FLAT IRON COLLECTION: PROGETTARE IL NUOVO TECHWEAR ITALIANO SULL'IDEA DI MASSIMO OSTI

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FLAT IRON COLLECTION progettare il nuovo techwear italiano sull’idea di massimo osti

cdl. disegno industriale relatore : renato stasi correlatore: elisabetta cianfanelli candidato: michele mengana A.A. 2017/2018


INDICE

INTRODUZIONE // 4

1 MODA MILITARE: CENNI STORICI E SOCIO/ANTROPOLOGICI IL PARKA : DALLE ORIGINI ALLA FASHION INDUSTRIES // 8 IL TRENCH : TRINCEE, RIFLETTORI E PASSERELLE // 14 IL DUFFLE COAT : BREVE STORIA DI PESCATORI MARESCIALLI E DIVI // 20 AVIATOR JACKET : ORIGINI DI UNA GIACCA CORAGGIOSA // 26

2 MASSIMO OSTI: PASSATO, RICERCA E INNOVAZIONE TUTTO NASCE DALLA COMUNICAZIONE // 34 UNA STORIA FATTA DI BRAND // 40 IL PROCESSO CREATIVO // 42 EYES ON THE CITY: ITALIAN TECHWEAR & SUBCULTURES // 50 CAPI STUDIO // 56 C.P. COMPANY : TECNOLOGIE PROPRIETARIE // 64

3 FASHION & SUSTAINABILITY: ITALIAN INNOVATIVE FABRICS MITI SPA: THE GREEN PERFORMING // 76 MITI SPA: GAMMA DI TESSUTO // 78 MITI SPA: TESSUTI // 82 THERMORE: PERFORMANCE SOSTENIBILE // 86 THERMORE IMBOTTITURE // 88


4 STREET STYLE CLOTHES: ANALISI DI MERCATO SCENARIO // 94 TARGET: GENERAZIONE Y / L’INFLUENZA DELLO STORYTELLING // 96 COMPETITORS DIRETTI // 98 COMPETITORS INDIRETTI // 104 MAPPATURA STRATEGICA COMPETITORS // 110 TREND MAP // 112 ANALISI SWOT // 113

5 MM FASHION DESIGN: FLAT IRON COLLECTION PERCHÈ “FLAT IRON” ? // 116 PARKA // 120 TRENCH // 126 DUFFLE COAT // 132 AVIATOR // 138

FONTI BIBLIOGRAFICHE // 144

RINGRAZIAMENTI // 145


// INTRODUZIONE

INTRODUZIONE

La tesi si propone l’obbiettivo di mostrare gradualmente quelle che sono le implicazioni nello sviluppo di un progetto nel settore moda, specificatamente nella realizzazione di una capsule collection composta da quattro capi: un parka, un trench, un duffle coat ed una aviator jacket. Partendo dalla ricerca ed analisi storica del costume militare, focalizzata su ogni singolo capo, si è andati ad osservare le ragioni che hanno portato tali abiti ad essere oggi veri e propri must have nei nostri armadi. Si è osservato come tale evoluzione fu strettamente influenzata dal mondo della cultura di massa, infatti, questi capi, prima destinati ad uno specifico uso, divennero accessibili ad una utenza civile essenzialmente grazie all’influenza del cinema, delle icone musicali di varie epoche ed anche grazie ai movimenti sociali (di protesta e non). Nel contesto italiano, il primo a capire il potenziale estetico di questi capi fu Massimo Osti. Bolognese Doc, che dalla fine degli anni 60 in poi rivoluzionò completamente le abitudini di vestire degli italiani, attraverso una comunicazione mai vista prima e soprattutto attraverso concetti innovativi. Osti nasce come grafico pubblicitario e fu questa la caratteristica chiave della sua estetica. Attraverso osservazione, studio dei materiali ed ibridazione, riuscì a creare collezioni mai viste prima, infatti da maestro della comunicazione, aveva un approccio al settore completamente nuovo. Non conosceva affatto i strumenti del mestiere dei suoi “colleghi” stilisti, la sua unica arma creativa era una fotocopiatrice che utilizzava per avere copie perfettamente scalate di particolari e dettagli che prendeva dal suo immenso archivio,

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composto principalmente da surplus militare, vecchi capi da lavoro e da caccia. Durante la sua carriera dovette fondare svariati brand che contenessero le sue visioni della moda, tra i più importanti è d’obbligo ricordare Stone Island e CP Company. In CP visse forse il periodo di massima floridità creativa, infatti, oltre ad introdurre capi tecnici al contesto urbano-casual, Osti mise a punto tecnologie di produzione e processi industriali completamente nuovi, come la tintura in capo, processo che segnò la fortuna del marchio negli anni, grazie al particolare effetto che donava, rendendo così ogni capo unico ed inimitabile. CP Company e Stone Island negli anni diventarono portatori di valori di molti gruppi sociali come ad esempio il mondo degli holligans, dove avere almeno un capo di Osti divenne quasi un obbligo per appartenere al gruppo. Nel corso della trattazione inoltre viene dato grande spazio allo studio dei materiali, che furono la vera e propria fortuna di Osti, nella prima parte vengono analizzati i materiai e le tecnologie proprietarie della CP Company, in seguito si è voluto dare spazio al prodotto e all’innovazione italiana. Attraverso il contributo della Miti spa e della Thermore nel III capitolo vengono approfondite tecnologie e materiali innovativi tenendo conto di un presupposto fondamentale nell’epoca contemporanea: la sostenibilità. Le due aziende ai fini del progetto risultano complementari in quanto la prima produce tessuti indemagliabili da fonti totalmente sostenibili, mentre la seconda produce vari modelli di imbottiture dal riciclo di bottiglie in plastica pet, con diverse caratteristiche tecniche e performance, adatte a

varie destinazioni d’uso. Proseguendo nella ricerca vengono analizzati gli aspetti più commerciali e se vogliamo di contesto del mercato, infatti sono analizzati i presupposti per la creazione di un prodotto innovativo attraverso parole chiave che racchiudano i principali concetti e valori attuali. In seguito viene dato spazio all’analisi di contesto/target, prendendo in considerazione i millenials, una generazione smart, con un occhio di riguardo per la tecnologia, l’ambiente e soprattutto l’aspetto social da cui viene ampiamente influenzata e guidata nelle scelte commerciali. Vengono poi analizzati i competitors divisi in diretti ed indiretti, tali scelte vengono giustificate da quello che vuole poi essere l’inquadramento del prodotto che si pone l’obbiettivo di posizionarsi in equilibrio tra varie tendenze come: Sportwear, Techwear, Luxury e Streetwear. Nella parte finale della trattazione viene illustrata la parte progettuale, spiegando le ragioni che hanno portato la nascita di tale collezione, e le scelte intraprese per la creazione vera e propria dei modelli, attraverso i più innovativi software del settore come Clo3d. Di seguito viene dato spazio ad ogni singolo capo, dove vengono spiegati ed illustrati: concept; dettagli e varianti colore; schede tecniche; mappe di vestibilità ed infine render fotorealistici. Per capire al meglio le ragioni che hanno portato tali scelte organizzative della ricerca, riassumerei tutta la trattazione in cinque macro aree ( che rappresentano i rispettivi capitoli): RICERCA STORICO-SOCIOLOGICA, RICERCA STILISTICA; STUDIO DEI MATERIALI INNOVATIVI; ANALISI DI MERCATO-CONTESTO ed infine PARTE OPERATIVO-PROGETTUALE.


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MODA MILITARE: CENNI STORICI E SOCIO/ANTROPOLOGICI

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1// moda militare: cenni storici e socio/antropologici 1

IL PARKA: DALLE ORIGINI ALLA FASHION INDUSTRIES

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La storia del parka fonda le sue radici molto indietro nel tempo, tanto da datare le sue origini nella preistoria. Nel corso della sua evoluzione ha assunto varie nomenclature atte a distinguere piccoli particolari distintivi, nonostante ciò, talvolta i termini Anorak, Eskimo e Parka possono risultare sinonimi. L’Anorak è la giacca a vento con cappuccio,caratterizzata da una apertura fino al petto e da una grande tasca centrale; l’ Eskimo e il Parka risultano sostenzialmente identici, sono entrambi giubbotti impermeabili con cappuccio (che può essere bordato da una pelliccia), lunghi fino al ginocchio con sul retro un coda di rondine con lacci, l’eskimo talvolta può vantare come peculiarità l’abbondanza di tasche ed il rivestimento interno estraibile. All’inizio della sua comparsa era costituito da tre strati di pelliccia di foca, di caribù e di orso polare o di volpe, talvolta rivestito in pelle di salmone, veniva utilizzato dalle antiche popolazioni Inuit del circolo polare artico per resistere alle temperature estremamente fredde e umide.

Il termine parka, infatti, deriva dal russo, più precisamente dalla lingua nenets e significa “pelle di animale”. Il suo utilizzo in epoca moderna iniziò durante la seconda guerra mondiale, divenendo giacca simbolo della US Army. La prima versione realizzata dagli americani fu il model OD-7 dotato di cappuccio e rivestimento in pile, poi realizzato dal 1947 in fibra di vetro, risultando comunque non completamente adatto alle esigenze richieste, ovvero, la resistenza a temperature estreme. Per ovviare alle carenze tecniche furono elaborate negli anni nuove soluzioni e modelli, è il caso del modello M-48, simile alla precedente versione, ma rispondente ad i massimi requisiti tec-

1/ foto ritraente una tipica famiglia inuit che indossa costumi tradizionali. 2/ anorak 3/ esckimo/parka 4/ field jacket model m-48 / m-51

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nici ed inoltre dotato di una tasca sulla manica (ripresa dal bomber MA-1). Nel 1951 uscì una nuova versione il modello M-51 per far fronte alla guerra di Corea, ma anche in questo caso con risultati non apprezzabili data la fallimentare campagnia invernale dalle temperature estremamente basse. Nonostante la sua inadeguatezza al clima invernale coreano, il modello M-51 non fu completamente accantonato, anzi ne venne rielaborata una nuova versione priva dell’imbottitura in pile, così da diventare un impermeabile perfetto per resistere al clima monsonico delle estati coreane. Il Modello M-51 fu prodotto per cinque anni negli USA quando poi la produzione fu spostata nella Germania occupata dove lì continuò per ulteriori tre anni, nel 1965

venne introdotto un nuvo modello l’M1965 o ECW (Extreme Cold Weather), composto nella pate esterna da cotone misto nylon, trattato per avere una maggiore impermeabilità ed aveva anche il cappuccio staccabile. L’ECW rimase in uso fino al 1987 finchè non vennè eliminato gradualmente.

5/ sviluppo e prove M-51 6/ parka model-51 7/ fante us army 0

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1// moda militare: cenni storici e socio/antropologici

1/ lavoratore meatpacking district 2/ cover album “quadrophenia” 1973 1 3/ logo refrigiwear 4/ giovani Mod, londra, 1957 5/ locandina film “quadrophenia”, franc roddam, 1979

La resistenza alle basse temperature di questo capo lo portò ad entrare facilmente nel mondo della moda e del vestiario comune, uno dei principali casi da cui poi partì la grande diffusione di questo tipo di capospalla lo si deve sicuramente al luxury brand Refrigiwear. Nel 1954 Myron Breakstone e Mort Malden proposero ai lavoratori del Meatpacking District (il principale distretto di imballaggio carni) di New York, una valida soluzione per resistere alle gelide temperature delle celle frigorifere dove lavoravano. Le giacche proposte erano: resistenti, create con tessuti tecnici di alta qualità, isolanti e soprattutto molto confortevoli. Fu così che sotto l’inno “ A modern way to keep warm” nacque la prima collezione Refrigiwear composta da giacconi, pantaloni e tute di lana. Questa collezione consacrò in breve tempo il brand come vera e propria garanzia di protezione e confort anche sotto zero. Una volta testati i capi, Refrigiwear, divenne anche brand simbolo degli sport a temperature estreme, tanto da essere scelto dai concorrenti della gara annuale con slitta tra Alaska e Canada 4

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lunga ben 1600 Km garantendo ottime prestazioni anche a -30 gradi. Sempre a cavallo tra gli anni 50’ e 60’ il movimento Mod (da “modernism”, riferito ai fan del modern jazz) sfruttò la grande inflazione dei capi militari disponibili sul mercato a basso prezzo. Così L’M-51 venne adornato di spille, toppe e disegni, era un capo perfetto per ripararsi dalla pioggia e proteggere gli abiti sartoriali della gioventù alto borghese anche sopra uno scooter. Il movimento Mod doveva rappresentare il nuovo, apparire ed essere riconosciuto per la sua moda di elite e fu così che il parka e la lambretta divennero veri e propri simboli distintivi. Nel 1973 il parka fa la sua apparizione sull’album “Quadrophenia” dei Who ed in seguito con l’uscita dell’omonimo film nel 1979 si scatenerà la seconda stagione della moda del parka.

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1// moda militare: cenni storici e socio/antropologici 1 1/ “god save the queen”, sex pistols, 1977 2/ eddie vedder live 1990 3/ band nirvana, kurt cobain è il primo da sinistra, seattle, 1990 4/ kate moss, vogue uk, londra 2008

che vanno dall’estro stilistico allo studio delle tecnologie hi-tech integrate. Junya Watanabe ne propone una versione fedele alle origini: lungo con doppiopetto, cintura in vita, multitasking e verde militare. Al contrario Jil Sander ne offre una versione dove il parka viene declinato a giacca in pelle, realizzandolo in nylon cerato. La D&k Distribution s.p.a, ne ha sviluppato un modello di ultima generazione, integrando al su interno un sistema termico che genera calore. Tre piastre termiche posizionate nella zona lombare, del dorso e sulla zona cervicale, emettono calore attraverso un telecomando collegato alla spina centrale della giacca. Grazie a quest tecnologia è possibile raggiungere temperature massime comprese fra i 36 e 38 °C.

Negli anni 90’ da capo simbolo di una gioventù viziata e ricca, diventa emblema di un nuovo mood style: il grunge. In tutta risposta a quella che fu l’ondata punk e metal anni 80’ in Inghilterra, personaggi come Kurt Cobain dei Nirvana e Eddie Vedder dei Pearl Jam, iniziarono ad indossare il parka per accentuare il loro look rock e ribelle costituito da jeans consumati e camicie canadesi. Nel 2003 la famosissima top model Kate Moss, per esprimere il suo animo punk/grunge, si fa immortalare in foto con il suo giubbotto sul cui retro è verniciata la scritta “ God save the queen” titolo della famosa canzone dei Sex Pistols. Nel 2008 viene di nuovo fotografata per la copertina di Vogue UK indossando il suo parka con il cappuccio poggiato in testa. L’ingresso del parka in passerella lo si deve però a Burberry London con una collezione caratterizzata dalla pelliccia di montone all’interno; Fay, con pelliccia sul cappuccio; ed infine Aquascutum che ne offre una versione con linee più minimal e con le spalle arricchite con una mantellina. Oggi il parka ha assunto uno spirito contemporaneo grazie alla sua versatilità ed all’insieme di sportchic, sportwear, urbansport e urban/street style. Uno dei primi brand a reinterpretare il parka fu Woolrich che introdusse l’interno sfoderabile in Gore-Tex, e ne creò una versione piumino (Artic e Mountain parka). Divenendo un elemento irrinunciabile sulle collezioni prèt-a-porter di ogni stilista, è possibile trovare molteplici declinazioni

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1// moda militare: cenni storici e socio/antropologici

IL TRENCH: TRINCEE, RIFLETTORI E PASSERELLE

La storia del trench coat, cappotto da trincea o semplicemente trench è sensibilmente legata a quelle che furono le innovazioni in campo tessile e tecnologico della seconda rivoluzione industriale. Nel secolo XIX non erano ancora presenti tessuti con caratteristiche tecniche in grado di proteggere dalla pioggia e dal freddo senza trattenere il sudore. La prima figura ad interessarsi a questo problema fu il fondatore di Aquascutum, ovvero, John Emery of Mayfair, anche se tutt’ora è in corso una querelle su chi abbia brevettato il processo dell’ impermeabilizzazione, che pare essere stato messo a punto dal chimico scozzese Makintosh nel 1823. Emery riuscì a rinnovare completa-

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mente i normali e antiquati impermeabili da uomo dell’epoca, creando così i “wrappers”. Questo nuovo capo d’abbigliamento fu prodotto da Aquascutum per l’esercito britannico durante la campagna in Crimea. In seguito risultò troppo pesante, così nel 1879 Thomas Burberry ispirandosi alle camicie dei contadini e pastori britannici (che erano rivestite di lanolina) creò la “gabardine”. Questo nuovo tessuto era completamente rivestito in ogni fibra di materiale impermeabile prima dell’intessitura. La nuova tecnica di trattamento sulle fibre del tessuto faceva sì, che la gabardine risultasse molto più leggero e traspirante di ogni altro materiale dell’epoca oltre che waterproof. A partire da 1901 il ministro della guerra

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3 1-2/ illlustrazioni pubblicitarie modelli trench coat aquascutum, 1922 2/ illustrazione pubblicitaria tielocken, burberry, 1924 4/ pubblicità trench militare, burberry, 1925

inglese incaricò a Thomas Burberry la messa in produzione di un capo militare adatto sia come veste di ordinanza che come cappotto militare. Per arrivare a comprendere come il trench sia entrato nell’abbigliamento comune e come esso si sia affermato dobbiamo partire dall’inizio della prima guerra mondiale. Come accennato in precedenza, trench significa prorpio “trincea”, questo nome deriva dal fatto che veniva indossato nelle trincee inglesi durante la guerra, in quanto i semplici cappotti di lana erano totalmente inadatti al contatto per mesi con le pioggie ed il fango. Una volta affermata l’importanza di questo cappotto nelle battaglie, i due brand principali che si contendevano il primato di aver ideato questo modello, Aquascutum e Burberry ingaggiarono una vera e propria lotta all’innovazione. Burberry introdusse nel mercato un modello color kaki con ottime qualità di mimetizzazione, il Tielocken; Aquascutum dal canto suo, lanciò una linea di trench blu e grigia di varie lunghezze che fu molto apprezzata tra i vari gradi dell’esercito. Il trench nel passare degli anni si impregnò di un grande fascino anche simbolico che lo rese sinonimo di eleganza, potere, conoscenza. Con la fine della Grande Guerra nel periodo di depressione iniziò a comparire nei grandi magazzini, con modelli ripuliti da accessori a scopo bellico, come ad esempio i ganci porta granate posti nel cinturone.

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1// moda militare: cenni storici e socio-antropologici

Sin dalla sua comparsa il trench ha creato dietro sè una grande serie di ammiratori, però il vero apice della sua popolarità nel vestiario comune lo si deve alla sua entrata nel grande schermo. La famosa rivista d’epoca “Women’s wear daily” data la prima apparizione del trench su un set cinematografico e di conseguenza la sua consacrazione a capo di moda nel 1929, nella pellicola “Il Destino”, dove una splendida Greta Garbo veste un trench foderato di lana e decorazioni scozzesi. Quello fu il momento esatto in cui il capo divenne un vero e proprio must per le donne dell’epoca. Negli anni 40 con l’affermarsi del genere noir nelle grandi sale il trench ebbe un boom di popolarità vestendo le più grandi star internazionali in veri e propri film cult. Nei primi due anni del 1940, Humphrey Bogart insieme a Ingrid Bergman, gireranno i due film che li renderanno per sempre immortali, ovvero, “Il mistero del falco” e “Casablanca”. Da quel momento esatto il trench diventerà il cappotto sinbolo di tutti gli investigatori privati nella cultura di massa. In seguito, nel 1946 il trench andrà a vestire anche i malavitosi nel film “I Gangster”, dove Ava Gardner sarà contraddistinta da un cappotto beige e cappello fedora. Vent’anni dopo, più precisamente nel 1963, sotto la direzione di Blake Edwards, un indimenticabile Peter Seller spalleggiato da Claudia Cardinale, vestirà i panni dell’ispettore Clouseau ne “La Pantera Rosa”. Sul culmine degli anni 60 fu il momento di Catherine Deneuve, in “Bella di giorno” sotto la direzione di Bunel, indosserà le creazioni dello

stilista e amico Yves Saint Laurent. Il mito del trench non tardò ad arrivare anche in Italia, infatti sempre nel ‘68 il gota del cinema italiano Vittorio De Sica nel film “Amanti” opterà per una Faye Dunaway che nella sua love story con Marcello Mastroianni, sarà splendidamente coperta da un trench di lana bianco con guanti in pelle nera e cappello da cowboy. Nel 1982 Ridley Scott riprenderà la tradizione lanciata da Bogart per uno dei suoi film culto, ovvero, il fantafuturistico “Blade Runner” dove l’ispettore privato Harrison Ford vestirà un trench color kaki nella sua caccia agli andoidi.

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1/ greta garbo in “il destino”, clarence brown, 1929

4/ Harrison Ford indossa il suo costume di scena in “blade runner”, Ridley Scott, 1982

2/ humphrey bogart sul set di “casablanca”, 1942

5/ faye dunaway durante le riprese di “amanti”, vittorio de sica, 1968

3/ ava gardner, “i gangster”, robert siodmak, 1946

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1/ “trench coat capsule collection”, viktor & rolf, dicembre 2011 2/ trench con lingerie in vista, jean paul gaultier, 2002 3/ modelli trench metalizzati, burberry porsum. p-e 2013

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Data la sua essenza camaleontica e adattiva ed essendo un capo di mezza stagione, il trench si è sempre prestato ad elaborazioni da parte di molti stilisti. Diventa un esercizio si stile per quest’ultimi che giocano ogni volta a trovargli una nuova anima e attidutine. Negli anni sulle passerelle abbiamo assistito a diverse declinazioni del trench, dove ogni stilista ne a dato una sua personale interpretazione partendo dal modello base. Nel 2002 è Jean Paul Gaultier a darci una sua intrerpretazione, quasi sfacciata ma al contempo raffinata. Il suo modello tiene colori, cintura e allacciature tradizionali ma gli dona una forma più longilinea con un collo che lascia in mostra le spalle e la lingerie in pizzo. Christian Lacroix nel 2005 stravolgerà il concetto di trench classico, rivoluzionando la forma della gonna e valorizzandolo con materiali nobili come il raso e decorazioni dipinte a mano accompagnate da perline. Nel 2010 la mano di John Galliano per Dior porterà in passerella

un modello classico ispirato agli anni ‘40 ma più pratico, accorciandolo e rendendolo a maniche corte. Subito un anno più tardi, nel Dicembre 2011, Viktor & Rolf, realizzeranno un’intera capsule dedicata al trench, la “Trench Coat Capsule Collection”: Doll trench, costituito dal binomio cotone-gabardine e arricchito di arricciature e balze; “Cape trench coat” in cotone tecnico color kaki; “Duchesse Trench Coat” che racchiude uno spirito da femme fatale, più voluminoso e realizzato in duchesse satin; infine, il “Bell Sleeve Trench Coat” in cotone e gabardine e come suggerisce il nome con maniche a campana. L’anno 2012/13 sarà un vero campo fiorito nella realizzazione di nuovi concetti di trench. Gli italiani Marras e Pecoraro ne propongono rispettivamente un modello classico con maniche in pelliccia e inserti floreali ed un modello più fuori dagli schemi in panno nero e pelle. Junya Watanabe ne propone una via di mezzo tra lo stile militare e lo snow white realizzate con colori naturali. La p/e 2013 fu caratterizzata da una svolta di rielaborazione eclettica del trench. Alexis Mabille ne propose una versione in blu elettrico, a sua volta Burberry Porsum opta per un colore metallizzato. Infine Ferragamo ne offre un modello di grande personalità, legato al tipo classico ma corto con stampe pitonate.


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IL DUFFLE COAT: BREVE STORIA DI PESCATORI MARESCIALLI E DIVI

Il Duffle coat, nome originale del capo che viene comunemente chiamato montgomery, affonda le sue radici nelle Fiandre Olandesi, infatti, i primi modelli venivano indossati dai pescatori e marinai belgi che si ritrovavano ad affrontare le intemperie che il gelido Mare del Nord riservava loro. Il termine “duffle” sta ad indicare il tipo

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di materiale in cui il capo è principalmente composto. Questo tipo di lana pesante deve il suo nome alla località in cui venne prodotto inizialmente, Duffelzandhoven, e più precisamente nella città di Anversa. Nonostante inizialmente venisse ampiamente utilizzato tra i pescatori, il Duffle coat non era ancora così diffuso e notorio.

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1-2/ pescatori belga indossano capi in duffle, 1910 3-4/ marinai della british nation navy, 1921 5-6/ il maresciallo bernard law montgomery immortalato con il suo tipico duffle coat 1935-37

Il merito della sua popolarità lo si deve essenzialmente ai soldati della British Nation Navy che già avevano in dotazione capispalla dalle medesime caratteristiche morfologiche: erano intessuti in Duffle, la chiusura era composta da lacci di corda (o cuoio) e alamari, ciò rendera più facile l’apertura e la chiusura anche indossando dei guanti alle mani; il cappuccio risultava piuttosto ampio ed anch’esso allacciabile, molto funzionale in caso di gelo; vi erano delle grandi tasche laterali ed infine delle spalle, lavorate a sprone. A cavallo delle due guerre mondiali questo capo entrò ufficialmente come equipaggiamento ufficiale della Marina britannica, il colore che lo contraddistingueva era il tipico blu navy. Fu in quel periodo che il Duffle coat venne rietichettato con il nome “Montgomery”. Tale attribuzione la si deve alla magistrale figura del Maresciallo Bernard Law Montgomery coordinatore delle truppe durante il D-Day e celebre vincitore della battaglia per la conquista di El Alamein, pare infatti che era consuetudine del maresciallo indossare il Duffle coat sopra la divisa militare. 5 6

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Alla fine del secondo conflitto mondiale, a cavallo tra gli anni ‘40 e 50’ rimase nei magazzini militari un grandissima quantità di surplus che furono poi rivendute al pubblico a prezzi stracciati, questo evento innescherà la nascita di quelli che oggi sono brand storici del settore e soprattutto detterà l’avvio della moda del Montgomery al pubblico di massa. Le due principali realtà che sfruttarono la svendita dell’esercito inglese furono Harold & Freda Morris e Harnold Brook. Harold & Freda Morris fondarono il gruppo Gloveral ed acquistarono ingenti quantità di surplus militare che gli fruttò una fortuna nella vendita di massa, infatti i capi venivano acquistati a prezzi stracciati e ciò permetteva loro di poterli rivendere a prezzi modici e con ampio margine

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1/ manifesto pubblicitario “gloverall ltd”, 1954 2/ harold e freda morris, di fronte allo stabilimento gloverall, londra, 1955 3/ modello iconico gloverall color cammello 4/ collaborazione gloverall con dover street market, 2014 5/ stabilimenti gloverall, 1962

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di guadagno, i principali acquirenti furono inizialmente studenti inglesi e francesi, che approfittavano del prezzo conveniente per capi piuttosto comodi e caldi. Trainato dal successo iniziale nel 1954 la Gloverall lancerà una propria linea di Montgomery pensati e prodotti esclusivamente per il mercato civile creando così un vero e proprio capo icona della moda. Il modello che racchiude la storia di Gloverall è il classico Duffle coat color cammello, infatti il modello ha tutti i tratti distintivi dei primi classici: tessuto esclusivamente duffle, spalle a sprona, tasconi laterali e soprattutto la classica chiusura a laccio con alamari in legno. Un altro modello icona della casa fu quello prodotto per il Dover Street Market di Londra, caratterizzato dal colore viola.


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Come Harold & Freda Morris anche Harnold Brook intraprese la produzione di duffle coat, ma in una delle zone più rinomate per la produzione di alta gamma inglese, ovvero, Salford. Portando così avanti l’antica tradizione sartoriale di famiglia, Harnold Brook riuscì a creare modelli di duffle coat senza tempo, al di là di ogni tendenza, mantenendo sempre alti gli standard qualitativi della produzione. Ma il vero apice di popolarità del marchio si avrà dalla metà anni 60, quando diventerà un must per le famiglie della nuova borghesia inglese nel west end ovvero i Sloane Ranger, durante così detta “Swinging London Era”

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6/ pubblicità “harnold brook”, 1973 7/ mick jagger icona della “swinging london era” indossa un eclettico montgomery, 1970 8/ membri della familiglia reale inglese, londra, 1969

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1// moda militare: cenni storici e socio-antropologici

Come ogni capo icona, anche il Duffle coat avrà la sua consacrazione nel mondo cinematografico. Nel film “The Cruel Sea” del 1953, dove fu indossato da Jack Hawkins, quella pellicola oltre a sancire il successo dell’attore, fu anche definita il miglior film della storia cinematografica inglese. A distanza di decenni il Montogomery è sempre stato un capo adatto ad ogni situazione senza mai perdere praticità ed eleganza, sia in ambito maschile che femminile rendendolo ancora oggi una pietra miliare della moda.

1-2/ jack hawkins durante le ripese di “the cruel sea” di charles frend, 1953 3/ locandina di “the cruel sea” charles frend, 1953

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AVIETOR JACKET: ORIGINI DI UNA GIACCA CORAGGIOSA

1/ primi modelli di giacche da aviatore, create a discrezione dei piloti 2/ theodore ellisson, 1915 3/ pilota us navy, 1920 4/ generale doolittle (secondo da sinistra) insieme alla sua compagnia di bombardieri, 1943 5/ patch 34° regimento incursori bombardieri

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L’origine del giubbotto Aviator, come si può evincere dal nome, è strettamente legato alla nascita dell’aviazione. Infatti agli inizi del 900 non vi erano particolari tenute di volo o abbigliamento tecnico specifico. Molta della tecnologia nei primi aereomobili proveniva dal mondo della meccanica delle auto e delle biciclette, proprio per questo motivo, i primi apparecchi non raggiungevano altezze e velocità proibitive per i piloti, ciò permetteva agli aviatori di poter indossare quasi dei normali abiti. Andando avanti negli anni con l’introduzione di nuove tecnologie, gli aerei iniziarono ad avere caratteristiche tecniche nettamente più avanzate e con questo miglioramento giunsero i veri problemi per i piloti quali le maggiori velocità e altitudini ed i venti gelidi. A quelli che furono i primi aviatori statunitensi, ovvero, gli U.S. Navy, non veniva dato loro alcun equipaggiamento, dovevano procurarsi i vestiti da volo personalmente. Solo nel 1911 Theodore Ellisson, uno dei primi piloti della U.S. Navy stabilì come primo punto del programma l’acquisto delle divise da volo. In seguito ,come si può evincere da ciò detto in precedenza, la

scelta cadde immediatamente su un materiale ampiamente utilizzato nel settore automobilistico e motociclistico, la pelle. Questo materiale oltre ad avere un’ottima resistenza meccanica, era anche un ottimo isolante dal vento e dalle intemperie. Queste caratteristiche risultavano fondamentali, in quanto inizialmente gli abitacoli degli aerei erano aperti e i piloti venivano istruiti proprio per effettuare manovre tenendo conto della variabile del vento in faccia. È proprio per questo motivo che per molti anni piloti e designer erano scettici del fatto che i velivoli ad abitacolo chiuso o semichiuso fossero più difficili da governare. A partire dalla prima guerra mondiale il giubbotto Aviator in pelle divenne l’equipaggiamento ufficiale degli aviatori americani. Possiamo datare al maggio 1951 il momento in cui arrivarono nei magazzini militari statunitensi i primi e veri modelli standardizzati dei giubbotto aviator, infatti prima essendo a discrezione dell’aviatore, i capi utilizzati risultavano raffazzonati e di forme improbabili. I primi piloti che vennero a contatto con gli aviator standard rimasero positivamente colpiti nono-


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stante fossero ignari di star indossando quello che sarebbe diventato un vero e proprio pezzo di storia. L’impego della pelle per la produzione dei capi durò per anni e cessò solo con l’introduzione delle nuove membrane tecniche come ad esempio il gore-tex. I principali modelli (che sono anche i più iconici) furono senza ombra di dubbio la A-2 Aviator Jacket ed il modello G-1. Il modello A-2 fu in dotazione all’U.S.A.F. per circa 12 anni, fu il più famoso tanto da essere tutt’oggi commercializzato. All’epoca veniva realizzato con pelle di cavallo (horsehide). Con l’avvento degli anni ‘40, i vertici dell’aviazione visto lo squilibrio tra domanda e offerta decisero di produrre il giubboto con pellame di vario tipo

a seconda delle quantità che potevano essere fornite dal mercato. Le principali caratteristiche che rendono unico e riconoscibile l’A-2 sono: la parte posteriore, formata da un pezzo unico; la cerniera anteriore, posta in posizione centrale; il colletto, realizzato in pelle e infine le spalline in pelle, che servivano ad assicurare l’imbracatura al paracadute. L’A-2 come tutti i capi di origine militare, era studiato in modo tale da poter essere funzionale al 100%, tanto da avere le tasche progettate per non far andare in giro i piloti con le mani in tasca, segno di non rigore nel mondo militare.

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1// moda militare: cenni storici e socio-antropologici 2

Anche se i primi modelli erano estremamente funzionali, l’A-2 aveva i suoi piccoli difetti dal momento che risultava troppo corto e la pelle di cavallo era eccessivamente rigida e poco confortevole. Per queste ragioni venne ampiamente distribuito tra le forze dell’U.S.Navy e U.S.A.F. Il modello G-1, dal suo concepimento nel 1930 alla sua effettiva distribuzione tra le forze armate nel ‘38/’39, rimase in uso per oltre 40 anni. Le principali differenze con il modello A-2 erano molteplici: prima fra tutte era la differenza di pellame utilizzato, infatti veniva utilizzata pelle di capra (goat skin), molto più resistente e meno rigida rispetto a quella di cavallo; era dotato di una doppia piega retrattile nella parte posteriore che garantiva

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un migliore movimento all’interno dell’abitacolo; era imbottito in pelle di montone nel colletto che oltretutto poteva anche essere chiuso al collo ed infine una tasca interna per portare con sè il calcolatore di distanze “E6B”.

1/ pilote u.s.a.f indossano modelli a-2 e g-1 come si evincce dall’imbottitura nel collo 2/ patch distintiva u.s.a.f 3/ artiglieri u.s.a.f indossamo giacche g-1 modello bomber

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1// moda militare: cenni storici e socio-antropologici 1

1/ tom cruise e kelly mcgillis sul set di “top gun”, tony scott, 1986 2/ giacca “top gun” prodotta da avirex sul modello g-1 3/ modello g-1 “slim fit”, cockpit usa

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Dal punto di vista cinematografico anche l’aviator visse la sua “age d’or”. Nel 1986 infatti Tom Cruise vestirà un G-1 prodotto da Cockpit USA nel film “Top Gun”. Vedendo il film si può notare come Cruise venga più volte inquadrato con le mani in tasca, ciò lascia trapelare che la giacca abbia subito degli adattamenti cinematografici, se questo dettaglio è trascurabile non si può certo dire lo stesso delle 17 toppe applicate. Subito dopo l’uscita del film, molte aziende si sono prodigate nella realizzazione di modelli ispirati al G-1, primo fra tutti fu proprio il modello “Top Gun” prodotto da Avirex. Nonostante il modello Avirex sia il più fedele al modello classico ci sono comunque molte differenze rispetto al modello dell’omonimo film. 30

L’originale capo cinematografico seguiva la tradizione militare del G-1, infatti era composto da pelle di capra, mentre il modello Avirex da pelle di agnello (lambskin); il colletto Avirex era sfoderabile, caratteristica non riscontrabile nel modello originale ed infine nel modello Avirex vi era stampata una mappa nella fodera interna e vi erano aperture laterali nelle tasche frontali. Nel 2008 la Cockpit USA sfornerà un nuovo modello del G-1 , il modello slim fit, che godrà di una vestibilità decisamente migliore, molto più adatto ai canoni moderni.


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MASSIMO OSTI: PASSATO, RICERCA & INNOVAZIONE

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2// massimo osti: passato, ricerca e innovazione

TUTTO NASCE DALLA COMUNICAZIONE

“I miei clienti non si affidano ai trend di immagine, sono capaci di cogliere gli aspetti non immediatamente evidenti. Con loro ho sempre parlato chiaro: non vi darò immagini suggestive, volti e corpi splendidi sui quali mettere i miei capi, non vi darò un’idea di Perfect World sulla quale sognare, ma vi farò vedere il prodotto senza orpelli aggiuntivi”.

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Paolo Lazerani, “Producer ex machina”, intervista a Massimo Osti, Mondo uomo, lug.-ago. 1987

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Quella di Massimo Osti è una storia scritta da immagini, schizzi, pezzi di stoffa e reperti di archivio. Forse il termine appropriato è un reportage di esperienze dove le parole possono risultare quasi superflue, ma che rappresenta in toto quel che fu l’indole di Osti: un uomo di poche parole ma di grandi contenuti; essenziale e diretto. Questa indole sarà cruciale nello sviluppo delle sue idee e progetti. Osti, malgrado il successo, non ha mai gradito l’etichetta di stilista, infatti inizia il suo cammino nel mondo della moda da grafico, esperienza che gli donerà occhi completamente diversi per affrontare questo mondo e che gli permetterà, altresì, di avere geniali intuizioni. Affrontare la moda da comunicatore piuttosto che da stilista significa non avere come

arma risolutiva i così detti “ferri del mestiere” (aghi e forbici) ma strumenti inusuali: chine, fogli di carta lucida, strumenti serigrafici e fotocopiatrice sono il nuovo orizzonte avanguardistico che segnerà il suo stile e modus operandi. Nel suo scenario fare moda diventa uno stimolo a prendere ispirazione dagli oggetti più inusuali: tende plastificate diventano il materiale per nuove giacche, scatole di biscotti si trasformano il packagin oppure creare bottoni da un semplice anello. Il graphic designer riesce a cogliere varie sfumature dagli oggetti circostanti e così facendo crea un’armonia di colori e dettagli che tutti insieme riesce ad equilibrare per ottenere risultati stupefacenti. Ed è proprio questo il suo ruolo da designer nella moda agli inizi degli anni 70, in 35 anni di lavoro Osti raccoglie, studia, smonta, rimonta mescolando tutto... grazie a ciò riuscirà a diventare uno dei principali innovatori del settore tanto da diventare anche uno dei più imitati.


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Nessuno prima di lui negli anni 70 riusciva a percepire che la moda aveva bisogno di una svolta, una rivoluzione, in quanto essa non era in grado cogliere e rappresentare quelli che erano i cambiamenti in atto nella cultura di massa e nella societĂ , fu proprio Osti ad accendere la miccia e rendersi fautore della svolta. Il vietnam, i nuovi movimenti studenteschi e di protesta che dilagavano ed i nuovi bisogni della societĂ che emergeva hanno cambiato il quotidiano e piĂš nello specifico i trend del fashion system, anche se la classica moda sartoriale non era ancora riuscita a percepire questa nuova onda di cambiamento.

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1/ illustrazioni che massimo osti trovò in un vecchio libro di uniformi, verranno poi utilizzate come etichetta dei suoi brand 2/ illustrazione raffigurante massimo osti 3/ studenti in protesta, torino, 1968 4/ parka con attaccate fotocopie, tipico metodo progettuale di massimo osti

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Le nuove generazioni ribelli in cerca di una rappresentazione dell’essere, non acquistavano i propri capi nelle boutique bensì nelle mercati dell’usato e tenevano a personalizzare le giacche personalmente con l’inserimento di toppe o motivi distintivi. Il capo si fa così vettore di comunicazione e il cambiamento va necessariamente comunicato. Osti percepisce che qualcosa stava cambiando nella società e si fà portavoce di un nuovo stile che va in controtendenza a quella che era la l’omologazione della giacca e cravatta. Maglie e giacche divengono così tele su cui serigrafare, stampa grafiche a jacquard su semplici magliette in cotone jersey donando così a semplici capi una dignità di un capo maglieria. Attua operazioni di decontestualizzazione mirata e ragionata quando prende dei piumini da scalatori per poi rivisitarli creando così capi tecnici da città, anticipa o crea quello che oggi è l’urban streetware. La sua passione per gli oggetti più inusuali lo porterà a collezzionare capi di ogni genere e principalmente militari di cui studia le innumerevoli funzioni e scruta minuziosamente ogni singolo dettaglio: tasche, pieghe, bottoni e cerniere

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1/ massimo osti nel suo studio bolognese, 1984 2/ collage tributo 3/ invito per il 150° anniversario della confezione tessile, berlino, 4/ campioni, prove colore e trattamenti su tessuti


diventano ispirazioni per la creazione di nuovi capi. La sua ossessione per i dettagli e soprattutto per lo studio dei nuovi materiali lo porterà a stravolgere l’intero settore tessile, tanto da essere invitato a tenere una mostra antologica a Berlino in occasione del 150° anniversario della nascita della confezione tessile. Nel suo lavoro si fa promoter del rapporto forma/funzione, quello che negli anni anni 20 era stato per il Bauhaus ora viene riproposto in chiave moderna, dal design alla moda. Nelle sue creazioni nulla è lasciato al caso e nulla è superfluo, crea così capi altamente funzionali dove ogni singolo elemento ha una determinata funzione: il doppio bottone per chiudere la manica in caso di vento o di pioggia;

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il cappuccio estraibile dal colletto che si stringe con un capocorda, gi interni che si possono staccare a seconda della temperatura, la cintura rinforzata dove vi è maggiore usura o termonastrata per renderla impermeabile... Non è uno stilista nel senso del termine, diviene più un ingegnere della moda i suoi vestiti seguono più parametri tecnici funzionali ed è proprio per questo che le sue collezioni si fondano su una precisa strategia, ricerca forme e materiali sempre legati au un preciso valore estetico intrascindibile.

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“...E’ piuttosto facile vendere cose belle e ricercate ai ricchi; ma fare vestiti belli e funzionali al minor prezzo possibile, questa è la vera sfida”.

Nell’organizzazione delle strategie di mercato e innovazione, non promuove alcun studio o indagini di mercato, ma coordina uno staff di raccogliere capi ed oggetti interessanti ingiro per il mondo, per poi farli a pezzi e capirne le potenzialità ed i pregi di ogni singolo materiale o lembo di stoffa, crca di estrapolarne i segreti che poi rielabora secondo un preciso processo creativo fatto di intuzione, ostinazione e trasgressione. Ed è proprio questo metodo che gli consente di cogniugare la funzionalità con una valenza estetica alla base della sua irrinunciabile idea di bellezza. È un comunicatore atipico ed intuitivo. La sua comunicazione è essenziale, cruda, onesta e severa fino alla più stretta oggettività. Non c’è illusione nella sua pubblicità, dona foto dei propri capi nude e crude dove saltano agli occhi i particolari, le cuciture, le gommature ed i riflessi. Il vestito è come lo vedi, senza intermediari dello star sistem o volti noti della fotografia, l’unico vero protagonista che vuole è il frutto della sua ricerca, ovvero, dettagli che rendono il prodotto unico e speciale. Tale modalità di comunicazione verrà poi imitata, impartendo a tutto il sistema della comunicazione vere e proprie lezioni di stile.

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1/ la philosophy di tutti i brand fondati da osti è una comunicazione diretta, rispecchiata anche all’interno dei suoi store 2/ massimo osti all’interno del suo studio, bologna, 1987

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una storia fatta di brand

CHOMP CHOMP 1969 E’ la sua prima linea di t-shirt ispirate al mondo della pop art, per il nome ed il logo prende ispirazione dal baloon dei fumetti e il suono onomatopeico di un cuore preso a morsi. CHESTER PERRY 1971 Il nome deriva dalla fabbrica dove lavora Bristow, impiegato eroe inventato da Franck Dickens. Da questo momento inizia la vera sperimentazione di Osti, per stampare i suoi capi utilizza i metodi della stampa su carta: fotocopie, serigrafia , quadricromia e stampe piazzate diventano i capisaldi del suo processo artistico. Iniziano le prime sperimentazioni della tintura in capo. In seguito sarà costretto a cambiare nome a causa di controversie legali con la “Chester” e con “Fred Perry”. Dal 1977 lancia una seconda linea di nome “Factory” ispirata ad Andy Wharol. CP COMPANY 1978 Costretto a cambiare non si scoraggia e decide di utilizzare l’acronimo di “chester perry” accostandoci il termine inglese “Company”. Negli anni 80 studia anche il logo, ovvero, l’immagine di un marinaio. Da qui in poi inizia la grande sperimentazione e lo studio vero e proprio dei materiali, la ricerca di innovazione tessile stilistica si rinnova ad ogni stagione grazie ad una struttura industriale consololidata che avrà grande influenza su tutta la filiera della moda.

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BONEVILLE 1981 Prende il nome ispirandosi ad una cittadina francese dove si trovò per caso. Fonda il brand a seguito delle innumerevoli imitazioni che iniziano a contaminare il mercato. Boneville è la foce dove trovano campo tutte le idee e sperimentazioni che in C.P. Company non trovavano spazio. STONE ISLAND 1982 Nasce parallelamente alla sperimentazione della tela stella, un materiale ruvido e slavato, così ricco di personalità da esigere una collezione totalmente nuova. Il nome si ispira ai racconti di mare e di avventura. Dai scritti di Josep Conrad Osti troverà le parole “island” e “stone”, una per l’idea di libertà e l’altra per la suggestione di durezza e resistenza che il primo tessuto portava con sè. Per il logo Osti prende ispirazione in toto dalla rosa dei venti della sua barca a vela. CP COLLECTION 1987 Cambia l’immagine classica del tradizionale abito maschile, CP Collection nasce per dare spazio soprattutto alla sperimentazione di un nuovo trattamento di smerigliatura della lana, che la rende vellutata donandogli un aspetto vissuto. LEFT HAND 1993 E’ il primo marchio da lui creato al di fuori della C.P. Company s.p.a. Le collezioni sono caratterizzate dalla sperimentazione di due nuovi materiali: il “Micro” e il “Joint”. “A chi mi chiedesse il perchè di questo nome risponderei: sono mancino”.

MASSIMO OSTI PRODUCTION 1995 Quando lascia C.P. Company a metà degli anni 90, fonda la nuova azienda Production e lancia la prima collezione WWche porta il suo nome. Questa linea è incentrata sull’invenzione del Tecnowool, e su un alto utilizzo di fibre sintetiche altamente performanti. MASSIMO OSTI 1999 Con questo progetto si propone di rivoluzionare i meccanismi distribuitivi dell’intera industria della moda. Anche qui le collezioni si fondano su nuovi materiali di ricerca: Electric-j; Cool Cotton; Steel e Safer. M.O. DOBLE USE 2003 Collezione costituita da 24 capi Urban in cachemire, reversibili e tinti in capo (procedimento utilizzato per la prima volta su una fibra così delicata). In totale controtendenza la linea è completamente prodotta in estremo oriente.


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IL PROCESSO CREATIVO

Come già anticipato nei paragrafi precedenti, Massimo Osti fu un uomo scrupoloso ed attento a tutti i riferimenti culturali che lo circondavano e con il suo bagaglio di esperienze, riuscì ad intervenire ad ampio raggio modificando radicalmente gli standard stilistici della sua epoca. Possiamo racchiudere la sua filosofia ed il corrispondente processo creativo in tre pilastri fondamentali: osservazione ed ibridazione; ricerca ed innovazione materiale continua; comunicazione. Avendo un background ed una indole non proprio da addetto ai lavori nella moda, Osti ha un approccio completamente diverso al progetto, la stoffa diventa carta, la cucitrice si trasforma in fotocopiatrice ed un accurato studio del tecnicismo più estremo lo porterà

1/ pach stone island 2/ dolores calebotta, modella stone island, indossa lWa zeltbahn cape, 1982, ph. daniela facchinato 3/ illustrazioni uso e vestibilità zeltbahn, manuale zeltbahn, berlino, 1932 4/ soldati della wehrmacht indossano la zeltbahn

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a soluzioni non proprio convenzionali. Attinge pezzi da vari mondi, come la caccia, il militare ed il tecnico, che osserva, studia e rielabora secondo il suo stile. Libri, bottoni, scatole, zippature, cuciture, maniche ecc.. diventano carburante per la sua fotocopiatrice che viene utilizzata ore ed ore per poi archiviare ordinatamente ogni singola stampa, che all’occorrenza può tornare utile . Divise militari finiscono con il fondersi a tenute da lavoro usate, ogni singolo capo segue un iter ben preciso e non diventa una semplice copia dell’altro, ma una vera e propria ibridazione frutto di un’attenta ricerca storica/stilistica che da come fine un prodotto ecclettico fondato da un isieme di esperienze e con una propria anima.

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<< Nello studio non si utilizzava il disegno tecnico; l’uso della fotocopiatrice permetteva di saltare questo passaggio. Attaccava con gli spilli campioni di stoffa e ritagli di fotocopie ai capi che sceglieva dall’archivio, e creva così un nuovo modello a tre dimensioni in scala uno a uno, che simulava nel modo più realistico possibile il risultato finale. Faceva questa operazione sempre personalmente, per ogni singolo modello, che diventava talmente leggibile da poter essere trasmesso direttamente al reparto cartamodelli dove veniva tagliato il prototipo. Questo metodo era talmente nuovo ed efficace che ha fatto scuola.>> (Rossella Zanotti, responsabile dell’archivio tessile presso Massimo Osti Studio). 4

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La sua “ignoranza” nel settore lo porta a trasgredire tutte le regole fino ad allora conosciute.Non si ritrova e soprattutto non si intressa alla moda della sua epoca, non si accontenta dei materiali che il mercato proponeva e soprattutto non è attirato dai cosidetti tessuti “tinti in pezza” tanto da aprire all’interno della sua azienda una tintoria dove nascerà il mito del “tinto in capo”. Ama l’aspetto vintage dei tessuti e lavora nylon e cotoni in modo tale da renderli il più vissuti e naturali possibile. Era costantemente indirizzato all’innovazione ed ebbe l’intuzione di partire da materiali non costosi in modo tale da nobilitarli con trattamenti speciali e sperimentando vari tipi di finissaggi, tanto da essere il primo a tingere in capo la pelle e materiali trattati con resine. Questa ricerca continua risultava molto complessa, infatti per ogni giaccone venivano utilizzati molti tipi di materiali composti da fibre diverse che una volta tinti in capo donavano risultati unici con effetti di doppio o triplo colore. I principali strumenti utilizzati da Osti per archiviare tutti i vari trattamenti, colori e materiali erano essenzialmente tre: le “tirelle” che erano samples di tessuto catalogati con le relative informazioni tecniche; le “fisarmoniche” supporti modulari costruiti artigianalmente per tenere traccia delle informazioni trasmesse al reparto prototipia (materiali, trattamenti e lavaggi) e venivano divise per famiglia di prodotto; le prove colore, venivano

effettuate secondo due iter specifici, un mazzo di materiali diversi subiva lo stesso bagno di colore, oppure, lo stesso materiale subiva bagni di diversi colori. L’utilizzo combinato di questi strumenti permetteva di avere un copioso archivio di tessuti con un’infinita varietà di combinazioni, il tutto avendo traccia precisa di ogni materiale, lavorazione e tipo di trattamento. <<L’occhio e la sensibilità di Massimo si soffermano prima sulla materia e sulle possibilità metamorfiche che ogni tessuto ha... E’ come se desse a quella materia una forma che aveva nascosta e che era disposta a svelare solo a chi aveva la competenza e la sensibilità per riconoscerla>> (Roberto Grandi, semiologo).

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1/dettagli di una “fisarmonica” per l’ufficio prototipazione, 1991 2/ bottone c.p. company 3/ mazzo di prove colore su diversi tipi di materiale 4/ “fidarmonica” con varianti mimetiche prima della tintura in capo 5/ Massimo Osti al lavoro nel suo studio bolognese

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1/ screenshot dal video “the runway show” 2/ “city sound berlin” lp prodotto dallo studio osti 3/ abiti esposti per la rassegna “15 anni di attività di massimo osti per c.p.company”, berlino, 1987 4/ lucio dalla posa per la copertina di c.p. magazine, p/e 1989

Anche dal punto di vista della comunicazione, Osti mantenne sempre la sua indole ribelle e controcorrente. Nel 1985 per rientrare dall’enorme spesa pubblicitaria e non farla gravare sulla ricerca e sviluppo, inventò un metodo completamente nuovo per pubblicizzare le sue creazioni in C.P. Company. Nacque così il primo catalogo “C.P. Company Magazine”, un semestrale tradotto in inglese e giapponese venduto in edicola a 3500 lire. Il conceto di una pubblicità venduta direttamente al cliente fu un concetto così rivoluzionario quanto presuntuoso che ottenne un ottimo successo in quanto le edicole dell’epoca vendevano solo quotidiani e riviste patinate. Il magazine si presentò come una novità assoluta, ed andava a creare così un legame di totale fidelizzazione con il cliente, la pubblicità diventava quasi come una rivista da collezzionare sugli scaffali di casa. All’interno di essa non vi erano modelli professionisti o immagini pompose ed esuberanti, ma persone normali e nelle pagine i capi venivano immortalati semplicemente su sfondo bianco come oggetti di design, oppure ripiegati proprio come si fa con i vestiti da riporre negli armadi di casa. Per la presentazioni delle proprie collezioni Osti non ama le classiche sfilate, ed è per questo che si rivelerà un’avanguardista anche in questo ambito, infati, punterà sul potenziale offerto dalla tecnologia dei computer dell’epoca, stravolgendo le immagini ed affidandosi al lavoro dei suoi amici registi, sceneggiatori e musicisti ecclettici. Come già anticipato concederà un unico strappo alla regola per l’invito della città di Berlino,

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mandando in scena dei mimi a rappresentare scene di supereroi metropolitani con un sottofondo sonoro prodotto proprio dallo studio Osti. << Odio il momento in cui le collezioni vengono mostrate in sfilata. Provoca una risposta inadeguata rispetto alla ricerca che ogni capo contiene>>. (Massimo Osti) 3


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EYES ON THE CITY: ITALIAN TECHWEAR & SUBCULTURES

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Nella carriera di Osti possiamo trovare un momento essatto che sancì la svolta di tutta la sua produzione. Intorno alla metà degli anni 70, Osti fu costretto a rinominare la sua Chester Perry per motivi legali, fu così che nacque la C.P. Company, questo nuovo nome scandito semplicemente dalle inizialidell’azienda precedente, risuonava estremamente fresco e nuovo nel contesto di un’italia ancora strettamente legata ai canoni di costume classici. Con il cambio di ragione sociale, ed una azienda che già vantava un know-how invidiabile, non passò molto tempo prima che C.P. Company divenne un vero e proprio marchio cult. A partire dagli anni 80 i capi che vengono proposti sono insoliti e ricchi di dettagli formali e funzionali ma visti prima di allora, Osti nella sua veste di “ingegnere stilista” è innamorato dei dettagli tecnici e della funzione che tenta di far risaltare in tutti i modi. Fu il primo a portare tra le strade cittadine giacche tecniche, che prima di lui eran solo utilizzate per motivi sportivi o lavorativi; crea capi multiuso adatti a tutte le situazioni, le sue idee si traducono così in giacche reversibili, antipioggia, antivento, con gilè integrati... indossabili in ufficio ma allo stesso tempo adatte a lavori pesanti. Le sue creazioni trasformarono i canoni estetici dell’abbigliamento maschile, strabigliando grazie alla ricchezza di dettagli, componenti personalizzzabili (occhiali, maniche, colli e cappucci staccabili...) e soprattutto innovazione materiale. Venne definito dalla stampa dell’epoca come l’avventore dell’ “urban sportswear” o dell’ “high-tech casualwear”; ma 1/ “reversible jacket” uno dei primi esempi di giacche tecniche trasformate in capi casual da città, anna gobbo, “lei”, ottobre. 1980, ph. george barkentin 2/ locandina “holligans”, Lexi alexander, 2005

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3/ il rapper drake indossa un intero outfit targato stone island durante un concerto live 4/ il rapper coez indossa una giacca stone island durante le riprese del video della canzone di gemitaiz “davide”, 2018


noi oggi possiamo definitivamente consacrarlo a vero e proprio padre dell’ “italian techwear”. << Lo sportswear di Osti è in effetti il più sofisticato, il più intelligente che si produca in Italia. La sua esperienza di grafico ha fatto si che riportasse nel campo dell’abbigliamento un gusto estetico completamente sganciato dalla tradizione, che lavorasse i vestiti così come oggetti, in modo pulito, funzionale, e insieme con gusto plastico e pittorico>> (Flavio Lucchini, “Adesso tutti scoprono C.P. Company”, Mondo uomo, lug.-ago. 1982) Oltre a C.P. Company Osti riuscì a creare un vero culto dietro uno dei suoi brand pilota, Stone Island. Dietro questo brand, caratterizzato da capi molto tecnici e più crudi rispetto C.P. , si creò un mondo di subcoltures ancora oggi molto attivo, dove il tradizionale stemma sul braccio rappresenta un vera e propria famiglia o tag urbano. Tra i gruppi sociali che più sfruttarono questo stile, in prima fila troviamo il mondo degli “holligans”, ovvero, i fomentati tifosi calcistici inglesi (nello specifico) e più in generale di tutto il mondo, dove avere almeno un capo Stone Island rappresenta il ticket per entrare a far parte del gruppo, tanto che durante gli scontri tra le varie tifoserie riuscire a rubare le etichette dal braccio degli avversari diventa mezzo di gloria sociale all’interno del gruppo di appartenenza. Questo brand ebbe tale successo che entro anche nel mondo del cinema, infatti nel film “Holligans” girato nel 2006 sotto la direzione di Lexi Alexander, possiamo vedere

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come i capi Stone Island appaiono in ogni singola scena. Oltre all’universo calcistico oggi S.I. È entrato anche nel mondo dell ‘hip hop / rap grazie a sponsorizzazioni di icone influenti internazionali del calibro di Drake, oppure più semplicemente a livello nazionale possiamo vedere come Coez, uno dei più importanti rapper della scena odierna, indossa una giacca Stone Island gialla nel video della canzone “Davide” di Gemitaiz. Tutte queste icone hanno contribuito e continuano tutt’ora ad alimentare un mondo oggi più che mai incline all’appartenenza e riconoscimento all’interrno di un branco, che li piloti, e che ponga i dettami dell’apparire.

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1-2/ giacca modello explorer frutto della collaborazione c.p. company ed adidas, 2018 3-4/ sergio pizzorno frontman dei “kasabian” posa per la capsule “the mind eye”, 2018 5/ capsule collection “humanz world tour”, c.p. company x g foot, 2018

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Dopo la cessione della C.P.Company da parte parte di Osti, il marchio per anni rimase l’emblema dell’italian techwear fin quando con il passare egli anni ed il rispettivo ricambio generazionale portò una lenta uscita di scena. Oggi il brand attraverso lo studio dei trend odierni è stato rilanciato, così C.P. È tornato dentro gli armadi dei ragazzi rendendosi ancora una volta simbolo di una tribù urbana del secolo XXI. Fondamentali sono state le collaborazioni, sponsorizzazioni e coobranding che hanno scandito lo stile degli ultimi anni, pur sempre rimanendo fedeli alle indelebili linee guida dettate alla sua epoca da Massimo Osti. Una delle più iportanti operazioni svolte dal brand negli ultimi tempi è senza ombra di dubbio la collaborazio-

ne con il brand “Adidas Original”. Per generazioni quasti due brand hanno dominato il mondo delle subculture, la più emblematica (come detto in precedenza) è quella del mondo holligans, infatti tra gli outfit preferiti dai tifosi il binomio C.P. Company (oppure Stone Island) e Adidas era ed è un must. Ed è proprio da questo binomio che è nata la collaborazione tra design italiano e tedesco, che ora alleate si fanno emblema delle culture urbane a tutto tondo. Oltre alla partecipazione con Adidas Original, negli ultimi tempi C.P. Per chiudere il cerchio ed entrare sistematicamente in tutto il tessuto sociale possibile, ha creato capsule collection con la partecipazione di icone internazionali dello spettacolo e della musica rock. 2

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Per la collaborazione con Sergio Pizzorno, frontman dei Kasabian, è stato ideato un poncho dai colori vivaci e con un occhio aggiunto alle classiche lenti “google”, simbolico marchio di fabbrica della C.P. “Il terzo occhio o l’occhio della mente è un concetto mistico di un occhio invisibile speculativo, che fornisce la percezione oltre la normale vista”. Oltre alla partnership con Pizzorno, la C.P. Company ha anche sviluppato un capsule dedicata interamente al tuor Humanz World Tour della band elettro-pop “Gorillaz”, composta da due pezzi: La tour jacket e il flight hat, caratterizzati da tagli classici e le lenti google dei tipici cappucci.

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CAPI STUDIO: GOOGLE JACKET

Osservando nel 1988 un cappuccio della guardia civile giapponese naque uno dei capi mito della C.P. Company. L’idea era quella di creare una giacca con incorporate delle lenti nel tessuto, il problema legato all’inserimento delle ottiche venne risolto attraverso l’ideazione di un telaio apposito. La forma complessiva della giacca è ripresa quasi in toto dall’osservazione delle funzionali giacche da campo in dotazione all’esercito svizzero, con ampie tasche che possono assolvere a diverse funzioni. Viene inoltre insierita un’ulteriore lente all’altezza del polso sinistro per rendere possibile la visione dell’orogio. Questa giacca diventerà un vero e proprio mito grazie alla sponsorizzazione della corsa automobilistica “1000 miglia”, il concept è che con la google jacket è possibile intraprendere qualunque tipo di viaggio anche il più avventuroso. In questo scenario la giacca da campo assume un aspetto polimorfico in grado di resistere alle condizioni più dure ma anche perfetta per la quotidiana vita cittadina.

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2 1/ manifesto pubblicitario per la “mille miglia” 2/ dettaglio lente google sul polso per vedere l’orologio 3/ giacca da campo impegata dall’esercito svizzero dal 1957 4/ google jacket edizione per la gara automobilistica “mille miglia”, 1988

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CAPI STUDIO: SAHARIANA

Ispirandosi alle uniformi della polizia italiana durante la campagna in Africa, lunghe fino ai fianchi, con tagli tipici delle camice nei polsi e nel collo ed una cintura a stringere la vita, Osti ibrida il modelllo base aggiungendo dettagli nelle forme e tagli tratti dalle giacche da campo inglesi raccolte nel suo archivio. Riesce così a dare una nuova identità al capo rendendolo attuale attraverso un accurato studio di forme, peculiarità e funzioni.

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3 1/ sahariana il lino grezzo, c.p.company, l’uomo vogue, aprile 1990, ph. aldo fallai 2/ dettagli della sahariana in cotton mais, con coulisse in vita, patta per chiudere il colletto, polsino allargabile e doppio bottone nel colletto, c.p.company p/e 1985 - 1989 3/ militare italiano indossa una sahariana adottata durante la guerra d’africa, andrew mollo, the armed forces of wwii, crown publishers inc., new york 1987 4/ giacca sahariana, c.p.company, 1989 2

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CAPI STUDIO: SARTRE COAT

1/ schizzo della j.p. sartre coat, 1988 jean paul sartre e jean pouillon, 1946, ph. henri cartier bresson, trunk archive 2/ giaccone j.p.sartre in montone, c.p.company, a/i 1988-89

Sfogliando per caso una rivista, Osti rimane colpito dalla raffinatezza ed eleganza informale della giacca indossata dal filosofo Henri Cartier-Bresson. Attraverso un attento studio Osti ne copia i dettagli formali e ne ripropone una versione sempre attuale nonostante la semplicità e sobrietà. Nasce così la giacca Jean – Paul Sartre, la sua semplicità porterà alla creazione di varie versione negli anni: la prima in montone con finiture in pelle con interno in lana gommata; la seconda, in pelle con finiture in cotone per contrasto e collo sciallato; la terza versione replica l’originale della foto ma senza il carrè, ma con collo in pelliccia staccabile grazie alle asole.

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3/ giaccone j.p.sartre esterno in pelle, collo in lana, interno trapuntato e foderato in rete di poliestere, tinto in capo, c.p.company, a/i 1989-90 4/ giaccone j.p.sartre esterno in cotone mais smerigliato, sovracollo in pelo staccabile tramite asole in pelle, interno in lana gommata, c.p.company a/i 1992-93

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2// massimo osti: passato, ricerca e innovazione

CAPI STUDIO: FLYING JACKET

Per tutti gli anni ‘70 Massimo ha fatto della giacca corta un capo fondamentale delle sue collezioni. Tuttavia, verso la fine degli anni ‘80 non si accontentava più di lavorare con i modelli e quindi decise di andare alla fonte studiando i giubbotti aeronautici della M444 e della M445 utilizzati dalla Seconda Guerra Mondiale. Come risultato della sua vasta ricerca, ha sviluppato la fly jacket, di pelle di pecora, presentata nella stagione Autunno Inverno 1987 dell’azienda. in seguito nel 1991 Osti ispirandosi alle giacche da aviatore A-1 realizzera una nuova collezione questa volta mutanto il materiale costruttivo, infatti questa nuova giacca fu realizzata in tessuto “50 fili”.

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1/ giubbotto in montone ispirato alla flying jacket m444 e m445 dell’us air force, c.p.company a/i 1986-87 2-3/ fotografie da “suit up! the flight jacket”, imai kesaharu, world photo press, 1993 ph. smithsonian insitute 4/ giubbotto in tessuto 50 fili con collo e polsi in maglia di cotone tinto in capo ed ispirato alla flying jacket a-1 dell’aviazione americana, c.p.company p/e 1991 2

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2// massimo osti: passato, ricerca e innovazione

C.P. COMPANY: TECNOLOGIE PROPRIETARIE / GARMENT DYEING

1-2/ laboratorio di tinto in capo, foto tratte da una pubblicazione c.p.company, 1986 3/ etichetta termoadesiva che garantisce il processo di tinto in capo nelle giacche c.p.company, 1986 4-6/ processo di tintura in capo, si inizia dalla cura del pigmento, per poi passare al bagno di colore e relativo risultato all’asciugatura

Il garment dyeing o tinto in capo è un processo introdotto da Massimo Osti agli inizi degli anni ‘70. l’indumento inizialmente viene realizzato con tessuti grezzi al naturale e viene poi tinto successivamente dopo alla finitura completa; la principale differenza con i metodi di tintura tradizionali risiede proprio nel fatto che il capo viene tinto nella fase ultima della manifattura piuttosto che agli inizi proprio prima della realizzazione. Nonostante la tintura in capo fosse già esistita, Osti fu il primo a sperimentarla su tessuti insoliti. Prima che Chester Perry venne rinomita in C.P. Company, Osti nella sua qualità di grafico, sperimentò questa tecnica sulle sue t-shirt subito dopo che erano state stampate. Questa intuizione non fu proprio casuale, infatti Osti sapeva bene che tingere in capo le magliette gli avrebbe non solo permesso di poter acquistare il tessuto di un singolo colore, potendo al contempo produrre un serie di variazioni cromatiche a sua discrezione; ma avrebbe potuto così ottenere un effetto sgualcito e vissuto mai visto prima sul mercato. Dopo aver testato il processo sulle tshirt, Osti intraprese esperimenti sempre più complessi e da lì a poco tempo assunse il chimico Giuliano Baldoni realizzando in C.P:Company un impianto interno per il processo di tintura. Dall’inizio di questa collaborazione iniziarono per la prima volta nella storia le sperimentazioni e successive produzioni di capi a più fibre e tessuti tinti in capo. Osti inizio a tingere in un unico bagno, giacche realizzate in misto nylon, lino e cotone resinato.

Ogni tipo di materiale reagiva differentemente al trattamento, alcuni tessuti mstravano restringimenti dell’8%, altri solo del 3%; i tessuti più compatti assorbivano meno colorri rispetto quelli a trame morbide; i rivestimenti in poliuretano venivano appena sporcati dal colorante mentre il nylon assimilava toni più scuri e intensi rispetto al lino. La buona riuscita dei suoi esperimenti portarono Osti all’affermazione di una tecnologia proprietaria ancora oggi di difficile imitazione dati gli alti costi di processo, rendendò così questa tecnica una esclusiva dei suoi brand che incarnano il ver e proprio DNA del techwear. Ad oggi il 70 % delle collezioni C.P. Company sono composte da indumenti tinti in capo, questa tadizione e corsa al’innovazione portata avanti anche dopo la scomparsa di Osti si è sempre basata su un’unica domanda “ Che cosa succederà se lo tingo in capo?”.

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2// massimo osti: passato, ricerca e innovazione

C.P. COMPANY: TECNOLOGIE PROPRIETARIE / CHROME

Il Chrome è un tessuto di nylon multi-lamina derivato dai tessuti in nylon usati per la tela militare. Sviluppato specificatamente per la tintura in capo, le sue caratteristiche risultano più evidenti nei capi dai colori vivaci. Il fatto che Chrome sia molto resistente al processo di tintura e che quindi mostri diverse tonalità cromatiche più chiare, offre un notevole vantaggio se sapientemente utilizzato nella realizzazione di capi composti da elementi in nylon misti.

composizione

caratteristiche del filamento

caratteristiche del tessuto

Nylon

Trama e ordito in nylon lucido multi-filamento

- Tinto in capo - Asciugatura rapida - Multi-filamento

resistente all’acqua

impermeabile

media

alta

inizio stagione

stagione piena

media

alta

BARRIERA ANTI-PIOGGIA resistente alle gocce TRASPIRABILITÀ standard REGOLAZIONE CLIMATICA mezza stagione TENUTA ANTIVENTO standard

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C.P. COMPANY: TECNOLOGIE PROPRIETARIE / AIR - NET

Una stampa flock 3D sullo strato interno del tessuto crea una sottile calotta tra la superficie esterna del tessuto e la pelle, isolando il corpo in modo naturale dall’ambiente esterno e proteggendolo contro il freddo e il caldo. A tenuta di vento e resistente all’acqua, Air Net è il tessuto di transizione perfetto. La facilità con cui il flock a base di nylon accetta il colore e il contrasto rispetto alla resistenza del Chrome lo rendono il tessuto ideale per la tintura in capo.

composizione

caratteristiche del filamento

caratteristiche del tessuto

Nylon

Nylon lucido multi-lamina

- Tinto in capo - Asciugatura rapida - Stampato - Multi-lamina

Flock di nylon 3D sul rovescio

BARRIERA ANTI-PIOGGIA resistente alle gocce

resistente all’acqua

impermeabile

media

alta

inizio stagione

stagione piena

media

alta

TRASPIRABILITÀ standard REGOLAZIONE CLIMATICA mezza stagione TENUTA ANTIVENTO standard

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2// massimo osti: passato, ricerca e innovazione

C.P. COMPANY: TECNOLOGIE PROPRIETARIE / PRO - TEK

Poliestere elasticizzato ad alte prestazioni con rivestimento WR, sviluppato appositamente per coniugare il peso e il comfort di una felpa con le funzionalità protettive di un capo per ambienti esterni. Leggero e ripiegabile. Pro-Tek è un tessuto extra pratico grazie alla sua combinazione perfetta di peso, prestazioni e comfort.

composizione

caratteristiche del filamento

caratteristiche del tessuto

Poliestere

Poliestere multi-lamina opaco

- Asciugatura rapida - Elasticizzato - Rivestito - Ripiegabile - Tenuta antivento - Multi-lamina

resistente all’acqua

impermeabile

media

alta

inizio stagione

stagione piena

media

alta

BARRIERA ANTI-PIOGGIA resistente alle gocce TRASPIRABILITÀ standard REGOLAZIONE CLIMATICA mezza stagione TENUTA ANTIVENTO standard

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C.P. COMPANY: TECNOLOGIE PROPRIETARIE / C.P. SHELL

Interpretazione proprietaria di C.P. Company per la famiglia di tessuti soft shell. Composto da una pellicola resistente agli agenti atmosferici saldata a un mesh leggero, produce l’attuale parametro di riferimento per i tessuti adatti al clima di transizione: leggero, protettivo e comodo, ma con lo stile e le prestazioni di un tessuto affidabile per gli ambienti esterni. Questa famiglia di materiali elasticizzati a due strati è ormai il punto di riferimento odierno per i tessuti di transizione a cavallo delle stagioni.

composizione

caratteristiche del filamento

caratteristiche del tessuto

Poliestere/Spandex Materiale del rovescio: poliestere

Dritto: poliestere elasticizzato multi-lamina

- Asciugatura rapida - Elasticizzato - 3L - Saldato - Tenuta antivento - Multi-lamina

Laminazione a punti di poliuretano Rovescio: poliestere con lavorazione pile BARRIERA ANTI-PIOGGIA resistente alle gocce

resistente all’acqua

impermeabile

media

alta

inizio stagione

stagione piena

media

alta

TRASPIRABILITÀ standard REGOLAZIONE CLIMATICA mezza stagione TENUTA ANTIVENTO standard

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2// massimo osti: passato, ricerca e innovazione

C.P. COMPANY: TECNOLOGIE PROPRIETARIE / NYCRA

Tessuto esclusivo di nylon elasticizzato realizzato con monofilamento di nylon con standard Mil-SPEC e sottoposto a trattamento idrorepellente. È stato sviluppato specificamente per la tintura in capo: il colore penetra a fondo nelle fibre ed è assorbito in modo uniforme, con una densità cromatica impossibile da riprodurre per i capi tinti in pezza.

composizione

caratteristiche del filamento

caratteristiche del tessuto

Poliammide Elastan

Ordito: multi-filamento lucido Trama: multi-filamento di nylon elasticizzato

- Tinto in capo - Asciugatura rapida - Elasticizzato - Multi-lamina

resistente all’acqua

impermeabile

media

alta

inizio stagione

stagione piena

media

alta

BARRIERA ANTI-PIOGGIA resistente alle gocce TRASPIRABILITÀ standard REGOLAZIONE CLIMATICA mezza stagione TENUTA ANTIVENTO standard

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C.P. COMPANY: TECNOLOGIE PROPRIETARIE / NYFOIL

Nylon trilobato tinto in capo. Un rivestimento metallico argentato rende il tessuto estremamente performante, con funzionalità di tenuta all’acqua e al vento e proprietà termoregolanti. Il rivestimento argentato inoltre, aiuta a prevenire l’accumulo di elettricità statica sul corpo e contribuisce a migliorare il benessere personale. Nyfoil è un tessuto eccezionale per le sue funzionalità ma anche per il suo aspetto unico. Il rivestimento interno metallico influisce sui colori dell’Ultra Nylon e crea una gamma di colori metallici.

composizione

caratteristiche del filamento

caratteristiche del tessuto

Laminato nylon: Poliuretano

Diritto: nylon trilobato lucido multi-lamina

- Tinto in filo - Asciugatura rapida - Rivestito - 2L - Ripiegabile - Multi-lamina

Rovescio: laminazione di poliuretano argento

BARRIERA ANTI-PIOGGIA resistente alle gocce

resistente all’acqua

impermeabile

media

alta

inizio stagione

stagione piena

media

alta

TRASPIRABILITÀ standard REGOLAZIONE CLIMATICA mezza stagione TENUTA ANTIVENTO standard

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2// massimo osti: passato, ricerca e innovazione

C.P. COMPANY: TECNOLOGIE PROPRIETARIE / BI - MESH

Una membrana interna resistente all’acqua inserita tra un micro-mesh di nylon doppio crea una nuova famiglia di tessuti performanti a tre strati. Bi-Mesh mostra eccellenti proprietà di elasticità meccanica, è ultraleggero, resistente all’acqua e traspirante: ideale per il trattamento di tintura in capo. Benché questo tessuto abbia una membrana assolutamente unica, non è utilizzabile nello stato in cui si trova. Il micro-mesh doppio offre il sostegno minimo necessario.

composizione

caratteristiche del filamento

caratteristiche del tessuto

Membrana di nylon: poliuretano

Dritto e rovescio: mesh lavorato anti-smagliatura

Membrana di poliuretano

- Tinto in capo - Elasticizzato - Rivestito - 3L - Saldato - Multi-lamina

resistente all’acqua

impermeabile

media

alta

inizio stagione

stagione piena

media

alta

Nylon multi-lamina

BARRIERA ANTI-PIOGGIA resistente alle gocce TRASPIRABILITÀ standard REGOLAZIONE CLIMATICA mezza stagione TENUTA ANTIVENTO standard

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C.P. COMPANY: TECNOLOGIE PROPRIETARIE / RE - COLOUR

L’etichetta Re-Colour si riferisce a un processo di tintura che avviene in due fasi. All’inizio il capo viene tinto con una base acida (per i capi in nylon) o con una tintura diretta/reattiva (per le fibre organiche). Successivamente il capo viene tinto con pigmenti a freddo. La tintura a pigmenti non si combina con la tintura precedente ma si avvolge intorno alle fibre del tessuto, scegliendo le superfici più accessibili ed evitando cuciture e pieghe. Il risultato è un effetto zonale tono su tono che ricorda un paio di jeans di alta qualità usurati o quello di un sottile strato di polvere che si deposita su una macchina da rally dopo una gara su un tracciato sterrato. Gli amanti irriducibili dello sportswear italiano ricorderanno la serie Tinto Terra di C.P. Company, alla fine degli anni 2000. Nonostante si limitasse all’uso dei soli pigmenti di terra delle aree locali, ha aperto la strada alla tintura a pigmenti.

FASE 1

FASE 2

Tintura basata su acido o reattiva

Tintura a pigmenti a freddo

indumento basato su acido

indumento finale

IL PROCESSO

indumento senza tintura

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FASHION & SUSTAINABILITY: ITALIAN INNOVATIVE FABRICS

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3// fashion & sustainability: italian innovative fabrics

MITI SPA: THE GREEN PERFORMING

La Miti spa è un’azienda Italiana leader nella produzione di tessuti tecnici elastici ed indemagliabili. Da sempre sensibile al tema ambientale, si impegna costantemente nella ricerca e nello sviluppo di innovative tecnologie che permettono di produrre tessuti in grado di coniugare compatibilità ambientale e performance. A questo proposito è importante evidenziare che M.I.T.I. è la prima azienda al mondo a offrire sul mercato una gamma di tessuti indemagliabili totalmente riciclati ad alta performance funzionale, inoltre è una delle poche realtà italiane ad essere pluricertificata nell’ambito della sostenibilità attraverso le etichette: GRS, Bluesign ed Oeko Tex. GRS (global recycled standards) che certifica che la materia prima impiegata nella produzione del tessuto proviene dal riutilizzo di scarti industriali di filiera. BlueSign, uno standard che certifica l’intera filiera tessile con la mission di ridurre l’impatto ambientale, non prendendo in considerazione solo il prodotto finito, ma analizzando l’impatto ambientale di tutti i flussi di ingresso del sistema produttivo dalle materie prime ai prodotti chimici e risorse umane attraverso un processo

SPORT Tessuti tecnici per ogni tipo di sport, dall’allenamento fino alle gare più intense.

ACTIVE WEAR Tessuti indemagliabili per il fitness, yoga e indoor sports.

FASHION Tessuti di alta qualità e design per inspirare la creatività dei fashion designer.

SHAPEWEAR Tessuti elastici ad elevata compressione e piacevoli al tatto.

INDUSTRIAL Tessuti indemagliabili per soddisfare i bisogni specifici del mondo industriale.

MEDICAL Tessuti antibatterici e traspiranti, progettati per un utilizzo in campo medico e sanitario.

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di “input stream management”. Oeko Tex, che garantisce traspasperanza aziendale in materia di forniture e semplifica il flusso di informazioni relativo a possibili sostanze nocive. A tal proposito gran parte dei tessuti prodotti possono essere nobilitati con finissaggi atti a migliorare la performance, come ad esempio l’impermeabilità, in tali processi tuttavia, non vengono utilizzati prodotti chimici costituiti dalla catena chimica C8 a base di fluoro altamente inquinante per l’ambiente in cui viene prodotta, ma vengono impiegati agenti a base completamente vegetale. In ottica di economia circolare, l’azienda sta sperimentando tecnologie che permettano il reciclo totale delle componenti di tessuto e dei capi. Questo tipo di riutilizzo non è attualmente possibile in quanto l’intreccio di maglia fatta con poliammide ed elastomero non è scomponibile e non si riesce a separare le due fibre per poterle riciclare singolarmente e rimetterle in circolo.

-30%

riduzione del consumo generale d’acqua

-17%

m3 di acqua consumata per kilo di tessuto prodotto

-34%

riduzione delle emissioni di CO2

3,25M EURO

investiti in sostenibilità ambientale

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3// fashion & sustainability: italian innovative fabrics

MITI SPA: GAMMA DI TESSUTO / THERMAL

La gamma di articoli con THERMAL insulation technology include tessuti garzati elastici con un’altissima restistenza alle abrasioni e un ottimo recupero dimensionale oltre che una facile manutenzione. La costruzione del tessuto con il lato garzato sul retro a contatto pelle garantisce un eccezionale isolamento termico. Peso consistente e spessore adeguato permettono a questa tecnologia di essere applicata alla maggior parte dei capi pensati per le attività all’aperto.

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3// fashion & sustainability: italian innovative fabrics

MITI SPA: GAMMA DI TESSUTO / GREEN SOUL

La tecnologia MITI Green Soul combina l’utilizzo di fibre 100% riciclate con i piÚ sostenibili processi produttivi di tintura e finissaggio senza compromettere la performance del tessuto. Le fibre riciclate usate da M.I.T.I. per la tecnologia Green Soul includono tre opzioni differenti. Poliestere 100% post-consumo, nylon 100% pre-consumo riciclato da scarti industriali ed elastomero riciclato fino al 65% da scarti industriali pre-consumo.

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3// fashion & sustainability: italian innovative fabrics

MITI SPA: TESSUTI / THERMOROUBAIX POWER 3.0

CATEGORIA: THERMAL

COMPOSIZIONE FIBRE: NYLON 48 % POLYESTER 28 % ELASTANE 24 %

CERTIFICAZIONI: OEKO-TEX STANDARD 100 BLUESIGN APPROVED FABRIC GRS - GLOBAL RECYCLED STANDARD

CARATTERISTICHE: LOW oeko-tex bluesign multi components four way stretch thermoregulation quick dry moisture management standard moisture management upon request

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MEDIUM

HIGH


MITI SPA: TESSUTI / THERMOSHELL DWR M

CATEGORIA: THERMAL

COMPOSIZIONE FIBRE: NYLON 56 % POLYESTER 24 % ELASTANE 20 %

CERTIFICAZIONI: OEKO-TEX STANDARD 100 BLUESIGN APPROVED FABRIC GRS - GLOBAL RECYCLED STANDARD

CARATTERISTICHE: LOW

MEDIUM

HIGH

oeko-tex bluesign multi components four way stretch thermoregulation quick dry moisture management standard moisture management upon request

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3// fashion & sustainability: italian innovative fabrics

MITI SPA: TESSUTI / CHECKMATE

CATEGORIA: THERMAL

COMPOSIZIONE FIBRE: NYLON 83 % ELASTANE 17 %

CERTIFICAZIONI: OEKO-TEX STANDARD 100 BLUESIGN APPROVED FABRIC GRS - GLOBAL RECYCLED STANDARD

CARATTERISTICHE: LOW oeko-tex bluesign multi components four way stretch thermoregulation quick dry moisture management standard moisture management upon request

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MEDIUM

HIGH


MITI SPA: TESSUTI / THERMAL GREEN

CATEGORIA: GREEN SOUL

COMPOSIZIONE FIBRE: NYLON RECYCLED 83 % ELASTANE RECYCLED 17 %

CERTIFICAZIONI: OEKO-TEX STANDARD 100 BLUESIGN APPROVED FABRIC GRS - GLOBAL RECYCLED STANDARD

CARATTERISTICHE: LOW

MEDIUM

HIGH

oeko-tex bluesign multi components four way stretch thermoregulation quick dry moisture management standard moisture management upon request

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3// fashion & sustainability: italian innovative fabrics

THERMORE: PERFORMANCE SOSTENIBILE

La Thermore nasce a Milano nel 1972 con un intento preciso: sviluppare imbottiture termiche che consentissero di costruire capi d’abbigliamento caldi, leggeri, resistenti ed innovativi. Oggi la collezione, che comprende oltre 400 tipi di imbottiture termiche per abbigliamento, rappresenta un’offerta unica nel settore a livello mondiale. Ogni imbottitura termica é disponibile globalmente grazie al numero sempre crescente di impianti nelle principali aree produttive del mondo. Il principale punto di forza dell’azienda è la sostenibilità, infatti Thermore produce imbottiture termiche a basso spessore totalmente reciclate. Le imbottiture Thermore vengono create dal riciclo di bottiglie pet e sono totalmente animal free, questa particolarità permette all’azienda di ottenere risultati che in termini di performance sono superiori alle classiche imbottiture in piume o altri materiali sintetici, tali imbottiture inoltre hanno un volume nettamente inferiore rispetto alla concorrenza, permettendo così la creazione di modelli snelli e altamente performanti. Possono essere usati su tutti i materiali ed ogni capi creato con Thermore contiente dalle cinque bottiglie pet riciclate. L’azienda vanta inoltre prestigiose certificazioni nello standard della filiera sostenibile, come la bluesign ; GRS (global recycle standard); PFOA free che garantisce che non venga impiegato l’acido perfluoroottanoico; tutti i prodotti sono certificati Peta-approved vegan.

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3// fashion & sustainability: italian innovative fabrics

THERMORE: IMBOTTITURE / CLASSIC

Per anni nel mondo delle ovatte é rimasta valida l’equazione “Voluminoso = Caldo”. Un’ovatta con uno spessore di due centimetri era due volte piú calda di un’ovatta che era spessa un centimetro. La ragione era semplice: l’ovatta di un centimetro pesava la metá di quella alta due centimetri. Ebbene: con Thermore® non é piú cosí. Grazie al procedimento SR Spessore Ridotto) é possibile ridurre lo spessore di Thermore® senza alterarne significativamente la resa termica. Il procedimento riduce lo spessore finale ma non riduce proporzionalmente la quantitá d’aria imprigionata nella struttura di Thermore® e, di conseguenza, la termicitá. É possibile, finalmente, disegnare un capo dalle linee snelle ma non perdere né in termicitá né in morbidezza e drappeggio, perché anche la “mano” di Thermore® non cambia! Thermore® Classic é ora composta per il 50% da fibre riciclate ad alta tecnologia: il nostro contributo per un futuro sostenibile.

CARATTERISTICHE - APPLICABILE A TUTTI I TESSUTI - NON NECESSITA TRAPUNTATURA - REALIZZATA CON IL 50% DI FIBRE RICICLATE DA BOTTIGLIE PET - SR (SPESSORE RIDOTTO): MINIMO INGOMBRO, MASSIMA RESA TERMICA

ISTRUZIONI LAVAGGIO

PESO GR/M2 E SPESSORI DISPONIBILI hl = high Loft sc = super compact

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THERMORE: IMBOTTITURE / THERMOSOFT

Thermosoft® é l’alternativa di qualitá alle ovatte basiche e offre elevata resistenza al lavaggio ad acqua e a secco, finissaggio brevettato contro la fuoriuscita delle fibre da tessuto e fodera e controllo qualitá e uniformitá effettuato da personale Thermore. L’imbottitura Thermosoft® viene prodotta presso gli impianti di Bangkok, Tailandia e la gestione degli ordini é organizzata dall’ufficio di Hong Kong, garanzia di efficienza e puntualitá.

CARATTERISTICHE - ESTREMAMENTE SOFFICE E AD ALTA TERMICITÀ - FINISSAGGIO BREVETTATO ANTI-PILLING / NON RICHIEDE TELETTA - REALIZZATA CON IL 50% DI FIBRE RICICLATE DA BOTTIGLIE PET - TERMICITÀ UNIFORME SENZA PUNTI FREDDI ISTRUZIONI LAVAGGIO

PESO GR/M2 E SPESSORI DISPONIBILI hl = high Loft sc = super compact

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3// fashion & sustainability: italian innovative fabrics

THERMORE: IMBOTTITURE / THERMAL BOOSTER

Mantenere un comfort termico ideale in situazioni climatiche variabili è sempre stata una sfida difficile. Thermore, da sempre all’avanguardia nello sviluppo di imbottiture ad alta tecnologia, presenta ora THERMAL BOOSTER, l’imbottitura intelligente che diventa più calda quando fuori fa più freddo. Oltre a garantire la giusta coibenza termica, Thermore® THERMAL BOOSTER aumenta notevolmente il proprio potere isolante quando la temperatura esterna diminuisce. Thermal Booster consente in questo modo di estendere il comfort termico in un “range” di temperature molto più ampio rispetto ad una normale imbottitura, naturale o sintetica. La tecnologia THERMAL BOOSTER non necessita di particolari manutenzioni o batterie esterne, perché la termicità dinamica è parte integrante del prodotto stesso. Inoltre, Thermore® THERMAL BOOSTER è protetta dall’esclusivo finissaggio Thermore contro la fuoriscita delle fibre e può essere lavata ad acqua senza che questo ne comprometta la performance. Test di laboratori indipendenti certificano che, con il diminuire della temperatura, THERMAL BOOSTER aumenta la propria termicità di oltre il 20%!

CARATTERISTICHE - CON IL DIMINUIRE DELLA TEMPERATURA LA TERMICITÀ AUMENTA DEL 20% - FONTE DI CALORE CONTINUA E COSTANTE NEL TEMPO - FINISSAGGIO BREVETTATO ANTI - PILLING - APPLICABILE A TUTTI I TESSUTI

ISTRUZIONI LAVAGGIO

PESO GR/M2 E SPESSORI DISPONIBILI hl = high Loft sc = super compact

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THERMORE: IMBOTTITURE / FREEDOM

Il mondo dell’abbigliamento imbottito è in continua evoluzione e in costante ricerca di nuove tecnologie in grado di soddisfare consumatori sempre più esigenti. Oggi una giacca non deve essere solo calda, ma performante ed estremamente confortevole. Immagina, ad esempio, se potessi stare al caldo indossando qualcosa di pratico, comodo e avvolgente come un paio di jeans elasticizzati o dei leggings. Tutto questo è possibile grazie a Thermore® Freedom: la sua struttura composta da milioni di micro fori si adatta e si muove in perfetta sintonia con i movimenti del tuo corpo. 
L’elevato livello di comfort garantito da Thermore® Freedom soddisfa le necessità dei clienti più esigenti: dalla passeggiata in centro, alla più impegnativa delle attività outdoor. Thermore® Freedom è 4 volte più elastico rispetto a qualsiasi altra imbottitura (vedi tabella). Inoltre, ha un’eccezionale capacità di recupero che rimane invariata nel tempo mentre lo spessore contenuto si adatta perfettamente alle ultime tendenze di design.

CARATTERISTICHE - MASSIMO COMFORT - INEGUAGLIABILE ELASTICITÀ / ECCEZIONALE CAPACITÀ DI RECUPERO - FINISSAGGIO BREVETTATO ANTI - PILLING - APPLICABILE A TUTTI I TESSUTI

ISTRUZIONI LAVAGGIO

PESO GR/M2 E SPESSORI DISPONIBILI hl = high Loft sc = super compact

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STREET STYLE CLOTHES: ANALISI DI MERCATO

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4// street style clothes: analisi di mercato

SCENARIO

functionality Nell’abbigliamento techwear, casual-tech la funzionalità di ogni singolo dettaglio si rende condizione necessaria per lo sviluppo di un prodotto che è compromesso ideale ad un utilizzo nelle più varie circostanze.

L’estetica del capo deve guardare con un occhio particolare il passato, per poi rielaborarlo ed a suo modo rivoluzionarlo in un’ottica di nuovo gusto e senso sociale. Questa nuova ondata estetica si fa ponte tra l’apparire e l’appartenenza.

aesthetics

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fabric innovation L’innovazione materiale è il prerequisito fondamentale della cultura techwear-streewear. Membrane , nylon e altri materiali tecnici diventano così la nuova seta, che avvolge le strade delle odierne tribù che popolano le nostre metropoli.

sostenibility Nonostante sia molto complicato nel contesto tecnico indrodurre un’ideale green nella produzione, i trend attuali lo rendono un requisito quasi imprescindibile. Annesso al nuovo senso estetico si sviluppa quindi una nuova sensibilità verso l’ambiente che diventa così fulcro tra i protagonisti della rivoluzione urbana. La città non si antepone più alla “foresta”, bensì ne corre in soccorso per tutelarla.

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4// street style clothes: analisi di mercato

TARGET: GENERAZIONE Y / L’INFLUENZA DELLO STORYTELLING

La generazione Y, i così detti Millennials, comprende i nati dai primi anni ‘80 sino agli anni 2000. La loro più importante caratteristica è quella di essere “smart”, avere quindi uno strettissimo, ma non opprimente, rapporto con la tecnologia e soprattutto con i sistemi di comunicazione (social media) a questa legati. Questo aspetto genera

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in loro una grande flusso di informazioni e la conseguente nascita di nuovi trend e canoni stilistici. Gli influencers, i nuovi miti della comunicazione, attraverso i loro profili social creano nuovi stilemi, raccontando con i loro contenuti, vere e proprie storie, mood legati ad uno stile dinamico, emblema della vita contemporanea.


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Uno dei principali casi nel mondo di techwear è il profilo social “Keithtio”. Questa coppia di ragazzi racconta a pieno l’anima del techno-streetwear. Si immortalano nei più vari contesti, con scatti che glorificano la città nel suo romantico grigiore senza però togliere spazio alla natura ed al senso di libertà di cui essa è permeata. Questo nuovo modo di raccontare la moda, evidenzia, altresì, come il techwear si ponga come compromesso perfetto negli ideali di questa generazione, che vive tra i caotici palazzi, ma trova sempre rifiugio in spazi incontaminati.

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1- 5/ il profilo social “keithtio” racconta il duplice “spazio” città-natura della moda techwear attraverso un’operazione di storytelling.

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4// street style clothes: analisi di mercato

COMPETITORS: DIRETTI/ NIKE ACG

La Nike ACG (All Conditions Gear) è una linea sussidiaria della Nike che produce abbigliamento sportivo innovativo e adatto a tutti i climi. Debuttando nel 1989, la Nike ACG è riuscita a crearsi intorno un vero e proprio culto nel contesto urbano, infatti i capi proposti integrano aspetti tecnici funzionali adatti sia in situazioni estreme che in contesti cittadini quotidiani.

punti di forza

punti di debolezza

- Brand identity

- Basso interesse politiche sostenibili

- Fidelizzazione

- Scarsa pervasività fasce di età

- Materiali tecnici

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pricing

innovazione

sostenibilità

range anagrafico

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4// street style clothes: analisi di mercato

COMPETITORS: DIRETTI/ PATAGONIA

“Realizzare il prodotto migliore, non provocare danni inutili, utilizzare il business per ispirare e implementare soluzioni per la crisi ambientale.” Questa è la mission del brand Patagonia presente sul mercato da circa 30 anni. Quest’ultima propone abbigliamento tecnico, con un ampia gamma di tessuti e membrane adatte ad ogni situazione. Oltre all’utilizzo di materiali ecosostenibili, il brand è attivo socialmente devolvendo circa l’1% del proprio fatturato ad enti e associazioni ambientaliste.

punti di forza

punti di debolezza

- Forte sensibilità alla causa ambientalista

- Scarso appeal - Limitata pervasività in mercati anagraficamente più giovani

- Ampia gamma di tessuti performanti

skills map 1

pricing

innovazione

sostenibilità

range anagrafico

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4// street style clothes: analisi di mercato

COMPETITORS: DIRETTI/ ADIDAS Y-3

Il progetto Y-3 nasce dalla collaborazione tra Adidas e l’eclettico stilista giapponese Yoshi Yamamoto. Quest’ultimo è riuscito a riscrivere completamente i canoni dell’estetica occidentale, introducendo un nuovo concetto di casual sportwear, interrogandosi su cosa ci si possa veramente aspettare dal futuro e come le nuove generazioni possano integrare le loro tecnologie alle tradizioni. Yamamoto e Adidas attraverso questi interrogativi sono riusciti a creare capi dalle silhouettes classiche realizzate con tessuti moderni che creano un immediato effetto moderno.

punti di forza

punti di debolezza

- Brand Identity

- Alti costi

- Ibridazione tra stile classico e materiali moderni

skills map 1

pricing

innovazione

sostenibilità

range anagrafico

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4// street style clothes: analisi di mercato

COMPETITORS: INDIRETTI/ VETEMENTS

Vetements nasce come brand non convenzionale, infatti è un collettivo di alta moda creato dallo stilista Demna Gvasalia, direttore artistico in Balenciaga, e formato da altri otto componenti che provengono da altrettante maison rinomate. Lo stile Vetements è sfacciato, underground e ribelle, propone capi di un’originalità estrema ed anticonformista dal grande carattere identitario, quasi a creare un modernpunk d’alta moda. Questa estetica di ispirazione streetwear ha aperto rapidamente la strada tra gli influencer di tutto il mondo.

punti di forza

punti di debolezza

- Forte carattere identitario

- Pricing estremamente alto

- Ampia conoscenza nel canale “influencer”

-Destinato ad un mercato giovane

skills map 1

pricing

innovazione

sostenibilità

range anagrafico

urban appeal

104

2

3

4

5


105


4// street style clothes: analisi di mercato

COMPETITORS: INDIRETTI/ OFF WHITE

Grazie alla sua preparazine accademica di stampo ingegneristico-architettonico, Virgil Abloh, fondatore del brand Off-White è riuscito a comunicare a pieno il significato della moda oggi. Da bravo comunicatore, attraverso il suo stile è riuscito a rendere semplici felpe, giacche o tshirt delle vere e proprie icone di stile. Egli racconta perfettamente la scena underground di tutto il pianeta attraverso semplici grafiche, unendo così sotto un solo brand un’intero popolo urban-streetwear.

punti di forza

punti di debolezza

- Brand identity

- Deriva ad un mercato molto giovane

- Conosciuto in più canali underground

- Scarsa ricerca formale

- Fidelizzazione

skills map 1

pricing

innovazione

sostenibilità

range anagrafico

urban appeal

106

2

3

4

5


107


4// street style clothes: analisi di mercato

COMPETITORS: INDIRETTI/ Z ZEGNA

L’etichetta Z Zegna diretta da Alessandro Sartori nasce come ala del colosso luxury italiano “Ermenegildo Zegna”, attraverso questo nuovo brand l’azienda ha cercato di creare il connubio perfetto tra il mondo dell’alta moda e lo streetwear (casual sportwear). Il tessuto protagonista della collezione è il techmerino che modellato in ampi volumi gioca con spunti sportivi riadattati alla realtà metropolitana. “Per esaltare la relazione tra tailoring e performancewear, abbiamo creato un nuovo guardaroba in grado di adattarsi allo stile di vita attivo degli uomini di oggi, enfatizzando un’estetica pulita, lineare e lussuosa.”

punti di forza

punti di debolezza

- Icona stilistica “made in Italy”

- Scarso riconoscimento nel mercato underground - Basso urban appeal

skills map 1

pricing

innovazione

sostenibilità

range anagrafico

urban appeal

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2

3

4

5


109


4// street style clothes: analisi di mercato

MAPPATURA STRATEGICA COMPETITORS

1

2

3

4

5

Y

X = range anagrafico y = pricing

1 110

2

3

4

5

X


1

2

3

4

5

Y

X = sostenibilitĂ y = inn. materiale

1

2

3

4

5

X 111


4// street style clothes: analisi di mercato

TREND MAP

streetwear

sportswear

techwear

luxury

112


ANALISI SWOT: strengths weaknesses opportunities threats

- design adatto al doppio contesto natura - città

S

- forte identità - target ampliato a fasce anagrafiche più inclusive - accurato studio stilistico

W

- scarsi canali distributivi - scarsa notorietà all’origine

- creare prodotti che vadano ad attaccare nelle fasce dove i competitors risultano più carenti

O T

- creare modelli con forte appeal sul cliente e sulle varie sottoculture - contesto sociale favorevole alle novità sul mercato - barriere di ingresso al mercato dettate da brand internazionali affermati - alti costi di inserimento nel mercato - presenza di brand con forte impatto culturale

113


MM FASHION DESIGN: FLAT IRON COLLECTION

5



5// mm fashion design: flat iron collection

perchè “flat iron”?

2

All’altezza della ventitreesima strada all’incrocio tra la Brodway e la Quinta, sorge un ferro da stiro vittoriano, il Flat iron, eretto nel 1902, fu il primo grattacielo della città di New York e ribattezzato dalla gente proprio per la sua forma bizzarra. Non fu di certo una casualità che Massimo Osti decise di aprirvi il suo primo store C.P.Company... “Quando sono entrato ho avuto la sensazione di trovarmi sul set di Blade Runner... in un folgorante mix tra passato e futuro”. L’edificio rappresentava perfettamente l’essenza del pensiero di Osti, una fusione di periodi per creare innovazione continua. Affidò la ristrutturazione dello stabile all’architetto italiano Toni Cordero, che arredò gli interni con dei guardrails su cui appendere gli abiti. 1

116

Il nuovo Flat Iron nello scenario di Osti si accingeva a diventare una vera e propria fucina dell’estro italiano nel mondo, infatti egli si prefigura un concept store in cui oltre ai vestiti era possibile trovare selezioni discografiche di cantautori italiani e cataloghi con le più significative pubblicazioni nel campo della visual art, della fotografia e del design. É proprio questo il concept che genera la Flat Iron Collection, una capsule composta da quattro giacche: un parka, un duffle coat, un trench e una giacca d’aviatore. Si pone l’obbiettivo di esaltare in toto uno stile poliedrico e soprattutto l’italianità. Il brand scelto per lo sviluppo della collezione è “MM Fashion Design” nato in ambito universitario, esprime la prima meta


di un percorso accademico stilistico. Lo sviluppo dei capi si fonda su: ricerca storico stilistica con ispirazione al processo stilistico di Massimo Osti ed in particolare quella attuata in C.P.Company; ricerca di tessuti tecnici innovativi prodotti in Italia anche attraverso il contributo di aziende fornitrici; attenzione ai nuovi trend del mercato. Lo scopo dell’intero progetto è quello di creare capi con varie influenze, adatti a più contesti e che si possano inquadrare in un’ottica ben bilanciata tra il mondo dello streetwear, del techwear, dello sportwear, senza però mettere da parte un apetto luxury che doni eleganza e raffinatezza formale ai prodotti. Il risultato finale è un ibrido tra i vari ambiti sopra citati con influenze vintage, in un mix che genera innovazione. Nello sviluppo della collezione si è voluto osservare l’aspetto tecnologico, non solo in un’ottica materica, ma integrare nuove tecnologie anche nella fase di processo e sviluppo vero e proprio. Per la rappresentazione dei capi infatti, è stato utilizzato il software “Clo3d”. Questo programma è uno tra i più innovativi nel mercato, grazie ad esso è possibile non solo creare modelli fotorealistici dei capi, permettendo così un ampio risparmio in prototipi alle aziende, ma permette di effettuare calcoli di tensiore e resistenza dei tessuti applicati al modello ed esportare con facilità il cartamodello. Questa multifunzionalità permette così di convogliare in un solo pc un’intero processo di sviluppo e garantisce modelli accattivanti a bassi costi.

3

4 1/ ingresso del primo store cp company 2/ edizione cp magazine per l’apertura dello store

3 - 4/ vantaggi nell’utilizzo di clo 3d nella fase di sviluppo di un prodotto, workflow prima/dopo 5 - 6/ logo mm fashion design

6

5

117


5// mm fashion design: flat iron collection

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119


5// mm fashion design: flat iron collection

PARKA: CONCEPT

Il parka Flat Iron nasce come capo con grandi influenze stilistiche provenienti dal mondo militare, ogni accessorio o elemento puramente estetico è stato escluso per rafforzare il concetto tanto amata da Massimo Osti di forma funzione. I modelli base da cui prende essenzialmente le linee sono: il Model-1951 ed il Model 1965 o ECW, capo utilizzato dalle forze armate statunitensi nei vari conflitti contemporanei fino al 1987. Il parka Flat Iron riprende dall’ECW il suo aspetto funzionale, come si può evincere dalle molteplici tasche di varia capienza applicate a diverse altezze del capo, e dalla chiusura del cappuccio congeniata per la protezione di una parte del viso dal freddo.

120


visiera cappuccio

chiusura cappuccio copri labbra con bottoni colletto interno chiusura zip metallica

tasche petto chiusura bottoni

tasche mezzane senza chiusura

coulisse elastica

copertura zip petto chiusura bottoni

tasconi inferiori chiusura bottoni

military green #78866b

desert khaki #foe68c

base color #333031

varianti colore:

121


5// mm fashion design: flat iron collection

PARKA: SCHEDA TECNICA

modello:

materiali:

PARKA

TESSUTO E/I : MITI THERMOSHELL DWR M

IMBOTTITURA : THERMORE THERMOSOFT

stagione: AUTUNNO INVERNO 2019

descrizione: PARKA MODELLO MILITARE, SIMMETRICO. CAPPUCCIO CON CHIUSURA ALTEZZA LABBRA CON VISIERA INTEGRATA. TASCHE: 2 ALTEZZA SPALLE, 2 MEZZANE SENZA CHIUSURA, 2 PIÙ AMPIE INFERIORI. CHIUSURE: UNA ZIP GRANDE CENTRALE CON UNA COPERTURA CHIUSA DA BOTTONI, CHIUSURA CAPUCCIO A BOTTONI E TASCHE CON BOTTONI. RESTRINGIMENTO ELASTICIZZATO IN VITA.

122

bottoni:

BOTTONE METALLICO A PRESSIONE diam. mm. 20

BOTTONE METALLICO A PRESSIONE diam. mm. 15

BOTTONE METALLICO A PRESSIONE diam. mm. 10

specifiche tecniche: COMPOSTO DA UN DOPPIO STRATO DI THERMOSHELL DWR M ACCOPPIATI E SOTTOPPOSTI A FINISSAGGI PER IL MIGLIORAMENTO DELLA IDROREPELLENZA E DEL CORPO DEL TESSUTO. IMBOTTITO CON OVATTA THERMORE THERMOSOFT REALIZZATA CON IL 50% DI BOTTIGLIE PET RECICLATE, GARANTENDO UN’ELEVATA RESISTENZA E MANTENENDO UN’ECCEZIONALE TERMICITÀ E TRASPIRAZIONE NEL TEMPO.


PARKA: ANALISI VESTIBILITÀ

100.00

102.86

105.71

108.57

111.43

114.29

117.14

120.00

(%)

123


5// mm fashion design: flat iron collection

124


FLAT IRON COLLECTION PARKA

125


5// mm fashion design: flat iron collection

TRENCH: CONCEPT

Il trench Flat Iron nasce dalla combinazine di varie influenze stilistiche. Le sue linee semplici e raffinate nascono dalla volontà di un connubio tra il mondo militare e quello civile. Vengono pertanto utilizzati come modelli d’ispirazione i primi capi proposti da Aquascutum, ideati inizialmente per fini militari, ma poi introdotti all’uso civile. Altresì fondamentali risultano essere le influenze stilistiche di Massi-

126

mo Osti nella sua rielaborazione della giacca da campo “Sahariana”, infatti viene ripreso tale stilema contaminandolo con linee ispirate alle field jackets utilizzate dalle forze del sol levante nel secondo conflitto mondiale.


colletto reverse chiusura collo bottoni

chiusura monopetto bottoni

cintura con fibbia metallica cinturino manica chiusura bottoni tasche laterali chiusura bottone spacco posteriore richiudibile con bottone

artic white #f4f3ef

blue navy #000080

base color #333031

varianti colore:

127


5// mm fashion design: flat iron collection

TRENCH: SCHEDA TECNICA

modello:

materiali:

TRENCH

TESSUTO E/I : MITI CHECKMATE

IMBOTTITURA : THERMORE CLASSIC

bottoni:

FIBBIA:

stagione: AUTUNNO INVERNO 2019

descrizione: TRENCH CLASSICO LINEA DRITTA, SIMMETRICO. ALLACCIATURA MONOPETTO. COLLETTO A REVERSE. TASCHE: 2 LATERALI. TAGLIO POSTERIORE CON SPACCO E CHIUSURA A BOTTONE. CINTURA, E CINTURINI ALLE MANICHE. PASSANTI 5 IN VITA E DUE PER OGNI MANICA.

128

BOTTONE OCCHIELLO

BOTTONE OCCHIELLO

diam. mm. 20

diam. mm. 15

FIBBIA IN METALLO

specifiche tecniche: COMPOSTO DA UN DOPPIO STRATO DI MITI CHECKMATE ACCOPPIATI E SOTTOPPOSTI A FINISSAGGI PER IL MIGLIORAMENTO DELLA IDROREPELLENZA E DEL CORPO DEL TESSUTO. IMBOTTITO CON OVATTA THERMORE CLASSIC REALIZZATA CON IL 100% DI BOTTIGLIE PET RECICLATE, GARANTENDO UN’ELEVATA RESISTENZA E MANTENENDO UN’ECCEZIONALE TERMICITÀ E TRASPIRAZIONE NEL TEMPO.


TRENCH: ANALISI VESTIBILITÀ

100.00

102.86

105.71

108.57

111.43

114.29

117.14

120.00

(%)

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5// mm fashion design: flat iron collection

130


FLAT IRON COLLECTION TRENCH

131


5// mm fashion design: flat iron collection

DUFFLE COAT: CONCEPT

Il Duffle Coat Flat Iron, pur mantenendo tratti caratteristici dei primi modelli Gloverall, si propone come capo innovativo dallo spirito urbano e sportivo. Riprende gli stilemi avventurieri dei contesti estremi in cui nasce ma viene tuttavia riadattato per risultare consono ai ritmi ed ai contesti della vita urbana. La forma è sintetizzata all’essenziale, attraverso la riduzione della lunghezza del capo e l’applicazione di tasche zippate, creando una capo così mimetizzato che lascia trapelare le sue origini unicamente attraverso l’archetipo degli alamari frontali.

132


ampio cappuccio urban sport

fascia chiusura cappuccio a bottoni ripiegabile. chiusura con alamari, rinforzo toppa

tasche laterali con ampie zippature

dettaglio cucitura a vista rinforzo ampie tasche inferiori con chiusura zippata e toppa ricamata

smoke gray #3b3b38

camel #C19A6B

base color #333031

varianti colore:

133


5// mm fashion design: flat iron collection

DUFFLE COAT: SCHEDA TECNICA

modello:

materiali:

DUFFLE COAT / MONTGOMERY

TESSUTO E/I : MITI THERMOROUBAIX 3.0

IMBOTTITURA : THERMORE FREEDOM

bottoni:

alamari:

stagione: AUTUNNO INVERNO 2019

descrizione: DUFFLE COAT CORTO MODELLO URBAN SPORT. ALLACCIATURA CON ALAMARI RINFORZATI DA TOPPE LATERALI. AMPIO CAPPUCCIO CON CHIUSURA COLLO FASCIA A BOTTONI. TASCHE: 2 AMPIE NEL PETTO CON ZIPPATURA, 2 AMPIE INFERIORI CON TOPPA CUCITA E CHIUSURA ZIPPATA.

BOTTONE OCCHIELLO diam. mm. 25

ALAMARI IN MATERIALE PLASTICO E CORDA

specifiche tecniche: COMPOSTO DA UN DOPPIO STRATO DI MITI THERMOROUBAIX 3.0 ACCOPPIATI E SOTTOPPOSTI A FINISSAGGI PER IL MIGLIORAMENTO DELLA IDROREPELLENZA E DEL CORPO DEL TESSUTO. IMBOTTITO CON OVATTA THERMORE FREEDOM REALIZZATA CON IL 50% DI BOTTIGLIE PET RECICLATE, GARANTENDO UN’ELEVATA RESISTENZA E MANTENENDO UN’ECCEZIONALE TERMICITÀ, TRASPIRAZIONE E LIBERTÀ DI MOVIMENTO NEL TEMPO. 134


DUFFLE COAT: ANALISI VESTIBILITÀ

100.00

102.86

105.71

108.57

111.43

114.29

117.14

120.00

(%)

135


5// mm fashion design: flat iron collection

136


FLAT IRON COLLECTION DUFFLE COAT

137


5// mm fashion design: flat iron collection

AVIATOR: CONCEPT

La giacca aviator Flat Iron nasce come rivisitazione delle tipiche giacche indossate dai piloti dell’aereonautica militare statunitense, in particolar modo deve le sue forme e la sua ampiezza ai modelli A-2 e G-1, impiegati a partire dai primi decenni del 900. Altra caratteristica fondamentale è il forte richiamo all’omonima giacca prodotta da Massimo Osti in CP Company. Nonostante le congruenze con tali capi l’aviator Flat Iron è un capo caratterizzato da una propria anima donatagli dalle revisionate tasche frontali, volutamente ampie e con chiusura zippata, che garantiscono comfort e molteplici funzionalità.

138


colletto elasticizzato

chiusura frontale zip metallica

tasche con toppa ricamata e chiusura zip metallica

polsi elasticizzati fascia elastica inferiore

military green #78866b

blue navy #000080

base color #333031

varianti colore:

139


5// mm fashion design: flat iron collection

AVIATOR: SCHEDA TECNICA

modello:

materiali:

GIACCA SPORT MODELLO AVIATORE

TESSUTO E/I : MITI THERMAL GREEN

IMBOTTITURA : THERMORE THERMAL BOOSTER

stagione: AUTUNNO INVERNO 2019

descrizione:

tasche:

GIACCA AVIATORE MODELLO SPORT CASUAL WEAR, SIMMETRICO. FASCE ELASTICHE PRESENTI NEL COLLETTO, NELLA PARTE INFERIORE E NEI POLSI. CHIUSURE ZIP METALLICHE NELLA PARTE FRONTALE E NELLE TASCHE. TASCHE: 2 FRONTALI SIMMETRICHE CON TOPPA RICAMATA.

specifiche tecniche: COMPOSTO DA UN DOPPIO STRATO DI MITI THERMAL GREEN ACCOPPIATI E SOTTOPPOSTI A FINISSAGGI PER IL MIGLIORAMENTO DELLA IDROREPELLENZA E DEL CORPO DEL TESSUTO. IMBOTTITO CON OVATTA THERMORE THERMAL BOOSTER REALIZZATA CON IL 50% DI BOTTIGLIE PET RECICLATE, GARANTENDO UN’ELEVATA RESISTENZA E MANTENENDO UN’ECCEZIONALE TERMICITÀ CHE AUMENTA CON IL DIMINUIRE DELLA TEMPERATURA E TRASPIRAZIONE NEL TEMPO. 140


AVIATOR: ANALISI VESTIBILITÀ

100.00

102.86

105.71

108.57

111.43

114.29

117.14

120.00

(%)

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5// mm fashion design: flat iron collection

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FLAT IRON COLLECTION AVIATOR JACKET

143


// fonti bibliografiche

FONTI BIBLIOGRAFICHE

bibliografia: Darman P. (2002), Uniformi della seconda guerra mondiale, Hobby & Work Publishing, Lavis, [ ISBN 8871335155 ] Guarnaccia M. (2009) Ribelli con stile. Un secolo di mode radicali, ShaKe, Milano, [ISBN 8888865845] Facchinato D. (2016 ristampa) Ideas from Massimo Osti, Corraini Edizioni, Mantova, [ ISBN 978885706296 ] Paolo Lazerani, “Producer ex machina”, intervista a Massimo Osti, Mondo uomo, lug.-ago. 1987 Flavio Lucchini, “Adesso tutti scoprono C.P. Company”, Mondo uomo, lug.-ago. 1982

sitografia: https://www.luxstyle.it/Da-semplice-capo-spalla-a-icona.-La-storia-del-parka-Refrigiwear_933.php https://www.grazia.it/moda/tendenze-moda/parka-le-dieci-cose-che-dovete-sapere-sul-parka https://style.corriere.it/eleganza/guide/parka-eskimo-e-anorak/ http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/moda/guidi.html https://d.repubblica.it/moda/guida/il_trench_storia_tendenze_abbinamenti-3681017/ https://www.angelo.it/site/storia-curiosita-trench https://www.grazia.it/moda/tendenze-moda/trench-burberry-sfilate-storia-curiosita-autunno-moda https://www.mugmagazine.com/the-history-of-the-duffle-coat.html https://www.cosmopolitan.com/it/moda/vintage/news/a90229/il-montgomery-must-have/ http://www.centromodanapoli.it/la-giacca-montgomery-e-la-sua-origine/ https://www.gqitalia.it/moda/trend/2016/09/26/tutto-quello-che-ce-da-sapere-sulle-giacche-militari/ https://hypebeast.com/2016/11/bomber-jacket-streetwear-facts https://www.esquire.com/style/mens-fashion/a34543/history-flight-jackets/ https://www.cpcompany.com/it/magazine https://www.cpcompany.com/it/garment-dyed https://www.cpcompany.com/eshop/cms/action/list/type/ProprietaryTechnologies/ http://www.moda.san.beniculturali.it/wordpress/?percorsi=massimo-osti-1944-2005 https://www.outpump.com/massimo-osti-leredita-del-maestro-pt-1/ http://techuntermagazine.com/bytechunter https://hypebeast.com/2017/2/exploring-techwear-1000deaths-acrhive-yoshimitszu https://supertalk.superfuture.com/topic/116740-urban-techwear/

filmografia: Quadrophenia, Franc Roddam, Regno Unito, 1979 Casablanca, Michael Curtiz, USA, 1942 I gangsters (The Killers), Robert Siodmak,USA, 1946 Amanti, Vittorio De Sica, Italia,Francia, 1968 Blade Runner, Ridley Scott, USA, 1982 Mare crudele (The cruel sea), Charles Frend, Regno Unito, 1953 Top Gun, Tony Scott, USA, 1986 Hooligans (Green Street), Lexi Alexander, UK,USA, 2005

144


// ringraziamenti

RINGRAZIAMENTI

AI MIEI SOGNI DA BAMBINO CHE NON HO REALIZZATO A CHI HA CHIUSO PER SEMPRE CON IL SUO PASSATO A CHI VUOLE DAVVERO CAMBIARE LE COSE A CHI HA AVUTO DALLA VITA PIÙ SPINE CHE ROSE (Sangue nelle vene, Fabrizio Moro)

A MIO FRATELLO ALESSANDRO, A CUI DEVO LA SCELTA DI QUESTO INDIRIZZO DI STUDI, RICORDANDO LE NOTTI BIANCHE PASSATE INSIEME NELLA PREPARAZIONI DEGLI ESAMI. ALLA MIA FAMIGLIA CHE NON HA MAI SMESSO DI SUPPORTARMI CON ENTUSIASMO IN QUESTO PERCORSO. A MIO PADRE CHE NONOSTANTE LE AVVERSITÀ DELLA VITA MI HA INSEGNATO COME RINASCERE DALLE PROPRIE CENERI E FARE DI UN PROBLEMA UN’ OCCASIONE PER RISCOPRISI NUOVI OGNI GIORNO E RIMETTERSI IN GIOCO. A TUTTE LE PERSONE CHE HO AVUTO OCCASIONE DI INCONTRARE NEL MIO CAMMINO IN QUESTI TRE ANNI, E CHE HANNO CONTRIBUITO ALLA MIA CRESCITA PERSONALE E PROFESSIONALE. AL PROF. RENATO STASI, CHE HO CONOSCIUTO DURANTE UN PERIODO DI FORTE SCORAGGIAMENTO. GRAZIE ALLA FORZA CHE MI HA TRASMESSO HO RISCOPERTO IN ME UNA GRANDE PASSIONE PER QUESTO MESTIERE CHE SPERO MI PORTERÀ A GRANDI RISULTATI NELLA VITA.

SI RINGRAZIANO PER IL CONTRIBUTO: DRENIA HOXHA PER IL FONDAMENTALE AIUTO NELLA CREAZIONE DEL MODELLO. IL MASSIMO OSTI ARCHIVE, IN PARTICOLARE LORENZO OSTI, CHE SI È RESO COMPLETAMENTE DISPONIBILE NEL RISPONDERE ALLE MIE DOMANDE E CURIOSITÀ. MITI SPA, PER LA CONSULENZA RIGUARDO AI LORO TESSUTI E PER I CAMPIONI INVIATI, FONDAMENTALI PER COMPRENDERE IL PROGETTO. THERMORE SPA, PER LA DISPONIBILITÀ NEL RISPONDERE ALLE MIE DOMANDE RELATIVE AI LORO PRODOTTI E PER I CAMPIONI INVIATI, ALTRESÌ FONDAMENTALI NELLA STESURA DEL PROGETTO.

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FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI DICEMBRE 2018 FIRENZE


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