METAMORFER - La gemma di Darwin
1
BOOK-TRAILER
Pellegrino De Rosa
Questo file gratuito è un BOOKTRAILER del romanzo:
Esso, pertanto, comprende solo una parte del libro (70 pagine su 369) e ha il solo scopo di fornire, all’eventuale lettore, un’idea precisa del contenuto e della qualità del romanzo, in modo che egli possa deciderne o meno l’acquisto in maniera consapevole. Per lo stesso motivo, in coda, sono riportate alcune brevi recensioni. © L’autore è l’unico detentore di tutti i diritti. 2
Metamorfer. La gemma di Darwin.
A Benedetta, mia moglie, che mi illumina la vita con i colori dell’arcobaleno. E a mio figlio Antonio, che da quella policroma luce attinse per irradiarla verso il futuro. E anche a me stesso! PerchÊ mantengo sempre quel che prometto.
1 booktrailer
Pellegrino De Rosa
Il bassorilievo di Orione che una tradizione napoletana fa coincidere con Colapesce.
2 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin. Pellegrino De Rosa
METAMORFER La gemma di Darwin
ROMANZO
ISBN: 978-88-6259-399-1 3 booktrailer
Pellegrino De Rosa
Tutti i diritti riservati
© De Rosa Pellegrino (2009) Questa è una storia di fantasia. Personaggi, nomi, luoghi, strutture, organizzazioni e situazioni sono o frutto dell’immaginazione dell’autore o da lui usati in maniera fantasiosa e creativa. Pertanto, ogni riferimento a fatti o persone esistenti è puramente casuale e funzionale alla sola finzione letteraria. Anche le personali interpretazioni delle teorie riportate sono esclusivo frutto della creatività dell’autore e, nella presente pubblicazione, hanno valenza esclusivamente letteraria. L’autore, tuttavia, si riserva tutti i diritti sui neologismi e sui termini e concetti inediti (es. plasticismo evolutivo) da lui qui proposti e illustrati. Quanto riportato nel romanzo, in qualche caso e per esigenze letterarie e narrative, può discostarsi dalla teoria evoluzionistica vera e propria, illustrata più estesamente nel saggio divulgativo: “Plasticismo evolutivo. Una nuova ipotesi evoluzionistica basata sulla biologia quantistica e sull’entanglement olografico”, dello stesso autore, il cui ebook gratuito puo’ essere liberamente scaricato dalla rete dai seguenti link: http://www.scribd.com/doc/66275703 http://issuu.com/metamorfer/docs/plasticismo_evolutivo__ebook_gratis_ http://www.docstoc.com/docs/98621979/Plasticismo-evolutivo http://www.mediafire.com/?s18z8na88dweq91 http://martview.com/book_detail.php?book=ae65fe88-06df-11e1-a86b-0024e8403c55 oppure essere richiesto autore, tramite la sua pagina su Facebook.
4 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
Poniti dinanzi agli eventi come un bambino e sii pronto ad abbandonare ogni preconcetto. Vai, umilmente, dovunque e in qualunque abisso la Natura ti conduca. O non apprenderai niente. T.H. Huxley
I miracoli accadono non in opposizione alla natura, ma in opposizione a ciò che della natura conosciamo. Sant’Agostino
5 booktrailer
Pellegrino De Rosa
Metamorfer: schema semplificato del funzionamento
2
Metamorfer. La gemma di Darwin.
PROLOGO
L’uomo in muta da sub procedeva con circospezione lungo il corridoio in penombra che conduceva all’area della base segreta NATO riservata ai laboratori. Udì un cigolio e vide l’anta di una porta dischiudersi, davanti a sé. Si appiattì alla parete e impugnò la pistola silenziata. Socchiuse gli occhi color ghiaccio e puntò l’arma contro la nuca del ricercatore in camice bianco che stava uscendo, a testa bassa, dal laboratorio di biologia marina. Trattenne il fiato, mentre il sangue gli pulsava forte nelle tempie e gli rimbombava nelle orecchie come un tamburo. Non gli faceva affatto piacere, tuttavia, se il giovane si fosse girato verso di lui, avrebbe dovuto eliminarlo e nasconderne il corpo. Ma una mano affusolata afferrò il braccio dello scienziato, prima che si accorgesse di lui, e lo tirò nuovamente all’interno del laboratorio. «Dai, vieni qua, sciocco… ti farò vedere i fuochi d’artificio!» sussurrò una roca voce femminile proveniente dall’interno della stanza. Raf Donovan rinfoderò l’arma e sorrise all’inconsapevole preveggenza di quelle parole - l’intuito femminile lo aveva sempre affascinato. Aveva riconosciuto la calda voce della ragazza ed era sicuro che i due amanti sarebbero rimasti occupati per un bel po’. La giovane era una ricercatrice ventisettenne dai seni poderosi e dai lunghi capelli rosso fuoco che, in meno di sei mesi, aveva sedotto circa un terzo degli uomini e delle donne della base. Si diceva che portasse un’araba fenice tatuata sulla natica destra e che, facendola sobbalzare a ritmo di bunga-bunga, avesse rivelato: «È un uccello di fuoco che si rianima continuamente... come piacciono a me!» L’intruso passò oltre, badando a non fare rumore, e si fermò davanti a una porta blindata, sulla quale campeggiava un pannello luminoso con la scritta “RISCHIO BIOLOGICO”. Accostò un orecchio alla fredda porta d’acciaio e rimase in ascolto per un lungo istante. Appoggiò un calco di impronte digitali, in gelatina stabilizzata, al rilevatore della serratura elettronica e la porta si aprì con un ronzio. Si ritrovò immerso nella penombra bluastra e sterile di un moderno laboratorio biotecnologico e l’odore penetrante del disinfettante, molto simile a quello dell’incenso, gli pizzicò la gola e lo fece tossire. 7 booktrailer
Pellegrino De Rosa
Accese una piccola ma potente torcia elettrica e la tenne tra i denti, in modo da avere le mani libere, e il fascio di luce illuminò in rapida successione i costosi e modernissimi sequenziatori di DNA che facevano bella mostra lungo le pareti, alternati a banconi refrigerati e a postazioni per l’osservazione microscopica. Raf li ignorò completamente e si diresse con decisione verso la libreria addossata alla parete di fronte a lui. Con la torcia ancora tra i denti, fece luce su alcuni libri allineati sul ripiano più alto e ne scorse i titoli: “La confutazione di Darwin”, “L’inganno dell’evoluzionismo”, “Dio e la fisica quantistica”. Inarcò le sopracciglia, dubbioso. Secondo il prof. Pedro, la soluzione dell’enigma evoluzionistico era talmente semplice che nessuno l’aveva compresa appieno e, per oltre un secolo e mezzo, il mondo scientifico era stato fuorviato da una teoria che, pur avendo avuto molti e indiscutibili meriti e pur presentando numerosi aspetti ancora validissimi, aveva trascurato di tener conto proprio dell’aspetto più importante. E, a giudicare dagli ultimi eventi, il vecchio professore non solo era stato il primo a intuire la sorprendente verità, ma era riuscito anche a ricavarne una rivoluzionaria applicazione tecnologica - la stessa che, presumibilmente, era stata la causa della sua recente morte violenta. Tirò fuori il volume “L’inganno dell’evoluzionismo” e lo appoggiò sulla mensola inferiore della libreria. Infilò, con cautela, una mano in fondo al ripiano ed estrasse una capsula metallica nascosta dietro di esso. L’involucro conteneva un piccolo chip nero e a forma di Y. Lo prese con estrema attenzione e lo infilò in un astuccio impermeabile agganciato alla cintura della muta da sub. Tastò lungo il portante della libreria fino a incontrare una leggera rientranza, vi ci infilò il dito e premette con decisione; si udì un lieve ronzio e il pesante mobile ruotò su sé stesso, scoprendo l’ingresso di un locale segreto. Quello era il laboratorio più importante della base, la cui esistenza - ne era più che sicuro - era nota solo a un ristretto gruppo di scienziati e di militari deviati, capeggiati da quel grassone traditore del comandante Michael Brown. Si diresse rapidamente verso il Metamorfer - l’induttore mutageno che costituiva il modulo più rivoluzionario e importante del laboratorio - e lo osservò pensieroso: era formato da un nero e lucido piedistallo a forma di prisma, non molto più grande di un forno a 8 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
microonde, sormontato da una piramide semitrasparente capovolta. «La gemma di Darwin! Allora esiste veramente!» mormorò, come ipnotizzato dagli scintillanti riverberi, verde smeraldo, giallo e viola, che vibravano all’interno della piramide, quasi fosse animata da vita propria. Quell’apparecchiatura - che avrebbe potuto essere scambiata per un oggetto decorativo - costituiva, probabilmente, una delle più importanti invenzioni della storia dell’umanità. E lui si trovava là per distruggerla! Si passò le mani tra i corti capelli neri - improvvisamente titubante poi, con rinnovata determinazione, sganciò un disco esplosivo dalla sua cintura e lo appoggiò alla parte superiore della struttura. Una foto appesa a una parete richiamò la sua attenzione. Era ingiallita dal tempo e ritraeva il professore, da giovane, insieme a una ragazza dalla faccia pulita che, da come lo guardava, doveva essere sua moglie o una sua fidanzata. Portò la mano alla fronte e accennò a un saluto militare. Gli aveva giurato di portare via il chip e stava mantenendo la promessa. Ricordò, con un amaro sorriso, che era stato proprio il professore a spiegargli che quel saluto derivava dal movimento che eseguivano i cavalieri medioevali europei quando, sollevando la “celata” dell’elmo delle loro armature, mostravano il volto in segno di rispetto. “Certo che un solido elmo metallico gli sarebbe stato molto utile, visto come gli è stato fracassato il cranio” rifletté, storcendo il naso. Si scosse da quei pensieri e diede una rapida occhiata all’orologio subacqueo: aveva trenta secondi di ritardo rispetto alla tabella di marcia. Balzò verso una fila di dewar - i grossi thermos in acciaio inossidabile, simili a contenitori per il latte, utilizzati per conservare embrioni o campioni biologici nell’azoto liquido - ne svitò i tappi e li coricò a terra, senza far rumore. I bianchi vapori di azoto, più pesanti dell’aria, si adagiarono sul pavimento, formando una densa nuvola. Entro pochi minuti tutto quello che vi era conservato sarebbe stato irrimediabilmente danneggiato. Si massaggiò il mento, ripassando mentalmente le operazioni effettuate, e annuì soddisfatto del lavoro compiuto. Ma gli rimaneva ancora un’altra cosa da fare! Entrò nella stanza accanto e ne uscì, subito dopo, tenendo in braccio qualcosa avvolto in una coperta. 9 booktrailer
Pellegrino De Rosa
Il fagotto emise un flebile gemito e Raf prese a muoverlo con maldestra delicatezza, come per cullarlo; poi uscì dal laboratorio e richiuse la porta dietro di sé. Girò alla sua sinistra e si incamminò nel corridoio buio e deserto, seguendo le indicazioni dell’uscita di emergenza. Il fardello che portava in braccio emise un altro gemito, questa volta simile al verso dei gatti in amore. «Ssshhhhhhhh…» sussurrò, e riprese a dondolarlo piuttosto goffamente. Il miagolio, però, non smise, anzi divenne ancora più forte e più acuto. «Cavolo... stai zitto!» gridò. Ma lo strillo aumentò ulteriormente d’intensità e di frequenza fino a sfociare nel campo degli ultrasuoni, al punto che fu costretto ad appoggiare a terra il fagotto urlante per coprirsi le orecchie dolenti con le mani, mentre alcune lampade del corridoio si frantumavano in mille schegge. Il suono intermittente e nasale di una sirena si sostituì agli strilli emessi dalla piccola creatura: era stato scoperto, ma almeno il frastuono della sirena aveva distratto l’esserino che portava in braccio, facendolo smettere di urlare. Da una serie di sibili idraulici e di scatti metallici, capì che erano entrate in funzione le misure di contenimento: tutte le porte, compresa quella che conduceva allo sbocco verso il mare, si erano bloccate e le poche luci rimaste integre si erano accese illuminando il corridoio. Era in trappola! Corse, slittando sulle lucide mattonelle, fino all’uscita di sicurezza in fondo al corridoio, estrasse la pistola e fece fuoco contro la serratura elettronica, facendola saltare. Il pannello emise crepitanti scintille, seguite da un acre fumo azzurrognolo, e la porta si aprì con uno stridio metallico. Fece per entrare, ma un uomo in divisa gli sbarrò il passo; era corpulento e calvo e con una brutta cicatrice che gli segnava la guancia destra dall’orecchio fino all’angolo delle labbra. L’uomo gli puntò contro una pistola, impugnandola con entrambe le mani, e gli intimò: «Muoviti lentamente e consegnami il piccolo!» Raf balzò agilmente all’indietro, sganciò dalla cintura una bomba a mano e la lanciò in direzione del soldato, bisbigliando, a denti stretti: «No. È meglio se prendi questa!» L’uomo con la cicatrice si mise in salvo tuffandosi con sorprendente agilità attraverso una porta laterale. 10 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
L’esplosione sollevò una soffocante nuvola di fumo ed entrarono in funzione gli ugelli dell’impianto antincendio. Un attimo dopo si udì una deflagrazione ancora più forte: il laboratorio che Raf aveva sabotato era saltato in aria! Frattanto, qualche stanza più all’interno, gli spruzzi d’acqua stavano bagnando la schiena nuda e liscia della giovane ricercatrice dai capelli rossi, impegnata a cavalcare, imperterrita, il suo frastornato amante. La calda amazzone alzò lo sguardo verso l’ugello dell’impianto antincendio che le spruzzava il volto arrossato e ansimante, si sciacquò la faccia e i capelli, aiutandosi con le mani, e lasciò che i rivoli d’acqua le scendessero lungo il seno turgido fino a bagnarle il ventre piatto e palpitante e il caldo e tumido inguine. Quell’imprevista variazione l’aveva eccitata ulteriormente e cominciò a mugolare sempre più forte, passando dal trotto al galoppo. Il suo compagno, spaventato dal fragore, cercò di divincolarsi, ma la ragazza gli pose una mano sul petto e lo spinse giù con forza; di sicuro l’uomo non avrebbe dimenticato facilmente quell’esperienza: in pratica, stava subendo una violenza! Ma la cosa, a giudicare dalla sua faccia beata, non pareva dispiacergli affatto. Raf, sfruttando la confusione, raggiunse una porta di servizio e la sfondò con una spallata. Si ritrovò in un’ampia caverna carsica sottomarina, illuminata da accecanti fari alogeni. Al centro della grotta le concrezioni calcaree erano state rimosse o ricoperte dal cemento mentre, nell’area periferica, erano ancora presenti alcune stalagmiti e colonne di travertino. In fondo alla caverna c’era un laghetto dal quale filtrava un tenue chiarore azzurrognolo. Era la sua via di fuga: doveva raggiungerlo al più presto e scappare servendosi di uno degli “scooter d’acqua” - i piccoli mezzi subacquei di colore giallo, simili a tozzi siluri - che galleggiavano nello specchio d’acqua, accanto ad altri mezzi sommergibili più grandi. Si diresse, correndo, verso il primo scooter ma una voce alle sue spalle lo fece irrigidire. «Consegnami il piccolo e arrenditi» sibilò un uomo in divisa, magrolino e di bassa statura. Aveva un ghigno irridente scolpito 11 booktrailer
Pellegrino De Rosa
sul volto spigoloso e gli stava puntando una pistola alla fronte. «Mai» rispose Raf. Lo colpì al volto con un fulmineo calcio ruotato e balzò dietro una stalagmite - giusto in tempo per ripararsi dagli spari che il militare gli tirava da terra. Era nei guai. Si trovava sotto tiro e non poteva raggiungere lo specchio d’acqua a pochi metri da lui. Sapeva, inoltre, che entro pochi minuti, quel posto avrebbe brulicato di soldati. “Sono nella merda fino al collo”, imprecò tra sé. Si guardò attorno, in cerca di una soluzione, e notò una doppia fila di bidoni di carburante proprio accanto ai mezzi subacquei. Spostò il fagotto sull’altro braccio e lanciò l’ultima granata proprio ai piedi dei primi fusti. In un attimo scoppiò l’inferno. Due potenti esplosioni rimbombarono nella grotta, facendola vibrare; un’alta fiammata vorticò fino alla volta della cavità carsica, un denso fumo nero invase tutto l’ambiente e l’aria divenne ben presto incandescente e irrespirabile. Non poteva più raggiungere i mezzi subacquei che, investiti dalle fiamme, esplodevano uno dopo l’altro, ma poteva ancora provare a scappare a nuoto. Alzò la mano per infilarsi la maschera subacquea e buttarsi in acqua, ma non ebbe il tempo di farlo: una scarica azzurrognola e accecante, simile a un arco voltaico, lo investì facendolo contorcere e piegare su sé stesso per il dolore. Le gambe e le braccia non avevano più un solo grammo di forza e gli parevano percorse da milioni di formiche impazzite che gli mordevano le carni. Non riuscì a trattenere il prezioso fagotto e lo lasciò cadere lentamente a terra: «Cavolo... Sei proprio una piccola testa di cazzo!» imprecò, ad alta voce. Coperto dalla cortina di fumo, si trascinò faticosamente fino al bordo del laghetto e vi si lasciò scivolare dentro. Il suo inseguitore, tossendo per il fumo acre, recuperò il fagotto e scaricò l’intero caricatore della sua pistola in direzione del punto in cui si era immerso. Raf vide le bianche scie disegnate dalle pallottole che penetravano nell’acqua, ma non si preoccupò più di tanto. Ormai era al sicuro: era a oltre un metro di profondità e sapeva che, essendo l’acqua del mare circa seicento volte più densa dell’aria, i proiettili avevano già perso gran parte 12 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
della loro efficacia. Inoltre, il contatto con l’acqua fredda e salata gli aveva fatto riprendere parzialmente il controllo degli arti. Nuotò, con il cuore che sembrava esplodergli nelle orecchie, attraverso un fangoso sifone subacqueo e, dopo un tempo che gli parve interminabile e con le orecchie che gli ronzavano come un nido di calabroni, riuscì infine a emergere alla luce, in mare aperto. Espulse, tossendo, l’acqua salata che gli soffocava i polmoni e inspirò rumorosamente l’aria salmastra. Udì, in lontananza, il ritmico e rassicurante scrosciare della risacca contro la costa pietrosa e si abbandonò, esausto, al moto delle onde che lo risucchiavano e lo sollevavano come un relitto inerte. Riconobbe, a circa mezzo miglio, la vasca galleggiante di un impianto di pescicoltura e accese un piccolo fumogeno. A quel segnale, un grosso motoscafo si staccò dalla piattaforma e si diresse verso di lui, raggiungendolo in pochi minuti. Una giovane donna di colore gli lanciò una cima per aiutarlo a salire a bordo e gli chiese, preoccupata: «Dov’è il piccolo?» Raf salì a bordo, ansimando, e si lasciò cadere, esausto, sul ponte dell’imbarcazione. «Quel maledetto mostriciattolo! Mi ha lanciato una scarica… e ho dovuto mollarlo» spiegò, lanciando lontano la maschera. «E il chip? Hai preso il chip?» incalzò Bea. Raf annuì, si alzò in piedi e portò la mano alla cintura per prendere l’astuccio: «Dannazione!» esclamò, confuso. «Non l’ho più. Devo averlo perso quando sono scivolato in acqua!» Un istante dopo, schioccando come una saetta inattesa in una giornata di sole, si udì un colpo d’arma da fuoco in lontananza. Raf si voltò in direzione dello sparo, verso riva, e fu colpito da un riflesso accecante. Qualcuno dalla costa, appostato tra le bianche rocce calcaree e i cespugli di erica, li teneva sotto tiro. Bea barcollò e si aggrappò a lui, cingendogli il collo con forza; sui suoi occhi nocciola calò un grigio velo di sgomento e di paura e si accasciò come una marionetta con i fili recisi. Raf rimase a fissare - incredulo - la mano calda, appiccicosa, e rossa di sangue che fino a un istante prima aveva cinto la schiena della sua donna e un urlo di dolore gli ruggì nella gola: aveva visto troppa gente morire in quel modo per non sapere che quella ferita era mortale. Si chinò sulla ragazza e le sfiorò le labbra tremanti con un tenero bacio. 13 booktrailer
Pellegrino De Rosa
Prese delicatamente il binocolo al collo di lei e lo puntò verso riva, in direzione della base militare. Michael Brown, il comandante della base, stava ancora imbracciando un fucile di precisione e lo agitava in aria in segno di sfida, inarcando le sue folte sopracciglia da orango. Raf strinse forte a sé la sua donna morente e le sussurrò sulle labbra: «Lo troverò... Ti giuro che troverò quel grasso maiale pelato e lo ammazzerò con queste mie mani... dovessi finire all’inferno per farlo!» non sapendo che, in un certo senso, sarebbe stato proprio ciò che avrebbe dovuto fare. Ma la sua giovane compagna non poteva già più sentirlo; i suoi occhi erano ormai persi nel vuoto, a fissare, senza più poterlo vedere, il cielo azzurro rigato da lunghe strisce di nuvole bianche. Raf avvertì una ventata gelida attraversargli il corpo e sentì che qualcosa era morto per sempre dentro di lui. Con un’ultima e lieve carezza abbassò le palpebre della sua amata, che tante volte aveva sfiorato con labbra innamorate, e capì che, ormai, solo la vendetta poteva ridare un qualche senso alla sua vita.
14 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin. CAP. 01
9 anni dopo Eva Nabokova, un’avvenente e atletica giornalista di ventinove anni, inspirava ed espirava ritmicamente, mentre correva a lunghe falcate sulla spiaggia semideserta. I lunghi e lisci capelli, dal colore simile al grano maturo, ondeggiavano al vento, come la criniera di una giovane puledra al galoppo. Indossava un minuscolo e aderente pantaloncino azzurro, che metteva in risalto le lunghe gambe tornite e l’armonioso fondoschiena, e una t-shirt bianca che le lasciava scoperto il ventre piatto e che arrivava appena a coprirle il seno sodo e ben proporzionato. Il mare era un po’ mosso. Era di primo mattino e l’aria fresca e frizzante era l’ideale per fare un po’ di jogging. La giovane donna regolò il ritmo del suo respiro su quello delle onde del mare: due respiri ogni tre onde che si infrangevano sulla battigia. Dopo un certo numero di onde - le sembrava ogni undici - ne giungeva una più lunga delle altre e allora deviava leggermente la traiettoria per non bagnarsi le scarpette. Del mare la affascinava il movimento lento e potente delle sue onde, che lambivano la spiaggia come una calda e sensuale carezza, e la violenza selvaggia dei suoi flutti che, quando era in tempesta, rombavano scuotendo gli scogli indifesi, insinuandosi in ogni spazio, e schizzavano impetuosi spruzzi schiumosi. A volte, persa nei propri pensieri, aveva la sensazione che quella sconfinata distesa fosse viva; la sentiva quasi pulsare e respirare, ed era tentata di tuffarsi nella sua immensità e di perdersi in essa. Una folata di vento le portò il lieve profumo delle ginestre che ravvivavano con gialle chiazze di colore i terreni vulcanici circostanti, neri e bruciati dal sole, e la parte basale del non lontano Vesuvio. A tratti, la brezza marina la investiva, dalla sua sinistra, con soffi di microscopiche e fredde goccioline di acqua salata che le procuravano dei sottili brividi di piacere. Proprio in quel momento, il caldo disco del sole si levò oltre la cima della collina alla sua destra e le riscaldò il volto. 15 booktrailer
Pellegrino De Rosa
Sentì un’immensa energia pervaderle il corpo - che percepiva perfettamente in forma e allenato - ed ebbe l’impulso di fare un salto di gioia. E lo fece senza stare a pensarci su: levò il pugno destro al cielo e lasciò che un urlo gioioso le esplodesse, come un ruggito, nel cuore e nella gola. Un giovane gabbiano, impaurito dalla sua rumorosa esternazione, si alzò lesto in volo e si allontanò verso il largo. Eva storse la bocca e rimase a osservare la doppia fila di orme a tre dita impresse dall’uccello sulla sabbia bagnata, rammaricandosi d’averlo spaventato. Quel posto le piaceva immensamente, al punto che, quando - due anni prima - ci era venuta per una vacanza, se ne era visceralmente innamorata e aveva affittato una casa vicino a quella spiaggia. Per la verità, nella sua decisione di lasciare il suo Paese d’origine, l’Estonia, aveva avuto un certo peso anche il fatto che si era innamorata di un giovane albergatore italiano. Dopo alcuni mesi l’amore per l’albergatore era finito ma non quello per l’Italia. Quel Paese le piaceva da morire. Fin da bambina era rimasta affascinata dall’elegante forma allungata e aggraziata di quella penisola, così particolare da renderla facilmente riconoscibile anche dallo spazio. Le piaceva paragonarla al profilo di un cavalluccio marino, anche se era più somigliante a uno stivale: quasi un naturale marchio di fabbrica per le calzature italiane, famose e apprezzate in tutto il mondo e da lei in particolare, che ne possedeva un intero armadio. E, poi, quasi dovunque era possibile ammirare opere d’arte o testimonianze archeologiche incastonate in scorci naturalistici e paesaggi di straordinaria bellezza. Anche su quella stessa spiaggia, una semiluna di sabbia finissima lunga all’incirca un chilometro, a quasi sessanta metri da lei, ma dal lato opposto alla sua abitazione, si poteva ammirare, fissata su un grosso scoglio posto al limite dell’arenile, un’antica statua scolpita nella nera e levigata roccia basaltica. Era la statua della sirena Partenope che, secondo una leggenda, innamorata non corrisposta del mitico Ulisse, si lasciò morire nel Golfo di Napoli. La gente del posto, commossa da tanto amore e in suo onore, prese a indicare la città appena fondata, già chiamata Neapolis o “città nuova”, anche con il nome di Partenope. 16 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
Secondo le guide turistiche, gli stessi Dèi impressero poi l’immagine della sirena in quel profilo dell’Isola di Capri che si osserva guardando l’isola dalla splendida collina di Posillipo, il cui nome non a caso ha, in lingua greca, il significato di “luogo dove cessa il dolore”. Anche Eva, come Partenope, aveva subìto una cocente delusione d’amore e, come lei, non era riuscita ad andare più via da quel golfo meraviglioso. Ma, al contrario della sirena, non aveva nessuna intenzione di deprimersi - anzi pensava che era giunto il momento di riprendere a vivere pienamente. Si fermò e, continuando a saltellare, eseguì alcuni esercizi con gli arti superiori, sbuffando fumetti di vapore. Un bel Terranova dal pelo lungo e lucido le corse incontro, con atteggiamento scodinzolante e giocoso, seguito da una ragazzina di circa dieci anni, che lo rincorreva e lo abbracciava al collo per trattenerlo. Eva sorrise ai nuovi venuti e continuò il suo allenamento con tre serie di flessioni, seguita dagli occhioni azzurri della ragazzina che la fissava ammirata da dietro gli occhiali un po’ troppo grandi per il suo piccolo volto rotondo. «Ciao, come ti chiami?» le chiese la ragazzina, mentre accarezzava la testa al cane. «Ciao, bellissima. Mi chiamo Eva. Abito laggiù» spiegò Eva, indicando una casa lontano, all’altro capo della spiaggia. «Io sono Anna e lui è Avatar» rispose la piccola, additando il Terranova che, nel frattempo, era corso in avanti a riprendere una palla. «E quella laggiù è la mia mamma» continuò la ragazzina. «Sta raccogliendo le erbe selvatiche; sono molto buone da mangiare» spiegò, agitando la mano per salutare la donna che era china in un prato verde al limite della spiaggia. Eva sorrise. «Ah, interessante. Dovrò chiederle se mi insegna a riconoscerle». «La mamma dice anche che non devo parlare con gli estranei». «E ha ragione: c’è un sacco di strana gente in giro!» «Ma tu non mi sembri cattiva». Eva finse di volerle afferrare il naso tra l’indice e il medio. «Che ci fai qui? Non ti ho mai vista prima» le chiese. La ragazzina si spostò di lato, sorridendo, poi alzò le spalle e indicò il cane: «È colpa sua. Avatar si è messo ad abbaiare e a grattare contro 17 booktrailer
Pellegrino De Rosa
la portiera della macchina; la mamma ha rallentato e lui si è buttato dal finestrino aperto ed è corso sulla spiaggia. Forse voleva venire a giocare con te!» «Può darsi. Come hai detto che si chiama il tuo cane?» «Avatar». «Uhm, originale! Lo hai chiamato così perché lo consideri come un altro te stesso?» «Cosa hai detto?» rispose la ragazzina corrucciando la fronte. «Chiedevo se l’hai chiamato Avatar, come la nostra immagine virtuale in Internet» riprese Eva, puntando il dito verso il volto stupefatto della ragazzina: «Confessalo! Sei un’esperta di computer in incognito!» La ragazzina rise di gusto, compiaciuta. «Per la verità, non è proprio il mio cane. L’altra mattina è venuto a grattare alla porta di casa e mi ha “slinguata” e allora l’abbiamo tenuto» spiegò, parlando quasi senza respirare e protendendo le palme delle mani. Riprese fiato, con un profondo respiro, e continuò: «E, comunque, ti sbagli; non si chiama Avatar per via di Internet. E neppure per via di quel bellissimo film con tutti quei personaggi dipinti di blu. Si chiama Avatar, come quella Divinità indù che, quando ce n’è bisogno, scende sulla Terra per aggiustare le cose che non vanno bene!» «Ah!» esclamò Eva, piuttosto sorpresa da quella risposta. «Capisco! Ma, dimmi, chi te le racconta queste cose? L’hai letto su Internet?» Anna scosse la testa, facendo ondeggiare le trecce bionde: «No. Me lo ha detto lui» rispose, indicando di nuovo il cane. Poi, essendosi accorta dello sguardo incredulo di Eva, si affrettò a precisare: «In sogno… naturalmente!» Atteggiò le labbra come per fare una boccaccia e, cercando di impostare un tono di voce quanto più spaventoso e lugubre le fosse possibile, chiarì: «Mi ha detto: “Ascoltami: io sono Avatar...” e poi mi ha spiegato quello che ti ho detto prima». Eva inarcò le sopracciglia: “Che fantasia ha questa ragazzina! Di sicuro avrà letto la storia della divinità indù sul Web oppure ne avrà sentito parlare in qualche cartoon orientale” pensò tra sé, mentre completava le ultime flessioni. Sollevò la testa per salutare la piccola e riprendere la corsa, ma la vista le si annebbiò e dovette riabbassarsi e appoggiare le mani a terra per non cadere. Aveva avuto un capogiro, quasi delle vertigini, e pensò di aver esagerato con la corsa o di aver sollevato il capo troppo in fretta. 18 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
Ma non era finita: un acutissimo sibilo si insinuò nelle sue orecchie, fino a provocarle pulsanti ondate di nausea. Ancora appoggiata a terra, alzò lo sguardo e vide che anche Anna barcollava e si proteggeva le orecchie con le mani. Il Terranova, invece, si era tuffato in acqua e stava nuotando verso il largo. Dopo una decina di secondi quel fastidiosissimo sibilo finalmente cessò. Anna corse verso la riva e, sbattendo i piedi a terra, strillò con tutta la voce che aveva in gola: «Avatar, torna quiiiii!» La mamma della ragazzina stava continuando a raccogliere le erbe e non dava segno di aver sentito né di aver notato alcunché. Tuttavia, era evidente che era accaduto qualcosa di anomalo. Eva fu invasa da un’improvvisa agitazione e provò la sgradevole sensazione di essere osservata, come se una mano invisibile l’afferrasse dietro la nuca e la costringesse a voltarsi. Si girò verso lo scoglio della sirena, come attratta da una calamita, ma non riuscì a vedere nessuno. Allora volse lo sguardo dal lato opposto, verso casa sua; ma la spiaggia - a eccezione di lei e di Anna - era deserta. Guardò, allora, verso il mare, ma anche da quella parte non c’era nessuno. Il Terranova era già uscito dall’acqua e si stava scuotendo per asciugarsi. Sbuffò, piuttosto interdetta, e pensò di essersi autosuggestionata. Il Terranova si avvicinò ad Anna, continuando a scrollarsi, e schizzò un po’ d’acqua sulla ragazza che si allontanò divertita. Ma, un istante dopo, drizzò le orecchie e si allontanò nuovamente, correndo come un forsennato verso lo scoglio della sirena. Anna lo chiamò nuovamente: «Avatar, ma cosa ti prende? Torna subito quiiiii!» Il cane si fermò per un lungo attimo, indeciso. Guardò lo scoglio della sirena, poi Anna e poi di nuovo lo scoglio. Alla fine, con uno scarto repentino, riprese a correre verso lo scoglio, ringhiando nervosamente. La ragazzina, irritata, gli lanciò contro la palla, ma non riuscì a colpirlo. Eva era curiosa di capire che cosa avesse visto o sentito il cane, riprese perciò la sua corsa, superò Anna e proseguì oltre, continuando a rincorrerlo. Il Terranova, che era più veloce di lei, aveva già raggiunto lo scoglio ed era sparito dietro di esso. 19 booktrailer
Pellegrino De Rosa
Eva lo sentì abbaiare e ringhiare, come se si stesse azzuffando con un altro cane, poi udì un lungo guaito lamentoso e, infine, un inquietante silenzio rotto solo dallo scrosciare della risacca. Allarmata, accelerò il passo e svoltò dietro lo scoglio che fungeva da basamento per la sirena. Quello che vide la raggelò: il cane era riverso a terra, immobile e con gli occhi sbarrati, come in catalessi; la lingua gli penzolava da un lato della bocca e un vischioso filo di bava gli colava dal muso e giungeva fino a terra, formando dei collosi grumi di sabbia. Dopo qualche istante sopraggiunse anche Anna, trafelata. Mentre cercava di prendere fiato, piegata in avanti e con le mani appoggiate alle ginocchia, la bambina si rese conto che il cane non dava segni di vita: «È... è morto?» chiese a Eva, scoppiando a piangere, senza attendere la risposta. Eva si avvicinò al Terranova e lo osservò con attenzione: «Non lo so. Non ho mai visto niente del genere» rispose. Poi notò un lieve movimento del torace e continuò: «Sembra che sia ancora vivo, ma pare ridotto piuttosto male». Anna tirò Eva per il pantaloncino e le indicò una zona di mare che ribolliva producendo una chiazza di schiuma bianca: «Guarda là! Cos’è quello?» Eva aguzzò la vista, ma non riuscì a vedere nient’altro che il gorgoglio della schiuma: «Forse è un banco di pesci» rispose, non sapendo cosa pensare. Un altro sibilo, simile al rumore di una lavatrice ma molto più forte, le fece alzare lo sguardo verso l’alto. Era il frastuono prodotto dai rotori di due elicotteri di colore verde scuro che si stavano avvicinando, costeggiando la spiaggia e volando a bassa quota, come se stessero braccando qualcuno. «Mamma, mamma…» gridò Anna, afferrandosi alla gonna della madre che era sopraggiunta nel frattempo. La donna abbracciò la figlia e, vedendo il cane immobile a terra, si portò una mano sulla bocca, preoccupata. «Cosa gli è successo?» chiese a Eva. «Non lo sappiamo, ma direi di portarlo subito alla clinica veterinaria di Portici». La mamma di Anna annuì, meccanicamente. Nel frattempo, i due elicotteri militari erano giunti sopra di loro e si erano abbassati di alcuni metri, sollevando un turbine di sabbia. 20 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
Parevano molto interessati alla scena ed Eva ebbe la netta impressione che qualcuno a bordo stesse scattando delle foto. Dopo qualche istante ripresero quota e si diressero verso il largo, volando ad alta velocità. “Chissà cosa stanno cercando?” si domandò, turbata. La madre della ragazzina, nel frattempo, si era tolto il grembiule e lo aveva steso a terra. «Rotoliamocelo sopra, così sarà più facile portarlo via» propose, indicando il cane. Trascinarono Avatar fino alla macchina, lo sollevarono e lo appoggiarono sul sedile posteriore. La piccola Anna gli si sedette accanto, accarezzandogli la testa, e gli sussurrò teneramente: «Avatar, ti prego... ti prego... non morire!» La madre della ragazzina salì in macchina e porse la mano a Eva. «Mi chiamo Filomena. Grazie per l’aiuto» disse, col fiato corto a causa dello sforzo. Eva si presentò e le strinse la mano attraverso il finestrino aperto. «Se vi fa piacere» rispose, «vorrei venire anche io con voi». La donna le fece segno di salire avanti, aspettò che si fosse seduta e avviò l’auto. Eva prese un fazzoletto dal borsello che portava a tracolla e si asciugò il sudore dalla fronte. Mentre osservava gli elicotteri, che ormai erano diventati due piccoli puntini in lontananza, si chiese chi e per quale motivo avesse ridotto quel bel cane in fin di vita!
21 booktrailer
Pellegrino De Rosa CAP. 02
Leo, al secolo Leonardo Marconi, emise uno sbadiglio talmente ampio e prolungato da avere poi qualche difficoltà a richiudere la bocca. Si massaggiò le mascelle e deglutì una goccia di saliva che gli era andata di traverso, facendolo quasi strozzare. Si soffermò, guardando nello specchietto retrovisore, sui suoi occhi color nocciola e dal taglio vagamente orientale e notò che erano arrossati e assonnati. Una smorfia di disapprovazione gli si stampò sul volto olivastro; quella mattina, prima di uscire, avrebbe dovuto quantomeno radersi la barba - pensò, piuttosto seccato. Si passò la mano tra i capelli, neri e folti, e strinse il volante, cercando di concentrarsi sulla guida. Da tempo aveva scoperto che, pur abitando a Napoli, per qualche imperscrutabile motivo era nato con il fuso orario di New York. Se lasciato libero di poltrire, infatti, difficilmente si svegliava prima di mezzogiorno e altrettanto raramente andava a letto prima delle quattro di mattina. Erano appena le dieci antimeridiane ma si sentiva stanchissimo. Aveva dormito solo quattro o cinque ore; troppo poche per il suo stile di vita. Inoltre, non aveva avuto il tempo di fare i suoi soliti esercizi mattutini e la cosa lo infastidiva non poco. Aveva compiuto da poco trentacinque anni e doveva fare il possibile per mantenere il fisico in perfetta forma! Quella mattina, dall’altoparlante del cellulare sul suo comodino, il grande e compianto Luciano Pavarotti aveva preso a intonare il “Nessun dorma” della Turandot di Giacomo Puccini, mentre il vivido display illuminava a festa tutta la stanza! Lo avevano chiamato dalla redazione ed era dovuto andare a fotografare un delfino che - non avendo niente di meglio da fare, e pur avendo a disposizione ben 7.458 chilometri di italica costa, isole comprese - aveva scelto di andare a spiaggiarsi sul litorale di Mergellina; altrimenti come gliele rompeva le scatole proprio a lui? Ma, una volta giunto sul posto, Leo aveva fatto un’inattesa scoperta: il delfino non era un suicida depresso: qualcuno gli aveva sparato! Inoltre, il bel mammifero marino indossava alcuni finimenti che parevano simili alle briglie dei cavalli e anche una specie 22 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
di museruola; la qual cosa faceva ritenere che fosse impiegato in qualche attività particolare, forse di tipo militare. Gli aveva scattato alcune foto e aveva fatto qualche domanda in giro. Poi una nuova telefonata dalla redazione lo aveva avvisato che c’era stato un raid incendiario ai danni del campo nomadi di Ponticelli, un rione della periferia Est di Napoli, ed era dovuto andare anche là a scattare qualche altra foto. E quello che aveva visto sul posto lo aveva fatto rabbrividire: il campo, nonostante l’attentato fosse avvenuto qualche ora prima, era ancora avvolto da un fumo nero e acre e, a giudicare dall’estensione dell’incendio, c’erano stati sicuramente anche dei morti. Avrebbe voluto indagare, ma gli inquirenti avevano mantenuto uno stretto riserbo e non gli avevano consentito di avvicinarsi più di tanto. Insomma, per farla breve, era stata una brutta mattinata. Abbassò il finestrino, per prendere un po’ d’aria, e una ventata di fresco aerosol marino, misto all’essenza di pino, al puzzo dei gas di scarico delle vetture e ai vapori emessi dall’asfalto già infuocato, inondò l’abitacolo della sua utilitaria. La radio stava trasmettendo, a tutto volume, Napul’è di Pino Daniele. Sporse la mano sinistra fuori dal finestrino e si mise a portare il tempo battendo contro la portiera ammaccata. Inserì la freccia per portarsi sulla corsia di sorpasso, ma il TIR davanti a lui sterzò a sinistra e gli si parò davanti, senza aver segnalato il cambio di corsia. Il grosso camion aveva un aspetto imponente e piuttosto inconsueto. Il cassone e la cabina erano neri come una notte misteriosa, i cerchioni erano lucidi e bronzati e, su un lato, splendeva la lunga marmitta verticale cromata. Sulla parte posteriore, inoltre, scintillava una scritta color oro: RA.TA.VA. ENTERPRISE SORRENTO (NA) - ITALY. Da tempo Leo aveva assunto un comportamento che lui definiva “multitasking”: una sorta di frenesia lo spingeva a fare più cose insieme; tipo parlare al telefono mentre scriveva al computer o mettere i precotti nel microonde mentre faceva ginnastica passiva con l’elettrostimolatore muscolare, con gli elettrodi attaccati all’addome. Erano gli effetti del ritmo stressante a cui era sottoposto; a volte sognava anche di stare con due donne contemporaneamente e accarezzare l’una mentre faceva l’amore con l’altra. 23 booktrailer
Pellegrino De Rosa
Tra le altre cose, aveva preso l’abitudine di anagrammare le scritte in cui si imbatteva. Rilesse con attenzione la scritta sul TIR: RA.TA.VA. non significava nulla; ENTERPRISE, poteva significare “presentire”; SORRENTO, niente. Proprio mentre cercava nuove combinazioni di lettere, il mastodontico mezzo che lo precedeva prese a sbandare a destra e a sinistra. Leo, innervosito dalle pericolose oscillazioni del mezzo, suonò più volte il suo clacson gracchiante. Il barbuto e corpulento camionista guardò, nello specchietto laterale, l’ombra proiettata dalla sua auto sul guard-rail e sugli oleandri che fungevano da barriera antirumore, ed esclamò ad alta voce: «Aha… ti ho visto, piccolo uomo. Ti stavo aspettando!» Poi scosse la testa e, volgendo lo sguardo verso il poster di una rigogliosa pin-up attaccato all’interno della cabina, esclamò: «Mi dispiace, ma lo devo fare: sai bene che devo seguire il protocollo del libero arbitrio!» Un pannello posto sul lato posteriore del TIR si aprì e scoprì un display a led sul quale apparve la scritta: «Allontanati o ti distruggo!» Un istante dopo, ai due lati della targa fuoriuscirono due ugelli cromati, simili a canne di pistola. Leo soppesò, pensoso, i misteriosi bocchettoni che puntavano nella sua direzione, si morse, dubbioso, il labbro inferiore e mormorò tra sé: “Mica questo idiota mi vorrà sparare?” In genere, non amava indietreggiare, neppure per prendere la rincorsa; ma qualcosa gli diceva che l’idiota stava facendo sul serio. Perciò, rallentò e si lasciò distanziare. Appena in tempo per evitare di essere preso in pieno da due getti di liquido sporco come l’inchiostro di un polpo gigante. La melma, per fortuna, si depositò in gran parte sul cofano della macchina, ma alcuni schizzi colpirono ugualmente il parabrezza. L’autista del TIR, all’interno della cabina del mezzo, saltellò gioioso sul suo sedile, come un bambino obeso, e atteggiò il volto barbuto a un ghigno di soddisfazione. «Farai i conti con me, imbecille!» mormorò Leo, tra i denti. Attivò il tergicristallo per pulire il parabrezza ma, così facendo, sparse uniformemente lo sporco sul vetro, riducendo quasi a zero la visibilità. Era esterrefatto. Prese il cellulare dal taschino per memorizzarvi il numero di targa 24 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
del TIR, ma le note della colonna sonora di “9 settimane e mezzo” lo interruppero. Sapeva già chi era, senza bisogno di leggere sul display il nome del chiamante, poiché a quella suoneria aveva abbinato, in una sorta di rito propiziatorio, il numero del cellulare di Eva. «Leo, mi faresti un favore?» gli chiese la sua amica, dall’altra parte del telefono. «Dimmi solo dov’è il drago che devo ammazzare, principessa!» «Non fare lo spiritoso. Mi verresti a prendere alla Clinica veterinaria di Portici? Quella che si trova in quel bel parco pieno di lecci… come si chiama?» la sentì chiedere rivolta a qualcuno vicino a lei, «...il Parco Gussone. Lo conosci?» «Certo che lo conosco. Se fai attenzione ci puoi incontrare il mio fantasma!» «Eh?» «Niente, niente... ti spiego dopo. Ma tu che ci fai in una clinica veterinaria? Non sapevo che avessi mai avuto degli animali… a parte il tuo ex, naturalmente!» «Ma no! È successa una cosa stranissima al cane di una bambina... poi ti racconto». «Si vede che è proprio giornata. Figurati che io stamattina, a Mergellina, ho fotografato un delfino che era stato preso, addirittura, a schioppettate! Arrivo subito». Rimise il cellulare nel taschino e accelerò fino a sorpassare il TIR nero. Il grosso mezzo gli strombazzò dietro, trionfante, emettendo un suono grave e prolungato simile al barrito di un elefante, e Leo gli rispose sporgendo la mano sinistra, con l’indice e il mignolo alzato, fuori dal finestrino.
25 booktrailer
Pellegrino De Rosa CAP. 03
Il barbone scalpitava nervosamente sotto un ponte della tangenziale di Napoli. Spostò, con sorprendente vigore, il bidone che usava per raccogliere l’acqua piovana e afferrò la bottiglia di cognac che vi teneva nascosta dietro. La stappò afferrando il tappo di sughero con i denti e ne trangugiò una lunga sorsata. Poi la levò in alto, come per brindare a una importante vittoria, e si abbandonò, con un’espressione mefistofelica stampata sul volto, all’incalzante sinfonia delle sirene dei mezzi di soccorso dei pompieri che si mescolava con gli assolo delle ambulanze della polizia e dei carabinieri. Se avesse avuto la cetra, come Nerone, l’avrebbe suonata. Non avendola, prese a fischiettare la “Cavalcata delle Valchirie” di Wagner e tracannò avidamente un altro lungo sorso di liquore. Poi ruotò su sé stesso e accennò a qualche passo di sirtaki. Era soddisfatto della sua impresa notturna; aveva fatto proprio un buon lavoro e avrebbe voluto vedere la faccia degli inquirenti quando si sarebbero resi conto che non si era trattato del solito attentato. Il campo nomadi di Ponticelli aveva già subito, in passato, altri raid incendiari. La popolazione, periodicamente, si stufava della presenza di quel corpo estraneo alla città e passava alle vie di fatto. Le rappresaglie, di solito, prendevano il via perché la gente era esasperata dai troppi furti perpetrati dai nomadi. In una occasione si era sospettato che avessero addirittura tentato di rapire una ragazzina per farne chissà che: si era temuto per avviarla alla prostituzione minorile o per venderla ai trafficanti d’organi; fatto sta che, il giorno successivo al tentato rapimento, l’intero accampamento era stato raso al suolo - forse per opera della camorra, la temibile organizzazione criminale napoletana. Ma, in tutte le occasioni precedenti, gli attacchi erano stati sempre eseguiti con il lancio di semplici bottiglie Molotov oppure appiccando gli incendi con taniche di benzina. Lui, invece, aveva usato un esplosivo artigianale simile all’ANFO (Ammonium Nitrate Fuel Oil), che aveva realizzato mescolando un comunissimo fertilizzante - il nitrato di ammonio - con del gasolio, e lo aveva fatto esplodere utilizzando un semplice innesco di sua invenzione. Volendo ottenere un effetto più terrificante, aveva anche sciolto alcuni pezzi di polistirolo nella benzina, secondo una tecnica acquisita 26 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
durante il suo lungo addestramento, e aveva ottenuto una sorta di napalm rudimentale con cui aveva realizzato quattro super-Molotov. Quella lezione se l’erano proprio cercata - pensò. Il giorno prima, cinque nomadi lo avevano aggredito e gli avevano preso le bottiglie di scotch che aveva appena comprato; poi uno di loro gli aveva addirittura sputato addosso. Li aveva lasciati fare senza reagire ma quella stessa notte aveva scatenato l’inferno: aveva fatto esplodere le loro baracche e dato fuoco alle auto e al resto dell’accampamento, con una sincronia tale che gli inquirenti avevano pensato che si fosse trattato di un’azione eseguita da un commando composto da almeno tre persone. Il fumo tossico dell’incendio aveva invaso l’autostrada e la linea ferroviaria della Circumvesuviana, al punto che le corse dei treni erano state sospese per l’intera mattinata. Di sicuro, nell’accampamento c’erano stati anche alcuni morti, ma questo a lui non interessava: secondo il suo personale modo di vedere le cose, ognuno ha semplicemente - il destino che si è meritato. Di certo - pensò - a quegli imbecilli, lo scotch che gli avevano rubato, doveva essere andato di traverso! Un forte e improvviso bruciore allo stomaco gli fece digrignare i denti, in maniera così forte che li sentì scricchiolare. Si passò la manica del consunto soprabito sulla barba brizzolata, lunga e stopposa e con ampie zone gialle di nicotina attorno alla bocca, e si scolò il resto della bottiglia. Il dolore si attenuò un poco, ma il volto rimase contratto in una smorfia di rabbia. La sua rappresaglia contro i Rom era stata micidiale, ma non si sentiva per niente soddisfatto; la vendetta più importante non l’aveva ancora ottenuta e, ormai, cominciava a dubitare che sarebbe mai riuscito a ottenerla. Nove anni. Ormai erano passati nove anni da quel dannatissimo giorno, quando il suo tentativo di fuga era fallito così miseramente. I ricordi, che cercava di tenere repressi, risalivano nella sua mente con gli effetti devastanti di un magma incandescente. E il dolore interiore che provava gli oscurava la mente e gli bruciava l’anima ammesso che ce l’avesse ancora un’anima. Quel maledettissimo giorno aveva perso Bea - l’unica donna che 27 booktrailer
Pellegrino De Rosa
avesse mai amato - e quella perdita l’aveva inaridito e inferocito al punto che ormai bastava il minimo pretesto perché desse sfogo a tutta la sua rabbia e alla sua furia distruttiva e omicida. Se ne rendeva conto chiaramente, ma non se ne curava. La vendetta era diventata la sua unica ragione di vita. Solo vendicando la morte di Bea, forse, avrebbe evitato di svegliarsi di soprassalto di notte, con la fronte imperlata di sudore freddo, dopo aver rivissuto, per l’ennesima volta, quei tragici momenti. Il comandante Brown, il grassone che aveva sparato a Bea e che controllava di fatto la base segreta NATO, portando avanti per proprio conto gli esperimenti sul Metamorfer, aveva poi messo in piedi un’abile macchinazione ai suoi danni, facendolo apparire colpevole sia della morte della sua compagna, sia - rettificando l’iniziale e poco credibile versione dell’incidente - di quella del prof. Pedro. Lui aveva messo al sicuro l’equipaggiamento e il denaro che aveva avuto in dotazione dai Servizi Segreti Europei e si era nascosto, mimetizzandosi tra i barboni di Napoli e rimanendo in paziente attesa degli sviluppi promessigli dal professore prima che venisse ucciso. E, senza che se ne accorgesse, le settimane erano diventate mesi e i mesi erano diventati anni. L’alcol, la depressione e il rimorso, lo tenevano prigioniero in quella condizione così miserevole in cui si sentiva affondare sempre più, giorno dopo giorno, come un vecchio leone rimasto intrappolato nelle sabbie mobili. Gli scagnozzi di Brown gli avevano dato la caccia per anni e, in un paio di occasioni, erano stati sul punto di beccarlo. Anche i suoi ex colleghi dei Servizi Segreti Europei, ritenendolo colpevole di doppio gioco, lo avevano braccato e avevano scoperto che si nascondeva nei bassifondi di Napoli; ma non erano mai riusciti a prenderlo. Alla fine, Raf era riuscito a liberarsi di entrambi i gruppi di inseguitori, facendosi credere morto. L’occasione gli era capitata cinque anni prima. Il clochard che viveva sotto l’altro pilone del ponte dove si nascondeva all’epoca, approfittando della sua assenza, aveva preso con la forza la donna che allora stava con lui. Raf, scoperta la cosa, lo aveva sgozzato come un capretto, ne aveva cosparso il corpo con il petrolio del lume e gli aveva dato fuoco, avendo cura di lasciare sul posto alcuni suoi effetti personali. Certo, non poteva sapere se i mastini che lo braccavano ci sarebbero cascati, ma non gli era costato nulla provarci. 28 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
E, contro ogni aspettativa, gli era andata bene: gli inquirenti non avevano ritenuto di eseguire esami più approfonditi e avevano creduto che quel cadavere fosse il suo. Da allora, nessuno l’aveva più cercato. Durante quei lunghi anni Raf era tornato più volte alla base segreta. I militari l’avevano abbandonata subito dopo la sua fuga e avevano trasferito altrove sia gli uomini che le attrezzature. Aveva cercato di ritrovare il chip, scandagliando più volte il fondo del laghetto, il sifone subacqueo e un tratto del fondale, ma senza risultato. Aveva dovuto accontentarsi di essere riuscito a portare via solo alcune armi e attrezzature che aveva sottratto di nascosto durante la confusa fase di smobilitazione della base. Si sentiva svuotato e depresso e non sapeva quanto altro tempo avrebbe dovuto aspettare. Stette a lungo immobile a guardare il pilone del cavalcavia, poi lanciò un urlo disumano e scaraventò la bottiglia contro il muro di cemento - finalmente aveva preso la decisione tante volte rimandata. La sua voce rimbombò sinistra sotto l’arcata del ponte: «Vieni qua» urlò verso la donna che dormiva a pochi passi da lui, coperta da alcuni cartoni. La clochard aveva il volto dai tratti fini e gentili, che il tempo e gli stenti avevano incartapecorito come un foglio stropicciato tra le mani. Si avvicinò a Raf sorridendo con le labbra serrate, per evitare di scoprire i denti anneriti, e sospirò: «Cosa è successo? Cosa sono tutte queste sirene?» Raf ignorò le sue domande ed evitò di guardarla negli occhi: «Io devo andare via. Tu rimarrai con lui» disse, alzando un braccio per indicare un barbone che, un po’ più in là, osservava la scena con particolare attenzione. «Non mi lasciare... ti prego!» gridò la donna, inginocchiandosi ai suoi piedi. Raf la allontanò con uno spintone: «Vai, ho detto!» La donna distolse lo sguardo, rassegnata, e si diresse, a capo chino, verso l’altro uomo che gongolava: «Grazie Raf… Prendi, porta con te questa bottiglia di scotch». «Non mi serve. Puoi prendere tutta la mia roba… tranne questo» rispose Raf, afferrando un cofanetto metallico nascosto in un anfratto del muro. Ne estrasse un pacco coperto da un telo impermeabile di colore verde e se lo infilò nella tasca del cappotto. 29 booktrailer
Pellegrino De Rosa CAP. 07
Eva studiò l’ampia sala. La parete esterna era interrotta da luminosi balconi dai quali, in lontananza, si poteva vedere il blu del golfo di Napoli fondersi con l’azzurro del cielo. Lungo le altre pareti e al centro della sala erano posti, in file ordinate, una decina di vecchi banconi in legno massello, con sopra dei vetri leggermente inclinati a formare altrettante bacheche rettangolari. All’interno di ogni teca erano conservati in bella mostra una miriade di insetti, rigorosamente stecchiti, disposti in file ordinate e tenuti fermi con delle spille. Bianche palline di naftalina erano fissate negli angoli per impedire che gli esemplari venissero danneggiati dai saprofagi e, sotto ogni insetto, era posta una targhetta con una scritta in latino riportante la classificazione binomiale introdotta da Linneo, il celebre scienziato svedese. Eva si soffermò sui coleotteri. «Non sapevo che esistessero tante specie diverse di scarafaggi» esclamò, con un moto di disgusto. Poi si portò davanti alle bacheche dei lepidotteri. «Queste farfalle, invece, sono bellissime. Peccato che siano state tutte infilzate» osservò con rammarico. «Finire infilzate da un lungo spillone è il destino ultimo di tutte le farfalle più attraenti» osservò Leo, ermeticamente, ma mica tanto. «Che ne diresti di venire a vedere la collezione di farfalle a casa mia?» aggiunse, come colto da un’improvvisa ispirazione. «E farmi infilzare?» rispose Eva, sferrandogli un pugno amichevole su una spalla. «Non ci provare. Sai bene che in questo momento non voglio avere complicazioni!» «Scusa, scusa» la interruppe Leo, «stavo solo scherzando. E, poi, a casa non ho più nessuna collezione entomologica. Buttai tutto via quando smisi di studiare» precisò Leo, rabbuiandosi. Emise un profondo sospiro, come se fosse appena riemerso da una lunga apnea, e continuò: «Vieni... vieni a vedere come sono strani questi altri insetti». Si fermarono davanti a una grande bacheca che conteneva gli insettistecco, il cui corpo era del tutto simile a piccoli rametti. La scritta sotto uno di essi diceva: Bacillus rossius. Quello alla sua destra, con la parte posteriore del corpo meno appuntita, recava invece la dicitura Baculum extradentatum. «Anche le loro uova sono mimetiche. Se ci fai caso hanno una certa somiglianza con i semi delle piante» spiegò Leo, ricordando i suoi studi e 44 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
le appassionate discussioni con il suo professore di genetica. «Fanno parte dell’ordine dei Phasmoidea: sono insetti mimetici che si confondono con l’ambiente che li circonda e, in tal modo, riescono a sfuggire all’attacco dei loro nemici». «Veramente notevole». «Sempre a questo gruppo appartiene l’insetto più lungo in assoluto, la Pharnacia serratipes, dell’Indonesia, che raggiunge i 33 centimetri. Ma un’altra cosa interessante dei Phasmoidea è che essi sono capaci di “rigenerare” le appendici del corpo: se, cioè, durante gli stadi giovanili perdono una zampa o un’antenna, sono in grado di farla ricrescere come se il loro corpo volesse ritrovare la sua forma ideale». «Potenza dell’evoluzione» osservò Eva. «Io direi potenza del Creatore» sottolineò Leo. «Perché? Non credi alla teoria di Darwin?» Leo si fermò ed emise un profondo sospiro; più volte aveva pensato che la questione delle diverse teorie evoluzionistiche andasse seriamente approfondita e che si dovesse vincere la tentazione di accettarne una qualsiasi, in maniera acritica e preconfezionata dagli opinion-maker. «Darwin ha avuto, e ha tuttora, immensi meriti. Ciononostante, saprai che la sua teoria - che si chiama “teoria” proprio perché non è stata ancora del tutto dimostrata - non è esente da contestazioni. Negli USA, per esempio, viene rifiutata dagli studiosi creazionisti e in vari ambienti accademici». «Tu, allora, credi nel creazionismo?» «Neppure. Io credo in una bambola che è nata esattamente cento anni dopo la pubblicazione della teoria di Darwin: io credo nella biondissima bambola Barbie» rispose Leo, specchiandosi nei suoi occhi sbalorditi. «Dai, non fare il fesso! Perché mi prendi in giro?» «Non ti sto affatto prendendo in giro!» «E allora spiegami...» «Brevemente: i creazionisti negano l’evoluzione e ritengono che tutte le specie siano state create così come noi le vediamo oggi...» «Ok». «Gli evoluzionisti, invece, affermano che tutte le specie si evolverebbero dai loro predecessori; e lo farebbero, essenzialmente, grazie a mutazioni casuali del loro DNA. Gli individui che hanno avuto la fortuna di subire mutazioni più favorevoli, essendo diventati più adatti all’ambiente, sarebbero riusciti, poi, a sopravvivere più facilmente 45 booktrailer
Pellegrino De Rosa
e a riprodursi in misura maggiore, sostituendo con il tempo la specie che non era mutata e che non si era adattata». «Sì, sapevo anche questo. Ma perché hai detto “essenzialmente”?» «Beh, perché esistono altri fattori che possono influire sulla frequenza dei geni in una popolazione; ma non penso sia il caso di approfondirli adesso: Oscar Wilde diceva che “Tutti coloro che cercano di esaurire un argomento finiscono per esaurire i loro ascoltatori”!» «Ti seguo, continua» lo esortò Eva, guardandolo con aria sorpresa: non avrebbe mai immaginato che Leo si interessasse di qualcos’altro oltre che delle belle donne. «Sulla validità dei meccanismi della selezione naturale non ho proprio nulla da obiettare. È naturale che le specie o gli individui più adatti all’ambiente, a un certo punto, arrivino a rimpiazzare i meno adatti o i meno competitivi. Ma, e il punto è proprio questo» sottolineò Leo, scandendo bene le parole, «io non riesco a credere che le mutazioni da essi subite siano semplicemente frutto del caso». «Ah!» esclamò Eva, «forse ho capito a cosa ti riferisci: se non erro, c’era uno studioso precedente a Darwin che diceva qualcosa del genere, ma non ricordo come si chiamava». «Si chiamava Lamarck» rispose Leo, stupito dalle conoscenze della sua graziosa amica. Poi, felice di parlare con una persona che seguiva il suo ragionamento e che non muoveva solo la testa annuendo meccanicamente, come a volte gli capitava quando parlava di queste cose, continuò: «Però c’è una grossa differenza». «E quale, di grazia?» chiese Eva, accennando a una riverenza. Leo sorrise: «In realtà Lamarck, nella sua Philosophie zoologique, supponeva che le variazioni avvenissero perché gli individui, usando maggiormente un certo organo e spostando in essi i “fluidi”, finissero per svilupparlo o modificarlo. Queste variazioni, poi, sarebbero state ereditate dalle generazioni successive. L’esempio tipico era quello dell’allungamento del collo della giraffa». «E non è la stessa cosa che intendi tu?» «Non proprio. Lamarck faceva espresso riferimento a un presunto effetto evolutivo dell’uso e disuso delle parti, ma ciò non spiega, per esempio, il caso del Draco volans, una sorta di lucertola che vive nelle foreste tropicali asiatiche e che presenta ai lati del corpo due slargature membranose che somigliano ad ali e con le quali plana da un albero all’altro». Eva annuì: «Ho capito a quale animale ti riferisci. Penso di averlo visto in televisione». 46 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
«Ebbene, le appendici aeree di questo piccolo rettile sono costituite da particolari allungamenti delle costole e non derivano da modificazioni degli arti anteriori (come negli uccelli) o delle dita (come nei pipistrelli); quindi a far comparire quella slargatura non è stato uno “sforzo” che ha agito sulle cellule somatiche degli arti o delle dita per trasformarle in ali, ma una volontà che ha agito direttamente sui geni!» «Ah!» «In effetti, il lamarckismo non è in grado di spiegare come si generano nuove caratteristiche non producibili da “sforzi” funzionali. E come me la pensava anche Georges Cuvier, il fondatore della paleontologia dei vertebrati, secondo il quale questa teoria non riusciva a spiegare, per esempio, la genesi della pelle mimetica e maculata delle stesse giraffe». «Ho capito» ribatté Eva, dandogli una manata sulla spalla. «Stavo cominciando a preoccuparmi e a pensare che tu avessi perso la testa. Invece, mi pare d’aver capito che tu propenda per la teoria del Disegno o Progetto Intelligente! È così?» «Non proprio» rispose Leo, ancora più sorpreso dalle conoscenze di Eva. «Dove hai imparato queste cose?» «Anche io leggo, mio caro. Che credi?» «Cavolo! Ti prometto che se un giorno mi dirai di essere una spia di qualche Paese dell’Est, non mi sorprenderò». «Ma - insomma - si può sapere qual è la tua opinione in proposito e che c’entra Barbie? È la tua solita fissa per le belle donne?» chiese Eva, sempre più curiosa. «No, no. Mi spiego meglio. Io penso, come ti ho già accennato, che la mente possa influire direttamente sulla materia. Penso, cioè, che gli individui immersi in un certo ambiente, desiderando di adattarsi a esso, causino - con il potere della loro mente e non con gli sforzi fisici - direttamente delle variazioni nel DNA e nell’epigenoma delle loro cellule germinali (spermatozoi e ovuli) e sull’embrione in formazione, tramite un processo di “somatizzazione quantistica”, cioè tramite un’interazione tra la mente dei progenitori e i campi quantici che vibrano attorno alle molecole. Sia chiaro: come ho già detto prima, la selezione naturale esiste, ma agisce solo in un secondo momento e non è la causa prima dell’evoluzione!» Eva scosse la testa, dubbiosa. «E, non solo», continuò Leo. «Se presti fede alle conclusioni della fisica quantistica, le mutazioni avvenute sul piano materiale, o “ordine esplicito”, 47 booktrailer
Pellegrino De Rosa
potrebbero poi collegarsi a un “ordine implicito”, dove creerebbero delle “matrici” o progetti della nuova specie simili, concettualmente, alle “idee platoniche” o all’inconscio collettivo di Jung, tramite una risonanza quantistica denominata “entanglement”. «Senti, se pensi di spaventarmi con questi paroloni ti sbagli di grosso!» sbuffò Eva. « E sappi che mi hai veramente disorientata! Insomma: come fai a essere così informato scientificamente e, allo stesso tempo, così arretrato da credere in cose quasi… quasi, sciamaniche?» «Mah» fece Leo, con un largo sorriso. «E, dimmi» incalzò Eva. Questa tua bislacca teoria avrebbe anche un nome?». «Ebbene, sì. L’ho chiamata “Plasticismo evolutivo”...» «Ma va’» rispose Eva, schioccandogli un buffetto sulla fronte. Leo scosse la testa: «Conosci la storia della “centesima scimmia”?» «Certo che sì» rispose Eva, divertendosi a stupire il suo amico. «Ma, ti avverto, so anche che si tratta di una storia inventata - per ammissione dello stesso autore, l’antropologo e zoologo sudafricano Lyall Watson». «E sai cosa diceva?» Eva annuì: «In breve. Che su un’isola, una bella mattina, una scimmia cominciò a lavare i tuberi imbrattati di sabbia con l’acqua del mare e che insegnò a farlo a tutti gli individui del suo branco. Che anche le scimmie delle altre tribù, osservando il comportamento della prima tribù, presero a fare la stessa cosa. Che, a un certo punto, al raggiungimento di un certo numero di scimmie che lavavano i tuberi - diciamo alla centesima scimmia - tutte le altre scimmie presero a lavarle; anche quelle delle isole vicine, con le quali le scimmie locali non avevano mai avuto contatti. Come se, al raggiungimento della “massa critica mentale”, rappresentata dalla centesima scimmia, questa abilità fosse stata misteriosamente trasferita a tutte le scimmie e fosse diventata una caratteristica comune a tutta, diciamo, la “scimmiosità”». «Accidenti, chissà quante altre cose interessanti mi nascondi!» osservò Leo, ammiccando. «Sì, ma come ho detto e come sai bene anche tu, questa è solo una bella favola e non corrisponde per niente al vero» rispose Eva, ignorando le allusioni del suo collega. «Invece, mia cara Eva, io ritengo che qualcosa di vero ci possa essere, e a volte provo a immaginare cosa si potrebbe realizzare se si riuscisse a padroneggiare una forza simile!» 48 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
«Ora ho capito: tu, sotto sotto, vuoi conquistare il mondo! Come quei ridicoli personaggi dei cartoni animati!» tagliò corto Eva e si voltò, facendo finta di volersene andare. Leo la prese dolcemente per un braccio e le mostrò gli insetti-foglia conservati nella bacheca vicina. Eva dovette concentrarsi per capire che si trattava di insetti e non di vere foglie: il loro tegumento riproduceva perfettamente la forma e il colore delle foglie vere. Inoltre, erano chiaramente visibili le venature e, addirittura, alcune zone ingiallite, come di seccume. Sotto di essi vi era la scritta: Phyllium giganteum. Leo la guardò intensamente negli occhi, come a chiederle la massima attenzione, e le sussurrò, con enfasi: «Ascolta, in questo caso non è possibile credere che una mutazione casuale o uno sforzo fisico abbiano portato quest’insetto a somigliare a una foglia e, si badi bene, non a una foglia qualsiasi, per esempio di vite, di banano o di felce, ma a una foglia grosso modo simile a quelle presenti nell’habitat in cui vive normalmente questo insetto. È lecito pensare che sia avvenuto un processo analogo a quanto succede agli animali rapidomimetici, come i camaleonti e le seppie, che cambiano colore continuamente per confondersi con l’ambiente. Solo che, in questo caso, l’insetto ha trovato il modo di trasmettere l’adattamento alle generazioni successive, fissandolo nel DNA. E, forse, qualcosa di simile accade anche per le macchie mimetiche sulla pelle delle giraffe, così simili alle fratture di un terreno argilloso riarso dal sole! Ti è chiara, ora, la differenza con il darwinismo e con il lamarckismo?» Eva annuì e gli fece segno di proseguire. Leo, incoraggiato, aggiunse: «È un fatto psichico! Come le “voglie” che, secondo i più anziani, le mamme possono trasmettere ai loro figli e che appaiono come macchie sulla pelle dei neonati». «E per scongiurare le quali i poveri papà sono costretti a compiere vere e proprie imprese per trovare - che so io - le fragole di montagna nel mese di dicembre, e altre assurdità del genere» rise Eva. «Brava… qualcosa del genere». «E dimmi, che c’entra Barbie?» «C’entra: se le ragazzine di tutto il mondo hanno come modello Barbie, somatizzeranno questo loro desiderio nei loro gameti e, quando saranno mamme, genereranno sempre più bambine somiglianti alla bambola! Perciò, se alle mamme (e ai padri, che a loro volta condizionano i gameti maschili) piacerà una certa modella, o un certo tipo di bellezza, ecco che nasceranno sempre più bambine 49 booktrailer
Pellegrino De Rosa
rispondenti a quel canone di bellezza. Inoltre, se, grazie all’entanglement quantistico, si forma, effettivamente, una “matrice” metafisica nell’ordine implicito, questa favorirà, a sua volta, la nascita di altre ragazze somiglianti a Barbie. Insomma, le modelle, oltre che a sculettare nervosamente sulle passerelle, fungerebbero effettivamente da “modelli” o “idee” di bellezza». «Mah, a dire la verità, la prima parte della teoria è abbastanza plausibile, sempreché si riesca a spiegare come la mente possa agire direttamente sui geni. Ma, scusami la sincerità, questa seconda parte mi sembra davvero un po’ troppo fantasiosa! Insomma: secondo me, non è scienza!» Leo le puntò un dito contro: «E chi ti dice che la scienza sia la massima espressione della conoscenza? Io, personalmente, la metto al terzo posto, dopo l’arte e la filosofia. Inoltre, sono intimamente convinto che l’uomo non sia costituito solo da carne: perché - altrimenti - sarebbe così sensibile alla musica, all’arte, alla bellezza, se non per nutrire la sua parte spirituale e “ideale”?» Eva non rispose. Stava pensando a come si possono giudicare erroneamente le persone anche vivendoci a stretto contatto quasi tutti i giorni. I discorsi di Leo l’avevano profondamente colpita e, forse, si era sbagliata a considerarlo solo un simpatico Casanova. Leo, interpretando questo suo silenzio come un segno di interesse, continuò: «E non solo: se dai una sbirciatina alle più recenti teorie cosmologiche e di fisica quantistica, vedrai come alcune di esse sconfinino quasi nel misticismo: scienza, fantascienza e, addirittura, filosofia e metafisica paiono ruotare tutte attorno ad un unico fulcro». «Leo, ma tu non puoi chiedermi di credere alla favola della “centesima scimmia”... te ne rendi conto?» «Eva, deve esserti ben chiaro che quella che tu chiami la “favola della centesima scimmia” ha radici culturali molto profonde. L’esistenza di un “contenitore collettivo” in grado di conservare “forme” e di interagire bidirezionalmente con il mondo materiale faceva parte della cultura di molte antiche popolazioni. Già gli aborigeni australiani erano convinti di questa interazione tra la nostra realtà e una dimensione mistica, che chiamavano “il tempo del sogno”, tramite la quale gli sciamani potevano interagire con figure totemiche che erano in grado di condizionare il mondo reale. E ti parlo di decine di migliaia di anni fa! Inoltre, devi anche sapere che le nozioni (massa 50 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
critica, campi di influenza) espresse in quella che tu chiami “favola” sono state riprese, poi, da alcuni ricercatori e divulgatori dei nostri giorni, alcuni dei quali - in maniera poco elegante - hanno riproposto gli stessi concetti facendo tacitamente intendere che si trattava di proprie elaborazioni originali». «Ah! E questo non si fa» rispose Eva, imbronciando le labbra. «Certo che non si fa! Tra l’altro ciò che dico è facilmente dimostrabile: Lyall Watson ha pubblicato la storia, che sarebbe avvenuta nel 1952, nel suo libro Life Tide, che è stato pubblicato nel 1979, mentre le pubblicazioni degli altri autori sono successive!» «Mah... fatti loro» fece Eva, alzando le spalle. «Ma, tornando alla tua teoria, fammi capire: tu, tutto questo pastrocchio, lo hai messo in piedi partendo dagli insetti mimetici? Allora è per questo che ci hai impiegato tre mesi per preparare l’esame e poi non l’hai neppure sostenuto: ti era andato in pappa il cervello!» Poi notando la faccia rabbuiata di Leo aggiunse: «Dai, stavo scherzando! Continua…» «In ogni caso, molte delle cose che ti ho riferito sono il risultato delle lunghe discussioni avute con il mio professore di genetica che, purtroppo, non ho più rivisto. Ma esistono anche altre cose che ti fanno riflettere». «Cioè?» chiese Eva, lanciando un’occhiata torva alla studentessa che avevano incontrato prima e che era entrata anch’essa nella sala. «La convergenza evolutiva, per esempio». «So di cosa parli, del fenomeno per cui due specie che vivono in habitat simili finiscono per sviluppare organi e comportamenti molto simili». «Perché non mi sposi? Sei bellissima e abbiamo un background compatibile…» «Non direi proprio. Dai, smettila di fare il cascamorto. Stavi dicendo della convergenza evolutiva…» «Sì. Prendiamo l’esempio del pipistrello, che è un mammifero insettivoro, e del guacharo, che è uno strano uccello dalle penne oleose; ebbene, ambedue vivono nelle grotte e, per questo motivo, hanno sviluppato entrambi una sorta di sonar per orientarsi. E ancora: le balene, i delfini e gli altri cetacei, che, pur essendo mammiferi come noi, siccome vivevano nell’ambiente marino, hanno assunto la stessa forma dei pesci. E la stessa cosa è avvenuta agli ittiosauri, i rettili preistorici simili a pesci, e - anche se in misura minore - ai pinguini che, pur essendo uccelli, hanno assunto una forma particolarmente 51 booktrailer
Pellegrino De Rosa
idrodinamica. E poi, ancora, la talpa comune e la talpa marsupiale, che a parte il diverso colore del pelo (la prima è nera, la seconda è giallastra) hanno praticamente la stessa conformazione pur essendo la prima un mammifero e la seconda un marsupiale, come i canguri». «E che c’entra questo con la tua teoria?» «C’entra, eccome: perché specie diverse che vivono in ambienti simili hanno le stesse necessità di evolversi nello stesso senso e, quindi, agiscono mentalmente allo stesso modo sui gameti. Non è possibile che mutazioni casuali portino, in tutti i casi, alla stessa forma o alle stesse caratteristiche!» «Quindi è la mente e non il caso a determinare l’evoluzione... com’è successo per l’insetto-foglia...» «Brava: come l’insetto-foglia!?» fece Leo e, afferrandola per un braccio la riportò davanti alla bacheca delle farfalle. «Vedi quell’insetto simile a un ape, in alto a destra?» «La Aegeria o Sesia apiformis?» rispose Eva, leggendo la targhetta sotto di essa. «Proprio lei. Sai perché si trova nella bacheca delle farfalle?» «Perché preda le farfalle?» tirò a indovinare Eva. «Sbagliato! Si trova qui perché non è un’ape ma una farfalla!» «Ma dai!» «È per questo che si chiama “apiformis”, perché, pur essendo una farfalla, ha il corpo giallo e nero, le ali trasparenti e l’addome simili a quelli di un’ape». «E perché avrebbe fatto una cosa simile?» «Ma è ovvio: per spaventare i suoi predatori! È diventata simile a un altro animale munito di un efficace mezzo di difesa, cioè il pungiglione! Capisci? Questa sua forma, così simile a una vera ape, non può essere frutto del caso! Quest’insetto ha “desiderato” assumere quella particolare forma. Non ci può essere altra spiegazione. E ti potrei fare svariati altri esempi...» «No, no. Lascia stare, per pietà. Ma dimmi, questa teoria varrebbe anche per le piante? Anche loro avrebbero una mente?» «Sicuramente! Anche loro posseggono un campo morfogenetico. Ti faccio l’esempio della Ophrys apifera, una bellissima orchidea il cui fiore ricorda nella forma e nella colorazione l’addome di un’ape mellifera femmina che, con tale stratagemma, attira i maschi di ape, con lo scopo di farli avvicinare e imbrattarli di polline, per favorire l’impollinazione. In conclusione, io mi rifiuto di credere che tutte queste variazioni e tutti questi adattamenti siano stati dettati solo da mutazioni “casuali” sul DNA. Esso non è la causa delle variazioni ma è, semplicemente, il mezzo per perpetuarle; variazioni casuali non possono 52 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
produrre mutazioni funzionali e complesse in organismi complicatissimi come gli animali superiori». «Mah, non saprei che dirti». «Rifletti, Eva, sarebbe come pretendere che con una variazione cieca e casuale, come può esserlo una martellata, io riuscissi a modificare il tuo orologio in uno smartphone: mi faresti fare la prova con il tuo?» «Sei pazzo?» rispose Eva, mollandogli un buffetto. Leo sorrise. «Vedi che neppure tu ci credi? È molto più probabile che la variazione casuale abbia il solo effetto di distruggere l’orologio. Ma vieni a vedere questi altri insetti…», continuò, portandosi vicino a una campana di vetro appoggiata a terra, alla fine della parete. «Sai cosa è questo?» «Ebbene sì, è un termitaio. Anche perché c’è scritto sotto» rispose Eva indicando l’etichetta posta alla base della struttura a forma di cono irregolare. «Orbene, che io sappia, nessuno ha ancora compreso come le colonie di termiti possano coordinarsi in modo tale da costruire dimore aventi un’architettura interna così complessa e, soprattutto, come riescano a farlo - cooperando in piena sintonia - anche quando la colonia venga divisa in due parti da una lastra di acciaio». «Io so che gli insetti possiedono un linguaggio chimico, basato sui feromoni». «Giusto: i feromoni traccia, di allarme, di aggregazione, eccetera. Ma essi costituiscono solo un linguaggio molto elementare: come fanno, invece, a trasmettersi informazioni più complesse e sapere cosa e come e dove costruire?» «Boh?» «La risposta più probabile è che il termitaio possegga una “mente collettiva”!» «Boom!» «Eppure, Eva, dovresti conoscere benissimo altri organismi, composti da miliardi di individui che cooperano continuamente tra di loro pur possedendo un’unica mente!» la sfidò Leo. «Uhm! Fammi pensare un attimo…» «Pensa… pensa. Ma guarda che non è poi così difficile». Eva fece un segno di diniego. « Niente da fare… non mi viene in mente nulla». «Tu, Eva... io… e tutti gli animali… e tutte le piante. Tutti noi siamo composti da miliardi di cellule che agiscono in perfetta sintonia!» «Basta. Mi hai fatto venire il mal di testa!» fece Eva, confusa. «Scusami, ascoltami solo un altro istante. È importante...» 53 booktrailer
Pellegrino De Rosa
«Dimmi» acconsentì Eva. «Lo stesso cervello, che normalmente è considerato la sede della coscienza, è formato da una colonia di cellule: i neuroni. Giusto?» «Sì». «Ora ti faccio una semplice domanda». «Spara!» «Dove risiede la tua coscienza? Dove risiede quello che tu chiami il tuo “io”: in un solo neurone o in un insieme di neuroni? O dove?» «E che ne so! Mi hai fatto la testa così» rispose Eva, facendo un segno con le mani attorno alla testa, «che ormai non so quasi più chi sono e dove sono». «Te lo dico io», riprese Leo. «La tua coscienza non è in un neurone o in un gruppo di neuroni, come proponeva la teoria polizoica; è un campo di forze che avvolge il cervello. Ed è proprio quella l’interfaccia che interagisce, metaquantisticamente, con il mondo immateriale!» «Ah! E tu ne sei proprio sicuro?» rispose Eva. Leo, fece per rispondere, ma Eva gli mise una mano sulla bocca: «Eh no, mio caro. Basta!» disse con finta aria minacciosa. «La toglierò solo se prometti di rimanere in silenzio per almeno mezz’ora». Leo annuì, sorridendo. Eva confessò a sé stessa di essere rimasta sbalordita. Aveva conosciuto un nuovo aspetto di Leo e non le dispiaceva. E, poi, chissà se quella stravagante teoria, nata da osservazioni naturalistiche sul mimetismo e che - addirittura - si agganciava al “mondo delle idee” di Platone, potesse avere una qualche validità. Chissà se esisteva veramente una forza psichica in grado di agire sulla materia fino a indurre le mutazioni! Sapeva che esistevano milioni di libri a favore del darwinismo, a partire da “L’origine delle specie”, edito dallo stesso Darwin nel 1859, e altrettanti che lo contestavano. Ma, di sicuro, non aveva mai sentito di una teoria così balorda come quella appena espostale da Leo. Certo che se l’uomo fosse riuscito a dominare una tale forza plasmatrice, sempre che esistesse veramente, si aprivano degli scenari le cui conseguenze non erano facilmente prevedibili - rifletté Eva. Poi sbuffò, con un’alzata di spalle: non valeva la pena pensarci, erano solo fantasie! Piuttosto, doveva cercare di scoprire cosa era capitato effettivamente sulla spiaggia quella mattina. 54 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin. CAP. 08
«Eva, vieni. Affacciamoci dal balcone, c’è un panorama stupendo». «Ma… sembra chiuso». Leo si batté una mano sul petto, come per dire “lascia fare a me”. «Dimentichi che qui ci ho vissuto per anni; proviamo se funziona ancora il vecchio metodo!» Prese una penna dal taschino e la infilò in una tacca alla base del balcone; dopo qualche istante ci fu uno scatto metallico e l’anta si aprì verso l’interno. La vista che si presentò ai loro occhi era incantevole. L’aria era tersa e, in lontananza, il mare appariva come un’immensa distesa azzurra, sfavillante di luccicanti riverberi policromi. Sulla destra, si intravedevano la sagoma dell’isola di Procida e quella, più grande, di Ischia. A sinistra, all’estremità della Penisola Sorrentina, si stagliava l’inconfondibile profilo dell’isola di Capri, l’isola azzurra, la sola di origine non vulcanica di tutto il Golfo di Napoli. Poi i loro occhi si posarono sul prolungamento del Parco che giungeva fin quasi al mare, fermandosi sulla zona del porticciolo del Granatello, nei cui pressi Ferdinando II di Borbone aveva fatto costruire, nel 1838, la prima ferrovia d’Italia. Eva emise un profondo sospiro. «Questa vista è veramente straordinaria» ammise. Leo non rispose. La sua attenzione era stata richiamata da un gruppo di studenti che, di sotto, nel cortile interno della reggia, parlottavano attorno a una vecchia zingara, vestita con abiti che dovevano essere già vecchi dieci anni prima. «Ma quella è Carmela!» esultò, come se avesse rivisto una vecchia amica. «È ancora viva e, a quanto vedo, in ottima forma!» Poi, per giustificare a Eva il suo entusiasmo le spiegò: «Veniva tutti i giorni da Napoli, con il treno della Circumvesuviana. E senza mai pagare il biglietto; i controllori la lasciavano stare, non ho mai capito se lo facessero perché sapevano che non aveva molti soldi o perché avessero paura che gli lanciasse il malocchio». «Allora è una strega!» 55 booktrailer
Pellegrino De Rosa
«Ma… no. È una carissima persona. Pensa che, per pochi spiccioli, ci prevedeva come sarebbero andati gli esami». «E ci prendeva?» domandò Eva. «Quasi sempre». Eva aggrottò la fronte, stupita. «Leo, non mi dirai che credi anche a maghi, astrologi e cose simili?» «Veramente, esclusi gli accattoni e i truffatori… sì. Penso che la cosa possa rientrare in un ordine più generale. E potrei anche spiegarti il perché…» «Per carità, mi è bastata la tua discussione sull’evoluzionismo. Le tue strampalate teorie vanno prese a piccole dosi!» Sentirono Carmela strillare, tra le risate degli studenti, e si sporsero dal balcone per capire meglio cosa stesse succedendo. «Vi dico che Colapesce è tornato. È tornato e si vendicherà di Napoli» stava sbraitando la vecchia, con le braccia levate al cielo. «E chi sarebbe, ora, questo Colapesce?» domandò Eva, divertita. «Si tratta di una vecchia leggenda napoletana; forse Carmela avrà sentito del delfino ferito e vuole impressionare i ragazzi». Gli occhi di Eva scintillarono: «Una leggenda napoletana? Dai… me la racconti?» «Eva… una bella ragazza come te che non crede al Disegno Intelligente e all’astrologia, poi, per coerenza, non deve credere neppure alle favole» la ammonì scherzosamente Leo. «Ma cosa dici! Io non ci credo mica alle favole; mi piace ascoltarle e conoscerle perché attraverso di esse si riesce a capire molto di un popolo e delle sue tradizioni». «Va bene» acconsentì Leo, «Colapesce, o Niccolò Pesce, era un ragazzo che trascorreva gran parte del suo tempo in mare, fin quando sua madre, esasperata da questo suo comportamento, lo maledì dicendogli: “possa tu trasformarti in pesce”. La maledizione giunse al bersaglio e Niccolò si trasformò in uomo-pesce, con tanto di branchie, pelle squamosa e dita palmate. Prese l’abitudine di farsi inghiottire dai pesci per lasciarsi condurre nelle profondità del mare. Giunto a destinazione, li squartava con un pugnale e ne usciva fuori, recuperava immensi tesori dal fondo del mare e li regalava al Re oppure li dissipava in baldorie e gozzoviglie. Continuò così per anni, fin quando rimase immobilizzato in una bolla d’aria sottomarina, in cui non poteva nuotare e dalla quale non riuscì più a risalire. Su un palazzo in Via Mezzocannone, nei pressi 56 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
dell’Università Federico II di Napoli, si può osservare ancora oggi il bassorilievo di Orione che, secondo una tradizione popolare, raffigurerebbe proprio il mitico Colapesce». «Ehi! Vuoi vedere che è stato Colapesce a folgorare Avatar?» suggerì sorridendo Eva. Leo storse il naso, preoccupato. «Dai... stavo scherzando» lo tranquillizzò Eva. Poi gli mollò un piccolo pugno affettuoso sulla spalla e aggiunse: «Mi accompagni a casa? Così mi faccio la doccia, mi cambio e poi andiamo insieme al giornale per il briefing?» Leo le porse cavallerescamente il braccio. «Andiamo, principessa» rispose, accennando a un mezzo inchino.
57 booktrailer
Pellegrino De Rosa CAP. 19
Dal tavolo olografico, posto proprio al centro della sala in penombra, fuoriusciva un tenue fascio di luce azzurrognola che, proiettata verso l’alto, disegnava nell’aria un cilindro tridimensionale che si innalzava dal piano del tavolo per circa un metro e mezzo di altezza. Al suo interno, sospese a mezz’aria, le rappresentazioni grafiche di due gruppi di molecole di DNA ruotavano attorno al loro asse verticale mentre, nella parte bassa del cilindro di luce, scorrevano una serie di numeri rossi e neri. Le molecole srotolarono le loro spire e divennero simili a semplici scale, con i due assi verticali e una lunga serie di pioli orizzontali. Questi si ruppero al centro e ogni segmento di DNA si aprì in due filamenti, come le fettucce di una cerniera lampo, che si allontanarono l’uno dall’altro, divaricandosi. I pioli erano formati da segmenti di diverso colore e forma, ed erano contrassegnati da una lettera maiuscola, corrispondente al nome dei diversi nucleotidi: A per l’adenina, C per la citosina, G per la guanina e T per la timina. Michael Brown, che ormai aveva circa cinquanta anni, estrasse un fazzoletto dalla giacca della sua divisa militare e lo usò per asciugarsi il sudore che gli colava dalla testa grassa e pelata. Sbuffò e continuò a osservare, con apprensione, quanto stava avvenendo sullo schermo olografico: «Perché perdiamo tempo con queste rappresentazioni da liceali?» sbottò. «Non stiamo perdendo tempo: questa che vediamo è solo l’interfaccia utente. L’analizzatore nel frattempo sta comparando i due campioni che gli abbiamo chiesto di confrontare» lo rassicurò l’operatrice. Costei era una longilinea e muscolosa donna di colore, dalla bellezza primordiale e selvaggia, come la sua caldissima Africa. Il camice bianco e i capelli cortissimi invece di mascherare la sua femminilità la esaltavano. Ciononostante, il grassone non sembrava essere affatto sensibile al suo indiscutibile fascino. Ciò era una conferma di quanto, sottovoce, si sussurrava nella base, e cioè che il comandante Brown odiasse visceralmente le donne e che fosse attratto solo dagli uomini. Si diceva anche che avesse una tresca con Franco e Vittorio, i suoi due fedeli scagnozzi. La donna si alzò in piedi e inforcò gli occhiali stereoscopici per osservare meglio i dettagli dell’ologramma. Mosse una mano nell’aria e le 104 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
rappresentazioni di DNA alla sua destra presero a frammentarsi in tanti pezzetti, simili a tessere di un mosaico, che andarono a incastrarsi, volando come uno stormo di uccelli, nei filamenti a sinistra che, invece, erano rimasti interi e dritti. Ogni nucleotide andava a disporsi sul suo complementare, così come ogni chiave va nella sua serratura e ogni serratura riceve solo la sua chiave: A con T e G con C, e viceversa. «Ci vorrà un po’ di tempo» comunicò la donna. «Vado a prendere un caffè!» Si chiamava Monique e lavorava in quella base militare NATO già da quando era ubicata nel vecchio sito, quello evacuato nove anni prima. Ma non si era ancora abituata a quel puzzo di disinfettante che aveva invaso tutta la base, mensa compresa. Era una puzza simile all’odore dell’incenso, ma più penetrante e fastidiosa, e impregnava tenacemente tutta la sua persona, compresi gli abiti e i suoi capelli crespi che, proprio per questo motivo, aveva tagliato quasi a zero. Lei, ufficialmente, lavorava nel laboratorio di biologia marina ma sapeva che c’era una sezione segreta, alla quale non aveva accesso, da cui, un paio di volte al mese, le portavano dei campioni di DNA da analizzare. Prese il suo caffè al distributore automatico e tornò al tavolo olografico. I frammenti di DNA dei due campioni continuavano ad accoppiarsi perfettamente e questo, per il comandante Brown, non era un buon segno, perché erano quasi dieci anni che stava attendendo una mutazione che si ostinava a non volersi verificare. Alla fine, si udì un cicalino intermittente e sullo schermo tridimensionale apparve la scritta: “CONFRONTO CAMPIONI COMPLETATO: COMPATIBILITA’ GENETICA 100%”. «Niente da fare» disse, sorseggiando il suo caffè. «I due campioni sono perfettamente identici. Non c’è stata nessuna mutazione». Michael Brown sbatté un pugno sul tavolo causando nell’immagine virtuale delle increspature simili alle onde che si producono in uno stagno colpito da un sasso. «Spegni questo coso e lasciaci soli» urlò. Monique disattivò il proiettore olografico e uscì dalla stanza, lasciando il comandante Brown insieme a due tecnici in camice bianco. Uscendo, incrociò Franco e Vittorio che stavano entrando. Come al solito, erano vestiti completamente di nero e portavano degli occhiali scuri. Brown attese che i due avessero richiuso la porta ed esplose, digrignando i denti: «Dannazione, sono circondato da incompetenti. Non valete neppure un’unghia di quella vecchia testa di cazzo del prof. Pedro!» 105 booktrailer
Pellegrino De Rosa
I due tecnici, in piedi all’altro lato del tavolo, abbassarono lo sguardo a osservare le righe tra le bianche piastrelle del pavimento. «Eppure mi avevate assicurato che eravate in grado di riprodurre perfettamente la procedura inventata dal professore» continuò a sbraitare, mentre il suo addome gonfio minacciava di debordare dalla divisa a ogni suo movimento. «Non penso che la causa di tutti questi fallimenti sia qualcosa di biologico. È più probabile che essa vada ricercata nel Metamorfer: forse la componente induttrice, la “gemma di Darwin”, non è stata ricostruita a dovere» azzardò il tecnico più giovane. Brown lanciò uno sguardo interrogativo al tecnico responsabile del modulo di realtà virtuale, aspettando che formulasse qualche sua ipotesi. Costui alzò le spalle e osservò: «Abbiamo rispettato il progetto alla lettera; forse il professore aveva apportato delle variazioni al Metamorfer a nostra insaputa». «È probabile. Non si fidava di nessuno... e non aveva tutti i torti!» rispose il comandante, ripensando al vecchio scienziato con il cranio sfondato. Prese a camminare avanti e indietro, sbuffando come una locomotiva a vapore, e alla fine puntò il suo grasso indice contro il tecnico più anziano: «Smontate il Metamorfer pezzo per pezzo. Ricontrollate tutto: una, dieci, mille volte se necessario. E tu…» disse al tecnico più giovane, come se avesse avuto una folgorante intuizione, «ricontrolla anche l’RNA dei mitocondri delle cellule dei cloni e cerca di capire in che cosa è diverso da quello di queste maledette cellule che si ostinano a non subire alcuna mutazione». Infine si girò verso i suoi scagnozzi, Franco e Vittorio, e gli domandò, con aria stanca, come a chiedere comprensione e aiuto: «E voi che mi dite? Abbiamo notizie di Alfa?» «Sembra sparito nel mare. Non riceviamo nessun segnale dal suo localizzatore» rispose Franco, passandosi un dito sulla cicatrice che gli deturpava la guancia destra. «Forse è nascosto in qualche grotta, dove il segnale non è rilevabile» suggerì “Monnalisa” Vittorio. «Io, invece, penso che sia vivo e vegeto e che abbia semplicemente messo fuori uso il chip di localizzazione. Ricordatevi che, secondo i test ai quali l’abbiamo sottoposto, ha un quoziente intellettivo superiore a quelli di voi due messi insieme. Tuttavia» riconobbe Brown, «può anche darsi che sia stato colpito per errore; anche se l’ordine era di sparare solo al delfino. A proposito, ci sono sue notizie? Neppure il suo localizzatore invia segnali?» 106 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
Per tutta risposta i due uomini gli mostrarono il giornale di quella mattina e spiegarono: «Il delfino è stato ferito e si è spiaggiato. Ora si trova in una vasca vicino a un molo del Borgo Marinaro di Napoli. Ma c’è dell’altro: ieri il cane di una ragazzina è stato quasi folgorato su una spiaggia. Abbiamo fatto visita al veterinario che l’ha rimesso in sesto e, dopo che l’abbiamo “ammorbidito”, ci ha rivelato che l’animale presentava delle scottature a forma di mano; ma né lui né altri hanno idea di chi o cosa possa avergliele provocate!» «Ah, ma allora Alfa è ancora vivo!» rispose Michael Brown. «Dobbiamo scovarlo e riportarlo alla base. È di vitale importanza». «Ma... in che modo? È come cercare un pesce nell’oceano!» ribatté “Monnalisa”. «Senti, tu sei l’unico al quale è consentito parlarmi con un sorriso sulle labbra, ma non farmi incazzare» lo minacciò il militare, «e fatti venire in fretta qualche buona idea!» «Non riesco ancora a capire per quale motivo sia scappato» osservò Franco, passandosi una mano sul testone calvo. «Sembrava così docile!» «C’è un’altra cosa, capo» riprese Vittorio. «Sia il nostro comando NATO, sia i Servizi Segreti Europei stanno indagando per conto loro e vogliono capire cosa sta succedendo». «È vero. Pare che due elicotteri EH101 abbiano perlustrato a lungo la costa» gli fece eco Franco. «So leggere» rispose il comandante sfogliando il giornale. «Dobbiamo essere più prudenti. Qualcuno ha visto Alfa?» «No, nessuno. La padroncina del cane non ha riferito niente del genere al veterinario e neppure la giornalista che si trovava sul posto ha visto niente; altrimenti ne avrebbe certamente parlato nel suo articolo». «Ci sarebbe un altro problema» disse l’altro uomo. «Ancora?» rispose Brown, sconsolato. «Il fotoreporter. Sì, insomma, il collega della giornalista». «Beh?» «Forse ci ha fotografati… vicino alla vasca dove hanno ricoverato il delfino». «Assicuratevene e cercate anche di capire bene cosa ha visto effettivamente la bambina» fece una lunga pausa, poi disse: «Dobbiamo agire con prudenza! Se il nostro comando avrà dei sospetti dovremo evacuare in fretta tutta la sezione del Metamorfer… Andate ora». I due uomini in nero annuirono e uscirono dalla stanza, a testa bassa. 107 booktrailer
Pellegrino De Rosa CAP. 20
Eva e Leo trovarono il veterinario al suo posto di lavoro, malgrado fosse malconcio e piuttosto abbacchiato. Il poveretto aveva voluto riprendere subito il lavoro, nonostante il parere contrario dei medici, perché, da quando sua moglie lo aveva lasciato - tre anni due mesi e undici giorni prima - per andare a vivere insieme alla loro cameriera thailandese, quello di curare gli animali era diventato l’unico scopo della sua vita. Anche la montatura dei suoi occhiali aveva avuto la peggio e, come lui, era stata risistemata alla meglio maniera. L’aveva riparata lui stesso, fasciandola con un po’ di sparadrappo sul nasello e a una stanghetta nel complesso risultava piuttosto asimmetrica e gli conferiva un’aria surreale. Il vetro dell’armadio dei medicinali era rotto e alcuni frammenti, sfuggiti a una sommaria spazzata, luccicavano dal pavimento. E un armadio più vecchio era appoggiato a terra, di sbieco. «Le hanno fatto molto male?» gli chiese Eva, scrutando il grosso livido che gli circondava l’occhio destro e le due dita fasciate della mano sinistra. «Hanno fatto del loro meglio» annuì il dottore, con voce tremante. Aveva gli occhi sbarrati dal terrore che ancora lo assaliva al pensiero di quello che gli era accaduto il giorno precedente. Il cuore cominciò a battergli più forte e sentì che le tempie gli pulsavano a un ritmo accelerato. Spaventato, si appoggiò al tavolo e si lasciò cadere sulla sedia, scivolando come un budino troppo liquido, con il volto più pallido di un lenzuolo. Eva, notando lo stato di profonda apprensione in cui versava, gli offrì una caramella, senza dirgli che era senza zucchero. Il dottore la accettò con gratitudine ma, con le mani che gli tremavano, ebbe qualche difficoltà a infilarsela in bocca: «Gra… grazie» farfugliò, alla fine. «Sa chi erano e cosa volevano da lei?» gli domandò Leo. «Non li avevo mai visti prima. Erano entrambi vestiti di nero e avevano uno strano odore, come di incenso. Quello più grosso era pelato e aveva una vecchia cicatrice su una guancia; mi ha 108 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
afferrato per il bavero e poi mi ha sbattuto a terra. Quello mingherlino, che sorrideva sempre, stava invece a guardare senza parlare». Infine si tolse gli occhiali che si erano allentati e gli erano scesi sulla punta del naso e fissò Eva negli occhi: «Voi li conoscete? Sapete perché mi hanno fatto tutte quelle domande?» Eva e Leo si scambiarono uno sguardo preoccupato. «No, non sappiamo chi siano» rispose Leo, appoggiandosi pensieroso al tavolo. La descrizione dei due aggressori sembrava corrispondere ai due tipi sospetti che avevano visto la sera prima alla vasca del delfino. Prese la fotocamera digitale, che portava a tracolla, e premette il tasto “rewind”. Cercò la foto che aveva scattato ai due tipi e la mostrò al dottore. «Sì. Sì. Sono proprio loro!» sobbalzò il veterinario. «Dobbiamo dirlo ai carabinieri». «Glielo diremo noi» lo rassicurò Leo. «Piuttosto… perché ci ha domandato se li conosciamo?» «Perché hanno chiesto del cane, di come si era bruciacchiato, della ragazzina e anche della giornalista: lei è giornalista?» fece, guardando Eva con aria interrogativa. «Sì. Mi racconta precisamente com’è andata?» «L’ho detto anche ai carabinieri: hanno aspettato che andasse via l’ultima cliente, quella col pappagallo, e poi mi hanno picchiato, senza chiedermi niente. “Perché mi picchiate?” gli ho chiesto. “Così capisci che facciamo sul serio e non perdiamo altro tempo” mi hanno risposto». «Spiritosi» commentò Leo. «Mi hanno chiesto chi o che cosa aveva provocato quelle scottature al Terranova. Io gli ho risposto che non ne avevamo la benché minima idea. Allora mi hanno domandato se la ragazzina, sua madre o la giornalista avevano visto qualcosa di strano sulla spiaggia; io gli ho risposto che non mi avevate riferito niente in proposito». «E, infatti, è proprio così» confermò Eva. «Hanno fatto intendere cosa avremmo dovuto vedere?» «No. Hanno voluto che aprissi il data-base delle visite e hanno preso l’indirizzo della proprietaria del cane. Poi il piccolino, quello che rideva come una iena, ha estratto la pistola e me l’ha puntata alla fronte. Per fortuna, proprio in quell’attimo c’è stata una scossa di terremoto...» 109 booktrailer
Pellegrino De Rosa
«Eva, sarà stato quando eravamo a casa tua» disse Leo, pensando che - quindi - gli uomini che aveva visto aggirarsi sulla spiaggia, dal terrazzo di Eva, non potevano essere gli aggressori del veterinario. «Penso di sì» rispose Eva. «Tremava tutto. Io - non so come - ho buttato a terra quel vecchio armadio» spiegò il veterinario, indicando un antico mobile crivellato dalle tarme e con gli assi sbilenchi, «e sono riuscito a scappare via... sono uscito fuori e mi sono nascosto nel parco». «A volte le scosse sismiche possono essere provvidenziali, quasi una mano del destino» disse Leo, guardando Eva negli occhi mentre sottolineava “mano”. «Comunque, dottore, se lo faccia dire, lei ha avuto proprio un bel sedere» aggiunse, continuando a spiare le reazioni di Eva mentre sottolineava la parola “sedere”. Ma nulla trapelava dallo sguardo serio della ragazza. Infine, si chinò a guardare il vecchio armadio e notò un’incisione su un lato. «Che coincidenza! È proprio questo!» esclamò ad alta voce. «Questo... cosa?» chiese Eva. «È uno degli armadi che si trovava nello studio del mio vecchio professore di genetica» spiegò. Poi si rivolse al veterinario: «Vede, dottore, per anni ho studiato in questa facoltà e qua dentro, una volta, c’era lo studio di un mio docente. Ci venivo spesso…» Eva gli fece segno di non perdersi in chiacchiere inutili. «La posso aiutare a rimetterlo in piedi?» chiese allora Leo. Il veterinario scosse la testa. «No, no. Non si reggerebbe: ha un piede rotto. Ho già chiamato l’artigiano che dovrà rimetterlo in sesto» rispose, rialzandosi per andarsi a versare un bicchiere d’acqua dal rubinetto dietro di lui. Eva afferrò Leo per un braccio e gli sussurrò, seria, all’orecchio: «Leo, hai pensato che la ragazzina potrebbe essere in pericolo?» Leo si rabbuiò: «Dottore, ci potrebbe dare l’indirizzo della proprietaria del cane, per favore?» Il veterinario accese il computer e stampò, docile, l’indirizzo richiesto, e disse: «State attenti. Forse verranno a cercare anche voi!» Emise un rumoroso respiro, come per prendere coraggio e, cercando di assumere l’espressione più intelligente che poté, chiese: «Sentite, io ho risposto a tutte le vostre domande, ma ora ditemi chi siete veramente e che cosa sta succedendo». Leo assunse un’espressione simile a quella che aveva visto in alcuni film di James Bond; aggrottò le sopracciglia e, storcendo la bocca, 110 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
come se fosse stato costretto a rivelare, suo malgrado, un importante segreto, disse con voce grave: «Le posso solo dire che sono coinvolti i militari e i servizi segreti». Poi avvicinò un dito al naso, e gli fece segno di mantenere il segreto. «Ah…» rispose il veterinario, guardando Eva con un sorriso. In realtà l’aveva sospettato fin dal primo momento che l’aveva vista: una donna così bella non poteva che essere o una modella o una spia! Per un attimo si sentì vivo come non mai. Eva prese un suo bigliettino da visita dalla borsetta e glielo porse: «Se dovesse venirle in mente qualche altro particolare, non esiti a chiamarmi!» Il dottore prese il biglietto e lo ripose con cura nel portafoglio, come una reliquia; non si sarebbe mai sognato di avere un giorno il numero di telefono personale di una ragazza così carina e che, per di più, era anche una spia. Leo si alzò e si diresse verso la porta. Poi con studiata lentezza si girò e portò il dito indice davanti alla bocca: «Shhhhhhh…» si raccomandò. Il veterinario annuì, con aria complice. Eva gli schioccò un bacio sulla fronte e si allontanò ancheggiando, seguita dal suo sguardo ammaliato. Uscendo, fece un occhiolino d’intesa a Leo, che dovette trattenersi per non scoppiare a ridere.
111 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin. CAP. 24
Raf emerse dal mare nero come la pece e tirò in secca sulla spiaggia lo scooter subacqueo a forma di siluro. Nella notte risultava pressoché invisibile, nonostante la luna piena splendesse alta nel cielo punteggiato di stelle. Indossava una muta nera come l’inchiostro, senza inserti o scritte più chiare che potessero farne rilevare la presenza. Era andato a prendere lo scooter, insieme a tutto ciò che gli era necessario, al suo nascondiglio segreto, dove, anni prima, aveva raccolto tutta l’attrezzatura avuta in dotazione dai Servizi Segreti Europei e tutto il materiale che era riuscito a trafugare dalla vecchia base NATO. Per fortuna, la caverna subacquea, protetta da una solida porta in acciaio, mimetizzata da un finto masso in vetroresina, non era stata violata e tutto era rimasto come l’aveva lasciato anni addietro, in attesa che potesse essergli utile. E quel momento era arrivato. Finalmente. L’affusolato mezzo subacqueo poteva raggiungere i 100 metri di profondità e le speciali batterie di cui era dotato gli conferivano una notevole autonomia; cosa, questa, che gli avrebbe consentito anche di effettuare le lunghe compensazioni necessarie durante le risalite da grandi profondità. Indossava un autorespiratore C.C.R. (Closed Circuit Rebreather) che, eliminando per via chimica l’anidride carbonica prodotta dal suo metabolismo e introducendo al suo posto l’ossigeno consumato, gli conferiva il duplice vantaggio di poter disporre di una autonomia piuttosto prolungata e di non emettere le fastidiose bollicine d’aria che avrebbero potuto farlo individuare quando era in immersione. Si allentò la maschera subacquea e la abbassò attorno al collo. Sganciò i cingoli delle pinne e rimase con i soli calzari. La luce della luna piena riverberò per un istante sul vetro della sua maschera subacquea. Sganciò la potente torcia a led dalla cintura e si avvicinò allo scoglio della sirenetta cercando qualcosa nell’incavatura sotto la pinna della statua, ma non trovò niente. «Dannazione» imprecò. «Eppure, secondo le indicazioni, doveva essere qui sotto!» 131 booktrailer
Pellegrino De Rosa
Girò attorno al basamento della scultura e si abbassò per vedere meglio, ma non riuscì a trovare quello che cercava. Tornò allora allo scooter ed estrasse un piccolo rilevatore dal vano superiore. Premette un tasto e un led rosso prese a lampeggiare. “Questo è il posto dove è stato aggredito quel cane” disse tra sé. “Se è caduto qui, il rilevatore dovrebbe segnalarlo”. Batté metodicamente la spiaggia circostante e il tratto di mare antistante sollevando, per la fretta, alti schizzi di acqua. “Niente” imprecò tra sé, “qui non c’è un cazzo di niente!”. Scosse la testa e guardò verso la casa di Eva, all’altro lato della spiaggia: le luci erano ancora accese. “Chissà che quella giornalista non sappia più di quello che ha scritto” si chiese. Si risistemò le pinne e la maschera, spinse lo scooter in acqua e si lasciò tirare, mantenendosi radente alla superficie. Il mare era calmo e piatto e lontano splendevano le luci di Napoli. Girò leggermente a destra e si diresse verso le poderose mura squadrate di Castel dell’Ovo. Quando giunse alla gabbia galleggiante del delfino ferito era quasi del tutto privo di forze: i gomiti gli lanciavano pungenti lampi, simili a piccole scosse elettriche, e tra le scapole gli sembrava di avere un intero formicaio in sommossa. Era evidente che gli anni vissuti da barbone lo avevano arrugginito più di quanto si fosse reso conto. Spense lo scooter, lasciandolo galleggiare appena sotto il pelo dell’acqua, e lo assicurò alla gabbia tramite un moschettone. Poi si stiracchiò e si appoggiò al bordo del recinto galleggiante per riprendere fiato. I faretti posti agli angoli della struttura erano spenti ma la luce proveniente dai lampioni della strada e dai fari che illuminavano le mura di Castel dell’Ovo rischiaravano alcuni tratti della gabbia. Raf ci girò attorno e si portò sul lato più buio. Attraverso il vetro della maschera subacquea scorse, al di là del recinto, il grosso delfino che ondeggiava, cullato dal movimento delle onde. Aveva un flipper orizzontale e l’altro abbassato: stava dormendo o, meglio, era in dormiveglia. Dal vano posto sopra lo scooter estrasse un aggeggio grigio chiaro, somigliante a un joystick per videogame, dotato di un microfono nella parte superiore e di un mini-altoparlante nella parte anteriore; lo portò alle labbra e vi sussurrò dentro: «Ehi tu. Sveglia. Sei in pericolo!» 132 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
Il joystick emise un crepitio di fischi e click come i versi prodotti dai delfini. Il delfino ebbe un sussulto e dispose entrambi i flipper in orizzontale: era il segnale che si era svegliato! Il simpatico cetaceo emise uno sbuffo d’acqua dallo sfiatatoio sopra la testa e rispose nel suo linguaggio, emettendo il caratteristico verso. Raf esultò: quell’aggeggio funzionava davvero! E chissà cosa gli aveva risposto! Premette un altro tasto e il joystick tradusse: «Mangiare. Aringa. Aringa». «Non ho aringhe con me» rispose Raf, mentre il joystick traduceva quello che lui diceva. «Sei in pericolo. Quelli che ti hanno sparato, ti verranno a prendere e completeranno il lavoro». Le ferite erano state medicate nel migliore dei modi e il delfino pareva essere in perfetta forma. «Non capisco!» Raf comprese che doveva usare espressioni e periodi meno elaborati: «Pericolo. Nemici verranno. Tu morire». «Fuggire! Fuggire!» rispose il delfino cominciando a nuotare in circolo, in preda all’agitazione. Raf si portò nei pressi del meccanismo di apertura della vasca e continuò: «Io libero te. Tu conducimi da Alfa». Il delfino scosse la testa a sinistra e a destra, dubbioso. «Password!» crepitò. «La password? Quale password?» rispose Raf, confuso, chiedendosi quale potesse essere questa cavolo di password. Ripensò ai colloqui avuti con il prof. Pedro, ma non ricordava che gli avesse mai parlato di eventuali password; né aveva trovato alcun riferimento a password nei documenti presenti nella pen drive che gli aveva passato prima di essere preso. Aveva spulciato tutti i file che conteneva, aveva letto decine e decine di volte la teoria che stava alla base della costruzione del Metamorfer, alcuni particolari tecnici per la sua realizzazione e il luogo dell’appuntamento (ovvero la statua della sirenetta) in caso di fallimento della fuga - come poi in effetti era capitato - ma, pur avendo studiato quei documenti fino all’esaurimento, non si era mai imbattuto in alcuna password - ne era più che sicuro. «Password... Password... Password... » continuava a ripetere il delfino. «Shhhhh! Stai zitto» gli trasmise Raf, temendo che i versi del cetaceo finissero per attirare l’attenzione di qualcuno. 133 booktrailer
Pellegrino De Rosa
Il delfino abbassò il tono, ma continuò a ripetere, come un bambino giocherellone: «Password - Password - Password…» Raf impugnò una pistola e, tenendola appena sopra il pelo dell’acqua, la puntò verso la testa del grosso animale. Se non collaborava sarebbe stato costretto a ucciderlo; non poteva certo permettere che venisse catturato e conducesse qualcun altro da Alfa. Chiaramente, sempre nell’ipotesi che quell’inquietante mutante anfibio fosse ancora vivo! Stava per premere il grilletto quando, all’ultimo istante, si ricordò di un particolare che lo aveva colpito durante l’ultimo incontro con il professore. “Provarci non costa niente” si disse. Portò nuovamente il joystick alla bocca e sussurrò: «Due patatine!» «Password giusta!» rispose il delfino, muovendo la testa dall’alto verso il basso, come talora Raf aveva visto fare ai suoi simili nei delfinari. Sganciò, allora, il meccanismo di apertura della vasca galleggiante e lasciò che il cetaceo scivolasse fuori dal recinto, attraverso la stretta apertura. «Seguimi!» crepitò. Raf gli si avvicinò, cercando di agganciargli un localizzatore satellitare. «Aspetta. Prima ti attacco questo». Il delfino ebbe un sobbalzo e si allontanò, insospettito. «Due patatine!» ripeté Raf. Il delfino annuì ripetutamente e si lasciò ag ganciare il localizzatore; poi fece uno scarto improvviso e si allontanò, immergendosi completamente nelle tiepide acque scure. Raf sganciò lo scooter subacqueo e seguì l’animale per qualche metro tenendosi sul pelo dell’acqua. Il rumore di un fuoribordo in avvicinamento attirò la sua attenzione. Si immerse, lesto, e spense lo scooter subacqueo. Dopo qualche istante risalì in superficie, sporgendo fuori dall’acqua solo con la parte superiore della maschera, appena quanto bastava affinché potesse vedere cosa stava accadendo. Un motoscafo color blu notte era passato a pochi metri da lui e aveva ormeggiato alla gabbia. Due dei quattro uomini che erano a bordo si erano lasciati scivolare nel recinto, un terzo era saltato sulla passerella accanto alla gabbia e l’ultimo era rimasto sul natante. Raf abbozzò una smorfia di trionfo. “Siete stati troppo lenti” disse tra sé. “Ma non vi preoccupate: vi prometto che ci rivedremo molto presto!”. 134 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
Si allontanò di alcuni metri pinneggiando sott’acqua, per evitare di accendere lo scooter. Poi, ritenendo di essersi portato abbastanza lontano da non essere udito e rimanendo sempre sott’acqua, mise in moto il mezzo subacqueo e, tenendo d’occhio il display del ricevitore GPS, si diresse verso il largo, dove trovò ad attenderlo il delfino che, confermando la sua intelligenza, si era tenuto prudentemente alla larga.
135 booktrailer
Pellegrino De Rosa CAP. 25
Il delfino saettava tra le onde fermandosi di tanto in tanto per aspettare Raf che seguiva la sua scia. Raf era piuttosto seccato. Aveva agito senza prendere le dovute precauzioni: se il cetaceo avesse deciso di andarsene, lui non avrebbe potuto farci più di tanto. Il delfino era molto più veloce di lui e avrebbe potuto seminarlo facilmente. Poteva, è vero, rilevare la sua posizione tramite il rilevatore satellitare - infatti, anche se si fosse inabissato, doveva pur sempre riemergere per respirare e, a quel punto, la costellazione di satelliti GPS ne avrebbe rilevata la posizione - ma quanto, poi, a raggiungerlo e a catturarlo sarebbe stata tutt’altra storia. In ogni modo, per sua fortuna, il delfino non pareva avere nessuna intenzione di scappare. Malgrado ciò, lo chiamò con il traduttore e gli si aggrappò alla pinna dorsale, così l’avrebbe tenuto sotto tiro e avrebbe anche risparmiato la batteria dello scooter d’acqua. Ormai stava albeggiando e lo spettacolo era di una bellezza tale da mozzare il fiato. Il chiarore del cielo si fondeva all’orizzonte con l’azzurro del mare, la cui superficie era interrotta dai riverberi, dorati e ondulanti, dei primi raggi di sole riflessi dalle sue acque trasparenti come cristalli. Si stavano dirigendo verso Sud, in direzione dell’isola di Capri. Sulla loro sinistra, a Est, si stagliava il profilo, bianco e verde, della Penisola Sorrentino-Amalfitana che, come un baluardo di roccia, separava il Golfo di Napoli da quello di Salerno. Quello in cui si trovava era uno dei tratti di costa più belli del mondo, ma Raf aveva ben altro a cui pensare. Doveva recuperare il chip del Metamorfer e scoprire dove si trovava la nuova base segreta. Inoltre, era curiosissimo di rivedere Alfa. Dopo alcuni minuti giunsero davanti alla costa di Capri. Il delfino si fermò nei pressi di una falesia calcarea a picco sul mare e cominciò a emettere i suoi caratteristici fischi e click. Raf si tolse la maschera e, tirato fuori il joystick-traduttore, ascoltò quanto gli stava “crepitando” il delfino: «Entrata sta sotto mare». 136 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
«Va bene, ti seguo. Senti… ce l’avrai pure un nome o no?» «Non capisco». Raf ricordò che doveva usare un registro linguistico più elementare: «Come ti chiami?» «Jo». «Io sono Raf». «Raf... Raf... Raf…» ripeté il delfino, annuendo. Poi si immerse insieme a lui. A pochi metri sotto la superficie dell’acqua si apriva l’ingresso di una grotta. Il cunicolo era buio ma abbastanza largo da far passare anche il grosso delfino. Raf assicurò un filo d’Arianna a una sporgenza della roccia, accese i due faretti del mezzo subacqueo e si lasciò trainare, procedendo a bassissima velocità. Aveva già esperienza di quegli ambienti e sapeva che potevano sollevarsi minutissime particelle di argilla che in pochi istanti potevano ridurre quasi a zero la visibilità. Le sue precauzioni si rivelarono però eccessive perché l’acqua rimase limpida e, di lì a poco, raggiunse senza intoppi lo sbocco del breve condotto. Si ritrovò in un laghetto di una grotta subacquea che, illuminata dai fari, si presentava ampia e ricca di concrezioni calcaree di ogni tipo. Estrasse un analizzatore di gas e, quando il led divenne verde, si tolse il boccaglio del respiratore. Il delfino prese a crepitare, ma non stava parlando con lui. Aveva appena tirato in secca lo scooter e acceso una torcia che una scarica elettrica, bluastra e accecante, saettò nell’aria ed esplose proprio davanti ai suoi piedi. Una voce grave e metallica, che pareva provenire dagli eterni abissi del tempo, rimbombò cupa nella grotta: «Fermati dove sei!» Raf non si perse d’animo. «Tu devi essere Alfa. Vedo che non hai perso il vizio di lanciarmi le tue scariche» rispose, ricordando l’episodio della fuga fallita, nove anni prima. Ruotò il fascio di luce in tutte le direzioni, illuminando varie zone della grotta, ma non riuscì a vedere l’anfibio. Il delfino crepitò di nuovo. «Jo dice che conosci la password. Avvicinati... verso la colonna alla tua destra, e fatti vedere in volto» disse la voce. Raf tirò all’indietro il cappuccio della muta e si scoprì il capo rasato. Fece qualche passo in direzione della voce e intravide una sagoma indistinta sdraiata su un fianco, ma non osò illuminarla; anzi rivolse la torcia verso il proprio volto, per farsi riconoscere. 137 booktrailer
Pellegrino De Rosa
«Sì. Tu devi essere Raf. Molto invecchiato e senza capelli. Ma il tuo aspetto è compatibile con l’immagine mentale che ho di te. Inoltre, ho percepito il tuo ricordo del nostro tentativo di fuga fallito». “Cosa?”, pensò meravigliato Raf, “Che significa ‘Ho percepito’? Questo scherzo della natura riesce forse a leggermi il pensiero?”. «Più o meno» si sentì rispondere. «La mente di voi umani in realtà non è molto chiara e, quando non sto in perfetta forma, la percepisco come una radio fuori sintonia che emette un fastidioso ronzio di fondo e che, di tanto in tanto, sovrappone varie trasmissioni. Avverto, però, che il tuo odio per i miei aguzzini è enorme e sincero. Non temere, adesso mi puoi illuminare...» Raf girò la torcia verso Alfa e quello che vide gli procurò una certa agitazione. Nonostante l’avesse già osservato da piccolo, seppure solo di sfuggita, e avesse già una vaga idea del suo inquietante aspetto, rimase ugualmente sorpreso. A stupirlo furono innanzitutto le dimensioni. Secondo i suoi calcoli Alfa non doveva avere più di 11 anni, poiché ne aveva circa due al momento del tentativo di fuga, avvenuto nove anni prima. Ma l’essere che ora vedeva davanti a sé aveva l’aspetto di un adulto. Doveva essere alto oltre un metro e novanta e aveva un fisico decisamente robusto, anche se piuttosto diverso da quello degli esseri umani. «Pare che la mia specie abbia un indice di accrescimento superiore alla vostra...» spiegò Alfa, che ne aveva percepito i pensieri. Era completamente nudo e sul suo corpo non si scorgevano organi genitali. All’inguine e all’altezza dei capezzoli erano presenti solo delle sottili incisioni, simili a piccole labbra serrate: sembravano più tatuaggi che vere fessure e avevano una certa somiglianza con quelle, analoghe, presenti sul corpo dei delfini. La pelle, che a una prima osservazione avrebbe potuto essere confusa con una muta subacquea, era tesa e liscia e lasciava intuire uno spesso strato di grasso sottocutaneo, presumibilmente con funzioni di isolante termico. Era di un colore grigio azzurrognolo come quella dei delfini e, come quella, non presentava né peli né squame. Anche la testa aveva qualcosa di inumano; le mandibole erano più sviluppate di quelle umane e il cranio era dolicomorfo, cioè esageratamente allungato alla sommità posteriore. Raf aveva visto crani simili in alcune raffigurazioni di faraoni dell’antico Egitto e nelle foto di alcune loro mummie. Sapeva, inoltre, che crani analoghi erano stati rinvenuti in altre parti del mondo, come 138 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
in Perù, a Malta, nel Centro America e nell’Europa medioevale dei Sassoni, e che erano associati a misteriosi culti di esseri semidivini. Non era esperto né di paleontologia né di antropologia ma aveva qualche conoscenza di biologia, e immaginò che, nel caso di Alfa, quella particolare conformazione del cranio dovesse avere la stessa funzione del “melone”, il rigonfiamento frontale dei delfini - era perciò probabile che fungesse da organo di ecolocalizzazione tramite ultrasuoni. «Esatto!» rispose Alfa. «Mi dà un po’ fastidio questa storia che leggi i miei pensieri». «Non posso farci niente» ribatté Alfa. «Sì, ma se leggi nella mente, perché nove anni fa mi lanciasti quella cazzo di scarica?» «Ero piccolo, non ricordo. Forse avevo percepito che eri molto aggressivo e mi sono sentito in pericolo». «Ma la mia aggressività non era rivolta verso di te». «Ti ho già risposto: ero piccolo. I vostri piccoli non fanno fesserie?» «Se è per questo, le facciamo anche noi grandi» Raf continuò a osservare la conformazione fisica di Alfa. Neppure quando era piccolo aveva mai potuto osservarlo con attenzione. Notò che aveva i piedi più grandi di quelli di un uomo, con le dita unite da membrane, e che i suoi avambracci erano muniti di due slargature estensibili verso l’esterno, che potevano aprirsi a ventaglio, come le ali dei pipistrelli, e che dovevano servire durante il nuoto. La schiena, leggermente arcuata, presentava un rigonfiamento lungo la colonna vertebrale simile a quello delle imbottiture di protezione delle giubbe dei motociclisti, la zona lombare era molto più allungata di quella degli esseri umani e il ventre si presentava piatto e muscoloso. «Hai dimenticato di osservare la differenza principale: guarda qua e qua» disse indicando le feritoie poste appena avanti alle clavicole e quelle, laterali, poste appena sotto le costole, in numero di cinque per lato. «Sono delle branchie. Come già sai, io sono un anfibio!» disse chiudendo le narici. Mentre lo guardava, Raf si accorse che Alfa aveva le pupille di un colore blu fosforescente come quelle di alcuni pesci degli abissi. Inoltre, gli occhi erano protetti da una terza palpebra, una palpebra nitidante, verticale e interna e simile a quella degli alligatori, che forse aveva anche la funzione di proteggergli gli occhi dalla luce solare o dalle alte pressioni delle profondità marine. 139 booktrailer
Pellegrino De Rosa
«Adesso che hai finito l’esame mi dici perché sei qui?» gli chiese Alfa. «Leggilo da solo». Alfa, per tutta risposta, lanciò un grido cupo e tenebroso: «Aaargh!». Raf temette che stesse per attaccarlo, ma si sbagliava: Alfa si era afflosciato a terra e non dava segni di vita. Dopo alcuni minuti avvenne qualcosa di incredibile: il corpo del mutante cominciò a illuminarsi a strisce orizzontali - alcune rosse, altre blu e altre di un bianco accecante - e presero a scorrere dalla testa ai piedi come le scritte luminose delle tabelle pubblicitarie. Raf aveva visto qualcosa del genere solo in una occasione, quando durante un’immersione in un atollo tropicale, aveva osservato due seppie giganti affrontarsi in una strana danza, non aveva compreso bene se per combattersi o per accoppiarsi. Istintivamente, toccò la fronte di Alfa e si accorse che scottava in una maniera incredibile. “Ha la febbre” pensò, “dove lo trovo qualcuno che sia in grado di curarlo? Se lo prendono lo porteranno in qualche laboratorio e lo faranno a pezzetti per analizzarlo e clonarlo. Forse, addirittura, lo tortureranno per estorcergli qualche informazione”. Con la torcia a led illuminò il pavimento della grotta per controllare se Alfa avesse il chip con sé, ma non trovò nulla. Allora tornò allo scooter, prese il rilevatore e ispezionò l’intero ambiente. «Qui non c’è nulla... c’era da aspettarselo; l’avrà nascosto in qualche posto sicuro» sbottò, infine, ad alta voce. Si infilò le pinne e la maschera e rimise in acqua lo scooter. Prese il traduttore e disse al delfino: «Io prendere medicine. Tu proteggi Alfa». Il delfino annuì sbattendo il muso sull’acqua. Raf si immerse, pensoso. Non sapeva a chi rivolgersi per chiedere aiuto; ma di una cosa era certa: era di vitale importanza che l’esistenza di Alfa non fosse resa nota alle autorità.
140 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin. CAP. 26
Raf, appena uscito dal cunicolo subacqueo, emerse in superficie e si girò verso la costa per osservare e memorizzare bene il posto. Come riferimento prese una spaccatura della falesia che indicava, quasi come una freccia, l’ingresso subacqueo. Notò, inoltre, che alla sommità dello strapiombo calcareo, di un bianco accecante, vi erano alcune piante di agave di notevoli dimensioni; le loro foglie, lunghe, carnose e a forma di spada, erano di un verde ceruleo, quasi grigio, con un aculeo scuro all’estremità. Alla loro destra c’erano, poi, degli arbusti di erica arborea e alla sinistra alcuni cespugli di ginestra. Infine, premette un pulsante sul GPS per memorizzare la posizione, in modo da poter raggiungere il luogo anche di notte o in condizioni di cattiva visibilità. L’aver rivisto Alfa lo aveva turbato profondamente: aveva appena finito di parlare con una creatura intelligente, forse più intelligente di lui, che di umano sembrava avere ben poco. Era un essere creato dall’uomo. Anzi - per essere precisi - non creato dal nulla, ma ottenuto da un embrione umano grazie a una mutazione indotta da una forza quasi mistica e la cui esistenza non sarebbe stata facilmente accettata dalla scienza ortodossa. Eppure Alfa esisteva: l’aveva appena visto e ci aveva appena parlato. La sua presenza valeva più di mille teorie e gli scienziati avrebbero dovuto rivedere in fretta le loro posizioni! Ripensò al prof. Pedro e si chiese chi fosse veramente! Di sicuro non una persona normale, visto che aveva intuito l’esistenza della forza induttrice dell’evoluzione, non seguendo gli arzigogolati ragionamenti degli evoluzionisti e degli anti-evoluzionisti, ma attraverso la semplice osservazione degli animali mimetici; in particolare degli insetti-foglia. Il collegamento, poi, che il professore aveva fatto con il mondo delle idee di Platone, o Iperuranio, lo affascinava e stava a dimostrare, se ce n’era bisogno, che la filosofia si trova a un gradino superiore rispetto alla scienza ufficiale. La cosa più importante per Raf era, però, che finalmente poteva avere la sua vendetta e, per fare questo, doveva trovare subito il modo di curare Alfa; non poteva certo permettere che morisse senza 141 booktrailer
Pellegrino De Rosa
rivelargli dove si trovavano la nuova base e quell’orango pelato del comandante Brown. Troppe notti aveva sognato di ammazzarlo con le proprie mani e non poteva permettersi di perdere nuovamente le sue tracce. Non sapeva, tuttavia, a chi potesse chiedere aiuto. Di certo non poteva rivolgersi né agli ospedali né alle forze di polizia; e neppure poteva chiedere aiuto ai Servizi Segreti Europei l’organizzazione di cui un tempo aveva fatto parte ma che lo aveva prima creduto colpevole di omicidio e poi ritenuto morto. Tuttavia, doveva trovare una soluzione e doveva trovarla in fretta. Regolò la galleggiabilità dello scooter subacqueo portandolo più in superficie, in modo da procedere più speditamente, e si diresse a Nord, verso il porto di Napoli, seguendo la rotta sul GPS. Cominciava ad accusare molta stanchezza e sentiva le braccia sempre più indolenzite. Lo scooter d’acqua non era certo il veicolo ideale per compiere lunghi tragitti ma lui aveva scelto quel mezzo perché non aveva alcuna idea di dove si sarebbe dovuto recare e quello era, senza dubbio, il congegno più versatile soprattutto in ambiente subacqueo. Viaggiando in superficie riuscì a riscaldarsi un poco ai raggi del sole, che ormai era piuttosto alto nel cielo. Davanti a sé, in lontananza, vide tre ragazzi su altrettante moto d’acqua che sfrecciavano sulla superficie del mare girando, come pescecani, attorno a un motoscafo cabinato. Raf si immerse e proseguì verso l’imbarcazione, badando a non farsi notare. Non voleva immischiarsi in faccende che non lo riguardavano ma doveva capire se quelle persone avessero qualcosa a che fare con Alfa. In caso negativo, avrebbe tirato dritto per la sua strada. Il motoscafo era ancorato alla fonda ed esponeva il pallone nero che segnalava l’ormeggio. Uno dei ragazzi in moto si accostò all’imbarcazione e saltò a bordo, estrasse un coltello da sub e lo puntò verso un ragazzo alto, magro e dalla pelle pallidissima. «Dacci mille euro e ti lasciamo in pace» urlò. «Non ho mille euro con me». «E allora ci divertiremo un po’ con la tua amica» minacciò il ragazzo col coltello. Fece segno ai suoi compari di salire anch’essi sul ponte dell’imbarcazione ed entrò nella cabina del motoscafo per aggredire 142 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
una ragazza che, spaventata, stava cercando di chiedere aiuto chiamando il 15.30. Raf girò lo scooter d’acqua per andare via, ma l’urlo terrorizzato della ragazza lo costrinse a girarsi verso il ponte del motoscafo. Uno degli aggressori aveva immobilizzato la giovane donna, che era in topless, gli aveva piegato un braccio dietro le spalle e la stava spingendo sulla tolda dell’imbarcazione. Raf osservò il viso impaurito della giovinetta e fu colto da un tuffo al cuore: la ragazza aveva il corpo di cerbiatta, la pelle scura e gli occhi impauriti di Bea - la donna che aveva tanto amato e che non aveva mai dimenticato. Prese la sua decisione in un attimo. Spense lo scooter e lo fissò a una sagola che sporgeva dal motoscafo. Aprì il cassetto superiore del mezzo e ne estrasse un’arma corta e tozza. Scivolò a bordo, dal lato di prua, e si portò silenziosamente a poppa. Poi balzò sul ponte e batté con l’arma sul tientibene metallico, facendolo risuonare come una campana, per richiamare l’attenzione dei tre balordi. I ragazzi si girarono, sorpresi, verso di lui. «E tu chi cazzo sei... 007? Che cazzo vuoi?» urlò quello più vicino a lui. Raf si tolse il cappuccio della muta e lo guardò fisso negli occhi: «Lasciatela stare e andatevene» gli intimò. «E se no?» chiese quello che doveva essere il capo e che ancora stringeva il braccio della ragazza. «Se no dovrò usare il “persuasore”» rispose Raf, con un sorriso beffardo. Il giovane si girò verso gli altri due e scoppiò in una fragorosa risata. «Avete sentito ragazzi? “James Bond” ci vuole ipnotizzare!» Poi, con voce alterata, ordinò: «Sotto. Dategli una bella lezione, a questo vecchio!» Raf allora tirò fuori il braccio che aveva celato dietro la schiena, puntò la tozza arma contro una delle moto e premette il grilletto. Una granata colpì il serbatoio che esplose, sparando in aria il sedile e facendogli compiere un volo di una ventina di metri. La moto accanto, investita dalla potenza dell’esplosione, si capovolse. «Scappiamo, questo scemo è pazzo» gridò uno dei tre delinquenti, saltando in acqua, prontamente imitato dagli altri due. In preda all’agitazione, i tre balordi balzarono sulle due moto rimaste e si allontanarono fendendo le onde. 143 booktrailer
Pellegrino De Rosa
La cerbiatta si coprì il giovane seno con il costume e corse incontro al suo ragazzo, lo abbracciò e scoppiò in un pianto liberatorio. Il ragazzo, che la paura aveva reso ancora più pallido, si avvicinò a Raf porgendogli la mano. «Io mi chiamo Antonio» disse. «Grazie. Siete stato un galantuomo; non lo scorderò. Che posso fare per voi?» Raf lo guardò con un’espressione di sufficienza. Si avvicinò alla ragazza di colore e notò che la sua somiglianza con Bea era realmente impressionante. Le diede un pizzicotto affettuoso sulla guancia e rispose: «Beh, se tornate a riva accetterei volentieri un passaggio, sto in acqua da un bel po’ di tempo» Tirarono a bordo lo scooter subacqueo e diressero l’imbarcazione verso la costa. A circa mezzo miglio dalla spiaggia Raf salutò e tornò a riva con il suo scooter. Si sedette su uno scoglio e si girò a guardare verso il motoscafo; un lampo di luce indicava che qualcuno lo stava osservando con un binocolo. Staccò il mirino dall’arma custodita nel comparto dello scooter e lo puntò verso l’imbarcazione, usandolo alla stregua di un cannocchiale: la ragazza lo stava osservando con il suo binocolo e lo salutava agitando una mano, mentre il ragazzo le cingeva la vita con un braccio e parlava al cellulare. Raf si mordicchiò il labbro inferiore fino a farsi male. Era contento di aver tolto dai guai quella cerbiatta che somigliava così tanto alla sua Bea. Ma, invece di farlo sentire un po’ meglio, quell’incontro aveva reso ancora più acuto e insopportabile il suo dolore. Un lampo omicida gli attraversò gli occhi di ghiaccio. Sapeva benissimo che non c’era che un modo per venirne fuori!
144 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin. CAP. 27
«C’è un sospeso?» domandò, strascicando le “s” un vecchio signore, infilando il volto incartapecorito attraverso la porta del bar. L’anziano indossava una giacca piuttosto pesante, nonostante il caldo, con le maniche consunte all’altezza dei gomiti. Le scarpe non se la passavano meglio e neppure i pantaloni, nei quali ballonzolavano magre e ossute gambette, alquanto arcuate. Aveva il volto smunto, coperto da una candida barba lunga di alcuni giorni. Sulla spalla destra sporgeva la deformità di una piccola gobba, e la schiena era piegata quasi a novanta gradi, come se al vecchietto fosse caduto qualcosa a terra e stesse scrutando il pavimento per ritrovarla. Il barista, un ometto magrolino e scattante che indossava una divisa bianca e un papillon, nero come il pantalone, sorrise affabilmente e versò la fragrante miscela di caffè arabica nel filtro della macchina per l’espresso. «Venite, venite, don Gennarì. Ci sta, il sospeso... per voi ci sta». Raf, che stava gustando una sfogliatella, seduto sullo sgabello davanti al bancone, rivolse uno sguardo interrogativo al barman: «Che cos’è questo sospeso?» Una voce, calma e profonda, rispose alle sue spalle: «È un’usanza della vecchia Napoli, che molti giovani non rispettano più». Raf guardò la persona che aveva parlato nello specchio dietro il bancone. L’uomo portava a un dito un grosso anello d’oro con incastonata una gemma rossa di dimensioni ragguardevoli - sembrava l’anello di un vescovo. Due massicce catene d’oro gli ricadevano sul petto villoso, lasciato parzialmente scoperto dalla candida camicia sbottonata, e i folti baffi, spruzzati di grigio, gli conferivano un’aria severa che contrastava con quella degli occhi - grandi, tondi e mansueti - simili a quelli di un docile bue al pascolo. L’uomo era accompagnato da due giovani, elegantemente vestiti, che si tennero a rispettosa distanza. «Don Salvatò, buongiorno» salutò il barista, accennando a un inchino. «Cosa gradite?» «Buon giorno. Un babà e un caffè». Poi l’uomo si sedette accanto a Raf e continuò: «Quando un galantuomo prende un caffè, ne lascia pagato anche un altro, a 145 booktrailer
Pellegrino De Rosa
beneficio di qualche “poveriello” che lo desidera e non se lo può pagare. Questo è il caffè sospeso». «Ah...» «Io sto qua per ringraziarvi. Sono il papà di Antonio: il ragazzo che voi avete avuto la bontà di togliere dai guai stamattina» spiegò don Salvatore, porgendogli cerimoniosamente la mano. Raf ricambiò la stretta e don Salvatore enfatizzò il gesto portando in avanti anche l’altra mano e tenendo quella di Raf stretta a conchiglia fra le sue. «Ah, il ragazzo sul motoscafo…» rammentò Raf. «Come avete fatto a trovarmi?» Don Salvatore afferrò il babà con due dita e lo ingoiò in un sol boccone, lanciò uno sguardo rassegnato al barista - che rispose sollevando un sopracciglio - e porse a Raf uno dei suoi vistosi bigliettini da visita, che - se li aveva pagati - dovevano essergli costati almeno una decina di euro al pezzo. «Avete chiesto... come ho fatto a trovarvi... qui, a Napoli?» chiese, con un profondo sospiro di sufficienza. Avvicinò a sé la tazzina di caffè e vi versò un solo cucchiaino di zucchero di canna. Poi lo girò lentamente, prima in senso orario e poi in senso antiorario. Alzò la tazzina fino al naso per aspirarne l’aroma e, infine, lo sorseggiò trattenendolo in bocca per il tempo sufficiente a che le papille gustative ne cogliessero tutte le morbide sfumature del gusto. A Raf era sembrato di assistere a un rito zen come quello, giapponese, della cerimonia del the. Don Salvatore ignorò la domanda di Raf alla quale riteneva, evidentemente, di aver già risposto col il profondo sospiro di prima, e con aria solenne, puntando i suoi occhi calmi dritto nelle pupille di Raf, proclamò: «Dottò, io vi sono debitore. Comandatemi pure quando volete e per qualsiasi cosa». «Forse lo farò» rispose Raf, sostenendo con sicurezza lo sguardo del boss. «Ai vostri comandi» rispose l’uomo, battendogli una mano sulla spalla, in segno di gratitudine. Lasciò una banconota sul bancone e disse: «Offro io». Il barista restituì prontamente i soldi e si affrettò a ribattere: «Offre la casa! Buon giorno, don Salvatò!» Don Salvatore abbozzò un lieve sorriso e uscì dal bar seguito dai suoi due guardaspalle. 146 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
Gennarino, il vecchietto che aveva atteso con pazienza il suo “sospeso”, prese la tazzina del caffè tra le mani e disse, con la voce fischiettante per la mancanza di alcuni denti: «Sono mancino: voglio la tazza con la manica a sinistra!» Il barista lo fulminò con uno sguardo fintamente torvo. Gennarino si affrettò a ruotare la tazzina, portando la manica sul lato sinistro, e prese a sorseggiare il caffè con aria da intenditore. Alla fine emise uno schiocco soddisfatto. Salutò e andò via, con la schiena un poco più dritta e il passo un po’ più svelto. «È una famosa gag di Totò, il grande comico napoletano» spiegò il barista. «Don Gennarino ha fatto questa esibizione per ringraziarmi, a modo suo, del caffè che gli è stato offerto». Raf annuì, facendo intendere che l’aveva già capito, poi ordinò un whisky e si sedette a un tavolo del bar. Aveva lasciato Alfa privo di sensi in una grotta di Capri e doveva trovare, abbastanza in fretta, qualcuno che fosse sufficientemente discreto e ferrato in medicina da riuscire a rimetterlo in sesto. Continuava a chiedersi a chi avrebbe potuto rivolgersi, ma non trovava nessuna soluzione convincente. Appoggiò il bigliettino da visita di don Salvatore accanto al bicchiere e lo contemplò a lungo. Doveva ponderare attentamente la cosa; se Alfa finiva nelle mani sbagliate le conseguenze sarebbero state gravi ed imprevedibili. E, poi, ancora, chi doveva cercare? Un medico? Un veterinario? Uno zoologo? Di certo Alfa non era propriamente umano! Il moderno televisore appeso a un angolo del bar richiamò la sua attenzione. Era apparsa un’immagine a tutto schermo di Jo, il delfino, ancora spiaggiato e con le ferite sanguinanti. La conduttrice di una tv locale, una brunetta molto graziosa nonostante l’austero vestitino, stava moderando un talk-show sugli ultimi avvenimenti che avevano incuriosito i napoletani: l’andirivieni di elicotteri e natanti che sembravano cercare qualcosa o qualcuno sulla costa; lo spiaggiamento e la sparizione del delfino; le scosse telluriche e l’episodio del cane folgorato sulla spiaggia. Seguì, poi, un filmato in cui si vedevano file di persone che avevano preso d’assalto le ricevitorie del lotto. Una vecchietta, sventolando la ricevuta dei numeri appena giocati, si diceva convinta che tutti quei misteriosi episodi dovevano essere in qualche modo collegati al ritorno di Colapesce - l’essere che, 147 booktrailer
Pellegrino De Rosa CAP. 31
«Siete davvero molto strani voi umani» tuonò la voce tenebrosa di Alfa, rimbombando nella caverna e facendo trasalire le due ragazze. «Pensate una cosa e ne dite un’altra e, poi, quasi sempre, ne fate ancora un’altra. Se penso che siete i miei creatori mi viene lo sconforto». Raf reagì con maggiore freddezza: «Sei più scaltro di quello che pensavo. Eri già sveglio, allora!» Alfa lo ignorò e si voltò verso Kim: «Ma non siete tutti uguali. Tu, per esempio, sei molto buona e percepisco che hai dei sentimenti di sincera simpatia verso di me». Kim, tutta tremante, gli porse la mano: «Mi chiamo Kim». «Il tuo nome ha un bel colore». «Un bel suono, vorrai dire!» «No. Conosco bene la vostra lingua. Volevo dire proprio un bel colore; il tuo nome ha il colore del blu elettrico». “Non capisco. Il mio nome ha un colore?” pensò Kim fra sé. «Sì. Questo fenomeno si chiama sinestesia. È una espansione dei sensi per la quale la mia mente associa i colori ai suoni. Anche alcuni uomini, ancora pochissimi in verità, possiedono questa stessa facoltà». Eva annotò mentalmente la notizia. Aveva già sentito il termine sinestesia a proposito dei cosiddetti “bambini indaco” e dei “bambini cristallo”: i sensibilissimi bambini, che secondo alcuni psicologi, rappresenterebbero una evoluzione della specie umana e che starebbero nascendo negli ultimi anni in numero sempre maggiore in varie parti del mondo. Raf, pensoso, si massaggiò il mento e spiegò: «Alfa ha un sacco di caratteristiche non umane: innanzitutto, come avrai già capito, legge la mente. Poi lancia scariche elettriche, emette bioluminescenze e percepisce gli ultrasuoni». Kim solo allora si rese conto che Alfa aveva appena risposto a una domanda che lei non aveva espresso a voce: «Sbalorditivo!» disse. Ormai era immersa in uno stato mentale nel quale avrebbe potuto credere a qualsiasi cosa. Poi Alfa si rivolse a Eva: «Già ti ho visto una volta: tu eri sulla spiaggia della sirenetta. Ti chiami Eva e vuoi fare uno scoop giornalistico. Sei molto confusa perché sei attratta dal tuo amico Leo 170 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
e non lo vuoi ammettere. Sei anche gelosa di lui, che ora sta con un’altra». «A-haaa!» fece Kim, puntando un dito verso la sua amica. Eva cercò di cambiare discorso: «Dimmi, per favore, che colore ha il mio nome?» «Giallo oro». Poi si rivolse a Raf: «Raf, tu non vuoi sapere quale è il tuo colore?» «No. Non mi interessano questi giochetti di società. Io voglio sapere dov’è il chip che mi ha inviato il prof. Pedro» rispose bruscamente Raf. Alfa si alzò in piedi e si illuminò leggermente: «Facciamo un po’ di luce, questa grotta è un po’ triste». Eva e Kim guardarono meglio la sua struttura fisica: era un essere dal corpo stranissimo ma, nel complesso, piuttosto simile a un essere umano. E, nonostante il suo aspetto non comune, non riuscivano a percepirlo come una creatura completamente aliena. «Vi ringrazio per i vostri positivi sentimenti ma purtroppo non tutti la pensano allo stesso modo» precisò Alfa, rivolgendo lo sguardo a Raf. Fece, poi, una lunga pausa e aggiunse: «Il chip non l’ho più con me». Raf ebbe uno scatto d’ira: «Coooosa?» La mano sinistra di Alfa si illuminò di una luce intensa: «Io non lo farei!» Raf strinse i denti e lasciò ricadere nella sacca la pistola che aveva appena impugnato. Le due ragazze si scambiarono uno sguardo sbalordito: si sentivano come proiettate in un film di fantascienza. Alfa riprese a parlare: «Il chip l’ho perso sulla spiaggia, quando quello strano cane mi ha aggredito». «Anche io sono andato a cercarlo su quella spiaggia, ma non c’era» rispose Raf. Eva allargò le braccia: «E io, quando è successo il fatto, non ho notato niente di particolare». «So che dici il vero» la rassicurò Alfa. «Ma perché hai detto che il cane era “strano”? E come era questo chip?» incalzò Eva. Alfa fece un segno con una mano: «Era piccolo così e a forma di Y. E quel cane - Avatar - non era come gli altri cani che ho visto alla base; la sua mente aveva una forza che non ho mai riscontrato in nessun altro essere vivente, al punto che non sono riuscito a penetrarla!» 171 booktrailer
Pellegrino De Rosa
Poi, si rivolse ancora a Raf: «Ti ho detto la verità, anche se so che hai dei dubbi. Io il chip non l’ho più». «L’avrà portato via la risacca» cercò di mediare Kim. «Oppure l’hanno preso i due uomini in nero» suggerì Eva. E spiegò: «Leo ha visto degli uomini sulla spiaggia, da casa mia». Ma subito corrugò la fronte e si corresse: «No. Non potevano essere loro: in quel momento stavano interrogando il veterinario». Alfa si avvicinò al laghetto e si rinfrescò la faccia: «No, Eva. Non l’hanno preso loro. Non sanno neppure che esiste; loro stanno solo cercando me e Jo». «Sono loro che hanno sparato al delfino?» chiese Kim. Alfa annuì. «Forse il tuo amico ha visto gli uomini della NATO; anche loro stanno seguendo la faccenda» disse Raf, mentre controllava il respiratore. «Può darsi» rispose Eva, ricordando l’episodio dell’elicottero. Alfa si sedette ai bordi del laghetto e accarezzò la testa del delfino, che era comparso all’improvviso. Anticipando la domanda di Kim, il mutante rispose: «Sì. L’ho chiamato io, telepaticamente. Molti cetacei sono telepatici, ma a un livello elementare. Ordinariamente percepiscono solo le richieste di aiuto, le grida d’allarme e gli stati emozionali». Raf si alzò e si preparò per andare via; stava solo perdendo tempo prezioso. «Non importa che non hai più il chip» sibilò. «A me interessa solo sapere dove si trova la nuova base. E non serve che sia tu a dirmelo; Franco e Vittorio sono in mano mia e saprò farli cantare». «A proposito» aggiunse Alfa. «So che tu pensi che sia stato Brown a far uccidere il prof. Pedro…» Raf annuì. «Invece non è stato lui. Anzi, se proprio vuoi saperlo, con il passare del tempo si è convinto che sia stato proprio tu a eliminarlo». Raf diede un calcio irritato al suo borsone. «Che diavolo stai blaterando?» ribatté. «È così, ti dico. Brown non sarebbe mai stato così stupido da eliminare l’unica persona che poteva aiutarlo a creare un super-soldato». «E allora chi è stato? Non vorrai farmi credere che si è trattato veramente di un incidente?» «Non ne ho idea». «Non importa» ribatté Raf. «Devo scovarlo ugualmente e fargli pagare la morte di Bea». 172 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
Alfa gli si avvicinò e gli appoggiò una mano sulle spalle. «L’odio che hai dentro di te è un’energia così scura e violenta che non riesco a comprenderla...» «E cosa vorresti comprendere tu? Tu sei solo un… un viscido rospo della malora!» Alfa illuminò l’avambraccio, come se stesse per emettere un’altra scarica, ma poi incontrò lo sguardo sbigottito di Kim e lo rispense. «E non sei curioso di sapere come ha fatto il professore a indicarmi dove prendere il chip e dove portarlo?» aggiunse. «In effetti, questo è un punto che non mi è chiaro» ammise Raf. «È semplice: durante il condizionamento che ho subito con il Metamorfer nei primi mesi di vita il sistema ha riversato nella mia mente tutta una serie di informazioni e di istruzioni controllate da una sorta di condizionamento post-ipnotico. E, poche mattine fa, mi sono svegliato sapendo di dover andare a prendere il chip - che si trovava in un nascondiglio nella vecchia base - e di doverlo andare a nascondere sotto la pinna della statua della sirenetta». Raf si infilò la maschera e le pinne. «Ah, dimenticavo una cosa» aggiunse Alfa. «Non ti conviene andare via. Tu hai bisogno di me, perché, se anche scopri dov’è la base, ti sarà impossibile penetrarvi senza un aiuto dall’interno. Il sistema antintrusione perimetrale è micidiale e non può essere disattivato senza l’aiuto di qualche complice all’interno. Io me lo sono studiato in ogni dettaglio». Raf si tolse pinne e maschera e tornò sui suoi passi: «E tu avresti dei complici all’interno?» «Sì. Ascolta: alla base, non sono riusciti a far funzionare il Metamorfer ma, in compenso, sono riusciti a clonarmi. Hanno preso alcune mie cellule e hanno ottenuto dei cloni. Ora esistono altri dodici sea-man. Essi, però, invecchiano precocemente e si ammalano a causa, forse, di una anomalia nei telomeri dei loro cromosomi. Perciò li sottopongono a tutta una serie di esperimenti e di manipolazioni. Si tratta di una vera e propria tortura: li trattano come bestie e, per tenerli buoni, li imbottiscono di narcotici. Dobbiamo liberarli e loro potranno darci una mano dall’interno». «E in cosa ti servo io? Tu con le tue scariche li puoi mettere facilmente KO. Anzi, adesso che mi ci fai pensare, anche loro potrebbero liberarsi allo stesso modo - perché non lo fanno?» «No. La sezione dove tengono prigionieri i miei cloni è protetta da 173 booktrailer
Pellegrino De Rosa
una vera e propria gabbia di Faraday magnetica. Inoltre, quasi sempre ai cloni viene fatta indossare una cotta di maglia di ferro, che gli rende di fatto impossibili le funzioni elettrofore. Ma, soprattutto, sono stati condizionati a ubbidire supinamente e sono diventati vere e proprie larve, prive di qualsiasi spirito di ribellione». «Come ti posso essere utile io e cosa ci guadagno?» «Tu potrai avere la tua vendetta: il comandante Brown è ancora là. E potresti procurare delle armi e degli uomini addestrati a combattere» rispose Alfa. «So che hai chi ci potrà aiutare». Raf pensò che con i poteri telepatici di Alfa era come giocare a poker con le carte scoperte. «Ti riferisci a don Salvatore?» «Sì. Don Salvatore!» «Ma dovremo ripagarlo; temo che per questa impresa così rischiosa la sola riconoscenza per aver aiutato suo figlio non sarà sufficiente». «Non ti preoccupare: noi abbiamo qualcosa di molto allettante da offrirgli» «Cioè?» chiese Raf, con interesse. «Non dimenticare che io leggo nella mente: conosco i codici dei conti bancari all’estero del comandante Brown». Raf annuì; la cosa poteva funzionare: «Dovremo studiare un piano... e dovremo avvertire i tuoi cloni». «Per questo non c’è nessuna difficoltà: io posso collegarmi telepaticamente con loro. Il vero problema è che mi sento molto debole e che, forse, non potrò venire con voi». «Non ti preoccupare di questo. Però io devo prima sentire don Salvatore e cercare di convincerlo. E non è affatto sicuro che acconsenta». «Aspetta Raf, ti do i codici: così capirà che facciamo sul serio… Kim?» aggiunse, rivolto alla ragazza accanto a lui: «puoi darmi qualche foglio del tuo taccuino?» «Certo» rispose Kim, passandogli il block-notes e la penna. Alfa scrisse alcune serie di numeri e lettere e passò la lista a Raf, poi si girò nuovamente verso Kim: «Ma, forse, tu vuoi spiegarmi qualcosa, a proposito dei miei due piccoli?» le chiese. Kim sorrise, prese Alfa sottobraccio, lo tirò in disparte e, rivolta agli altri, sussurrò: «Dobbiamo parlare in privato. Queste sono cose tra androgini, che voi, miseri unisessuati, non potete capire». Eva sorrise e si mise a giocare con il delfino. Raf si sedette, pensoso, osservando Kim e Alfa che si allontanavano 174 booktrailer
Metamorfer. La gemma di Darwin.
parlottando come due vecchie comari. L’imprevedibile rapporto di confidenza che si era creato fra i due ermafroditi lo infastidiva e lo insospettiva. Sapeva con certezza che, talvolta, alcuni cetacei di specie diverse si accoppiano tra di loro, pur senza avere figli - che ci fosse un qualche tipo di perversa attrazione sessuale anche tra Kim e Alfa? Ma, in fin dei conti, quelli erano solo cavoli loro - pensò - lui doveva soltanto scovare Brown e fargliela pagare; poi potevano anche andarsene tutti al diavolo. Cercò con lo sguardo Eva che si era allontanata dal delfino e, alla luce della sua torcia, stava prendendo appunti sul suo taccuino. «Tieni ancora segreta la notizia per qualche giorno» le disse, «non possiamo mettere in allarme i militari. Tu stessa correresti dei gravi rischi: ti verrebbero a cercare e ti farebbero parlare. Ti dirò io quando potrai pubblicare il tutto». «Sì. Capisco benissimo» concordò Eva. Dopo qualche minuto Kim li raggiunse e, soffiando verso l’alto per spostare una ciocca ribelle del suo caschetto, annunciò: «Io rimango con Alfa». «Ne sei sicura?» le chiese Eva. «Sì. Ma starei meglio se avessi qualche abito che mi tenesse calda e qualche lampada per illuminare questo antro spettrale». Eva le passò la sua torcia: «Tieni». Prese degli snack che aveva nella sua borsa impermeabile e glieli lanciò: «Prendi anche qualcosa da mettere sotto i denti» aggiunse. Poi ebbe una decisione improvvisa: «Anzi, ti lascio tutto il borsone. C’è anche qualche asciugamano asciutto». Raf, che già aveva indossato maschere e pinne, le passò il joysticktraduttore: «Prendi anche questo. Manderò Jo, il delfino, a portarti quel che ti occorre». «Ma se lo dai a me, come farai a comunicare con lui?» «Non ti preoccupare, ne ho un altro. Hai bisogno di qualche altra cosa per Alfa?» Kim scrisse qualcosa su un pezzo di carta: «Ecco. Potrebbero esserci utili questi medicinali». Eva abbracciò Kim e si raccomandò: «Ricorda che, in caso di necessità, puoi usare il cellulare; basta che esci fuori dalla grotta e mi chiami…» Raf scosse la testa con veemenza: «Cerca di non usarlo, invece. Anzi, è meglio se lo tieni spento; se scoprono che anche tu sei coinvolta, 175 booktrailer
Pellegrino De Rosa
possono risalire alla cella telefonica e capire in quale zona ti trovi». Alfa si avvicinò a Eva e le mise una mano sulla spalla: «Non temere non farò alcun male alla tua amica» ed Eva rimase piacevolmente sorpresa dalla delicatezza di quel contatto. Alfa poi si rivolse a Raf: «Mi collegherò telepaticamente con i miei cloni e cominceremo a concordare un piano. Tu quando pensi di tornare?» «Appena avrò parlato con don Salvatore». Alfa gli porse la mano, in segno di accordo. Raf gliela strinse e scivolò in acqua, seguito da Eva e dal delfino. Kim vedendo andare via la sua amica ebbe un senso di sbandamento: non avrebbe mai immaginato di rimanere sola in una grotta buia insieme a un essere che sembrava venuto da un altro mondo. «Grazie» le disse Alfa, che aveva percepito la sua preoccupazione. «Io non ti farò mai del male, stanne sicura! Piuttosto…» aggiunse, con tono deciso «tu promettimi di stare molto attenta a quel Raf».
176 booktrailer
METAMORFER - La gemma di Darwin
Golfo di Napoli. Aria fresca, mare un po’ mosso, atmosfera sensuale. Subito un personaggio fosco e affascinante, Raf, assetato di vendetta. Subito una splendida giornalista, dai capelli color del grano maturo, Eva Nabokova. E subito una serie di misteriosi interrogativi: Chi o che cosa ha folgorato il cane Avatar? Chi ha sparato al delfino? Chi ha fatto saltare in aria il campo nomadi di Ponticelli? E chi è la misteriosa creatura che Raf ha cercato di liberare portando con sé il chip della “gemma di Darwin”? Il romanzo di Pellegrino De Rosa non perde tempo: t’inchioda alla pagina fin dalle prime righe e ti tiene sulla corda fino all’ultimo e sorprendente capitolo, con il ritmo incalzante e avvincente dei migliori action-movie. E subito la storia principale si intreccia con tante altre storie: quella di un simpatico fotoreporter, donnaiolo incallito; di una sexy spia italo-americana; di una misteriosa e vecchia zingara napoletana; di un gruppo di “femminielli” e di un nostalgico boss della camorra, e di tanti e tanti altri personaggi, più o meno secondari, ma tutti descritti con cura e pathos. E, sullo sfondo, Napoli, i suoi vicoli, i suoi odori, le sue leggende e i suoi coloritissimi personaggi. Soprattutto, viene presentata una inedita ipotesi evoluzionistica (il Plasticismo Evolutivo) che mette in relazione l’evoluzionismo con le scienze quantistiche, giungendo a proporre un possibile punto d’incontro tra creazionisti ed evoluzionisti. Ma la complessità dell’argomento non appesantisce la narrazione. L’autore, infatti, è riuscito a combinare, con sovrana leggerezza, affreschi paesaggistici, battute napoletane, leggende popolari ed erotismo, con azione, mistero, scienza e filosofia. (Emanuele Pettener. Scrittore. Docente di letteratura italiana presso la Florida Atlantic University).
3
Pellegrino De Rosa
In alcuni tratti (come la descrizione dei vicoli di Napoli e della città sotterranea) è paragonabile all’Ombra del Vento di Carlos Ruiz Zafòn. In altri, al compianto Michael Crichton e al miglior Ken Follett. In altri, ancora, al Giorgio Faletti di Io uccido. Insomma, finalmente un techno-thriller italiano che, per contenuti, suspense e humor, può competere degnamente con i colossi stranieri dello stesso genere e con una marcia in più: la scanzonata e fatalistica ironia napoletana. (Enzo Pecorelli. Giornalista)
Un capolavoro della produzione editoriale italiana, che ha l'unico "difetto" di essere stato pubblicato da piccole case editrici “print on-demand” e, quindi, di non ricevere la visibilità che meriterebbe. La quantità di azione, di idee, di immagini da cartolina, di concetti scientifici affascinanti (espressi in maniera scorrevolissima e comprensibile) è tale da suggerirne l'acquisto a scatola chiusa. Non ve ne pentirete! E, mi raccomando, passate parola! (Benedetta Napolitano. Giornalista e scrittrice)
4
METAMORFER - La gemma di Darwin
Il libro può essere ordinato, oltre che nelle librerie, presso i maggiori bookstore online (es. ibs.it, amazon.it) e dal sito ilmiolibro.it L’autore può essere contattato o tramite la sua pagina su facebook Pellegrino (Rino) De Rosa oppure tramite mail: studio.derosa@alice.it
L’autore è alla ricerca di: Case editrici (italiane o straniere) interessate alla pubblicazione; Sceneggiatori e traduttori.
De Rosa Pellegrino è anche autore del saggio sul Plasticismo evolutivo che può essere scaricato GRATUITAMENTE dalla rete, per esempio, dai seguenti link: http://www.scribd.com/doc/66275703 http://issuu.com/metamorfer/docs/plasticismo_evolutivo__ebook_gratis_ http://www.docstoc.com/docs/98621979/Plasticismo-evolutivo http://www.mediafire.com/?s18z8na88dweq91 http://martview.com/book_detail.php?book=ae65fe88-06df-11e1-a86b-0024e8403c55
5