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Del coraggio al di là della guerra. Della vita al di qua del mare
Storie vere.

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Dal rischiare di morire al ritrovarsi sulla ribalta internazionale, l’una come atleta della squadra Olimpica dei Rifugiati del CIO in due Giochi Olimpici e l’altra perché accusata di aver aiutato persone migranti: a ripercorrere la vita di Yusra e Sarah Mardini su Netflix è il film Le nuotatrici (The Swimmers), presentato in anteprima lo scorso settembre al festival di Toronto e già acclamato dal pubblico per il racconto dell’incredibile viaggio delle due sorelle verso l’Europa. Le sorelle Mardini avevano vissuto la loro infanzia a Damasco. Yusra era una nuotatrice di talento, che ha rappresentato la Siria ai Campionati del mondo di nuoto in vasca corta del 2012, e sognava di vincere l’oro Olimpico. Il suo sogno si è infranto con lo scoppio della guerra che l’ha costretta ad allontanarsi rapidamente dal suo sport. Nel 2015 la svolta nella vita delle sorelle Mardini che sono fuggite dal loro Paese di origine, la Siria, nella speranza di trovare sicurezza e una nuova vita oltremare. Dopo aver raggiunto la Turchia via Libano, Yusra e Sara si sono organizzate per entrare clandestinamente, come accade a migliaia di persone ogni anno, in Grecia, semplicemente con un gommone, ma il motore dell’imbarcazione precaria su cui viaggiavano, con un carico di persone superiore alle capacità del mezzo, ha smesso di funzionare e ha iniziato a imbarcare acqua. Le due sorelle si sono tuffate in mare e con altre due persone hanno trascinato per tre estenuanti ore il gommone in salvo fino Lesbo. Dall’isola greca le sorelle Mardini hanno, poi, continuato il viaggio attraverso l’Europa fino alla Germania, dove si sono stabilite e dove sono state raggiunte dai loro genitori. Una volta ottenuto l’asilo in Germania, Yusra Mardini è tornata in piscina per cercare di riconciliarsi con il suo vecchio elemento e trovare familiarità con il nuovo ambiente. Venuta a conoscenza della possibilità di essere selezionata per la prima Squadra Olimpica di rifugiati del CIO per Rio 2016, ha lavorato sodo e un anno dopo ai Giochi di Rio 2016 ha fatto parte della squadra insieme ad altri nove atleti, originari di Etiopia, Sud Sudan, Siria e Repubblica Democratica del Congo, facendosi portatrice di un messaggio di speranza e inclusione per milioni di persone in tutto il mondo costrette a fuggire dal proprio luogo d’origine.
Il naufragio è un libro-inchiesta del 2011 del mai dimenticato e troppo presto andato via da questa terra Alessandro Leogrande su un grande fatto di cronaca italiana degli anni Novanta che ha interessato la costa adriatica. La motovedetta albanese Kater i Rades, che trasportava un centinaio di donne, uomini e bambini in fuga dall’Albania, il 28 marzo 1997 è stata affondata intenzionalmente da una corvetta italiana. Responsabilità subito rinnegata. Dal 1998 al 2011, dice Leogrande, quasi diciottomila persone sono morte nel tentativo di raggiungere l’Europa: “Il naufragio della Kater i Rades costituisce una pietra di paragone per tutti gli altri naufragi a venire, non solo perché è stato l’esito delle politiche di respingimento e dell’isteria istituzionale che le ha prodotte. (…) a differenza dei molti altri avvolti nel silenzio, è possibile raccontarlo.”
La possibilità di raccontare affinché non si ripeta, mi sembra possa essere il vero messaggio di speranza.
La storia porta con sé il senso autentico del ricordo: facciamone tesoro.
Questa rubrica nasce con la voglia di unire. L’ idea che la sottende è che, guardando bene, tutto è collegato. Un macro tema che collega libri, film e serie tv, tutto col sacro file rouge della parola.
La rubrica è a cura di Natalia Ceravolo, due figli, una manciata di dolori e gioie ad ogni angolo.
Sul suo canale instagram raccoglie tutto, per non perdere il segno: https://www.instagram.com/nataliaceravolo/?hl=it Per ascoltarla tutte le domeniche su Radio capital: https://www.capital.it/programmi/betty/puntate/