La rotta del sale | Stefano Melis | Pietro Petrollese

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La rotta del sale

un centro velico per l’ex magazzino del sale di Cagliari

Politecnico di Torino a.a. 2016-2017 Corso di Laurea Magistrale in Architettura per il Progetto Sostenibile

Candidati: Relatore: Correlatore:

Stefano Melis Pietro Petrollese Silvia Gron Valentino Manni


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Indice

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1. Introduzione 2. Cagliari_una città che guarda al mare Interazioni tra città e porto in epoca preindustriale Il porto di Cagliari Dalla città porto ai porti delle città La rinascita delle città portuali Il caso di Genova Il caso dell’Arsenale di Venezia Cagliari e le sue attività portuali a inizio Novecento

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3. L’inquadramento territoriale Infrastrutture e servizi Collegamenti Uso del suolo Il paesaggio del sale Margini

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4. Saline_la storia e la realizzazione dell’edificio La raccolta lungo la storia Evoluzione dei sistemi di imbarco La nascita del padiglione Il funzionamento del silos Il giallo nervi e i paraboloidi in Italia Il fragile rilancio del colosso

56 57 59 60 62 65

5. L’edificio_un relitto abbandonato lungo la darsena I rilievi

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Considerazioni strutturali I vincoli e la normativa

6. Dall’abbandono al recupero 104 105 107 109

Dall’ abbandono al recupero Area ex perfosfati, Cerea, Italia Ex Montedison, Assisi, Italia Embarcadero, Caceres,Spagna

7. Il progetto_un centro velico per Cagliari 116 120 124 140 143 145 150 156

La ricerca della nuova funzione Un centro velico nel Padiglione del Sale Il masterplan Analisi delle utenze e delle funzioni Analisi climatiche sull’area Relazione tra contenuto e contenitore Lo spazio pubblico Il progetto

8. Il progetto_le soluzioni tecnologiche 181 183 186 188 194

Rapporto tra contenuto e contenitore La giunzione tra nuovo e struttura esistente Il manto di copertura Comfort e impiantistica Dettagli tecnologici e stratigrafie

9. Conclusione

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Introduzione

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introduzione

In un periodo che va approssimativamente dagli anni 30’ agli anni 70’ del Novecento l’economia italiana subisce un continuo sviluppo, fatto salvo per il periodo della “grande guerra”. In questo frangente, quale fenomeno tutto italiano, si erigono da Nord a Sud magazzini a volta parabolica, frutto di uno straordinario equilibrio tra estetica e funzionalismo, attivi portatori di principi che affondano le radici nell’architettura industriale del Movimento Moderno. Sul territorio italiano sono stati censiti 85 esemplari, frutto dell’ingegno di grandi nomi dell’architettura moderna come Nervi e Morandi. Al presente gli interventi di recupero eseguiti su questi manufatti sono ancora pochi; tra i più interessanti si possono citare i due paraboloidi della Montecatini di Assisi. Spesso le cause della gestione scadente di un così straordinario patrimonio culturale e architettonico industriale si possono ricollegare direttamente alla proprietà, nella maggior parte dei casi privati non interessati economicamente al loro recupero. Tutt’oggi mancano ancora linee condivise di intervento sul patrimonio architettonico industriale nel nostro paese. Se da un lato su tutto il territorio nazionale si rileva oramai un crescente interesse per la conservazione di questi luoghi del lavoro, che rappresentano una memoria della identità delle comunità, dall’altra sono numerosi i casi di cattiva attenzione e scarsa sensibilità che hanno provocato la perdita irreversibile di siti ed edifici di innegabile valore storico-architettettonico. Il Padiglione del Sale a Cagliari, realizzato tra il 1956-58 per le Saline di Stato, sebbene non ne sia ancora nota la paternità progettuale, contiene tutti i principi tecnico- costruttivi dei paraboloidi “nerviani”. Questo manufatto, di straordinaria bellezza, nel periodo recente è stato oggetto di un rinnovato interesse da parte degli enti pubblici proprietari, oltrechè dei cittadini. Riconosciuta la sua collocazione strategica, il Comune di Cagliari ha messo il Padiglione del Sale al centro del proprio programma di rivitalizzazione e riqualificazione dei fronte mare, con la volontà di ergere la città ad un ruolo cardine nel circuito turistico del Mediterraneo. Situato presso lo sbocco a mare del canale di San Bartolomeo, nel margine sud orientale della zona portuale, nodo entro un sistema di paesaggi dalle forti valenze ambientali, recentemente l’edificio è stato oggetto di progetti di riqualificazione: l’obiettivo palesato è ricucire la linea d’acqua e creare un circuito che dal centro città, passando per le zone naturali delle saline e del Parco

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del Molentargius, arrivi sino al litorale sabbioso del Poetto. Il presente progetto di riqualificazione del Padiglione ambisce alla creazione di un nuovo polo attrattivo all’interno del waterfront cittadino, eleggibile a “porta di accesso privilegiata” al sistema naturalistico delle saline, attraverso la trasformazione di un ex spazio del lavoro, oramai abbandonato e degradato, in luogo dove la città torni ad identificarsi. È importante evidenziare che il Padiglione del Sale rientra in un’area di contatto tra due realtà cittadine da sempre separate: il centro storico della città ed il quartiere di Sant’Elia, relegato in una condizione di isolamento per la mancanza di un tessuto di connessione con il resto della città, esigente una necessaria riqualificazione urbanistica per il miglioramento delle vivibilità nel quartiere e nella sua linea di costa. L’intervento di riqualificazione del vecchio magazzino del sale ha tenuto conto, di forza, di questa sua condizione di possibile mediazione tra due realtà territoriali al contempo tanto vicine ma altrettanto lontane dal punto di vista sociale ed economico. Questo progetto è stato pensato e steso promuovendone la costante relazione con la realtà portuale di Cagliari alla quale appartiene, con l’obiettivo di portare benefici al fronte mare cittadino, ristabilire il naturale contatto tra città e area portuale, andato perso negli ultimi anni a causa dei sistemi di chiusura doganali previsti. Pertanto, ragionando su scala urbana, il Padiglione dovrà essere lambito da una rete di percorsi pensati per valorizzare e dare continuità a sistemi territoriali diversi, puntando sul fronte mare come elemento di riqualificazione e recupero urbano. Il percorso di questa tesi si articola quindi in una successione di tappe che, partendo dalla conoscenza dell’edificio e del territorio sul quale si insedia, giungono all’elaborazione del progetto di recupero di un manufatto come strumento di riqualificazione e ricucitura urbana. Il primo tema si sviluppa appunto sulla ricostruzione di una solida base di conoscenza che, in una prima fase, ha previsto lo studio dell’edificio e del sito di progetto, basandosi su documenti d’archivio, testi di settore e interviste a ex lavoratori delle saline che portano ancora dentro la memoria di quegli anni di straordinaria produzione per il settore salifero; in una seconda fase ha previsto la conoscenza diretta sul campo, attraverso un puntuale rilievo del manufatto

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con l’approfondimento delle tecniche costruttive e dei materiali utilizzati, basato anche sul confronto con altri edifici contemporanei, simili per tipologia e caratteristiche costruttive. Altro passaggio molto importante “lo studio del territorio e del paesaggio”, con l’obiettivo di capire quali siano i rapporti di influenza tra città, porto e strutture industriali. Per ciò si è ricorsi all’analisi di due casi di studio analoghi riguardanti i contenitori industriali in ambito portuale. Il primo riguardante l’ambito strettamente urbano del Porto Antico di Genova che, attraverso processi di riqualificazione del waterfront, cercava di ristabilire un contatto diretto tra la città e il porto. Un secondo caso, riguardante l’Arsenale di Venezia, in cui si stabilivano delle buone pratiche di inserimento di nuove funzioni all’interno di vecchi contenitori industriali. Questi due casi ci hanno permesso di capire meglio l’importanza che simili manufatti hanno per le città che li accolgono, per la loro identità; un tempo luoghi del lavoro e del rumore delle macchine, oggi simulacri con le sembianze di non-luoghi immersi in un silenzio assordante che non gli appartiene. Gran parte dei vecchi manufatti industriali versano oramai in tale stato di fermo, in drammatica attesa che per essi si ritrovi una funzione nell’ambiente costruito. In ultimo il tema delle modalità di intervento all’interno dei contenitori industriali. Anche in questo caso, avvalendoci delle analisi di alcuni casi simili a livello nazionale ed europeo, ci è stato consentito di fare un raffronto tra le diverse modalità di intervento che in vario modo interpretano il tema della conservazione e dell’identità di queste “cattedrali” laiche del lavoro.

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Fig.1 I tre ambiti di città che insistono sul Padiglione 1. Centro città 2. Padiglione del Sale 3. Quartiere di Sant’Elia

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Fig.2 Potenzialità dell’area di progetto per la ricucitura urbana di due porzioni di città da sempre separate

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Cagliari_una cittĂ che guarda al mare

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Fig.3 nella pagina precedente: Veduta del porto di Cagliari dal dirigibile,1921. <http://fotografismo.altervista.org> Fig.4 Foto storica del Porto di Cagliari. <http://www.sardopoli.it>

P. Sica, Storia dell’Urbanistica. Il Novecento, Editori Laterza, Roma 1996.

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“...Esistono città sul fiume Parigi, Londra, Roma, mille altre, e città sul mare, Napoli, Odessa, o Tokyo; e città sul lago Costanza o Chicago; città sul lago e sul fiume Ginevra ; città su lagune Amsterdam, Venezia. Esistono città che non hanno né fiume, né mare, né lago, né laguna. Ma nessuna città manca di rapporto, magari segreto, con l’acqua”1.

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interazioni tra città e porto in epoca pre-industriale

La conformazione del paesaggio costiero Mediterraneo presenta differenti matrici antiche, ancora leggibili attraverso i tracciati e la morfologia degli insediamenti. Sino alla prima metà del secolo scorso l’identità urbana delle città costiere era legata all’immagine del porto; seppur separato da fortificazioni esso era strettamente legato alla vita urbana; infatti, solo le operazioni di sbarco avvenivano sulle banchine mentre la maggior parte delle attività commerciali era dentro la città. Qui erano localizzati i principali mercati, le piazze per la vendita delle merci e gli spazi retro portuali dove si svolgevano tutte le attività di scambio, non solo luoghi del commercio ma anche di sosta e passeggio. La città e il porto costituivano un unico sistema, un disegno urbano unitario assicurava l’organicità della città-porto2. In tempi più recenti, con l’intento di dare vita a una nuova economia, il paesaggio costiero ha subito delle importanti trasformazioni, conseguenza dell’industrializzazione e della crescita urbana, che hanno dato alla città la conformazione che oggi conosciamo. Nel contempo le nuove esigenze di sviluppo hanno richiesto innesti radicali su parti di territorio precedentemente lasciate alla produzione agricola e artigianale. La città e il territorio, quindi, trasformati per adeguarsi alle nuove tecnologie e tecniche di produzione. Ma, come risultato della rincorsa febbrile verso nuovi modelli di sviluppo, sono sorti innumerevoli complessi architettonici, oggi riconosciuti come patrimonio di “archeologia industriale”. Complessi che spesso non sono arrivati nemmeno a produrre o lo hanno fatto per poco tempo, al punto da essere definiti come vere e proprie “cattedrali nel deserto“3. Centro principale di queste grandi trasformazioni sono le città portuali che si sono adeguate alle nuove esigenze dei trasporti marittimi conseguenza dell’incremento degli scambi commerciali su grande scala. Oggi la città e il porto non appaiono più legate come in passato, si presentano spesso come due sistemi distinti e distaccati che hanno perso quei legami funzionali e sociali che li caratterizzavano, assumendo un autonomia che non esisteva nelle città del passato. 2 cfr. <http://retedigital.com/wp-content/themes/ rete/pdfs/portus/Portus_15/I_porti_delle_città. pdf> 3 F. Calzolaio, Cattedrali dell’archeologia industriale costiera, Editgraf, Torino 2006, p.6.

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il porto di cagliari

Inseritasi nel circuito commerciale europeo sotto il dominio pisano nel XIII sec. la città di Cagliari necessitò della costruzione di una grande palizzata a protezione del porto sia a levante che a ponente. L’ingresso delle navi avveniva tramite un varco centrale controllato da sistemi di difesa. La città vide incrementare le proprie attività commerciali sotto il dominio aragonese prima e spagnolo poi, con il porto integrato nel sistema fortificato data la presenza di alcuni baluardi difensivi. L’attuale quartiere “marina” iniziò a diventare il centro delle attività commerciali arricchendosi di botteghe, mercati, magazzini e depositi per le merci. Con il finire delle guerre napoleoniche il porto perse sempre più la sua natura difensiva sino all’ultimo decennio dell’Ottocento quando si arrivò all’abbattimento delle mura e dei bastioni della Marina. Sul sedime murario venne posato un nuovo tracciato di binari ferroviari per consentire il raggiungimento dei diversi moli e permettere il raccordo tra lo scalo portuale e la nuova stazione delle Ferrovie Reali. Con l’arrivo della ferrovia la zona ovest della città assunse sempre più una dimensione industriale. Le grandi trasformazioni arrivano negli anni ’80 del Novecento quando a Cagliari si realizza il Porto Canale, in stretta vicinanza alle realtà industriali e alla ferrovia, con l’obiettivo di liberare il porto storico dal traffico merci destinando a quest’ultimo solo il traffico passeggeri e da diporto. Inizia cosi la nuova sfida, “riqualificare il waterfront e promuovere un moderno “distretto del mare” in cui far coesistere armonicamente attività della nautica, della cantieristica e della pesca con attività industriali, commerciali e turistiche, oltre ad attività collegate al terziario avanzato, in grado di fornire un’ampia serie di servizi ad elevato valore aggiunto e nuove opportunità produttive”4.

4 Piano Strategico di Cagliari, 2012. <http://www.comune.cagliari.it/PianoStrategico>

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Fig.5 Veduta sulla cittĂ di Cagliari, il porto e la piana di Su Siccu. <http://www.sardopoli.it> Fig.6 Il lungomare di Cagliari negli anni ‘30. <http://www.sardopoli.it>

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dalle città-porto ai porti delle città

cfr. <http://www.ordinearchitettipescara.it/allegati/concorso_archilettura/31 L’ARCHITETTURA DELLE CITTA D’ACQUA IL PORTO di-Brunella-Imparato.pdf> 5

Rino Brutamasso, Water and Industrial Heritage, The Reuse of Industrial and Port Structures in Cities on Water, Marsilio, Venezia, 1999, p.19. 6

Possiamo parlare di “città-porto” prima che il fenomeno della globalizzazione e dello sviluppo dei commerci su grande scala ne mutasse i rapporti, rendendo le relazioni tra le parti sempre più complicate e discontinue. Oggi infatti ci sembra più appropriato parlare di “porti delle città”5 dato che il porto ha assunto, negli ultimi decenni, una sempre più elevata autonomia rispetto alla città. D’altro canto la città ha riscoperto e rivendicato l’importanza di ritrovare un dialogo con l’acqua: il fenomeno del Waterfront Redevelopment ormai si è dimostrato un buon volano per la rivitalizzazione e la riqualificazione di intere porzioni urbane e territoriali. Negli ultimi decenni del secolo scorso sono state numerosissime le esperienze progettuali tese a rivitalizzare e valorizzare la presenza dell’acqua. I porti, nelle città costiere del mediterraneo rappresentano i waterfront per eccellenza preso atto che li ritroviamo quasi sempre a stretto contatto con i centri storici. A seguito dell’evoluzione dei mezzi di trasporto e dei progressi fatti nel campo navale le città portuali si sono dotate di gru, moli, bacini, magazzini e depositi, dando luogo a quelle straordinarie opere architettoniche novecentesche capaci di armonizzarsi e relazionarsi con quello che è il territorio circostante. Oggi si moltiplicano gli esempi di spazi antropizzati disponibili per un riuso. Attraverso processi di riqualificazione e rilancio di questo patrimonio ormai in disuso, fatto di industrie, arsenali ed edifici adibiti a deposito che fanno parte dell’identità dei luoghi, passa la possibilità di ristabilire un contatto positivo tra acqua e città, assumendo un ruolo cardine per il processo di sviluppo urbano. Ripensare questi luoghi, talvolta emarginati e del tutto inaccessibili, potrebbe significare non solo restituire alla città oggetti con un significativo valore storico-architettonico ma anche migliorare le condizioni socio-economiche di interi brani urbani. Si parla di urbano perchè, come sostiene Rino Brutomesso nel suo libro Water and Industrial Heritage, il fenomeno dell’industrializzazione nelle città europee è un fenomeno eminentemente urbano, a differenza di altri paesi, dove le città nascono, spesso, in seguito a processi di industrializzazione, ed è la fabbrica a generare la città”6. In questo quadro, dove le fabbriche spesso si vengono a trovare nelle vicinanze del tessuto consolidato, l’acqua è presenza stabile sia per ragioni produttive che logistiche e spesso incrementa il valore e le potenzialità di questi luoghi. Un buon intervento di recupero e riuso dunque non può prescindere da questi due elementi, la città e gli spazi d’acqua, che per vicinanza tra essi si legano.

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la rinascita delle città portuali

Sia a livello italiano che europeo sono ormai tante le esperienze progettuali tese a recuperare o meglio “riconquistare” il rapporto con l’acqua attraverso progetti di riqualificazione dei waterfront e degli ex depositi e industrie che, in attesa di una seconda vita, su di essi vi sedimentano. Il denominatore comune in tali interventi è la presenza dell’acqua, che non solo funziona come elemento di valorizzazione di questi luoghi ma in molti casi è parte fondamentale della loro fruizione. Nell’ultimo decennio importanti città portuali si sono dotate di strumenti di salvaguardia e sviluppo per ridar vita alle loro aree portuali, dando avvio a un numero consistente di interventi specifici, fra di loro integrati, caratterizzati da una mescolanza di funzioni che puntano sull’innovazione e sulla cultura. Un ruolo fondamentale ricade sull’ente locale che, attraverso il coinvolgimento degli altri portatori di interesse sul territorio, deve poter definire una strategia di sviluppo che garantisca nel contempo la conservazione della storia e della memoria propria di questi manufatti. Il tema della destinazione d’uso, per esempio, è fondamentale per il successo di un intervento di recupero, e spesso emerge come compromesso tra la domanda formulata dall’amministrazione pubblica e quella dei soggetti d’impresa. Gli interventi realizzati o ancora in fase di sviluppo e definizione mettono in mostra una molteplicità di modelli: - il caso di Barcellona dove il vecchio porto commerciale non più consono alle nuove esigenze del trasporto marittimo abbandona la funzione madre per convertirsi in mosaico di spazi ospitanti al loro interno un mix di funzioni ricreative e culturali, per la comunità; - a Genova il porto vecchio affianca alle proprie funzioni tradizionali, legate al traffico crocieristico e al diporto, funzioni del tutto nuove, quali spazi per il tempo libero e per attività culturali legate al mare; - abbiano, inoltre, esempi più complessi dove intere aree portuali a carattere industriale, ormai cadute in disuso, vengono recuperate e bonificate. Questi processi di rigenerazione urbana cambiano completamente il volto e la vocazione di tali aree dando una nuovo volto e un nuovo carattere alla città; è il caso di Bilbao e Porto Marghera a Venezia; - situazione più complessa è quella che vede edifici di grande valore storico ar-

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chitettonico, come vecchi arsenali e porti militari, oggetto di recuperi conservativi attenti alla natura dei luoghi, spesso trasformati per individuare nuovi spazi per attività produttive, museali ed espositive; caso simbolo di queste trasformazioni è l’Arsenale di Venezia; - infine azioni su piccola scala, tese alla valorizzazione di quelle testimonianze di attività lavorative portuali ormai obsolete. Si tratta di piccoli frammenti di archeologia industriale meritevoli di attenti interventi volti alla conservazione di vecchi depositi, darsene, bacini e gru7.

7 cfr. Waterfront e rigenerazione urbana di Chito Guala. <http://www.economia.unical.it/sturistiche270/ collegamenti/56.pdf>

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il caso di genova

L’esperienza di Genova prende avvio dalle Celebrazioni Colombiane per i cinquecento anni dalla scoperta dell’America, nel contesto di Expo ’92. La città già negli anni 60’, con la commissione guidata da Giovanni Astengo incaricata della revisione del Piano Regolatore Generale, si interrogava sull’adeguatezza del Porto Antico ad ospitare navi di stazza sempre più grande, con un costante aumento del traffico merci tramite container e la conseguente richiesta di grandi aree per il loro accumulo e la movimentazione a terra. In quegli anni quindi le prospettive di sviluppo sembravano illimitate ed il Consorzio Autonomo del Porto decise per una programmazione in un’ottica di crescita continua dei traffici merci, senza tenere conto delle ricadute che tali logiche avrebbero avuto sulla città e sul suo tessuto economico e sociale. Solo a partire dai primi anni 80’ si iniziò a porre maggior attenzione sulla necessità di avviare un processo di recupero del waterfront genovese così da ridonare alla città un affaccio agevolato sul mare, da anni negato da quelle stesse barriere doganali che delimitavano l’area portuale. A partire da questo momento il Porto Antico, con i suoi moli e i suoi magazzini storici, vennero visti come un potenziale volano per la riqualificazione non solo della zona portuale ma dell’intero Centro Storico. Il processo si avviò con la creazione di percorsi pedonali di collegamento diretto fra alcune specifiche polarità urbane del centro storico ed il Porto Antico, e con il successivo avvio di interventi di salvaguardia delle opere di grande valore storico architettonico presenti nel bacino portuale. Nel 1985 la Regione Liguria, il Comune di Genova ed il Consorzio Autonomo del Porto firmarono un “protocollo d’intesa” che stravolse l’aspetto del Porto Antico. Infatti, si decise di destinare i vecchi moli ad un nuovo uso turistico e per la nautica da diporto. Questa innovativa idea per il porto, non più spazio chiuso e separato dalla città con barriere ma luogo riconnesso funzionalmente al centro storico ed ai quartieri limitrofi, poteva rappresentare una occasione di rilancio verso una economia più dinamica legata al turismo ed al tempo libero. Il traffico merci a questo punto fu spostato a ponente, attivando il Porto di Voltri, che presentava caratteristiche più adeguate alla movimentazione delle merci, con spazi a terra molto più vasti ed un bacino portuale più profondo per l’approdo delle grandi navi.

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Fig.7 Il porto antico di Genova. In evidenza la trasformazione portuale nei sui settori seccessivamente all’expo 92’ che ha visto la riorganizzazione della vecchia darsena in un ottica di ricongiunzione tra centro storico e porto.

cfr. Francesco Gastaldi, “Genova. La riconversione del waterfront portuale. Un percorso con esiti rilevanti. Storia, accadimenti, dibattito” in Michelangelo Savino (a cura di), Waterfront d’Italia. Piani politiche progetti. FrancoAngeli Editore, Milano, 2010. 8


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Nel 1988, con l’approvazione della variante al Piano Portuale, il Comune si proclamò favorevole al cambio di destinazione d’uso dei vecchi moli in spazi per il commercio, per la fruizione ludica e ricreativa, con la possibilità di avviare attività non concorrenziali ma sinergiche a quelle delle aree contigue e del centro storico. Inoltre, con l’abbattimento delle barriere doganali, si permise il potenziamento della viabilità che costeggia l’area del porto, un incremento dei parcheggi ed un potenziamento dei percorsi pedonali che dal centro scendono verso il mare8. A inizio anni 90’, la città storica versò purtroppo in uno stato di marcato degrado a causa della annosa crisi del comparto industriale e dello smantellamento delle attività portuali nell’area del Porto Antico. Tale crisi portò con sé forti ricadute negative sul tessuto socio-economico ed urbano, trasformando il volto tradizionale dell’area portuale e dei quartieri limitrofi. I genovesi si erano oramai allontanati progressivamente dal mare e dalla realtà portuale considerata zona poco sicura; le aree dismesse, un tempo ricche di infrastrutture, versavano in uno stato forte di degrado.

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Fig.8 Il porto antico di Genova. In evidenza gli edifici oggetto di intervento. 1. Il magazzino del cotone 2. L’acquario e la “bolla” 3. Il bigo.

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L’Expo fu l’occasione giusta per il rilancio e la rivalorizzazione del Porto Antico, eletto a luogo emblematico, destinato ad ospitare i vari padiglioni dell’esposizione. Protagonista nella ristrutturazione portuale fu l’architetto ligure Renzo Piano, incaricato di restituire il mare ed il porto alla città; come sostenne lo stesso architetto “Prima del ’92 il porto era separato dalla città, ma da allora Genova ha potuto ritrovare il suo contatto con il mare e ristabilire un rapporto con l’acqua”. L’amministrazione comunale scommise su un’ipotesi tutt’altro che scontata: organizzare lo spazio espositivo fuori dal centro storico, sui moli storici del Porto Antico. Le linee ispiratrici di tale significativo intervento furono: realizzare opere permanenti per la città, riconnettere il centro storico della città con il porto, garantire una riqualificazione dei brani urbani limitrofi alla zona portuale, riattivare alcuni importanti edifici esistenti lungo i moli cercando di preservarne gli aspetti storici e architettonici9. Due azioni costituirono la base per lo sviluppo delle successive attività: la riqualificazione dei Magazzini del Cotone e l’Acquario. I Magazzini, edificati nel primo ‘900, adibiti allo stoccaggio delle merci, si elevano sul molo vecchio del porto antico; oggi si qualificano come strutture polifunzionali ospitanti sale cinematografiche, sale giochi, bar, negozi, ristoranti e centri congressi. All’edificio storico, lungo circa 400 m, si affianca un corpo di fabbrica che accoglie tutti gli impianti tecnologici ed alcuni parcheggi; in tal modo viene salvaguardata la qualità della costruzione di fine secolo e continua il dialogo e la memoria che questi contenitori portuali ancora racchiudono e raccontano. A tutt’oggi il centro congressi, allestito negli ex magazzini del cotone, conta una presenza annua continua di circa 100.000 persone ed è stato premiato come secondo miglior centro in Italia, dopo il Lingotto di Torino. Allo stesso tempo presero avvio altri progetti con l’obiettivo di incrementare la vocazione turistica dell’area; si costruì un terminal crociere per garantire servizi di accoglienza e attrazione per i passeggeri. A inizio anni duemila l’incremento dei flussi turistici e dei residenti nell’area creò occasioni per nuove opportunità commerciali. Il 2001, anno del G8, portò con sé ulteriori interventi di risistemazione delle zone pedonali e di ampie parti del 9 Rino Brutamasso, Water and Industrial Heritage, The Reuse of Industrial and Port Structures in Cities on Water, Marsilio, Venezia 1999, p.106.

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centro storico, con opere di riqualificazione edilizia sia pubblica che privata su piazze e spazi pubblici. Questi furono gli anni della costruzione della “Bolla” di Renzo Piano, una biosfera costruita su una piattaforma galleggiante di fronte all’Acquario che incrementò ulteriormente l’offerta attrattiva dell’area. Un passaggio fondamentale, che ha garantito il successo nel lungo periodo, è costituito indubbiamente dalla corretta gestione dell’eredità materiale lasciata dall’evento Expo. Inizialmente i canali di finanziamento furono attivati direttamente dallo Stato; terminata l’esposizione l’amministrazione locale, erede degli spazi e degli edifici, creò una società avente come quote partecipative il Comune di Genova all’80% e al 20% la Camera di Commercio10. Nel ’95 la società denominata “Porto Antico di Genova Spa”, attraverso una gara internazionale, cercò di acquisire proposte ed investimenti. Gli obiettivi previsti miravano a rendere fruibile l’area post expo continuativamente nell’arco dell’anno, fare del porto un polo di attrazione turistica per la città, ottimizzare i costi di gestione dell’area, potenziare i servizi per la nautica da diporto attraverso un miglioramento anche delle banchine11. Oggi questi luoghi sono frequentati da oltre 4 milioni di turisti l’anno e gli stessi abitanti si sono finalmente riappropriati di quei luoghi che fanno parte della storia nazionale. Dal ’92 Genova ha potuto quindi riaffermare il suo ruolo nel panorama internazionale; oltre che città dal carattere meramente “industriale” e “portuale”, ha voluto riscattare con orgoglio il suo centro storico con i suoi palazzi, i suoi musei, proponendosi sempre più nella rinnovata dimensione di città d’arte e di cultura.

cfr. Waterfront e rigenerazione urbana di Chito Guala. <http://www.economia.unical.it/sturistiche270/ collegamenti/56.pdf>

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Rino Brutamasso, Water and Industrial Heritage, The Reuse of Industrial and Port Structures in Cities on Water, Marsilio, Venezia 1999, p.107. 11

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Fig.9 Foto aerea, porto antico, Genova. Fig.10 Ex magazzini del cotone, Genova.

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il caso dell’arsenale di venezia

L’arsenale di Venezia rappresenta la culla della cultura marittima nazionale. Un luogo dove a partire dalla Serenissima Repubblica di Venezia sino all’Italia repubblicana, si sono prodotti gioielli incomparabili della flotta navale italiana. Dal XIII sec. ad oggi l’Arsenale ha subito notevoli modifiche in particolare nei suoi capannoni, giustificate sia dall’aumento della domanda che ha portato ad ampliamenti obbligatori del complesso, sia dagli sviluppi e innovazioni tecnologiche che hanno prodotto nuove esigenze per i processi di produzione12. Negli anni ’50, a seguito della decisione di trasferire altrove parte del comando di dipartimento della Marina Militare, alcune porzioni dell’arsenale furono abbandonate. Nel giro di pochi anni, a causa della mancanza di manutenzione e scarso utilizzo, parte di questi edifici si ritrovarono in condizioni critiche: la compromissione di alcune coperture aveva di fatto avviato processi di grave degrado nei manufatti. A partire dagli anni ’80 prese corpo la concreta volontà di intervenire su tali edifici, soprattutto attraverso la costruzione di strumenti di tutela e recupero concordati tra soggetti Pubblici e, con diverse competenze, soggetti privati13. I progetti avviati negli anni ’80-’90 si trovarono ad affrontare il complesso tema del costruire sul costruito per l’implementazione di nuove funzioni all’interno degli involucri storici. I primi interventi (Arsenale nord) servirono a consolidare una base di regole comuni valide anche per i successivi interventi, in maniera da tutelare al massimo il patrimonio storico-architettonico esaltando il dialogo tra nuovo e antico14. Il progetto per la riqualificazione dell’intera area necessariamente coinvolse numerosi soggetti: Comune di Venezia, Marina Militare, Soprintendenza, Agenzia del Demanio; questi si impegnarono nel predisporre piani operativi condivisi volti a definire il quadro programmatico nel lungo periodo. Il quadro esigenziale ha previsto la trasformazione degli antichi spazi dell’Arsenale per nuovi luoghi di ricerca, attività produttive, spazi culturali e museali, col fine di riavviare un complesso architettonico rappresentativo e da sempre fonte di ricchezza per la città. Nel ’97 la Thetis Spa. previde l’insediamento nell’arsenale di attività ad elevato contenuto tecnologico: con lo scopo di gettare le basi per successivi interventi nell’area, nel 2002 fu fondata la società Arsenale di Venezia, con l’impegno di fornire tutti i servizi funzionali per la completa fruizione dell’area. Vennero avviati

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Fig.11 L’Arsenale di Venezia, riorganizzazione dell’intera area con l’inserimento di nuove funzioni all’interno degli involucri storici.

12 F. Calzolaio, Cattedrali dell’archeologia industriale costiera, Editgraf, Torino 2006, p.34. 13 cfr. <http://arsenale.comune.venezia.it/wp-content/uploads/2014/05/20160905_Documento_Direttore.pdf> 14 cfr. documento Direttore per l’arsenale di Venezia. <http://arsenale.comune.venezia.it/wp-content/ uploads/2014/05/20160905_Documento_Direttore.pdf>


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cosi gli interventi della Tesa 105 che oltre ad offrire tutti i servizi per il pubblico come bar, punti di informazione e book shop, ospitò al suo interno un centro di incubazione per nuove imprese per segnare il carattere produttivo dell’area. Seguirono altri progetti: il Tesa 113 per ospitare funzioni legate al ristoro, il recupero della Torre di Porta Nuova che segna l’accesso all’Arsenale e ospita sale espositive, ed infine quello per il ponte prossimo alla torre, necessario per potenziare il sistema di accessibilità e fruizione dell’intero complesso. Questi progetti di recupero di vecchi contenitori edilizi affrontano il tema della “scatola dentro la scatola”. Le proposte progettuali dovevano soddisfare le richieste del bando: occupare il 50% del suolo disponibile senza toccare i muri esistenti e realizzare strutture di tre piani per sfruttare convenientemente lo spazio disponibile all’interno dei padiglioni. Le proposte porgettuali con linguaggi e metodi differenti vanno a riorganizzare e re-inventare gli spazi interni con l’aggiunta di scatole in vetro e acciaio che si staccano dai muri storici seguendo un processo di dialogo continuo tra nuovo e storico.

Fig.12 Pianta, Arsenale, Venezia.

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Fig.13 Tesa 105, Arsenale di Venezia. Fig.14 Uffici CNR, Arsenale di Venezia.

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cagliari e le sue attività portuali a inizio novecento

A Cagliari, spesso, il termine “industria” veniva associato all’attività di raccolta del sale; solo una piccola parte del raccolto veniva destinato al mercato interno, il resto veniva esportato. L’attività salifera si è sempre svolta a stretto contatto con il porto e la città; il sale veniva trasportato sino al porto con l’impiego di chiatte per essere successivamente caricato nelle stive delle navi. Solo intorno agli anni ’60 , nel margine sud orientale dell’area portuale, venne realizzato un silos a sezione parabolica per il deposito del sale in maniera da ottimizzare le operazioni di carico. Agli inizi del novecento, altre attività industriali si stabilirono nell’isola; la zona occidentale del porto, in prossimità della ferrovia, diventò il luogo ideale per le attività della Semoleria Italiana. La sua vicinanza alle banchine portuali e alla ferrovia agevolava il trasporto dei prodotti sia in ambito isolano che nazionale. Il complesso comprendeva i silos per la conservazione delle granaglie, i frantoi e i magazzini per le merci in ingresso e in uscita. Negli stessi anni, sempre nella zona occidentale dell’area portuale, sorsero nuove attività industriali legate alla ceramica, alla produzione cementifera ed ai prodotti chimici. L’ex Montecatini, per esempio, diede avvio alla costruzione di un grande silos di forma parabolica con caratteristiche simili a quello utilizzato dalle Saline di Stato per il deposito del sale. Questi importanti esempi di siti industriali, che hanno costituito per quasi un secolo l’identità portuale della città, hanno rappresentato una vivida espressione delle tecniche legate al movimento moderno applicato per la costruzione di possenti manufatti industriali in cemento armato dalle perfette forme geometriche. Sono opere nate per resistere al tempo e ad elevatissimi carichi di lavoro, costruite con sistemi seriali in grado di garantire loro una ottima flessibilità e adattabilità funzionale. Gli edifici sopracitati hanno una caratteristica comune: sono a stretto contatto con l’acqua e narrano di realtà industriali urbane. Il futuro della zona portuale cagliaritana potrebbe passare proprio da queste “cattedrali del lavoro”, prevedendone il reinserimento nel ciclo vitale della città, un nuovo contatto con l’ambiente urbano, con i suoi poli, con la rete di percorsi che dal porto passando per canali e le zone umide, arrivando sino al litorale sabbioso del Poetto. In questa revisione potrebbero essere proprio le vie d’acqua, eredità tangibile dello sviluppo industriale e cittadino nel XX secolo, il vero assetto vincente per le attese sfide sulla sostenibilità.

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Fig.15 Ex Montecatini, Santa Gilla, Cagliari, 1955. <http:www.cagliarincompiuta.it> Fig.16 Semoleria italiana, Cagliari, 1905. <http://www.sardegnadigitallibrary.it>

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Fig.17 nella pagina precedente. Le aree portuali di Cagliari. Relazione tra Centro, Porto Storico e Porto Canale Fig.18 nella a fianco. Le realtà produttive all’interno del porto di Cagliari. Il padiglione del Sale nella zona sud-orientale e l’ex semoleria nella zona nord.


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Inquadramento territoriale

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Fig.19 nella pagina precedente. Inquadramento area di progetto. Fig.20 Inquadramento del Padiglione del Sale.

15 cfr. SARDEGNA. Il Territorio dei Luoghi, paesaggi culturali. <http://sites.unica.it/scuolaestivasardegnailterritoriodeiluoghipaesaggiculturali>


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La presenza dell’acqua nella città di Cagliari costituisce la trama strutturale che governa ancora oggi lo sviluppo del tessuto urbano. Il paesaggio appare un composito eterogeneo di scenari dove il sistema delle saline predomina su tutti. Contemporaneamente risulta slegato dal contesto cittadino e non appare come opportunità di diversità urbana, viceversa come vuoto non sfruttato. Inserito in questo panorama, con un linguaggio senza precedenti emerge il Padiglione del Sale, rintracciabile nella fetta delimitata dall’asse mediano di scorrimento, dal canale di San Bartolomeo e dal fronte mare di Sant’Anselmo, transetto di paesaggio straordinario sotto il profilo delle strategie di riqualificazione e ricucitura di due parti di città che ancora appaiono disconnesse15.

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infrastrutture e servizi

Percorrendo circa dieci chilometri dall’aeroporto di Elmas e poco meno di due in direzione Sud-Ovest dal centro urbano, ci si può immergere nell’ambiente naturale del Padiglione del sale; porta di accesso dal mare al sistema delle saline del Molentargius. Nonostante l’edificio, con il suo spazio di pertinenza, sia localizzato nelle vicinanze delle principali vie di connessione della città, non è di facile raggiungimento per i cittadini del capoluogo sardo. Esso, infatti, appare come estremità Ovest della barriera che separa la città consolidata dalla sua proiezione verso Sud, in direzione della Sella del Diavolo e del litorale del Poetto. Tale confine è disegnato dalla presenza del canale di San Bartolomeo, che regola lo scambio d’acqua fra le saline e il mare e dall’infrastruttura costruita nei primi anni ‘80 che crea un grande anello a scorrimento veloce attorno alla città. Quest’ultima, che costeggia per gran parte del suo percorso il canale funge da grande cordone di smistamento del flusso automobilistico che dal centro si sposta verso le zone periferiche della città, contribuendo a inspessire la barriera urbana16. Due arterie che se da un lato hanno avuto un ruolo fondamentale nella costruzione della trama urbana dall’altro hanno diviso la città in due porzioni; portando con se spazi di risulta che negli anni hanno perso qualunque qualità urbana, diventando il luogo ideale per insediamenti e discariche abusive. Il padiglione si colloca in una di queste porzioni, con un’accessibilità che rimane limitata a una stradina a uso ciclo-pedonale che aggirando la marina di Sant’Anselmo arriva all’ingresso dell’area17. Benché si presenta limitrofo a uno scenario a tratti frenetico, contraddistinto da tre poli dominanti come lo stadio “Sant’Elia”, l’adiacente “Arena” per i grandi eventi e la “Fiera Internazionale della Sardegna”, quando ci si trova all’interno dell’area del padiglione si avverte un senso di pace, perché ancora oggi, che non si affaccendano più gli uomini e non si sente più il rumore delle macchine rimane intatto quel perfetto legame tra cielo e mare che solo l’attività salifera è capace di creare.

cfr. Silvano Piras, Paesaggio vie d’acqua. <http://www.sardegnadigitallibrary.it/documenti/17_151_20140211124543.pdf> 16

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cfr. <http://www.apmolentargius.it/pagina>


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Fig.21 Infrastrutture terrestri e marine 1. Canale di San Bartolomeo 2. Asse di scorrimento mediano 3. Viale Salvatore Ferrara

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Fig.22 I servizi e lo sport 1. Fiera Internazionale 2. Stadio di Sant’Elia 3. Stadio di atletica leggera 4. Skate Park 5. Palazzetto dello Sport 6. Società Ginnastica Amsicora

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collegamenti

Nonostante la considerevole prossimità alla città e l’affaccio privilegiato sul porto di Cagliari, poter apprezzare questo gigante di cemento armato ancora oggi non appare di facile riuscita. Sebbene negli ultimi anni le politiche che hanno interessato il Parco del Molentargius lo hanno reso un punto di snodo dei percorsi perdonali che dal porto arrivano sino alle saline di Quartu, la restituzione di questo spazio alla città sembra ancora lontana dall’essere compiuta. Le grandi arterie che costeggiano questo reperto d’archeologia industriale di straordinaria bellezza esercitano più una attività di barriera che di accesso allo stesso; la sua imponenza viene ridimensionata dai cavalcavia e dai ponti pedonali che scavalcando il canale portano al vicino stadio. Oggi infatti, il ruolo di quella “cattedrale” che negli anni ‘50 mostrava la sua imponenza sul paesaggio pianeggiante delle saline viene ridimensionata dalla città moderna fatta di grandi infrastrutture e blocchi abitativi per l’edilizia economico popolare. Attualmente l’unica via che permette l’accesso al padiglione è via Caboto (una delle traverse di via Salvatore Ferrara). Quando il suo percorso carrabile viene interrotto dalla Marina di Sant’Anselmo, essa si presenta come estensione verso il paesaggio rurale lungo il canale di San Bartolomeo tramite una pista ciclabile, che permette di legare il padiglione al suo habitat d’origine, ovvero le saline di Cagliari e del Poetto. Negli 2014 l’amministrazione comunale con il “Programma di Valorizzazione Urbana del Quartiere Sant’Elia”18, all’interno della politica di incentivazione della mobilità sostenibile nel territorio prevede la realizzazione di un ponte ciclo pedonale sul canale di San Bartolomeo in grado di riconnettere i due segmenti di lungomare, a nord quello di Su Siccu, a sud quello di Sant’Elia, riallacciando il quartiere al centro della città ed al suo porto turistico. Questi due percorsi vanno a intercettare il padiglione che per la sua riconoscibilità e identità, punta a divenire il luogo dell’integrazione delle specificità presenti nel quartiere in grado di definirne la sua nuova immagine rispetto al resto della città. Spettatori privilegiati del gigante “nerviano” rimangono gli sportivi che giornalmente percorrono il canale per attività di canottaggio o quei turisti che decidono di fare l’esclusione in battello all’interno del parco. Ancora una volta le vie d’acqua rappresentano il naturale punto di accesso e di arrivo all’edificio. Analizzando la funzione dell’edificio non è difficile immaginare come esso sia stato concepito per guardare al mare, il sale arrivava dal canale attraverso zattere e dopo una breve sosta nel padiglione attraverso il mare raggiungeva il continente europeo.

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18 Delibera: 152 / 2014 del 21/11/2014, Contratto di valorizzazione urbana del quartiere Sant’Elia, ponte ciclo pedonale sul canale di S. Bartolomeo.


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Fig.23 Accessibilità al Padiglione del Sale 1. Collegamento via mare 2. Via Caboto 3. Marina Sant’Anselmo 4. Canale di San Bartolomeo 5. Asse di scorrimento mediano

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3 Fig.24 Percorsi pedonali in prossimità dell’area di intervento 1. waterfront pedonale 2. percorso naturale ciclo-pedonale 3. attraversamento ciclo-pedonale in progetto

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uso del suolo

Formato all’inizio del secolo attraverso le bonifiche idrauliche del Golfo degli Angeli che hanno dato alla terra ciò che prima apparteneva all’acqua, la porzione di territorio che si estende sino al quartiere Sant’Elia è un luogo di cui nessuno conserva la memoria per la sua stessa natura di “nuovo suolo”. Attraverso le bonifiche si ridisegna la linea di riva del golfo già segnata da alcuni canali navigabili utilizzati per il trasporto del sale, su queste direzioni si depositeranno, negli anni successivi, alcuni oggetti puntuali, primo tra tutti il Padiglione del Sale del 1954 che segna la vocazione produttiva dell’area fino agli anni ‘70 del novecento19. L’attività estrattiva del sale lungo tutto il percorso del lungomare Poetto, con il passare degli anni, ha creato all’interno del panorama cagliaritano una vera e propria industria a cielo aperto, manifestazione di un’artificialità naturale. Con il concludersi dell’attività di estrazione e il conseguente abbandono dell’area, essa si presenta ad oggi come parco urbano i cui ultimi frammenti, rintracciabili in quello che ora è il quartiere di Sant’Elia, fanno da habitat al paraboloide “nerviano”. E’ ben comprensibile come l’inserirsi del padiglione in questo contesto, sia metropolitano che rurale, diviene un’opportunità ma contemporaneamente richiede un’attenzione particolare avendo come bisogno principale quello di equilibrare le esigenze urbane con quelle naturalistiche. In tale area, infatti, non è difficile rintracciare eventi attribuibili a un uso non adatto del territorio; questi si presentano ancora oggi sotto forma di edificato illegale sparso, formazione di discariche, localizzazione di attività non compatibili con il carattere dei luoghi (officine meccaniche e depositi materiali), che inevitabilmente inducono i flussi veicolari a immettersi all’interno del parco, interferendo ulteriormente in maniera negativa alla salvaguardia dell’ecosistema. Contemporaneamente, i brandelli di questo parco che ospitano il paraboloide si ritrovano mescolati in un composito di molteplici usi del suolo, con funzioni di tipo ricreativo, sportivo e abitativo. La densità di suolo utilizzato subisce una decrescita sulla sponda sud del canale in direzione della città in espansione, mantenendo integra l’immagine del paesaggio ereditato dalla città del sale. Tale suddivisione mette in evidenza come prevalga ora la tendenza a un utilizzo prevalentemente di tipo residenziale con la conseguente perdita di quello rurale. 19 Giovanni Battista Cocco, Pier Francesco Cherchi, Architettura città e paesaggio. Il progetto urbano per il quartiere Sant’Elia a Cagliari, Gangemi Editore, Roma 2009, pp.39-40.

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Fig.25 Area Residenziale

Fig.26 Aree ricreative e sportive

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Fig. 27 Impianti e servizi

Fig. 28 Cantieri

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Fig. 29 Area portuale.

Fig. 30 Aree naturali

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il paesaggio del sale

Sotto un profilo di tipo naturalistico e paesaggistico dell’area oggetto di studio, vediamo come il linguaggio di questo luogo ha mutato la sua configurazione, in funzione di quelli che sono stati i cambiamenti della città, i differenti utilizzi del suo territorio e dell’espansione del tessuto urbano verso Sud. Particolarmente suggestivi per questo scenario caratteristico erano, più di ogni altro elemento presente, i cumuli di sale ottenuti dall’attività di estrazione nelle saline. Questi conferivano al paesaggio un’esteriorità tendente al metafisico e un‘estensione visiva ancor più d’ampio raggio, dettata dal ripetersi ritmico e omogeneo delle molteplici piramidi marmoree. Le immagini seducenti dei cumuli, probabilmente le più stimolanti tra le numerose ereditate dalle saline di Cagliari, sono andate sempre più a cancellarsi con il cessare dell’esercizio di estrazione, dove le uniche tracce di tale attività rimangono i canali e le vasche salanti, impronte di un passato che definiscono ancora oggi il genius loci del parco urbano. Peculiarità ancora oggi intrinseca nel paesaggio del sale, nonostante le alterazioni subite, rimangono le tipologie floristiche del contesto rurale. L’aspetto più appariscente della vegetazione è quello fisionomico, ossia quello legato alla forma esteriore delle varie formazioni vegetali che influenzano in modo caratteristico il paesaggio lungo le sponde dei canali e delle vasche salanti. La vegetazione, quindi lasciata evolvere in modo naturale, tende a costituire comunità stabili che si conservano in modo indefinito, senza modifiche significative, qualora le condizioni climatiche si mantengano più o meno costanti nel tempo20. A contorno di questi scenari naturali che danzano sotto le note del maestrale si presenta un’altra tipologia paesaggistica più tipicamente costiera, fusione di un sistema naturale contraddistinto da formazioni rocciose e di uno portuale. Il waterfront della città cagliaritana si estende sino a diventare parte dello sfondo di questo panorama dove il padiglione fa da protagonista, creando più scenari con il quale confrontarsi tramite le percezioni sensoriali.

20 cfr. <http://www.parcomolentargius.it/articolophp?art=568>

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Fig.31 Il parco del Molentargius 1. padiglione del Sale 2. formazioni vegetali 3. vasche salanti 4. canali 5. linea di costa

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margini

Le numerose configurazioni dell’elemento acqua nella parte orientale cagliaritana da origine a molteplici conformazioni di paesaggio a piccola e a grande scala, ora riconoscibili e differenti, ora mescolati e confusi. Nel paesaggio paludoso il terreno si presenta indefinito, una continua transizione dalla terraferma all’acqua. Quando l’acqua appare sotto forma di stagno o di una laguna “ha un effetto di materializzazione che mitiga la fissità della configurazione topografica dilatando gli spazi”21. Le vasche del sale, i canali e le sponde dei fiumi descrivono recinti che danno struttura al paesaggio, delineando un artificialità naturale. Questa attività delimitatrice, fatta di rapporti sottili e mutevoli tra terra e acqua è presente nella memoria dei cagliaritani, da sempre abituati a vivere su quel “margine” segnato dalla terra emersa dal mare. Nel caso della zona umida nel territorio orientale di Cagliari, stagni, canali, saline e il mare non fungono solo come margini ma contribuiscono a incrementare l’identità del luogo, che è alla base del senso di appartenenza che i cagliaritani hanno per questi luoghi suggestivi22. I margini non sono rappresentati solo dagli elementi fisici sopracitati, perché spesso hanno anche carattere sociologico, ne è un caso il quartiere di nuova espansione che si trova sulla riva opposta al padiglione. La crescita autonoma e non disciplinata di Sant’Elia, nonostante le intenzioni proposte dai piani regolatori precedentemente redatti per il nuovo disegno di espansione, risultano ancora oggi i problemi principali delle relazioni sociali createsi oggi con il centro cagliaritano che nei confronti del nuovo quartiere si pone con un atteggiamento ostile e diffidente. La composizione urbana, l’isolamento rispetto al contesto e il suo apparire estraneo alla città non lo rendono un polo attrattivo per essa e diviene ulteriore barriera per il paraboloide nerviano23.

Fig.32 Il paesaggio del canale di san bartolomeo 1. padiglione del Sale 2. attraversamenti stradali 3. attraversamenti pedonali stadio 4. l’infrastruttura dell’asse mediano

21 cfr. Silvano Piras, Paesaggio vie d’acqua. <http://www.sardegnadigitallibrary.it/documenti/17_151_20140211124543.pdf> 22

Ibiden.

23 Giovanni Battista Cocco, Pier Francesco Cherchi, Architettura città e paesaggio.Il progetto urbano per il quartiere Sant’Elia a Cagliari, Gangemi Editore, Roma 2009, pp.25-26.

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Saline_la storia e la realizzazione dell’edificio

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Fig.33 nella pagina precedente. Il contesto naturale del Padiglione del Sale. Fig.34 Vista del padiglione dal percorso pedonale lungo il canale di San Bartolomeo.


Il Paesaggio del Sale, segna i margini della città circondata su due lati dalle zone umide di Santa Gilla e Molentargius, articolando un paesaggio che va dal porto storico, affaccio sul mare Mediterraneo, nel cuore del tessuto urbano, sino al Parco del Molentargius, una zona di interesse internazionale per l’eccezionale varietà biologica e per la presenza dei sistemi produttivi del sale. Le aree umide in Sardegna hanno rappresentato, da un lato, un pericolo a causa della malaria e, dall’altro, hanno costituito la ragione dell’insediamento: è il caso delle Saline per Sant’Antioco e Carloforte, del Calich per Alghero, e di Santa Gilla e Molentargius per l’area urbana cagliaritana.

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la raccolta lungo la storia

Il litorale del golfo, la zona umida e le saline sono, insieme ai colli, l’elemento di maggior pregio paesaggistico dell’area cagliaritana, frutto di opere di governo delle acque svolte inizialmente con il solo lavoro umano, in seguito con l’uso degli animali e infine con mezzi meccanici. La raccolta del sale è sempre stata favorita dalle condizioni climatiche, favorendo una deposizione spontanea del sale. I Fenici quando arrivarono sul litorale cagliaritano trovarono quest’attività già presente e non fecero altro che avviare un processo di sviluppo con il fine di incrementare la produzione e gli scambi commerciali. Ma le saline del Molentargius assieme a quelle di Santa Gilla, che rappresentano i margini Est e Ovest della città ebbero uno sviluppo consistente e furono intensamente sfruttate prima dai Romani e successivamente dai Genovesi e dai Pisani. Nel 1323 a seguito del dominio aragonese, le saline divennero in parte regie e in parte feudali. I nuovi invasori concessero ai cittadini cagliaritani la possibilità di sfruttare liberamente il prodotto estratto dalle saline, ma sotto l’impossibilità di farne oggetto di vendita sul territorio o fuori dai confini isolani. Nel 1420, al fine di ripopolare i paesi vicini all’area produttiva delle saline, venne concessa l’impunità ai condannati che decidessero di spostarsi in queste aree con l’obiettivo di incrementare la manodopera all’interno delle saline24. Dal XVIII secolo, con l’accrescersi della domanda dal nord europa le saline iniziano a organizzarsi come una vera e propria macchina industriale fatta di strutture per il lavoro, ponti di ferro, idrovore, impianti ammassamento, che costituiscono una vera e propria “fabbrica del sale” e rappresentano ancora oggi uno dei maggiori esempi di archeologia industriale dell’area cagliaritana. Nel Novecento l’intero complesso delle saline è ormai segnato da una maglia di strade e canali per un’estensione di circa dieci chilometri: canali di alimentazione che partono dall’idrovora, adibiti al rifornimento delle diverse sezioni degli impianti, canali di deflusso delle acque verso il mare e canali navigabili per il trasporto del sale ai moli d’imbarco mediante barconi trainati da cavalli lungo i canali secondari e da trattrici a vapore lungo quello principale. La realizzazione dei binari lungo il canale di S. Bartolomeo consente alle trattrici di trainare i barconi carichi di sale da Molentargius fino ai moli d’imbarco25.

24 cfr. LABITARE, Tra terra e acqua, abitare il Parco del Molentargius, 2013. http://people.unica.it/sabrinadessi/tra terra e acque_area di progetto.pdf 25 cfr. Sergio Atzeni, Storia delle Saline, dei Fenici e degli Asini, 2008. <http://www.parcomolentargius.it/articolo.php>

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evoluzione dei sistemi di imbarco

Il trasporto del sale avveniva con le maone26 costruite e sottoposte a manutenzione allo Scalo, dietro l’edificio dei Sali Scelti. Davanti alla Direzione si effettuava la stazzatura delle maone, sulla base dei pesi posti a poppa ed a prua. Una volta giunte al canale principale, le maone venivano trascinate sino alla Palafitta e da qui, in carovane da 8 a 10, raggiungevano il porto di Cagliari grazie ai rimorchiatori a carbone. Alla dismissione delle maone in seguito alla costruzione del silos e all’ampliamento del porto della Palafitta, si fece ricorso alle barchette di ferro trainate (in gruppi di 6-10) da trattori elettrici e da rimorchiatori a propulsione cicloidale. Il tutto sino all’introduzione dei trenini e dei camion, quest’ultimi negli anni ’80. Negli stessi anni al capannone venne affiancato un impianto di imbarco con un brandeggio mobile con la possibilità di spostarsi lungo il molo. Esso veniva direttamente servito da camion che scaricavano il contenuto in una tramoggia garantendo un carico di 500 t/h. Nel 1928 fu realizzata la Darsena del Sale nello sbocco a mare del canale di S. Bartolomeo (della Palafitta). La sua limitata profondità però permetteva operazioni di carico solo a battelli che non superassero le 1500 t di stazza; quindi le navi di dimensioni maggiori continuavano ad utilizzare il porto. Intorno agli anni ’50 fu progettato il silos per il deposito del sale, così da ottimizzare il lavoro di carico delle navi nella Darsena27.

26 le maone erano delle barche in legno adibite al trasporto del sale a bordo vi erano un barcaiolo ed un timoniere. Il carico massimo si aggirava sulle 18 tonnellate. 27 cfr. <http://www.parcomolentargius.it/articolophp?art=568>

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Fig.35 Carico della nave “Nicolo Maria”_tratto da: film documentario Le saline del Poetto. 1956, girato dall’istituto LUCE. <https://www.youtube.com/watch?v=m703nR526aA> Fig.36 Raccolta del sale e trasporto nei vagoncini. <http://tottusinpari.blog.tiscali.it/files/2010/11/ SALINA-DI-CAGLIARI.jpg>

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la nascita del padiglione

Il padiglione nasce sulla base di alcuni progetti, elaborati dall’ingegner Pier Luigi Nervi, per uso industriale tra gli anni 1940-60. In questo stesso periodo si realizzano in Italia decine di magazzini a copertura parabolica di ogni forma e dimensione. L’equilibrio perfetto tra estetica e funzionalismo che caratterizza questi manufatti è stato riconosciuto, già all’epoca, da numerosi esperti internazionali, tanto da vedere esportati i paraboloidi italiani in numerosi paesi europei28. La forma di questi giganti, perfettamente riconoscibili all’interno dei paesaggi industriali, asseconda perfettamente quella dei cumuli di materiale andando ad avvolgere e a proteggere questa ricchezza minerale creando un interazione perfetta tra forma e contenuto. Il silos, elemento terminale della macchina del sale, si colloca allo sbocco a mare del canale di San Bartolomeo. Presenta una pianta rettangolare che si sviluppa in lunghezza per 50 metri e in larghezza per 28; l’altezza della chiave di volta è di 16 metri e i costoloni hanno un angolo che segue quello di declivio naturale del sale che è circa 30/35°. Le volte del fabbricato sono realizzate sfruttando le possibilità strutturali dell’ossatura dei costoni in cemento armato, poggiante su robusti sostegni laterali, che sostengono una leggera soletta fatta di fondelli in laterizio per uno spessore complessivo di 0,12. I ventuno costoloni con sezione di 0,25 scandiscono lo spazio con un interasse di 2,55; la loro ritmicità e imponenza crea un gioco di luci e ombre capaci di elevare il suo status di edificio industriale. Alla navata centrale si sovrappone un corpo che alloggia il nastro trasportatore per la distribuzione e del sale negli scomparti interni; il sale, lasciato cadere dall’alto crea dei cumuli bianchi per una capacità di 12.000 t. A destra del capannone, si trova il lungo corpo rettangolare del nastro trasportatore, le tramogge e la gru per il sollevamento del sale. A sinistra il corpo delle officine e, di fronte al fabbricato, la struttura metallica del gruppo mobile con i nastri trasportatori ed elevatori per il carico del prodotto sulle navi ormeggiate.

Modica Marcello, Santarella Francesca, Paraboloidi in Italia. Un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna, EDIFIR, città, 2014, pp.15-16 28

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il funzionamento del silos

lo schema di funzionamento

Fig.37 Schema di funzionamento del Padiglione del sale negli anni 60’

ll sale sino agli anni ‘60, dal sistema di produzione arrivava direttamente al padiglione con barchette di ferro da 12/16 t. Le barchette venivano trainate sino al silos per essere sollevate da una gru e rovesciate in una tramoggia di cemento. Due nastri trasportatori convogliavano il sale dentro una galleria ai piedi della torre ovest dove un elevatore a tazze lo sollevava alla sommità e lo distribuiva nel silos per mezzo di nastri. Il sale, depositato in cumuli veniva raccolto attraverso grandi macchine su rotaia dette “grattatrici”. Esse erano dotate di bracci dentellati che scavando il cumulo ne raccoglievano automaticamente il materiale in due nastri trasportatori sottostanti per essere diretto al reparto di carico. Il carico avveniva in un primo periodo attraverso due brandeggi fissi senza possibilità di spostamento lungo la banchina di carico assicurando 200 t/h. A partire dagli anni ’60, con la dismissione delle barchette il sale arrivava al silos con i trenini (la tramoggia non era più usata), che scaricavano il sale nel convogliatore, di lì nel nastro trasportatore, nell’elevatore a tazze della torre ed infine nel silos e nella nave. Anche quest’ultimo sistema, per le troppe componenti meccaniche in gioco e per il rischio sempre imminente di guasti sui mezzi non garantiva il perfetto esercizio del sistema. Intorno al 1975 ebbe inizio la dismissione del silos e delle strade ferrate che costeggiavano il canale; il sale veniva trasportato direttamente dal cumulo alla nave con dei camion affittati ad una compagnia esterna. Dal cassone veniva trasferito in una tramoggia di ferro e, attraverso nastri trasportatori giungeva ad un brandeggio su ruote, che, normalmente sollevato, si abbassava per scaricare il sale nella stiva delle navi29. Il cambio del sistema di trasporto e imbarco mise definitivamente da parte il gigante “nerviano” lasciandolo espressione di quelle forme dell’immaginario industriale del Novecento, di quell’archeologia industriale capace di scindere in un unico gesto creativo forma e funzione.

1. barchette per il trasporto 2. gru di sollevamento 3. nastro trasportatore 4. elevatore a tazze 5. nastro trasportatore superiore 6. macchina grattatrice 7. nastro trasportatore inferiore 8. gru per il carico della nave

29 cfr. <http://www.sardegnadigitallibrary.it/ documenti>

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il giallo nervi e i paraboloidi in italia

Il magazzino del sale costruito nei primi anni ‘50 nel margine sud orientale dell’area portuale di Cagliari è uno dei 91 esemplari realizzati sul territorio italiano tra il 1920 e il 1970. Queste “cattedrali del lavoro” non sono altro che la massima espressione di quel caposaldo coniato da Louis H. Sullivan “la forma segue la funzione”30. Infatti la loro forma non fa altro che “assecondare” la naturale sedimentazione dei materiali che essi vanno a ospitare, evitando così le spinte sulle pareti verticali stabilendo una forte analogia tra contenitore e contenuto. Questi capolavori dell’architettura industriale una volta perduta la loro “funzione” arrivano a noi come giganti feriti dal tempo ma ancora portatori di quella ricerca attenta nei confronti della qualità spaziale e tecnica capace di dare massima espressione ai materiali utilizzati. Proprio la qualità spaziale è il primo aspetto che colpisce chi entra in questi magazzini, in queste architetture è il vuoto a far da padrone con la luce che lambisce le superfici rendendo questi spazi vibranti. Il maestro italiano dei paraboloidi è con molta probabilità l’ing. Luigi Radice, il primo a realizzare un magazzino industriale a volta parabolica, realizzato per l’industria cementizia, ma è grazie all’industria chimica che negli anni ‘30 si avvia un filone di realizzazioni che vedono come protagonista assoluto la Montecatini che con i silos di Romano in Lombardia e quello di Merano - Sinigo pongono le basi per la generazione “nerviana” che tra il 1940 e il 1960 vedrà la realizzazione dei silos adibiti a deposito del sale di Margherita di Savoia(1933-35), Tortona (1950-51), Bologna (1954), Volterra (1955-56) e Porto Marghera (1960-61)31. Sebbene non vi siano ad oggi documenti che accertino l’effettiva paternità di Nervi, il magazzino del sale di Cagliari viene spesso chiamato “padiglione nervi”. La struttura in effetti, mostra alcune delle soluzioni formali adottate nei padiglioni realizzati dall’ingegnere negli stessi anni per l’Italia dei monopoli. Il progresso dell’azienda monopolistica prevede la riorganizzazione della produzione del sale attraverso una vera e propria trasformazione del ciclo produttivo con l’introduzione di moderni impianti, macchinari e criteri basati sulla tecnica più aggiornata32. Anche a Cagliari a partire dagli anni ‘50 prende avvio una complessa opera di risanamento e ampliamento della salina, oltre al padiglione del sale si provvide

30 Sullivan, Louis H, The Tall Once Building Artistically Considered, in «Lippincott’s Magazine», Marzo 1896, pp.403-409. 31 Modica Marcello, Santarella Francesca, Paraboloidi in Italia. Un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna, EDIFIR, città, 2014, pp.31-33. 32 Federica Stella, Nervi per l’Industria, I Magazzini del Sale di Tortona, LULU, città, 2011, pp. 29-34.

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alla realizzazione dell’idrovora del rollone, al potenziamento dei canali di approvvigionamento, alla costruzione dei canali per il trasporto del sale su chiatta, oltre che su rotaia e all‘adeguamento dello scalo portuale sul molo della Palafitta che fu allargato fino a 60 metri, le banchine prolungate fino ad una lunghezza di 2 metri e la profonditĂ portata a 13 metri. In ultima istanza tutte le aree che un tempo costituivano saline a sĂŠ stanti vengono assemblate a costituire un ultimo complesso produttivo.

Fig.38 Montecatini, Assisi, 1949.

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Fig.39 Magazzini del sale, Bologna, vista interna. <http://archeologiaindustriale.net> Fig.40 Magazzino del sale, Tortona, vista interna. <http://archeologiaindustriale.net>

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il fragile rilancio del colosso

33 cfr. L’Unine Sarda, LA CITTÀ DIMENTICATA. Da “Magazzino del sale” di Molentargius a rudere in abbandono Il rilancio del colosso ferito Comune e Authority parlano del futuro del Padiglione Nervi Di PIETRO PICCIAU.

Oggi il capannone giace sulla darsena del canale di San Bartolomeo in attesa di riprendere vita, protetto da una cancello del demanio e da una recinzione che ne vieta l’accesso per ragioni di sicurezza. Sono tanti i curiosi che percorrendo l’adiacente pista ciclabile si fermano a osservare con sguardi nostalgici il colosso di cemento. Di fronte è ancora presente il gruppo mobile con i nastri trasportatori e gli elevatori per il trasferimento del sale sulle navi. Passaggi ripetuti chissà quante volte in passato: ritmi e rituali ormai dimenticati. Dopo anni di incuria nel 2009 l’Autorità Portuale, grazie a un accordo di programma con Comune di Cagliari e Regione Sardegna, ha evitato il peggio intervenendo (con una spesa preventivata di un milione e 325 mila euro) sui cedimenti della volta, sulle crepe alle pareti e sul crollo delle braccia che un tempo accoglievano e trasportavano il sale di Molentargius. Nel 2011 concluso il “Consolidamento statico e il recupero funzionale”33 volto a salvaguardare e recuperare l’edificio si è passati alla seconda fase, quella che dovrebbe indicare la futura funzione dell’opera, tutt’ora ancora da stabilire. Arriva il 2012 e il Comune, con il sindaco Massimo Zedda, partecipa al Piano Città del Governo inserendo nella candidatura proprio il recupero del padiglione del sale, definito “straordinaria risorsa di archeologia industriale meritevole di tutela e conservazione”. Nei documenti si legge che “le scelte progettuali sono state operate al fine di ottenere una destinazione multifunzionale per attività culturali, mostre, fiere”. Sulla carta da Roma sono arrivati 11 milioni di euro, che comprendono anche la riqualificazione dei canali navigabili. In dettaglio il recupero dello stabile e delle aree limitrofe consiste nel recupero strutturale, riqualificazione architettonica e miglioramento dell’accessibilità all’area mediante la realizzazione di un ponte pedonale34. Si arriva al 2016 e l’autorità portuale stipula col Comune di Cagliari e col Ministero del Infrastrutture l’accordo denominato “contratto di valorizzazione urbana”, col quale viene destinato un fondo di 3,5 milioni di euro per la riqualificazione del capannone. In particolare gli interventi prevedono la messa in sicurezza dei corpi che si trovano alle estremità della navata centra, mediante risanamento delle strutture portanti, rinforzo strutturale dei solai, e completamento di alcune lavorazioni sul capannone che non sono state eseguite col precedente intervento

34 determinazione n° 13429 / 2014 del 29/12/2014, Comune di Cagliari.

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Fig.41 Investimenti sul padiglione dal 2009 al 2016.

negli anni 2011– 2012. L’investimento prevede anche la riqualificazione ambientale dell’area circostante, con la realizzazione di opere a verde, percorsi ciclo pedonali e il consolidamento statico della banchina esistente realizzata in pietra calcarea con un coronamento granitico35. Tutt’ora dopo tanti investimenti e soldi stanziati il futuro del padiglione del sale non ha ancora un nome.

35 decreto n°75, adozione programma triennale dei lavori 2016-2018, Cagliari 15-07-2015.

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L’edificio_un relitto abbandonato lungo la darsena

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Fig.42 nella pagina precedente. Padiglione del sale, Cagliari. Fig.43 Magazzini per fertilizzanti azotati dell’ANIC, Ravenna, 1961.


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il rilievo

Il Padiglione del sale si erige su una porzione di terra di origine paludosa. Con la bonifica della zona avvenuta negli anni ‘30 il litorale prende la conformazione che oggi conosciamo, su quest’area precedentemente occupata dal mare sorgono strutture sportive e un nuovo quartiere per l’edilizia economica popolare oltre ad un porticciolo per i pescatori. Sul basamento della sponda Nord del canale di San Bartolomeo costituito da terra da riporto si colloca il silos a una distanza di 10,5 m dal filo banchina. L’altezza di quest’ultima supera i 2 m sul livello del mare ed è stata realizzata con un dislivello di circa 0,50 m rispetto all’altra al fine di indirizzare sulla sponda opposta gli eventuali fenomeni di esondazione. Tale altezza era stata fatta per favorire l’approdo di navi con una stazza importante in grado di caricare consistenti quantità di sale. Un immensa struttura voltata composta da ventuno costoloni con un interasse di 2.55 m che vanno a coprire uno spazio con una lunghezza interna di 50 metri, una larghezza di 27 e un’altezza interna in chiave di volta è 15,5 m. Il volume complessivo è di 14.500 mq con una capacità di carico interna di 12.000 t. I rilievi sull’edificio a causa dell’assenza delle tavole originali di progetto sono stati eseguiti sul campo con strumentazioni molto semplici ma efficaci per una ricostruzione complessiva del manufatto. Molto utili per un raffronto con le misurazioni eseguite sono stati i rilievi e la restituzione grafica eseguiti nel 2004 dall’arch. Aldo Lino e dall’ing. Rossana Porcu per conto della Soprintendenza ai beni Architettonici delle provincie di Cagliari e Oristano dove vengono date anche informazioni riguardo alcuni elementi costruttivi originali della fabbrica e le stratigrafie che costituiscono le coperture.

Fig.44 Inquadramento territoriale del Padiglione del Sale.

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Pianta nastro trasportatore superiore

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Sezione A - A’

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Sezione B - B’

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Prospetto lato OVEST

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Sezione C - C’

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considerazioni strutturali

Come in quelle architetture nate da ragioni puramente funzionali il magazzino del sale è facilmente scindibile in ogni sua parte e mostra chiaramente i flussi delle forze che attraversano la sua struttura. Poiché questa architettura nasce dalla connessione di più elementi costruttivi la lettura dell’opera non può prescindere dall’analisi dei singoli elementi strutturali che la compongono. Come sosteneva Duran in Precis del lecons d’Architeture, l’architettura è data da singoli elementi costruttivi e varia in funzione della loro giunzione. Quest’ultima assume un determinato ruolo e valore nella rappresentazione delle caratteristiche espressive dell’opera. Nello studio dell’edificio è stato fondamentale analizzare ogni suo singolo elemento, distinguendone quelli strutturali da quelli che vanno a definire l’involucro36. Lo schema strutturale del capannone è dato, come si è visto in precedenza, dalla successione di ventuno archi disposti in parallelo. I carichi statici alla quale sono sottoposti gli arconi riguardano principalmente il peso proprio e i carichi dinamici rappresentati dall’azione del vento, al quale il padiglione è sottoposto per gran parte dell’anno. In corrispondenza dell’attacco a terra vi è un aumento della sezione resistente della struttura che passa da una larghezza di 0.55 a una di 1.55 m. Questa variazione di sezione del costolone è legata ad esigenze statiche. Purtroppo non avendo a disposizione gli esecutivi di tale fabbrica non siamo in grado di stabilire il tipo di armatura utilizzata all’interno dei costoloni. Per resistere alle azioni che agiscono sul piano ortogonale al piano di giacitura dei portali si trovano delle travi di irrigidimento all’altezza dell’imposta della soletta; esse corrono per tutta la lunghezza del padiglione e assieme alle travi di irrigidimento del nastro trasportatore assicurano la stabilità della struttura nel senso ortogonale al piano dei telai. Il manto di copertura si imposta alla quota 5.60 m da terra, fino ad arrivare alla quota di 15 m, in corrispondenza dell’imposta del castelletto contenete il nastro trasportatore. Per la realizzazione della copertura si è fatto ricorso a un doppio fondello in cls armato con uno spessore di 8 cm che porta una caldana di 3 cm37. La struttura voltata è sormontata da un castelletto costituito da una serie di telai in cemento armato che, collocati in corrispondenza di ogni arcata, sono collegati tra di loro da tre travi, due all’imposta del piano di gronda e una sul colmo. Sino

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36 Duran, Il metodo e la norma nell’architettura, Venezia 1986. 37 Particolari costruttivi tratti dal rilievo grafico realizzato per conto della Soprintendenza ai beni Architettonici della provincie di Cagliari e Oristano nel 2004 dall’Arch. Aldo Lino e dall’Ing. Sabrina Scalas.


a qualche anno fa questo spazio era chiuso da un tamponamento in mattoni forati, con i lavori di restauro terminati nel 2011 è stato completamente eliminato. Per terminare l’indagine degli elementi che compongono l’opera si analizzano le pareti di testa, non avendo a disposizione alcun disegno esecutivo della testata realizzata ci siamo affidati allo studio di casi simili come quello dei magazzini di Tortona. In questi magazzini di solito gli arconi e i costoloni verticali venivano collegati mediante travi orizzontali di facciata (nel caso del magazzino del sale di Cagliari sono bel visibili sulla parete alla quale di addossa il corpo scala). L’assenza di documenti cartacei e fotografici non ci consentono di risalire alle tecniche che hanno coinvolto il processo costruttivo. Sappiamo che questi sono anni di grande sperimentazione del cemento armato e delle tecniche di prefabbricazione, volte a un miglioramento delle condizioni di lavoro, all’ottimizzazione dei tempi di costruzione e a una conseguente riduzione dei costi di realizzazione. Tutto ciò grazie alla ripetitività e similarità degli elementi che compongono la fabbrica e all’utilizzo di cassaforme mobili che permettono la realizzazione di grandi soluzioni strutturali attraverso la massima rapidità esecutiva.

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i vincoli e la normativa

Fig.45 Scomposizione dell’edificio nei suoi elementi strutturali 1. plinti di fondazione 2. base costolatura 3. costole 4. correnti per irrigidimeno 5. castello del nastro trasportatode 6. involucro Fig.46 pagina successiva. PUC di Cagliari. Fig.47 pagina successiva. Piano Regolatore Portuale Cagliari.

Il padiglione si colloca all’interno di una striscia di terra che per due dei suoi tre lati confina direttamente con l’acqua. Nella sua parte inferiore, il nuovo waterfront cittadino di “Su Siccu” realizzato con 3000 mq di legno pregiato rappresenta una piacevole percorso ciclo pedonale, un tracciato che poi si unirà con quello che, passando per San Bartolomeo consentirà attraverso i sentieri di Molentargius, di collegare Cagliari a Quartu. Nella parte superiore l’area è lambita da uno dei più grandi assi viari della città, che oltre a definirne i confini la separa dal resto del conteso cittadino. La porzione in esame rientra sotto la categoria “Aree per attrezzature tecnologiche specializzate” (GTs) la quale identifica tutte quelle aree demaniali o portuali sulle quali insistono attività sportive, ricreative, di ristoro derivanti da precedenti atti concessori38. Su di essa infatti troviamo perlopiù attività legate al mondo della nautica e della cantieristica, con i suoi cantieri e pontili di approdo che ne connotano fortemente il paesaggio. Il magazzino del sale, che segna il confine con in canale che alimenta il sistema salinifero di Molentargiu, rientra nella categoria RB “edifici da riqualificare” per i quali sono previsti interventi orientati al recupero e alla conservazione delle architetture esistenti, prevedendo per essi attrezzature di uso collettivo o di servizio. Sull’area presa in esame vige un altro strumento normativo, il “Piano Regolatore Portuale”, al suo interno insiste il cosiddetto Magazzino del Sale, per il quale, in conformità con il piano urbanistico comunale è consentito il solo risanamento conservativo e si prevede il recupero per destinazioni culturali, fiere, mostre e attività di interesse comune. In stretta adiacenza ad esso è consentita l’edificazione di parte della volumetria insediabile nella zona, pari, al massimo, al 30% del volume attuale del capannone, finalizzata esclusivamente all’ottimizzazione della fruizione dell’edificio esistente39.

38 Norme Tecniche di Attuazione del PUC è quello pubblicato con la Deliberazione del Consiglio Comunale n.64 del 8/10/2003 e successive varianti. 39 Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore Portuale

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Dall’abbandono al recupero

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Fig.48 nella pagina precedente. Acceso al Padiglione del Sale. Fig.49 Riqualificazione dell’Embarcadero, Caceres, Spagna.


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dall’abbandono al recupero

Sono definite “Cattedrali laiche” del XX secolo, incarnazione eccellente del caposaldo dell’architettura moderna form follow function, la forma segue la funzione. Questi capolavori di ingegneria, usati per lo stoccaggio di materiali polverulenti, rappresentano nell’immaginario l’architettura industriale novecentesca. A partire dagli anni ’60, come conseguenza del processo di deindustrializzazione che colpì molti settori, come quello dei fertilizzanti e del cloruro di sodio, la maggior parte dei magazzini a copertura parabolica venne dismesso. Per più di mezzo secolo questo patrimonio dell’archeologia industriale è stato dimenticato. Oggi, grazie al lavoro svolto da due architetti, Marcello Modica e Francesca Santarella, questi silos sono stati oggetto di una catalogazione eseguita in maniera sistematica e scientifica che consente di conoscere il loro stato di fatto e eventualmente di promuovere processi di valorizzazione e tutela dei manufatti, le cui caratteristiche si possono ritenere uniche. Solo in Italia si contano più di 91 paraboloidi40 realizzati tra il 1920 e il 1970, sparsi in maniera omogenea nelle varie regioni; oggi la maggior parte di questi versa in uno stato di totale abbandono e solo grazie all’opposizione delle soprintendenze si sono evitati ulteriori casi di demolizione. Purtroppo in Italia sono ancora pochi i casi di una rinascita di questi manufatti, spesso proprietà di società private che non mostrano alcun interesse economico nel loro recupero. Esempi di interventi di riconversione, eseguiti in tempi recenti, come quello del’ex Montecatini a Assisi, dell’opificio Campolmi a Prato e dell’Aldea Moret a Caceres fanno ben sperare: tracce significative di un possibile riuso degli spazi in cui le forme di recupero conservativo convivono con le necessità proprie di nuove destinazioni d’uso. I progetti sopracitati contemplano elementi di compromesso tra inserimento di nuove funzioni all’interno dei silos e mantenimento della spazialità interna, caratteristica tipica per questa tipologia di edifici. Più frequentemente si riscontrano preferenze verso funzioni culturali e museali che non necessitano dell’inserimento di nuovi volumi, ma consentono di sfruttare l’involucro esistente; in altri casi, come quello di Caceres, si è reso necessario l’inserimento di nuove scatole atte a ospitare funzioni pubbliche e per il tempo libero. In entrambi i casi, comunque, oltre ad un attenzione particolari per le qualità spaziali e architettonico-strutturali si è resa necessaria una attenta ricerca per affrontare i temi sensibili del risparmio energetico e della tutela e salvaguardia ambientale41.

40 catalogazione fatta da Marcello Modica e Francesca Santarella nel libro: Paraboloidi in Italia. Un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna, EDIFIR, 2014. 41

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cfr. ivi p.255.


area ex perfosfati, cerea, italia

Il complesso perfosfati di Cerea, risalente ai primi del novecento, negli ultimi anni di attività raggiunse un estensione di circa 36 mila metri quadri. Nel 1988 la produzione venne trasferita altrove e l’area rimase in stato di abbandono sino a fine anni ’90 quando l’Amministrazione comunale acquistò gran parte dell’area dando avvio alle azioni di recupero sui due paraboloidi che caratterizzano il complesso. Il silos più antico, assoggettato al vincolo del Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali, fu il primo ad essere recuperato in quanto classificato come sito di archeologia industriale; solo in un secondo momento si avviò il recupero del secondo capannone, il più grande. Nei primi anni del duemila i due paraboloidi e gli spazi di servizio ad essi connessi sono stati terminati con l’obiettivo progettuale di conservare e valorizzare manufatti di straordinaria bellezza, rappresentativi di una memoria storica per la città, capaci di offrire uno spazio utile al territorio, alle comunità e imprese che ne fanno parte39. Oggi l’area offre circa 8000 mq di spazi coperti utili per azioni di stimolo dell’economia e della cultura locale, quali organizzazione di eventi, mostre, congressi e fiere. Fig.50 Inquadramento area Ex Perfosfati, Cerea.

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cfr. http://areaexp.it/area-exp

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Fig.51 Vista interna del padiglione ex Perfosfati, Cerea. Fig.52 Vista interna del padiglione ex Perfosfati, Cerea.

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ex montedison, assisi, italia

Il complesso industriale Ex Montedison, risale alla seconda metà degli anni ’40. Su quest’area industriale insistono due paraboloidi adibiti ad opifici per la produzione di sostanze chimiche, progressivamente dimessi e completamente abbandonati nei primi anni ’70. Un decennio dopo il Comune di Assisi decise di acquisire l’area sulla quale ricadono i due magazzini già sottoposti a vincolo monumentale e storico da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, e diede avvio alle opere di riqualificazione. Il primo intervento riguardò il paraboloide più grande: una parte di esso venne destinato a centro sportivo, mentre la restante parte fu rifunzionalizzata in un secondo tempo dalla società Lyrick per ricavarne un teatro da mille posti. Il progetto prevedeva necessariamente anche interventi di consolidamento e rinforzo delle strutture per soddisfare le nuove esigenze statiche. A distanza di pochi anni, grazie ad opportuni finanziamenti della Comunità Europea, anche il paraboloide più piccolo subì un completo intervento di restauro conservativo, col risultato di poter disporre di un nuovo spazio polifunzionale di circa 3200 mq per la città.

Fig. 53 Inquadramento ex Montedison, Assisi.

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Fig.54 Padiglione piccolo ex Montedison, Assisi. Fig.55 Interno padiglione e1x Montedison, Assisi.

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embarcadero, caceres

, spagna

Aldea quartiere Moret, si sviluppò nella metà del secolo scorso per accogliere attività estrattive e di trasformazione dei minerali. Con gli anni il quartiere vide la costruzione di molte abitazioni per i lavoratori assumendo in poco tempo anche il carattere di un centro abitato economicamente prosperoso. Ma con la successiva scoperta di giacimenti di fosforite in Nord Africa l’attività industriale di Moret venne ridotta sino alla chiusura definitiva intorno agli anni ’70. Il passare del tempo portò la maggior parte delle strutture all’abbandono; nei primi anni del duemila di quel centro abitato non vi rimanevano che vecchie industrie e abitazioni in stato di avanzato degrado. Consapevole del problema, gli amministratori del comune di Caceres, sulla base di fondi di sostegno europeo, decisero di avviare un ambizioso processo di trasformazione della zona. Tra gli obiettivi del progetto si contemplava di convertire il vecchio magazzino parabolico in un centro civico e culturale capace di includere spazi per attività sociali ed educative. All’interno del paraboloide si inseriscono quindi quattro nuovi volumi in acciaio e vetro che si relazionano con zone comuni pubbliche, in un ambiente esclusivo e flessibile che garantisce un ottima integrazione tra le diverse attività42. Fig.56 Inquadramento Embarcadero, Caceres.

42 Modica Marcello, Santarella Francesca, Paraboloidi in Italia. Un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna, EDIFIR, Torino 2014, pp. 260262.

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Fig.57 Interno, Embarcadero, Caceres. Fig.58 Interno, Embarcadero, Caceres.

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Il progetto_un centro velico per Cagliari

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Fig.59 nella pagina a fianco. La sede del team italiano di Luna Rossa all’interno del porto storico di Cagliari scelto come base operativa per gli allenamenti in preparazione della 35/a edizione dell’America’s Cup.


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la ricerca della nuova funzione

Con la chiusura definitiva delle saline nel 1985, il Padiglione del Sale concluse definitivamente la sua attività. In realtà questo esempio significativo di ingegneria industriale, costruito alla fine degli anni ’50 e capace di contenere al suo interno il 6% della produzione annua, venne dismesso dieci anni prima della definitiva chiusura della produzione salifera. Per vent’anni il padiglione versa in uno stato di totale incuria. Solo con la cessione del manufatto dalle Saline di Stato di Cagliari ad altri enti pubblici, tra i quali l’Ente Fiera Internazionale della Sardegna, l’Autorità Portuale ed il Comune di Cagliari, si prospetta la concreta possibilità di una sua rinascita. In questi ultimi anni, infatti, si è potuto riscontrare un rinnovato interesse per auspicabili interventi che pongano questo straordinario manufatto a servizio del ciclo vitale della città. Come per tanti altri casi in Italia il silos del sale ha subito gli effetti e le insidie di una lunga stagnazione nella politica regionale, in particolare sul versante della promozione di auspicabili accordi operativi tra i vari portatori di interesse pubblici e privati. Il Padiglione del Sale, tra i tanti manufatti di elevato valore storico-architettonico che meritano di tornare ad essere luoghi vivi e simbolici, per la sua favorevole posizione all’interno dell’ambito portuale, è l’unico contemplato nei progetti di sviluppo adottati in questo decennio col fine principale di consolidare per la città uno sviluppo futuro ancor più legato al mare. Il magazzino a volta parabolica, collocato nella zona occidentale del porto, presso lo sbocco a mare del canale di San Bartolomeo, si erge al termine del nuovo fronte mare ciclo-pedonale; quest’ultimo prende avvio dal centro città e, costeggiando la sede della Marina Militare, ambisce a ricongiungersi con il nuovo lungomare di Sant’Elia attraverso la realizzazione di un ponte pedonale da collocare in prossimità del Padiglione. Sono previsti importanti finanziamenti pubblici per un “Piano Città” che contempla specificatamente la riqualificazione delle aree urbane degradate, con la previsione delle necessarie opere di adeguamento per l’accessibilità allo stesso edificio, compresi i canali navigabili di Terramaini che lo costeggiano. In totale, per la riqualificazione del padiglione Nervi ed i collegamenti, il Comune di Cagliari ha richiesto 4,03 milioni a fronte di risorse già disponibili per 1,8 milioni. In particolare con l’Autorità Portuale, proprietaria dell’edificio storico, sarà attivato il partenariato; l’accordo avrà ad oggetto la gestione dell’intervento finanziato e, 44 Piano Nazionale delle Città, programma strategico di riqualificazione del quartiere di Sant’Elia.

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in primis, la definizione della destinazione futura della struttura 44. Oggi le idee portate avanti dai vari enti sono tante, talvolta contrastanti; si parla quasi sempre comunque di attività legate direttamente al mare come un acquario, un centro di alta specializzazione per la nautica, un museo della storia marinara, un centro nazionale velico con il coinvolgimento magari del team italiano di Luna Rossa. La riqualificazione del Padiglione rientra in un disegno più grande di sviluppo della città che attraverso la riqualificazione della linea d’acqua, in parte ultimata, vuole ricucire il centro città con le zone periferiche e fare del porto e della nautica una delle principali fonti economiche della città. Oggi Cagliari vive un momento di impressionante crescita delle presenze turistiche, soprattutto per l’approdo offerto alle moderne navi da crociera. Tutto ciò grazie ad ingenti investimenti messi in atto da parte dell’Autorità Portuale che solo nel biennio 2015-17 ha stanziato nel suo programma triennale 150 milioni di euro per portare avanti la rinascita del fronte mare. Il porto negli ultimi anni ha incrementato enormemente la propria vocazione diportistica e di affianco al mondo delle regate a vela. Diventata ormai tappa fissa di grandi eventi legati al mondo della vela, Cagliari si candida ad essere capitale della vela nel mediterraneo: riconosciuta a livello internazionale per i campi di gara e allenamento, viene spesso scelta dalle nazionale di Gran Bretagna, Austria, Croazia, Argentina, Germania, Irlanda, Francia e Italia; inoltre, negli anni 2013/14 , è stata base logistica di Luna Rossa, il più prestigioso team italiano di vela. La città oltre a presentare uno scenario portuale tra i più accoglienti e belli del mediterraneo gode anche di eccezionali condizioni meteo che favoriscono gli sport velici durante tutto l’arco dell’anno. I recenti lavori di riqualificazione del fronte mare mettono a disposizioni estese aree attrezzate ed impianti facilmente adattabili e pensati per ospitare grandi eventi. Ricordiamo, infine, che nel recente passato Cagliari è stata scelta come tappa di importanti regate d’altura di livello internazionale, gratificata dalla presenza di un elevato numero di atleti e imbarcazioni, oltre che da una straordinaria e diffusa partecipazione. Il suo ruolo cardine all’interno del circuito velistico mediterraneo gli viene riconosciuto con la candidatura olimpica a “Roma 2024”, sfumata nel 2016 con la rinuncia da parte dell’amministrazione del Comune di Roma45. 45

dossier per la candidatura di Roma 2024.

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I dati sono stati presi dal Dossier “Roma 2024, Cagliari proposed venue for sailingâ€?, elaborati per la candidatura della cittĂ a sede delle regate veliche previste nella manifestazione olimpica.

Fig.60 Eventi velici Cagliari 2000-07. Fig.61 Eventi velici Cagliari 2007-15.

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Fig.62 Altezza d’onda durante il giorno. Fig.63 Velocità del vento durante il giorno.

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un centro velico nel padiglione del sale

Abbiamo visto come la città di Cagliari abbia avviato negli ultimi anni un serio progetto di sviluppo legato al mondo della nautica e della vela. Nelle previsioni di piano, la zona orientale del porto che ospita il Padiglione del Sale vuole assumere la vocazione di porto turistico e sede per attività sportive legate alla nautica (vedi Piano Regolatore Autorità Portuale pp.97-99). Attualmente questa porzione portuale di circa 225.000 mq ospita già un importante polo sportivo legato all’attività natatoria. Questi fa da sfondo ai moli di approdo per le barche da diporto, proprietà della Marina Sant’Elmo, capaci di offrire più di trecento posti barca oltre ad un area di 7.000 mq per la cantieristica e il rimessaggio. In questo contesto si inserisce l’area di progetto con circa 20.000 mq di spazi aperti, un molo lungo 180 metri per l‘ormeggio delle imbarcazioni e un manufatto di oltre 1.400 mq. Il Padiglione, alto quasi 20 metri, si erige sul molo della palafitta e rappresenta, insieme ai silos per il deposito del grano oggetto di un piano di demolizione, uno dei landmark industriali più imponenti del porto cagliaritano. L’idea di progetto verte sull’opportunità di sviluppo di cui potrebbe beneficiare il capoluogo sardo grazie alla presenza di un nuovo polo catalizzatore per eventi nell’ambito della nautica sportiva. L’area di progetto presenta tutte le caratteristiche necessarie ad ospitare attività di questo tipo anche grazie alla sua collocazione a nodo di due sistemi acquatici, quello del porto e quello delle saline. L’idea è quella di sfruttare le caratteristiche dimensionali, locative e storiche intrinseche nell’edificio per offrire alla città un centro velico e canoistico sostenibile dal punto di vista economico e, nel contempo, offrire una opportunità di recupero e riuso ad un brano urbano limitrofo alla zona portuale, per anni in stato di abbandono, cercando di preservarne i caratteri storici e architettonici, esempio pregevole di ingegneria negli anni della ripresa economica e modernizzazione del sistema industriale nazionale. La vastità delle aree di pertinenza consentirebbe, inoltre, un agevole accoglimento di eventi fieristici sulla nautica ed un mix funzionale capace di dilatare in buona misura il livello di utilizzazione di tali spazi pubblici.

Fig.64 pagina a fianco. Assonometria stato attuale area di progetto. 1. area per la cantieristica e il rimessaggio 2. ex caserma militare 3. percorso ciclabile 4. percorso pedonale 5. padiglione del sale 6. marina Sant’Elmo 7. banchine riqualificate del lungomare di Sant’Elia Fig.65 pagina successiva. Aree per lo svolgimento delle attività sportive marine. Dossier “Roma 2024”

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il masterplan

Il Padiglione del Sale, è oggetto di interesse da parte dell’amministrazione comunale e dell’opinione pubblica non solo per le sue qualità architettoniche che ne fanno una delle più importanti strutture di archeologia industriale cagliaritane, ma anche per la posizione strategica che questo luogo ricopre. Infatti l’area oggetto di studio si inserisce nel Programma di Valorizzazione Urbana del Quartiere Sant’Elia, quartiere ad Est dell’area portuale che oggi vive una forte condizione di disagio legato a problematiche sociali e di inserimento. Il quartiere è separato dalla città dal canale di San Bartolomeo e dalle barriere infrastrutturali che lo costeggiano. L’obiettivo del programma è quello di ricucire due parti di città da tempo separate, ristabilendo delle connessioni fisiche puntando sul potenziamento dell’intera fascia costiera attraverso progetti già messi in atto di riqualificazione dei fronte mare che garantiscono una continuità dei sistemi territoriali interessati. Il Padiglione del sale si colloca a nodo di due sistemi che hanno strutturato la morfologia della città: quello del waterfront cittadino che disegna un limite tra città e mare, e quello del canale di alimentazione del sistema salifero, che intersecandosi con il lungomare di Sant’Elia diventa il varco di accesso alla rete di canali e saline del Parco del Molentargius. L’edificio per le sue forti valenze identitarie si presta a divenire il luogo di interazione tra queste porzioni di territorio in grado di valorizzarne le specificità e rappresentare un nuovo polo di attrazione e congiunzione in grado di spostare l’interesse dei cittadini e dei turisti verso il quartiere di Sant’Elia, incarnando nuovi spazi in cui possano coesistere attività legate alla nautica da diporto, alla cantieristica e rimessaggio, alla pesca, attività commerciali turistiche, culturali e sportive, in grado di fornire all’area opportunità produttive e servizi che oggi mancano. Trovandosi al margine di due sistemi che rappresentano tutt’oggi l’identità della città, quello del porto con le sue attività frenetiche e un atmosfera frastornante e quello più naturale e quieto del Parco del Molentargius, lo scenario del Padiglione del Sale presenta caratteristiche uniche. L’idea di trasformazione di questo luogo deve passare attraverso la messa in relazione di queste due identità, paesaggisticamente diverse ma unite e messe in relazione dalla presenza dell’acqua. L’area del padiglione per chi ha la possibilità di visitarla si presenta come un ibrido, bastano pochi metri verso Nord o pochi metri verso Est per avere la

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percezione di stare in due realtà opposte. L’edificio da sempre ha vissuto questo ruolo di intermediario tra i due principali sistemi produttivi cagliaritani. Proprio per questa sua condizione funzionale di magazzino adibito al deposito e al carico del sale sulle navi, il Padiglione non poteva che trovarsi nell’ambito del porto, ma allo stesso tempo necessitava di uno stretto contatto con la filiera produttiva delle saline attraverso collegamenti terrestri e marini. Il progetto di trasformazione vuole enfatizzare questa sfumatura dal naturale all’urbano, intrecciando i due sistemi attorno all’edificio, che funge da punto di contatto. Nella proposta progettuale la natura che caratterizza e adorna le sponde del canale di San Bartolomeo viene intercettata e condotta a pochi metri del Padiglione attraverso un area caratterizzata da spazi verdi organizzati in modo da richiamare la scansione e i rapporti dimensionali delle vasche salanti; allo stesso modo la realtà antropizzata del fronte mare con le sue passeggiate viene condotta direttamente dentro l’area di pertinenza del Padiglione, garantendo una continuazione dei percorsi ciclo-pedonali che oggi causa l’abbandono dell’area sono costretti a deviare i propri tracciati. Lo scopo del progetto è quello di garantire un collegamento che dal centro città, passando per San Bartolomeo, consentirà, attraverso i sentieri di Molentargius, di collegare Cagliari al litorale sabbioso del Poetto e al quartiere di Sant’Elia. L’edificio, protagonista assoluto di questo spazio, si erige su un podio che funge da area pubblica organizzata per ospitare eventi legati al mondo della nautica e della vela. Questa grande superficie pavimentata che segna e enfatizza il sedime del Padiglione, si inserisce tra due aree con caratteristiche diverse: da una lato un alternarsi di spazi d’acqua e spazi verdi che oltre a fungere da filtro dalle grandi infrastrutture che lambiscono l’area di progetto ambisce a riproporre uno spazio naturale con aree per il gioco e la sosta che ripropongono la fauna e il paesaggio del Parco del Molentargius; dall’altra abbiamo il canale di San Bartolomeo, con la sua banchina che viene riorganizzata con passeggiate, moli di attracco per le imbarcazioni a vela e un centro per canoisti. Al termine di questa passeggiata verrà a collocarsi la passerella ciclopedonale oggetto di progetto preliminare da parte delle Comune di Cagliari che scavalcherà il canale unendo i due segmenti di lungomare oggi separati46. Oltre 8 km di 46

Delibera: 152 / 2014 del 21/11/2014.

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Fig.66 Il nodo semplice. ll nodo semplice come dice la parola stessa è uno dei nodi più facili e più veloci, non assicura in nessun modo la tenuta delle due parti, ma può costituire la base da cui partire per elaborare nodi più complessi. Per questa ragione ci piace pensare che da un piccolo gesto si possa dare avvio a un processo di unione più grande e complesso.

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Fig.67 Il nodo piano. ll nodo piano viene definito un nodo di congiunzione adatto “per unire due corde dello stesso diametroâ€?. Il nodo assicura la sua tenuta solo se le due cime sono uguali. Per questa ragione ci piace immaginare due parti di cittĂ uguali, che si confrontano e collaborano sullo stesso livello.

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percorsi ciclopedonali, che forniranno la possibilità di percepire la sfumatura tra il paesaggio antropizzato, quello naturale e quello costiero garantendo il miglioramento delle condizioni di accessibilità e fruibilità dei luoghi. Questo progetto rientra in un idea di trasformazione radicale del volto della città, dal punto di vista fisico, sociale, economico e culturale messo in atto negli ultimi anni che punta a rendere quei margini che in passato hanno rappresentato delle linee di confine nette, nuove centralità interrelate tra loro. Il quartiere di Sant’Elia, ad Est dell’area di progetto, è l’emblema di questo processo di ricucitura urbana. Creare soglie da attraversare e non più limiti invalicabili. Le linee d’acqua che hanno storicamente frazionato il territorio cagliaritano oggi possono rappresentare elemento fondamentale di ricucitura, l’acqua che non più separa ma unisce ambiti di territorio diversi.

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Fig.68 I sistemi di paesaggio sull’area di progetto 1. padiglione del Sale 2. fronte mare di Sant’Elia 3. fronte mare cittadino 4. canale di San Bartolomeo 5. vasche salanti Molentargius 6. il sistema della vegetazione

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Fig.69 Stato attuale dell’area del Padiglione 1. percorsi sul fronte mare 2. percorso carrabile sul fronte mare 3. il sistema naturale del parco

Fig.70 Percorsi attuali in prossimità dell’area di progetto.

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Fig.71 Trasformazione sull’area di porgetto 1. percorsi sul fronte mare 2. percorso carrabile sul fronte mare 3. il sistema naturale del parco

Fig.72 Percorsi previsti nell’area di progetto.

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Masterplan

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Spazio pubblico espansione del waterfront


Centro per canoisti

Pensiline per la sosta

Ponte ciclo pedonale in progetto

Ingresso lato canale di San Bartolomeo

Via Salvatore Ferrara

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Vista che guarda al lato nord del Padiglione dallo spazio organizzato con vasche che ripropongono il paesaggio del sale 141


analisi delle utenze e delle funzioni

Dalle analisi sull’area di progetto emerge come il Padiglione si trovi al centro di tre sistemi territoriali differenti, ognuno con le proprie esigenze e peculiarità. Il progetto, che prevede la realizzazione di un centro velico per la città di Cagliari, promuove una nuova “porta di accesso dal mare e sul mare” per quel numero consistente di atleti locali e non che scelgono il golfo cagliaritano per svolgere attività veliche. Ma vuole anche ricostruire quelle relazioni con il paesaggio madre delle saline del Molentargius, che la dismissione dell’attività estrattiva ha indebolito, e con la città, che ormai sempre più vive di eventi legati al mare e al mondo della vela. Calandosi sul territorio ci si accorge che questi tre sistemi sono portatori di interessi ed esigenze diverse, che nel progetto devono trovare delle risposte. Le nuove funzioni che il Padiglione andrà ad ospitare dopo l’intervento di recupero, stante le attuali tendenze, potranno garantirne un utilizzo continuo nel tempo. Per questi indirizzi la fase metaprogettuale, che consiste nel trasformare le esigenze specifiche degli utenti in requisiti e prestazioni richieste, è stata fondamentale. L’analisi sulla possibile utenza fa emergere la necessità di prevedere sia funzioni legate ad eventi velici che offerte di spazi per la collettività come ristoranti, un incubatore d’impresa e due sale congressi; uno spazio specifico per canoisti potrà offrire, tra l’altro, la possibilità di organizzare suggestive escursioni lungo le vie d’acqua che alimentano il sistema salifero. La riqualificazione, inoltre, darà ai cittadini la possibilità di scoprire uno spazio un tempo riservato ai soli lavoratori delle saline, ora convertito in museo di se stesso. La torre orientale dell’elevatore a tazze, sulla destra del capannone, si aprirà al pubblico trasformata in mirador sul paesaggio cagliaritano, godendo da un lato di una vista esclusiva sul litorale sabbioso e sul Parco del Molentargius e dall’altro sulla città e sul porto storico. Infine, l’immensa area di pertinenza dell’edificio, ora riorganizzata con spazi per eventi e spazi verdi, diventerà luogo ricreativo e di smistamento per i percorsi che dal fronte mare si ramificano verso l’interno del territorio. Lo scopo principale del progetto, ricordiamo, è di restituire questo luogo singolare alla città, permettendo la più coerente e concreta fruizione di un luogo altrimenti relegato al più completo stato di abbandono.

Fig.73 Schema utenze e funzioni.

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Fig.74 Schema funzionale.

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1. torre per osservazione del paesaggio 2. palestra per canoisti 3. uffici_incubatore d’imprese 4. ristorante 5. sala conferenze


analisi climatiche sull’area

Un passaggio fondamentale, nella fase di studio del sito di progetto, è rappresentato dalla analisi delle condizioni climatiche cui è sottoposto l’edificio, al fine di avviare processi progettuali affidabili da un punto di vista energetico e ambientale. Il sedime del Padiglione, asseconda la linea del canale di San Bartolomeo, esponendo i suoi lati maggiori a Nord e Sud; questi lati non presentano aperture, mentre i lati corti esposti a Est e Ovest presentano due grandi superfici finestrate, uniche fonti di luce all’interno del magazzino del sale. La porzione di struttura in calcestruzzo che presenta maggiori criticità è la facciata che guarda a Sud; infatti soffre sia per la vicinanza alla banchina del canale che per la maggiore esposizione ai venti che soffiano, con particolare intensità, dal quadrante sud-orientale. Il vento, agevolando il trasporto dell’acqua salmastra nebulizzata, crea condizioni naturali fortemente aggressive per il calcestruzzo armato, avviando fenomeni di degrado chimico che riducono di gran lunga la durabilità del manufatto. Lo studio dell’azione del vento è risultato molto interessante per le necessarie riflessioni che hanno indirizzato la progettazione verso la possibilità di sfruttare tecniche di raffreddamento passivo, in grado di garantire condizioni di comfort limitando i consumi energetici e le emissioni inquinanti. Inoltre, la forma stessa del padiglione consente di sfruttare fenomeni di movimentazione dell’aria per effetto cammino. Lo studio delle ombre, non ha fatto emergere specifici problemi di carattere progettuale; il padiglione, infatti, si presenta come oggetto isolato posto su un area di pertinenza abbastanza vasta, che non comporta come tale problemi di ombreggiamento sugli edifici limitrofi. Una scelta interessante porta a sfruttare le zone d’ombra che si vengono a creare sul lato Nord per stimolare la creazione di nicchie estive capaci di offrire zone di sosta nello spazio pubblico in un area altrimenti sottoposta a forte soleggiamento, data l’assenza completa di specie arboree e di oggetti costruiti. 47 le analisi sullo studio del vento sono state effettuate analizzando le statistiche basate su osservazioni prese fra 03-2012 e 6-2016 giornalmente dalle 9:00 alle 19:00. <https://it.windfinder.com/windstatistics/cagliari_saline>

le analisi sullo studio delle ombre sono state effettuate con l’ausilio del software di calcolo Ecotect.

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relazioni tra contenuto e contenitore

Fig.75 Distribuzione del vento in percentuale. 1. distribuzione annuale 2. distribuzione durante il mese di Giugno 3. distribuzione durante il mese di Settembre Fig.76 Studio delle ombre. 1. Dicembre_ h 9:00 - 16:00 2. Aprile_ h 9:00 - 16:00 3. Giugno_ h 9:00 - 16:00

Ogni progetto di recupero pone tra i suoi obiettivi fondamentali la conservazione del manufatto esistente, senza tralasciare la previsione di un riuso compatibile e qualificante. Una città che si vuole rinnovare perseguendo una linea di sviluppo sostenibile, necessariamente, segue un processo continuo di selezione cumulativa. Ogni nuovo progetto comporterà sempre delle trasformazioni radicali, in termini spaziali ed architettoniche, sui manufatti esistenti, dando loro una nuova immagine e funzione, ma nel contempo restituendogli vita rinunciando fermamente a tentazioni di mimetismo. Sono ormai numerose le esperienze di recuperi industriali che, con approcci, metodologie e differenti processi di addizione, costituiscono la base culturale e conoscitiva per i progettisti che si trovano ad affrontare il tema del recupero edilizio. L’autrice Laura Malighetti nel suo saggio “Le strategie del recupero edilizio” ha classificato gli approcci al progetto secondo quattro categorie fondamentali di intervento: la strategia additiva o sottrattiva; quella del camaleonte che modifica la pelle dell’edificio; la strategia bioclimatica che prevede attraverso pelli e sistemi tecnologici in aggiunta un miglioramento delle prestazioni energetiche; infine, la strategia della scatola dentro la scatola che consiste nell’inserire all’interno dell’edificio esistente nuovi volumi in grado di soddisfare le esigenze funzionali senza comprometterne gli aspetti architettonici 49. Quest’ultima strategia, della “della scatola dentro la scatola”, è quella che più si presta ad essere adottata in casi come il Padiglione del Sale di Cagliari, dove un immenso magazzino a volta parabolica lungo più di cinquanta metri, senza elementi di divisione e interruzione, con una immensa “navata”, è in grado di contenere al suo interno un intero volume architettonico che cambia completamente il volto e la destinazione d’uso del manufatto. A questa strategia è stata affiancata quella dell’addizione, con lo scopo di ripristinare l’immagine di elementi demoliti e di caratterizzare e dichiarare l’aggiunta. Esternamente, due scatole dalle forme dinamiche vanno a contrastare con la staticità e la ripetizione seriale del manufatto architettonico. Questi volumi “endo-parassiti” reinventano e ridefiniscono la spazialità del padiglione; la scatola inserita all’interno viene posizionata perimetralmente per mantenere immutata la spazialità interna, enfatizzata dalla luce zenitale che, con

49 Malighetti, Laura Elisabetta, Recupero edilizio: strategie per il riuso e tecnologie costruttive, Milano: Il Sole 24 Ore, 2011, pp.11-12.

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Fig.77 Strategie del recupero edilizio. 1. padiglione del sale 2. aggiunta scatola interna 3. aggiunta scatole esterne 4. congiunzione dei volumi aggiunti

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aperture collocate in chiave di volta, va a scolpire l’ambiente interno. In questo modo lo spazio libero, che ha la stessa impronta a terra del volume aggiunto, rimane un’ambiente a tutta altezza in grado di esaltare la percezione delle qualità spaziali e architettoniche del contenitore parabolico. Il grande volume che va ad ospitare le nuove funzioni sembra levitare grazie ad alcune scatole minori che ospitano gli spazi serventi del piano superiore; questi supporti fanno galleggiare la grande nave nello spazio del padiglione garantendo l’assoluta permeabilità del piano terra che diventa lo spazio pubblico per eccellenza, estensione coperta dell’ambiente esterno. Le due grandi scatole aggiunte sul lato Ovest e Sud sono caratterizzate da forme dinamiche che entrano in contrasto con la staticità e la ripetizione seriale del Padiglione contrassegnando gli accessi principali al complesso, diventando continuazione e proiezione sul paesaggio dei volumi interni. Anche la scatola interna subisce logiche compositive analoghe di sottrazione e addizione. Essa viene forata in corrispondenza degli ingressi sul lato lungo al fine di creare degli scorci che espandono la vista all’intera struttura voltata; in tal modo il visitatore che varca la soglia ha la possibilità immediata di leggere la spazialità del paraboloide. La copertura invece è oggetto del processo inverso che prevede l’addizione di elementi scultorei che richiamano i cumuli di sale che caratterizzavano il paesaggio delle saline. Tali elementi contraddistinguono ed enfatizzano gli ingressi al piano superiore, riproponendo scorci prestabiliti sull’involucro parabolico. Il nuovo volume riallaccia un dialogo nuovo con l’architettura storica mantenendo una autonomia formale degli elementi che lo compongono. La nuova struttura, ovvero il “contenuto”, costituisce una addizione interna che va a ridefinire il vuoto avvolto dalla struttura originale, ovvero il “contenitore”.

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Fig.78 Operazioni sui volumi inseriti. 1. elevazione scatola 2. sottrazione facciata lunga e inserimento supporti 3. estrusione facciate corte 4. cannocchiali 5. sovrapposizione scatole di ingresso 6. soluzione finale Fig.79 Sottrazioni e addizzioni al volume interno.

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lo spazio pubblico

Tra le scelte principali alla base del progetto di riconversione del Padiglione del sale vi è quella di creare uno spazio pubblico coperto che sia il più possibile in continuità con lo spazio pubblico esterno. Il manufatto infatti cerca di eleggersi a nuovo polo nel fronte mare cittadino, incorporando al suo interno un mix di funzioni capaci di attivare azioni collettive identitarie per la città. Per tale ragione l’edificio contenuto sembra fluttuare, evitando la frammentazione della zona pubblica a livello terra. Cuore di questo spazio, il centro congressi, si posiziona sull’incrocio dei due assi cardini del Padiglione e assume una forma unica in grado di rompere la rigidità delle scatole che elevano le grandi stecche superiori. Sono previsti accessi su tutti e quattro i lati, quello principale sulla testata Ovest in prossimità della scatola che ospitava l’officina; quest’ultima viene sostituita da un nuovo oggetto dalle forme dinamiche che contrasta con la staticità della quinta in calcestruzzo. L’ingresso assume la valenza di uno spazio unico: varcata la soglia ci si trova in uno spazio a doppia altezza inondato da una luce zenitale frammentata dalla presenza di lamelle. Qui il visitatore non percepisce ancora la spazialità del padiglione, dato che si deve seguire una “chicane” che vuole creare l’effetto sorpresa per chi entra all’interno della struttura. Lo stesso linguaggio viene riproposto alla anche per l’ingresso Sud, in un oggetto architettonico con identiche caratteristiche. Dall’interno del Padiglione si può accedere direttamente al corpo scala che ospitava l’elevatore a terrazze, per giungere, attraverso un ascensore, ad una terrazza con vista sulla città, sul mare e sul Parco del Molentargius.

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4 Fig.80 Operazioni sui volumi inseriti. 1. situazione attuale dello spazio interno 2. il centro congressi 3. i percorsi e i setti che definiscono lo spazio 4. gli ingressi a “chicane� Fig.81 pagina successiva. Spaccato assonometrico del piano terra e dello spazio pubblico Fig.82 pagina successiva. Spaccato assonometrico del primo piano

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Vista esterna del Padiglione dal waterfront che costeggia il canale di San Bartolomeo

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il progetto

Il progetto per la riqualificazione del Padiglione del Sale prevede una articolazione su due livelli. Il piano terra potrà ospitare, oltre ad un centro congressi da 80 posti, fulcro dello spazio pubblico, tre volumi che accoglieranno rispettivamente un ristorante, un incubatole d’impresa ed un la palestra collegata al centro per canoisti. Tutti e quattro i volumi svolgeranno la funzione strutturale di sorreggere il volume sovrastante. Sebbene il sistema strutturale sia previsto con sostegni puntuali, questi ultimi risulteranno inglobati in un sistema di finti setti proposti con la stessa scansione strutturale del Padiglione a definire lo spazio del piano terra. Ampi spazi verranno lasciati liberi al piano terra per permettere sia il passaggio pedonale, sia per consentire ampia flessibilità in occasione di specifici eventi. Ogni funzione al piano superiore, seppure accolta all’interno di un unico volume, potrà svolgersi con adeguati livelli di indipendenza organizzativa. Il ristorante, collocato nella parte occidentale del volume, occuperà una superficie di 250 mq, con spazi in costante collegamento visivo diretto con la volta parabolica e l’ingresso alla struttura, e potrà offrire una vista esclusiva sul Porto di Cagliari. Gli uffici, per una superficie di 300 mq, sono previsti nella parte centrale del volume e presenteranno due affacci, uno sullo spazio libero interno ed un altro verso la facciata Nord del Padiglione. L’organizzazione interna dello spazio, di tipo open space con delle postazioni mobili di tipo transit dock, offrirà la possibilità di inserimento di ulteriori postazioni per il lavoro in team. Tutto organizzato attorno ad un patio centrale, in diretto collegamento con il centro congressi. Questo vuoto aiuta a separare lo spazio del lavoro da quello della meeting room e dell’area relax. Il volume del piano superiore si completa con altri 300 mq adibiti a palestra relazionata all’attività canoistica e velica. Anche questo spazio potrà avvalersi di un affaccio speciale sulle Saline del Molentargius e sul promontorio della Sella del Diavolo che chiude il litorale sabbioso del Poetto. Esternamente il volume aggiunto si presenterà con un unico rivestimento in pannelli di vetro serigrafato delimitato superiormente e inferiormente da marcapiani per staccare il volume principale dalle scatole sottostanti. La copertura a “tappo” presenterà delle estrusioni a tronco di piramide per richiamare i cumuli di sale un tempo presenti all’interno di questo immenso contenitore.

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I materiali utilizzati si ridurranno a vetro, acciaio e rivestimento ceramico, così come i colori delle superfici saranno esclusivamente il bianco o il grigio scuro, in modo da enfatizzare cromaticamente lo stacco con il calcestruzzo a vista del Padiglione. Per esaltare la pulizia del volume aggiunto la struttura portante verrà inclusa completamente all’interno dell’involucro e composta da una semplici telai in acciaio perfettamente allineati alla maglia delle costolature del Padiglione. Per il corpo ospitante gli uffici, visto lo sbalzo consistente rispetto al volume sottostante si rileva la necessità di utilizzare un struttura con travi reticolari. Il corpo interno, estendendosi per tutta la lunghezza del Padiglione con conformazione ad L, risulterebbe soggetto ad eccessive dilazione termiche, per questo motivo si prevede di scinderlo in due parti autonome dal punto di vista strutturale, proprio nella sezione in cui cambia la geometria del corpo di fabbrica. In tal modo si vengono ottengono due corpi con lunghezze massime rispettivamente di 40 e di 30 metri. All’esterno la volta, interamente ricoperta di pannelli in zinco-titanio chiaro a ricalcare il disegno interno dei costoloni, contrasta con le due scatole aggiunte sui lati esterni e con la torre dell’elevatore a terrazze; per questi proponiamo un rivestimento in grès laminato scuro. In questo modo attraverso l’utilizzo di materiali diversi viene facilita la lettura dell’opera anche dall’esterno.

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Vista interna sull’ingresso principale al Padiglione

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Il progetto_le soluzioni tecnologiche

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rapporto tra contenuto e contenitore

Intervenire su un manufatto esistente richiede, in fase di progetto, una attenta analisi supportata dalla acquisizione di informazioni e dati esplicativi sulle caratteristiche meccaniche dei terreni e il tipo di fondazioni adottate, le caratteristiche fisiche e chimiche dei materiali utilizzati e le modalità costruttive adottate; tutto ciò soprattutto in assenza di adeguata documentazione tecnica originale. Tali analisi, essenziali al fine di far si che il progetto non porti con se ulteriori danni alla struttura esistente richiedono il coinvolgimento di diverse figure professionali e l’impiego di un sostenuto impiego di risorse economiche con prove sperimentali in sito e in laboratorio. I risultati ottenuti sono utili a capire lo stato di degrado e la capacità di carico della struttura tenuto conto dei carichi permanenti, dei carichi accidentali e della destinazione in maniera da valutare eventuali rinforzi strutturali. Il nostro intervento si è limitato a fare delle considerazioni in base a raffronti con casi di recupero similari, che seppur non numerosi sono stati molto utili per definire una strategia di intervento. Dal punto di vista strutturale, le nuove strutture interne non saranno indipendenti da quelle del Padiglione. Come scelta architettonica, infatti, si prevede di accostare il nuovo edificio alla parete nord del Padiglione e di creare al piano terra uno spazio il più possibile permeabile. I sovraccarichi trasmessi sulla singola costola risulterebbero comunque ben sopportabili per strutture di questo genere, mentre le problematiche maggiori si prospettano per effetto dei mutui spostamenti, derivanti dalla differenza di rigidezza orizzontale, che le due strutture possono subire. La zona di progetto non rientra in una regione con elevato rischio sismico; maggiori approfondimenti, invece, sono richiesti per gli effetti dell’azione orizzontale del vento e per le dilatazioni termiche che una struttura lunga più di 50 metri subirebbe, in particolar modo nei mesi estivi, con temperature che sfiorano i 40 °C. Per contenere le stesse dilatazioni, come scelta progettuale, si prospetta di rivestire l’intera volta con pannelli termoisolanti; inoltre l’intera struttura in calcestruzzo sarà rivestita con una finitura in zinco titanio allo scopo di proteggerla da fenomeni di degrado chimico che in ambiente marino risultano essere molto attivi, soprattutto in manufatti costruiti nella seconda metà degli anni 60’.

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la giunzione tra nuovo e struttura esistente

Fig.83 Assonometria strutturale del volume aggiunto all’interno del Padiglione

La scelta di far collaborare la struttura del nuovo volume aggiunto con quella a costoloni del Padiglione ha comportato la necessità di un attento studio sulla giunzione tra travi in acciaio e costole in calcestruzzo. I due materiali, per le loro caratteristiche fisiche, in particolare per il valore del coefficiente di dilatazione termica, tendono naturalmente a funzionare in simbiosi. Per garantire la reversibilità della giunzione tra le due strutture si è optato per una cerchiatura della costola con una fascia metallica aderente ad essa con un materiale polimerico interposto tra i due materiali al fine di evitare fenomeni di sfregamento. Tale cerchiatura funziona da supporto e trasmissione dei carichi della struttura in acciaio attraverso una giunzione a cerniera. Per la sua realizzazione, alla fascia che costituisce la cerchiatura vengono saldati tre piatti sagomati dello spessore di 30 mm. Dall’altra parte, alla trave principale HEA 300, viene saldato un piatto di testa di 20 mm con un doppio irrigidimento con fazzoletto triangolare. Su questa piastra di testa vengono saldati due piatti sagomati; il tutto viene consolidato tramite un perno filettato con dado e controdado per unire i piatti sagomati della trave e quelli della cerchiatura. Questa soluzione viene riproposta con piccole variazioni anche per le giunzioni che interessano il nuovo volume aggiunto esternamente. La soluzione è la stessa salvo la presenza di due giunzioni a cerniera sui lati corti anziché una. Le giunzioni, per scelta architettonica, non vengono dichiarate; infatti esternamente sono completamente ricoperte di materiale isolante al fine di evitare fenomeni di degrado per la presenza di un vicinissimo e aggressivo ambiente marino, mentre internamente viene completamente nascosta da una controsoffittatura.

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Fig.84 Dettaglio della cerniera di attacco delle travi delle nuove scatole inserite con le costole del Padiglione. 1.cerchiatura metallica con separatore polimerico interposto tra essa e la costola 2. costola Padiglione 3. piastra forata con dadi su contropiastra per la chiusura della cerchiatura 4. n°3 piatti sagomati sp. 30 mm saldati alla cerchiatura 5. n°2 piatti sagomati sp. 30 mm saldati alla trave 6. piastra di testa sp. 20 mm saldata alla trave con doppio irrigidimento a fazzoletto triangolare 7. trave HEA 300 Fig.85 nella pagina a fianco. Aggancio struttura della scatola esterna con costole del Padiglione

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il manto di copertura

Uno degli interventi di maggior rilievo, tra quelli previsti in questo progetto di riqualificazione, è rappresentato dal pacchetto di protezione per l’estesa volta parabolica che ricopre lo spazio interno del padiglione. La volta è stata già oggetto di un restauro nel 2011, con il ripristino di alcune parti ammalorate e la successiva impermeabilizzazione per contrastare l’invecchiamento della struttura. Ma in questo più recente studio, essendo emersa la necessità di limitare il più possibile le dilatazioni e i movimenti della struttura dovuti alle elevate temperature estive, si è dovuto prevedere necessariamente la sovrapposizione di uno specifico sistema a capotto. La copertura vuole riproporre il disegno interno del padiglione, seppur su uno stesso piano, secondo la logica costola - volta - costola. I pannelli previsti hanno una larghezza di 185 cm e assecondano con una leggera curvatura l’inclinazione della volta mentre quelli che ripropongono la scansione e la ritmicità delle costole hanno una larghezza di 65 cm. Costruttivamente la copertura sarà composta da un soffitto, costituito da una chiusura con doppio fondello di spessore 12 cm che rappresenta la parte resistente, sul quale si andrà a posare il resto del manto ti copertura composto da una barriera al vapore; due strati di isolanti con membrana traspirante, per garantisce l’impermeabilità ed una adeguata resistenza ai raggi UV, saldati a caldo per garantire una sigillatura totale dei sormonti. Su di essa poggerà una sottostruttura di listelli in legno, per creare un intercapedine aerante, con la sovrapposizione di un tavolato, composto da un separatore drenante e una membrana antirombo a supporto dei pannelli di rivestimento in laminati di zinco titanio. Per la raccolta delle acque è stata studiata una linea di gronda alla base dell’attacco della volta; il deflusso avverrà con pluviali inseriti all’interno della doppia pelle con raccolta dell’acqua in apposite cassi sistemate ai piedi dell’edificio. Per i pannelli di copertura si è scelto il colore grigio roccia, con tonalità molto chiara in modo che si possa relazionare con il calcestruzzo che ricopre le pareti laterali del Padiglione.

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Fig.86 Stratigrafia manto di copertura. 1. infisso con apertura automatica 2. telaio infisso in alluminio 3. scossalina in alluminio con gocciolatoio 4. profilo verticale con staffe di fissaggio e ganci di supporto per pannelli di rivestimento 5. muro di tamponamento 6. pannello isolante in fibra di legno sp.15 cm 7. lastre di rivestimento in gres laminato 8. pannello in legno multistrato sp.3 cm 9. doppia linea di correnti in legno in abete 5x5 cm 10. rivestimento copertura in zinco 11. tavolato con membrana antirombo sp.3 cm


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comfort e impiantistica

Il riscaldamento ed il raffrescamento del nuovo edificio, che al suo interno ospiterà un ristorante, un ufficio e una palestra, è affidato ad un impianto a pavimento sopraelevato con pannelli radianti integrati. Lo spessore contenuto dei pannelli radianti rende il sistema a bassa inerzia termica riducendo, rispetto ai pavimenti radianti tradizionali, il tempo di messa a regime dell’impianto. Il sistema è abbinato a una pompa di calore ad assorbimento situata in un vano tecnico in prossimità dell’ingresso. Per il volume contenuto dall’involucro del padiglione si è previsto un tradizionale impianto di climatizzazione a tutt’aria, trattandosi di uno spazio di fruizione e non di sosta. Tale impianto consentirà di mantenere le temperature desiderate e garantirà i giusti ricambi d’aria. Le bocchette di mandata saranno situate in chiave di volta, mentre le riprese sono previste a pavimento, in maniera da agevolare i moti convettivi. Si prevedono due Unità di Trattamento Aria distinte per ogni zona: quella a servizio del nuovo edificio inserito all’interno del padiglione è stata collocata in un locale sotterraneo, in prossimità del corpo scale, a diretto contatto con l’esterno; l’altra soddisfa esclusivamente le richieste dello spazio pubblico e verrà posizionata in copertura, nella sala attualmente occupava dall’argano dell’elevatore a terrazze. Per i tubi di aerazione è stato effettuato un dimensionamento di massima necessario per prevedere lo spessore del solaio e dei vani di passaggio50. Gli stessi tubi di mandata e ripresa seguono un percorso abbastanza lineare e la loro sezione è variabile in base alle portate e velocità dell’aria previste.

50 Per i dimensionamenti delle condotte di areazione si fa riferiento alla UNI 10399 impianti aeraulici a fini di benessere.

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Fig.87 Schema impianti di areazione (mandata in nero e ripresa in grigio. Spazio pubblico -portata aria di progetto -velocità - diametro

8200 m3/h 5,8 m/s 0,7 m

Ristorante e Uffici -portata aria di progetto -velocità - diametro

4200 m3/h 4,9 m/s 0,55 m

Sala conferenze -portata aria di progetto -velocità - diametro

1200 m3/h 2,6 m/s 0,4 m

Palestra -portata aria di progetto -velocità - diametro

2200 m3/h 3,1 m/s 0,5 m

NORMATIVA DI RIFERIMENTO UNI 10399 impianti aeraulici a fini di benessere

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Vista interna sullo spazio pubblico 192



Sezione interna al Padiglione_uffici e sala conferenze

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Fig.88 dettaglio 1

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1. rivestimento di copertura in lastre di zinco titanio sp.1cm 2. pannello in legno di osb sp.3 cm 3. strato termoisolante in fibra di legno sp.10 cm 4. profilo scatolare con clips per il fissaggio del rivestimento di copertura 5. impalcato in lamiera grecata sp.7 cm con pannello di osb sp.3 cm 6. trave secondaria IPE 200 7. controsoffitto appeso su sottostruttura metallica

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Fig.89 dettaglio 3 8. pavimento radiante sopraelevato su piedini di acciaio 9. staffa ad L in acciaio per sostegno montante infisso 10. griglia metallica di ispezione 11. marcapiano in lamiera di acciaio zincato

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Fig.90 dettaglio 2

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Fig.91 Dettaglio 4 12. rivestimento in listelli di rovere sp.4 cm 13. profilo scatolare per sostegno staffe di aggancio lastre di rivestimento 14. rivestimento esterno in lastre di cls alleggerito

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Fig.92 dettaglio 5 15. sguincio esterno finestra in lamiera zincata 16. profili metallici a L per sostegno e aggancio rivestimento infisso 17. gronda per la raccolta acqua 10x15 cm 18. strato termoisolante in fibra di legno sp.15 cm 19. pannello in legno multistrato sp.3cm 20. guaina impermeabilizzante autoadesiva di EPDM

Fig.93 dettaglio 6

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Vista sul mirador che guarda alle saline e sulla terrazza panoramica che guarda alla cittĂ

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Fig.94 Dettaglio 1

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1. sistema di facciata con lastre di gres laminato su supporti agganciati alle staffe di fissaggio a muro 2. guaina impermeabilizzante autoadesiva di EPDM 3. tavolato in listelli di legno teak sp.4 cm 4. pavimento galleggiante assemblato su profilati in acciaio 5x5 cm su piedi di appoggio regolabili 5. lucernaio solare con collare per il supporto del vetro 6. tubo con diffusore in vetro opalino

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Fig.95 dettaglio 2 7. rivestimento laminato in zinco titanio su sottostruttura mettallica 8. canalina per raccolta acqua 12x8 cm 9. tavolato in osb su travetto sagomato in legno per pendenza 10. sistema di facciata con lastre di gres laminato su supporti agganciati alle staffe di fissaggio 11. mensola in acciaio con staffe a L di aggancio alla muratura

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Fig.96 Dettaglio 3

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12. pannello isolante in fibra di legno sp.15 cm 13. ghiaia chiara a protezione dell’isolante e dell’impermeabilizzazione 14. profilo scatolare per supporto scossalina 8x8 cm 15. scossalina in alluminio 16. lucernaio con vetro riflettente 17. profili scatolari in alluminio 20x15 per supporto lame rivestite in pannelli di zinco titanio

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Fig.97 Dettaglio 4 18. porfilo mettallico in alluminio di supporto alla scossalina 19. sistema di facciata con lastre di gres laminato su supporti agganciati alle staffe di fissaggio a muro

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Conclusione


conclusione

Il progetto per la riqualificazione del Padiglione del Sale di Cagliari tratta il tema del recupero di vecchi magazzini industriali, ponendo tra i suoi obiettivi principali quello della valorizzazione urbana, attraverso il recupero di un manufatto che sino al secolo scorso rappresentava un elemento identitario della stessa città. Il recupero di questa porzione di territorio antropizzato è parte fondante del processo di ricucitura urbana messa in atto dall’amministrazione comunale per avviare azioni di riscatto sociale ed economico in particolare nel quartiere di Sant’Elia. Il progetto di rifunzionalizzazione, oggetto del presente lavoro di tesi, prevede solo la trasformazione formale dell’aspetto dell’edificio esistente cercando di mantenerne invece invariate le qualità evocative del suo passato industriale. Riflettendo, i progetti per la fruibilità dell’interno di questi magazzini industriali proporranno sempre risposte con carattere provvisorio; la parola stessa “Magazzino”, che deriva dall’arabo “Machsan” col significato di celliere o tesoro, evoca uno spazio ospitale e protettivo senza soluzione di continuità in grado di contenere al suo interno svariate funzioni51. Il protagonista di questi luoghi rimarrà sempre il contenitore, mentre il contenuto potrà variare nel tempo mantenendo una condizione di precarietà condizionata dalla capacità delle nuove funzioni inseritevi di rispondere ai bisogni dei fruitori. Le nuove funzioni previste in questo progetto tendono a captare le nuove esigenze esterne, provenienti da un territorio circostante in continua evoluzione, interessato a processi di rivalorizzazione urbana che coinvolgono in particolare spazi sul fronte mare e nella città del sale. Al giorno d’oggi, la riattivazione di un sistema produttivo legato alla produzione e commercializzazione del sale sembra ormai superato e tanti manufatti, simboli di un periodo in cui l’industria poteva incarnare nuovi linguaggi architettonici, sono in attesa di una possibile nuova vita. Questi “giganti” oramai svuotati completamente dei materiali inerti che un tempo ospitavano, offrono ampi spazi coperti capaci di ospitare attività aperte a nuove forme di reddito nei settori del turismo, del terziario e dei servizi. Questo progetto di riqualificazione parte proprio dall’idea di innestare una nuova centralità all’interno del waterfront, con attività legate al mondo degli sport d’acqua in grado di accogliere anche grandi eventi legati al mondo del mare e 51 Alberto Giorgio Cassani nella prefazione del libro Paraboloidi. Un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna.

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della vela. Una “casa del mare” inserita in un nodo strategico cittadino per assecondare la costruzione futura di una ricucitura di tre porzioni di città e di paesaggio, separati da quelle stesse linee d’acqua che hanno spinto, nei secoli, lo sviluppo della città di Cagliari. La concretizzazione di questo obiettivo non potrà prescindere dall’inserimento di un nuovo elemento pedonale di collegamento, necessario a scavalcare il canale di San Bartolomeo, in grado di unire il centro storico con le aree periferiche, in una continuità di percorsi con varietà di paesaggi urbani accompagnati dalla presenza costante dell’acqua. Il Padiglione e il suo spazio di pertinenza intercetteranno i percorsi cittadini e quelli naturali del parco fondendoli in uno spazio pubblico, espansione del fronte mare cittadino. Questo processo cambierà completamente la vocazione dell’area, un tempo area trafficata da mezzi meccanici e soli addetti del settore salifero, domani area aperta con verde, moli attrezzati e zone organizzate a piazza completamente aperti alla città. Il tutto è stato pensato senza perdere la memoria della passata vocazione industriale dell’area. Il sistema “gru con brandello mobile per il carico del sale sulle navi” che caratterizza il fronte sud del Padiglione rievoca e diventa emblema nello spazio pubblico cosi come l’organizzazione degli spazi a verde richiama la scansione e ritmicità delle vasche salanti tipiche del paesaggio del sale. Anche le pensiline e i volumi esterni che arredano il lato fronte mare adottando una architettura che si mostra nuda, fatta di elementi basilari della costruzione come travi e pilastri, e richiama la bellezza di queste composizioni emblema di un perfetto equilibrio tra funzione ed estetica. Il progetto da noi sviluppato persegue uno schema di selezione cumulativa, con l’inserimento di volumi endo-parassiti all’interno dell’involucro volti a ridefinire e reinventare la spazialità interna di questi contenitori. Per una costante attenzione al rispetto dell’esistente e alla sostenibilità dell’intervento il supporto essenziale ci è pervenuto dalle linee guida che il Comune di Venezia e la Soprintendenza per i Beni Architettonici hanno predisposto nel bando relativo alle proposte progettuali per interventi sui magazzini dell’Arsenale di Venezia.

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BIBLIOGRAFIA

Giovanni Battista Cocco, Pier Francesco Cherchi, Architettura città e paesaggio. Il progetto urbano per il quartiere Sant’Elia a Cagliari, Gangemi, 2009; Modica Marcello; Santarella. Paraboloidi in Italia. Un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna, EDIFIR, 2014; Federica Stella. Nervi per l’industria, i magazzini del sale di Tortona. Lulu, 2011; Rino Brutamasso. Water and Industrial Heritage, The Reuse of Industrial and Port Structures in Cities on Water. Marsilio Editori, 1999; Francesco Calzolaio, Cattedrali dell’archeologia industriale costiera. EditGraf, 2006; Malighetti, Laura Elisabetta, Recupero edilizio : strategie per il riuso e tecnologie costruttive, Milano: Il Sole 24 Ore, 2011; Marco Mattei, Campolmi: la fabbrica della cultura: il recupero dell’antica cimatoria Campolmi di Prato per il Museo del tessuto e la biblioteca della città. Polistampa, Firenze, 2010; Stefania Taroni e Antonio Zanda, Cattedrali del lavoro, Allemandi, Torino 1998; Stefano Pira, La citta del sale, STEF, Cagliari, 1994; Chiara Ronchetta, Marco Trisciuoglio, Progettare per il patrimonio industriale. Celid, Torino giugno 2008; Bruno Musso, Il porto di Genova: La storia, i privilegi, la politica. Celid, Torino settembre 2008; Francesco Gastaldi, “Genova. La riconversione del waterfront portuale. Un percorso con esiti rilevanti. Storia, accadimenti, dibattito” in Michelangelo Savino (a cura di), Waterfront d’Italia. Piani politiche progetti. FrancoAngeli Editore, Milano, 2010;

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Volpe, Valerio, Il Magistrato alle acque per il recupero dell’Arsenale Nord. Venezia Marsilio, 2009; Solomita, Pasqualino, Pier Luigi Nervi : architetture voltate : verso nuove strutture Fondazione Bruno Zevi, Roma 2013; Matteo di Venosa, Pianificazione urbanistica delle aree portuali, DAIP - Dipartimento di Architettura Infrastruttura e Paesaggio, 2002; Gloria Bianchino e Dario Costi, Cantiere Nervi : la costruzione di una identità: storie, geografie, paralleli, Skira, Milano 2012; Fuensanta Nieto, Enrique Sobejano: architetture, Electa, MIlano 2014; Stefano Pira, Franco Masala, Pio Tarantini, Margherita Del Piano, la città del sale, Stef, Cagliari, Novembre 1994.


SITOGRAFIA E ICONOGRAFIA

http://www.comune.cagliari.it/portale/ http://www.sardegnageoportale.it https://www.regione.sardegna.it http://www.parcomolentargius.it http://www.porto.cagliari.it http:www.cagliarincompiuta.it http://www.comunecagliarinews.it/rassegnastampa.php?pagina=3361/Storia delle saline, dei Fenici e degli asini http://www.sardegnadigitallibrary.it/documenti/il paesaggio delle vie d’acqua a Cagliari.pdf http://www.sardegnadigitallibrary.it/documenti/architettura e paesaggio delle saline http://sites.unica.it/scuolaestivasardegnailterritoriodeiluoghipaesaggiculturali http://arsenale.comune.venezia.it/wp-content/uploads/2014/05/20160905_ Documento_Direttore.pdf http://www.ordinearchitettipescara.it/allegati/concorso_archilettura/31 l’architettura delle città d’acqua il porto di-Brunella-Imparato.pdf http://www.fondazionerenzopiano.org/project/112/recupero-del-porto-antico-genova/genesis/?l=it https://divisare.com https://www.arketipomagazine.it http://www.domusweb.it/it/architettura/2013/03/22/la-nuova-entrata-all-arsenale.html

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http://www.promozioneacciaio.it http://www.zintek.it/it/content/Progetti~150/Galleria_Progetti~62/UniCredit_ Pavilion_ndash;_Milano~299 https://www.youtube.com/watch?v=m703nR526aA https://www.youtube.com/watch?v=rjaqxvSr7fM https://archeologiaindustriale.net/3006_paraboloidi-un-patrimonio-dimenticato-dellarchitettura-moderna/ http://www.nietosobejano.com/project.aspx?i=23&t=EMBARCADERO_CIVIC_ AND_CULTURAL_CENTER https://www.windfinder.com

Fonti Iconografiche inserite in questa tesi di laurea sono state riportate dai siti internet appositamente citati a fianco alle immagini o presenti nella sitografia, ad eccezione di: - le ortofoto per le analisi sui casi studio e sull’area di progetto estrapolate dal software Google Earth Pro; - i rilievi e gli elaborati progettuali relativi al Padiglione del Sale di Cagliari prodotti nella loro totalità da chi ha scritto la tesi; - le foto sullo stato dell’arte del Padiglione del Sale prodotte da chi ha scritto la tesi.

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RINGRAZIAMENTI La nostra più sincera gratitudine va alla Prof.ssa Silvia Gron e al Prof. Valentino Manni per averci accompagnato in questo percorso, mostrando una sorprendente disponibilità e competenza, che hanno reso ogni incontro un momento di confronto, fornendoci nuovi stimoli e spunti di riflessione per il proseguio del lavoro. Un sentito ringraziamento va a chi ci ha fatto scoprire e amare questo splendido reperto di archeologia industriale attraverso racconti e memorie del passato produttivo dell’area. Vogliamo ricordare in particolare il Sig. Celli co-direttore delle saline e il Sig. Mazzolani per averci guidato nelle nostre prime visite sull’area di progetto. Il ringraziamento più grande è per le nostre famiglie, che con pazienza e affetto ci hanno appoggiato e sostenuto in questo percorso di studi. Ma senza l’aiuto, l’incoraggiamento e la compagnia di amici e colleghi questo percorso sarebbe stato certamente più complesso, a tutti loro va un nostro sentito grazie. Dedichiamo questo lavoro ai nostri nonni, per noi, maestri di vita.




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