ma diviene un oggetto di moda sul quale si sbizzarrisce la vanità delle classi nobili. Iniziano a diffondersi elaborati cappelli acquistati in Francia, realizzati in paglia foderata di seta, di castoro o di panno, di solito a tesa larga. Da ora in poi il cappello verrà usato come simbolo di prestigio e di potere; ed è proprio quando si passa dalla semplice funzione di coprirsi la testa a quella estetica che si può iniziare a parlare di cultura del cappello.

1. Berengan Giuliana, Favolosi cappelli, Ferrara, Tosi, 2007, p. 6 2. dal primo “Vocabolario della Crusca”, Venezia 1612, p. 52

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.IL

RINASCIMENTO

Il trionfo del cappello di feltro, che possiamo considerare il copricapo per eccellenza, avviene nel XV secolo. Il gusto estetico che contraddistingue la civiltà rinascimentale prevale in ogni ambito ed anche l’abbigliamento diviene elegante e raffinato. I morbidi velluti ricamanti con fili d’oro vengono anche utilizzati per la realizzazione di morbidi berretti imbottiti, anche se i feltri di lana di colore nero vengono preferiti dai benestanti che amano l’eleganza che proviene dalla Francia, dove il cappello di feltro si diffonde più rapidamente che in Italia. Carlo VII fu uno dei primi ad indossare un feltro di fine pelo di castoro, segno distintivo della nobiltà che lo preferiva a quello di lana, ne sono testimonianza gli innumerevoli ritratti conservati al Louvre. Durante la prima metà del Cinquecento, la Francia, sotto il regno di Francesco I, inizierà ad influenzare fortemente la moda europea: in Francia si indossano feltri a larga tesa ornati con fibbie e piume; in Germania i feltri di lana hanno una stretta tesa rialzata, mentre l’Inghilterra, poco amante delle novità provenienti da altri paesi, resta fedele a berrettoni e classici feltri con tesa alta e media. La Spagna preferisce forme a cono con cupola alta. Il fasto e lo splendore della corte borbonica, consentirono agli artisti e alle mode fiamminghe di divenire un punto di riferimento per l’intera Europa. Dalle linee trecentesche sviluppate con uno slancio verticale deriva l’hennin, un 13


cappello a forma di cono molto allungato, generalmente in cartone o tela inamidata che veniva poi rivestito con tessuti preziosi come ad esempio la seta, da esso poi fuoriusciva un velo leggerissimo e trasparente che ricadeva sulle spalle. In Italia durante la prima metà del Rinascimento si indossavano dei copricapo detti “alla di là” cioè al di la delle Alpi, alludendo alla loro origine oltremontana; tipicamente italiano è invece il balzo, di forma rotondeggiante realizzato in tessuti preziosi che lasciava la fronte scoperta, ma più comunemente si usavano dei veli di lino fissati con spilli o spille gioiello. Il copricapo usato dalla nobiltà inizia a diffondersi anche tra i ceti più abbienti, prima in forma rotonda, poi in altre forme. Nella seconda metà del Cinquecento si afferma uno stile più formale e rigido anche a causa della riforma protestante, il cappello si rimpicciolisce sulla testa, ma diviene sempre più elaborato e decorato. Restano le piume e i ricevimenti di Corte dove il cappello è d’obbligo, come testimoniano i quadri dell’epoca.

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ritratto di donna, Rogier van der weyden. londra national gallery. copricapo “a pan di zuccheroâ€? rivestito di tessuto prezioso bianco con alta fascia sul bordo inferiore. il copricapo è sormontato da un velo bianco trasparente che copre la fronte e ricade morbidmente sulle spalle

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acconciatura rinascimentale

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DAL BAROCCO AL FASTO DEL ROCOCÒ Il mutamento della moda durante il XVII secolo prevede l’uso dell’ampia gorgiera fino al secondo decennio, per essere poi sostituita da un collaretto inamidato con merletti decorativi e punte in aria. In generale le vesti femminili si fanno più pompose con l’uso di particolari sottostrutture. La figura è spezzettata in tante parti, i pezzi più importanti sono in qualche modo irrigiditi. Ma le esagerazioni delle forme, la divaricazione fra l’aspetto effettivo delle membra e la loro apparenza, sono ancora più evidenti e volutamente accentuate. L’uso del busto e del corsetto, che stringe con forti lacci in vita per dar forma al corpo, determina anche una deformazione fisica che con gli anni, e soprattutto se applicata fin dalla giovane età, diventa permanente. Le sottostrutture applicate alle gonne le amplificano fino al farle divenire di dimensioni esagerare durante il Settecento. Il corpo si modifica e si plasma per assumere l’ideale di bellezza delle donne, con il seno e le spalle aperte e ampie, e la vita esile come le vespe. Il contrasto fra la durezza delle linee artificiali e la morbidezza della carne lasciata vedere, diviene arma di seduzione. La moda maschile vede l’abbandono delle imbottiture nei corpetti e nei calzoni e, anche per loro, le ingombranti e scomode gorgiere vengono sostituite da grandi colletti di lino o di merletto. I cappelli di feltro a cupola alta sono rigidi, a tronco di cono o più morbidi e tondeggianti. Alle piume i borghesi sostituiscono nastri di 17


pelle di gros-grain con una fibbia al centro, ma i signori con il mantello a ruota che seguono la nuova moda di baffi e pizzetto amano il sontuoso cappello “alla moschettiera” ornato di piume e pennacchi. Le signore indossano piccoli cappellini con piume e gioielli, ma anche cappelli larghi in feltro come quelli maschili. Più spesso, e quasi senza distinzione di rango, indossano cuffiette di ogni genere, decorate con pizzi o plissettate, inamidate o morbide, modeste o sfarzose, ricamate o bianche. In questo secolo la storia del cappello si intreccia ed è fortemente determinata da un oggetto estetico di grande rilievo che, venuto dalla Francia, dilaga ben presto in tutti i paesi europei dove peraltro la cultura e la lingua francese predominano: la parrucca. Questo accessorio fino al Settecento coprirà le teste maschili e femminili costringendo ogni copricapo a fare i conti con la sua ingombrante presenza. Come spesso accade nei grandi mutamenti, e non solo in quelli della moda, fu un piccolo evento, anche se regale, a mettere in moto una vera e propria rivoluzione dell’immagine. Nel 1620 il re di Francia Luigi XIII non ancora ventenne rimase calvo e coprì la testa con una parrucca per non far perdere la dignità al suo capo coronato. Da quel momento in poi la parrucca divenne una vera e propria moda. Dapprima indossata solamente dagli uomini (le donne inizieranno ad utilizzarla solo nel Settecento), ne esistono di diverse forme e grandezze e portano i nomi più svariati. La funzione protettiva del cappello era fortemente 18


insidiata da questa nuova “copertura”, ma non il suo ruolo estetico. Modificandosi il volume dei capelli grazie alle parrucche, cambiano naturalmente anche le forme dei copricapo. Portato sotto il braccio e usato pressoché unicamente per inchinarsi a rendere elegante omaggio alle dame, il cappello a tesa larga, troppo voluminoso, viene sostituito prima da un bicorno con ala aderente ai lati della testa e poi dal chapeau bas, il tricorno che, per gli aristocratici, è in feltro di castoro o in velluto profilato d’oro; anche le altre fasce sociali fanno uso di un tricorno meno raffinato, in feltro di lana e senza ornamenti. Sotto il re Sole, Luigi XIV, la Francia è ai vertici nella cappelleria. Le donne in questo periodo indossano ancora cuffie e cappucci ampi per coprire le acconciature all’aperto, ma dalle Fiandre e dall’Olanda si diffonde un curioso copricapo a forma di dischetto, con un rigido stelo dal quale pendeva una piccola nappa di seta. La sua funzione inizialmente era stata quella di fissare l’huiken, ma poi ne era stato separato. L’huiken è un ampio e imponente velo plissettato che raggiungeva i piedi. Verso la fine del secolo, quando le parrucche sono ormai di regola, le loro forme, sempre più esasperate, sono completate da un’ampia serie di copricapo e accessori, quali le cuffie, il cappello di paglia à la Pamela, il tricorno per la caccia o i grandi cappelli con tesa larga sui quali trovano posto fiocchi, nastri, piume, gioielli e, verso la fine del secolo, perfino piccoli velieri o altre costruzioni fantasiose. L’aristo19


crazia francese, sotto il regno di Luigi XV, . che sta per avviarsi verso il suo tragico declino, ha ancora il tricorno sotto il braccio. Occhialini, tabacchiere, fazzoletti di trine completano l’immagine rococò.

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parrucche, 1778. gallerie des modes et du costume française. le acconciature a metà del 700 erano stravaganti e raggiunsero altezze vertiginose.

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La regina Maria Antonietta, M.E. Vigèe lebrun, 1783. Washington, National Gallery of Art.

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IN TESTA ALLA RIVOLUZIONE Quando la parrucca si ridurrà a pochi riccioli, il tricorno tornerà sulla testa e i nostalgici continueranno ad usarlo anche quando la moda proporrà la redingote, il corto soprabito indossato sui calzoni a culotte; i popolani preferiscono il bicorno con tese fissate da spilloni. Si avvicina il 1789 e con esso la Rivoluzione francese, che segnerà la grande bufera sociale, politica e culturale che, partita dalla Francia, investirà l’intera Europa. Buttate via le parrucche e gli abiti di seta, l’abbigliamento maschile diverrà semplice e di colore scuro; è una scelta consapevole, anche se in realtà la nuova semplicità nel vestire ha origini non francesi e precedenti alla Rivoluzione. Nel corso dei pochi anni del Terrore la Rivoluzione si interroga sul valore dell’abbigliamento come modo per esprimere opinioni, cioè sul valore dell’abito quale strumento ideologico. Durante la Rivoluzione francese tutti i modelli semplificati vivono il loro momento di gloria e ogni manifestazione di lusso viene abolita. Le donne indossano anch’esse vesti semplici guarnite di sciarpe tricolori, motti ricamati, coccarde e berretti frigi. Con la fine del Terrore la moda riprese lentamente la sua vivacità e ricomparvero gli habit à la anglaise, ma a questi si aggiunsero altre forme: in particolare la redingote e la carmagnola. I capi rivoluzionari indossano austere redingote senza trine e ricami; in testa portano il berretto frigio che diverrà l’emblema dei giacobini. Ci si veste da 23


sanculottini: pantaloni lunghi, corto gilet a doppio petto, giubbino detto alla carmagnola. Il bicorno di feltro con l’ala più voluminosa e delineato in spighetta, con coccarda tricolore laterale, tornerà a far parte dell’abbigliamento sobrio e decoroso che caratterizza la reazione borghese seguita al Terrore e rappresentata dal Direttorio. Viene indossato con due punte opposte sulla fronte e sulla nuca, fino a quando Napoleone lo girerà per iniziare l’uso delle due punte ai lati. Il cappello di feltro detto “a staio” con ala arricciata ai lati di forma tronco conica molto arcuata che compare sulle teste sopravvissute dei nuovi ricchi sembra anticipare la forma cilindro che presto invaderà il mondo. Dalle cuffie rivoluzionarie ed ugualitarie delle donne rivoluzionarie si passerà presto a graziosi e fantasiosi cappellini, come i cappelli di paglia, già indossati durante il Settecento per le passeggiate ed ancora molto amati per la loro semplicità ed eleganza, o la nuova forma tubolare della capote, un cappellino con piccola calotta e larga tesa che incornicia il volto. Inizialmente la tesa sarà molto grande, a ombreggiare il volto, ma nel corso dei primi anni dell’Ottocento essa si ridurrà, fino a divenire una graziosa ala attorno al viso nella metà del nuovo secolo. La Rivoluzione francese è finita ma per il cappello si preparano grandi trasformazioni che lo vedranno protagonista nell’arte e nella cultura dell’Ottocento in quel passaggio dall’economia artigiana alla produzione su larga scala dei primi anni del ‘900. 24


bicorno, 1794 circa

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grande varietà di cappelli e cuffie usati durante la fine della rivoluzione e l’inzio del primo impero. erano caratterizzati da lunghe visiere e spesso legati sotto al mento.

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L’OTTOCENTO In pochissimi anni in Francia, tra Rivoluzione e Impero, la moda mutò completamente linee e stile, in modo che la nuova classe dirigente ben si distinguesse, anche nell’aspetto, da coloro che l’avevano preceduta, anche se in realtà la nuova moda era già sorta prima della Rivoluzione. La borghesia che accresce il suo prestigio in Europa e in America impone una moda più pratica e sobria. L’ adozione di questa moda da parte di Napoleone è una scelta consapevolmente strategica. Durante gli anni della Rivoluzione si ci era già resi conto di come la moda può trasformarsi in una valida arma politica, e Napoleone, essendo un vero uomo rivoluzionario, se ne avvide ben presto e la sfruttò a suo vantaggio. Per l’uomo lo stile militare diviene la principale fonte di ispirazione per l’abbigliamento cittadino. Gli abiti mantengono colori discreti, le forme sono di vario tipo; si indossa il frak con pantaloni lunghi e panciotto. Ma il vero, nuovo segno dell’eleganza maschile è il cappello a cilindro, destinato ad un ruolo di vero protagonista nella storia del cappello. Originario della Cina, dove veniva confezionato in seta da un cappellaio cantonese, arriva in Francia nel 1795, dove viene indossato dai giovani fondatori del movimento degli Incroyables sostenitori di un modo di vestire più adatto alle idee realiste. Alto, di forma cilindrica, detto anche bomba, canna, tuba , a torre, a staio, avrà la sua definitiva consacrazione in Inghilterra. 27


“Fu infatti il signor Herrington forse il più famoso cappellaio di Londra che attorno al 1805 confezionò il primo cilindro ispirandosi proprio al cappello di feltro “a staio” di marca francese. Sulle prime la novità fu giudicata eccessiva tanto che il Lord Mayor gli proibì di andare in giro con in testa quell’ arnese”1. Ma il mercato e la moda decisero il contrario: il gusto dell’epoca si incontrò a tal punto con quel cappello che il cilindro divenne famoso in tutto il mondo. La cupola nel tempo subì diverse variazioni, ma la tesa rimase pressoché invariata: arricciata ai lati, richiede abilità nella modellatura. I cappelli a cilindro venivano realizzati in feltro, spesso grigio, nero, o beige, oppure in paglia e perfino in angora a pelo lungo per l’inverno. Nel 1812 il francese Antoine Gibus ebbe un’idea che rese più maneggevole e pratico il cilindro. Realizzò un ingegnoso sistema di sottilissime molle d’acciaio e le introdusse al suo interno, in questo modo era possibile appiattirlo con la sola pressione di una mano. Così lo si poteva portare sottobraccio o riporre più facilmente nei guardaroba dei locali alla moda o all’Opera. Questo cilindro fu chiamato anche chapeau claque per il rumore delle piccole molle quando lo si rimetteva in forma. Con la Restaurazione i cappelli diventano più voluminosi, come nel caso del bolivar con l’alta cupola svasata e i bordi larghi, derivato anch’esso dal cilindro. Le caratteristiche dell’abito femminile di questo periodo non sono che una conseguenza della semplificazione delle 28


vesti intrapresa già durante la fine dell’Ancien Régime, che attraverserà la Rivoluzione, il Direttorio e approderà nel Consolato per giungere nell’Impero. Vita alta, maniche lunghe fino a metà mano o corte a palloncino, modesto strascico, scollo ampio, tendenzialmente quadrato con scollo anche sulle spalle. Si indossano anche vesti provenienti dall’Inghilterra, come lo spencer, un corto giacchettino cucito alla gonna ma non sovrapposto; il guardaroba femminile inglese, che giungerà in Francia e in tutta Europa, si ispira alle regole del vestire militare, ma subisce anche il fascino dei territori lontani influendo velocemente sui drappeggi delle signore. Le voghe dello scialle di Kashmir e del turbante conoscono una diffusione esponenziale tra il 1798 e il 1801. I copricapo più apprezzati dalle signore sono i cappellini di varie forme e cuffie fantasiose, ma piccole. La capote è il cappellino più diffuso, con la testa ampia che circonda tutto il viso, realizzata in ogni genere di materiale, di paglia per l’estate , di velluto per l’inverno e in stoffe di ogni genere per ogni altra occasione. È protagonista di una breve fortuna il cappello à la jockey o a fantino, caratterizzato da una visiera anteriore e accompagnato da un lungo velo, direttamente ispirato ai cappelli dei veri fantini e di solito indossato per l’equitazione. La donna nel corso dell’Ottocento perde quell’importanza,anche intellettuale, che aveva avuto tra la fine dell’Ancien Règime e il periodo Impero; torna ad essere custode dei valori della famiglia e testi29


mone dei risultati raggiunti dal marito e dal padre, ciò si tradurrà nuovamente in un’attenzione assai forte per l’aspetto esteriore, per i beni di lusso e per la moda. Il periodo della Restaurazione vede una aumento delle decorazioni e un’enfasi particolare nella trasformazione dei volumi. Nel decennio che va dagli anni Trenta agli anni Quaranta le forme seguono le nuove istanze romantiche, diminuiscono le decorazioni e si enfatizzano i volumi e il punto vita torna ad essere nella sua posizione naturale. La ventata di estro e fantasia portata dal movimento romantico si fa sentire anche nella moda e intanto si subisce il fascino dell’eleganza inglese di cui Lord George Gordon Byron è esponente notissimo, mentre negli ambienti mondani fanno scuola il cilindro, il bastone e l’occhialino, inseparabili complementi del cosiddetto “dandysmo” di cui George Bryan Brummel sarà considerato signore ineguagliabile. La forma a cilindro resta prevalente anche se assume forme sempre più alte nella cupola fino ad arrivare alle tube di fine secolo. In generale il cappello resta rigido e voluminoso almeno fino alla metà del secolo. Il cappello in questo periodo storico assume un significato che non ha forse eguali nella storia occidentale. Uomini e donne non si mostrano in pubblico senza cappello, ed averlo o non averlo fa la differenza, perfino i bambini ne posseggono uno se fanno parte di una famiglia perbene. Caratteristico della figura dell’artista è il berretto di velluto. Il cappello femminile segue le linee di quello maschile, 30


oppure quelle infantili, con cappellini rotondi decorati da nastri e fiori. La capote muta la sua forma divenendo molto piccola e incornicia graziosamente il volto. Verso gli anni Sessanta la posizione dei cappelli si sposta leggermente verso la fronte e le dimensioni si fanno più piccole, le guarnizioni amate per tutto il periodo sono le piume di ogni genere , dall’esprit a quelle di struzzo. L’Ottocento è soprattutto un secolo di grandi invenzioni che portano mutamenti notevoli sia nell’organizzazione del lavoro che nella storia del costume. Le macchine da cucire modificano completamente la produzione dell’abbigliamento. L’industria tessile si sviluppa e invade il mercato con tessuti di ogni genere che andranno a sollecitare il desiderio di trovare nuove fogge per abiti ed accessori. Nascono le prime riviste di moda, che con l’invenzione della fotografia, diverranno un punto di riferimento per la comparsa di nuove tendenze. Anche i cappellifici vivono le grandi trasformazioni del tempo: le fabbriche prendono il posto delle piccole aziende a conduzione familiare e le macchine permettono di ampliare la produzione. Accanto al cilindro, che assume un carattere un po’ retrò ed è relegato alle occasioni ufficiali, mondane e galanti, comincia a farsi strada la bombetta sempre proveniente dall’Inghilterra. È un cappello duro che in un certo modo può considerarsi una riduzione del cilindro. Fu ideata dal cappellaio londinese Bowler, tanto che essa viene chiamata anche con questo nome. Con la calotta tonda e l’ala 31


arricciata è inizialmente di colore nero ma successivamente prenderà le sfumature del grigio e del tortora. Nel sesto decennio compare il cappello in feltro morbido, alla Lobbia, con l’ala rialzata e la piega centrale simile ad un’ammaccatura. Il nome deriva da quello del deputato Cristiano Lobbia che nel 1869 durante un’aggressione, che parve poi simulata, fu colpito alla testa con un bastone che infossò il suo cappello. Un cappellaio intraprendente approfittò della pubblicità suscitata dalla vicenda per mettere in vendita cappelli “alla Lobbia”. Il 1890 registra un altro evento casuale destinato a lasciare traccia incancellabile sul cammino dei cappelli di feltro. Edoardo d’Inghilterra, figlio della regina Vittoria e futuro Edoardo VII, trovandosi per ragioni di salute a Bad Homburg, si fece fare qui un cappello che prese appunto il nome di quella località. Forse per merito di una splendida fotografia che lo immortalò sulla testa del principe in elegante completo a righe, l’homburg è arrivato fino ai nostri giorni chiamato anche “alla diplomatica”. È un cappello con l’ala arricciata ai fianchi e rollata, un po’ come quella del cappello a cilindro, la cupola è floscia e morbida attraversata da un’infossatura per tutta la lunghezza. L’inizio della Belle Époque alla fine dell’Ottocento prepara quelli che saranno anni d’oro anche per il cappello.

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Figurino del 1828. particolare. alto cilindro, con la tesa rialzata ai lati.

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Dalla rivista “ladys Magazineâ€?; prima ed .Philaderlphia 1792 I cappelli, come sempre, dovevano rispettare la pettinatura a cui erano abbinati: questo è un esempio a tesa larga, ornati di piume , nastri e petali.

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IL NOVECENTO Il nuovo secolo inizia sotto l’insegna della globalizzazione, della tecnologia, della celebrazione dell’elettricità. Nel primo decennio Parigi è la protagonista indiscussa della creatività e delle novità divenendo anche leader del settore moda. Tutto il mondo occidentale sembra essere avviato verso un periodo di vita brillante; i primi anni del secolo rappresentano il meglio della cosiddetta Belle Époque, ma la realtà è ben diversa: forti tensioni sociali, lotte sindacali e politiche, rivendicazioni, attentati, desideri espansionistici, contrasti tra nazioni e perfino cataclismi naturali. L’attentato a Sarajevo (giugno 1914) è solo la miccia che accende un conflitto ormai pronto ad esplodere: ed è la prima guerra mondiale. La nascita del cinema influenzò certamente l’immaginazione popolare, divenendo veicolo delle nuove tendenze e delle nuove mode. L’eleganza maschile, anche quando viene dalla Francia, porta il segno dell’equilibrio inglese, mai eccentrica o troppo personalizzata. Nel Novecento il cappello da uomo assume un diverso significato: si accentua la sua funzione sociale, il suo valore simbolico, si fa segno di distinzione e persino espressione di diversa appartenenza politica. I vecchi socialisti portano cappelli rotondi, flosci e con tesa piccola, mentre i mazziniani indossano morbidi cappelli neri con tesa larga. Il cappello è anche una concessione alla vanità, infatti i gentiluomini eleganti si fanno notare per le raffinate bombette color 35


tortora bordate di raso, con il freddo usano un modello alla Homburg, mentre i più altezzosi indossano il cilindro semilucido con alta fascia di seta opaca. In estate si indossano i cappelli di paglia, detti paglietta, che vengono prodotti anche in Italia, dove l’industria della paglia e già attiva in Toscana fin da Settecento; è appunto un cappello di paglia dalla cupola dritta e piatta e dalla falda circolare, rigida e corta, spesso la cupola è circondata da un nastro nero. In Lombardia veniva chiamata anche magiostrina, poiché la si indossava a partire da maggio fino alla prima vendemmia. Questo cappello rigido trova la sua consacrazione artistica nei dipinti degli impressionisti francesi: Renoir e Monet ci consegnano le immagini dei signori francesi di inizio secolo che vanno in barca sul fiume e presentano i locali all’aperto indossando quella che loro chiamano canotier, veniva appunto chiamato alla canottiera perché il suo utilizzo era associato allo sport del canottaggio. Dagli anni Venti entrò a far parte della moda femminile e fu adottato con parte della uniforme femminile dei collegi britannici. Altro tipico accessorio estivo, chic e un po’ retrò, è il panama. Si è abituati a immaginarlo calcato sulla fronte di personaggi famosi nei film in bianco e nero del primo Novecento, ricchi uomini d’affari sudamericani o artisti dal look sobrio e chic dell’era del Jazz. Il nome del panama non deve il suo nome al luogo dov’è fabbricato, ma anch’esso ad un particolare evento storico. È un copricapo di origini 36


Equadorensi, precisamente della città di Cuenca: il suo nome originale è Jipi-japa. Deve il suo nome d’arte ad un curioso evento del 1906, durante l’inaugurazione del canale di Panama, l’allora presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosvelt, si presentò alla celebrazione indossandone uno; le foto di quell’evento fecero il giro del mondo e cosi la forma e lo stile esotici divennero celebri sotto il nome di Panama. Il cilindro è ancora insostituibile complemento d’eleganza nella Parigi della Bella Epoque, spumeggiante di champagne, dove Giovanni Boldini dipinge ritratti che fanno epoca e nelle tribune delle corse londinesi dove lo si preferisce di colore chiaro con nastro scuro. Per l’ufficialità e le occasioni eleganti è lucido, di morbida seta con la fascia di raso opaco. Accompagnato al tight, è in una tonalità media di grigio con nastro tono su tono e bottoncino, mentre il cilindro otto riflessi si indossa come complemento alla redingote e al frac di gala. In questo periodo il cappello diviene accessorio inseparabile, lo si vede sulla testa dei grandi artisti e letterati che ne fanno sfoggio come simbolo di stile e di riconoscimento al punto che non se ne separano mai; D’Annunzio, che a Parigi è modello di eleganza, non si separa dal suo cappello in feltro rasato, non molto grande, leggermente arcuato e guarnito da un nastro impunturato. Un tocco raffinato è il bottone ricoperto di raso in tinta con il cordoncino che lo tiene fissato in funzione antivento. Il cappello ”alla D’Annunzio” farà moda tra gli intellettuali innamorati 37


dello stile Liberty. Il mito della velocità che accomuna i futuristi assesta duri colpi al cilindro e alla bombetta; un baschetto di belle a cui sono fissati gli occhiali sopra la visiera, bene si addice a chi vuole provare l’ebbrezza della velocità in motocicletta. Il bonnet, berretto a piccoli scacchi in pesante tweed irlandese, ben si addice al guidatore delle nuove automobili. Giacomo Balla, che insieme a Marinetti e Boccioni dà vita al Movimento Futurista, crea il cappello poligonale ed i berretti hanno il loro momento di gloria nell’agonismo sportivo che accompagna il culto della velocità. Le donne di tutto il mondo si recano a Parigi due volte l’anno per scegliere il nuovo guardaroba. La linea d’inizio secolo prevede una vita stretta, spesso segnata da alte cinture, bustino, con gonne che coprono il piede, le braccia coperte da lunghe maniche o altrettanto lunghi guanti, ampi cappelli decorati di piume e trine completano la mises. La linea a S, che esalta seno e fianchi, è ancora in vigore, insieme alla più sensuale linea a clessidra, amata in particolare dalle belle rappresentanti del demi-monde, le donne che rendevano frizzanti le notti cafè-chantant, dei ritrovi alla moda, dei teatri e dei locali notturni. Lo stile delle vesti delle nobildonne era più classico e maestoso, mentre quello delle suffragette, le femministe che lottavano ormai in tutto il mondo occidentale per il riconoscimento dei diritti delle donne, aveva uno stile più formale, quasi sempre limitato ad un tailleur dal taglio particolarmente maschile. Anche le 38


donne indossano il capello di paglia alla canottiera per completare un nuovo abbigliamento chiamato alla Gibson Girl. Nel 1908 compaiono a Parigi abiti aderentissimi che fanno scandalo perché lasciano vedere le forme del corpo femminile. Ma è lo stile parigino Paul Poiret ad andare anche oltre proponendo una silhouette di donna dalla figura snella, dritta e slanciata, inoltre introduce, ispirandosi alle culture arabe e orientali, le jupe-culotte, però ancora indossate sotto una larga tunica; esse accompagnano l’insieme dei turbanti. I cappelli delle signore si dilatano nel corso del primo decennio, per raggiungere dimensioni davvero ragguardevoli attorno al 1913-14. Grandi costruzioni di stoffa si posano sugli alti chignon delle acconciature: le più raffinate vi innalzano decorazioni di nastri, piume, fiori artificiali, e i consueti uccellini imbalsamati ormai vicini all’estinzione. Poi il cappello diviene più piccolo, spesso aderente alla testa nella forma, anticipando la cloche degli anni Venti, ma ancora decorato da grandi pennacchi di piume. Lo sviluppo della politica coloniale diffonde mode esotiche: il Tarbouch ovvero il grande fez rosso e nero ornato di nappa, il casco a spicchi, rigido e con nastro pieghettato. Si compiono molti viaggi e chi va in Oriente esibisce raffinati cappelli, spesso di paglia toscana, con tesa ampia e arricciata per ripararsi dal sole. L’eleganza italiana comincia ad essere riconosciuta ovunque nel mondo, ma sono gli anni della guerra e molti saranno costretti a mutare il propria produzione di 39


cappelli per volerla agli armamenti militari. Con la fine della prima guerra mondiale si riprende la vita di tutti i giorni ed anche quella mondana; nelle sale da ballo torna lo smoking, è corto ed a un petto. Nel South Carolina, a Chrleston, si sviluppa il ballo omonimo a partire da un fox trot ed è un successo mondiale. Sarà ancora più famoso da quando, a Parigi, una ballerina seducente ed esotica lo esegue al ritmo della musica jazz: Josèphine Baker, vestita di piume, perline o soltanto di un gonnellino di banane, scandalizza ed entusiasma tutta Europa. Da subito l’abito da sera femminile diviene corto, con lunghe applicazioni di perline canutiglie, tagliati quasi sempre dritti, hanno spesso profonde scollature, sia davanti che dietro. Durante il giorno essere sportivi è di moda sia nell’abbigliamento femminile che maschile. Le donne indosseranno vesti dritte dalla vita segnata molto bassa e pullover abbinati con le gomme a pieghe. Tra l’abbigliamento maschile si fanno strada dei pantaloni estremamente larghi alle caviglie e sarà ancora una volta la moda inglese a prendere il sopravvento. Nei ricchi guardaroba dei nobili della Mitteleuropa, che viaggiano sull’Orient Express, si vedono di nuovo i lucidi cilindri. Si torna alle corse e i più giovani hanno in testa il Derby, un’aggiornata versione americana della bombetta: più piccolo, meno impegnativo lo si può indossare di giorno anche in città. I nuovi feltri di Borsalino, pubblicizzato da Dudovich, si adattano al modo di vestire disinvolto e consono all’esprit 40


nouveau. Sotto feltri bizzarri si nascondono le idee artistiche dei dadaisti, che rifiutano la razionalità in nome di un’espressione incontrollata e spontanea. “L’illustrazione italiana” è la rivista di grande diffusione che fornisce le immagini eloquenti dello stile di quegli anni. Il principe Umberto di Savoia si fa fotografare nel suo inappuntabile feltro grigio con tesa a cloche mentre dalla Casa reale inglese arriva una nuova moda: il berretto alla Windsor che si porta schiacciato su un lato della fronte. Son anche anni d’oro per il berretti, soprattutto per quello à la basque, in lana blu lavorato in un solo pezzo con al centro il cosiddetto lucignolo, o per quello in tweed spigato o quadrettato usato per la caccia, o quello rigido, blu di gabardine per gli sport sulla neve. I divi dello spettacolo e del cinematografo sono modelli da imitare e Rodolfo Valentino, che lancia lo sguardo ammaliatore da sotto l’ala del suo feltro maschettato con nastro a borchie, è un irresistibile emblema di fascino. Il vero protagonista degli anni Venti è la cloche, creato dalla stilista Caroline Reboux: è un cappello femminile , realizzato in feltro in moda da poter prendere la forma della testa, ha la calotta arrotolata e la tesa bassa, spesso sul cappello venivano cuciti differenti tipi di fiocchi, che assumevano diversi significati. Conferisce a chi lo indossa un’aria di intrigante mistero e maliziosa sensualità. La parola francese cloche in italiano significa campana, ed è proprio la forma che assume il cappello. Con la nuova moda di anda41


re in automobile le signore adottano berrette e cloche in panno, con grandi occhialoni e lunghe sciarpe che stringono la testa cercando di impedire alla polvere di rovinare le acconciature. Il 1929 segna il massimo successo del feltro ma anche l’inizio della grande crisi che si farà sentire anche in Italia sia sul mercato interno che su quello estero. La bombetta all’americana e l’Homburg emblematici copricapo dei grandi finanzieri son testimoni del tracollo della borsa di New York. Le campagne pubblicitarie su riviste e giornali cercano di arginare il difficile momento che non risparmia i cappellifici. Grande importanza è data all’eleganza maschile ancora ispirata alla moda inglese. In generale il modo di vestire si fa più informale, grazie anche all’influenza delle uniformi e alla grande diffusione di nuovi capi tratti dal mondo militare. Trionfa il “su misura”, i sarti e le riviste illustrate dettano lo stile della vita elegante. Alle corse si va con il mezzo cilindro. Gli squash hats, feltri chiari, morbidi, cardati a mano portati con l’ala abbassata davanti si accompagnano con il gessato alla Gatsby con vita stretta e ben sagomata. Le tinte dei cappelli ampliano la propria gamma in rapporto agli abiti e diventa abituale cambiarsi nei diversi momenti della giornata. Lo stile anni Trenta è fortemente influenzato dal modello americano che porta una ventata di rinnovamento per l’intera Europa. Dagli Stati Uniti arriva il Trilby, spregiudicata variante della severa linea Borsalino. Ai giovani piace lo Scoop con un’ala formata a scodellot42


to, molto curva e alta sul retro. Il Panama a tesa larga si orna di una fascia di cotone fantasia. Il Tweed Fishing Hat, il cappello impermeabile, si usa per gli sport all’aria aperta, ma nel golf non manca chi indossa il cappello alla Sherlock Holmes. Nelle località alpine di villeggiatura si acquistano cappelli tirolesi di feltro o di loden ornati d penne di fagiano o da uno spazzolino di tasso. Le piume di gallo forcello sono il massimo della raffinatezza. Cominciano a farsi sentire i venti di guerra. Vittorio Emanuele divenuto imperatore d’Etiopia si mostra in casco coloniale. Il basco blu accompagna i volontari italiani nella guerra di Spagna. Il segretario Starace rende obbligatorio il fez che non può mancare sulla testa degli “arditi”. Il modello era il copricapo a tronco di cono, di colore rosso, con fiocchetto di seta nera in uso nell’impero ottomano e più tardi nei paesi arabi. Il nome è quello della capitale del Marocco dove si fabbricava per esportarlo nei paesi islamici. Sotto il Fascismo vennero di moda quelli di orbace, il panno tinto fatto in Sardegna. Il materiale di fabbricazione finisce per dare il nome al berretto e l’orbace si affianca al casco coloniale color kaki. Un’ ennesima rivoluzione nella moda si verifica nell’estate del 1930, quando gli stilisti e i designer decisero che era ora di abbandonare le linee angolose e rigide del modernismo, per preferire nuove morbidezze e linee curve nei drappeggi degli abiti, nelle linee ondulate delle acconciature e negli arredi. Gli abiti divengono leggermente ampi attorno al busto , ma la 43


vita è nuovamente marcata, mentre le gonne iniziano ad allargarsi e a scendere a metà polpaccio e fino alla caviglia. Nel 1935 in Italia nasce l’ Ente Nazionale della Moda, favorito dal clima di completa autarchia portato avanti dal governo fascista che per tutti gli anni al potere promosse una moda nazionale. Con l’autarchia arriva il lanital, la fibra ottenuta dalla caseina del latte che fa rimpiangere i feltri di castoro e di garenne ormai solo un lontano ricordo. Essere belli diventa non solo un piacere, ma quasi un dovere. Quando nel 1942 la produzione di cosmetici in America fu fermata per due mesi, si crearono talmente tanti tumulti che il trucco fu considerato bene di prima necessità. Nel corso della guerra la donna doveva offrire un aspetto curato ed elegante, per contribuire a sollecitare l’animo dei soldati. All’inizio del periodo, le forme dei cappelli alla moda si allargano nuovamente, con ampie tese, ricche decorazioni e guarnizioni floreali. Tra il 1930 e il 1935 si prediligono forme grandi e lievemente inclinate su di un lato per il giorno, mentre per la sera si adottano forme più piccole, più facilmente abbinabili ai grandi colli di pelliccia; negli anni seguenti le dimensioni si faranno sempre più piccole e le creazioni talvolta quasi impalpabili. Le attrici promuovono modelli da imitare, e, secondo il gusto, si usano cloche tradizionali, cappelli sbarazzini alla Katherine Hepburn, o modelli più sensuali ispirati da Joan Crawford. In Italia la fantasia delle modiste adatta al cappello ogni genere di materia44


le creativo, da quelli più tradizionali, come il feltro, il velluto, la paglia, il taffetà, le piume di struzzo e le aigrette, a quelli più innovativi, come il cellophane e il rayon. Le influenze surrealiste provenienti dalla Francia, di cui un esemplare molto noto è il cappello scarpa con tacco rosso di Elsa Schiaparelli e Salvador Dalì del 1937, avranno un seguito anche nella produzione di cappelli dalle forme curiose e fantasiose. È in questo periodo che si affermano in Italia ditte specializzate in accessori esclusivi e raffinati come Gucci, Franzi e Frattegiani. Ma i cappelli si fanno rari. La guerra demolisce anche l’eleganza ispirata alla “perfida Albione” (l’Inghilterra). Ci si copre alla meglio con vecchi feltri, berretti di lana e baschi. La inarginabile chiusura dei mercati transoceanici porta al declino della famosa industria cappelliera monzese. Terminata la guerra si sente un gran desiderio di risollevarsi, di cercare di nuovo eleganza, bellezza, lusso. La moda di fine anni Quaranta riprende rapidamente la sua ascesa. Le vetrine, specie nelle grandi città, tornano a riempirsi di articoli raffinati. In Europa l’esistenzialismo e il neo-positivismo diffondono nuovi modelli di riferimento e nuove riflessioni, fino a divenire veri e propri stili di vita. I giovani accolgono prontamente questi nuovi modelli e, se da una parte questo è il tempo dei frigoriferi bombati e dei jukebox, del rock and roll, di Elvis Presley, di Marilyn Monroe e di James Dean, dei tessuti sintetici e delle cucine plastificate, dall’altro canto è anche il tempo della ri45


volta contro l’immagine paternalistica della piccola borghesia. L’eleganza maschile guarda ancora una volta all’Inghilterra, ma gli accessori di stile sono italiani. Attraverso il cinema arrivano le immagini dei divi di Hollywood. Il berretto nero e rigido con visiera militare accompagna il conturbante Marlon Brando in Fronte del porto mentre il tenebroso James Dean lancia i grandi cappelli da cowboy. Sull’onda dei western i cappellifici propongono modelli casual morbidi, a colori pastello che sembrano incontrare il gusto dei giovani, ma quando si pensa al tipico cappello da cow boy ci si riferisce certamente allo Stetson. Fatto di feltro impermeabile, ma meno rigido del sombrero che fu il suo ispiratore latino-americano, è forse il cappello più famoso della storia americana. Secondo la tradizione gli uomini del West non se lo toglievano mai dalla testa. In Francia nasce il New Look con il modello Bar della collezione Dior primavera-estate del 1947, che è diventato il simbolo del rinnovamento dell’alta moda parigina. In Italia la moda era ancora molto indietro, anche perché le case produttrici facevano riferimento alla moda di Parigi. Milano era il centro di diffusione delle informazioni sulla moda. Ma è a Firenze che Giovan Battista Giorgini , nel febbraio del 1951, ebbe l’idea di investire sulla moda per lanciare la prima manifestazione internazionale di moda italiana: dapprima a casa sua, poi al Grand Hotel, per approdare infine nella cornice più suggestiva e appropriata, quella della Sala Bianca di Palazzo Pitti a 46


Firenze. Gli stilisti che con coraggio sfidarono il mercato parigino e vi parteciparono furono Carosa, Alberto Fabiani, le Sorelle Fontana, Germana Marucelli, Noberasko, il marchese Emilio Pucci, il principe Emilio Schurberth, Simonetta Visconti di Cesarò, la Tessitrice dell’Isola, Vanna, Jole Veneziani, ed inoltre Franco Bertoli e Giuliano Fratti per gli accessori. Gli anni Cinquanta sono l’ultima grande epoca del cappello femminile, che presto perderà la sua importanza, spazzato via dai nuovi venti di contestazione degli anni Sessanta. Allora però una signora non usciva mai di casa senza, e le forme sono inizialmente ampie, talvolta a pagoda e altre a tesa orizzontale e alta, simile a un disco, per divenire poi preferibilmente piccole, dalla calotta aderente alla testa, o turrite, ma senza mai esagerare. All’inizio degli Anni Cinquanta si organizza a San Remo il Festival della moda maschile. L’obiettivo è quello di ricreare una clientela selezionata e di gusto raffinato dal momento che il cappello si va perdendo sempre più come oggetto d’uso quotidiano. In Svizzera si tiene il Congresso Internazionale del Cappello. L’Associazione delle Industrie europee di cappelleria studia nuove fogge per rilanciare alla grande il cappello di feltro. Verso la metà degli anni Cinquanta il cappello sembra già perdere il suo posto nella vita di ogni giorno mentre continua ad avere un ruolo di primo piano tra i personaggi che si dividono gli onori della cronaca. Un classico feltro grigio accompagna il divo Gregory Peck nelle sue vacanze roma47


ne mentre si fa strada l’uso del cappello duttile e maneggevole in tweed quadrettato o a pied-depoule simile a quello che diventerà per eccellenza “il cappello da regista” sulla fantasmagorica testa di Federico Fellini. Sono anni in cui il cappellaio è ancora un consigliere prezioso che esercita la propria arte nel suo negozio-atelier. Le operazioni finali vengono fatte nelle cappellerie al momento della vendita. In queste boutiques si sagoma il cappello secondo la moda del momento, lo si spazzola e si rifinisce la lucidatura; infine lo si guarnisce: si applica la fodera, si cuce una striscia interna dove il feltro viene a contatto con la testa e, volendo, si applica una galla o una piuma. Gli anni Sessanta sono gli anni delle contestazioni giovanili, dei diritti alle donne, dei mezzi di comunicazione di massa, primo fra tutti la televisione,ma sono anche gli anni in cui le tensioni createsi nel corso degli anni Cinquanta tra Europa dell’Est ed Europa dell’Ovest si concretizzano prendendo la forma del Muro di Berlino. La moda giovanile deve essere nuova, la modernità è rappresentata da un corpo giovane e libero da costrizioni, da un abbigliamento che rifugge dal considerare la donna come un oggetto e facilita invece una vita attiva e agile, sia per la donna che per l’uomo. Il cappello, indiscusso simbolo di eleganza per molti secoli, perde adesso la sua importanza, sia perché si modificano le “regole del gioco”, la società stessa non desidera più riconoscere un valore alle antiche tradizioni, sia perché il nuovo taglio corto e sbarazzino non ama 48


i cappelli troppo eleganti. I secoli seguenti saranno anni bui per il cappello fino alla sua riscoperta durante il XXI come accessorio d’Alta Moda.

odry hepburn in “my fair lady” film del 1964

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Cappelli e acconciature dall’ “album Blouses Nouvelles”, Francia 1902

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La cloche è un tipo di cappello femminile con la caratteristica forma a campana (Cloche appunto) e fu ideato dalla stilista Caroline Reboux.

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Schizzi di cappelli, 1937 Acconciatura ispirata da salvator dalĂŹ e realizzata da elsa schiaparelli.

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IL CAPPELLO NELL’ALTA MODA Per parlare dell’epoca attuale il cappello furoreggia nelle sfilate internazionali, ma Londra oggi può essere considerata il centro creativo del mondo della modisteria;Stephen Jones e Philip Treacy creano i cappelli più fantasiosi e scioccanti che ammiriamo nelle collezioni delle case di moda più innovative, come Cristian Dior, John Galliano e Alexander McQeen. Stephen Jones appare sulla scena della moda di Londra con la nascita dello street style nella fine degli anni Settanta. Nel 1980 aveva già il suo primo salone modista nel cuore di Covent Garden di Londra. Fin dalla sua comparsa nel campo della modisteria ha realizzato dei cappelli unici nello stile e nelle forme che possono essere definiti a pieno titolo opere d’arte. I suoi copricapo, firmati con il brand “Stephen Jones Millinery”, sono stati indossati dalle personalità più celebri, da Lady Diana a i Rollin Stones; ha collaborato con stilisti del calibro di Jean Paul Gaultier, Vivienne Westwood, Thierry Mugler, Christian Dior, John Galliano, Comme des Garçons e Marc Jacobs. Philip Treacy, altro genio nella modisteria e anche lui londinese,ha disegnato cappelli per Alexander McQueen, per Karl Lagerfeld da Chanel, per Valentino, Ralph Lauren e Donna Karan. Molti altri sono i nomi di coloro che con la loro arte hanno riportato il cappello al suo ormai dimenticato splendore, facendolo rivivere come simbolo di stile ed eleganza ma donandogli quel pizzico di stra53


vaganza, grazie all’utilizzo dei materiali piÚ svariati. Indossando questi copricapo si ha la sensazione di entrare a far parte di una scena teatrale o di fare un salto nel passato. Il cappello d’alta moda diviene nel nostro secolo un accessorio indispensabile per definire per definire un look.

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philip tracy, londra 2010

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Stephen jons, londra 2008

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CENTO CAPPELLI palermitani

collezione privata di Eleonora Saitta

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il progetto di seguito esposto ha lo scopo di svolgere un lavoro di catalogazione di una collezione di cento cappelli palermitani appartenuti alla Baronessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco e alla Baronessa eleonora Bagnasco in Saitta, attualmente sono in possesso dell’architetto eleonora Saitta., loro nipote. in particolare la catalogazione riguarderà una piccola parte della collezione. La selezione è stata effettuata seguendo un criterio di ricerca incentrato sulla similitudine con la collezione “hat” da me realizzata.inoltre si stabilisce che la relazione con altri oggetti sia ciò che viene trasmesso per via documentaria.

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autore/ambito culturale: manifattura italiana

oggetto: cappello femminile misure: O 56 datazione: 1920 circa materia e tecnica:

rasone di sintetico effetto stuola color nero; seta color nero; velluto di sintetico, liscio, unito color nero; taffetĂ di sintetico color nero; corona in gros di cotone color nero.

luogo di conservazione: via principe di

Belmonte, n. 10; Palermo.

informazioni orali: Baronessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco (1896 - 1988) ; informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012

bibliografia di riferimento:

PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costume e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

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cappello femminile 1920 circa

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autore/ambito culturale: manifattura italiana

oggetto: cappello femminile a tocco misure: O 52 datazione: 1930 circa materia e tecnica: rafia intecciata color

lilla; nstro di sintetico cangiante color viola; corona di gros color lilla, cordoncino elastico color nero.

luogo di conservazione: via principe di

Belmonte, n.10, Palermo.

informazioni orali:Appertenuto alla Baronessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco (18961988), informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012 relazione con altri oggetti: in abbinamento con due tailleur in lino color lilla e verde. Informazione orale di Eleonora saitta; Palermo, 09/02/2012 bibliografia di riferimento:

PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costume e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappeli editore ed.,Bologna 2004.

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cappello femminile a tocco 1930 circa

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autore/ambito culturale: manifattura

italiana

oggetto: cappello femminile misure: O 52 datazione: 1935-40 circa materia e tecnica: velluto di sintetico liscio unito color viola; tela di cotone color verde; tela di cotone color ceruleo; spilla in metallo, velluto di sintetico liscio unito color viola; spilla in metallo, velluto si sintetico liscio unito color nero; taffetĂ di sintetico color viola; anima in metallo; infustitura interna rigida. luogo di conservazione: via principe di

Belmonte, n.10, Palermo.

informazioni orali: appartenuto alla baro-

nessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco (18961988); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012

bibliografia specifica: Simonetta Trovato, seduzione e fascino d’altri tempi. CosÏ vestivano le nostre nonne, <<giornale di Sicilia>>, 11 Marzo 2011, pag. 44-45 bibliografia di riferimento:

PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costume e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

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cappello femminile 1930-40 circa

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autore/ambito

italiana

culturale:

manifattura

oggetto: cappello femminile a cloche misure: O 56 datazione: fine anni 20 del xx materia e tecnica: velluto in sintetico liscio a coste larghe color cammello, pelliccia color cammello; bottoni decorativi; taffetĂ color avorio; corona in gros color marrone. informazioni orali:appartenuto alla baronessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco (18961988); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012 luogo di conservazione: via principe di

Belmonte, n.10, Palermo

bibliografia di riferiento:

PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costume e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

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cappello femminile a cloche fine anni 20 del XX

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autore/ambito culturale: manifattura italiana

oggetto: cappello femminile a turbante misure: O 56 datazione: 1928-1930 circa materia e tecnica: tessuto sintetico elastico color beige; tessuto sintetico elastico color marrone; spilla in metallo e plastica dura, color nero; taffetĂ color marrone. luogo di conservazione:via principe di Belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto alla Baronessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco (18961988); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012 bibliografia di riferimento:

PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costume e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

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cappello femminile a turbante 1928-1930 circa

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autore/ambito culturale: manifattura italiana

oggetto:cappello femminile a cloche misure:O 56 datazione: anni 20 del xx materia e tecnica: velluto di sintetico, li-

scio, unito, peluchèe, color marrone, parzialmente schiacciato; velluto liscio unito color marrone; taffetà di sintetico color marrone

luogo di conservazione: via principe di

Belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto alla Baronessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco (18961988); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012 etichette: ref.3454-00 / PP 2000 bibliografia specifica: PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costume e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

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cappello femminile a cloche anni 20 del XX

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autore/ambito

italiana

culturale:

manifattura

oggetto: cappello femminile sagomato a clo-

che

misure: O 57 datazione: 1960 circa materia e tecnica: panno cotto di lana, pettinato, color blu; velluto di cotone liscio unito color indaco; taffetĂ sintetico color blu; corona in gros color blu luogo di conservazione: via principe di

Belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto alla Baronessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco (18961988); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012 etichette: bagnasco/020/cappello bibliografia di riferimento:

PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costume e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

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cappello femminile sagomato a cloche 1960 circa

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Autore/ambito

italiana

culturale:

manifattura

oggetto: cappello femminile misure: O 54 datazione:1940-50 circa materia e tecnica: velluto di sintetico, li-

scio unito color arancio; velluto di sintetico, liscio unito color avorio; taffetĂ di sinteticomoire color avorio; garza di sintetico color avorio; corona di gros color avorio; anima in metallo; infustitura della corona in cartone; spilla in metallo dorato e zircone; cordoncino elastico color nero

luogo di conservazione: via principe di

Belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto alla Baronessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco (18961988); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012 bibliografia specifica: Simonetta Trovato,

Seduzione e fascino d’altri tempi. CosÏ vestivano le nostre nonne, << Giornale di Sicilia>>, 11 Marzo 2011, pag. 44-45

bibliografia di riferimento: PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costume e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

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cappello femminile 1940-50 circa

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autore/ambito

italiana

culturale:

manifattura

oggetto: cappello femminile con falda

misure: O 56 datazione: anni 70 del xx secolo materia e tecnica: paglia intecciata; cadĂŹ di misto seta color marrone; corona in gros color beige luogo di conservazione: via principe di

Belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto alla Baronessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco (18961988); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012 bibliografia di specifica: Simonetta Trovato, Seduzione e fascino d’altri tempi. CosÏ vestivano le nostre nonne, << Giornale di Sicilia>>, 11 Marzo 2011, pag. 44-45 bibliografia di riferimento:

PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costume e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

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cappello femminile con falda anni 70 del XX secolo

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autore/ambito

italiana

culturale:

manifattura

oggetto: cappello femminile con falda misure: O 54 datazione:1940 circa materia e tecnica: paglia intrecciata; nastro in gros color avorio

luogo di conservazione: via principe di

Belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto alla Baronessa Eleonora Bagnasco in Saitta (1921-2008); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/01/2012 bibliografia di riferimento:PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costume e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

78


cappello femminile con falda 1940 circa

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autore/ambito

italiana

culturale:

manifattura

oggetto: cappello femminile misure: O 56 datazione: 1950 circa materia

e tecnica: paglia intrecciata plastificata; nastro di tessuto sintetico con decorazioni geometriche color blu, celeste,grigio,marrone

luogo di conservazione: via principe di

belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto alla Baronessa Eleonora Bagnasco in Saitta (1921-2008); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012 bibliografia di riferimento: PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costume e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

80


cappello femminile 1950 circa

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autore/ambito

italiana o francese

culturale:

manifattura

oggetto:cappello femminile a tocco con tesa misure: O 26 datazione: 1960 circa materia e tecnica: panno cotto di lana color beige, peluchèe; collant di sintetico color marrone; collant di sintetico color tanè; cordoncino elastico color nero

luogo di conservazione: via principe di

belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: etichette: bagnasco/020/cappello timbri/marchi: flechet/ made in france bibliografia di riferimento:

PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costume e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

82


cappello femminile a tocco con falda 1960 circa

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autore/ambito culturale: manifattura italiana

oggetto: cappello femminile a tocco con falda larga misure: O 47 datazione: 1950-55 circa materia e tecnica: rafia intrecciata color

nero; velluto di sintetico, liscio, color nero; anima in metallo; cordoncino nero elastico

luogo di conservazione: via principe di

Belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto all Baro-

nessa Eleonora Bagnasco in Saitta (1921-2008); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012

bibliografia specifica: Simonetta Trovato,

Seduzione e fascino d’altri tempi. CosÏ vestivano le nostre nonne, << Giornale di Sicilia>>, 11 Marzo 2011, pag. 44-45

bibliografia di riferimento:

PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costume e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

84


cappello femminile con falda larga 1950-55 circa

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autore/ambito culturale:

italiana

manifattura

oggetto: cappello femminile ad ampia falda misure: O 54 datazione: anni 70 del xx secolo materia e tecnica: panno in feltro di lana color rosso; pelle color nero; fibia in metallo color nero; corona in gros color rosso.

luogo di conservazione: via principe di

Belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto alla baronessa Eleonora Bagnasco in Saitta (1921-2008); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote , Palermo 09/02/2012 bibliografia di riferimento:

PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costume e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

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cappello femminile ad ampia falda anni 70 del XX secolo

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autore/ambito

italiana

culturale:

manifattura

oggetto: cappello femminile a tocco con ampia tesa

misure: O 46,5 datazione: fine anni 50 del xx secolo materia

e tecnica: tela di cotone color avorio, operata per schiacciamento; tela di sintetico xolor nero; corona in gros di cotone color nero; cordoncino elastico color nero; spilla in metallo dorato e materili plastici

luogo di conservazione: via principe di

Belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto alla Baronessa Eleonora Bagnasco in Saitta (1921-2008); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012 bibliografia di riferimento:

PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costume e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

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cappello femminile a tocco con ampia tesa fine anni 50 del XX secolo

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autore/ambito

italiana

culturale:

manifattura

oggetto: cappello femminile a tocco con

ampia falda

misure: O 49 datazione: fine anni 70 del xx secolo materia e tecnica: panno cotto di lana inta-

gliato, steccato, color nero; velluto di cotone liscio unito, color verde; velluto di cotone liscio unito color rosso; corona in gros di cotone color nero; cordoncino elastico color nero.

luogo di conservazione: via principe di

Belmonte, n.10, Palermo

informazioni orali: appartenuto alla baro-

nessa Giuseppina Cacciatore in Bagnasco (18961988); informazione orale di Eleonora Saitta, nipote, Palermo 09/02/2012

bibliografia di riferimento:

PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costume e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e XXI secolo, Cappelli Editore ed., Bologna 2004.

90


cappello femminile a tocco con ampia falda fine anni 70 del XX secolo

91



93


red hat circonferenza 90 cm feltro rosso cucito a mano

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Il progetto di seguito esposto ha lo scopo di misurare le conoscenze acquisite durante la frequenza del corso di progettazione della moda, ed in particolare nel campo del design dell’accessorio attraverso l’analisi e la rielaborazione del copricapo. La prima fase del progetto prevede lo studio del copricapo tramite la sua storia nei vari secoli, con lo scopo di acquisire le differenti tipologie per poi utilizzarle nella realizzazione di una collezione che è il fine ultimo del progetto. Varie esperienze segnano il percorso creativo;lo studio dei materiali come ad esempio il feltro, il panno, la carta, il carton cuoio e molti altri che saranno utilizzati come supporto fondamentale e necessario per dar vita a forme elaborate di copricapo. La parte sperimentale consiste in elaborate ed articolate forme che daranno vita alla collezione vera e propria che è caratterizzata da forme rigide che divengono un tutt’uno con gli elementi decorativi che ne fanno parte.

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white cone 2011

circonferenza 88 cm feltro bianco cucito a mano; cordoncino blu

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red cone 2011

circonferenza 88 cm feltro rosso cucito a mano; cordoncino blu

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modellazione 3D a cura di chiara amodei

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black cone 2011

circonferenza 88 cm feltro nero cucito a mano; nastro bianco

101


modellazione 3D a cura di chiara amodei

102


spirals 2011

circonferenza 93 cm feltro blu cucito a mano

103


modellazione 3D a cura di chiara amodei

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red burton hat 2011

circonferenza 93 cm feltro rosso cucito a mano

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blu burton hat 2011

circonferenza 93 cm feltro blu cucito a mano

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white hat 2011

circonferenza 53 cm feltro bianco e panno nero cucito a mano

109



black and white hat 2011

circonferenza 59 cm feltro bianco e panno nero cucito a mano

111



black hat leavers 2012

circonferenza 93 cm feltro bianco e nero cucito a mano

113



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hat blue leavers 2012 circonferenza 93 cm feltro blu cucito a mano

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blue hat and red 2012

circonferenza 57 cm feltro blu e rosso cucito a mano

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book

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ELABORAZIONI

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blue


hats

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red cone hat 1


red cone hat 2

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red cone hat 3

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r e d h a t 169


red hat three horns 2011 circonferenza 90 feltro rosso


red hat horn 2011 circonferenza 90 feltro rosso

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red hat three horns 2011 circonferenza 90 feltro rosso

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disegni di tipogie di cappelli

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cappelli


tipici

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cappelli tipici


sovrapposti

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180

cappelli tipici


sovrapposti

181


182


BIBLIOGRAFIA BEREGAN GIULIANA, Favolosi Cappelli, tosi, ferrara, 2007. A. COLONETTI G. SASSI M.M. SIGIANI ( a cura di ), Cosa ti sei messo in testa. Storia e geografia del cappello, Mazzotta, Milano, 1991. Blumenkranz Bernhard, ”Il cappello a punta”. L’ebreo medievale nello specchio dell’arte cristiana, a cura di Chiara Frugoni, Laterza ed., Roma-Bari 2003, prima ed. francese, 1966 Henri Bresc, “Arabi per lingua Ebrei per religione”.L’evoluzione dell’ebraismo siciliano in ambiente latino dal XII al XV secolo,a cura di Laura Sciascia,Mesogea ed., Messina 2001. Isidoro La Lumia,” Gli Ebrei siciliani” , Sellerio ed., Palermo 1984, Biblioteca della regione Sicilia , assessorato dei beni culturali ed ambientali e della pubblica istruzione, coll. 1644.6 PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costume e della moda, vol. 2 Dal Quattrocento al Settecento, Cappelli Editore ed., Bologna 2004. PICCOLO PACI, SARA, Parliamo di moda: manuale di storia del costume e della moda, vol. 3 Ottocento, Novecento e 21. secolo, ibidem. LEVI PISETZKY, ROSITA, Storia del costume in Italia, 2, Enciclopedia della moda vol. 2, Giovanni Treccani ed., Roma 2005. L. B. SCARPELLI R. DI LORIO,il tempo del vestire: manuale di storia del costume e della moda dall’anno mille al settecento, vol.2, zanichelli ed. , roma 2009. L. B. SCARPELLI R. DI LORIO,il tempo del vestire: manuale di storia del costume e della moda dall’anno mille al settecento, vol.3, ibidem.

183


ringraziamenti si ringrazia il Professore Sergio Pausig per la sua sapiente guida artistica, per avermi seguita con abile maestria in questo percorso creativo e negli anni passati; il Professore Vittorio Ugo Vicari, per avermi indirizzata, grazie alla sua infinita cultura, alla scoperta della storia del cappello. la signora Eleonora Saitta per la sua disponibilitĂ . la mia famiglia e tutti coloro che mi hanno sostenuta in questa avventura culturale.

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