MEMEZONE photo & visual culture
JOANNE fashion DUNN and wedding style
JENNIFER tra cielo LOOMIS e terra
CRISTINA SPINELLI CRISTINA ALTIERI VINCENZA DE NIGRIS
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joanne dunn
jennifer loomis
wedding photographer of the years 2011
tra cielo e terra - la gravidanza raccontata
di Francesco Ianora
di Nicolò Gennaro
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cristina spinelli
cristina altieri non solo fotografia istantanea
memezine submission user
di Luca Tabarrini
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vincenza de nigris fotografia e sentimento contemporaneo di Paolo Giaffreda
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Memezone photo & visual culture Editore: Gianluca Orrico Direttore: Francesco Ianora Art Director: Sabatino Moccione Redattore: Marco Briziarelli Hanno collaborato: Matteo Piccinini - Nicolò Gennaro Luca Tabarrini - Paolo Giaffreda
editoriale Numero 0
di Francesco Ianora
Memezine ritorna con un ricco numero 0 tutto dedicato alle donne. Per l’occasione abbiamo sviluppato una nuova iconografia, un nuovo vestito che si è rinnovato a partire dal nostro logo. Non c’è un rompicapo dietro ma solo l’idea di un Meme in negativo, un po’ il manifesto stilistico che ci imporrà, da qui in avanti, di lavorare per sottrazione: quello che manca lo riempirete voi, a partire dal logo siamo qui per collocare spunti di riflessione nel mare di input che, ormai, o per fortuna, è la vita. Un numero al femminile quindi, occhi di donna che ritagliano il mondo nel perimetro visivo di uno scatto, donne che ritraggono altre donne, paesaggi, istanti. Il primo lungo servizio è per Joanne Dunn, fotografa barocca di matrimoni, pluripremiata e capace a costruire e cogliere la bellezza suprema di un giorno memorabile. Se pensate che foto di matrimoni ed arte non vadano a braccetto fatevi un giro per il catalogo visuale di Joanne. Troverete fusi assieme cime tempestose della costiera amalfitana, un’Italia del passato che a stento ci ricordiamo e ritratti da rivista di moda super patinati. Vedere per credere.
Un omaggio semplice e potente alla bellezza femminile ce lo regala Jennifer Loomis. I soggetti delle sue foto sono donne in gravidanza, lo spettacolo pieno e sontuoso della vita. Poi faremo un giro virtuale nella fotografia pop e istantanea di Cristina Altieri, un salto nel tempo e uno sguardo alla sezione Vintage dell’universo fotografico. Vincenza de Nigris ci racconterà storie di donne viste attraverso una mente femminile, le sue foto sono strumenti di osservazione come potrebbe essere un telescopio, semplicemente ci portano altrove attraverso la sensibilità di un’artista. Da questo numero troverà sempre spazio un pezzo dedicato ai membri della nostra community. A seguire vedrete le foto di Cristina Spinelli, fotografa autodidatta che ci mostrerà scatti malinconici e poetici. La buona fotografia sta anche nella facilità a visualizzare un’emozione, e questa meraviglia si può cogliere con ogni macchina e in ogni momento. Buona visione a presto!
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JOANNE fashion DUNN
and wedding style
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joanne dunn
wedding photographer of the years 2011 di Francesco Ianora
Joanne Dunn è una fotografa professionista specializzata in matrimoni: nata in Sudafrica si è stabilita da anni a Ravello in costiera amalfitana. Il suo approccio tende ad esaltare la bellezza degli sposi e del contesto della cerimonia, unendo lo stile documentaristico alla patina glamour delle foto di moda. Il risultato è un servizio fotografico unico che l’ha portata a ricevere numerosi riconoscimenti internazionali: tra questi il premio FIOF 2011 nella categoria “Wedding Contest”. Di seguito trovate l’intervista a Joanne e, soprattutto, tante sue foto che meglio delle parole descriveranno il suo stile unico.
Nel tuo lavoro di wedding photographer come incidono le richieste dei committenti sulle tue scelte estetiche? “A volte la sposa desidera ed immagina un servizio fotografico con i canoni di una rivista di moda, mentre magari i genitori si aspettano qualcosa di più tradizionale. Alla fine il mio lavoro è cercare di far felice tutti, cogliere la naturalezza e l’unicità di quei momenti, e non sempre è facile!” Come ci riesci? “Uno dei momenti che preferisco è la preparazione. Nervosismo, eccitazione, panico e gioia insieme. Faccio il possibile per passare in “stealth mode”, mi rendo invisibile e catturo, documento, studio. E’ una fase fondamentale, le persone coinvolte riescono a prendere confidenza con me e io ho l’occasione di “testare” le prospettive migliori per descrivere quei momenti.” Collabori con diversi “wedding magazines”: cosa cercano queste pubblicazioni di settore?
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“Dettagli, questo tipo di riviste cercano soprattutto dettagli. E’ dai particolari che, di solito, viene fuori una storia. I matrimoni nascondono proprio nei dettagli quello che è successo nella preparazione dell’evento, i dettagli raccontano mesi e mesi di pianificazione, con tutto il carico emotivo legato ad un evento epocale nella vita di tutti.”
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Nei tuoi scatti dimostri una spiccata capacità da ritrattista, come riesci a cogliere l’anima delle persone in mezzo al trambusto della festa? “Non ci sono molte occasioni “sincere”, ma una si. Appena prima di uscire di casa gli sposi, finalmente, hanno un po’ di relax. Penso succeda anche agli artisti prima di entrare in scena, è un momento intimo e raro, in cui la sposa e lo sposo sono bellissimi e si sentono tali, cerco sempre di catturare bei ritratti in questi minuti prima della cerimonia.”
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I tuoi matrimoni sembrano set di una rivista di moda, è una scelta dei clienti o rispecchia il tuo modo di vedere il lavoro? “Tutte e due le cose. Io credo che in quel momento la coppia deve essere al massimo, entrambi devono essere bellissimi e perfetti. Mi piace costruire il servizio con gli sposi, farli divertire e coinvolgerli, ti assicuro che è un’esperienza nuova ed intrigante e il risultato è sempre una bella sorpresa: c’è una modella o un modello in tutti noi!”
Qual è la luce perfetta, e come la costruisci? “Buona parte del lavoro lo fa madre natura. Io adoro le due ore che precedono il tramonto e l’ora successiva. Evito, se posso, le ore calde e terribili di mezzogiorno. Poi lo scenario della costiera amalfitana compie l’altra parte del miracolo: il servizio si trasforma anche in un documentario di paesaggi con echi del “Grand Tour”, gli sposi diventano magicamente aristocratici sognatori in viaggio per l’Italia!”
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http://joannedunn.it/ • Fotografo dell’anno 2011 - Wedding Photographer of the years 2011 - FIOF (Italy - Italia) • Fiof - Professional Photography Award 2011 Bronze Award - categoria matromonio • Two accolades of excellence - WPPI (Wedding Potrait Photographers International) 2011 Album Excellence Awards hekd in Las Vegas, USA. • Three accolades of excellence in the categories Photo Journalism & Wedding Details in the WPPI (Wedding Potrait Photographers International) 2011 Awards of Excellence 16x20 Print Competition held in Las Vegas. • Two first places and many other awards receveid by the Wedding Photojournalism Association (WPJA) 2006 to 2008 (USA) • Awarded by the Artistic Guild of the Wedding Photojournalist Association 2088 (USA) • Awards ISPWP /The Intrnational Society of Professional Wedding Photographers) 2009, 2010.
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JENNIFER tra cielo LOOMIS e terra
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jennifer loomis
tra cielo e terra - la gravidanza raccontata di Nicolò Gennaro
Oggi come oggi, l’accostamento delle due parole “donna” e “fotografia” rischia di apparire quasi un collegamento scontato. Anzi, risulta quasi inevitabile seguire con il pensiero le tonnellate di fotografie che involontariamente ci raggiungono ovunque, dai giornali, da Internet, dalla televisione (per chi ancora la guarda). La quasi totalità di esse ritraggono gli stereotipi femminili, magari con un eventuale prodotto da pubblicizzare. Ma non è l’uso del corpo della donna il protagonista del nostro discorso. Qui parliamo di bellezza. La bellezza femminile come sentimento ed emozione innata, più che come scelta estetica. La bellezza non come ricerca dei tratti migliori, ma come essenza della Donna, della Maternità. Dico Maternità, perché credo che proprio nella maternità la Donna trovi una sua più alta elevazione, indipendentemente dal corpo che cambia, si deforma, si trasforma. Possiamo dire che nella Maternità, forse il periodo più intenso della vita di una Donna, questa si allontana sicuramente da quelle linee che venivano per definizione considerate belle dalla nostra Società, lasciando fuoriuscire, di contro, un nuovo tipo di bellezza, più autentica. Fortunatamente negli ultimi anni, nel vasto panorama dei fotografi professionisti, abbiamo trovato qualcuno che pensa, diversamente dal passato, che la bellezza è proprio nella Maternità che vada ricercata. E fotografata. 40
Jennifer Loomis è un’artista nata in Connecticut (USA). Inizia la sua carriera come fotogiornalista, che la porta a vivere in Giappone, Virginia, Indiana, Singapore, Kenya. Fin dall’inizio della sua carriera al fotogiornalismo associa un’intensa attività di ritrattistica fine art di nudi femminili, ai quali oggi è arrivata a dedicarsi a tempo pieno. L’enorme successo della sua fotografia le ha permesso di aprire, oltre allo studio di Seattle, dove abitualmente lavora, altri studi fotografici a NYC e a San Francisco.
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jennifer loomis
Jennifer, quando e come è iniziato il tuo amore per la fotografia? “Il mio amore per la fotografia è iniziato quando ero ancora ragazzina, ma inizialmente non avevo mai preso in considerazione la possibilità che questo potesse divenire anche il mio lavoro. Quando mi trasferì in Giappone, avevo con me una vecchia macchina fotografica che anni prima qualcuno mi aveva regalato. Non parlavo il giapponese tanto da farmi capire bene, e così la macchina fotografica divenne il mio mezzo privilegiato per parlare alla gente. Essa divenne uno strumento che mi metteva in contatto con la realtà nella quale vivevo. E anche se ero una persona timida, fu proprio la fotografia che mi aiutò a vincere questa barriera che mi separava dalla gente”. E quando hai iniziato a pensare alla fotografia come la professione dei tuoi sogni?
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“Dopo aver viaggiato attraverso il Sud Est Asiatico, e dopo essere tornata a San Francisco, iniziai a lavorare per un negozio di macchine fotografiche. Fu lì che iniziai a capire che era la fotografia l’interesse sul quale volevo costruirmi un lavoro. Iniziai a fotografare nudi di donne, nudi di donne incinte. Chiedevo a tutti i fotografi professionisti che incontravo, e tutti mi dicevano la stessa cosa: “nessuno ti pagherà mai per fotografare nudi di donne, e tanto meno per fotografare nudi di donne incinta”. Mi dissero che avrei fatto meglio a tornare sui miei passi e diventare una fotogiornalista. Così ho seguito i loro consigli, e mi sono iscritta all’Università del Missouri, ho ottenuto il master in fotogiornalismo, e ho iniziato a lavorare come fotogiornalista”
Così hai iniziato a fare la fotogiornalista, ma ti sei resa conto che la tua vera vocazione era piuttosto un’altra, quella di ritrarre nudi femminili, giusto? “Sì, nudi femminili, ma vedila sotto questo aspetto: io facevo contemporaneamente due tipi di fotografia molto diversi: da un lato fotografavo per raccontare delle storie attraverso le mie immagini e questo era un lavoro molto attivo che richiedeva di essere sempre presente ovunque fosse necessario, dall’altro, lavoravo come fotografa fine-art con donne incinte, e questo mi ha aiutato a “equilibrare” bene la componente artistica e la componente razionale del mio cervello. Poi successe che mentre lavoravo come fotogiornalista, incominciò ad aumentare l’interesse per la fotografia di madri in gravidanza. Ero in contatto con una persona che lavorava per la televisione, e mi fu proposto di raccontare in televisione il mio lavoro. Tutto ad un tratto non ebbi più tempo per l’attività giornalistica, la richiesta di madri che chiedevano di essere fotografate era semplicemente salita alle stelle”.
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Una delle fotografie di gravidanza più famose, se non altro per diffusione, è quella di Demi Moore pubblicata su Vanity Fair nel 1991 dallo studio fotografico di Annie Leibovitz, dove anche tu hai lavorato. Quella foto iniziò una nuova tendenza, a giudicare dalle numerosa star di Hollywood che decisero di posare per le prime pagine delle riviste durante la loro gravidanza. Ma come è nata quella foto? “Si legge in giro che io ho tratto la mia ispirazione da quella foto, ma questa non è esattamente la verità. Annie Leibovitz e il suo studio decisero di fotografare Demi Moore durante la sua gravidanza, ma non avendo mai scattato fotografie simili si domandarono a chi potevano rivolgersi. E si rivolsero a me. Sono molto grata allo studio di Annie Leibovitz, che mi ha supportato all’inizio della mia carriera, aiutandomi a trovare i primi clienti e diffondendo il mio lavoro.” Ora cambiamo argomento. Come ti approcci alle madri, o alle famiglie che vengono da te per farsi fotografare? Come si instaura il vostro rapporto, che culminerà nel servizio fotografico?
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Questa è un’ottima domanda, è un aspetto molto interessante del mio lavoro. È infatti qualcosa che nessuno ti insegna. Credo che devi veramente avere molta attenzione verso persone che ti sono davanti. Per fare questo serve molta riflessione, meditazione, empatia, essere aperti e capire le sofferenze delle persone con cui ti relazioni, cercare di essergli così vicino da sentirti in un qualche senso connessa alle loro vite. In America questo tipo di approccio con un cliente è quasi avveniristico, ma io sono convinta fortemente che se una persona viene da te per un servizio fotografico, tu ne devi avere cura come persona, più che come cliente, e soprattutto bisogna cercare di capire il perché quella persona ti sta a cuore. Ogni persona ha una storia, ed
è qui che riemerge il mio fotogiornalismo. Da questo concetto importante è nato anche il mio primo libro (Portraits of Pregnancy, the birth of a mother http://www.jenniferloomis. com/press-and-praise/portraits-of-pregnancy/ ndr), dove alle fotografie delle future madri ho accostato, insieme allo scrittore Hugo Kugiya, le loro affascinanti storie. In fondo, faccio le stesse cose che farei nel fotogiornalismo. Quindi se ho capito bene la tua intenzione è quella di attingere dal fotogiornalismo la capacità di catturare e raccontare delle storie, in modo da poter prima capire il tuo soggetto e poi ritrarlo nel modo che ritieni migliore. Sì esatto, credo che questo sia l’unico modo per cogliere fino in fondo la persona che hai davanti. Anche un gesto, una risata, una scrollata di spalle. Sono queste le cose che rendono un ritratto unico, che lo renderanno sempre diverso da foto scattate nello stesso ambiente, con la stessa luce, nella stessa posizione.
In un’ intervista alla televisione americana, Jennifer Loomis dirà infatti: “Credo che quello che mi contraddistingue dagli altri fotografi che fanno il mio stesso genere di fotografia è che io non sono cresciuta con questa fotografia che faccio ora. Il mio passato infatti è il giornalismo, dove ho imparato negli anni a cogliere un attimo, un sentimento. Le donne in gravidanza spesso si sentono brutte, a volte sembrano non accettare i mutamenti ai quali il loro corpo necessariamente va incontro. Cosa ne pensi? “Non solo le donne sentono di aver perso la loro bellezza, ma sopratutto l’intera società per molto tempo le ha spinte a questa considerazione di loro stesse. E io sono molto fiera di me stessa nell’aver portato la bellezza della gravidanza di donne comuni e le loro storie su giornali e riviste di grande diffusione, dove normalmente troviamo solo fotografie di celebrità. “
Quando i tuoi clienti vengono al tuo studio, chi decide le fotografie? È un lavoro, per così dire, “di squadra” o si affidano completamente a te? “Sì, è un lavoro collaborativo. Loro mi dicono che cosa amano di sé stessi e delle mie immagini, e ovviamente quello non amano, se vogliono esporre i seni o le parti intime e questo mi aiuta molto durante la sessione. Spesso i miei clienti portano anche i loro animali domestici, io non ho nessun problema. In fondo, è come se fossero loro i primi figli” Qual è l’aspetto che più ti affascina della fotografia che hai deciso di sviluppare? “Mi piace ogni singolo aspetto della fotografia che ora faccio, perché non arrivo mai ad annoiarmi. E anche se un giorno non venisse nel mio studio una donna incinta, bensì una famiglia, con i loro bambini piccoli che corrono ovunque per la stanza, per me èsarebbe anche questo un aspetto affascinante del mio lavoro, cioè essere portata sempre a misurarmi con situazioni diverse” Credi che il tuo lavoro abbia anche un impatto sociale, ovvero mostrare la donna in gravidanza sotto una luce nuova che contrasta con l’idea che la nostra società per molti anni ci ha proposto? “Spero di sì. Io voglio che il mio lavoro aiuti a cambiare il modo in cui la società guarda al corpo della donna durante la gravidanza. Ma voglio che questo cambiamento non passi attraverso le celebrità, io voglio che le persone vedano una vera donna incinta, e che ne vedano la bellezza. Pensa per un attimo al corpo in gravidanza come il luogo che si trova tra il Cielo e la Terra. Perché è lì che tu hai entrambe le cose, la Terra e lo Spirito o l’Anima, come dir si voglia. Le due cose si incrociano proprio nel corpo della futura madre. E se pensiamo a questo, possiamo capire quanto non solo il mio lavoro, ma anche
quello degli altri fotografi come me, sia molto potente. L’Arte naturalistica e religiosa del passato non ha mai dato grande valore artistico al corpo della donna incinta. Io ho studiato Storia dell’Arte all’Università, e quando ho iniziato a fotografare nudi di gravidanze mi sono domandata “Dov’è la donna incinta nella Storia dell’Arte?”. Proprio non lontano da Perugia c’è un dipinto di Piero della Francesca, “la Madonna del Parto”, ma è uno dei pochi esempi che mi viene da citare. Noi abbiamo bisogno di più donne in gravidanza nei musei, nelle gallerie, di fronte all’occhio pubblico. Tu hai viaggiato molto nella tua vita, per lavoro e non. Riesci a vedere delle differenza su come la fotografia viene concepita e valorizzata? Per esempio tra USA e Europa. “Non credo di poter dare una risposta. Voglio dire, ovunque ho viaggiato ho trovato gallerie di fotografia destinate al grande pubbico. Sicuramente negli USA la fotografia ha storicamente iniziato ad avere una valenza artistica tardi rispetto all’Europa. Solo con gente come Alfred Stieglitz fu che a New York si iniziò a guardare la fotografia sempre con maggiore attenzione, con la costruzione di gallerie e musei, senza mai però arrivare al livello della pittura. Per quanto riguada l’Europa, non so cosa dire. Sicuramente, come negli USA, i fondi per l’arte sono sempre meno, ma in Europa la cultura dell’arte è più sviluppata e diffusa rispetto agli USA. Trovare fondi per una esposizione oggi è difficile, tutto viene valutato in termini di profitto economico piuttosto che di qualità.“ 47
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Come ti sei trovata a Perugia, che nell’estate del 2011 ha ospitato una tua mostra personale al Palazzo della Penna? “Perugia è stata stupenda, è una delle mie cittadine preferite in Italia. Mi piace la città e la sua gente, di cui ho apprezzato molto le discussioni riguardanti i miei lavori. Le ho trovate molto valide e davvero non potevo sperare in una migliore esposizione. Anche la location, molto vicina alla gente, era perfetta. “ Ho saputo che ti occupi anche di video, è vero? “Sì, ma ultimamente sempre di meno, dal momento che la fotografia sulla maternità mi assorbe ormai tutto il mio tempo. La maggior parte dei video erano no profit, video per associazioni i cui scopi erano quelli di raccontare storie. La cosa che mi piace di più nel girare video è, però, catturare l’audio. La voce credo sia la cosa più caratteristica di una persona, ciò che la rende unica. “ Parlando di modelli, ci sono fotografi che hai seguito e altri che segui attualmente con interesse? “Ultimamente mi sto interessando molto alla fotografia olandese. In particolare a Rineke Dijkstra (http://it.wikipedia.org/wiki/Rineke_ Dijkstra) (che ho potuto ammirare a San Francisco recentemente. Lei fa ritratti completamente diversi dai miei, ma trovo il suo lavoro assolutamente interessante. I suoi ritratti parlano, credo che abbia molto talento. Un’altra fotografa che ritengo davvero speciale e che ha influenzato fortemente il mio lavoro è stata Ruth Bernhard (http://en.wikipedia.org/ wiki/Ruth_Bernhard). Anche lei faceva ritratti di nudi femminili, utilizzava un’illuminazione molto semplice, quasi sempre naturale, proprio come preferisco fare anche io.”
Ora un’altra domanda sulla fotografia contemporanea. Le statistiche dicono che la maggior parte delle fotografie scattate oggi sono scattate con smartphones. Credi che la fotografia si sia lasciata gli anni d’Oro alle spalle, o è adesso che con questa tecnologia fruibile da tutti può svilupparsi con più facilità? “Su questa domanda ho sempre riflettuto molto. Credo che tutto dipenda da cosa intendiamo per “anni d’Oro” della fotografia. Se parliamo di pellicola e di stampa fine-art, che sono quelle che faccio io ancora, penso che sia destinata necessariamente a diventare una mestiere di pochi. Sarà estremamente costoso, molto faticoso ma molto prezioso, come lo è sempre stato d’altronde. Con il mio i-Phone ho raccontato ad esempio il mio viaggio a piedi attraverso la Spagna. Gli smartphones tuttavia comprimono necessariamente le immagini in uno spazio piccolo, molto piccolo. Così se ci pensiamo un attimo sopra, capiamo che la fotografia sta diventando sempre più entusiasmante da certi punti di vista; io la vedo, ad esempio, giocare una parte importantissima nel futuro della comunicazione. Siamo sempre più forzati a trasmettere messaggi complessi attraverso, ad esempi, i social network, e trasmettere messaggi complessi tramite singole immagini aprirà alla fotografia nuove possibilità nel mercato della comunicazione e dei social network. Già il mercato si è adattato a questo trend, producendo devices in grado di visualizzare ovunque immagini, si tratti di enormi televisori o si tratti di tablet o di cellulari sofisticati.Tuttavia, non credo che questo aiuti la fotografia in sé. Quindi io penso che la fotografia tradizionale diventerà sempre più un’arte di pochi, e io posso dire “guarda, io posso scattare quello che devo scattare in 36 immagini”, ma ciò mi rende davvero una fotografa migliore rispetto a chi scatta prima cinquemila fotografie e da quelle ne sceglie 36? Non credo proprio. Al cliente non importa molto quante foto fai, ma che le foto siano 51 foto valide. “
jennifer loomis
Che cose hai in mente per il futuro? “Sicuramente continuerò la mia attività di ritrattistica di nudi femminili. Ma voglio anche iniziare a fotografare nudi maschili. Il modello di bellezza attuale, che presenta corpi estremamente artificiali, ha avuto un impatto negativo sull’immagine che abbiamo di noi stessi, soprattutto del corpo femminile, ma pare che la stessa cosa stia succedendo con il corpo maschile. Anche i ragazzi sono sempre più vittima di malattie come l’anoressia nervosa e la bulimia, e credo che questo sia molto significativo. La vedo anche come una sfida: non riesco ancora ad immaginare che un uomo mi chiami e mi dica di volere un bel ritratto di sé stesso nudo. Ma prima anche tutti quelli a cui avevo domandato il loro parere sulla ritrattistica della maternità avevano mostrato lo stesso scetticismo, prospettandomi un futuro nero dal punto di vista lavorativo. E invece sono arrivata dove sono ora, e non ho intenzione di fermarmi. E allora, perché non provarci anche con gli uomini?” Un’ultima domanda, Jennifer, mi piacerebbe che per i lettori di MeMezine commentassi qualche tuo scatto. “Ok. Possiamo iniziare da questa che è stata scattata con luce naturale, davanti ad una finestra a golfo, esattamente al centro dei 3 pannelli di vetro di cui era composta la finestra. Non ho usato il flash perché volevo mantenere quelle luci sulle spalle e sulle braccia. Questa foto è un classico esempio di come io continui a utilizzare il mio retaggio fotogiornalistico nell’esecuzione dei miei ritratti, ovvero attendere l’attimo giusto. Normalmente si chiede al soggetto di compiere dei movimenti, e poi sta a te trovare il momento esatto.
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Con l’obiettivo ho sempre mirato alla pancia, tendendo a sovraesporre leggermente la fotografia di +1 stop, in quanto scatto sempre in negativo. Uso pellicole HP5, che sarebbero ottimizzate per ISO 400, ma quando eseguo ritratti di donne gravide preferisco impostare gli ISO a 800, mentre per i bambini mantengo ISO a 400. Così anche questa è stata scattata a ISO 800. Preferisco tenere gli ISO alti in quanto mi piace l’effetto che hanno sul risultato finale, avvicinando con l’effetto grana la fotografia ad un dipinto.” “Questa fotografia è stata scattata invece con una Lensbaby (http://it.wikipedia.org/ wiki/Lensbaby), anche qui senza utilizzare alcun flash, e le modalità sono pressoché le stesse della foto precedente.”
“Qui invece ho usato una luce artificiale, un Monolight Strobe, che ho impostato a 1/25 e 5-6.5 con la macchina fotografica a f/5.6. Questa fotografia è un altro esempio della mia tendenza a scattare le foto intorno alle foto. Mi spiego meglio. La foto di partenza sarebbe la donna che guarda verso il basso la sua pancia, che è lo scatto classico, che ho fatto per moltissimo tempo. Così le ho detto di scuotere la testa all’indietro in modo che io potessi avere i suoi capelli sul collo, e mentre lo faceva ho scattato la foto.” Bene, Jennifer, MeMezine ti ringrazia per la tua grande disponibilità e ti augura ancora tante soddisfazioni con i tuoi ritratti. “Grazie a voi, è stato un piacere e buona fortuna con la vostra nuova rivista.”
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cristina spinelli memezine submission user
“Ciao. Sono Cristina. Ho 34 anni e lavoro in una delle più grandi multinazionali al mondo. Mi occupo di strategie di global marketing. Che già sembra una malattia. Non riesco a non provare, ogni volta che lo dico, una discreta punta di vergogna. E’ la parte idealista di me che in questo momento si prende cura dei bambini africani che scuote un po’ la testa. In ogni caso, tutte e due le me si farebbero una grassa risata se dovessi mai definirmi una fotografa. Sono una persona fondamentalmente malinconica ed è per questo che uso una Olympus Om1 degli anni ‘70 rubata a mio padre. (foto rettangolari) Non ho fatto nessun corso di fotografia. L’ho solo portata in tutti i viaggi fatti negli ultimi 10 anni. Non l’ho mai modificata. Ha un obiettivo 35-70 che definirei della giusta distanza. Il Flash l’ho rotto forse 5 anni fa, ma non ne avevo mai fatto comunque un grande uso.
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Il momento che preferisco in assoluto è andare a ritirare le fotografie. Mi piace stupirmi e ricordare. Mi piace l’odore di vacanza e di fantasia che le foto mi ridanno indietro. Circa 5 anni fa un mio amico, fotografo vero lui, mi ha regalato una Holga. ( foto quadrate) Ovviamente la trovo divertentissima e utilissima per gli scatti rubati. (Sono convinta di aver fatto delle foto molto belle al mercato del pesce di Dar Es Salaam, ma poi mi è stata rubata la Holga stessa). La maggior parte delle volte mi dicono “belle, hai usato hissamatic?”. Ma io, nonostante i molteplici euro spesi, ringrazio e penso a quel momento in via Tirso quando apro la bustina e inizio a sfogliare. Sono più soddisfatta invece quando mi dicono che anche se nelle fotografie non ci sono, si sente la mia presenza.”
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cristina altieri non solo fotografia istantanea di Luca Tabarrini
Per questo nuovo appuntamento con “Memento” incontriamo la bravissima Cristina Altieri. Con lei parleremo del suo percorso di fotografia istantanea, e non solo. Attrezzatura: Canon AE-1, Polaroid Land Camera Pronto B Polaroid 600 Holga Polaroid SLR 680.
Parlaci di come hai iniziato il tuo percorso fotografico. “Il mio percorso fotografico è iniziato per casualità. Una casualità talmente ‘’perfetta’’ che mi piace chiamarla Destino. Qualche anno fa un mio amico musicista ha iniziato a barattare mie foto con sue canzoni. È iniziato tutto da lì. Poi, pian piano, ho scoperto che la fotografia riusciva a convogliare tutte le emozioni che il mio corpo non poteva trattenere. ” Qual è stata la tua prima macchinetta fotografica? “La prima con cui ho iniziato a fotografare era una compattina da 6mpxl prestata da un’amica. Ma la ‘’mia’’ prima macchina una Canon AE-1, Marshall.” E la tua macchinetta preferita? “Lo sono tutte. Ognuna a suo modo. Ognuna mi permette di ‘’dire” nel modo migliore le diverse cose che sento.”
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cristina altieri
Come ti sei avvicinata alla fotografia istantanea? “Col desiderio prima e la passione poi. La fotografia istantanea è ciò che più si avvicina al mio modo di amare, di sentire. E’ immediata, irripetibile, unica. Resta nel tempo e la porti con te, ovunque, in un piccolo spazio. Va sempre oltre quello che riesci a vedere ed immaginare. L’amore, invece, è nato grazie alla ‘’famiglia Polaroiders.it’’. Carmen e Alan mi hanno accompagnato per mano in questo mondo meraviglioso, aiutandomi e sostenendomi. Mi sento privilegiata a farne parte insieme a tutti gli altri ragazzi che, come me, condividono questa passione.” Il mondo della “polaroid” è molto cambiato nei decenni. Eppure, anche se la casa madre ha cessato la produzione delle celebri cartucce, qualcosa, più di qualcosa per la verità, s’è mosso. Cosa pensi dell’impossible project e del cambiamento che ha portato in questo settore? “Nutro profonda stima per l’Impossible Project e per i ragazzi che ne fanno parte. Sono stati in grado, con duro lavoro e dedizione, di farci rivivere un sogno in pochissimo tempo e in un momento in cui i sogni troppo spesso si trasformano in utopie. Se abbiamo nuovamente l’opportunità di scattare polaroid è solo grazie a loro. Direi che la parola che esprime meglio la mia gratitudine è un sincero e semplice “grazie”. Credo anche che il settore sia in continua evoluzione. La mia percezione è che la nuova realtà istantanea si stia muovendo verso lavori qualitativamente eccellenti e che all’approccio “pop” se ne stia affiancando uno più - passami il termine - artistico -.”
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Scatti anche in pellicola, cosa ti spinge, cosa ti affascina? “L’amore per l’analogico è stato travolgente, intimo, appassionato. E’ nato la prima volta che ho guardato attraverso l’obiettivo della mia Canon. Vedevo cose diverse, vedevo esattamente quello che sentivo. Un sentire amplificato che si dipana ogni volta che la macchina fa ”click”. Riesco a toccare la luce, le ombre si rivelano e la polvere - sottile - si muove, quasi impercettibile, e si posa sulle immagini. C’è tutta la verità su di me: luce, ombra e polvere. E’ reale.” I tuoi ritratti sono caratterizzati da luci ed ombre che, in maniera piuttosto netta, interagiscono con i soggetti. Cosa è celato e cosa svelato? “Nelle immagini da me rappresentate, i corpi, avvolti da luci ed ombre e simboli di tali dualità, fanno scudo agli sguardi, ai volti, che restano celati, nascosti, perché rappresentanti della parte più intima, più vera. La paura di scoprirsi agli altri e a se stessi. Il corpo diviene mero guscio della parte spirituale, e va perciò penetrato per vedere la sostanza oltre l’apparenza, l’eterno oltre il contingente, l’essenza dietro il fenomeno. Credo ci sia un naturale tentativo di nascondersi e di fuggire, ma ultimamente inizio a sentire che la - verità - è molto più visibile di quanto non pensi.”
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Dai un’aggettivo al tuo lavoro. “Autobiografico.” Qual è il tuo soggetto preferito? “Le persone e i carrozzoni di vissuto che si trascinano dietro. Mi mostrano ogni volta un peso di emozioni diverse e bellissime, che si incontra con il mio creando un’epifania che provo a fermare per un attimo.”
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E quello che, se avessi l’occasione vorresti fotografare a tutti i costi? “Vorrei riuscire a fotografare la felicità.” I fotografi (italiani e stranieri) che in particolar modo apprezzi? “Tanti, Sarebbe una lista troppo lunga. Vorrei, però, spendere due parole per i giovani talenti italiani. Che sono tanti e che dovrebbero essere sostenuti e supportati maggiormente.”
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vincenza de nigris fotografia e sentimento contemporaneo di Paolo Giaffreda
Fotografa, classe 1985: laurea in graphic design e master in fotografia. Vincitrice di concorsi fotografici come giovane talento capace di narrare il sentimento contemporaneo attraverso la fotografia. Sempre in movimento tra impegni accademici e lavorativi: insomma, un percorso tutto in ascesa. Conosciamola un po’.
Vincenza puoi dirci come hai iniziato, qual è stato il tuo percorso formativo? “Ho iniziato da quando ero piccola, seguivo mio fratello – fotografo anche lui – passavo con lui ore in camera oscura a stampare foto; poi ho scelto una scuola nella quale c’era fra le varie materie anche fotografia e anche li ho passato i pomeriggi oltre l’orario scolastico in camera oscura e sala posa ad imparare. Man mano la passione e la curiosità mi hanno fatto scegliere fotografia anche all’università ed eccomi laureata in fotografia all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano.” Sei del Sud ma ad un certo punto hai dovuto “emigrare” al nord per finire il tuo percorso formativo: siamo alle solite migrazioni sudnord? “Son dovuta andar via perché in Puglia non vi era una università (per università intendo anche l’Accademia di Belle Arti) pubblica di fotografia, anche se credo che di pubblico riguardante questo settore ce ne siano ben poche tra cui Bologna, Milano e forse qualcun’altra. Chiaramente il mio spostamento è stato giustificato dal percorso di studi che ho scelto ma, avevo anche voglia di confrontarmi con un’altra realtà.”
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Ti piacerebbe spostarti all’estero per integrare le tue esperienze lavorative con altri modi di lavorare e se si dove? “Mi piacerebbe spostarmi fuori dall’Italia ed è un pensiero quasi costante, sono attratta dai paesi a Nord come la Finlandia e la Svezia. Ho studiato molto approfonditamente la fotografia del Nord Europa e sono attratta dalla luce di quei posti,infatti ho realizzato la mia tesi su un filone particolare delle fotografia ed ho integrato alcune artiste-fotografe svedesi che ho anche intervistato. Trovo che il loro linguaggio sia attuale, pulito, privo di fronzoli ed estremamente filmico e anche per questo vicino al mio modo di lavorare.” Hai ottenuto un discreto successo tanto da essere considerata un giovane talento anche da giurie di specialisti del settore. Come si arriva fin qui? Che si prova? “Sono approdata ad Affordable Art Fair semplicemente attraverso una selezione, ho inviato prima il mio portfolio e poi ho ricevuto la conferma per l’ulteriore selezione fatta nel mio caso da Denis Curti direttore di Contrasto. Nella selezione finale fatta a Milano ero tra le riserve, per cui essere stata selezionata fra i giovani talenti è stata per me davvero una grande sorpresa.” Donna e fotografa: esiste ancora oggi l’esigenza di una funzione “femminista” dell’immagine? Abramovic-Fallaci-Salcedo (le loro rivendicazioni sessuali) sono belle e sepolte o sono invece sono ancora, ahimé, attuali? E l’aspetto materno-familiare?
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“Credo che forse non sia appropriato parlare attualmente di funzione femminista dell’immagine, ma è bene dire che l’immagine oggi, oltre a essere nei molti casi la rappresentazione della donna, abbia dietro di se una mente femminile. Dunque non si è più solo il soggetto dell’immagine, ma bensì l’ideatrice ovvero
la fotografa. Penso che i tempi delle artiste sopracitate non siano passati ma, sono sicuramente cambiati e per questo diversi. Quello di cui necessito è la possibilità di esprimermi nel mio lavoro senza trascurare come dici tu l’aspetto -materno-familiare-.” Pensi che per una fotografa professionista sia necessario avere il doppio degli “attributi” rispetto all’uomo oppure no? “Trovo sessista esasperare la figura della donna rispetto all’uomo, proprio perché mi pongo sullo stesso piano. Giusto per fare un esempio, anche un uomo in carriera spesso ha difficoltà nell’avere una relazione duratura, ma questo non toglie che ciò possa accadere. Si tratta di trovare piccoli equilibri e compromessi, ma essenzialmente quello che rende felice una donna, credo sia la stessa cosa per un uomo.” Parità, insomma. Però, anche nel mondo della moda i fotografi uomini la fanno da padrone… “Nella maggior parte dei casi, i fotografi del mondo della moda sono uomini, questo perché la stessa professione di fotografo è stata per tanto tempo una professione prettamente maschile.” Esiste, per te, una differenza di sensibilità uomo-donna in fotografia? “Credo che ci sia una sottile differenza di sensibilità tra uomo e donna, anche se ad esempio, giusto per citare un nome, David Hamilton ha avuto una sensibilità nel ritrarre le donne, tutta femminile.”
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Nel mondo della moda spesso i soggetti ritratti sembrano, come dire, non umani, sono oggettivizzati allo scopo: questa spersonalizzazione è fenomeno femminile od anche maschile? “La moda purtroppo è un argomento molto ampio, gli individui ritratti nelle immagini (nel periodo dagli anni 80’ circa ad oggi) sono la rappresentazione idealizzata e talvolta esasperata della figura femminile e maschile, così le immagini di moda colpiscono indiscriminatamente sia uomini che donne.” Però, tu lavori sempre con le donne. “Nei miei progetti, tendo a lavorare quasi sempre con le donne. I motivi sono molteplici e sono legati al mio punto di vista femminile, così le storie che metto in scena sono costruite intorno ad una donna, soggetto che riesco a sentire più vicino a me e che mi consente di essere più spontanea (anche semplicemente per quello che riguarda la ricerca degli abiti per il set).” Esiste un rapporto di priorità-necessità tra lavoro on demand (staged) ed artistico senza richiesta (come in periferie urbane) dove possa esplodere la tua creatività?
necessario e interessante invece, rapportarmi con lavori commissionati, perché possono essere delle sfide interessanti, in cui potermi misurare con qualcosa che non conosco o verso cui sono diffidente.” Che strumentazione usi per le tue foto? “Utilizzo attrezzatura Canon, ho una 50D e all’occorrenza anche una 5D Mark II e utilizzo spesso un obbiettivo 50 mm con F 1.4. Per la parte di post produzione lavoro con un Mac fisso e con software come Photoshop, Bridge e alle volte Lightroom.” Sogni nel cassetto? “Il mio desiderio o sogno come dici tu, è quello di sperare che un giorno il mio lavoro possa essere riconosciuto in modo concreto da gallerie e musei. Mi piacerebbe parallelamente insegnare all’interno di strutture come scuole o università – cosa che faccio quando ne ho occasione – perché trovo estremamente interessante lo scambio che avviene tra gli studenti e me.”
“I progetti presenti nel mio portfolio non sono lavori on demand, per cui non mi sento assolutamente vincolata nella creatività. Trovo
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MEMEZONE photo & visual culture
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