Metrobosco: un "Paesaggio" per il territorio di San Pietro in Casale

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METROBOSCO:

Un “Paesaggio” per il territorio di San Pietro in Casale

Università degli Studi di Ferrara| Facoltà di Architettura “Biaggio Rossetti”| A.A 2011/2012

relatore: Prof. Romeo Farinella, corelatore: Prof. Marco Cenacchi | studenti: A. Borghi, L. Simonatto, S. Valenzano



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Abstract L’idea, avanzata da un’Associazione di cittadini, di creare una cintura boscata attorno a San Pietro in Casale, è stata assunta quale occasione per avviare un ragionamento sul fenomeno della dispersione urbana e sugli attuali significati di “territorio urbanizzato” e “paesaggio”, partendo dalle linee guida contenute nel Protocollo di Kyoto e nella Convenzione europea del paesaggio. Attraverso una valutazione preliminare di strategie e progetti che hanno lavorato alla medesima scala urbana o territoriale, si vuole proporre, per San Pietro in Casale e per l’Unione dei Comuni Reno-Galliera, un “Bosco” inteso quale “rete ecologica composta di spazi collettivi”,

in grado di preservare ed aumentare l’attuale biodiversità, consentendo uno sviluppo insediativo senza espansione, in accordo con le indicazioni contenute nelle recenti leggi urbanistiche, permettendo così una riqualificazione del territorio capace di far emergere le potenzialità di ogni singolo comune. Il concetto di “Metro” diventerà perciò la chiave a cui rapportare le distanze, con cui gestire il tempo e definire la dimensione della natura nel suo rapporto con la città. L’attenzione sarà focalizzata sul disegno progettuale del “Bosco” e su quelli che costituiscono gli accessi e i punti di contatto dell’interfaccia città e campagna.


Indice SOMMARIO

LE TEMATICHE

Premessa

IL RAPPORTO CITTÀ-NATURA Quale Città? Le Cinture Verdi Quale Natura? I Casi Studio

Introduzione

LE PROCEDURE PARTECIPATIVE Urbanistica partecipata


LE TEMATICHE

IL PROGETTO

IL PAESAGGIO E IL TERRITORIO Paesaggio:una scoperta recente Attraverso la Convenzione Europea del Paesaggio Il “Terzo Paesaggio”

IL CONTESTO Uno scenario diffuso Un’associazione di comuni per una realtà complessa Un sistema bivalente Un paesaggio in continua evoluzione Delle problematiche in “Comune”

LE RISORSE IN RETE La rete ecologica Mobilità e accessibilità La rete sociale

LE PROPOSTE Strategie e ambiti di intervento Un territorio in rete



SOMMARIO



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Premessa

Questo progetto è una storia di incontri. L’incontro tra diverse realtà che si verifica quando si viaggia, quando le culture si toccano, si scoprono e si confrontano. Ci si apre e ci si predispone ad accogliere le novità, fino a voler riprodurre nel proprio piccolo, una volta tornati, quelle stesse atmosfere che ci hanno rapito. Di tutti quegl’ incontri che si svolgono nella vita quotidiana, quando le persone si ritrovano a discutere sull’ambiente che le circonda, sulla situazione economica attuale e sulle esperienze passate. Si scopre di avere la stessa visione della realtà e comuni ambizioni per il futuro, al

punto di volerle realizzare facendo parte di una collettività attiva. Dell’incontro decisivo fra ideali e competenze tecniche che ha visto coinvolto il CITER e la Facoltà di Architettura di Ferrara in un workshop su San Pietro in Casale (BO) e che ha dato l’opportunità a noi studenti di compiere una delle prime esperienze di urbanistica partecipata. L’occasione di lavoro è stata fornita dall’Associazione “Amici del Metrobosco e del Parco di San Pietro in Casale” che riflettendo sul confine precario tra essere un paese residenziale ed essere un paese dormitorio hanno elaborato una proposta politica incentrata su un


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progetto di sviluppo ed esplicitata nello Statuto dell’associazione, i cui contenuti prevedono: - la creazione di un ambiente particolarmente attraente per la vita quotidiana dei residenti e non solo dei residenti; - il contenimento dell’attuale meccanismo d’espansione edilizia a macchia d’olio e la riqualificazione edilizia del centro urbano; - la capacità di attirare investimenti qualificati del terziario. Una fascia boscata attorno alla città sembrava la soluzione più adeguata, ed anche quella storicamente più percorsa, per realizzare questi obbiettivi. Occorreva ri-elaborare, pertanto,

questa idea tenendo conto del contesto attuale in cui si sviluppa il progetto affinché tenga conto degli strumenti urbanistici vigenti. L’associazione, tramite le sue figure rappresentative come il presidente Piero Selmi e lo storico Giovanni Verardi e il geometra Cenacchi Mauro, si è quindi rivolta alla Facoltà di Architettura di Ferrara per ricercare un dialogo con delle persone capaci e competenti in grado di compiere le opportune analisi al fine di elaborare delle visioni progettuali per concretizzare gli ideali dello Statuto e dei cittadini. In base agli incontri e alle richieste, i Docenti hanno organizzato il Workshop stabilendo come prima


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cosa i suoi obiettivi: - la ri-definizione dei margini del centro abitato e l’apposizione di elementi di filtro che rendano meno accentuato il passaggio da città a campagna; - la ri-scoperta e l’estensione del concetto di spazio pubblico; - la ricerca di un nuovo rapporto tra città e natura finalizzata anche al rafforzamento della biodiversità; - l’avvio di politiche e progetti improntati alla sostenibilità ambientale; - la ricerca di una nuova complessità urbana. Successivamente siamo stati coinvolti, assieme ad altri studenti, alle lezioni tenute dai Docenti della

Facoltà e da esperti esterni come la Dott.sa Paola Rapparini del CNR e il Dott. Giovanni Verardi dell’Università di Napoli, che ci hanno fornito nozioni di tipo tecnico/teorico sul territorio in esame. Bisogna ricordare che l’analisi di un territorio e dei suoi problemi non sono soltanto numeri scritti in una tabella ma significa anche entrare in contatto con la gente che vive il territorio, ascoltare le loro opinioni, percepire le potenzialità delle loro proposte. Riconoscendo l’importanza del dialogo con coloro che non sono tecnici o professionisti, è stata organizzata una tavola rotonda alla Casa della Musica a San Pietro in Casale, in cui i cittadini hanno


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partecipato attivamente, dando il loro contributo al fine di acquisire ulteriori dati sensibili. Con le conoscenze acquisite si è passati alla fase “operativa” in cui attraverso l’aiuto e la supervisione dei Docenti ci siamo divisi in gruppi di lavoro nei quali abbiamo elaborato differenti proposte progettuali. Al raggiungimento di un’ adeguata complessità progettuale, i lavori sono stati esposti nell’aula magna

del Municipio di San Pietro in Casale dove ci siamo potuti confrontare con le Autorità, l’Associazione, i cittadini sui temi più importanti al fine di migliorare ulteriormente le proposte e per fare in modo che questa ambizione per un futuro migliore non rimanga solo su carta.


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Introduzione Osservando la campagna romana Cicerone parla di una seconda natura. La “prima natura” veniva modellata in base ai bisogni materiali degli uomini. Questo fenomeno di trasformazione da prima a seconda natura ha generato dei fenomeni incontrollati creando delle disarmonie nel paesaggio. Alla base di questo problema c’è l’isolamento della rappresentazione dell’uomo come un soggetto al di fuori della natura. Costretti come siamo dalle crisi ambientali, diventa perciò cruciale immaginare una terza via per ristabilire tecnologicamente e culturalmente “la natura”. Se si può dire che la natura primaria è quasi scomparsa dalla faccia della terra e che sopravvive solo in aree

protette, la natura secondaria invece riveste quasi tutto il pianeta incluse le città stesse. Questa situazione di collasso ci porta a fare una riflessione globale e ci sfida a inventare come deve essere definita questa terza via in modo da far convivere in armonia l’uomo e il suo ambiente. A partire dal Rinascimento fu sperimentata una prima forma intuitiva di creazione del paesaggio:“il giardino”. Attraverso questa forma si produce della nuova natura che ci porta ad acquisire una cultura ambientale del nostro ambito di vita. Ed è attraverso l’equilibrio sottile fra la naturalizzazione e l’acculturamento che prende vita la vivibilità del luogo e la sua qualità.


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Al giorno d’oggi sussistono le stesse necessità ma l’ambito di vita si è ampliato e non si tratta più di un bisogno circoscritto al singolo, bensì ad una comunità: non un giardino ma un sistema verde. Non bisogna però riproporre l’utopia del giardino globale, piuttosto rielaborarla attraverso un disegno. Quindi, la creazione di un Bosco, di un paesaggio naturale che oggi non esiste e che va a ridefinire i margini di un paese di provincia come San Pietro in Casale, è un paesaggio che deve servire a far vivere le persone in una realtà che non sia solamente quella alienante del quartiere-dormitorio ma quella che attraverso la rinaturalizzazione del territorio consente

una riappropriazione dei luoghi. “Quando noi esseri umani abbiamo cominciato a vivere nei centri urbani, abbiamo fatto qualcosa di assolutamente nuovo nella storia”, sostiene il fisico Geoffrey West. “Ci siamo allontanati dalle equazioni della biologia, che sono sublineari. Tutti gli altri esseri viventi diventano più lenti quando le loro dimensioni aumentano. Con le città succede il contrario: man mano che crescono, tutto accelera. Non c’è un modello equivalente in natura. Sarebbe come scoprire che un elefante è in proporzione più veloce di un topo”. Naturalmente, c’è un buon motivo per cui gli animali rallentano quando le loro dimensioni aumentano: per


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spostare tutta quella massa ci vuole energia. E dato che l’elefante deve mangiare di più per procurarsela, non si può permettere di correre come un roditore. Ma la crescita superlinea­ re delle città non comporta queste restrizioni. Anzi, le equazioni urbane fanno prevedere un mondo che consuma sempre più risorse man mano che l’espansione delle città favorisce la crescita dell’economia. West vede perciò la storia umana come un continuo conflitto tra la tendenza all’espansione e la penuria di risorse, tra la crescita resa possibile dalle città e la limitatezza delle materie prime che la frena. “L’unico momento in cui le equazioni superlineari si fermano è quando

esauriamo qualcosa di cui abbiamo bisogno”, dice West. “A quel punto la crescita rallenta. E se non si verifica nessun altro cambiamento, prima o poi il sistema crolla”. Per evitare che questo succeda bisogna agire con le innovazioni, attuando dei sistemi virtuosi che producano risorse rinnovabili e reperibili in un raggio a breve distanza in modo tale da limitare il consumo energetico. Viene da chiedersi poi, leggendo Junkspace di Rem Koolhaas, se a tratti anche San Pietro in Casale possa essere considerata una Città Generica, specialmente quando parla della sua popolazione e della sua urbanistica. Koolhaas scrive “La


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città Generica viene sempre fondata da gente in movimento, sempre pronta a spostarsi. Ciò spiega l’inconsistenza dei suoi fondamenti” e fa riferimento alle città americane che si sviluppano dalla confluenza di due flussi migratori. Se però guardiamo alle origini di San Pietro ci accorgiamo che il suo sviluppo è di recente data e si attesta in concomitanza con l’avvento della ferrovia e questo proprio perché la cittadina si trovava in un crocevia di flussi migratori che all’epoca portavano le persone a spostarsi verso la città di Bologna in cerca di lavoro. Ad oggi il meccanismo non è mutato di molto e solamente il 65% circa dei residenti lavora a San Pietro,

il rimanente si sposta nelle zone industriali del Bolognese. Questo sembra aver generato un Comune fantasma, una sorta di città del West a ridosso di un crocevia principale sul quale si affacciano le principali attività commerciali e il rimanente sono case, villette, ville, palazine sorte attorno nel corso dei decenni per soddisfare l’esigenza abitativa crescente. Poiché l’altro assunto di Koolhass è che “La Città Generica è ciò che rimane di quel che era la città una volta. La Città-Generica è la post-città in corso di allestimento sul sito dell’ex-città” e se noi guardiamo alla storia di San Pietro ci rendiamo conto che il sito dell’ex-città è sempre stato disseminato di piccoli presidi


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e i villaggi tendevano ad essere vere e proprie “isole” circondate da lande in cui si cacciava; la post-città mantiene questo carattere frammentario a causa della parcellizzazione dei giardini storici su cui si allestisce. Si è assistito infatti alla vendita dei terreni dei giardini delle ville per rispondere alle esigenze abitative di coloro che lavorando a Bologna cercano una sistemazione spaziosa e tranquilla ma al tempo stesso economica: la loro “isola” felice. Si è raggiunta quindi una felicità individuale che si è tradotta in un’infelicità collettiva data dal fatto che San pietro in Casale si qualifica piuttosto come quartiere dormitorio, che come centro di vita sociale: il

centro si svuota durante i weekend, si sono drasticamente ridotte le attività commerciali, i ragazzi frequentano gli istituti superiori di Ferrara o Bologna, ecc. Se si continuasse in questa maniera, ovvero urbanizzando sempre di più il territorio, avendo dei centri di riferimento distanti, si rischia di andare incorntro ad un depauperamento delle risorse e ad una conseguente perdita dell’identità culturale che ancora oggi sopravvive nei piccoli centri. È necessario quindi pensare ad un diverso meccanismo di sviluppo del tessuto urbano tale da apportare oltre al benessere individuale anche un benessere collettivo, di cui tutti possano usufruire in un modo


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continuativo e non in maniera temporanea e settorializzata. Nell’ambito della conferenza “Le risorse forestali nazionali e i servizi ecosistemici. Il ruolo delle Istituzioni” , l’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ha analizzato i dati diffusi recentemente da un report del World Resources Institute (Wri) che mettono in luce come in Italia siano disponibili ben 9, 5 milioni di ettari destinabili al risanamento del suolo, attraverso diverse tipologie di interventi. Si spazia dalla creazione di nuove foreste chiuse, da adibire alla produzione di legno, ad azioni di restauro a mosaico, ovvero l’integrazione di alberi in aree ad uso

agricolo, urbano ed industriale. Gli esperti dell’ISPRA hanno sottolineato il ruolo delle foreste, non solo come fonte di materie prime legnose, ma in quanto capaci di fornire beni e servizi fondamentali per la tutela degli ecosistemi. Al prezzo attuale d’una tonnellata di anidride carbonica sul mercato delle quote europee delle emissioni di gas serra (circa 8 euro), spiegano infatti dall’ISPRA, la capacità fissativa delle foreste italiane avrebbe un valore di circa 520 milioni di euro l’anno. Potrebbe perciò verificarsi un trasferimento di risorse dal settore debole (foreste) a quello forte (industrie). Inoltre si potrebbe anche pensare di ribaltare le sorti e diventare un Paese


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che produce invece di qualificarci come il primo importatore modiale di legna da ardere ed il quarto per l’utilizzo di cippato. Negli ultimi due anni si è infatti verificata una ripresa di interesse per la legna ad uso energetico e la superficie boscata, negli ultimi 50 anni, ha raggiunto i 10 mila ettari, ovvero più del doppio della superficie boscata Austriaca e otto volte quella Svizzera. Tuttavia c’è una perdita di interesse economico nella gestione dei boschi causata della scarsa competitività della produzione nazionale di legname ad uso industriale poiché il mercato ha subito processi di globalizzazione e delocalizzazione. Si assiste ad un processo di

abbandono anche nel settore agricolo italiano dovuto alla crisi economica in generale ma anche alla dura concorrenza che ormai vige fra le aziende dell’intera Unione Europea. Numerose però sono le iniziative intraprese per risollevare questo settore. La Confederazione Nazionale Coldiretti da alcuni anni ha dato vita ad un concorso al quale le imprese agricole che operano con serietà, professionalità ed eticità possono partecipare e provare a vincere l’“Oscar Green”. Si punta su imprese giovani, con soci aventi fra i 18 e i 30 anni, proprio per mirare ad una profonda innovazione del settore. Un altro sistema volto alla rinascita agricola a livello nazionale è


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la fondazione “Campagna Amica”, che fa della vendita diretta il suo fiore all’occhiello; di questa fanno già parte alcune imprese di San Pietro in Casale, il cui territorio agricolo consente di puntare alla produzione di colture varie e di qualità, prime fra tutti l’asparago verde e la pera, ma anche fragole, cocomeri, meloni e albicocche per la frutta, zucchine, carciofi, bietole, pomodori e cavoli cappucci per gli ortaggi. Un Bosco che integri funzioni di questo genere potrà davvero risultare, anche dal punto di vista economico, vincente. L’idea della creazione di un Bosco attorno alla città non è di facile da far accettare, sebbene venga proposta come opportunità per risollevare le

sorti del territorio. Storicamente si è creata, attorno all’immagine del bosco, una serie di connotati che vanno da un’idea positiva, ovvero quella di contesto ambientale lussureggiante, vitale e integro, piacevole e rilassante, ad un’idea negativa, di luogo scuro e ignoto, di entità inaccessibile, sinistro, avverso. Ciò che accomuna queste due visioni polari è rappresentato dalla percezione che l’intrico spontaneo e naturale delle formazioni boschive è l’esatto contrario della realtà organizzata dello spazio costruito e urbanizzato, dettato dalla ragione e dunque da essa perfettamente decodificabile e dominabile. Questa opposizione concettuale fra


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bosco e spazio umanizzato si sviluppa sempre in rapporto alla concezione del contesto urbanizzato, sia esso percepito positivamente, nella sua identità di spazio civilizzato; oppure negativamente come sinonimo di malessere e disagio diffuso. Il pensiero occidentale è dunque permeato da questa duplice visione della natura: “benigna” oppure “maligna”. Con riferimento alla tradizione letteraria nazionale, generalizzando e semplificando, si può notare come la natura maligna sia assimilabile al carattere del bosco quale luogo di smarrimento e dell’ignoto, dove le regole funzionano al contrario

oppure non esistono, in cui è lo stato selvaggio a dominare (la selva della Divina commedia, la foresta incantata dell’Orlando furioso o il fantastico mondo arboreo di Cosimo nel Barone rampante; ma anche il bosco della tradizione fiabesca, come lo spazio estraneo e potenzialmente ostile in cui si compie l’allontanamento dell’eroe da casa). Invece, la natura benigna rappresenta una idealizzazione letteraria, come spazio equilibrato ed integro, spesso accompagnato dalla reinterpretazione antropomorfica degli animali (ad esempio l’archetipo dell’Eden biblico). La duplice valenza simbolica e letteraria del bosco nell’immaginario


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e nell’arte occidentali, dal Medioevo all’età contemporanea, costituisce l’esito di un processo di stratificazione di significati e concezioni affini e convergenti, ma di matrice culturale diversa. Nello specifico per l’uomo societario, l’interesse per il bosco diventa man mano economico, etico-religioso, estetico, igienico-ambientale, ecologico. La storia dell’umanità e il suo sviluppo vengono scanditi da sfruttamenti incontrollati delle selve boschive e da divieti di taglio per riparare ai danni fatti; segnando di volta in volta l’avanzamento o l’arretratezza culturale della popolazione. Il Medioevo è stato un periodo storico caratterizzato da un generale

disinteresse per la buona gestione del bosco. Successivamente il diffondersi degli Ordini religiosi ridestò interesse e amore per la natura e per i boschi. , ad esempio i Benedettini impiantarono la pineta di Ravenna, i Camaldolesi ed i Vallombrosani ricostituirono ed ampliarono le foreste di Camaldoli e di Vallombrosa, i Francescani riaffermarono con spirito nuovo i valori etico-religiosi della natura e dei boschi. Nel periodo dei Comuni, delle Signorie e dei Principati, i boschi rappresentavano un notevole valore economico e sociale. Nel XVI e XVIII secolo si documentò un interesse diffuso per le scienze forestali: nel


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Veneto, si trovano le prime basi dell’organizzazione amministrativa delle aziende boschive demaniali; in Toscana, Cosimo I dei Medici emanò leggi che proibivano qualsiasi taglio di boschi; nello Stato Pontificio fu promulgata una legislazione con l’editto del Nembrini che mirava a stroncare ogni abuso a danno dei boschi. Tutti questi impegni legislativi non furono sufficienti a proteggere le risorse boschive poiché l’aumento della popolazione determinò in Toscana, Liguria ed Umbria, il diffondersi del paesaggio rurale e della collina e le attività agricole presero il dominio degli interessi. Questo fenomeno continuò fino al

XVII secolo. Sarà solo in Francia, nel XVIII secolo, che nacquero la selvicoltura moderna e la conservazione forestale, grazie all’Ordinanza di Colbert (1669) che affermò il principio dell’alto interesse pubblico connesso alla conservazione delle foreste, stabilendo criteri e limiti dello sfruttamento. A partire dalla fine del XVIII secolo e per tutto il XIX secolo, si svilupparono in ambito europeo due principali linee di pensiero: quella tedesca e quella francese. In Germania la scienza forestale si sviluppa con la fondazione della Scuola Forestale di Tharandt (1813) per opera di Heinrich von Cotta. L’indirizzo è di interesse prettamente


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economico, senza curarsi però dell’impatto tecnologico-industriale sulla biosfera, facendo registrare a lungo andare il danno ambientale ed il fallimento. In Francia, invece, l’approccio fu totalmente differente, improntato alla selvicoltura su basi naturalistiche, grazie agli studi svolti dalla Scuola di Nancy, fondata nel 1824. In Italia, l’interesse per la scienza forestale comincerà solo dopo la costituzione dell’istituto forestale di Vallombrosa (1869), purtroppo senza ottenere risultati positivi. Successivamente l’indirizzo diventò eclettico, per cui ogni scelta era il risultato di un attento e approfondito studio dell’ambienta fisico

ed economico relativo al bosco esaminato. Attualmente la selvicoltura italiana ma anche quella mondiale (per quei paesi che se ne interessano) segue un indirizzo ecologico-naturalistico che può essere riassunto con una celebre frase di Parade: “aiutare la natura, affrettare la sua opera”, da cui si evince che l’uomo per soddisfare i suoi bisogni deve in primo luogo rispettare ed aiutare la natura, senza essere troppo invadente. Ci siamo chiesti se San Pietro potesse, attraverso la creazione di una nuova infrastruttura verde, cambiare le sorti del suo sviluppo diventando una sorta di “Comune intelligente” che servisse da esempio


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per gli altri comuni della Regione . Uno studio del capo progettista del progetto Smart cities, Dr. Rudolf Giffinger, professore universitario al Politecnico di Vienna (TU Wien) afferma,infatti,che le città di media grandezza costituiscono un gruppo mirato affascinante e che ben 120 milioni di persone vivono in circa 600 città di queste dimensioni, ovvero quasi il 40 % di tutta la popolazione europea che vive in città. Nonostante queste abbiano un potenziale enorme, spesso si trovano nell’ombra delle grandi metropoli. Hanno difficoltà a mettersi in luce, a volte devono combattere contro problemi di immagine e vengono ignorate dagli investitori. Eppure hanno un

importante vantaggio: grazie alla loro dimensione ridotta, esse sono flessibili e possono segnare punti con la loro “smartness”. Ovvero, riferendosi a sei caratteristiche quali economy, people, governance, mobility,environment e living, i ricercatori hanno indagato quali fattori rendono queste città “smart” come spazio vitale e piattaforma economica. Giffinger formula la sua definizione cosÌ: “Una città di media grandezza viene considerata una smart city quando, basandosi sulla combinazione tra i dati di fatto locali e le attività realizzate da parte dei politici,dell’economia e degli abitanti stessi, presenta uno sviluppo duraturo nel tempo, delle


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sei caratteristiche sopra citate.” Lo sviluppo di San Pietro potrebbe avvenire secondo questi criteri senza ulteriori costruzioni che cosumino nuovamente del suolo, ovvero tramite un controllo sulla gestione e sull’utilizzo degli stessi? Per fare questo ci siamo domandati se potesse avere un senso, al giorno d’oggi, creare una fascia boscata che contornasse la città così come nel Medioevo si costruivano delle mura difensive. Il problema infatti non viene dall’esterno ma dall’interno perché i cittadini stessi si sono chiesti quale sarebbe stato il punto di saturazione della città. Ovvero il pericolo non è più dato come un tempo dalla natura che invade la

città ma da una città che invade la natura azzerando le possibilità di vivibilità del luogo. Tuttavia pensare ad una fascia boscata avrebbe portato ad una sorta di isolamento, la sfida era quindi di rendere attrattivo un luogo circondandolo di verde ma allo stesso tempo di tenerlo in stretta connessione con quelli che sono i diversi livelli territoriali : comuni limitrofi, provincia, regione. Il progetto di bosco si andava così definendo non come bosco isolato quanto piuttosto come infrastruttura verde. Passando da organismo verde isolato a organismo verde infrastrutturale Un bosco quindi che perde il suo


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significato naturale e acquisisce un significato urbano, metropolitano, ovvero un Metrobosco. Termine che fa riferimento al Metrobosco della Città di Milano. Dal punto di vista del terriotorio nazionale ci stiamo orientando verso uno sviluppo in cui non si può avere solamente uno o solamente l’altro ma sarà necessario un connubio tra la metropoli e il bosco. Si fa fatica a parlare di città, si parla sempre più spesso di metropoli ovvero di un’insieme che racchiude vari centri e che sposta i suoi confini verso i margini con le campagne; viceversa lo spazio naturale vive in quegli spazi che le vengono ritagliati all’interno delle città: i margini delle strade, le piazze,i parcheggi e talvolta

i parchi. Abbiamo perciò preso atto di questo stato di fatto del territorio e pensato ad una strategia che potesse basarsi sulla rivitalizzazione degli spazi aperti presenti a San Pietro, in una prima fase,lavorando sull’interno e sui margini, implementando le aree dedicate alla vita pubblica dei cittadini (le piazze, i parcheggi,) e aggiungendo nuove zone dedicate alla vita collettiva attraverso l’elemento naturale (orti urbani, fattorie didattiche, serre). E’ prevista poi una fase successiva in cui si andranno a creare delle trame verdi di connessione fra questi due ambiti ed un’ultima fase, di sviluppo, in cui le connessioni sviluppate fre gli spazi centrali e quelli di margine


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si estenderanno al di fuori del Comune di San Pietro per diventare dei corridoi verdi in direzione dei principali comuni limitrofi. In seguito ai vari sopralluoghi organizzati in presenza di alcuni membri dell’associazione “Amici del Metrobosco” o in maniera autonoma, abbiamo osservato quelli che sono i caratteri morfologico-insediativi del territorio. Successivamente sono stati consultati i dati statistici a disposizione per un confronto che ci portasse a descrivere in maniera comparata la realtà socio-territoriale di San Pietro. Parallelamente è stata effettuata la lettura e la classificazione degli elementi caratterizzanti il territorio

rurale, in modo da capire qual è il trascorso storico-morfologico di quest’ambiente e di esaltarne le peculiarità. Essendo il territorio un sistema di sistemi è importante ricordare come l’analisi si sia svolta a varie scale. Risultà infatti miope concentrare l’attenzione solo ad un livello comunale, ma si deve procedere verso l’analisi a scala provinciale e regionale, tuttalpiù che San Pietro fa già parte dell’Unione Reno-Galliera, ovvero di un’associazione di comuni che a loro volta fan parte della Provincia di Bologna. Inoltre la collocazione geografica fra due poli attrattivi come Ferrara e Bologna lo iscrive in una realtà più ampia, che porta a


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prendere in considerazione anche la scala regionale. Inoltre il tipo di iniziativa stessa, quella proposta dall’Associazione degli “Amici del Metrobosco e del Parco di San Pietro”, è definita bottom-up ovvero che parte dal basso poiché proposta da un collettivo di liberi cittadini (vedi Statuto dell’associazione). Gli enti locali, in primo luogo quelli comunali, si sono dimostrati favorevoli a questa idea, dando la loro piena disponibilità e partecipazione nello sviluppo della ricerca, preoccupandosi, in questo clima di generale carenza di risorse economiche, di ricercare i mezzi, a livello europeo, per poter concretizzare questa visione, infatti è stata proposta

la partecipazione al Progetto LIFE. Questo consiste in finanziamenti che l’Unione Europea è disposta a concedere, nella misura del 50%, fino ad un massimo del 75% delle spese ammissibili, a quei progetti che propongono la conservazione della natura e della biodiversità, nuove politiche di governance ambientali e la diffusione delle seguenti. Tutto ciò apre delle prospettive per un effettivo rinnovo e rivitalizzazione della cittadina di San Pietro in Casale. Nel frattempo si opera a livello informativo con l’Urban Centre di Bologna per far conoscere alla popolazione quali sono i temi affrontati e come ci si propone di risolverli, attraverso mostre dei lavori e conferenze.


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Il Metrobosco si propone di studiare un nuovo approccio alla problematica dello sprawl edilizio incontrollato e alla vivibilità dei piccoli centri suburbani . Nello specifico proponendo una riconfigurazione dei margini abitati che si qualifichi come un’interfaccia fra la città e la campagna, destinata poi a svilupparsi verso le frazioni limitrofe garantendone inoltre la connessione attraverso un’apposita viabilità verde. Si vuole evidenziare che le problematiche e le soluzioni emerse nel corso della ricerca per questo piccolo comune, non esulano dalla scala più ampia a livello europeo. Come è emerso dai casi studio, anche le città europee soffrono degli

stessi sintomi: bloccare lo sprawl e costruire una politica di sviluppo ambientale più rispettosa della natura sono tematiche centrali del contesto attuale. La nostra tesi si pone come uno strumento di riorganizzazione dei caratteri del territorio fornendo delle lineee guida in grado di proporre uno sviluppo alternativo senza la necessità di consumare il suolo costruendo, ma piuttosto promuovendo uno sviluppo della qualità ambientale in grado di attrarre ricchezza. Proponiamo quindi a San Pietro in Casale una strategia di investimento, sul verde, volta ad acquisire una maggiore vivibilità nei prossimi decenni.


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Le strategie messe in atto presuppongono l’uso della vegetazione autoctona, partendo dalla riqualificazione e dall’implementazione degli spazi aperti presenti all’interno del centro cittadino di San Pietro e continuando la “contaminazione verde” sui margini costituendo il Metrobosco , arrivando ad estendere le sue appendici verso le vicine frazioni costituendo delle connessioni verdi. Per l’attuazione delle strategie è stato necessario rivedere il lessico per andare a definire le nuove accezioni dei termini bosco, corridoi verdi, parco, orto urbano, ecc. Analizzando il contesto particolare della scala comunale ci siamo

resi conto come questo non possa essere scisso da una realtà più ampia a livello provinciale per rientrare in un contesto di fattibilità. Le nostre riflessioni si sono svolte perciò partendo da un ambito territoriale più esteso che si spingeva al di fuori dei confini comunali e che prendeva in esame invece quelli che erano i limiti fisici: il Fiume Reno, le Oasi, il Bosco della Panfilia, ecc. Successivamente le nostre riflessioni si sono spostate nel particolare attraverso lo studio specifico dei margini di contatto fra contesto abitativo e contesto rurale sviluppando un progetto che, tramite la costituzione di edifici-filtro, vanno a suturare l’attuale cesura netta dei contesti.


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In conclusione il limite netto fra cittĂ e campagna viene risolto con l’apposizione di elementi che declinino i margini in maniera meno violenta per permettere alla popolazione di riappropriarsi di quello che è l’ambiente circostante e di non vederlo come un elemento estraneo.


LE TEMATICHE



IL RAPPORTO CITTÀ-NATURA



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Quale città?

Parlando di San Pietro in Casale potremmo definirla con le parole di Bernardo Secchi1 che parla di città dispersa ovvero quella città che manifesta la de-densificazione e valorizza la mobilità e paradossalmente provoca una sensibilità verso il paesaggio. Una realtà alla quale si oppone quella di una città consolidata come Bologna che al contrario protegge il suo nucleo di derivazione storica e stimola la sensibilità al paesaggio. Paesaggio che però va ricercato all’esterno e diventa il motivo per cui queste due realtà coabitano l’una affianco all’altra talvolta combinandosi tra loro. La tematica della città contrapposta

alla natura non nasce quindi solamente dalle trasformazioni indotte dall’urbanizzazione sull’ambiente ma in uguale misura porta ad analizzare il rapporto fra l’uomo e il suo stile di vita. Nel corso della storia l’uomo ha sempre stabilito dei rapporti con lo spazio naturale, sia tenendosene a debita distanza, a volte per timore altre per rispetto, sia cercando di imitarlo vivendo in simbiosi con esso in modo tale da poterlo controllare fino a sfruttarlo incondizionatamente. Con l’avvento dell’epoca moderna, nel XVI secolo, si comprese come governare a proprio piacimento e secondo le proprie necessità la natura che, in tale maniera, venne

1. B. Secchi, revue Urbanisme n° 306, p.12


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2. C. Younés, Appareil, mese di giugno 2008

vista come un’ente esterno rispetto alla vita umana. Questo tipo di visione viene oggi rimesso in discussione: non si tratta però di una volontà volta a ripristinare la vita agreste in cui si nega completamente la città, al contrario il desiderio del contatto con la natura aumenta in realazione alla crescita del mondo urbanizzato. E’ come se le forze della cultura dovessero riconnettersi a quelle della natura perché il mondo resti vivibile. Bisogna fare attenzione però a tener presente che “La natura non può essere ridotta a delle metafore come “il verde” o l’invocazione delle campagne o a dei segni serigrafici. Con la parola “natura”si indicano l’acqua, l’aria, la terra, la flora, la fauna, e

anche i ritmi: quello delle stagioni, dell’alternanza giorno-notte, del battito del cuore, del respiro, del sonno e della veglia, e infine della nascita e della morte.” come ci ricorda Christine Younes2. Tuttavia, facendo riferimento al poster di Giles Revel e Matt Willey (Studio 8) realizzato per sostenere l’attività del Rainforest Action Network che invita a riflettere sull’allarmante perdita di biomassa forestale contrapposta alle statistiche sull’ aumento della popolazione mondiale, ci si rende conto di come la foresta e la città, il bios e l’oikos, siano due realtà legate tra loro in un’ unica rete. Questo tipo di consapevolezza è


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l’unica chiave di lettura possibile per garantire anche nella provincia di Bologna le condizioni per la vita degli ecosistemi naturali esistenti e dell’insieme dei sistemi insediativi che da essi dipendono. Facendo un’analogia con la foglia potremmo dire che anche la città respira, ovvero cresce immagazzinando risorse in forma di edifici, strade, infrastrutture, tecnologie. Essa assorbe i flussi di energia e materia per farne strutture ordinate e funzionali e mantenerle nel tempo. La città è percorsa da reti di energia, di acqua, di gas, di informazione, che la connettono, la attraversano e la pervadono ovunque come sottili capillari. Le sue reti attingono da molte fonti e da quelle

assorbono per immagazzinare, rimpiazzare, riparare, consumare. Altre reti, importanti quanto le prime, dissipano. Se consideriamo uno schema lineare in cui l’energia fluisce spontaneamente dalla sorgente calda verso quella fredda, la variazione d’entropia complessiva è sempre positiva. Se viceversa considero il flusso di energia dalla sorgente al serbatoio, cioè da un corpo caldo ad un corpo freddo, questo processo comporterà sempre un aumento di entropia. In questo modo l’entropia dell’universo può solo aumentare. Lo stato ordinato di un sistema biologico come quello di una città, quindi, se lasciato a se stesso

Manifesto per Rainfrest Action Network, Giles Revel e Matt Willey


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3. E’ l’acronimo di Eco Management and Audit Scheme e indica il Regolamento europeo n.1221/2009 che disciplina il sistema comunitario di ecogestione ed audit 4.I dati fanno riferimento al Global Footprint Network del 2002.

decadrebbe verso una condizione di caos. La superficie della Terra riceve un flusso di energia dalla sorgente solare, con una temperatura stimata intorno ai 5800 K e lo restituisce allo spazio esterno (serbatoio di scarico) a 3K: in questo enorme intervallo di temperature sta il segreto della vita e la possibilità di un lavoro che perviene alla tendenza verso l’equilibrio entropico. Il sistema vivente viene mantenuto, dal flusso di energia, in uno stato stazionario, il più lontano possibile dall’equilibrio. La diminuzione di entropia nella biosfera dipende dalla capacità di catturare energia dal Sole e di reirradiarla nello spazio esterno

sottoforma di energia infrarossa. Tutti i processi sono quindi sorretti dall’ energia solare ed è quindi evidente che la città va reinterpretata come facente parte di un ambiente con il quale è tenuta a ad avere molteplici relazioni di dipendenza e proprio su queste fondare la propria autonomia. Nell’ambito della certificazione 3 EMAS , ottenuta dalla Provincia di Bologna nel 2006 e rinnovata nel 2008, è stata calcolata un’impronta ecologica pro-capite provinciale pari a 4,34 gha (ettari globali) ovvero superiore del 10% rispetto alla media nazionale che si attesta sui 3,95 gha.4 Se poi si confronta questo dato con


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la biocapacità pro-capite media provinciale (1,7 gha) ne emerge che vi è un deficit di circa 3,5 gha. Tale deficit scende a 1,1 se si considera invece il dato calcolato per i comuni di Pianura tra i quali rientra anche San Pietro in Casale. Questo dimostra come sia accentuato il livello di interdipendenza fra i servizi offerti dall’area metropolitana Bolognese e le capacità di approvvigionamento delle risorse nella Provincia. “Occorre perciò ripensare al rapporto che intercorre fra cultura urbana e mondo agricolo”suggerisce Pierre Donadieu4. Non ha senso infatti contrapporre queste due realtà, specialmente nella situazione attuale in cui

i territori rurali ritornano ad essere abitati a discapito di un aumento della mobilità. Perciò, poiché controllare la crescita della città attraverso delle cinture e dei fronti verdi risultano soluzioni ormai superate e non del tutto efficaci, suggerisce sempre Donadieu “potremmo costruire il tessuto urbano attraverso gli spazi agricoli e boscati. In questo modo l’agricoltura periurbana potrebbe essere considerata nei piani regolatori come uno strumento dell’urbanistica capace di organizzare in maniera sostenibile il territorio delle città.” Per quanto concerne la Regione Emilia-Romagna uno dei principali strumenti urbanistici che

5. P. Donadieu, Campagnes urbaines, Actes Sud, Arles, 1970


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regolano lo sviluppo delle città è il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale. Tale piano, approvato nel 2004, mette in atto i criteri della legge urbanistica regionale n.20/2000 e coincide con una fase di avvio di nuovi strumenti urbanistici comunali. L’elaborazione dei nuovi strumenti appare ancora, in questo momento, lenta e non priva di problematiche proprio in relazione alle forti innovazioni culturali, disciplinari e procedurali che la legge ha introdotto, e che solo in parte si è cominciato ad esplorare nelle loro implicazioni e a sperimentare, dopo oltre un ventennio in cui si era consolidato un ‘modello’ di Piano Regolatore, stabile, sperimentato, relativamente

rigido e diffusamente applicato in tutta la regione. La nuova legge non sembra delineare un nuovo modello altrettanto rigido, ha il pregio di aprire la strada a sperimentazioni in una pluralità di direzioni e a forme-piano non strettamente prefissate, ma fornisce vari spunti innovativi da esplorare. Per quanto attiene più direttamente alle politiche urbane, una novità significativa è quella della perequazione territoriale. Si tratta di un sistema di compensazione che deriva da evidenti esigenze di efficacia dell’offerta e di contenimento del consumo del territorio. Negli ultimi anni, le politiche insediative e le possibilità di reperire le risorse per fare fronte


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sia alla domanda di servizi, sia alla stessa tutela e valorizzazione delle risorse ambientali sono spesso due voci contradditorie dei bilanci comunali. Se ad una scala intercomunale la scelta insediativa che privilegia un Comune provoca degli incrementi nella domanda di servizi, nei costi per i Comuni confinanti; ad scala più vasta la varietà di vocazioni legate a specifiche condizioni di piano determina disparità di risorse che compromettono la complementarietà metropolitana. La legge Regionale 20/2000 fornisce il supporto giuridico generale per affrontare la questione, laddove, all’art. 15, attribuisce alla Provincia il ruolo di promotore di

Accordi Territoriali diretti a definire gli interventi di livello sovracomunale che costituiscono attuazione del PTCP. Questi Accordi Territoriali, infatti, “possono prevedere forme di perequazione territoriale, anche attraverso la costituzione di un fondo finanziato dagli enti locali con risorse proprie o con quote dei proventi degli oneri di urbanizzazione e delle entrate fiscali conseguenti alla realizzazione degli interventi concordati.” Una specifica applicazione della perequazione territoriale è poi sollecitata riguardo agli “ambiti specializzati per attività produttive”. L’art. A-13 dell’Allegato alla legge, nello stabilire che le aree produttive di rilievo sovracomunale si attuano


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tramite Accordo Territoriale, precisa che “gli oneri di urbanizzazione relativi alle aree produttive di rilievo sovracomunale sono destinati al finanziamento degli impianti, delle infrastrutture e dei servizi necessari, indipendentemente dalla collocazione degli stessi anche al di fuori dei confini amministrativi del Comune nel cui territorio è localizzata l’area produttiva. Gli accordi territoriali stabiliscono le modalità di versamento e gestione degli oneri e ne programmano in maniera unitaria l’utilizzo, assicurando il reperimento delle eventuali ulteriori risorse necessarie per la realizzazione delle dotazioni previste”. Il PTCP, individua anche le Unità di

Paesaggio di scala provinciale (UdP) come aree portatrici di “identità e specificità” da valorizzare per un corretto sviluppo dei territori rurali della provincia. Per quanto riguarda il territorio delle Unità di Paesaggio della Pianura, il PTCP mette in luce che “L’area della pianura bolognese ha da tempo cessato di essere una pura e semplice area di decentramento produttivo o residenziale dal capoluogo. Il solido impianto insediativo storico costituito da cospicui centri storici e dalla diffusa maglia appoderata, la buona dotazione di servizi di base e la ridotta presenza di incompatibilità di natura ambientale hanno sostenuto e sostengono una crescita


Tav.3 del PTCP che presenta le aree interessate da condizionamenti naturalistici e storico-paesagistici


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6. Il Piano Regionale Integrato dei Trasporti considera il passante autostradale nord, il corridoio della Trasversale di Pianura e le bretelle nord-sud che lo connettono al corridoio storico dello sviluppo regionale, quello della Via Emilia.

economica diffusa, che da un lato ha avuto effetti di dispersione insediativa non sempre razionale e non sempre rispettosa dei valori paesaggistici, dall’altro ha dato luogo a una fisionomia specifica sottolineata da autonome relazioni produttive e commerciali di grande scala, che indirizzano qui ulteriori importanti opportunità insediative e di sviluppo.” Infatti, la pianificazione provinciale ha da tempo riconosciuto un nuovo ruolo strategico al territorio della pianura, da un lato assegnando alla rete dei più solidi centri urbani un ruolo primario nell’articolazione policentrica del sistema insediativo metropolitano, dall’altro

riconoscendo al territorio rurale di pianura il ruolo di risorsa strategica, sia per la produzione agricola, sia per l’integrazione dell’offerta ambientale per la popolazione urbana. Oggi questo ruolo viene ulteriormente rafforzato nel modello di assetto strategico che si propone, attribuendo alle maglie della “grande rete” infrastrutturale del PRIT6 non semplicemente il significato di assi viari, pur importanti, ma il significato di ossatura portante delle nuove quote di sviluppo industriale, logistico e commerciale. Tra le politiche con cui orientare i diversi interventi settoriali riguardanti il sistema insediativo della pianura, si stabilisce quindi, che venga


Estratto del PRIT della Provincia di Bologna


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contenuta la sottrazione di suoli agricoli da destinarsi ad usi urbani, in particolar modo per quegli ambiti ad alta vocazione agricola. Inoltre prescrive che i nuovi insediament si attestistino in stetta contiguità con le aree urbane in maniera tale da ridurre la frammentazione delle aziende agricole. (Sezione B.2.7.1 delle Scelte Strategiche di Assetto del Territorio del PTCP) Lo stesso PTCP inoltre denota una crisi del settore agricolo che si riflette anche sulla qualità ambientale e socio-economica per effetto di una tendenza all’abbandono e di un decremento delle attività, oltre ad un’eccessiva artificializzazione tendenzialmente ancora in atto. Rende,

perciò, indispensabile una politica di sviluppo tale da promuovere le attività sostenibili sotto il profilo socioeconomico ed ambientale attraverso misure volte a salvaguardare il valore naturalistico e paesaggistico del territorio. ( sez. B.2.7.6) La dualità che emerge da questo Quadro Conoscitivo che propone un territorio rurale ad alta vocazione produttiva ed un altro di maggior rilievo paesagistico è prevista dalla L.R. 20 /2000, nel Capo A-IV, che richiede allo stesso PTCP di individuare gli ambiti agricoli previsti dalla stessa legge. Non si tratta, però, di un dualismo netto tra tipologie ma di macro-ambiti rurali ove l’uno o l’altro aspetto risulta prevalere. E’


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infatti solo al livello del PSC che sarà possibile delimitare definitivamente tali ambiti , come la L.R.20/2000 prevede espressamente. Questa duplicità di intenti si riscontra anche nell’ “ambito agricolo periurbano bolognese”, l’unico di livello provinciale che è stato individuato nel PTCP in relazione alle scelte insediative ed infrastrutturali. Infatti, se gli orientamenti generali per il governo del territorio rurale nella sua totalità possono essere estesi a tutti gli ambiti che lo compongono, ognuno di essi necessita, tuttavia, di politiche e azioni particolari aderenti alle peculiarità produttive, naturali ed economiche che lo connotano.

L’ambito agricolo di prevalente rilievo paesaggistico, perciò, è la sede dove promuovere prioritariamente un’agricoltura multifunzionale dedicata in particolare al presidio del territorio e all’attività agrituristica, mentre l’ambito agricolo ad alta vocazione produttiva necessita prioritariamente di una tutela dei suoli produttivi e in esso è importante favorire la diffusione dell’azienda produttiva specializzata. L’ambito periurbano, invece, per la sua stretta correlazione con l’urbanizzato, funge da polmone verde della città dove sviluppare attività agricole correlate alle funzioni ricreative, didattiche ed ecologiche anche attraverso la possibilità di


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compensare l’impronta urbana. Il PTCP svolge il ruolo di quadro strategico e di quadro di riferimento unitario per le politiche settoriali che operano nel territorio rurale ed individua specifici indirizzi per gli strumenti di pianificazione e programmazione che agiscono nell’ambito provinciale. Il territorio rurale nel suo insieme, può così concorrere all’innalzamento del livello di competitività economica dell’intera provincia attraverso: le proprie produzioni tipiche la gestione corretta del territorio e del paesaggio che contribuiscono ad un’immagine positiva della città lo sviluppo dei punti di forza della filiera dell’agroalimentare già

esistenti. L’azienda agricola, nella propria autonomia imprenditoriale e nelle sue varie caratterizzazioni, viene dunque posta al centro dell’azione intersettoriale, mentre con la consapevolezza che le dinamiche economiche proprie del settore agricolo sono scarsamente condizionabili attraverso strumenti di pianificazione territoriale, il PTCP formula alcuni indirizzi per quegli aspetti della produzione agricola e delle funzioni rurali dell’azienda agricola che più hanno uno stretto legame con la gestione del territorio. I temi di carattere più territoriale su cui il PTCP si sofferma maggiormente sono quelli connessi a:


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- il controllo e la limitazione dell’artificializzazione del territorio rurale, con particolare riguardo agli ambiti di pianura in cui si sono rarefatti gli spazi naturali e agli ambiti idraulicamente fragili; - il contenimento dei consumi quali-quantitativi della risorsa idrica attraverso l’adozione di tecniche meno idroesigenti, la diversificazione degli apporti idrici (recupero delle acque superficiali negli ambiti geomorfologici idonei, utilizzo idrico integrato con altri settori, riutilizzo di invasi preesistenti, prelievo dalle falde che manifestano regolarità di ricarica, ecc) nonché la diffusione delle colture biologiche ed integrate nei territori ove sono carenti le

protezioni naturali delle falde. Attraverso le norme il PTCP si pone poi l’obiettivo di indirizzare i PSC e i RUE all’accoglimento del recentemente mutato quadro legislativo nazionale. Dall’analisi di questi strumenti urbanistici emerge che come afferma André Corboz “ Se oggigiorno, la dicotomia rurale-urbano è in fase di superamento, non lo è tanto in virtù della nuova concezione territoriale che interviene solo in un secondo momento, quanto dell’estensione dell’urbano all’insieme del territorio.”8

8. Andréz Corboz, Il territorio come palinsesto, in Casabella, n.516, 1985, pag.27


Rappresentazione delle mura di Milano di Pietro del Masajo 1472, conservata presso la Biblioteca Apostolica Vatticana


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Le cinture verdi

Fin dall’antichità, quando la civiltà egizia rappresentava i suoi agglomerati urbani, nella scrittura geroglifica, come una croce all’interno di un cerchio, compaiono i simboli raffiguranti il “limite” e quelli che verranno poi definiti come cardo e decumano, assi stradali ortogonali. A partire da società sufficientemente evolute il limite è parte integrante del concetto di “città”. L’evoluzione naturale di questo limite è stato l’innalzamento delle mura urbane durante il Medioevo, contemporaneamente strumento di difesa e di riconoscimento, quando ancora ciò che era al di là delle mura era oscuro e sconosciuto, quindi malvagio. Ma presto la modernizzazione scalza

le mura dalla loro funzione originaria, ormai l’ignoto esterno non è più così “ignoto”. Si procede all’abbattimento in alcune città (o alla conservazione del manufatto privato della sua funzione) cancellando così la separazione ancestrale che vi era fra la città dentro-le-mura e i sobborghi che la costellavano, appendici esterne a ridosso della fortificazione. Di nuovo si evolve il concetto di città: non più solo ciò che è stato costruito all’interno delle mura ma tutto ciò che è stato costruito. Vi è una significativa distinzione fra città e campagna. Successivamente, la rivoluzione industriale Ottocentesca non solo apporta cambiamenti socioeconomici ma anche l’esigenza di

In alto a destra il geroglifico rappresentante la città, Cappella Bianca di Karnak, primo distretto di Aneb-Hetch, vicino Saqquara


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ri-definire forma e immagine della città per adattarsi alla sua nuova identità. Lo spezzarsi dell’accordo armonico città-campagna fa comprendere come questa pretesa di totale controllo non sia che un’illusione che ha portato a significativi errori nella progettazione dell’evoluzione della città. Si palesa la necessità di ristabilire l’armonia. Gli studi anglosassoni per la risoluzione di questo problema, tramite l’uso della “cintura verde” come strumento di contenimento e controllo dell’espansione urbana, costituiscono il sostrato teorico per un modello progettuale che ha assunto negli anni a venire diverse

declinazioni.Fra queste, ricopre un’importanza rilevante, lo sviluppo del concetto urbanistico dell’ embellissement, poiché si configura come strumento di progetto per garantire l’igiene e la salute pubblica. Le aree verdi sono organizzate in un disegno organico anche grazie ai viali alberati che le connettono. In questo panorama le antiche mura della città diventano occasione di ordinamento e rinnovo del sistema urbano: riutilizzando l’antico tracciato oppure in caso di demolizione sostituendolo con un’arteria per il traffico veicolare che corre attorno alla città accompagnata da passeggi, parchi e giardini pubblici


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oppure aree in cui è stata consentita l’edificazione. Due esperienze concluderanno il periodo Ottocentesco, differenti sia geograficamente che culturalmente. La prima è quella di Ebenezer Howard in Inghilterra, culla degli studi sul tema del green belt, come risposta ai problemi funzionali e sociali generati dalla rivoluzioni industriale, con il quale egli denota una cintura di spazi verdi agricoli attorno alla città. Questo particolare schema è ispirato dal visionario sviluppo di Londra, auspicato da John Claudius Loudon, in cui la città si sviluppa alternando cerchi concentrici di verde a cerchi di nuove costruzioni. Da questo

acerbo schema è possibile però notare la necessità di integrazione fra costruito, verde e mobilità in una città sempre più in conflitto con la campagna.(Conseguentemente si delineano le prime ipotesi di acquisizione della cintura verde alla proprietà pubblica tramite un sistema perequativo).Così il modello della garden city si pone come mediatore fra città e campagna, per far sì che una non prevarichi l’altra, sottolineando l’importanza del lavoro sinergico tra le stesse. Questo nuovo impianto di città pone al centro il parco pubblico e ai bordi un “grande viale”, trattasi di un parco integrativo costeggiato da residenze e servizi pubblici.

Diagramma delle Garden City di Ebenezer

Schema di Londra di John Claudius Ludon


Planimetria dei Green Garden Suburbs ad Hampstead,Raimond Unwin,1900


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Lo sviluppo successivo della città dal nucleo primigenio si configura per unità cellulari ad alta densità separate da strette cinture di verde rurale, dove allora aveva luogo la produzione e erano presenti i servizi. Un primo tentativo, purtroppo fallito, è quello della creazione della città giardino di Letchworth nel 1909 per la quale fu acquisita pubblicamente un’area dalla Letchwoth Garden City Corporation. Nonostante tutto, questa città costruita secondo l’impianto Howardiano, costituirà il basamento su cui si svilupperanno le moderne esperienze inerenti il tema. Successivamente il testimone passa

a Raymond Unwin le cui preoccupazioni sono sia estetiche che igieniche. I suoi progetti cercheranno di porre ampi spazi verdi al delimitare degli agglomerati urbani, per rispondere alle esigenze di svago della popolazione, messi a sistema costituiscono una ghirlanda di aree verdi chiamate Green Girdle. Questi spazi verdi non saranno esclusivamente di proprietà pubblica ma una quota di essi sarà di proprietà privata. La visione di Patrick Abercrombie invece si basa sulla netta “separazione” o meglio distinzione fra città e campagna per il necessario raggiungimento di obiettivi multipli e complementari di bellezza, salute

Green Belt Act del 1938 e il Town and Country Planning Act del 1947 che definiscono le cinture verdi come veri e propri strumenti di pianificazione.

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e convenienza. In questo contesto storico ben si inserisce la cintura verde, foriera di novità, speranze e praticità. Nel Regno Unito, sulla base delle teorie dei “padri” delle cinture verdi, tra il 1930 e il 1950 si procede alla stesura di carte1, atte a garantire l’acquisizione pubblica e la destinazione d’uso del territorio agricolo, proteggendolo dall’espansione urbana indiscriminata.

Planimetria di Letchworth, Ebenezer Howard,1909

Ma l’avvento della crisi degli anni Sessanta porta a concepire la città come un elemento in rapida evoluzione e crescita che prevarica l’elemento statico della cintura verde. Successivamente la crisi socio-economica degli anni Ottanta non fa che

accentuare i limiti della teoria della cintura verde in quanto non è più sufficiente a contenere la dispersione urbana. Se da una parte il Royal Town Planning Institute e il Town and Country Planning Association fanno notare come le cinture verdi, così come sono state concepite, non siano uno strumento adeguato per lo sviluppo delle città2; dall’altra il London Green Belt Council e il Council for the Preservation of Rural England intuiscono le potenzialità di questo concetto (sebbene si distacchino dalle teorie Howardiane) se applicato su vasta scala e che l’esclusione sociale delle classi meno agiate non si risolve cedendo la cintura verde all’urban sprawl3.


London City Plan, Patrick Abercrombie, 1945


Emerald necklace di Boston, Frederick L. Olmsted, 1986


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La seconda esperienza è quella di Frederick L. Olmsted che nel 1865 fa della reticolarità e della connessione i temi principali delle sue teorie progettuali. Si tratta dell’evoluzione della cintura verde, non più oggetto statico nel territorio ma insieme di diversi percorsi verdi, chiamati parkways, atti a connettere i singoli parchi con le risorse delle diverse municipalità, valorizzando l’insieme e permettendo un adeguato passaggio dallo spazio urbano a quello naturale. Ma saranno le green fingers4, sul finire degli anni Settanta dell’Ottocento, ad esplicitare una serie di soluzioni progettuali atte a trasportare l’elemento

naturale e rurale nella città. Successivamente Charles Eliot, ispirandosi a Olmsted, concepirà un sistema di parkways a scala territoriale chiamati greenways. Per la prima volta si compie uno studio scientifico sul campo in cui vengono redatti dei rapporti sulle criticità, l’ecologia metropolitana, la morfologia, l’orografia e le possibili soluzioni progettuali. Il territorio si eleva da oggetto, che subisce passivamente le modifiche antropiche, a soggetto in grado di determinare le modifiche in base a quelle che sono le sue caratteristiche, le sue identità.

2 “…in alcune parti del paese le cinture verdi inibiscono un appropriato sviluppo sostenibile delle aree urbane e spesso limitano le opportunità di ridurre fenomeni di esclusione sociale”(Town and Country Planning Association, Policy Statement: Green Belts, May 2002, http://www.tcpa. org.uk) 3 “…possono dare forma a modelli di sviluppo a scala regionale e subregionale […] e contribuire all’individuazione di modelli sostenibili di sviluppo urbano” (Department of Enviroment, op. cit., 1995, pag. 1, Intentions of Policy)


Boulevard à redans di Eugène Hénard, secolo XX


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Nonostante la lontananza geografica dall’Inghilterra, si avverte lo stesso pressante bisogno di aree verdi quali luoghi di svago per la popolazione urbana, nonché strumenti di controllo dell’espansione urbana. In Francia, Eugène Hénard e Jean Claude Nicolas Forestier giocheranno sull’estetica della discontinuità. Il primo alternando fasce di verde e di costruito in modo ritmico favorendo la ricomposizione del tessuto edificato mentre il secondo riallacciandosi alla teoria della green belt in modo originale, ipotizza al posto dell’impianto delle mura demolite una serie di aree costruite alternate ad aree verdi connesse da viali

alberati. Come in Inghilterra si sente il bisogno di ampliare il sistema dei parchi dal livello urbano a quello regionale. In Germania invece si utilizza la cintura verde assieme ai cunei verdi per imbrigliare la crescita disordinata della città in una crescita radiale, garantendo così la connessio della città col i punti ad essa esterni5. Russia e Finlandia elaboreranno il modello howardiano ponendo la green belt come elemento di separazione della città vera e propria da un sistema esterno ad essa di città giardino. In un discorso generale l’Europa

4 Norman T. Newton, Design on the Land. The development of Landscape Architecture, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1971, pagg.290306


Particolare del Panorama di Vienna, Gustav Veith,1873, conservato presso l’Historisches Museum der Stadt Wien


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intraprenderà due vie: la prima vede il verde all’interno della città come una presenza diffusa che riconnette l’ambiente urbano; la seconda vede il verde come un sistema che si inserisce nell’urbe utilizzando gli spazi di risulta. L’importante è che le teorie vengono accompagnate dall’analisi scientifica e la redazione di piani che diventano strumento con cui si legittima la progettazione di aree verdi. Oltreoceano invece, all’interno Deal Program ideato dal Presidente Roosvelt per far fronte alla Grande Depressione, nascono le Greenbelt Towns che prendono spunto dalle garden cities inglesi. Nate dai buoni propositi, per risollevare un paese

da una serie di problemi socioeconomici, falliscono poiché non essendo state previste delle attività produttive, queste piccole città di nuovo impianto sono dipendenti in tutto dalla grande città attorno a cui orbitano, venendo così declassate a semplici sobborghi in cui la scarsa protezione istituzionale delle fasce di rispetto ha fatto sì che queste cadessero preda della speculazione edilizia. L’inizio del XI secolo ha portato alla formulazione e al perfezionamento di ipotesi alternative alle cinture verdi, che differiscono da esse poiché le aree sono di dimensioni ridotte. Rispetto alle prime teorie vi è

Fritz Schumacher, Grünpolitik der Grosstad-Umgebung, in Conférence Internationale de l’aménagement des Villes Amsterdam 1924, Atti del convegno di Amsterdam 1924, pag. 105, cit. in Franco Panzini, op. cit., 1993, pag.294)

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rappresentazione planimetrica di Green Wedge ad Hartlepull

la possibilità di applicare un regime politico flessibile a seconda delle connotazioni socio-politiche che si verificheranno col passare degli anni.

trattano aree geografiche più estese, dove sono peraltro presenti villaggi e piccole realtà urbane da preservare evitando che si fondano tra di loro in modo sconsiderato.

Strategic Gaps: si tratta di strisce di territorio, che eventualmente possono essere molto sottili, le quali hanno il compito di proteggere gli insediamenti in cui sono poste per conservarne la forma, assicurando benessere psico-fisico per gli abitanti.

Green Wedges: si tratta di cunei verdi larghi da uno a quattro miglia che si inseriscono nell’area urbana per proteggere quei territori liberi affinché preservino e incrementino la loro naturalità e fungano come zone ricreative che al tempo stesso modellano lo sviluppo urbano.

Rural Buffers: si tratta di porzioni di territorio profonde fino cinque miglia (un po’ più di 8 Chilometri) che vengono utilizzate quando si


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Quale natura?

“[…]Promozione di metodi sostenibili di gestione forestale, di imboschimento e di rimboschimento” “promozione di metodi sostenibili di agricoltura, alla luce delle considerazioni relative ai cambiamenti climatici” “Ricerca, promozione, sviluppo e maggiore utilizzazione di forme energetiche rinnovabili, di tecnologie per la cattura e l’isolamento del biossido di carbonio e di tecnologie avanzate ed innovative compatibili con l’ambiente” “Limitazione e/o riduzione delle emissioni di metano attraverso il suo

recupero ed utilizzazione nel settore della gestione dei rifiuti, come pure nella produzione, il trasporto e la distribuzione di energia” Questi sono alcuni impegni presenti già nel secondo articolo del Protocollo di Kyoto ed assunti dalle Nazioni che nel 1997 lo firmarono. Un accordo internazionale mirato alla riduzione dei gas serra entro il 2012, un documento che si ispira ad atti e carte compilati a partire dall’Ottocento quando il problema della vivibilità delle città si è posto parallelamente alla rivoluzione industriale, generalmente incontrollata. Un protocollo che si pone come strumento in grado di condizionare,


Le Nazioni ridimensionate sulla base del loro totale di CO2 nel 2009 , di Benjamin Henning, Sasi ResearchGroup, UniversitĂ di Scheffield


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anche a livello economico (con sanzioni applicate agli stati inottemperanti), la crescita delle Nazioni verso un rispetto sempre maggiore per gli elementi naturali che inevitabilmente sfruttiamo per far fronte al progresso economico. Ci troviamo ora alla sua scadenza e possiamo dunque valutare come proprio questi punti siano stati il motore di una serie di cambiamenti dal punto di vista dell’ambiente naturale e del loro impatto, o di come continuino a generare proposte lungimiranti nell’ottica di un cambiamento radicale. L’Italia nel 2002 ratificò il Protocollo impegnandosi a ridurre le emissioni

dei gas serra del 6,5% rispeto ai livelli del 1990. Da allora le nostre emissioni sono aumentate di più del 9%, mentre da accordi previsti le emissioni dovrebbero essere ridotte del 15%. Se ciò non avverrà, le sanzioni previste saranno dell’ordine dei 5 mila euro annui. Dipendiamo ancora per il 75% dai combustibili fossili e forse solo fra 20 anni riuscriremo a svincolarci dal petrolio, dai gas e dal carbone, ma poiché al momento non possiamo farne a meno non ci resta che acquistare i “carbon credit”. I “carbon credit” sono un sistema di compensazione che parte dal concetto che l’atmosfera è un elemento dinamico e senza confini e si fonda sulla filosofia che vede


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l’intera umanità come all’interno di un Villaggio Globale. Le formule per acquisire i carbon credit contenute nel Protocollo di Kyoto si possono riassumere nelle seguenti tre modalità principali: Joint Implementation: attuazione congiunta degli impegni fra paesi industrializzati; Emission trading : compravendita di quote di emissione di gas serra fra paesi industrializzati (iscritti nell’elenco annex 1); Clean development mechanism: Acquisizione da parte dei paesi industrializzati di crediti alle emissioni attraverso aiuti allo sviluppo sostenibile nei Paesi in via di sviluppo. Attualmente il gas serra si misura

in tonnellate di CO2 prodotte e chi non riesce a ridurre le emissioni può annullare il divario acquistando delle quote per il rimboschendo di aree prive di vegetazione in Europa o nei Paesi in Via di Sviluppo. Possiamo anche compensare realizzando impianti di produzione di energia elettrica in Italia o all’estero basati su energie rinnovabili (solare, eolico, idraulico), o ancora proteggendo le foreste del pianeta dal disboscamento e dagli incendi (come è emerso dall’ultimo summit di Montreal). Il paesaggio della nostra nazione sta, infatti, progressivamente mutando alla luce di queste nuove direttive di sviluppo. Affianco al verde delle


Le classi di CO2 emesse

DensitĂ abitativa

Rielaborazione dei dati Eurostst 2006 ed ENEA 2005 sulle classi di CO2 emesse in Europa ed in Italia

Verde urbano pro-capite


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La trasformazione del paesaggio rurale dovuta al fotovoltaico

piantagioni di grano troviamo distese celesti di pannelli fotovoltaici. Con il DM del 28.07.2005 era stato introdotto in Italia il Conto Energia, un meccanismo di incentivi mirato a sostenere lo sviluppo e la diffusione dell’energia solare fotovoltaica. E’ stata un’innovazione fondamentale perché ha permesso di passare dai contributi a fondo perduto versati in un’unica soluzione ad un contributo graduale nel tempo e commisurato all’effettiva produzione di energia elettrica da parte dell’impianto solare. Tuttavia presentava alcuni limiti riguardanti il difficile accesso alle tariffe tramite domande e graduatorie, i tetti di incentivazione insufficienti, le procedure burocratiche complesse. E’ stato perciò

rivisto negli anni (D.M. 19.02.2007, D.M. 06.08.2010, D.M. 05.05.2011) in modo da introdurre semplificazioni e migliorie.Il Quarto Conto Energia individua un obiettivo di potenza fotovoltaica da installare a livello nazionale di circa 23.000 MW ed ha previsto una progressiva e programmata riduzione delle tariffe nel tempo al fine di allineare, gradualmente, l’incentivo pubblico con i costi delle tecnologie e mantenere stabilità e certezza sul mercato. Tutto ciò ha permesso un rilancio del settore e da un analisi effettuata dal GSE (Gestione Servizi Energetici) si legge quanto segue: “A fine 2011 sono in esercizio in Italia circa 330.200 impianti per 12.780 MW


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installati ed 11 TWh prodotti.L’anno si è arricchito di 174.220 nuove unità per una potenza aggiuntiva di 9.300 MW, quasi tre volte la potenza esistente al 31 dicembre 2010. Il balzo risente, in primis, della graduale entrata in esercizio di oltre 3.700 MW del cosiddetto Decreto “Salva Alcoa” nel primo semestre e dell’accelerata connessione d’impianti per godere, entro il mese di agosto, delle migliori condizioni del Terzo Conto Energia rispetto all’entrante Quarto Conto. La rapida diffusione della tecnologia ne testimonia anche il buon grado di accettazione. Almeno un impianto è presente nel 95% dei comuni italiani (7.730 su 8.094 nel 2011; 876 nel 2006) ed il 95% degli impianti

esistenti è collegato in bassa tensione con una taglia media di 11 kW. L’Italia si colloca nel 2011 al secondo posto nel mondo per capacità fotovoltaica totale in esercizio alle spalle della Germania e al primo posto, davanti alla stessa Germania, per nuova capacità installata nell’anno. Un’altra fonte di energia alternativa che ha preso piede a seguito dei Trattati internazionali, e che punteggia il paesaggio dello Stivale sono le centrali a biogas. La rivista Bioenergy International N. 51, 3-2011 riporta che, secondo i dati presentati alla prima edizione di Bioenergy Italia, il numero delle istallazioni di impianti a biogas è quasi

La distribuzione di impianti a biogas nella penisola italiana


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Gli impianti di produzione di biogas che punteggiano le campagne

raddoppiato rispetto a tre anni fa: dai 154 impianti operativi nel 2007 ai 273 nel 2010. Inoltre la Fondazione per le stime per lo sviluppo sostenibile ha previsto un investimento di altri 5,17 miliardi di euro in nuovi impianti di biogas entro il 2020. Questo sistema di produzione energetica inoltre contribuisce anche alla gestione dei rifiuti in quanto riutilizza effluenti di allevamento, colture o altri residuati vegetali. Al punto da generare delle controversie, come a Quingentole nel Mantovano, in cui le potature del verde pubblico vengono contese tra il Comune che le brucia per produrre energia nella centrale a Biomasse che fa funzionare la scuola locale, il municipio, un teatro

e una palestra, e allo stesso temposervono alle aziende di compostaggio per produrre i concimi naturali. Quella dei compostatori è una realtà che in italia conta circa 230 grossi impianti che trasformano in concimi 3,4 milioni di tonnellate di rifiuti naturali l’anno, evitando l’immissione nell’atmosfera di sette milioni di tonnellate di Co2. Poco meno della metà dei rifiuti lavorati deriva proprio dalle potature contese, il resto è l’umido della raccolta differenziata. Nel dicembre 2010, per venire incontro ai compostatori, un decreto aveva stabilito che solo le ramaglie delle aziende agricole possono diventare biomasse.


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L’ennesima svolta l’ha impressa un decreto, il quarto in cinque anni, col quale, a marzo del 2011, il ministero dell’Ambiente ha riclassificato le ramaglie come biomasse Il Cic, il consorzio italiano che riunisce centoventi aziende del settore, invoca da tempo una vera pianificazione, spiegando che in Italia c’è materia prima sufficiente per le biomasse come per il compost. Il compostaggio è una tecnica attraverso la quale viene controllato, accelerato e migliorato il processo naturale a cui va incontro qualsiasi sostanza organica per effetto della flora microbica naturalmente presente nell’ambiente. Il processo di compostaggio può

riguardare matrici organiche di rifiuti preselezionati (quali la frazione organica raccolta dei rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata o i residui organici delle attività agro-industriali) per la produzione di un ammendante compostato da impiegare in agricoltura o nelle attività di florovivaismo, noto come “Compost di qualità”. Nel caso di trattamento dei rifiuti indifferenziati per il recupero della frazione organica tramite compostaggio, questi vengono avviati a sistemi di trattamento meccanicobiologico per la produzione della Frazione Organica Stabilizzata (FOS) da impiegare per attività paesaggistiche e di ripristino ambientale (es. recupero di ex cave), o per la


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Piante di colza da cui si estrae un olio usato nelle industrie

copertura giornaliera delle discariche. Il trattamento biologico consente di trattare le frazioni organiche presenti nei rifiuti non raccolti in maniera differenziata, ottenute attraverso la selezione meccanica post-raccolta. In base ai dati APAT-ONR rilevati nel 2004 e relativi al 2003, in Italia risultano 118 impianti di trattamento meccanico-biologico e/o produzione di CDR di cui in esercizio 94, contro i 68 impianti operativi del 2002; le quantità trattate nel 2003 risultano pari a circa 7,4 milioni di tonnellate a fronte di una potenzialità complessiva di circa 11,8 milioni di tonnellate, registrando un incremento del 15% dal 2002 al 2003. Non sono solamente le stazioni

fotovoltaiche o gli impianti a biomasse che contribuiscono a modificare la struttura del paesaggio ma anche la mutata coltura dei terreni, che risulta implementata da quei tipi di coltivazioni dette Colture energetiche o anche chiamate No Food. Questo tipo di colture, infatti, sono caratterizzate dall’avere come finalità principale la produzione di energia e non rientrano nella filiera del settore alimentare. Si è preso atto, con il Trattato di Kyoto, che molte risorse naturali non rinnovabili si stanno gradualmente esaurendo. Per razionalizzare il loro sfruttamento, e nel frattempo elevare visibilmente la qualità dell’ambiente, è importante valorizzare le risorse


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naturali rinnovabili e biodegradabili. Di conseguenza, é necessario favorire il consumo di materiali d’origine agricola anche nel settore non alimentare per prevedere la sostituzione graduale di composti sintetici e dei derivati del petrolio. Il prodotto agricolo in questione può essere della granella da cui estrarre olio per l’ottenimento ad esempio di biodiesel, o da far fermentare per l’ottenimento di prodotti come bioetanolo, oppure biomassa da convertire in energia attraverso processi chimici, termici e biologici. Le piante che possono avere un riscontro interessante per l’aspetto energetico, escludendo quindi i residui colturali destinati ad altri

impieghi, si possono suddividere in due gruppi principali: -Quelle simili ad altre già coltivate; -Quelle di nuova introduzione; Per entrambe si impone lo studio accurato della loro offerta in relazione alle agrotecniche di maggiore sostenibilità e alla conveniernza della loro coltivazione, oltre alla verifica di compatibilità con il suolo e il clima in cui si inseriscono. Se per le specie di nuova introduzione si dispongono conoscenze limitate sugli itinerari colturali adatti ai contesti italiani, anche per le colture tradizionali, tuttavia, è richiesta una rivisitazione delle agrotecniche dovuta alle rapide innovazioni a cui queste sono soggette.


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In alcuni casi c’è la necessità di sviluppare programmi di miglioramento genetico mirati a perfezionarne le capacità di adattamento, la resistenza alle fitopatie dominanti, la resa finale. In altri casi,(es. il sorgo), occorre, invece, diversificare notevolmente il protocollo colturale in funzione della filiera di destinazione del prodotto (biomassa oppure bioalcool). I tipi di filiera individuati sono di tre tipi: energetica, biodisel, oli industriali. Occorre sottolineare che la produzione agricola destinata a un processo industriale deve essere in grado di soddisfare esigenze di carattere generale e specifico, riassumibili nei seguenti punti:

Necessità di prevedere le rese per esigenze di pianificazione e produzione; Necessità di ottimizzare il processo produttivo (localizzazione delle aree, stabilità della produzione, previsione dei costi); Valutazione dell’impatto ambientale. Per questa serie di motivi l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) nella circolare del 16 marzo 2008, ha indicato tra le colture energetiche i seguenti tipi di seminativi : semi di girasole; semi di colza e soia; frumento tenero e granella di mais; mais da foraggio; semi di crambe, brassica, altri oleosi; piante vivaci da piena aria (kenaf,


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altre), sorgo e canapa. essenze arboree (pioppo a breve rotazione, eucalipto, salice, robinia). Molti di loro rappresentano una possibilità per aumentare la sostenibilità di uso del suolo in quanto gli vengono attribuiti diversi benefici ambientali e la possibilità di essere coltivate anche in aree marginali. Non andrebbe, inoltre, trascurato il vantaggio ambientale che ne deriva dal cambio di destinazione d’uso del suolo, per via del minor input di risorse richieste (fertilizzanti, antiparassitari, acqua, impiego di mezzi meccanici, ecc.) Bisogna fare attenzione affinchè questo utilizzo del suolo non venga dedicato uno spazio eccessivo.

Quando la produzione di bio-energie cessa di essere una produzione razionale per diventare business con migliaia di ettari agricoli dedicati a colture che non sfameranno mai nessuno per finire nei digestori, produrre più energia e far lievitare i profitti, bisogna prendere posizione e richiamare l’attenzione su una pratica che invece che ridurre l’inquinamento potrebbe rischiare di aumentarlo. Valgono le stese considerazioni anche per il fotovoltaico: perché sacrificare i terreni agricoli quando ci sono aree industriali dismesse, tetti e sterminate superfici già cementificate che potrebbero essere destinate agli impianti?

area industriale dismessa su cui potrebbero essere installati dei pannelli fotovoltaici


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Al fine di sottrarre aree verdi all’abusivismo edilizio, alla speculazione ed all’inquinamento ambientale, associazioni come Italia Nostra stanno promuovendo la realizzazione di orti urbani in cui é possibile da un lato, promuovere i sistemi agricoli locali valorizzando i prodotti del territorio e dall’altro, avviare campagne informative presso i consumatori per promuovere l’acquisto dei prodotti freschi di stagione. In sostanza si sta diffondendo una modalità comune in tutta Italia (pur nelle differenti caratterizzazioni geomorfologiche dei luoghi) di come “impiantare” o conservare un “orto”, inteso nel senso di parco “culturale”, volto a recuperare specie in

via di estinzione ma anche a coltivare prodotti di uso comune con metodologie scientifiche. Prodotti che possono anche essere venduti dagli interessati a prezzi economici nella logica di accorciare la filiera dal produttore al consumatore. Attività di educazione ambientale e culturale possono fare infine da cornice all’iniziativa. Gli orti urbani, quindi, oltre ad essere un mezzo importante di socializzazione nelle aree urbane, possono divenire l’occasione per riappropriarsi dei valori persi legati all’importanza di una sana alimentazione e non solo. La Fondazione Campagna Amica ha realizzato, a questo scopo, una


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serie di orti urbani gestiti seguendo pratiche agronomiche sostenibili che intendono rispondere alle aspettative dei consumatori di avere prodotti ortofrutticoli freschi e di stagione, ottenuti con processi produzione a basso impatto ambientale e offerti ad un giusto prezzo. In questo modo ha di fatto evidenziato come la realizzazione degli orti urbani consente di riorientare i cittadini consumatori verso le produzioni locali allontanandoli dal modello di alimentazione che si è andato consolidando dagli anni ‘50 in poi, basato su un omologazione dei cibi. Per quanto concerne l’esperienza italiana va sottolineato, inoltre, come il tema degli orti urbani appassioni i

più, ma ci sia ancora molto da fare poiché gran parte degli orti sono stati realizzati abusivamente. Oggi si sta cercando di legalizzare la maggior parte di questi. I problemi principali che si riscontrano con la Pubblica Amministrazioni non sono tanto legate alla richiesta di finanziamenti, quanto all’individuazione dei siti, al rilascio delle autorizzazioni e alla concessione insieme ai terreni anche di spazi edificati nei quali organizzare le attività didattiche o i momenti di socializzazione. Al sistema delle pratiche sostenibili collegate si ricollegano però anche i presidi Slow Food ovvero un insieme di oltre 1600 piccoli produttori (contadini, pescatori, norcini,


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pastori, casari, fornai, pasticceri) che si impegnano a salvare i prodotti radicati nella cultura del territorio e ottenuti con tecniche sostenibili. Rappresentano perciò un nuovo esempio di nuova agricoltura virtuoso basato sui principi di qualità, sul recupero dei saperi e delle tecniche produttive tradizionali, sul rispetto delle stagioni, sul benessere animale. Agendo in questo modo rafforzano le economie locali e favoriscono la costituzione di un’alleanza forte tra chi produce e chi consuma. Secondo l’esperto di agricoltura sociale, Francesco Di Iacovo dell’Università di Pisa, la soluzione offerta da questo tipo di pratiche sociali

sembra una piccola soluzione, ma in essa contiene i germi per una trasformazione complessiva del settore agricolo. Invita perciò a non commettere gli stessi errori commessi per il biologico, che ha accumulato un ritardo di circa vent’anni prima di essere regolamentato. Occorre cambiare i modi di distribuire valore, costruire competenze e saper coniugare quelle sociali con quella agricole. Per capire come praticare un tipo di urbanistica volta alla mutazione piuttosto che all’estensione possiamo ispirarci alle proposte presentate in occasione della consultazione sul tema Gran Pari(s). Il presidente


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francese Nicolas Sarkozy nel 2008 ha accolto la sfida dei cambiamenti climatici e dell’esaurimento delle energie fossili ed ha invitato 10 equipe di esperti ad immaginare gli scenari di sviluppo possibili per l’agglomeration parigina. Il nome dato al tema della consultazioneinternazionale gioca, infatti, sul doppio significato del termine“Pari(s)”, che permette di considerare sia “La Grande Parigi” ovvero quella comprendente anche tutta l’area metropolitana, sia “la grande scommessa” ovvero quella di diventare una città modello “Post-Kyoto”. La questione ambientale risulta, quindi, uno dei principali temi sui quali le diverse équipes sono state

chiamate a riflettere. Globalmente il loro contributo ha messo in luce la necessità di nuovi modelli che creino delle relazioni dirette fra la città e la natura. Hanno sottolineato la necessità di risolvere questo obbiettivo a diverse scale di progetto: la scala del grand paysage , nella quale sono evocate l’agricoltura, la foresta, la valle della Senna ed i corridoi ecologici; la scala locale, che permette di strutturare l’agglomeration parigina, le città al suo interno e i suoi quartieri. Per tutti i gruppi la geografia del sito e la sua topografia è stata la base su cui costruire i propri ragionamenti riguardo la scala del paesaggio, le sue componenti e le sue


Le reti e gli spazi interstiziali nel progetto del gruppo LIN

Progetto lungo la Senna dell’equipe Grumbarch


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risorse nell’ottica di uno sviluppo sotenibile. Ad esempio il gruppo LIN (Finn Geipel Giulia Andi) e il gruppo Studio 09 (Bernardo Secchi e Paola Viganò) hanno previsto una riconquista del fiume, per poter prendersi cura del suo carattere naturale edd imprevedibile. Immaginano delle nuove espansioni sospese su palafitte o come piccoli quartiri regolati da dighe che possano conquistare le sponde e riaffermare il carattere acquatico della Senna. Mentre il gruppo Descartes e quello di Rogers insistono sul ruolo importante che può avere la foresta contro il riscaldamento globale. Il gruppo Descartes propone di estendere almeno del 30% la foresta verso l’Ile

de France sia per rispondere all’imperativo climatico, sia per sviluppare la filiera del legno da costruzione, aumentandone la produzione del 50%. Rogers invece suggerisce di piantare una foresta nei pressi dell’aereoporto di Rossy-Charles-deGaule. Una foresta che stima essere di 1milione di alberi e che permetterebbe di sottrarre ben 13 tonnellate di CO2 all’anno, ovvero 1/100 dell’ufficiale impatto energetico prodotto dal consumo energetico della Ville Lumiere. Oltre al problema della natura come risorsa, gli studi hanno esteso le loro riflessioni anche sulla flora e la fauna, relativamente al problema della biodiversità. E’ stato posto l’accento


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sul ruolo che hanno le foreste e gli spazi urbani abbandonati come contenitori che preservano la biodiversità. Per permettere la migrazione delle specie, le équipes di Rogers, Descartes e Nouvel hanno immaginato lo sviluppo di corridoi ecologici lungo le infrastrutture (ferrovie, autostrade). autostrade). Il paesaggio naturale viene così a delimitare e definire la città secondo varie forme: le penetranti agricole di Nouvel, i corridoi verdi di Studio 09, i sei grandi parchi naturali del gruppo Descartes, o i patchwork interstiziali di Castro e LIN. La ruralità partecipa a dare un corpo alla metropoli fino ad immischiarsi all’interno dei quartieri, in un’ottica di articolazione

fra la scala locale e quella globale. Le terre agricole sono soggette ad un nuovo approccio all’interno della consultazione. Il mondo rurale viene anch’esso dotato di un progetto a lungo termine tale da contribuire al progetto metropolitano, cosìcchè l’agricoltura passa da una modalità passiva ad una gestione attiva che rende partecipe la società. Secondo i gruppi Descartes e Nouvel bisogna permettere un investimento rurale di qualità sul lungo termine, secondo un metodo progettuale che si concentra ai margini della città. L’agricoltura, come la geografia e il paesaggio, diventa costitutiva dell’orizzonte urbano. Infine, il territorio alla grande scala


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trova il suo corrispondente nell’idea di una agricoltura di prossimità. Castro vede l’agricoltura urbana come agricoltura a carattere “biologico” volta ad alimentare i mercati; Nouvel propone dei luoghi di produzione in centro città facendo riferimento alle fattorie verticali esistenti in Giappone; Studio 09 mette in atto dei sistemi ecologici e per il tempo libero all’interno di spazi residuali come il retro delle case o i terreni incolti. L’obbiettivo è quindi sia ecologico che economico: si tratta di avvicinare i luoghi della produzione agricola in modo da minimizzare i trasporti delle merci. Anche se Grumbarch è l’unico a proporre di superare

l’utopia di una comunità autosufficiente e di sviluppare un’industria agricola che sia diversa da quella cerealicola oggi esistente. Una filiera più virtuosa che permetta di ricostituire i suoli (maggese, pratiche biologiche, risanamento dei suoli inquinati con delle piantagioni appropriate), la produzione di biomassa, la fissazione del carbonio mediante la gestione forestale… Per concludere possiamo dire che se vogliamo avere una natura che sia allo stesso tempo domestica, selvaggia ma anche accessibile e produttiva dobbiamo rinnovare i nostri modi di vivere la città. Se quello che cerchiamo oggi nella natura consiste in spazi per


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l’autoproduzione e allo stesso tempo luoghi di aggregazione e divertimento non possiamo più dare le spalle al mondo rurale e agli spazi naturali ma dialogare con essi. Costruire un urbanistica di mutazione e non di espansione significa proprio lavorare sulla mobilità, sul passaggio da un luogo all’altro attraverso le varie forme di

mobilità: siano esse fisiche come le reti dei trasporti, o virtuali come la possibilità di connettersi ovunque con il proprio pc o tablet. Dal punto di vista naturale questo si traduce attraverso il potenziamento delle trame verdi esistenti, e delle reti associative che contribuiscono al loro sviluppo.


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Casi Studio

Riteniamo necessario concludere questa prima parte riguardante il rapporto “Città - Campagna” illustrando una serie di casi studio. Abbiamo preso in esame la loro attitudine a porsi come progetti esemplari di una possibile realizzazione e messa in opera delle normative dettate dai vari patti internazionali precedentemente trattati. Il fattore comune di questi progetti è la ricerca e messa in atto di tecniche di pianificazione territoriale che limitino il consumo di suolo, grazie alla apposizione di sistemi-connessioni verdi che migliorino la qualità di vita del luogo. Questi interventi operano su due diverse scale: a livello metropolitano

e parallelamente a livello regionale, permettendo così di tenere sempre in considerazione quello che è il sito di progetto e il suo intorno con cui deve dialogare in maniera costante e continua. Gli obiettivi affrontati da questi piani hanno una base comune volta a preservare gli ambienti naturali e a promuovere un comportamento rispettoso del luogo in cui si vive. In particolare ciò viene attuato per quanto riguarda la mobilità con il potenziamento e all’implementazione dei trasporti collettivi per limitare l’uso della macchina. Nel caso della riduzione degli sprechi tramite incentivi che premiano il riciclo delle risorse (gestione delle acque e dei rifiuti), la


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produzione e l’utilizzo di energie da fonti rinnovabili. La manutenzione delle aree verdi si realizza attraverso organizzazioni di volontari e con azioni di responsabilizzazione dei cittadini al rispetto e al decoro degli spazi frequentati. Le società che gestiscono questi progetti promuovono le loro iniziative sulla base di un contatto periodico e diretto con i cittadini. Ogni singolo caso studio presenta tuttavia delle peculiarità dettate dal tipo di sito naturale in cui si attua e dalla realtà sociale con cui si confronta, cosicché abbiamo città come Curitiba che sfruttano le tematiche ambientali per la risoluzione delle problematiche sociali, o come

Vancouver in cui la priorità è laprotezione e la valorizzazione degli ecosistemi per promuovere comportamenti eco-sostenibili all’interno di tutta la regione. A Portland si è posto l’accento sul sistema dei trasporti pubblici orientati ad incrementare la frequentazione nelle aree di passaggio in modo da creare delle zone costruite che si relazionano positivamente con il circostante; mentre a Berlino si compensano le aree di nuova urbanizzazione con il recupero di spazi liberi che garantiscano l’approvvigionamento delle risorse naturali necessarie allo sviluppo. Le scelte strategiche del nostro progetto si sono ispirate a queste metodologie gestionali del territorio.


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La Urban Forest e il 40-Mile-Loop a Portland, Oregon, U.S.A. Il complesso sistema di alberi e piante, fauna, suolo, acqua e aria che appartiene alla città di Portland va sotto il nome di Urban Forest e comprende un insieme di 200 parchi nati con l’intento di combattere lo sprawl urbano. Questo sistema è messo in connessione tramite una rete di corridoi naturali e quinte sceniche che va sotto il nome di 40-Mile Loop e che si basa sull’analisi effettuata da Olmsted nel 1903. L’intero sistema è fonte di numerose opportunità lavorative nel campo della direzione e della gestione delle attività, oltre all’impiego come

guardia forestale e come istruttore per le diverse attività sportive che animano i campi. Per stimolare il senso civico degli abitanti il sistema si basa sul lavoro volontario questo per permettere la trasmissione di tecniche e saperi della collettività. Le attività presenti sono quelle di Comunity Garden, con 35 orti urbani, di collaborazione con le scuole, sportive e ricreative come la possibilità di piantare personalmente alberi su un suolo pubblico. L’organizzazione di questo sistema è affidata alla società Portland Parks & Recreation che si ramifica in una serie articolata di sotto-associazioni che si occupano ognuna dell’amministrazione dei singoli servizi offerti e


L’articolazione del 40-Miles Loop, evidenziato in pianta dal percorso rosso


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del come pianificarli e finanziarli. Le sottoassociazioni si dividono ulteriormente in sotto-ambiti delle quali sono responsabili. Inoltre la Portland Parks & Recreation collabora con i programmi sportivi e supporta le arti ei programmi ricreativi e si incontra una volta al mese con i cittadini per vagliare le proposte e rispondere entro sei settimane. La manutenzione e il funzionamento dei parchi è garantito da associazioni “con interessi”,associazioni no-profit, singoli individui o gruppi di lavoro organizzati. La strategia con cui si attua il piano ha una visione ventennale e le acquisizioni di suoli o di diritti di passaggio

avviene tramite accordi con i proprietari. Mentre si attuano delle Partnership pubblico-privato per le nuove idee e tecnologie, in modo da far convergere i diversi interessi delle parti e produrre un impatto positivo. La città di Portlan ha inoltre messo in atto una serie di incentivi volti ad agevolare la messa in atto di comportamenti etici che prevedono il risparmio energetico e il riciclo delle risorse come gli incentivi per la gestione privata dell’acqua piovana, per la raccolta differenziata, per i tetti giardino,per l’energia solare e la ristrutturazione degli impianti. Per connettere le diverse zone sono stati incentivati i trasporti pubblici e anche lo sviluppo delle nuove

I volontari intervengono nella manutenzione del “Forest Park”


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strutture residdenziali e commerciali è stato orientato al supporto finanziario degli investimenti pubblici riguardanti i servizi autobus e metropolitana.Questo programma va sotto il nome di TOD ( Transit Oriented Development) e serve ad

incrementare la densitĂ di persone in questi spazi interstiziali di passaggio in modo tale da sviluppare un ambiente costruito che si relaziona positivamente con i pedoni e sia connesso con i principali mezzi di trasporto.


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Metro Vancouver, Canada Il distretto regionale di Vancouver, in Canada, vanta un ambiente naturale dalle ricche coste, dalla fertile pianura alluvionale e dalle montagne innevate in cui i laghi, i fiumi e i torrenti controllano i flussi d’acqua e garantiscono la connessione fra habitat necessaria per il movimento dei pesci e della fauna selvatica. La strategia di crescita regionale mira a protegere queste risorse naturali del luogo attraverso una politica di Green Zone che contenga le risorse naturali importanti dla punto di vista ecologico e ricreativo, e attraverso una politica di miglioramento e ripristino di tali risorse

e dei percorsi ecologici di tutta la regione. Dal 2002 Vancouver si è posta come obbiettivo la sostenibilità al centro del suo operare attraverso un progetto conosciuto come SRI: Sustainable Region Initiative. Si tratta di una visione per l’intera regione, costituita da un insieme di valori, di principi organizzativi e di imperativi fondamentali che guidano lo sviluppo futuro nell’ottica della sostenibilità. Tra i principi di sostenibilità vi rientrano le tematiche di protezione e valorizzazione degli ecosistemi dell’area e delle specie rare, il controllo sull’introduzione di elementi estranei negli ecosistemi e sull’utilizzo delle risorse rinnovabili


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in misura non superiore alla loro capacità di rigenerarsi. Le linee guida che dettano la creazione di un futuro sostenibile si basano sul tenere presenti le conseguenze a lungo termine, ragionare sull’interdipendenza dei sistemi. Gli obbiettivi invece a lungo termine previsti per il 2020 prevedono la protezione del clima, la costituzione di una densità urbana vivibile e accessibile, la riuzione dei consumi energetici ed idrici, promuovere le scelte dii trasporto ecocompatibile, rendere partecipi i cittadini della pulizia della propria città e della gestione dei giardini di quartiere. Inoltre è previsto un ulteriore programma che prevede la

raccolta dei propositi e le priorità per i prossimi ventanni. Per rafforzare questa vasta gamma di valori è stato previsto il Greenways Program ovvero sentieri nel verde o vie attraverso aree naturali o lungo i waterfront. La loro concezione risale a Bartholomew plan del 1928 e forniscono modi alternativi per spostarsi attraverso la città e per migliorare il rapporto della comunita con la natura. Nel 1991 l’Urban Task Force di Vancuver ha raccomandato lo sviluppo di un sistema di greenways in tutta la città quindi nel 1995 è stato adottato il Vancouver Greenways Plan che articola due diversi sistemi: le Greenways di città e le Geenways di quartiere.Le strade


La cittĂ di Vancouver e lo schema sul funzionamento della strategia di Metro Vancouver


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sono concentrate nelle zone con maggiore densità di popolazione e di funzioni. Uando la rete sarà completata, ogni luogo della città sarà distante meno dii 25 min a piedi o 10 min in bici da una Greenways cittadina. Le Greenways di quartiere sono connessioni ciciclopedonali atte a rispondere alle esigenze di quartiere, esprimendone il carattere peculiare includendo opere di arte pubblica. Il disegno di questi percorsi è solitamente iniziato dai residenti della zona. La buona organizzazione e l’impegno a lungo termine del gruppo di residenti sono la chiave del successo del progetto. Una delle strategie salienti del piano

è quella di salvaguardare gli habitat a rischio con priorità rispetto alle aree di crescita urbana e per farlo il Great Vancouver Regional District (GVRD) lavora con la provincia e altri gruppi interessati per favorire il controllo e la protezione del territorio verde. Inoltre arruola e addestra associazioni per i parchi, volontari e gruppi privati di cittadini al fine di partecipare alla valorizzazione degli ambienti naturali. Lavora con vari enti, municipalità e le Prime Nazioni per recuperare e mantenere l’identità di determinati luoghi ed edifici storici. Il che include destinare ampie superfici all’agricoltura, per conservare gli storici paesaggi rurali e gli habitat dei vecchi campi coltivati.


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Collabora con le istituzioni accademiche per portare avanti iniziative a livello provinciale, ed alimenta l’interesse pubblico attraverso strumenti multimediali, siti web, brochure, e pubblicazioni. Per ottemperare a tutti questi

impegni ogni anno MetroVancouver prepara un piano d’azione per organizzare il lavoro nell’anno a venire, identificando le priorità strategiche, i traguardi definiti e gli obbiettivi completabili entro la fine dell’anno.


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Berlino, Germania Per la città di Berlino, il crollo dell’omonimo muro, ha significato il ripristino spontaneo delle relazioni che con la sua costruzione avevano cessato di essere, con la conseguenza di dover recuperare un gap di quasi 50 anni tra la città e la regione geografica di appartenenza. Le dinamiche che si sono determinate, totalmente squilibrate a favore della capitale, hanno prodotto una situazione difficile da gestire con i tradizionali strumenti di pianificazione a disposizione dei due stati federali: il lender di Berlino e il lender del Brandeburgo. La nuova situazione ha implicato l’esigenza di adeguare le attrezzature territoriali

per garantire le continuità delle comunicazioni e dei rapporti tra la città e il suo intorno, con il ripristino di tutte le reti infrastrutturali esistenti. La mobilità della popolazione e la sua presenza nel territorio erano e sono tutt’ora in costante aumento come pure il pendolarismo e la ridistribuzione delle funzioni nella regione. L’ambito territoriale dei comuni a corona attorno a Berlino è quindi divenuto il punto focale dello sviluppo del rapporto fra la Capitale e il Brandeburgo, passando attraverso la nuova area metropolitana. La trasformazione che si è verificata riguarda la regione agricola del Brandeburgo: ambito esterno debole, che gravita inevitabilmente


Schema e panoramica sui Regional Parks


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su un forte centro urbano, a propria volta caratterizzato da condizioni di squilibrio, e sulla nascente area metropolitana. La capitale aveva bisogno del territorio del Brandeburgo al fine di: compensare il consumo di suolo urbano dovuto al suo sviluppo; recuperare le aree libere necessarie al fine di garantirsi una crescita equilibrata; assicurare l’approvvigionamento delle risorse naturali necessarie allo sviluppo. All’interno di un’area consensuale che comprende Berlino e 95 comuni limitrofi, le aree libere delle due macroregioni vengono suddivise in tre grandi categorie: territorio naturale, territorio agricolo, aree ricreative. Gran parte dello spazio libero

è interessato da attività agricole e forestali, quindi acquista importanza strategica la tutela del paesaggio coltivato. Nella definizione di un quadro paesistico e ambientale unitario, la progettazione della viabilità viene fatta in modo tale da evitare una frammentazione di grandi spazi liberi interdipendenti. Il paesaggio coltivato ad uso agricolo viene conservato in quanto luogo di compensazione per il bilancio naturale, come luogo vitale per la conservazione di biotipi e specie, di riposo e ricreazione, per proteggere il quadro paesistico e per conservare l’identità culturale. Ciò che più caratterizza l’area metropolitana non è solo l’alta densità dei


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centri urbani ma anche la presenza di vasti spazi verdi agricoli e forestali, con funzioni produttive, ecologiche e ricreative. Tali aree vengono tutelate e le attività agricole sono incentivate con appositi programmi. L’accesso alle rive di laghi e fiumi è mantenuto aperto e reso accessibile al pubblico. L’implementazione del sistema così definito avviene nel quadro della pianificazione territoriale metropolitana e regionale, anche tramite il collegamento in rete ai diversi livelli territoriali. Gli ambiti di sviluppo del parco regionale sono interessati da progetti e interventi di miglioramento paesistico dei due lender, per la conservazione a lungo termine della cintura

di verde intorno a Berlino, con la creazione di una serie di parchi regionali. I collegamenti verdi di ordine superiore nell’ambito metropolitano devono essere conservati e sviluppati per connettere gli spazi liberi e per creare un sistema ecologico nella loro funzione di ricreazione, collegamento e compensazione ecologica. Le cesure verdi sono aree da conservare come spazio libero fra le zone di insediamento e urbanizzazione, finalizzate a evitare la crescita e la fusione di zone di insediamento e di ambiti urbanizzati frammentari.


Fermata d’ interscambio della rete dei trasporti urbani

La cittĂ di Curitiba vista da uno dei suoi parchi urbani


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Curitiba, Brasile La città brasiliana di Curitiba ha dovuto lavorare su diverse problematiche, agendo sulla città attraverso microinterventi, sparsi sul territorio e realizzati sui nodi nevralgici, ovvero nodi di pressione in grado di propagare effetti positivi in altre zone della città. Le tematiche affrontate e risolte sono state: i servizi sociali, implementati e riorganizzati in modo da poter servire tutte le zone disagiate del territorio, grazie al riutilizzo di vecchi autobus; i trasporti pubblici, che sono stati resi efficienti ed economici tramite un mix di investimenti pubblici e privati, incrementando

il servizio del 400%; lo zoning per cui furono chiamati diversi urbanisti a progettare uno sviluppo urbano che preservasse il centro, dando luogo a una politica intelligente per cui chi possedeva edifici di valore storico che non poteva restaurare, li poteva permutare con alloggi nuovi nelle zone residenziali previste; la cittadinanza, per cui il decentramento dell’amministrazione e quindi la riduzione della burocrazia ha portato alla razionalizzazione dei servizi con risparmio di tempo e denaro per i cittadini; la costituzione dei parchi invece è avvenuta grazie ad un equo scambio tra popolazione e città, prendendo in considerazione i terreni delle favelas da bonificare,


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sfollando la popolazione in case sfitte delle zone residenziali, occupandosi di pagare parte della tassazione con finanziamenti statali. Dalle planimetrie possiamo dedurre che Curitiba ha previsto ampie aree verdi all’interno dei propri quartieri, spesso permutando coi possidenti altre aree già destinate a residenze o alla produttività. La fascia verde presente sul perimetro è frutto della conservazione e tutela da parte dell’Amministrazione. La gestione e

manutenzione di queste aree avviene in maniera sostenibile attraverso l’uso di pecore che provvedono naturalmente ad impedire la sovracrescita di erba, inoltre gli stessi cittadini sono incentivati a mantenere il decoro del proprio quartiere. E’ proprio la stretta collaborazione con i cittadini, la responsabilizzazione degli stessi sulla cura della città e l’uso del sistema di urbanistica partecipata bottom-up sono il motivo del successo di questo modello.


LE PRATICHE PARTECIPATIVE



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Urbanistica partecipata

“Nel tempo della separazione radicale fra abitante( antrofizzato, che soltanto risiede) e produttore-consumatore (che usa la casa come un box, lo spazio urbano come una speedways, i territorio come losir) la partecipazione è stata principalmente rivendicazione (della casa, delle zone pedonali, dell’asilo, di verde, di autobus, di qualità ambientale; rifiuto di una discarica, di una superstrada, ecc.) senza poter divenire produzione sociale di territorio. Sono nel frattempo mutate alcune condizioni contestuali, che aprono spiragli al ruolo dell’abitante nella produzione del territorio.” Queste parole di Alberto Magnaghi1 ben introducono la situazione odierna

nella quale noi progettisti ci ritroviamo ad operare. L’urbanistica partecipata non è da confondersi con il particolare meccanismo di proposta “bottom-up” che si è verificato nel nostro caso, poiché nel primo caso sono i progettisti a ricercare la partecipazione popolare mentre a San Pietro in Casale sono stati i cittadini, che dopo essersi riuniti in un’Associazione, hanno ricercato l’attenzione dell’Autorità pubblica nonché dei tecnici e dei professionisti. Noi studenti, “quasi-architetti”, siamo diventati gli interpreti ed i registi della volontà popolare. L’urbanistica partecipata è una modalità di redazione di piani e

1. A. Magnaghi, Il progetto locale.Verso la coscienza di luogo, Bollati Boringeri, Torino, 2010


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2. portatori di interessi locali 3. Comitati di quartiere, movimenti ambientalisti, gruppi di consumatori, movimenti giovanili, organizzazioni non governative, produttori del terzo settore ed altri 4.governo del territorio che tenda a coinvolgerne tutti gli attori 5.tavoli sociali, laboratori di quartiere, cabine di regia, piani strategici

progetti che conferisce un rilevante valore alle proposte che emergono dal basso, espresse da cittadini in forma libera o associata e dagli stakeholders2. I normali sistemi rappresentativi come i partiti e le organizzazioni sindacali non sono più in grado di essere portavoce delle necessità dei cittadini, così si sono rafforzate forme dirette di rappresentanza sociale3 che perseguono obiettivi specifici e settoriali che mirano ad influenzare le politiche di governo del territorio. L’urbanistica partecipata implica che le istituzioni locali si orientino verso un nuovo concetto di governance4, seguendo un modello di sistema aperto, adattivo e reversibile. Alle

sedi tradizionali degli eletti, si possono affiancare sedi formali ed informali di confronto e orientamento5 che hanno lo scopo di mettere a confronto in forma diretta gli interessi territoriali in gioco, delegando successivamente alla democrazia rappresentativa il compito di recepire o respingere le indicazioni assunte Sempre più la sostenibilità ambientale è diventata un tema centrale in molti campi dell’odierno sviluppo, diventando il comune denominatore delle azioni di urbanistica partecipata, grazie ad interventi di pianificazione promossi dai forum tramite azioni condivise6. Grazie a numerosi sforzi e opere


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di sensibilizzazione come la conferenza di Johannesburg nel 2002 e in ambito europeo nelle conferenze di Aalborg (1994 e 2004)si è arrivati alla esplicitazione legislativa, ovvero al passaggio dalla sottoscrizione di linee di intervento facoltative a vere e proprie leggi da rispettare, come le direttive europee: la 42/2001 che impone a piani e programmi di un certo rilievo territoriale la procedura di VAS Valutazione ambientale strategica prevedendo il coinvolgimento della comunità locale nell’analisi di scenario; e la 35/2003 che sancisce la necessità di attivare processi di partecipazione territoriale. In Italia sono state percepite dal TUEL (Testo Unico degli Enti locali) e

dai numerosi regolamenti comunali della partecipazione. Negli anni passati le trasformazioni territoriali decise “dall’alto” hanno spesso generato situazioni di sindrome di NIMBY (Nothing in My Back Yard) in cui gruppi di cittadini organizzano proteste per bloccare trasformazioni che potrebbero danneggiare la qualità dell’ambiente in cui vivono. Così si ricorre all’urbanistica partecipata in grado di conferire valore alla voce di chi normalmente non fa parte della vita politica e quindi non può inserirsi direttamente nel processo decisionale. Il grado di coinvolgimento7 dei cittadini è determinato dagli obiettivi, dalla forza dei gruppi organizzati e

6. Come enunciato dalla Agenda del ventunesimo secolo (Agenda 21) ratificata in occasione della Conferenza di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo indetta dall’ONU nel 1992 7. Sherry R. Arnstein ha definito nel suo libro A Ladder of Citizen Participation,1969, una scala della partecipazione che costituisce un punto di partenza per tutti i numerosi studi successivi


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Fogli informativi, questionari, cataloghi di scelte, forum, anche telematici, sedi di informazione e dibattito come Urban Center o Case della città

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dalla volontà dei decisori politici. Si possono individuare quattro gradi di coinvolgimento progressivo: informazione, consultazione, collaborazione, autogestione. A seconda degli obiettivi da raggiungere si possono utilizzare varie metodologie, tecniche e strumenti8 per la sensibilizzazione dei cittadini; se si verificano casi complicati si può ricorrere a forme di consultazione quali i referendum popolari, previsti dal TUEL e riportati nei Regolamenti comunali. Nell’ambito della collaborazione progettuale, in cui ciascun partecipante può far valere i propri interessi e nello stesso tempo proiettarsi nella comprensione delle ragioni dell’altro, una tecnica validata dalla

Commissione Europea, è il metodo EASW (European Awereness Scenario Workshop). Nel caso di vari programmi di pianificazione urbana quali i contratti di quartiere, i patti territoriali, i programmi di recupero urbano, i PRUSST (Programmi di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio) gli attori del territorio svolgono un ruolo attivo di promotori, investitori, gestori, fruitori attraverso una concertazione che prevede accordi privilegiati con gli investitori (stockholders), talvolta estesi anche ad organizzazioni Sindacali, come nel caso dei patti territoriali, e alla comunità locale (stakeholders)come nei contratti di quartiere.


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Altre tecniche di coinvolgimento possono essere il Planning for Real9 e il metodo della Charette10. Il primo è un procedimento complesso che coinvolge da un lato le differenti professionalità (architetti, ingegneri, urbanisti, sociologi, avvocati ecc.), che svolgono il ruolo di facilitatori e coordinatori, e dall’altro, gli abitanti del luogo dove si vuole intervenire, che svolgono il ruolo di protagonisti. Di medio-lunga durata, il processo che porta alle decisioni progettuali finali si articola in diverse “fasi”: 1. Costruzione del plastico: i partecipanti costruiscono un modello della zona interessata alle ipotetiche trasformazioni;

2. La comunicazione: il plastico viene messo in mostra, per un breve periodo, in luoghi molto frequentati dalla comunità; 3. Ipotesi di intervento: il plastico sarà ricoperto di figurine che indicano dove intervenire, contenenti suggerimenti sul come intervenire; 4. Negoziazione e scelta delle priorità: le figurine vengono raccolte e suddivise, democraticamente tramite discussione, in 3 gruppi a seconda dell’ urgenza con cui si ritiene debbano essere svolti (lavori necessari e/o urgenti, non impellenti, o da realizzare in futuro); 5. Analisi e presa di coscienza dei progettisti con potere decisionale finale, ovvero dopo il consulto

Le scelte avvengono in modo democratico


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popolare, i tecnici di settore verificano effettiva fattibilità e danno inizio ai lavori. Il metodo della Charette invece prevede una durata massima di una settimana con più di un ciclo di incontri fra le due “fazioni”. Si tratta dunque di Dynamic Planning, volto alla realizzazione di un progetto attuabile, adeguato alla necessità dei molteplici attori interessati. I punti cardine sono i seguenti: 1. Lavorare in modo collaborativo; 2. Restringere i tempi dell’agenda di lavoro; 3. Elaborare il progetto tenendo contemporaneamente d’occhio sia la scala di dettaglio architettonico che quella territoriale;

4.Produrre piani realizzabili; 5.Utilizzare linguaggio facilmente comprensibile a tutti; 6. Work on Site. L’obiettivo è di creare un progetto nella consapevolezza della pluralità di usi, di agenti e di utenti. Alcune imprese coinvolgono anche la comunità locale per poter alla strategia i valori positivi che derivano dal consenso degli stakeholders. Tali indicazioni sono contenute nel Libro Verde dell’Unione Europea che promuove la RSI (Responsabilità sociale d’impresa, luglio 2001) come un’opportunità d’innovazione gestionale, strumento di competitività e di attivazione di partnership locali.


IL PAESAGGIO E IL TERRITORIO



Paesaggio: una scoperta recente

Prima della nascita del Paesaggio esisteva solamente il termine Territorio, dal latino territorium che vuol dire formato sopra un supposto territor, possessore della terra. Composto di terra e terminazione – torium presa da quella in –tor, -torem propria di agente. Il termine territorio rappresenta perciò un ambito in cui si esercita il potere costruito. Si usava anche il termine Paese, come ricorda Pietro Camporesi1, ma anche questo stava ad indicare un luogo con determinate caratteristiche fisiche e conseguenti risorse economiche. Non aveva, insomma, nessuna attinenza con il concetto di “panorama” o di “vista” propri dell’ambito artistico. Il Paesaggio

nasce infatti come concetto estetico grazie a due fenomeni storici : l’avvento della prospettiva e la laicizzazione degli elementi naturali. In questo modo la natura non essendo più subordinata alle scene religiose, in cui solitamente era inserita, diviene autonoma all’interno della composizione pittorica. La tecnica prospettica attraverso cui si afferma promuove una sintesi visiva dell’intorno, colta o fissata da un punto di vista specifico. Si afferma il primato della visione dell’occhio su tutti gli altri sensi quando invece nell’antichità si pensava che tra vista e tatto non ci fosse nessuna discrasia. Con la prospettiva tutto cambia perché le rette parallele nel punto di

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1. P. Camporesi in Le Belle contrade (1992) cap. Dal Paese al paesaggio


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fuga si incontrano. Significa abolire ogni intervallo tra soggetto e oggetto. Rivoluzionare il concetto rinascimentale di visione del Mondo in base alla distanza tra soggetto e oggetto. Il paesaggio è l’impossibilità di distinguere il soggetto dall’oggetto. Il soggetto è parte della totalità, c’è l’annullamento di ogni distanza. E’ partecipe di quello che sta guardando. Si ha così come unica prerogativa quella di trasformare tutto il territorio in paesaggio. Perché il luogo lo si percepisce attraverso il modello del paesaggio. Risulta quindi automatico il passaggio da Paese a Paesaggio che si riscontra anche a livello semantico nella maggior

parte delle lingue occidentali e che si attesta dopo il Quattrocento. Il paese è il grado zero sul quale si fonda l’elaborazione del Paesaggio. Bisogna però fare una distinzione fra le modalità di intervento sull’elemento naturale. Si può intervenire In Situ, ovvero in maniera diretta sull’oggetto rendendolo opera d’arte. Si può altrimenti agire In Visu, ovvero secondo un processo indiretto consistente nell’elaborazione di modelli culturali che definiscano l’oggetto e lo abbelliscano attraverso la percezione. Quest’ultimo processo è quello subito dalla natura, ovvero un luogo naturale è percepito come bello solamente attraverso un Paesaggio, subendo


dettaglio del paesaggio nel dipinto di “Madonna del Canceliere di Rodin�, Yan Van Eyck, 1443, Museo del Louvre


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perciò un processo artistico equivalente a quello che trasforma la nudità in Nudo. Nel Novecento, scrive Alain Roger, “non c’è entità geografica che non sia assurta o assurga oggi alla dignità di paesaggio, a cominciare dalla foresta, a lungo ostile nell’immaginario occidentale, ma che gli igienisti dell’Ottocento […] e gli ecologisti del Novecento hanno idealizzato […]. Ma anche […] la palude, considerata una volta malsana, al punto da essere sistematicamente bonificata, viene ora riabilitata per ragioni non solo ecologiche, ma anche estetiche. E perfino i terreni incolti stanno via via acquisendo valore di paesaggio agli occhi di alcuni…”2

2. A. Roger, Breve trattato I luoghi naturali subiscono perciò sul Paesaggio, Palermo, un processo di idealizzazione arti2009, p. 80-81 stica tale che porterà a tutelarli, non tanto in qualità di risorse preziose quanto piuttosto come opere d’arte. In Italia infatti, negli anni successivi all’Unificazione,la fase di grandi trasformazioni che stava investendo il Paese e la nascente industrializzazione, videro sorgere movimenti e associazioni volte alla protezione delle bellezze naturali e del patrimonio artistico. Successivamente con la legge n. 411 del 16 luglio del 1905 si aprì la strada verso una coscienza di tutela, poi proseguita con la legge n.364 del 20 giugno 1909 e culminata con la successiva legge n. 778 dell’11 giugno del 1922 promossa


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da Benedetto Croce, all’epoca ministro della Pubblica Istruzione. La cultura di stampo crociano aveva promosso un’idea di paesaggio come “bel panorama”, che si traduceva in una tutela delle vedute, privilegiando gli aspetti ottici e percettivi. Al punto che, anche quando il complesso sistema di norme verrà aggiornato in età fascista manterrà un’impostazione basata sulla valutazione di fattori estetici. Nella legge Bottai 1497 del 29 giugno 1939 sulla Protezione delle bellezze naturali compare infatti tra i beni da tutelare “ le bellezze panoramiche considerate come quadri naturali e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico,

dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze” . Tale formula presenta le parole “quadri, “belvedere”, “spettacolo” che dipingono la natura come un elemento estetico immutabile e sono state successivamente mutate a seguito del più recente decreto legislativo n.63 del 26 marzo 2008. Il nuovo decreto considera la percezione del paesaggio come un approccio visuale che non coincide con la pura estetica ma che si muove dalla sensibilità personale dell’osservatore, la cui cultura e percezione concorrono sia alla formazione che alla percezione del paesaggio. Il termine “paesaggio” si amplia e diventa dunque un concetto


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I viali alberati con le viti maritate a bordo dei campi sono un esempio di corridoio ecologico

sfuggente e articolato per almeno due ordini di motivi: l’ampio numero di ambiti a cui fa capo e la riconducibilità del temine stesso ad approcci diversi. A seconda che si parli di paesaggio in pittura come in geografia o in architettura, ecologia, economia, geologia, fotografia o indiverse altre discipline, il discorso può essere affrontato in senso estetico, percettivo, scientifico e così via. Di qui, un’evidente difficoltà di dare del termine una definizione univoca. Tuttavia se riconduciamo il discorso all’origine semantica del termine, ci accorgiamo che la lingua tedesca ha favorito la nascita di un’idea più oggettiva di paesaggio. Il vocabolo Landschaft infatti non è legato

allo sviluppo artistico, ma piuttosto all’ambito geografico ed indica un tratto più o meno esteso di territorio. Il paesaggio in senso oggettivo indica quindi l’insieme di elementi e di processi che si collocano in un determinato territorio, pensati non come singoli fenomeni ma come parti di un sistema interconnesso. In sintesi si può dire che il paesaggio soggettivo appartiene alla sfera della sensibilità e delle emozioni individuali, mentre il paesaggio oggettivo appartiene alla sfera dell’indagine scientifica. Le due sfere non possono perciò essere artificialmente scisse e sono entrambe indispensabili per penetrare nella dimensione autentica del paesaggio.


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Un fattore che ha però contribuito a creare una cesura nel rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale è stato l’impiego di combustibili fossili con lo sviluppo industriale. La produzione artificiale di energia ha sostituito quella solare dei sistemi di produzione dei beni. Questa grande trasformazione si è tradotta nel campo del paesaggo rurale con una grande frattura. Sarebbe tuttavia ingenuo ricercare nelle campagne pre-industriali il mito il mito di un’età incontaminata, l’epoca di un rapporto autentico con la natura. Non trovano posto i paesaggi ideali e il sogno di una wildness primitiva di un’Arcadia delle origini perduta con l’industrializzazione.

Al contrario i paesaggi del passato restano sempre i frutti di conflitti, di crisi, d’impatti con l’ambiente e di tensioni fra le classi sociali, impegnati nello sfuttamento delle limitate risorse disponibili. Lo studio degli spazi rurali non rappresenta un evasivo interesse per un passato remoto ma guarda al futuro e alle opportunità di sviluppo sostenibile del territorio. Le più recenti politiche europee puntano alla valorizzazione del patrimonio rurale e delle sue caratteristiche tradizionali. Alla base si colloca la convinzione che proprio all’agricoltura sia affidato il compito di salvaguardia del paesaggio. Una corretta gestione del patrimonio agrario è in grado di

I navili, un esempio dello sfruttamento delle risorse idriche che può trasformarsi in un corridoio ecologico acquatico


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produrre non soltanto beni di qualità, destinati al consumo primario, ma anche paesaggi di qualità. Il paesaggio cambia quindi la propria definizione: da rappresentazione statica del visibile a un sistema vitale in interscambio continuo con l’uomo. Diventa un luogo dove avvengono sovrapposizioni e sedimentazioni dell’evoluzione spaziotemporale di natura e cultura, che producono segni e testimonianze, che si deve cercare di conservare poiché rappresentano per l’uomo un mezzo di identificazione con la sua storia e tradizioni. Si tratta quindi di tornare ad occuparsi del Paese per potersi occupare del Paesaggio. Secondo Alain Roger

infatti il Paese presenta in se lo stato grezzo ed indeterminato che può evolvere attraverso i processi culturali in paesaggio: dagli artisti fino alla comunità, essi saranno gli autori e portatori della percezione culturale. Bisogna tuttavia essere molto coraggiosi per tornare al «paese», con ciò che può avere di più povero ai nostri occhi: in qualche modo imbarbarirsi, disintossicarsi gli occhi, rischiando la cecità, per tentare di vedere o, almeno, di intravedere un paesaggio, pur sapendo che avremo sempre bisogno di qualche modello, esotico o indigeno, per fare di quel paese un “paesaggio”.


Attraverso la Convenzione Europea del Paesaggio

L’idea di paesaggio inteso come contenitore fragile, costantemente messo sotto pressione dalle azioni antropiche e rappresentato come fondale su cui campeggiano le grandi azioni degli uomini viene superato nel 2000 attraverso la Convenzione Europea del Paesaggio, firmata a Firenze e ratificata con L.9/01/2006 n.14. In questo documento si pongono, infatti, le basi per una cultura recente della tutela del territorio e ci si prefigge l’obbiettivo di promuovere, salvaguardare, gestire e pianificare i paesaggi attraverso il ruolo attivo dei cittadini e organizzando la collaborazione a livello europeo in questo campo. Nel definire le disposizioni generali

al comma 42 dell’ art.1- Capitolo I la Convenzione ricorda che “ […]non si cerca di preservare o di “congelare” dei paesaggi ad un determinato stadio della loro lunga evoluzione. I paesaggi hanno sempre subito mutamenti e continueranno a cambiare, sia per l’effetto dei processi naturali, che dall’azione dell’uomo. In realtà, l’obbiettivo da perseguire dovrebbe essere quello di accompagnare i cambiamenti futuri riconoscendo la grande diversità e la qualità dei paesaggi che abbiamo ereditato dal passato, sforzandoci di preservare, o ancor meglio, di arricchire tale diversità e tale qualità invece di lasciarle andare in rovina.”

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1. P. Bevilacqua, Tra natura e storia: ambiente, economie, risorse in Italia,Donzelli Editore 1996, p.9

Si vuole perciò porre l’accento sul ruolo indispensabile che viene ad assumere il paesaggio, poichè, come dice Piero Bevilacqua, diventa “la controparte imprescindibile dell’agire sociale nel processo di produzione della ricchezza”1. La natura ci offre le sue risorse, ma esse risultano veramente tali solo attraverso l’attività dell’uomo che con impegno, le ha piegate ai propri bisogni. La natura è stata addomesticata, usata, modificata ed è stato l’insieme uomo-natura ad offrirci dei prodotti. Per il nostro campo di indagine i prodotti sono costituiti dai manufatti dell’attività umana ( costruzioni semplici o monumentali, edifici di pregio..) ma anche dai

segni determinanti per il territorio in cui si trovano (le bonifiche, le canalizzazioni, i maceri..) Eppure, la natura mantiene anche le proprie dinamiche, ha una sua autonomia rispetto ai prodotti storici. Oggi che le tecnologie rendono possibile la costruzione di enormi opere di modifica del territorio, non si può non osservare che la natura è anche libera dai condizionamenti della tecnica; ha comportamenti che sfuggono a qualsiasi “modello” o “modellazione”. Questo approccio non è scontato se si pensa ai recenti fatti di cronaca riguardanti gli ultimi Tsunami (nelle isole Samoa nel 2009, ad Haiti e in Chile nel 2010, in Giappone nel


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2011) o alle sempre più frequenti alluvioni che si sono verificate in Italia negli ultimi due anni: nel 2010 i dissesti idrogeologici della Costiera Amalfitana, i violenti nubifragi di Prato,e ancora le esondazioni dell’hinterland vicentino, nel 2011 le forti mareggiate nella provincia di Genova e i danni alluvionali della Marina di Ginosa e del Metaponto, che manifestano una ribellione da parte della Terra all’azione antropica. Osservando i quali risulta evidente fare delle valutazioni che assegnino alla natura il ruolo di patner attivo, di secondo soggetto ugualmente importante per istituire relazioni fra uomo e contesto. Una tale concezione investe sia gli aspetti

qualitativi sia l’indagine dei fattori di degrado presenti. Dunque,non a caso la Convenzione Europea del Paesaggio raccoglie in sintesi le numerose valenze assegnate e riconosciute al paesaggio e ne da la seguente definizione all’art.1: “Paesaggio” designa una determinata parte del territorio, così com’è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni. La stessa nozione viene ripresa anche dalla Parte Terza del nuovo codice per i Beni Culturali e del Paesaggio (D. L.vo n.42/2004) che


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2. A.Clementi in La rigenerazione dei paesaggi italiani, in Il Paesaggio Italiano.Idee, contributi, immagini, ed. TCI Milano, 2000, p.213.

all’art. 131 recita: “1. Ai fine del presente codice per paesaggio si intende una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni. 2. La tutela e la valorizzazione del paesaggio salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili.” Si supera in ambedue le definizioni, l’antico e tradizionale punto di vista che individua il paesaggio come bellezza naturale, sottolineandone la tutela della qualità e della singolarità piuttosto che il suo essere solo un prodotto storico. Si vuole sottolineare, quindi, la “ domanda di paesaggio” che

rappresenta l’interesse crescente verso la qualità dei contesti di vita, delle forme fisiche in cui sia possibile abitare nel senso più alto e culturalmente significativo del termine. Ciò che si riscontra è un profondo “bisogno di rielaborazione e di rappresentazione simbolica di un’identità minacciata dai mutamenti radicali dell’economia, della società e della stessa cultura di cui è espressione il nostro ambiente insediativo”2 Si avverte il bisogno di ripristinare, o forse di ricostruire nuove relazioni fra i processi di sviluppo già avvenuti sulla natura per opera dell’uomo e i significati che i soggetti percepiscono. Nel contesto Emiliano-Romagnolo,


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la riflessione e l’analisi riguardano i contesti del secondo dopoguerra, laddove ampie porzioni di territorio, destinato all’agricoltura, è stato occupato dallo sviluppo delle piccole industrie. Alla costruzione di migliaia di piccoli e grandi capannoni ovunque si è aggiunto lo sviluppo incontrollato delle città piccole e grandi con ciò dimostrando che l’intervento aggressivo verso l’ambiente insediativo impoverisce sia il paesaggio che la profonda relazione che lega gli uomini ai luoghi e che in virtù di questa li rende speciali, unici, significativi. La stesura dei piani paesistici può essere un vero passo avanti nel settore della tutela del paesaggio

anche perché fondata sulla cooperazione tra Stato e Regioni (art.132 del Codice). Determinante potrà risultare l’allontanamento del potere decisionale dagli interessi degli Enti Locali. Infatti, è oramai chiaro che i comuni per la stretta contiguità con gli interessi che maturano sul loro territorio devono essere sgravati da buona parte delle decisioni. La tutela del paesaggio non può infatti avvenire in maniera puntuale ma necessita una visione globale che porti ad individuare i livelli di omogeneità e quelli di contrasto, armonizzando le scelte da fare agendo su tutto il territorio regionale e nazionale nel suo insieme. Tutela, salvaguardia, qualità del


Esempio di residenza passiva a San Pietro in Casale


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paesaggio. La domanda che ci si pone è: che cosa costituisce la qualità del paesaggio? Come riconoscerla, difenderla e contribuire a estenderla? I recenti progetti di nuova costruzione o di recupero risultano spesso semplificati e banalizzati, talvolta assorbiti da altre realtà urbane e ambientali, anche estere, inseguendo comunque un’idea di presunta novità. Un fenomeno nuovo, in Italia, si presenta attraverso i piani e i progetti elaborati da grandi architetti per centri commerciali, grattacieli, ecc. Spesso questi architetti sono prigionieri della loro fama e i loro modelli architettonici mal si adattano al paesaggio italiano.

Ci sono, al contrario anche degli esempi positivi legati ai nuovi temi ambientalistici: la sostenibilità dei progetti attraverso l’uso di fonti di energia rinnovabili, la raccolta e il reimpiego di materiali di recupero, che tendono a riavvicinare la posizione dell’uomo al suo ambiente. Bisogna, che questi esempi, per essere portati avanti siano affiancati dalla crescita di un’etica della responsabilità in modo da tradurli in concrete azioni di salvaguardia del territorio e delle sue modificazioni. Ed è per questo che negli obbiettivi la Carta del Paesaggio raccomanda che il paesaggio deve diventare un tema politico di interesse generale, e non solo appannaggio esclusivo di


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certi enti scientifici e tecnici specializzati; riconosce il ruolo attivo dei cittadini europei che non possono più permettersi di subire i paesaggi risultato di evoluzioni decise senza il loro consenso, ma ai quali deve essere offerta l’opportunità di interessarsi ai i territori e alle città in cui lavorano e trascorrono i loro momenti di svago. Fino ad ora abbiamo dissipato e consumato il suolo ed adesso dobbiamo lavorare alla conservazione delle risorse, senza pregiudizi ed evitando gli sprechi. Allora tutte le nuove tecnologie di valorizzazione possono darci nuove opportunità. L’idea di creare un bosco a San Pietro in Casale che, Pietro Selmi “non sia una riserva ma che serva”

ricade nell’ottica della Carta del Paesaggio per tre principali motivi: - arricchisce la diversità del paesaggio esistente; - si inserisce in un’area periurbana; - è manifesto del ruolo attivo dei cittadini nelle decisioni riguardanti il proprio territorio.


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Il Terzo Paesaggio

Adottata a Nairobi in Kenia un 22 maggio del 1992 la Convenzione sulla Diversità Biologica aveva il fine di tutelare la biodiversità, l’utilizzazione durevole dei suoi elementi e la ripartizione giusta dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche. Nel suo articolo 2, la convenzione spiega il termine diversità biologica come “la variabilità tra organismi viventi di qualsiasi tipo compresi, tra gli altri, quelli terrestri, marini e di altri ecosistemi acquatici e i complessi ecologici dei quali questi sono parte; questo include la diversità all’interno delle specie, tra le specie e degli ecosistemi”.

Oggi, a distanza di dieci anni, il Piano Strategico per la Biodiversità 20112020, anche denominato “Vivere in armonia con la natura” (dalla denominazione inglese living in harmony with nature) riporta gli obbiettivi principali della Convenzione e sottolinea che il processo di perdita di habitat non è stato arrestato, e sottolinea l’importanza di iniziare (o rinforzare) le attività per contrastare il processo in corso. Il termine biodiversità ha una grande rilevanza a livello politico e rappresenta una notevole innovazione per il lavoro di conservazione della natura. La biodiversità infatti in qualche modo rappresenta un gradino superiore rispetto a quella che un tempo


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era la conservazione delle specie o delle aree protette in quanto, per effettuarsi, deve integrarsi con le politiche sociali ed economiche. Ci troviamo di fronte ad una rivoluzione del pensiero simile a quella che si ebbe alla fine del ‘700, quando gli uomini si accorsero per la prima volta che le montagne, con le loro vette vertiginose e i loro baratri assassini, erano di una bellezza sublime. Questa volta ad essere accettata come valore estetico ed etico è la natura che torna in possesso degli spazi dell’uomo, dei frammenti che egli le ha, volontariamente o involontariamente, lasciato occupare. Si sta smettendo di guardare il paesaggio solamente come il risultato di

un’attività umana e si stanno riscoprendo tutta una serie di spazi privi di funzione, in cui non sono state prese delle decisioni e ai quali è difficile dare un nome. Ci si accorge che la vista è sempre più ingombra di edifici vuoti coperti di cartelloni, di finestre di edifici occupati coperte da manifesti, nuovi spazi alternativi alla pubblicità sui muri, e non mancano edifici derelitti occultati dietro a facciate dell’800 ben restaurate. Tra questi vuoti urbani compaiono erbe, arbusti e fiori, piccole foreste primigenie dell’abbandono, sempre più prossime alle ben curate aree residenziali. Non di rado la vista di questa natura risorgente, una natura che potremmo definire “zombie”,


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suscita preoccupazione e sdegno negli abitanti, per il suo aspetto selvatico e anche un po’ border line, un luogo che può ospitare, soprattutto nell’immaginario, i peggiori devianti e le loro pericolose pratiche. Nel vuoto si intravede la miseria, l’abbandono. Questo è il tipo di natura teorizzata da Gilles Clément, paesaggista francese, ingegnere agronomo, botanico, entomologo ed autore Manifesto del terzo paesaggio, pubblicato nel 2005. Nel suo saggio introduce questo nuovo tipo di natura e lo definisce con il termine Terzo Paesaggio nel seguente modo: “[…] Quest’insieme non appartiene né al territorio dell’ombra né a quello

della luce. Si situa ai margini. Dove i boschi si sfrangiano, lungo le strade e i fiumi, nei recessi dimenticati dalle coltivazioni, là dove le macchine non passano. […] Tra questi frammenti di paesaggio nessuna somiglianza di forma. Un solo punto in comune: tutti costituiscono un territorio di rifugio per la diversità. Ovunque, altrove, questa è scacciata. Questo rende giustificabile raccoglierli sotto un unico termine. Propongo Terzo paesaggio, terzo termine di un’analisi che ha raggruppato i principali dati osservabili sotto l’ombra da un lato, la luce dall’altro”. Successivamente lo scrittore puntualizza che il termine Terzo paesaggio


L’Ile Debourche nel Parc Matisse a Lille di Gilles Clément è un esempio di paesaggio volutamente abbandonato


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non fa riferimento al terzo mondo, ovvero ad una situazione di marginalità, bensì rinvia all’idea del Terzo Stato, con riferimento al pamphlet di Sysiès nel 1789 che recita così: “Che cos’è il Terzo Stato ? Tutto.- Che cosa ha fatto fino ad ora? Nulla.- Che cosa vuole diventare? Qualcosa” Ovvero, precisa Clément, ci troviamo ad avere a che fare con uno spazio che non esprime il potere ma al tempo stesso nemmeno la sotomissione al potere. Risulta piuttosto come un insieme di luoghi in cui l’uomo consegna l’evoluzione del paesaggio, più o meno antropizzato, alla sola natura. Si va quindi affermando il valore dell’atto di abbandono, del lasciare

che sia la natura a progettare lo spazio secondo le proprie regole, del riservare al frammento non il ruolo di vuoto, ma di riserva di biodiversità. Ciò che sembra una provocazione è in verità una visione assolutamente lucida di un vero e proprio progetto globale, basato su verità scientifiche universalmente conosciute. Dà una possibile risposta allo stato di crisi ecologica e architettonica che ha investito il mondo negli ultimi decenni, e ne esamina anche i risvolti politici: per gestire la diversità senza distruggerla, per rinunciare a un’economa di accumulazione in favore della ripartizione, ma anche per puntare a una rendita qualitativa anziché a un reddito quantitativo,

Schema di G.Clèment sull’influenza fra Terzo Pesaggio e Terreno Antropizzato


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per cercare di proteggere i sostrati - acqua, suolo, aria -, per preservare le sorgenti, le risorse e i supporti sulla base dei quali la natura inventa soluzioni per l’avvenire. Il Terzo paesaggio si qualifica come un paesaggio interstiziale: un residuo, distinto sia dagli spazi mai sottoposti a sfruttamento, incontaminati, sia dagli spazi protetti dell’attività umana (le ‘riserve’). Territorio frammentario, caricato di forte valore simbolico e, ciò nondimeno, residuo, indeciso, sospeso. Diventa rifugio per le diversità naturali che vengono ad assumere una rilevanza pari, se non maggiore, rispetto alle diversità sociali . Le sue dinamiche sono mutevoli e

vitali, procedono per slittamenti continui di adattamenti successivi, nei quali si alternano momenti di choc darwiniano e momenti lenti di tipo lamarkiano. Lo spazio del Terzo paesaggio si pone come uno spazio privilegiato perché accoglie la diversità biologica, ne favorisce la crescita. Si contrappone dunque all’insieme dei territori antropizzati sottomessi alla gestione e allo sfruttamento dell’uomo poiché la gestione antropica delle componenti naturali del paesaggio seleziona la diversità e a volte l’esclude del tutto. Nei siti industriali, nelle città, in quasi tutti i luoghi dell’attività umana, dal turismo alle colture agricole e


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forestali, la biodiversità si riduce a poco o nulla. Anche dove la natura è affidata alle pratiche agricole, delle sue componenti rimane ben poco: il numero di specie che ritroviamo in un campo coltivato o nel sottobosco di un impianto forestale è molto basso se confrontato con quello che sopravvive in uno spazio relittuale. Tuttavia proprio l’espansione della città e degli assi di comunicazione inducono una crescita del numero di quegli spazi residuali, ovvero di quelle aree abbandonate organizzate per maglie, vere e proprie “membrane urbane”, che cominciano a chiudersi man mano che ci si avvicina alle grandi città. Se tali

residui ri­ mangono in contatto tra loro la diversità biolo­gica può restare elevata e trovarvi rifugio. Questi rimangono infatti luoghi di indecisione per le amministrazioni e per l’utilizzo programmato da parte della società. Gli esseri viventi che lo occupano però - piante, animali, uomini - vi prendono delle decisioni agendo in tutta libertà e ne impiegano spazio e risorse rispondendo all’urgenza del proprio bisogno. Sono sempre urgenze dettate dalla biologia, niente affatto prevedibili. Al contrario bisognerebbe insistere sulla necessità di ‘prevedere’ questi spazi dell’indecisione, questi frammenti di Terzo paesaggio, in seno alle aree urbane o rurali, per

I giardini del quai du Branly, Parigi, opera di Gilles Clément sono un esempio di rifugio della biodiversità in città


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consentire la necessità di regolamentarne l’esistenza. Clé­ ment sottolinea la necessità di disegnare un’or­ganizzazione, differente e realistica, del territorio contemporaneo ovvero per maglie larghe e permeabili. Solo così il Terzo paesaggio può rimanere il luogo privilegiato dell’intelligenza biologica ed acquisire la sua dimensione politica. La vocazione al mantenimento della biodiversità lo qualifica come una riserva genetica del pianeta, lo “spazio del futuro”, una necessità biologica che condiziona l’avvenire degli esseri viventi e la sua conservazione diventa un fattore che modifica la

lettura del territorio valorizzando dei luoghi che di norma vengono ignorati. Le scelte che vengono fatte sull’uso del suolo e del territorio devono prevedere la conservazione e la valorizzazione dei luoghi “incerti” per poter gestire con successo e lungimiranza il futuro. In quest’ottica il Terzo Paesaggio deve diventare oggetto d’interesse per i professionisti della gestione del paesaggio, per coloro che lo progettano e che dovranno prevedere nei loro interventi l’inclusione di una parte di spazio non gestito o definire come spazi di pubblica utilità i terreni abbandonati e incolti. L’agire sul Terzo Paesaggio è andare


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con, non contro la natura, assecondare, osservare e intervenire il meno possibile. Sfuggire le regolazioni, rimanere nel disinteresse. Sfuggire dall’assunzione dal voler creare modelli. Il gioco di lasciare le cose come stanno (e come evolvono) non elude evidentemente la decisione. L’azione c’è dunque ed è in modo tradizionale, sapiente, mette in gioco le capacità di osservazione, classificazione, deduzione. Infatti, se la visione antropocentrica dovesse prevalere, se lo sguardo sulla natura dovesse rimanere distratto e disattento non potrà che permanere l’attuale stato di sfruttamento incondizionato delle risorse. Occorre un

cambiamento di paradigma che riconsideri il rapporto tra uomo e natura alla luce di una nuova attenzione alla diversità e questa attenzione, e per essere efficace, non potrà che essere collettiva, dovrà manifestarsi come il frutto di una serie di interessi condivisi. Il Terzo Paesaggio appartiene alla collettività e come tale essa stessa deve tutelarlo e mantenerlo. La “durata del Terzo paesaggio” sia per quanto riguarda la diversità sia per quanto riguarda il futuro biologico, soprattutto nelle pratiche di messa in opera dipende dall’uomo. La “densità” della sua presenza sul territorio è un fattore importante per la gestione, la


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conservazione e lo sviluppo. L’evoluzione della diversità non può che essere conseguenza dell’organizzazione del territorio. Nel pensiero di Gilles Clément l’uomo è in primo piano, così come lo è la sua “istruzione”, nel Manifesto propone di “insegnare i motori dell’evoluzione come si insegnano le lingue, le scienze, le arti.” L’uomo è il giardiniere della Terra e le arti e gli strumenti per essere giardinieri devono essere conosciuti da tutti, per “facilitare il riconoscimento del Terzo Paesaggio alla scala abituale dello sguardo.” “Lo statuto (non scritto ma accertato) del Terzo paesaggio è di ordine planetario. Il mantenimento della sua esistenza non dipende

da esperti ma da una coscienza collettiva.” La miglior tutela di questi luoghi residuali, perciò, è quella che consente la loro sopravvivenza come elementi di connessione e vivificazione tra i vuoti della maglia delle attività antropiche. In situazioni extra-urbane viene anche individuata la possibilità di evoluzione degli incolti verso forme naturali di paesaggio come le foreste. Questa concezione ecologica e non patrimoniale del territorio conferisce valore positivo ad elementi come l’instabilità, la contiguità, l’improduttività, il nomadismo biologico e a quelle che vengono definite da Clemént “pratiche consentite di non


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organizzazione”. La non esclusione mette in discussione la modalità abituale del costruire e abitare lo spazio in ambiti e luoghi separati - la residenza, il parco, l’area

produttiva e quella commerciale - proponendo un paesaggio altro, terzo appunto, di cui si percepisce la presenza come “frammento condiviso di una coscienza collettiva”.



LE RISORSE IN RETE



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La rete ecologica

Durante la conferenza che si è tenuta alla Facoltà di Architettura di Ferrara nell’ambito del progetto di Rigenerazione Urbana è intervenuto il geografo Franco Farinelli. Il suo intervento ci ha permesso di orientare la nostra riflessione sul significato odierno di paesaggio, ovvero di come le scoperte scientifiche dell’ultimo secolo abbiano modificato la percezione dello spazio fisico. Nel 1969, tra California e Washington nacque la rete, il primo collegamento fra quattro computer delle diverse università americane. Nello stesso anno l’uomo conquistò la superficie lunare. Spazio e tempo diventano perciò due unità relative e prive di senso ed

ha inizio la visione globale. Sotto questo punto di vista cadono le opposizioni fra città e campagna perché lo spazio che consideriamo “non è più quello in cui le costruzioni si susseguono in modo serrato, quanto il luogo in cui gli abitanti hanno acquisito una mentalità cittadina” come osserva anche André Corboz nel suo scritto Il territorio come palinsesto. Inoltre da quando i satelliti sono in grado di trasmetterci ininterrottamente l’immagine della Terra, parcella per parcella ci rendiamo conto che quello che noi ora vediamo dipende dalla rete. La rete si compone di un Hardware, ovvero di una parte fisica, tangibile,


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e di un Software, che costituisce la serie di programmi e di funzioni che fanno corpo con la rete e che potremmo identificare con le persone. Ma se gli umanisti costruirono la modernità attraverso l’uso delle mappe, noi dovremmo farlo attraverso la rete. La rete è proprio ciò che sfugge alla rappresentazione cartografica, la rete è il paesaggio inteso come luogo in cui lo sguardo di osservatore e cosa osservata vengono a coincidere: un paesaggio in movimento. Questo paesaggio risulta sovraccarico di informazioni, di segni delle mutazioni, tali da assomigliare al “palinsesto” descritto da Corboz,

il quale conclude che per insediarvi nuove strutture è spesso indispensabile modificare la superficie in modo irreversibile tenendo presente però che il territorio non è un vuoto a perdere e nemmeno un prodotto di consumo sostituibile. Forse può essere un prodotto commerciabile, barattabile, ma rimane ad ogni modo unico ed è necessario riciclare, grattare via una volta di più ma con la stessa cura con cui si gratta la superficie della pergamena: cancellare il vecchio testo presente sulla superficie del suolo per inserirne uno nuovo e rispondente alle mutate esigenze, prima di mutare nuovamente a sua volta. Risulta evidente che il fondamento


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della pianificazione della nuova era non può più essere la città, ma questo fondo territoriale al quale la prima deve essere subordinata. Procedendo in questo modo si perviene all’assunto che la Terra è formata da una serie di parti irriducibili fra loro perché particolari. Un’ attenta considerazione delle tracce delle mutazioni non comporta un atteggiamento feticistico nei loro confronti. Non si tratta di circondarli di un muro per conferir loro una dignità fuori luogo ma di utilizzarli come elementi, come punti di appoggio, accenti, stimoli per la nostra pianificazione. Un luogo non è un dato ma il risultato di una condensazione di dati.

Sul solco di queste riflessioni si inseriscono le proposte ambientali sulle reti ecologiche che si qualificano come uno strumento per la conservazione della biodiversità, soprattutto in quelle situazioni dove il territorio è fortemente improntato dalle attività umane. Si tratta di assicurare collegamenti funzionali tra i vari frammenti di habitat per permettere continui scambi tra le popolazioni favorendo la conservazione e l’arricchimento della diversità genetica, base per la permanenza durevole delle specie nel territorio. L’apporto delle conoscenze ecologiche, integrate con i sistemi informativi geografici consente attraverso


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la mediazione della progettazione ecologica di pensare e tratteggiare i contorni dii un territorio tanto ideale quanto fattibile. Uno schema di riferimento attorno al quale strutturare le diverse azioni. Nel territorio Emiliano gli elementi di particolare rilevanza sono costituiti dai fiumi, i canali e le aree umide, che costituiscono la struttura primaria della geografia e dell’ecologia della pianura. Le acque, per la loro stessa natura, costruiscono una rete continua, che ne garantisce ruolo ed importanza ecologica. Va da sé che di fondamentale importanza risultano le modalità gestionali di tali ambiti; poichè a seconda di come i gruppi di alberi,

gli arbusteti e le praterie vengono gestite, si modifica l’efficienza ecologica che permette agli animali di vivere e spostarsi. Gli animali e le piante tendono, per loro natura,ad insediarsi nel territorio e a formare popolazioni stabili negli habitat a loro più adatti; tendono inoltre spontaneamente a diffondersi e a spostarsi in risposta a modifiche ambientali, per ampliare la propria presenza, per procurarsi il cibo, per trovare luoghi adatti alla riproduzione o per sfuggire a situazioni divenute ostili. Come le società umane abitano città e paesi e si spostano su strade e ferrovie, così piante e animali vanno a occupare i loro habitat muovendosi


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e propagandosi lungo elementi di connessione fisica ed ecologica costituiti, in particolare nei territori di pianura, da siepi, filari, fasce boscate e/o a prato, corsi d’acqua. Inoltre, il continuo spostamento di individui appartenenti a popolazioni diverse, attraverso lo scambio di materiale genetico, consente la ricombinazione e quindi la conservazione di un insieme elevato di diversità genetica. Le popolazioni così si “fortificano”e quindi si riduce la probabilità di estinzione locale. Purtroppo, nelle zone più intensamente utilizzate dall’uomo si assiste ad una drastica riduzione delle aree naturali, sia come quantità che come varietà. In più queste aree hanno

la tendenza ad essere sempre più isolate le une dalle altre. Nel caso di territori fortemente semplificati e modificati dalla massiccia influenza della città, le strade e l’agricoltura intensiva, le specie più esigenti dal punto di vista ecologico sono in forte difficoltà, poiché i loro movimenti sono ostacolati e diventano quasi impossibili. Mancano o sono presenti in modo insufficiente, gli habitat adatti e quindi le popolazioni restano isolate e separate, rischiando una progressiva scomparsa. Questo fenomeno, che prende il nome di “frammentazione”, sta causando gravi distorsioni ai vari ecosistemi interessati: la natura è


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Le siepi sono un esempio di corridoio ecologico

espulsa, marginalizzata, e in questo modo viene messa in forte dubbio la possibilità di sopravvivenza delle specie selvatiche e il godimento di una serie di benefici che assicurano con la loro presenza. Bisogna quindi considerare le popolazioni di specie floristiche e faunistiche non come entità confinate, per le quali è sufficiente preservare alcune “isole di natura”, ma come componenti di un ecosistema più ampio per il quale è necessaria un’adeguata dotazione di habitat, adatti per garantirne la conservazione e possibilmente l’incremento. Quello che si tendeva a fare fino a non molto tempo fa nell’ambito della pianificazione, ed in particolare a

livello locale, riguardava soprattutto le problematiche legate alle aree urbane e ai tracciati infrastrutturali, mentre il territorio extra-urbano non godeva di una particolare attenzione fatto salvo per particolari vincoli idrogeologici e alcune generali tutele paesagistiche. Tuttavia è ormai chiaro che un modello di governo e gestione del territorio che si limiti alla conservazione di alcune aree residuali risulta inadeguato, se non viene integrato in un disegno generale che assicuri la connessione ecologica e funzionale fra aree diverse. Ciò risulta particolarmente vero in un ambiente caratterizzato da piccoli frammenti di habitat naturali e/o


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semi-naturali immersi in un “mare” di ambienti artificiali. Diventa essenziale che gli elementi di valore ecologico vengano potenziati e messi in collegamento tra loro con la creazione di passaggi e vie di connessione studiati e realizzati con l’obiettivo di formare una rete ecologica. Il concetto di rete ecologica porta a ricercare gli elementi paesaggisticoambientali ancora presenti, prevedendone un miglioramento degli standard qualitativi e individuando anche nuovi ambiti per il completamento della trama verde. La rete ecologica si compone di due elementi principali: i nodi e i corridoi. Il termine corridoio necessita di

essere definito poiché presenta una doppia valenza che va ad influenzare l’intreccio delle ragioni locali con quelle sovralocali e mette in gioco molteplici visioni nei confronti di usi, segni, valori. Da un lato il termine “corridoio” indica una continuità infrastrutturale che si compie con un opera di separazione e sovrapposizione rispetto all’intorno territoriale. Visto dall’esterno invece il corridoio e la sua continuità interna si rovesciano in divisione e rottura,discontinuità, frattura. Il termine parla quindi sia della natura interna dell’oggetto “corridoio” sia dell’oggetto rispetto al quale il corridoio viene a configurarsi come tale e quindi del conseguente


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ed inevitabile scontro che avviene fra interno ed esterno. Storicamente il fenomeno del corridoio ha origine con l’infrastrutturazione ferroviaria della seconda metà dell’Ottocento che porta ad una indifferenza del corridoio rispetto al contesto territorriale: dalla costruzione dell’opera l’attenzione si sposta alla circolazione dei flussi. Oggi tale fenomeno deve essere inquadrato all’interno del processo contemporaneo di trasformazione dello spazio che porta alla formazione di patchwork territoriali fondati sulla giust’apposizione di corpi fisici autonomi e autoreferenziali. Il caso più frequente ma al contempo emblematico è quello che muove

dal confronto fra territori della dispersione insediativa da un lato e progetti di grandi linee strutturali dall’altro. La logica che guida le trasformazioni è quella della penetrazione, dello scavalcamento dell’ ostacolo, a fronte della resistenza posta dal territorio fortemente urbanizzato. La dialettica tra nuovo oggetto e preesistenze è tutta giocata in termini di conflitto e gli unici punti di contatto e di interazione progettuale sono quelli relativi alle retoriche verdi su cui nel tempo si è formato un consenso collettivo: mitigazione degli impatti, compensazione dei costi, salvaguardia delle zone privilegiate della Storia e della


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Natura. Il corridoio ecologico nasce invece per rivendicare il suo statuto interno autonomo, ma al tempo stesso non può impedire di funzionare da attrattore di trasformazioni insediative alla ricerca di visibilità o di facile accessibilità alla rete infrastrutturale, e da elemento generatore di nuovi ordini territoriali. Questo nesso dialettico è oggi oggetto di diverse ricerche disciplinari, che puntano l’accento non solamente su sulle valenze principali dei nodi in cui avviene l’interscambio tra infrastruttura e ambiente insediativo, ma anche sulla congruenza territoriale delle opere infrastrutturali, sulla porosità

dei corridoi e sulla possibilità di costruire paesaggi intermedi. La funzionalità di spazi naturali e seminaturali, infatti, anche di limitata estensione come quelli generalmente rinvenibili nel territorio antropizzatodi pianura, viene garantita dalla reticolarità del sistema, che è così in grado di assolvere alle funzioni ecologiche senza condizionare in modo rigido le altre esigenze di governo del territorio. In questa maniera si propone l’ottimizzazione delle risorse esistenti e l’aumento del valore ecosistemico dei territori attraverso una gestione integrata degli spazi; favorendo in questo modo la diminuzione dei conflitti che verosimilmente si instaurano quando


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si devono far convivere diversi usi e destinazioni. Il territorio emiliano presenta reti di diverso tipo che differiscono per gli habitat di cui sono costituite, per le specie che le possono utilizzare, per l’ampiezza della maglia e per l’andamento più o meno rettilineo; ad esempio, la rete costituita dai corsi d’acqua è diversa da quella degli habitat boschivi o delle praterie. In termini morfologici, invece, si possono distinguere tre tipi di reti: le reti “dendritiche”, ad esempio il reticolo idrografico creato dall’erosione e dal flusso dell’acqua, sono caratterizzate da una forte ramificazione; quelle rettilinee presentano al contrario un alto numero di angoli

retti e linee diritte, essendo costituite principalmente da siepi, filari, fasce boscate o prative (come gli argini dei corsi d’acqua); le reti “ondulate”, come i sentieri degli animali, tendono ad essere legate alla topografia. Tutte, in ogni caso, svolgono ruoli fondamentali per i vari processi ecologici che originano, mantengono e favoriscono. I nodi della rete ecologica rappresentano le aree a forte naturalità e con alta concentrazione di biodiversità e si dividono principalmente in due tipologie • gli intersection nodes, posti nei punti di incrocio tra corridoi (nodo C della figura a lato); • gli attached nodes, cioè habitat


Situazioni di scarsa connessione fra i nodi di una rete ecologica

nodo della rete ecologica corridoio ecologico zona parzialmente ospitale zona inospitale

Diverse tipologie di corridoi ecologici presenti in natura nodo della rete ecologica corridoio ecologico zona parzialmente ospitale zona inospitale

Schemi sulla gerarchia dei nodi e sui loro funzionamenti in relazione ai gradi e alle tipologie di connessione fra uno e l’altro.


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(più larghi di un corridoio) situati lungo un elemento di connessione (nodi F e G). I corridoi della rete ecologica costituiscono, invece, le connessioni tra i nodi : la loro ampiezza e il loro andamento (ondulato, rettilineo o dendritico) sono caratteristiche funzionali importanti. Il numerodi corridoi “attaccati” a un nodo è espressione dell’importanza di quel particolare nodo (ad esempio il nodo C è più importante del nodo D che a sua volta è più importante del nodo A, isolato). I corridoi sono strisce di territorio che differiscono dal territorio circostante; in particolare quelli di natura vegetazionale contribuiscono

significativamente a molti obiettivi: • favoriscono la protezione e la dispersione della biodiversità; • favoriscono la produzione agroforestale; • favoriscono finalità sociali e ricreative. In termini ecologici, le funzioni dei corridoi si possono riassumere sinteticamente in 5 punti: 1) habitat; 2) condotti; 3) filtri; 4) source areas; 5) sink areas. 1) I corridoi come habitat sono quelli in cui predominano le specie


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generaliste e quelle tipiche delle zone di margine. Le specie generaliste sono le uniche che riescono a tollerare le condizioni ambientali tipiche di un habitat di estensione generalmente limitata e di quasi nulla articolazione interna. 2) I corridoi come condotti sono quelli che permettono il movimento e lo spostamento degli animali ai fini della dispersione e migrazione. Inoltre permettono il flusso genico come conseguenza dell’incrocio degli individui di popolazioni diverse che altrimenti rimarrebbero isolate. Le caratteristiche strutturali dei corridoi influenzano la loro funzioneconnettiva. In particolare:

• poche strettoie, poche interruzioni,scarsa curvilinearità, poche entrate ed uscite, pochi incroci con strade o corsi d’acqua rendono più efficiente il movimento degli animali nel corridoio; • meandri pronunciati nel corridoio permettono agli animali di evitare di seguire i circuiti dello stesso e dimuoversi direttamente all’internodei meandri; • l’ampiezza del corridoio ha un ruolo variabile, che dipende dal tipo di corridoio (boscato, prativo,acquatico o misto) e dalla specie che vi si muove. 3) I corridoi come filtri si comportano anche come “membrane” più o meno permeabili, cioè


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rappresentano barriere variamente significative al movimento di certe specie. Le specie passano attraverso o penetrano nei corridoi attraverso gaps (discontinuità),o “elementi recettori” presenti lungo il suo sviluppo (ad es. piccole rientranze, lobi, piante isolate, etc.). Il risultato dell’effetto-filtro del corridoioè la separazione di patch (habitat) sui lati opposti del corridoio, che si traduce spesso in una differente composizione in specie e in una differenziazione genetica delle sottopopolazioni. 4) I corridoi come source area sono quelli formati un’area da cui le specie si disperdonopossono

ospitare erbivori che trovano risorse alimentari nei campi, predatori che controllano le invasioni di infestanti (nei campi), alberi che disperdono semi, predatori che cacciano nella matrice. 5) I corridoi come sink areas presentano invece un’area verso la quale le specie si dirigono quando accumula sedimenti e semi trasportati dal vento, nutrienti minerali, animali. Due esempi di corridoi ecologici molto comuni sono le aree a prato che si trovano ai bordi delle strade e gli impianti arborei ed arbustivi che costeggiano i corsi d’acqua. Il primo tipo di corridoio riveste


I canali sono dei corridoi acquatici perchè presentano vegetazione sia sulle sponde sia in acqua


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un’importanza molto inferiore rispetto al secondo, per due ordini di motivi: si tratta di porzioni di territorio soggette ad alto inquinamento di tipo chimico e sonoro e che non sono in grado di offrire un alto grado di protezione alle specie che scelgono di muoversi lungo di esse. La struttura migliore è considerata essere una rete di ampi corridoi continui di vegetazione o, in secondo luogo, un gruppo di aree che consenta e garantisca il passaggio delle specie nei punti in cui la matrice non è idonea. Per questo motivo le reti ecologiche iniziano ad essere viste come un fattore primario della morfogenesi e nell’infrastrutturazione morfologica

del territorio, ed è sotto questa luce che vengono rivisitati episodi storici della disciplina come la progettazione delle parkways o il ruolo delle opere pubbliche nei piani urbani del primo Novecento. Lungo questa logica e sotto nuove discipline come l’ecologia del paesaggio, si è anche ricominciato a discutere del ruolo dei corridoi naturali in rapporto alla logica univoca dei corridoi infrastrutturali e insediativi. I corridoi verdi e fluviali, le reti naturali ed ecologiche, vengono viste come elementi fondamentali per riterritorializzare i longitudinali corridoi costruiti, e per articolare e diversificare il paesaggio nella sua interezza.


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Mobilità e accessibilità

Se si può scongiurare la conquista da parte della città del territorio sulla scorta delle più valide argomentazioni, e valorizzare ancora ciò che vi si oppone, o portare esempi contrari, non si può negarne la tendenza, né la portata crescente dei suoi effetti. Abbiamo già messo in luce nei precedenti capitoli come la città sia un esempio di struttura dissipativa “Una città è differente dalla campagna che la circonda; le radici di tale individuazione risiedono nelle relazioni che essa intrattiene con la campagna attigua: se queste venissero soppresse, la città scomparirebbe.”scrive Prigogine1. L’indagine sulle relazioni che intercorrono fra città e campagna ci

portano a ragionare sulla mobilità e sull’accessibilità. Risultà evidente che valicare una montagna o attraversare una foresta non implica lo stesso tempo di quello che ci vuole per percorrere una pianura. Lo spazio, la sua evoluzione, la sua percezione, è solo una forma del tempo che passa. Per questo motivo nelle mappe di Idrisi2 vi erano segnate le rotte delle navi e i percorsi dei cavalli. Ma si trattava di mappe molto particolari: le distanze non erano proporzionali agli spazi ma ai tempi di percorrenza. Queste mappe temporali disegnavano sia lo spazio che il tempo. Nella tarda antichità i contorni terrestri eran personificati e caratterizzati

1.Prigogine Le leggi del caos, Laterza, Roma-Bari 1993. 2. Abu ‘Abd Allah Muhammad anche detto Idrisi era un geografo e viaggiatore berbero che fu invitato alla corte di Ruggero II di Sicilia, dove realizzò una raccolta di carte note con il titolo Il libro di Ruggero.


Carta del Mondo di Idrisi


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così come nel mappamondo di Erbstorf del XIII secolo che identificava la Terra con Cristo, o quelle di Opicinus da Canastris in cui l’Europa assume le sembianze di un corpo androgino: la Spagna è la testa, Venezia il sesso e i paesi baschi un leone. La personificazione del territorio è antecedente al concetto di nazione come insieme organico e a volte la sostituisce. Queste diverse traduzioni del territorio in figure rinviano ad una realtà incontestabile che il territorio ha una forma. Anzi che è una forma. La quale non è detto che debba essere geometrica. L’avvento della rivoluzione industriale aveva già contribuito a far cadere queste allegorie, poi, i nuovi

strumenti hanno contribuito a tessere insieme un territorio inedito, dove l’immaginario e il reale si verificano l’un l’altro: questo territorio ha cambiato forma. Non è più costituito principalmente da distese e ostacoli ma da flussi, assi, nodi. E questo ci porta a prendere consapevolezza della mobilità e dell’accessibilità che si svolge e che viene offerta da un dato territorio. Prima di ragionare sulla mobilità e sull’ accesibilità bisogna interrogarsi sulle ragioni che portano le persone a muoversi secondo modalità e motivazioni diverse ma con ritmi sempre più accelerati e come queste modalità debbano ritenersi collegate alla forma assunta dalla città.

Particolare della carta geografica di Opicinus da Canastris


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Emerge nuovamente il tema della città diffusa e i processi che portano verso la territorializzazione dell’urbano. I grandi poli produttivi che gravitano attorno al centro cittadino e le adiacenti città satellite che vivono in simbiosi con questi. In Italia si riscontra un problema di dotazione infrastrutturale e di efficienza oltre che a quello della qualità delle sue caratteristiche spaziali. Infatti la trasformazione ha determinato un rafforzamento di aree e di distretti ben inseriti nelle dinamiche economiche europee e globali ma all’interno di un quadro infrastrutturale inadeguato. Lynch nella sua Theory of good city

form definisce il tema dell’accessibilità in quanto aspetto strutturale del progetto della città. Arriva dunque a definire i principali tipi di accessibilità collegati alla dimensione prestazionale che essi svolgono: - L’accessibilità delle persone e quindi la dimensione privata dell’accedere legata all’uomo in quanto animale sociale - L’accessibilità alle attività umane: lavoro, residenza, servizi, risorse materiali - L’accessibilità ai luoghi e agli spazi dedicati al tempo libero, e anche ai luoghi che sebbene di piccole dimensioni riportano ad una dimensione legata alla nuova cultura dell’abitare a scapito delle metropoli


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- L’accesso all’informazione che porta comunque, nonostante l’affermazione delle nuove tecnologie informatiche al rafforzamento e all’espansione delle concentrazioni direzionali in aree fortemente specializzate, in particolare in quelle di rango superiore. Dobbiamo quindi pensare all’accessibilità come insieme di prestazioni legate al funzionamento della città. La struttura e la complessità di un territorio sono strettamente legate all’intensità delle relazioni che vi si compiono; progettare l’accessibilità significa ragionare sulle modalità che consentono di collegare i luoghi a partire dai processi di occupazione fisica del suolo ed alle forme della sua

crescita urbana. Si può pensare all’accessibilità come un problema legato a più fattori -ai diversi livelli di funzionamento della struttura insediativa -alle esigenze di interconnettere i diversi tipi di strutture -alle necessità di identificare e caratterizzare le soglie che consentono il passaggio e la transizione fra spazi e luoghi dell’infrastruttura e della città Per quanto riguada la conformazione dello spazio, potremmo definire la pratica dell’accedere a partire da due considerazioni: - Accedere come pratica dell’entrare, dell’avere accesso ad un luogo o ad uno spazio secondo una pluralità di modi, non solo fisici ma anche mentali

Schema sui diversi tipi di accessibilità


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e culturali - Accedere come pratica che presuppone il varcare una soglia entrando in relazione con una serie di spazi che possono attrarre o al contrario respingere, ovvero che stimolano l’accesso o al contrario lo rendono difficile. Ma l’accessibilità è inanzitutto un progetto di relazioni le cui caratteristiche possono essere articolate e intese sotto diversi aspetti. Il contesto pone il problema del riconoscimento e della reinterpretazione delle tracce, segni strutture legati alla forma della città. Questo ci porta da un lato alla riflessione sul rapporto accessibilità e trama strutturale storica, con un’attenzione particolare ai processi di risignificazione che

scaturiscono dall’incontro tra vecchie e nuove reti e trame insediative. Il progetto dell’accessibilità diventa dunque, nel nostro caso, anche progetto di paesaggio, riferito sia agli aspetti visuali che percettivi, sia a quelli riguardanti l’nfrastruttura come fattore trama verde insediativa. Ma soprattutto è un sistema di relazioni i grado di interpretare o definire il carattere di una nuova geografia umana attraverso un dialogo fra gli elementi compositivi del paesaggio e le componenti costruttive e spaziali dell’infrastruttura. Infine, nell’ottica della sostenibilità e della complessità ambientale il progeto dell’accessibilità può consentire anche il controllo e la misura


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Le reti sociali

Le reti viventi creano e ricreano sempre se stesse trasformando o sostituendo i loro componenti. Questo significa che c’è qualcosa d’altro oltre agli atomi e molecole che caratterizza la vita ed è qualcosa di immateriale ovvero uno schema di organizzazione. Tale organizzazione non è visibile osservando le singole parti ma è un’informazione aggiunta. Se osserviamo il comportamento dei singoli elementi notiamo al contrario che questo può essere al individualistico ed egoistico, come sostiene Nicolis1 formulando la legge di minima resistenza: ogni costituente mira al proprio benessere, a ottenere il massimo beneficio con il minimo dispendio di energia. Le interazioni

fra costituenti del sistema, che non sono né isolati né liberi, innescano, invece, un processo di reciproco adattamento; ogni individuo compie azioni e reazioni in accordo con le azioni e reazioni degli altri individui. Questo processo, generato dalla cooperazione e competizione dei costituenti, ognuno intento a perseguire i propri interessi, non si ferma finchè non è raggiunta un’organizzazione tale da garantire un’interazione armoniosa e non conflittuale tra i singoli, rispetto alle sollecitazioni esterne. Ci siamo quindi chiesti se non vi sia un’analogia fra i sistemi biologici e i sistemi sociali e la risposta l’abbiamo trovata in una lecture

1.G.Nicolis Physics of F a r- f r o m - E q u i l i b r i u m System and SelfOrganization in P. Davies, The New Physics, Cambridge University Press, New York 1989


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tenuta da Fritijof Capra nel Salone di Palazzo Vecchio a Firenze per l’Istituto Nazionale di Bioarchitettura: “Le reti viventi delle comunità umane sono reti di comunicazione. […] Ogni comunicazione produce pensieri e significati, che poi producono altre comunicazioni. In questa maniera l’intera rete produce se stessa. La dimensione del significato è cruciale per capire le reti sociali. Anche quando generano le strutture materiali – merci, manufatti o opere d’arte – queste strutture sono molto diverse da quelle generate dalle reti biologiche. Sono prodotte generalmente per uno scopo, secondo un certo design

e racchiudono un certo significato. […] Le reti biologiche operano nel mondo materiale, le reti sociali operano nella dimensione del significato. Tutte e due producono strutture materiali, e inoltre le reti sociali producono anche le strutture immateriali della cultura; valori, regole di condotta, una conoscenza comune, e così via. I sistemi biologici si scambiano molecole nelle reti di processi chimici; i sistemi sociali si scambiano informazioni e idee nelle reti di comunicazioni. Una rete biologica produce e sostiene un confine culturale che in modo simile da un’identità al sistema sociale, ossia alla comunità umana.” Attraverso questo concetto di rete


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siamo passati a prendere in considerazione la città in quanto schema reticolare che si organizza in opposizione al caos disarticolato all’esterno di essa e prospettando il ritorno alla città aristotelica: quella in cui l’essere umano si riappropria dello spazio pubblico. Negli anni ’90, proprio allo scopo di promuovere questo ritorno, furono varati in Europa nuovi piani strategici e strutturali che tenevano conto della complessità del territorio dando l’opportunità di lavorare in maniera sistemica. Scrive Roberto Mascarucci2: “ Mentre in passato il costruito prendeva dall’intorno territoriale prossimo la sua ragion d’essere, oggi il

“senso del luogo” dipende da altre relazioni (o non dipende più da alcuna relazione fisica): i rapporti territoriali sono sempre più immateriali e gli stessi rapporti materiali hanno allargato la loro portata ( in rapporto alle “reti lunghe” di cui si è parlato); in questa nuova dimensione problematica ogni intervento vede giustificata la sua localizzazione e la sua configurazione fisico-spaziale rispetto alle ragioni della vasta scala ( che peraltro cambiano con grande velocità). […] La dissoluzione delle città nelle reti territoriali modifica il ruolo dei siti urbani, che diventa funzione della posizione del luogo della rete, delle sue possibili interconnessioni, e del mutare del tempo di

R.Mascarucci, Nuova programmazione e progetti di territorio,Sala, Pescara 2000

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queste due variabili.” Possiamo quindi constatare che nella visione sistemica del territorio e delle reti di relazione di breve e di lunga portata, i sistemi urbani acquistano le caratteristiche di complessità e di indeterminazione, al pari dei sistemi biologici. Una conoscenza più completa di queste reti dinamiche perciò è la necessaria premessa per programmare nuovi processi e nuove configurazioni spaziali che siano coerenti e durature. In altre parole, il nuovo progetto di urbanistica dovrà essere un progetto di luoghi piuttosto che un progetto di spazi, un progetto che intende confrontarsi con la complessità del contesto in evoluzione,

e che intende scegliere consapevolmente il ruolo che un dato luogo può svolgere in maniera sostenibile nel territorio. Si tratta quindi di una continua ricerca della consapevolezza degli effetti delle proprie azioni, a partire dal grande progetto condiviso sino ai piccoli gesti quotidiani dei singoli. Abitare significa scegliere il modo in cui attuare queste relazioni nello spazio e nel tempo. Nell’ultimo ventennio, le scienze evolutive e l’emergere della crisi ambientale hanno condizionato e cambiato profondamente il significato dell’ abitare nel tempo e nello spazio, o, più esattamente, dell’abitare il tempo e lo spazio.


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Prigogine ha affermato che il tempo è nella materia, nella realtà delle cose, è parte integrante dell’evoluzione biologica. E dall’irreversibilità del tempo deriva la responsabilità di “abitare il tempo”, rispettando i percorsi evolutivi, riconciliando i tempi storici (quelli dell’uomo che consuma le risorse) con i tempi biologici (quelli della natura che rigenera le sue risorse), esplorando i sentieri della creatività. In egual modo, è cambiata la percezione dello spazio, che oggi appare molteplice, multiscalare, articolato in reti di relazioni materiali e immateriali. In virtù di questa nuova percezione, è lo spazio che paradossalmente assume connotati di relatività,

superando a volte la sua consistenza fisica e articolandosi, quasi dissolvendosi, in una maglia complessa di reti di relazione. Il luogo, o un sistema di luoghi, non ha confini se non arbitrari e relativi; ogni gesto è coinvolto in una catena di processi e relazioni non lineari, la cui dimensione ha come unico limite tangibile quello fisico dell’intera biosfera. La riforma della PAC (Politica Agricola Comunitaria) ha aperto nuovi spazi allo sviluppo del territorio rurale,orientando l’attenzione sempre più verso la qualità dei prodotti e del territorio, e sempre meno verso il tema della quantità. In questo caso una rete ecologica e sociale può costituire il punto di incontro


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tra gli indirizzi della nuova politica agricola comunitaria e le esigenze di conservazione della natura e della biodiversità oltre che allo sviluppo di nuove interazioni sociali. Alla rete provinciale, che rappresenta il punto di arrivo di questo processo di apprendimento sul campo, si potrà quindi arrivare attraverso il graduale assemblaggio di reti locali. La rete però ha bisogno di un forte sostegno dal basso, a dimostrazione

anche del valore che la società civile le attribuisce. Per tale motivo è opportuno coniugare interventi di conservazione con iniziative di valorizzazione e di fruizione, così come è importante stimolare la partecipazione del volontariato perché come scrive Italo Calvino nelle Città invisibili quando descrive la città ragnatela di Ottavia “Questa è la base della città: una rete che serve da passaggio e da sostegno.”


IL PROGETTO



IL CONTESTO



Uno scenario diffuso

La via Emilia ha fin dall’antichità caratterizzato lo sviluppo della Regione, concentrando attorno ad essa gli ambiti insediativi che oggi conosciamo e su cui insistono quasi tutte le province della regione, eccetto Ferrara e Ravenna. Queste ultime sono collegate all’asse principale di sviluppo rispettivamente dall’asse locale e dall’asse costiero. San Pietro in Casale si trova lungo questo asse locale tracciato, prima dalla via Porrettanta, e poi dalla ferrovia, esattamente a metà strada tra Bologna e Ferrara. Un raggio di 23 km che consente di raggiungere i centri dei due

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capoluoghi in un quarto d’ora circa di treno, o in macchina in autostrada usufruendo del vicino casello di Altedo. La provincia di Bologna e le Associazioni Intercomunali La superficie territoriale della Provincia di Bologna si estende per circa 3.700 kmq e presenta una densità abitativa media di 270 ab/ kmq, che risulta molto bassa se confrontata con quella di Bologna che raggiunge i 2.701 ab/kmq. Dal punto di vista amministrativo è formata da otto Associazioni Intercomunali e da tre Comuni non associati tra cui quello della Città di


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Bologna. Negli ultimi trent’anni, a fronte di un ridimensionamento demografico registrato nel comune di Bologna, arrestatosi solo negli ultimi tre anni, si è assistito ad un costante incremento nei restanti comuni della provincia (grafico 2). Il complessivo aumento provinciale è avvenuto per effetto dei flussi migratori che, negli ultimi anni, sono rimasti costantemente positivi (grafico 1). Le cittadinanze maggiormente rappresentate sono: Romania, con 17.720 persone, Marocco con 14.817 e Albania con 7.559.


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L’Unione Reno Galliera Fondata nel luglio 2001 dall’accordo fra 8 Comuni della Provincia di Bologna, l’ Associazione Reno Galliera si è trasformata in Unione il 9 giugno 2008 diventando a tutti gli effetti un Ente Pubblico Territoriale dotato di personalità giuridica e governato da un Presidente, da una Giunta costituita da tutti i Sindaci dei Comuni aderenti e da un Consiglio composto da una rappresentanza dei consigli comunali e dai Sindaci stessi. Il territorio su cui si estende è costeggiato dal fiume Reno e si


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estende a Nord del capoluogo sviluppandosi verso Ferrara, per un totale di 296 Kmq e di 72.066 abitanti. Ne fanno parte i Comuni di Argelato, Bentivoglio, Castello d’Argile, Castel Maggiore, Galliera, Pieve di Cento, San Giorgio di Piano e San Pietro in Casale, i quali hanno affidato all’Unione i principali servizi di Polizia Municipale, Protezione Civile, Servizi alle imprese, Servizi informatici, Gestione del personale, Pianificazione territoriale e urbanistica. Al suo interno ricadono anche il Centergross e l’interporto, rispettivamente il polo a cui


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fanno capo le 8.615 imprese insediate nel territorio. Una panoramica Il territorio lungo l’Unione Reno-Galliera presenta un tessuto urbano che va da una situazione più densa vicino a Bologna e si allarga a Nord verso Ferrara con un paesaggio agricolo rurale. L’area che comprende Funo di Argelato è’ l’area dell’Unione più vicina al capoluogo. La trama urbana è fitta, la campagna fa da riempimento agli spazi lasciati ancora liberi dall’urbanizzazione della prima periferia bolognese. Il valore naturalistico è quasi

nullo a favore di servizi ed infrastrutture. Al di fuori della cinturà urbana periferica, intorno ai piccoli centri urbani di San Giorgio di Piano e Striatico trovano posto delle piccole aree industriali, nonchè l’Interporto. Un segno marcato e chiaro sul territorio che alterna isole di cemento a distese di campi agricoli. Poi la maglia dei campi si allarga, poichè territorio di bonifiche che lasciano intravedere ancora oggi elementi tipici del paesaggio palustre: vaste aree umide, oggi riserve naturali protette e canali di regimentazione delle acque marcano

questa parte del territorio che si alterna alle terre asciutte. Le ville storiche costelllano il territorio di San Pietro, a volte isolate nel paesaggio agricolo, a volte unendosi a formare piccoli borghi storici come quello di San Benedetto. Oltre al dato storico-architettonico hanno un alto valore paesaggistico con i loro parchi e giardini. Nella parte più a nord del territorio il paesaggio agricolo si distende attorno al fiume Reno e al bosco della Panfilia. Le infrastrutture son date dalle strade comunali e dalle strade bianche mettono in comunicazione piccoli borghi rurali.


Un’associazione di Comuni per una realtà complessa

L’unione fa la forza... L’Unione Reno-Galliera prende il nome dalla provinciale Galliera (che unisce Bologna a Ferrara) e dal fiume Reno. Il territorio si estende per 296 kmq tra Bologna e Ferrara. Un territorio pianeggiante formato da dossi e pianure alluvionali che sono stati classificati in 5 macro ambiti o unità di paesaggio. All’interno di questo sistema San Pietro in Casale risulta il comune con la maggior estensione territorriale e con una preponderante vocazione agricola; in cui i residenti che sono occupati nel settore industriale lavorano invece nei comuni limitrofi.

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La suddivisione dell’Unione Reno-Galliera in Unità di Paesaggio secondo la morfologia storica del territorio


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Da qui l’esigenza di un’associazione per ridistribuire equamente le risorse tra i Comuni che ne prendono parte. ...ma la natura non ha confini Le macro-unità di paesaggio individuate dall’Unione si basano sull’antica morfologia del territorio. Tuttavia il sistema fluviale, quello ambientale e quello ciclabile si sviluppano secondo un concetto di rete che non sempre si adatta ai confini amministrativi dell’Unione Reno-Galliera ed ha perciò necessità di relazionarsi ad un panorama più ampio come risulta evidente dallo schema sulle reti ecologiche.


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Le conche e i dossi della morfologia storica


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Un sistema bivalente

Assetto delle infrastrutture Il sistema delle infrastrutture si sviluppa su tre differenti livelli gerarchici connessi tra di loro. Si configurano cosÏ delle macroinfrastrutture come la ferrovia e l’autostrada Bologna-Padova (A13), che hanno il compito di connettere i grandi poli presenti sul territorio come le città di Bologna e Ferrara. A livello intermedio si collocano le Strade Provinciali che costituiscono il collegamento a livello territoriale dei comuni presenti nell’area compresa fra la provincia bolognese e quella ferrarese. Infine le Strade Comunali che si districano fra

Il territorio comunale di San Pietro in Casale e la rete infrastrutturale


Schemi che mostrano come si struttura il territorio comunale di San Pietro in Casale


Schemi che mostrano come si struttura il territorio comunale di San Pietro in Casale


i campi coltivati, mettono in contatto i comuni alle piccole frazioni limitrofe, a volte costituite da un agglomerato di poche case. Questo sistema gerarchizzato ha costituito un paesaggio delle infrastutture, del costruito in cui è evidente l’influenza antropica. Si è sviluppato fortemente lungo l’asse Nord-Sud, su cui si innestano e tuttora si evolvono i principali comuni del territorio esaminato. Assetto del paesaggio La campagna costituisce lo sfondo su cui si innestano i vari elementi naturali. Il Bosco della

Il fiume Reno, i canali idrici e le riserve naturali segnano il territorio in maniera trasversale


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Panfilia a Nord-Ovest con annesso il Parco del Fiume Reno costituisce forse l’unico habitat naturale incontaminato, in cui si è cercato di limitare l’intervento umano con la salvaguardia. Tramite il recupero e la messa in sicurezza di aree paludose come le ex-risaie è stato possibile ricavare l’Oasi “La Rizza” in cui è possibile l’attività del birdwatching e dove nidificano le cicogne. Distribuite in modo diffuso si trovano invece le zone umide che caratterizzano il territorio evocando l’antico uso dei maceri per la lavorazione della canapa. Questo “paesaggio” degli elementi naturali diviso fra i terreni coltivati, i terreni paludosi e le zone boscate, costituisce un carattere di qualità del territorio ancora poco sfruttato.

L’habitat naturale dell’Oasi “la Rizza”


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Le componenti del paesaggio rurale Gli elementi che compongono il paesaggio agreste del comune di San Pietro sono suddivisibili in tre categorie: -le architetture -le infrastrutture -la vegetazione Per ognuna di queste categorie abbiamo individuato quelle che sono le tipologie che ne fanno parte, per poterne studiare le modalità di insediamento e di configurazione del territorio.

La corte Nei piccoli poderi suburbani si tratta dello spazio aperto che divide l’edificio di tipologia “casa colonica”,dalla stalla, luogo adibito al ricovero degli animali. La “casa colonica” è un’abitazione rurale in cui la famiglia che vi abitava e vi lavorava non era proprietaria della stessa casa e dello stesso fondo ma era vincolata da un contratto di mezzadria con il proprietario del fondo. La villa Tipologia architettonica che storicamente era costituita da

un’ampia residenza collegata ad attività agricole. L’idea e la funzione della villa hanno subito una considerevole evoluzione. Nel XIX secolo il termine “villa” fu esteso a descrivere qualsiasi casa suburbana che fosse isolata in aperta campagna, in contrapposizione alla “schiera” di case unite. Al momento in cui si costruirono ville semi-isolate nel XX secolo, il termine perse il suo originario significato e si inflazionò. Rimangono delle aree interessanti per il pregio e la varietà dei loro giardini.


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I borghi I borghi presenti in zona sono la reminescenza delle antiche borgate rurali medievali formatesi intorno al centro più grande di San Pietro. Nell’antichità si presentavano come un piccolo gruppo di case attorno ad una piazza, generalmente quella della chiesa. Spesso era presente anche una torre a scopo militare. La stazione Il tratto di strada ferrata che collega Bologna a Ferrara fu inaugurato il 26 Gennaio

1862. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento si sviluppa la stazione ferroviaria di San Pietro in Casale, come punto intermedio della tratta. Ancora oggi mantiene la sua importanza strategica poichè è una delle fermate dei treni Regionali e Interregionali. La ferrovia, pur essendo la direttrice lungo la quale si è sviluppata San Pietro in Casale, si configura come elemento marginale rispetto al centro cittadino. L’autostrada Il tratto di autostrada Bologna-

Padova (A13) fu inaugurato il 6 Giugno 1970, si trattava di un nuovo elemento che collegava in modo diretto Bologna e Ferrara. L’apertura del casello di Altedo ha poi permesso lo sviluppo di punti intermedi, come San Pietro in Casale e la stessa Altedo, modificando così le abitudini di utilizzo dei mezzi di trasporto, favorendo la motorizzazione della popolazione. Prima dell’avvento dell’autostrada, le direttrici più importanti che collegavano Bologna a Ferrara erano la Via Nazionale, passante per Altedo, e la Via Provinciale di Poggio Renatico




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che tocca San Pietro in Casale.

Le aree agricole

Le strade comunali

Le aree agricole presenti nel sono diverse e rispecchiano la storia del territorio. Si possono individuare le zone di antica formazione caratterizzate da una trama irregolare, le aree di recente formazione presentano invece una trama regolare e infine quelle derivanti dalla riforma fondiaria dalla trama più ampia. Quest’ultima è il risultato delle bonifiche che ripartivano i terreni tramite il sistema della “larga” illustrato nello schema a fianco. Le colture presenti nella zona sono: frumento; mais; erba medica; barbabietole;

Si tratta di strade che ricalcano le antecedenti vie di comunicazione che connettevano rispettivamente: la pianura ferrarese agli appennini toscani e Poggio Renatico a Ferrara e Bologna. Non sono molto larghe e il passaggio in alcuni tratti è garantito solo per una vettura alla volta. Spesso costeggiano i campi irrigui e i relativi campi coltivati.

frutteti di pere, mele, pesche, albicocche. La piantata La “piantata” era un sistema introdotto dagli Etruschi per favorire lo sviluppo di viti selvatiche lungo i tronchi degli alberi. Si dice infatti che la vite viene “maritata” con i filari ed in tal modo si ottiene il massimo sfruttamento dalla terra poichè l’ “albero tutore” drena il terreno e permette ai grappoli la massima insolazione. L’intero sistema aveva il vantaggio di sviluppare contemporaneamente diverse


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colture:la vite, i seminativi al suolo e il foraggio. Le campagne erano perciò suddivise in appezzamenti regolari tramite filari piantati con: olmi; aceri campestri; frassini; che talvolta potevano essere sostituiti da pioppi o da gelsi. I maceri Il macero da canapa aveva diverse forme e dimensioni in base alla quantità di canapa prodotta in quel podere e sufficiente a macerare la canapa in due volte. Questa pianta fu introdotta nel bolognese a partire dalla

seconda metà del XV sec ed era ancora diffusa fino a 50-60 anni fa per fabbricare corde, tessuti, stuoie, ecc. Era costituito da due sezioni: una più profonda detta cantina, di forma quadrangolare e una più alta, trapezioidale, con pareti leggermente inclinate e ricoperte da graticci di legno o vimini o da pietre. La profondità variava dal metro e mezzo ai due metri ed eran delimitati da siepi o da salici i cui rami venivan utilizzati per realizzare cesti e per legare le viti. Vie e specchi d’acqua

Le risorse idriche segnano il territorio secondo linee a volte più sinuose e naturali come nel caso dei fiumi e dei corsi d’acqua e altre volte fortemente artificiali come nel caso delle risaie, dei canali, dei navili e delle vasche dello zuccherificio. Queste ultime evidenziano il passato industriale del territorio e di cui la natura adesso se ne è riappropriata. La flora che si sviluppa in queste aree comprende specie che amano i terreni umidi e freschi come: i salici; i pioppi; la cannuccia di palude; il giunco; la mazzasorda.



Le Oasi La vegetazione che caratterizza queste aree è di tipo spontaneo e formata per lo più da specie igrofile come il pioppo bianco, la farnia, il frassino ossifillo, il

salice bianco, accompagnate da olmo, acero campestre, fragola, nocciolo, prugnolo, biancospino, ligustro e corniolo. Lo strato erbaceo, molto povero di specie, è caratterizzato dal carice maggiore, una

pianta erbacea tipica delle aree boscate planziali. L’oasi costituisce un prezioso rifugio per la fauna selvatica, da quella acquatica a quella terreste.


Un paesaggio in continua evoluzione Il nome San Pietro in Casale, appare per la prima volta il 20 novembre 1223, nell’ordinanza con la quale il comune di Bologna impone alle comunità del contado un capoquartiere della città a scopo militare. Prima di questa data, in questo lasso di tempo imprecisato (che durò tuttavia diversi secoli) sono presenti i due principali elementi che allora esistevano in un regime di convivenza particolare: la terra e l’acqua. La provincia di Bologna, come dicono gli storici bolognesi dell’Ottocento, era in origine coperta da “stagni insalubri, quasi tutto bosco e palude”. La

Bassa, compresa tra la via Emilia e il Po era ingombra di foreste e di estese paludi che si addensavano vicino al fiume dove la mancanza di argini solidi facilitava le tante alluvioni: così, vaste zone, già colonizzate dai romani, erano quasi ritornate allo stato primitivo. La presenza dei Romani si attesta a partire dal 559 d.C., anno in cui i scacciarono da quelle terre i Galli-Boii, insediando una colonia romana di 3000 uomini. Ad ogni cavaliere vennero assegnati 60 jugeri1 di terra e ad ogni colono 50 jugeri, cosa alquanto anomala, poiché nelle colonie

La lavorazione della canapa in un dipinto della prima metà del XVII secolo, Bottega del Guercino (Pinacoteca di Cento)

Le strade attorno a San Pietro in una mappa del 1774


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romane solitamente non si assegnavano più di 8 jugeri. A testimonianza di questo insediamento furono rinvenuti: lapidi sepolcrali, vasi antichi, sarcofaghi e cippi nelle località di Maccaretolo, Galliera, Massumatico, San Vincenzo, Cinquanta e San Benedetto. Con la caduta dell’Impero Romano i barbari invasero questi territori e vi si insediarono. Nonostante l’avvento di diverse popolazioni, l’assetto territoriale rimase immutato tanto che negli antichi testi nonantolani, si parla della selva di pianura detta Salto Piano dove Teodalto, signore di

Modena e Reggio, comandava. Dall’VIII al XI secolo l’uomo continuava a modificare l’ambiente naturale in cui viveva e a mettere a coltura nuove terre; per tutto quel periodo, nonostante ciò, il territorio rimase segnato da vaste zone rimaste incolte. Gli insediamenti dell’uomo erano collocati dove le acque non costituivano un pericolo naturale rilevante, sfruttando i dossi sopraelevati, difesi con interventi che approntavano canali e fossati artificiali o utilizzavano i resti della precedente colonizzazione romana. Un esempio di questo tipo di pratica si ha nel

Mappa catastale di San Pietro della prima metà dell’Ottocento

Mappa del Ducato di Galliera (1820) Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna


1490, anno in cui Giovanni II Bentivoglio costruì una sua villa, che ancora oggi sopravvive seppur molto rimaneggiata, sull’impianto di un’antica villa romana, delle cui rovine si ha memoria fin dal 1443, nella cronaca della battaglia fra Annibale Bentivoglio e Luigi dal Verme dei Visconti. La presenza di abitati nelle basse pianure si spiega con tre ordini di motivi: il persistere di vecchissimi insediamenti anteriori all’epoca medievale; la necessità di coltivare la terra anche dove il cespite maggiore dell’economia proveniva dall’utilizzazione delle aree incolte; è,

soprattutto l’attrazione che queste esercitavano su uomini che prediligevano l’uso di boschi e acquitrini al lavoro del suolo2. Il sostentamento degli abitanti si basava su un’economia di caccia e pesca, si spostavano infatti su piccole imbarcazioni tra fossi e paludi, mentre gli insediamenti e i villaggi tendevano ad essere vere e proprie “isole” circondate da lande in cui “si cacciava il cervo, il daino, il cinghiale” e venivano organizzate battute di caccia al lupo ancora presente nel 500.Con l’avvento dei comuni e una rafforzata identità “democratica” si interviene con una serie di norme a carattere

coercitivo sulle campagne circostanti perché esse dovevano fornire sostentamento ai bisogni delle città. Quindi da insediamenti fragili e minacciati da bestie selvatiche e banditi ma soprattutto frenati da forme di sviluppo poco adeguate, il paesaggio nell’Alto Medioevo, come scrive Emilio Sereni, si trasforma in un paesaggio agrario a campi chiusi, di vigneti, di orti e di frutteti.Alla crescita della popolazione di Bologna corrisponde infatti una maggiore necessità di terreni agricoli nel “suburbio”, ovvero terreni che nel nostro contesto per prima cosa devono essere messi in salvo dall’acqua.


Difatti, conseguentemente alla rotta del Po a Ficarolo, i bolognesi costruirono uno sbarramento ed un canale di derivazione dal fiume Reno (canale di Reno) per creare forza motrice per molini ed opifici ed alimentare vie navigabili. A valle il delta si sviluppò solo a Nord, sospinto dalle acque torbide del Po Grande, ciò indusse la città di Bologna ad arginare i fiumi e ad immetterli nel Po di Primaro, liberando dalle acque vaste zone nella bassa. L’intera comunità è chiamata d’autorità a gestire il sistema delle acque secondo una complessa organizzazione in cui ciascun soggetto è

responsabile di uno specifico ruolo, in questo modo il paesaggio primitivo subisce profonde modifiche fino a lasciare il posto ad un paesaggio più prossimo a quello che ancora a tratti possiamo percepire: il paesaggio agrario della Pianura. Testimonianza del recupero e coltivazione di terreni, precedentemente dominati dall’acqua, è il testo di Leandro Alberti che con la sua Descrittione di tutta Italia, racconta che “scendendo la Via Emilia, e camminando per mezo dell’amena e bella campagna”, questa appare ornata “di vaghi ordini di alberi dalle viti accompagnate” e ancora

“si veggono artificiosi ordini di alberi sopra i quali sono le viti, che da ogni lato pendono”. Come descrive il Gallo nelle sue Giornate dell’agricoltura questo paesaggio è conseguenza della successione di due fasi: la prima fase, successiva alla bonifica, è caratterizzata dalla divisione nei grandi appezzamenti della cosiddetta larga segnati e solcati da stradoni, viottoli e scoline, e adibiti alla colture dei cereali e del prato; la seconda fase è volta alla divisione in campi regolari (80x40 metri circa) e all’impianto delle colture arboree e arbustive secondo il sistema della Piantata Padana, che


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Veduta di San Pietro in un incisione di E. Corty del 1849

La vecchia Pieve di San Pietro

prevedeva l’uso di alberi dolci come pioppi o salici, alternati da alberi da foraggio come l’olmo e l’acero campestre che facevano da sostegno alla crescita della vite, in modo tale da sfruttare al massimo il terreno. A partire dalla fine del XV secolo le grandi scoperte geografiche indussero nell’economia e nel paesaggio agrario italiano importanti trasformazioni, riportando e diffondendo in Europa i semi di essenze vegetali sconosciuti al Vecchio Continente: fra queste ebbero particolare fortuna il mais, la patata, il pomodoro, il tabacco e il fagiolo comune. In intere province i campi di mais

verranno allargandosi: per le sue esigenze culturali il granturco avrà una parte di primo piano nel paesaggio perché da sistemi agricoli fondati sulla tradizionale alternanza biennale maggese-grano, si passa ad un sistema a rotazione continua nel quale il mais ha funzione di pianta da rinnovo.La penuria di documenti e informazioni è dovuta alla turbolenta storia dell’Archivio Comunale che subì due incendi devastanti: il primo nel 1637 ad opera delle truppe antipapali e nel 1809 per mano dei briganti. Tuttavia possiamo affermare che il primo importante cambiamento politico risale al 20


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giugno 1796 quando, cessato il dominio pontificio, i proclami del generale Bonaparte abolirono ogni autorità che non fosse il Senato di Bologna e diedero al borgo e alle varie parrocchie circostanti la configurazione di comune vero e proprio. San Pietro in Casale che contava allora 2984 abitanti comprese le frazioni di Rubizzano, Gavaseto e Maccaretolo si vide annessi i territori di Asia, Cenacchio, Massumatico, Poggetto, Sant’Alberto, San Benedetto e Gherghenzano.Responsabile dell’assetto moderno delle campagne fu Antonio Aldini, nipote del fisico Luigi Galvani e

Particolare della carta Il territorio ferrarese con le sue valli, del 1660 ca.


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tra i fondatori della Repubblica Cisalpina. Nella parte settentrionale del territorio di San Pietro e a Galliera acquistò numerosissimi fondi, in parte provenienti dalle soppressioni ecclesiastiche e in parte volontariamente alienati dall’Arcivescovado e dai nobili bolognesi, e vi introdusse la risicoltura, che si affiancò alla tradizionale lavorazione della canapa. Un moderno sistema irriguo permetterà la coltivazione del riso su vasta scala: il riso era trasportato sul Canale Riolo al porto di Malalbergo e di lì inviato a Bologna sul Canale Navile. Nel 1812 Napoleone acquistò il patrimonio terriero dell’Aldini e

Particolare della carta “Andamento del Po di Primaro e dé..” - 1759


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costituì il Ducato di Galliera, la cui sede era il Palazzo Vescovile di Massumatico, una delle tante dimenticate evidenze monumentali del Comune. La risicoltura si sommò alle tradizionali colture asciutte del grano, del mais e della canapa, che anzi costituivano l’asse portante del sistema produttivo poggiante sulla mezzadria. La produzione di questa fibra tessile tende a concentrarsi nel settore Emiliano perché assume un deciso carattere mercantile, fornendo una voce fondamentale alle correnti di esportazione interregionali ed internazionali poiché prodotto strategico per l’industria navale (soprattutto

inglese),indispensabile com’era per la realizzazione di cordame e vele. Fin dall’età dei Comuni, nel bolognese la coltura della canapa veniva praticata in un sistema agrario a rotazione continua, che allarga la sfera del suo dominio con lo sviluppo della produzione canapifera conseguente al già accennato processo di specializzazione regionale della cultura. Nella seconda metà del Settecento il paesaggio descritto dai viaggiatori dell’epoca3 è quello visto dalle cime delle torri, da cui possono osservare una moltitudine di alberi a perdita d’occhio, che fanno sembrare il posto più un

Particolare della carta del 1790 che evidenzia i lavori di bonifica effettuati dal 1767 fino al 1790


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Aratura con i buoi (1906) Ed. Stampa Milano

Il sistema della piantata in una foto storica di San Pietro in Casale

paesaggio boschivo che un paesaggio agricolo. La diffusione della piantata padana infatti aveva assunto un’estensione tale che strutturava il territorio in questo modo. Ma dal XVII secolo assumono rilievo la coltura del gelso, delle risaie, il prato artificiale asciutto ed irriguo, delle foraggere, del granturco, delle canapa, del lino e di altre piante industriali a rotazione continua, grazie al miglioramento del sistema tecnico irriguo e dei metodi di lavorazione.L’incremento demografico, e l’aumento della schiera dei braccianti occupati nella lavorazione di questi terreni, portarono allo sviluppo

di nuovi nuclei abitativi e ad una maggiore concentrazione attorno ai nuclei urbani. L’ aspetto che aveva il paese di San Pietro in Casale agli inizi dell’ottocento era quello di un luogo minuscolo: una piazza (Piazza dei Martiri) prospiciente la strada sterrata che portava in città (Via Matteotti), nei pressi della quale sorgeva una pieve medievale (abbattuta a metà Ottocento), con gli annessi terreni che fino alle leggi napoleoniche, da noi applicate con grande ritardo, erano serviti da cimitero, e si apriva un grande spazio aperto dove si teneva il mercato settimanale (Piazza Calori e giardino del


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“Monumento”). Pochi i gruppi di case: alcune formavano un prospetto continuo, quello ancora esistente sul lato coi numeri pari di Via Matteotti; altre più modeste, a due piani, sorgevano insieme con orti e giardini in piccoli agglomerati: si trasformeranno più tardi nelle “corti” artigianali. Come è emerso dal recupero della Casa Frabboni (decorazione della facciata ovest), esistevano anche ville padronali risalenti all’antico regime. Anche se è possibile che altri edifici simili siano andati distrutti, essi, in ragione della minor pressione sul territorio, non dovevano essere

Il sistema della piantata in una foto storica di San Pietro in Casale


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Panorama di Via Cesare Battisti (1928) Ed. Diana, Torino.

molto numerosi. Le modalità produttive e insediative, che facevano del capoluogo un abitato non molto più grande dalle frazioni maggiori, avevano portato i vecchi proprietari nobili a costruirsi le ville anche altrove: si veda la cinquecentesca villa, nota come Villa Calderini, a Rubizzano.

Lo iugero (dal latino iugerum) era un’unità di superficie agraria utilizzata dai Romani. Lo iugero equivaleva all’area di terreno che era possibile arare in una giornata di lavoro con una coppia di buoi aggiogati (di qui l’etimologia da “iugum”, cioè “giogo”). Lo iugero corrispondeva così a circa un quarto di ettaro, più precisamente a 2.519,9 m².

1

Vito Fumagalli, La pietra viva. Città e natura nel Medioevo. Edizioni Il Mulino, Bologna, 1988. 2

Il presidente De Brosses nelle sue Lettres d’Italie 1739; Il viaggiatore francese De La Lande; Goethe nelle descrizioni di Cento

3

Cartolina della Stazione ferroviaria di San Pietro in Casale (prime decadi del ‘900) Ed. Stampa - Milano


Dei problemi in “Comune” I problemi riscontrati nella cittadina di San Pietro in Casale si ripercuoto a livello territoriale nelle frazioni del Comune. Ciò fa capire come il paesaggio circostante possa essere influenzato da problemi quali la mancanza di connessioni e quindi di dialogo tra il capoluogo e le frazioni limitrofe, nonchè l’espansione edilizia incontrollata che letteralmente divora porzioni di territorio rurale. Il potenziamento delle connessioni su scala comunale, lo sfruttamento intelligente delle connessioni a scala regionale ed il reindirizzamento dell’espansione edilizia permetterebbero di ricostruire un paesaggio tutt’ora anonimo e privo di elementi caratterizzanti.

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Direttrici lente All’estremo di San Pietro in Casale si sviluppa un tipo di viabilità a scorrimento lento in stretta connessione con gli elementi naturali del territorio. Nel giungere in città vi è un brusco arresto determinato dalla mancanza di zone di filtro sui margini cittadini.

barriera più che l’identificazione di un margine che connetta all’esterno o all’interno. Settori distinti San Pietro in Casale è diviso in due dalla ferrovia che lo attraversa isolando le due parti, est e ovest, e facendone dei settori monofunzionali rispettivamente produttivo e residenziale.

Costruito VS Campagna

Verde discontinuo

Lo schema pieni vuoti evidenzia come non vi siano zone che identificano il passaggio dal costruito alla campagna e viceversa, determinando una

Le aree verdi presenti nel centro abitato sono perlopiù costituite da aree sportive attrezzate, cortili di scuole e

condominiali o giardini privati. Molti gli interstizi, tra edificato e ferrovia o ai limiti urbani, abbandonati e quindi non sfruttati per aumentare la superficie di verde disponibile per abitante che oggi, escludendo la campagna, è molto bassa e dequalificata Aree di espansione Da PSC le nuove aree di espansione andrebbero a saturare quei vuoti scaturiti da una lottizzazione scarsamente controllata, con l’intento di «regolarizzare il contorno del paese». Una scelta difficilmente


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condivisibile soprattutto quando certe aree sono localizzate al di fuori della strada di circonvallazione.

serviranno per mettere in rete il nuovo sistema del verde, le aree di bordo come filtro tra edificato e Metrobosco.

Quale sviluppo?

Costellazione di frazioni

E’ necessario ripensare lo spazio che la struttura frastagliata dei pieni lascia come pezzi di puzzle da incastrare nel tessuto già consolidato del centro urbano. Eliminare quelle aree che superano i limiti della circonvallazione e concentrare le nuove lottizzazioni nella parte est del paese cosi da riequilibrare lo sviluppo di accrescimento. Le aree vuote interne

Il Metrobosco di San Pietro in Casale ha la potenzialità di fungere da polo attrattore per le frazioni all’interno del suo territorio e per i comuni limitrofi che gli gravitano intorno in un raggio massimo di 8 km. Direttrici veloci San Pietro ha la singolarità, rispetto agli altri comuni dell’U-


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nione, di essere servita dalla rete ferroviaria interregionale e di accedere in maniera veloce all’autostrada tramite il casello di Altedo. Rappresenta perciò un punto di forza per un’accessibilità, con un ampio bacino di utenza, al territorio dell’Unione. Collegamento ferroviario Il paese è un importante punto di snodo ferroviario, poichè il treno Interregionale che collega le stazioni di Bologna e Venezia, fa sosta nella stazione del paese. Questo fa si che San Pietro sia collegata a livello regionale e nazionale.




IL PROGETTO



Metro come...

...“al METRO” il Bosco come misura delle diatanze

Si intende limitare lo sviluppo esistente creando una rete di collegamenti trasversali che allacciano gli assi di comunicazione esistenti in punti nodali. I percorsi saranno declinati in veloci e dolci per riqualificare il paesaggio con piantumazioni verdi. In questo modo il Bosco diventerà l’elemento con cui rapportare le distanze percorribili.

La viabilità sostenibile si articolerà nelle ciclabili veloci e

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226

Connessioni trasversali

Due livelli di mobilità

lente. Le prime seguiranno la viabilità principale, sfruttando le ciclabili del PTCP. Le seconde, sfruttando antichi sedimi, uniranno il territorio. Lo scopo è collegare,

riqualificare e promuovere il territorio. Si intende far comunicare residenziale e produttivo creando una stazione “passante”, con doppio fronte che

Mixité funzionale

diventi una nuova polarità centrale al territorio. Importante sarà la mixitè funzionale tra le due parti, dove il residenziale invaderà il produttivo e viceversa.


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...“METROPOLITANO” Il bosco come rete nel territorio Il bosco non è da intendersi solamente come entità fisica tangibile e localizzata, bensì va visto come una realtà che si sviluppa come una rete di relazioni tra le diverse polarità presenti nella zona. Nell’interesse di basare questa rete su quelle che sono le qualità presenti nella zona si consideri che San Pietro in Casale si trova in un triangolo ricco di prodotti tipici. Il potenziamento delle vie del gusto sarà il punto di partenza per la riqualificazione del patrimonio edilizio rurale, attualmente fatiscente, che potrebbe accogliere


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Il triangolo della bontà

Bioattività-Biodiversità

agriturismi o fattorie. Inoltre l’altra risorsa importante è costituita dal patrimonio naturalistico presente in zona.

Questo si divide in: sistema della bioattività e della biodiversità. Il primo racchiude i sistemi naturali che renderanno possi-

bile lo svolgersi di attività; il secondo nell’asse che si crea tra due sistemi maggiori: il Bosco della Panfilia e l’Oasi La Rizza.


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...“METRONOMO” Il bosco come scansione del tempo Il tempo è da ricollegarsi all’accessibilità degli spazi fruibili ed alla loro vivibilità. Quest’ultima può avvenire secondo due modalità: una più rapida e legata all’uso quotidiano e l’altra più lenta e legata all’uso saltuario. Lo sviluppo dei collegamenti veloci lungo la direttrice verticale ha accentuato la cesura del territorio. E’ opportuno potenziare i collegamenti trasversali verdi a connotazione lenta. La stazione resa attraversabile sarà il punto di contatto fra i collegamenti. I collegamenti verdi


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Velocità incrociate

I tempi del paesaggio

(De) Limitatori urbani

lenti si bloccano sul bordo della città incontrando il costruito. Vengono individuate delle zone-filtro sui bordi della città, costituiranno una chiave di lettura per il territorio e garantirà l’accesso della viabilità verde

e lenta in città rendendola permeabile. La ciclicità del paesaggio agricolo si scontra con la staticità dell’edificato. Gli orti inseriscono il tempo della fruibilità. I nuovi sistemi verdi urbani per-

mettono una fruibilità quotidiana contrapposta alla fruibilità occasionale dei parchi. Creiamo bisettrici che mediano le due tempistiche.


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...“METROQUADRO” Il bosco come unità per lo spazio Il progetto si propone di aumentare i metriquadri di superficie verde procapite e per farlo va ad agire su quelli che ora sono aree vuote urbane da riqualificare. Inoltre si andranno a realizzare tutta una serie di parchi tematici con funzioni specifiche volti ad un approccio approfondito con la natura legato tuttavia alle nuove esigenze sociali di comunicazione, svago e apprendimento. Le aree verdi interne al centro abitato si potenziano in superficie e qualità, creando una rete


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Ri-qualificatori Urbani

I gradienti del Metrobosco

spaziale di corridoi ospitanti percorsi ciclo-pedonali nonchè attrezzature ludiche e ricreative. Offriranno un graduale passaggio di ambienti, dall’urbano

al naturale del Metrobosco. Il Metrobosco prevede una densità di verde maggiore nella parte ovest con sistema boscato più fitto; mentre a est dirada

verso la campagna con sistemi a filari accompagnati da strutture verdi complesse. In questo modo si contribuisce a mitigare l’effetto dei venti.


Bosco come...

...Ambiti: 1. Protezione 2. Espansione 3. Riqualificazione 4. Relazione Il progetto è stato suddiviso in quattro ambiti che rispecchiano le finalità della morfologia e le affinità di intervento. La numerazione determina la successione temporale nella realizzazione del progetto Metrobosco, in accordo con il fasage che ipotizzeremo. Non si tratta di compartimenti stagni ma di ambiti che fra loro sono compenetranti nelle azioni e talvolta negli obiettivi proposti.

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Funzioni sociali:

- Incidere sulla partecipazione del singolo e della collettività; - La persona partecipa alla trasformazione del proprio territorio; - La persona vive lo spazio che ha trasformato; - Si sviluppa un maggiore senso di appartenenza.

Funzioni urbane: - Collegare meglio la stazione; - Rendere riconoscibili le testimonianze storico-artistiche; - Riutilizzo di spazi non più sfruttati; - Maggiore riconoscibilità della città; - Maggiori e migliori spostamenti interni ed esterni.


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...Relazioni Relazioni sociali, relazioni economiche, relazioni turistiche, relazioni territoriali, relazioni naturali... Il progetto del Metrobosco comprende la progettazione di connessioni chiamate Raggi Verdi, che avranno il compito di mettere in relazione le risorse del territorio comunale di San Pietro in Casale. Questo presenta varie cesure a livello paesaggistico e socioeconomico che potranno essere risanate solo se si sarà in grado di valorizzare al meglio il patrimonio territoriale, garantendone l’opportuna riqualificazione e un’intelligente fruizione all’interno di una


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rete di connessioni. Questi raggi verdi funzioneranno anche come collegamenti alle frazioni limitrofe di San Pietro, proponendo un itinerario e

un modo di viaggiare alternativo. L’obiettivo finale non è quello di restaurare il passato rurale di questi luoghi ma di ristabi-

lire delle relazioni tenendo in considerazione i cambiamenti attraverso cui si è evoluta la società odierna.


MetroBosco come...

...Opportunità Il territorio comunale di San Pietro in Casale è disseminato di tracce del suo passato rurale. Che siano antiche ville di campagna un tempo proprietà della nobiltà agricola oppure umili fienili, è possibile ripercorrere le vicissitudini economiche e i cambiamenti del paesaggio osservando queste architetture non più utilizzate e ormai deteriorate dall’incuria. Identificando le tipologie architettoniche rurali è possibile comprendere come intervenire attraverso delle linee guida coerenti col progetto.

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238

...programma

Fase 0

Fase 1

Fase 2

Fase 3

L’espansione edilizia ha portato negli anni a saturare gli spazi fra il nucleo cittadino centrale e le frazioni limitrofe.

Il verde all’interno della città è esiguo, il progetto intende riqualificarlo e renderlo continuo.

Il progetto potenzierà il verde e creerà attorno a San Pietro una corolla verde in grado di funzionare come un delimitatore urbano.

Il Metrobosco non è fine a se stesso ma estenderà i suoi raggi verdi per attraversare e mettere in connessione il territorio.


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...possibilità di sviluppo Sono legate ai diversi tipi di operazioni di rinaturalizzazione e ai differenti metodi di attuazione che vedono coinvolti - Comuni ed Enti Pubblici - Società ed Imprese - Agricoltori - Partnership pubblico-privata -Associazioni e liberi cittadini attraverso l’uso dei seguenti strumenti legislativi e fondi economici - PSR, Emilia Romagna, 2007-2013 - Protocollo di Kyoto - Forestazione con Carbon Credit - Decreto Legislativo 227/2001 - Investimenti Privati - Donazioni Aziendali

Ripristino delle componenti del paesaggio rurale

Potenziamento dei corridoi ecologici

Delimitazione verde del consumo del suolo

Naturalizzazione degli spazi urbani

Realizzazione di trame viarie verdi


Gli strumenti di progetto


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Le declinazioni del bosco Il Metrobosco di San Pietro in Casale si articola attraverso l’uso di diverse “declinazioni”. Trattasi di diverse tipologie di aree boscate o fornite di verde. A seconda della funzione e della fruizione dell’area esaminata si è ritenuto opportuno procedere alla progettazione tramite il potenziamento delle specie autoctone nonchè l’integrazione con alcune specie in grado di assorbire le principali fonti di inquinamento e procedere alla depurazione della falda acquifera.

Il Bosco tecnologico ambientale Funzionalità: Essenze: Cannuccia d’acqua (PA) Lenticchia d’acqua (LM) Ninfea Bianca (NA) Ontano (AG) Salice Bianco (SA) Salice Piangente (SB) Salicone (SC) Stianca (TA)

Depurazione della falda acquifera Ripristino dell’ecosistema Balneazione


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Il Bosco Parco

Essenze: Caprifoglio (LC) Carpino Bianco (CB) Cerro (QC) Farnia (QR) Frassino (FA) Noce (JR) Pioppo Nero (PN) Prugnolo (PS) Salice Piangente (SB)

Funzionalità: Ludico/Ricreativa Assorbimento CO2 Potenziamento dei corridoi ecologici Preservazione della biodiversità

Il Bosco spontaneo

Essenze: Acero Campestre (AC) Farnia (QR) Frangola (FA) Gelso (MA) Olmo Campestre (UC) Ontano (AG) Pioppo Bianco (PA) Pioppo nero (PN) Tiglio (TP)

Funzionalità:

- Conservazione della biodiversità - Cortina frangivento - Assorbimento CO2 - Assorbimento degli agenti inquinanti - Barriera acustica

IL PROG


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Il Bosco produttivo GETTOEssenze: Frutteti Noce (JR) Nocciolo (CA) Piante da vivaio Pioppo bianco (PA) Pioppo nero (PN)

Funzionalità: - Economico/Produttiva - Assorbimento degli agenti inquinanti - Bonifica del suolo - Barriera acustica

Il Bosco della viabilità urbana

Essenze: Acero Americano (AN) Biancospino (CM) Platano (PO) Pioppo Nero (PN) Rosa Selvatica (RC) Sambuco (SN) Tiglio (TP)

Funzionalità: -Arredo urbano - Assorbimento agenti inquinanti - Barriera acustica







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Le siepi arborate miste La localizzazione e l’impianto di siepi e filari, per meglio assolvere alle funzioni di frangivento, controllo sull’evapotraspirazione ed evitare ombreggiamenti indesiderati, dovrà possibilmente tener conto anche dell’orientamento rispetto al sole e della direzione dei venti dominanti. Per questo si sono individuate due tipologie: quella Nord-Sud in fig.1 e quella Est-Ovest in fig.2

(Fonte: adattato da Agostini N. 1995) fig.1

fig.2


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Abaco ciclabili Al fine di rendere fruibili le aree e le connessioni verdi progettate, le abbiamo accompagnate da piste ciclabili. Si strutturano in modo diverso a seconda del contesto in cui e potranno essere in sede promiscua o in sede propria. Il posizionamento delle essenze è stato pensato per garantire una schermatura solare adeguata, in modo da rendere piacevole sia la sosta che il passaggio e per filtrare l’inquinamento proveniente dalla strada.

Ciclabile lungo la strada urbana La strada carrabile all’interno della città è stata ristretta per permettere il passaggio del percorso ciclabile.

Ciclabile lungo la strada bianca di campagna Il percorso si trova in sede promiscua con piantata o alberi nobili isolati


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Ciclabile lungo i canali idrici L’argine del canale è stato opportunamente riqualificato per poter ospitare il percorso ciclabile.

Ciclabile lungo la strada provinciale Ciclabile su sede propria separata dalla strada da arbusti e filari alberati con funzione di assorbimento delle polveri sottili e schermo protettivo.

Ciclabile lungo la cavedegna La ciclabile corre lungo la cavedagna ripristinata con i suoi elementi storici come la piantata.


252

Ciclabile dentro il bosco La ciclabile si struttura lungo i sentieri previsti all’interno del bosco.

Ciclabile lungo la strada comunale La ciclabile ha sede propria di fianco la carreggiata ed il percorso è accompagnato da alberi isolati o filari

Ciclabile dei canali lungo i corridoi ecologici La ciclabile costeggia la fascia di rispetto del corridoio ecologico



Riqualificare il tessuto storico e consolidato

FinalitĂ 1 riqualificazione e riuso delle aree dismesse e dei vuoti urbani

1.1_ sistemazione dei parcheggi del centro sportivo e di attestamento al centro storico su via Oberdan con innesti di verde ed alberature con funzione di schermo solare e arredo urbano; 1.2_ sostituzione edilizia prevista da PSC per l’area di via Oberdan con giardino urbano

finalizzata al recupero di parte del parco di Villa Frabboni; 1.3_ percorso ciclo-pedonale di collegamento tra il parcheggio di via Oberdan e il Sistema delle Tre Piazze passante per il parco di villa Frabboni; 1.4_ completamento percorso pedonale dell’area verde tra via Pescerelli e via Achille Grandi,

con schermatura verde verso la ferrovia e parziale lottizzazione residenziale come opera di densificazione urbana; 1.5_ progettazione dei vuoti urbani lungo il tratto di circonvallazione nord tramite una tripartizione formata da: - fascia boscata con funzione di isolamento dalla ferrovia e via


255

provinciale; - orti urbani con funzione di filtro tra bosco e edifici; - lottizzazioni residenziali con particolare attenzione all’interfaccia col bosco. 1.6_ lottizzazione delle aree di sostituzione edilizia individuate da PSC lungo via Galliera Sud con una fascia boscata di filtro

alla ferrovia. 1.7_ imboschimento dei margini ferroviari con funzione di filtro acustico tra edifici e ferrovia, sfruttando i vuoti urbani per un maggior infittimento verde.


256

Finalità 2 2_ riorganizzare la viabilità lavorando su un ossatura viaria verde

2.1_ inserimento di una pista ciclabile in sede propria lungo via XXV Aprile e via Cesare Pavese, attraverso il ridimensionamento della carreggiata ed alberatura del viale; 2.2_ realizzare una circonvallazione interna che eviti il passaggio dal centro storico e colleghi la parte ovest a quella est

della città; 2.3_ riprogettazione della sede stradale di via Galliera Sud con alberature che accompagnino la pista ciclabile in sede propria e adeguamento dei marciapiedi; 2.4_ risolvere la situazione viaria a “cul de sac” della stazione ferroviaria prolungando

a sud via Cesare Battisti, fino allo sbocco su via Galliera Sud, nell’area di sostituzione edilizia individuata da PSC.


FinalitĂ 3 potenziare il nodo ferroviario come centro di interscambio di livello

3.1_ realizzare una stazione passante con un sovrappasso della ferrovia in modo da poter essere fruibile anche dal nuovo comparto di espansione ad est; 3.2_ realizzare un parcheggio di attestamento alla stazione ad est della ferrovia, adiacente il nuovo sovrappasso;

3.3_ rendere l’area della stazione il punto di partenza dei Raggi Verdi.


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Finalità 4 risolvere il problema della cesura data dalla ferrovia intercomunale

4.1_ dare continuità alle ciclovie del Ring e dei Raggi Verdi realizzando sottopassaggi alla ferrovia e lungo le strade a scorrimento veloce; 4.2_ nuovo sottopassaggio stradale a sud della stazione ferroviaria, come già esistente su via Galliera Nord, in modo da completare la nuova circonvallazione interna;

4.3_ il sovrappasso per la stazione “passante” aumenta la comunicabilità pedonale tra il comparto di espansione a est e le funzioni presenti nella città ad ovest della ferrovia.

Aix en Provence, France


Un’espansione urbana controllata ed equilibrata Finalità 5 una trama verde che guidi l’espansione verso una mixité funzionale

5.1_ realizzazione di una spina verde che accolga un percorso ciclopedonale e percorra l’ambito in tutta la sua lunghezza;

5.3_ progettazione dei nuovi lotti rientranti nella maglia verde con funzioni miste residenziale - servizi - produttivo.

5.2_ realizzare verso sud i proseguimenti alberati di via Bologna e di via Ravenna per connetterli al nuovo tratto della nuova circonvallazione interna; Aix en Provence, France


260

FinalitĂ 6 implementare i servizi sfruttando i vuoti urbani del tessuto consolidato

6.1_ riqualificazione dei viali esistenti con alberature che accompagnano le piste ciclabili come via Rubizzano, via Roma e via Bologna; 6.2_ edificazione di strutture di servizio alla cittĂ e residenze nei lotti giĂ realizzati da POC; 6.3_ orti urbani concentrati tra

il vecchio macero e gli edifici esistenti.

East New York Farm


FinalitĂ 7 creare una cornice verde che isoli dalla ferrovia e dalla provinciale, in relazione con il Metrobosco

7.1_ fasce boscate nelle strisce di terreno lasciate libere tra edifici e strada provinciale con funzione di barriera acustica e inquinante; 7.2_ fasce boscate lungo la ferrovia come barriera acustica; 7.3_ fascia boscata lungo il nuovo tratto della nuova circonvallazione interna come fil-

tro tra cittĂ e campagna; 7.4_ cunei verdi boscati e/o di verde urbano che penetrino a pettine nella maglia edilizia.


Relazionare la città alla campagna

Finalità 8 volgere lo sguardo della città verso l’esterno, ritrovando il contatto perso con gli elementi naturali tipici

8.1_ elementi architettonici che mediano il passaggio dalla città alla campagna, articolati in: - fascia di lottizzazioni residenziali con affaccio privilegiato verso la campagna; - orti urbani che seguono ai giardini pubblico/privati delle residenze con funzione di collante sociale e di svago;

- presenza di serre e coltivazioni di alberi da frutto come incentivo alla produzione ortofrutticola in loco; 8.2_ creazione e/o rafforzamento dei corridoi ecologici presenti lungo i margini della città; 8.3_ trasformazione dei “5 maceri” in vasche per la fitodepu-

razione della falda acquifera e in biopiscine per la balneazione.


Finalità 9 inserire nuovi servizi oggi mancanti, creando relazioni con quelli esistenti

9.1_ bosco-parco a nord ovest della città, con percorsi alberati, macchie boscate, aree pic-nic e aree gioco; punto di uscita del raggio naturalistico e collegamento tra il centro sportivo e le vasche di pesca sportiva di Sant’Alberto; 9.2_ impianti di servizio al parco nell’area di sostituzione edi-

lizia individuata da PSC lungo via Sant’Alberto; 9.3_ realizzazione di un sottopasso ciclabile che scavalchi la strada di circonvallazione; 9.4_ area didattico-pedagogica a carattere rurale prospicente i “5 maceri” con collegamenti alle scuole; 9.5_ realizzazione di un Bosco

delle Ceneri prospicente il cimitero, consistente nella piantumazione di un albero ad ogni dispersione di ceneri.


Proteggere e collegare in sintonia con la natura

Finalità 10 creare una barriera verde che protegga da venti e dall’edilizia senza controllodel territorio

10.1_ individuazione delle aree per una fascia larga all’incirca 500 mt subito al di fuori della circonvallazione e della provinciale, con apposizione del vincolo di inedificabilità e dichiarazione di pubblica utilità in variante al PSC; 10.2_ per le aree con qualità edificatoria, trasferimento delle

cubature con atto perequativo verso le aree d’espansione individuate da progetto con successiva acquisizione dei terreni a titolo gratuito, acquisizione a titolo oneroso per tutte le altre aree; 10.3_ piantumazione di tutte le aree con piante pioniere, di veloce accrescimento come il

pioppo bianco, il salice bianco o l’acero.


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Finalità 11 garantire un economia agricola basata anche sul legname

10.1_ individuazione delle aree per una fascia larga all’incirca 500 mt subito al di fuori della circonvallazione e della provinciale, con apposizione del vincolo di inedificabilità e dichiarazione di pubblica utilità in variante al PSC; 10.2_ per le aree con qualità edificatoria, trasferimento delle

cubature con atto perequativo verso le aree d’espansione individuate da progetto con successiva acquisizione dei terreni a titolo gratuito, acquisizione a titolo oneroso per tutte le altre aree; 10.3_ piantumazione di tutte le aree con piante pioniere, di veloce accrescimento come il

pioppo bianco, il salice bianco o l’acero.


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Finalità 12 creare una circonvallazione verde al paese con servizi e nuove economie

10.1_ individuazione delle aree per una fascia larga all’incirca 500 mt subito al di fuori della circonvallazione e della provinciale, con apposizione del vincolo di inedificabilità e dichiarazione di pubblica utilità in variante al PSC; 10.2_ per le aree con qualità edificatoria, trasferimento delle

cubature con atto perequativo verso le aree d’espansione individuate da progetto con successiva acquisizione dei terreni a titolo gratuito, acquisizione a titolo oneroso per tutte le altre aree; 10.3_ piantumazione di tutte le aree con piante pioniere, di veloce accrescimento come il

pioppo bianco, il salice bianco o l’acero.


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FinalitĂ 13 Metrobosco come simbolo di riconoscimento di San Pietro in Casale

13.1_ chiudere la provinciale e la ferrovia tra due fasce boscate cosĂŹ da creare la sensazione per chi arriva a San Pietro di entrare in un bosco, un luogo protetto dal verde.



Masterplan Ambiti 1 e 2


Sezioni


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stazione ferroviaria_3.1 >> sovrappasso ciclopedonale e ciclabile in sede propria. Aumento delle alberature e verde di filtro tra sede ciclopedonale e sede carrabile.



<< Parcheggio alberato_1.1 trasformazione di isole di parcheggio in aiuole alberate alternate ai parcheggi. Funzione di ombreggiamento e trasformazione dell’area da luogo dequalificante in luogo riqualificato con il verde.


via Galliera Sud_2.3 >> rifacimento della carreggiata con restringimento della sede stradale per far posto alla ciclabile in sede propria. spartitraffico alberato separa la sede carrabile da quella ciclopedonale.


Masterplan Ambito 3


Sezioni




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<< Il belvedere del parco_ 9.1 una piattaforma posta a 15 metri sopra San Pietro in Casale. Un nuovo punto di vista per ammirare al meglio il nuovo paesaggio sanpierese e le campagne circostanti.


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La bio-piscina _8.3 >> Il gruppo dei 5 maceri trasformati in bosco tecnologico ambientale.Trovano posto una bio-piscina e vasche per la fitodepurazione della falda acquifera. Luoghi di ritrovo nelle calde giornate estive o luoghi didattici dove poter ammirare il fantastico funzionamento delle piante acquatiche.


Gli orti urbani_8.1 sono gli elementi di filtro tra la cittĂ e la campagna ad ovest del paese. Fruibili dagli abitanti del vicino quartiere che, se interessati, possono richiedere in Comune la concessione temporanea a titolo gratuito di una parcella di terreno all’interno del sistema degli orti. Unica clausola a cui devono sottostare per mantenerne il possesso è la cura dello stesso. Serre e parte degli orti saranno gestite da libere associazioni che si occuperanno della manutenzione e del coinvolgimento della popolazione tramite organizzazioni di eventi e sagre. Mercati rionali si riuniranno periodicamente per la vendita dei prodotti ortofrutticoli e alimentari.


Masterplan Ambito 4


Sezioni


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Arrivare a San Pietro in Casale in auto_13.1 >> il Metrobosco sarà visibile fin dall’autostrada e diventerà il simbolo di un nuovo modo di vivere la città. Un paesaggio naturale ritornato ad avere verticalità ,con i suoi elementi tipici che si presenteranno al visitatore dandogli il benvenuto.


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<< percorrere le strade di San Pietro_13.1 il Metrobosco porterĂ con se nel tempo conseguenze benefiche per tutto il territorio. Non sarĂ solo la rinascita della natura, ma anche del modo con cui ci si relaziona ad essa con attivitĂ agresti che da lungo tempo erano ormai scomparse dal territorio.


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13.1_In treno a San Pietro in Casale Colui che viaggerĂ in treno verso San Pietro avrĂ un chiaro segnale, guardando fuori dal finestrino, di essere arrivato nel famoso Metrobosco. il bosco lungo la ferrovia aprirĂ scorci visivi verso il paese e la campagna circostante, in una scansione di paesaggi mutevoli.


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I Raggi verdi: il sistema delle connessioni

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Articolazione dei Raggi

Lo sviluppo del verde non ci si limita a San Pietro in Casale poichè esso è parte integrante di un territorio che necessita di rinnovamento e qualità. Infatti il progetto si estende, potenziando le connessioni con i Comuni satellite, attraverso la riqualificazione e l’inverdimento delle vie di comunicazione. Queste metteranno in relazione gli elementi caratterizzanti il territorio che, essendo ricco di patrimonio

storico-architettonico nonchè naturale, necessita di essere opportunamente valorizzato per incrementare le relazioni fra il tessuto storico, per promuovere il turismo e gli scambi sociali. Le ricchezze storico-architettoniche sono ben rappresentate dalle borgate risalenti al periodo medievale in cui si possono ammirare le piccole chiese di paese. Percorrendo le campagne è possibile imbattersi in anti-

che ville, una tempo appartenute alla piccola nobiltà terriera, nonchè rocche e torri di difesa. La varietà degli elementi naturali permea non solo le aree protette ma anche le campagne in cui troviamo i maceri oppure zone un tempo utilizzate come risaie che ora costituiscono le zone umide, ovvero un particolare ecosistema in cui è possibile ammirare una grande varietà di specie animali e vegetali.


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il ring

il raggio naturalistico

Il potenziamento del verde attorno a San Pietro sarà accompagnato dal “Ring”: un percorso ciclabile anulare che attraverserà questa prima corolla verde e dalla quale sarà possibile intraprende diversi percorsi: i raggi verdi. I percorsi sono stati pensati appositamente per toccare una varietà di elementi di pregio ed interesse che caratterizzano il territorio di San Pietro ma che tutt’ora non sono stati posti in adeguato risalto.

Il primo raggio è un collegamento trasversale Est-Ovest tra Pieve di Cento, San Pietro in Casale e Altedo, il percorso è stato pensato in modo che possa toccare elementi quali il borgo storico della frazione di San Bendetto, vari edifici di pregio artistico, nonchè le zone umide, presenti in gran parte nell’area dell’Ex-Zuccherificio, infine allacciandosi al percorso ciclabile in località Pegola, conduce fino alla cittadina di Altedo.


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Il raggio della mobilità

il raggio dei 3canali

Il secondo raggio è un collegamento tra il Bosco della Panfilia, San Pietro in Casale, il Casone del Partigiano e l’Oasi “La Rizza”, che conferiscono al percorso un carattere prettamente naturale, arricchito da elementi di pregio storico come i borghi di Sant’Alberto e Galliera, nonchè le Chiese di paese con annessi gli oratori Ottocenteschi, accompagnano in un graduale attraversamento dei diversi elementi caratterizzanti il territorio.

Il terzo percorso si affianca alla mobilità veloce dell’asse Nord-Sud, collegando San Venanzio, San Vincenzo, San Pietro in Casale e San Giorgio di Piano, comprendendo le frazioni storiche di Maccaretolo e Gherghenzano senza dimanticare l’elemento naturale che costituisce la parte preponderante del territorio, ovvero le zone umide..



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Il Raggio Naturalistico

Per comprendere in modo approfondito ciò che intendiamo comunicare con i raggi verdi è stato opportuno analizzarne uno nel particolare. Abbiamo scelto il Raggio Naturalistico che collega il Bosco della Panfilia, San Pietro in Casale e l’Oasi “La Rizza” perché è quello che comprende in se tutte le tipologie di elementi di pregio presenti sul territorio di San Pietro e che meglio possono rappresentare la molteplicità di opportunità che questo

potrebbe sfruttare, come: le zone umide, i borghi storici, le aziende bio e i parchi naturali.valorizzato per incrementare le relazioni fra il tessuto storico, per promuovere il turismo e gli scambi sociali. Le ricchezze storico-architettoniche sono ben rappresentate dalle borgate risalenti al periodo medievale in cui si possono ammirare le piccole chiese di paese. Percorrendo le campagne è possibile imbattersi in antiche ville, una tempo appartenute alla

piccola nobiltà terriera, nonchè rocche e torri di difesa. La varietà degli elementi naturali permea non solo le aree protette ma anche le campagne in cui troviamo i maceri oppure zone un tempo utilizzate come risaie che ora costituiscono le zone umide, ovvero un particolare ecosistema in cui è possibile ammirare una grande varietà di specie animali e vegetali.


Potenzialità e azioni

Nel panorama del territorio di San Pietro in Casale si incontrano una molteplicità di elementi che caratterizzano il paesaggio rurale, ma che a causa dell’inadeguatezza dei precedenti strumenti urbanistici e la situazione socio-economica passata non è stato possibile sfruttare come elementi di qualità per la valorizzazione del paesaggio. Questi elementi come: i maceri, i borghi antichi,

le aziende che fanno produzione ortofrutticola biologica, l’architettura rurale e le oasi naturali protette, delineano questo territorio senza essere messi in risalto. Con semplici operazioni di recupero, ristrutturazione e implementazione degli elementi caratteristici, facendone dei poli di attrazione, si può aprire la strada alla rivitalizzazione del territorio di San Pietro in Casale.

Maceri

- depurare e migliorare il suolo - fitodepurazione delle acque - riconnettersi con la storia attraverso la testimonianza del paesaggio


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Borghi antichi

Produzione agricola

Casali rurali

Oasi “la Rizza�

- valorizzare il tessuto urbano esistente - fornire vantaggi per chi abita nei borghi antichi - potenziamento delle interazioni con gli altri borghi

- incoraggiare la vendita diretta - contribuire allo sviluppo delle cooperative agricole sul territorio

- ristrutturazione - integrazione con sistemi che utilizzano energia sostenibile

- potenziamento delle strutture giĂ presenti - miglioramento dei collegamenti alla mobilitĂ lenta


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Metrobosco

Bosco della “Panfilia”


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Da un Bosco all’ altro... Partendo dal Bosco della Panfilia e attraversando il percorso naturalistico all’interno...

...si prosegue lungo la golena del fiume Reno fino ad arrivare nei pressi di ...

...Galliera per poter visitare la Chiesa del Carmine


...lungo la piantata emiliana Il ripristino della Piantata emiliana è forse l’intervento di riqualificazione del paesaggio più puntuale e complesso tra quelli previsti. Infatti per poter intervenire è necessario avere accordi con i proprietari dei fondi ed essendo una zona di confine tra.


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...costeggiando il canale L’argine del canale Emiliano-Romagnolo offre un interessante punto di vista in quota del paesaggio circostante. Il suo tracciato rettilineo, che attraversa tutto il territorio dell’Unione Reno Galliera ne fa la sede per una ciclabile veloce, di collegamento tra i paesi vicini, oltre che percorso lento per il raggiungimento dei luoghi naturalistici come il Bosco Panfilia


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...attraversando i viali alberati

Le strade bianche che servono i vari fondi poderali sono un ottimo modo di creare relazioni puntuali con il territorio, rimanendo lontano dalle strade più trafficate. La ciclabile qui sarà accompagnata da un filare alberato che ne permetterà l’ombreggiamento. Inoltre elementi verdi verticali richiameranno l’attenzione del visitatore che potrà così facilmente trovare aziende di vendita diretta di prodotti, agriturismi, maceri e corridoi verdi di importanza ecologica. Queste “quinte verdi” scandiranno il percorso del visitatore offrendogli luoghi piacevoli di sosta e di ristoro.


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Metrobosco

Oasi “La Rizza”


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...riscoprendo la natura

Il Casone del Partigiano_ un pezzo di storia di San Pietro immerso in una piccola oasi verde lussureggiante, a poca distanza dall’Oasi La Rizza

Via dei Gelsi è un asse di attraversamento dell’ Oasi fiancheggiato da tipiche piante autoctone che ombreggiano il pecorso e offrono rifugio a svariate specie della ricca fauna che popola la zona.

Ingresso del Centro Visite La Rizza dove poter soggiornare nella foresteria e iniziare visite guidate a cavallo.

Vista suggestiva di un’area di ripopolamento faunistico con percorso ciclopedonale e torre birdwatching.


...le siepi arborate dei casali

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Collegando l’attraversamento della Via Provinciale di Poggio Renatico (SP4) ad una strada a fondo chiuso è stato possibile far proseguire la pista ciclabile. Ciò si può evincere dai filari di alberi che accompagnano il percorso, volti a rendere piacevole sia il passaggio che la sosta per ammirare le reminescenze storiche del paesaggio come l’antico casale rurale, opportunamente riqualificato nelle sue componenti vegetali quali le siepi arborate miste, che apre il percorso verso il borgo di Rubizzano.


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..l’ecosistema dei macero Lungo le strette strade comunali è stato possibile inserire il tracciato della ciclabile in sede promiscua tra i canali che costeggiano la via e i campi coltivati. La presenza di filari alberati scandirà il percorso, permettendo di notare di volta in volta la presenza dei maceri. Infatti sarà possibile notarli a lato delle strade poichè attorniati da una fitta cortina di essenze igrofile. La presenza di questi elementi d’acqua ci accompagnerà in un graduale passaggio dalla campagna all’Oasi WWF “La Rizza”, in cui l’acqua prende il sopravvento disegnando un paesaggio palustre in cui è possibile praticare l’attività del birdwatching.


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Si ringraziano

L’associazione “Amici del Metrobosco” per l’occasione fornitaci, per la disponibilità e la generosità con cui ci hanno accolti; Il Professor Romeo Farinella per la costanza con cui ci ha guidati fino al raggiungimento di questo traguardo, nonché i voli Rayanair che lo hanno costantemente riportato a Ferrara; Il Professor Cenacchi per averci permesso di sviluppare un tema così interessante ed appagante; La perenne disponibilità di Michele Ronconi e Justyna Soltysiuk che attraverso la critica costruttiva ci hanno aiutato a portare a termine questa impresa; Gli insegnamenti del Professor Marc

Verdier sul tema dello sviluppo sostenibile applicato all’urbanistica; La copisteria CopyArt che ha sopportato tutte le nostre richieste e ha fatto i tour de force per poterci permettere di stampare in tempo; Alessandra Strinati che “metaforicamente” ci sventolava con le palme in questi giorni di caldo; I coinquilini di Stefano che hanno sopportato la nostra perenne presenza nei week-end;

I morosi e le morose che ci hanno visto scomparire per un mese ma che comunque ci hanno sostenuti psicologicamente; I nostri familiari che non ci hanno


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dati per dispersi e in particolare i genitori dell’Ale che hanno installato la wireless di cui abbiamo usufruito una volta sola; Tutti gli amici lontani e vicini che non hanno mai fatto mancare il loro sostegno e la loro solidarietà.

Il terremoto del 20, 21 e 29 Maggio per aver dato una “scossa” alle usanze della Facoltà, facendoci vivere prima una paura incredibile, poi un’esperienza piacevole e costruttiva all’interno del giardino della facoltà;

Inoltre ringraziamo:

I taralli al finocchio made in Puglia;

Il corso di francese dell’università popolare che ci ha permesso di capire qualcosa dei libri e delle riviste francesi che leggevamo;

La borsa frigo di Mirella, piena di ogni cibo che si possa desiderare;

La nuova legge che ha permesso l’apertura domenicale dei supermercati, sfamandoci nelle nostre ininterrotte giornate di lavoro;

Le pastiglie di ghiaccio che hanno tenuto al fresco le nostre provvigioni; Il laboratorio computer della fa-


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coltà e il suo climatizzatore sempre impostato sul livello “freddo polare” che ha consentito, a noi e ai nostri computer, di non “fondere” nelle caldissime giornate carontiane, luciferine, minoiche…e demoniache; Il condizionatore con annesso tunnel del vento di via Pescherie 21 interno 3 che ha permesso agli hard disk e ai nostri cervelli di non fondersi durante i caldissimi fine settimana;

macchiato, lungo, ecc…ecc…; Il tormentone dell’estate; La Borghi-mobile che ci ha permesso di andare a fare i sopralluoghi; Le compilation di musica commerciale di Daniele Borghi che hanno salvato Stefano e Lia dalle playlist Epic Metal dell’Ale, durante le escursioni a San Pietro in Casale;

I tostarelli al kamut; Cristoforo Colombo per aver scoperto le Americhe e quindi il caffè I microonde della facoltà; poi pervenutoci in ogni sua forma: freddo, amaro, zuccherato, I gelati di via Baluardi.


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Last but not least: Le freddure di Stefano e Lia; Le citazioni dal film Frankenstein Junior, in particolare “Calma, dignità e classe!” Lo ZEN che ci ha permesso di mantenere la calma anche nelle situazioni più avverse. I Maya per aver posticipato la fine del mondo.


ALLEGATI


















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