FELP MAGAZINE

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Edizione italiana - Felp Magazine - Poste Italiane s.p.a. - Mensile - 201314

FRESHEST MAGAZINE EVER PRODUCED FOR SURE!

p. 300,00 €

NUMERO 0 GENNAIO 2021



NON SOLO SCARPE... UNA STORIA DA RACCONTARE Felp è un magazine mensile dedicato agli appassionati della street/hip hop culture, in particolare della “sneakers culture”, che negli anni ha cambiato ed futuro). Non è il solito magazine puramente promozionale, ma vuole distinguersi nel valorizzare il processo creativo delle varie forme d’arte legate alla nascita e allo sviluppo di questa cultura multiforme; quindi Felp andrà ad esplorare tutto quello che circonda questo mondo: musica, arte, design, sport, marketing, moda, cinema della sneakers è solamente il risultato di un processo che coinvolge le capacità tecniche di professionisti di vari settori. È un magazine di stampo decisamente contemporaneo sia per aspetto visivo che per contenuto, prendendo anche le distanze dalle solite riviste/catalogo in cui in aree tematiche che ne compongono lo scheletro, e queste categorie saranno lo schema delle nuove uscite. Lo scopo di Felp sarà di aggiornare ed informare il All’apparenza vi potrà sembrare una rivista rivolta solamente a un pubblico giovanile, ma in realtà gli argomenti trattati abbracceranno sempre un pubblico più ampio toccare e ad interessare tutti, di generazione in generazione. Buona lettura,

Bombardini Elettra Forte Filippo Monti Luca Piccinini Michele


FELP

Freshest magazine ever produced Sneakers & Design Progetto e redazione grafica: Bombardini Elettra Forte Filippo Monti Luca Michele Piccinini

Istituto Europeo di Design, Milano A.A. 2020/2021 Arti Visive / Graphic Design Grafica e Redazione editoriale 3 Grazie al docente: Panzeri Mauro Font in uso: Arial Black - Helvetica Neue Testi e immagini utilizzati per questo progetto sono ad esclusivo uso didattico

Fonti: www.complex.com www.sneakernews.com www.hypebeast.com www.highsnobiety.com www.sneakerfreaker.com www.nike.com www.stockx.com www.outpump.it www.artsy.com www.hidden-ny.com www.doverstreetmarket.com www.streetwearitaly.it www.sneakerhub.com


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THE BIG BANG La nascita dell’hip-hop.

SOMMARIO

MC’s LEGACY Il rapporto ormai storico tra musica e moda.

ART DISTRICT Il fantastico lavoro di kaws, caposaldo della sneakers culture.

SNEAKERS & CINEMA Quando le sneakers debuttarono sul grande schermo.

LOOK OUT Uno sguardo sull’originale visione giapponese.

CONCEPT STORE Dsm: unico nel suo genere, store tra i leader mondiali del settore.

RESELLING-ILL Un fenomeno con numeri da paura sempre in aumento.

SNEAKERS & FUN Il divertente lavoro creativo di Laro Lagosta.

G.O.A.T. La storia dell’ascesa al trono dei campioni di Michael Jordan.

SNEAKERS SLANG Parole utili da conoscere per avventurarsi nella sneakers culture.

HYPEBAE La scena si tinge al femminile.

SNEAKER & FUN Il divertente lavoro creativo di Laro Lagosta.

NEW WAY TO SEE THINGS Verso un futuro rinnovabile, il lavoro di nike sulle space hippie.

SNEAKERS ANATOMY Quali sono i componenti di una scarpa? scopriamolo.

SNEAKERS 3020 Thinker Hatfield, designer dalle idee innovative.

ART DISTRICT Takashi Murakami, artista contemporaneo eccentrico

INTERVISTE Joe La Puma, creatore di complex risponde alle nostre domande.


Notoriuous BIG ritratto con la sua gang a New York City intorno al 1992. Foto di Estevan Oriol.



HE BIG-BANG #1

THE BIG-BANG #1

THE BIG-BANG #1

THE BIG-BANG #1

THE BIG-BANG #1

THE BIG-BANG La straordinaria storia di un movimento underground divenuto cultura Oggi per noi è normale vedere i rapper che sfilano sulle passerelle più importanti al mondo come se fossero modelli professionisti o che siedono in prima fila alle sfilate o che, addirittura, creano i propri brand portandoli in alcuni casi a successi planetari come nel caso di Yeezy del fenomenale Kanye West. Per comprendere il momento attuale è necessario però analizzare gli eventi precedenti e capire come questo genere musicale, forse più di ogni altro, abbia influenzato il fashion system. Innanzitutto, bisogna sapere che l’hip-hop è nato come un movimento pacifico che si proponeva di interrompere gli scontri tra gang che si susseguivano nel Bronx agli inizi degli anni ’70 favorendo l’integrazione e lo scambio culturale tra le varie etnie residenti nel quartiere, principalmente afroamericani e sudamericani, e ponendo le basi per la nascita dei “block party”, delle feste di quartiere basate sulla musica e sul ballo. Il “giorno zero” dell’hip-hop può essere individuato nell’11 agosto 1973 quando, al 1520 di Sedgwick Avenue, ad uno di questi party si esibì il primo dj del mondo hip-hop, Dj Kool Herc, che grazie ad un mixer, due giradischi e ad una tecnica che gli permetteva di mettere in loop le parti più ritmiche dei dischi creò un nuovo tipo di sound.

Da questa intuizione sempre più ragazzi si cimentarono in quest’arte, mentre tanti altri iniziarono a creare nuovi passi di danza adatti a questo ritmo dando vita alla break dance. I primi ragazzi a segnare la moda hip-hop furono proprio i B-Boy, ovvero i ballerini di break dance che per le loro esibizioni durante i block party necessitavano di una grande libertà di movimento e che per questo si affidarono ad un abbigliamento comodo composto da tute sportive dai colori accesi e scarpe da ginnastica quasi sempre di colore bianco.


Block Party New York City, Bronx, 1977

New York City South Bronx Park Jam, 1984.


Il gruppo musicale RUN DMC.

Il gruppo musicale che incarnò al meglio lo spirito dei B-Boy furono i RUN DMC, il trio newyorkese oltre a scalare le vette delle classifiche musicali fece la fortuna di uno dei brand che ancora oggi domina il mondo dello sportswear: Adidas. I tre vestivano tute da ginnastica firmate dal ‘’brand with the three stripes’’ e, soprattutto indossavano le ormai iconiche Adidas Superstar rigorosamente bianche alle quali dedicarono anche una canzone dal titolo ‘’My Adidas’’. Per capire l’influenza dei RUN DMC sul pubblico, basti pensare che durante un loro concerto al Madison Square Garden il gruppo alzò al cielo le proprie sneaker e i 20.000 fans presenti risposero alzando le proprie.

Proprio per questo nel 1986 Adidas li ingaggiò come testimonial con un contratto da 1.6 milioni di dollari, creando quella che fu la prima collaborazione tra un brand di abbigliamento e un gruppo hip-hop. L’espandersi del fenomeno permise a dei giovani stilisti afroamericani di inserirsi nel mondo della moda con linee di abbigliamento che definirono lo stile hip-hop e che contribuirono a creare un mercato fino ad allora inesistente.


Foto scattata durante un concerto dei Run DMC sponsorizzato da Adidas, 1991.


Questi marchi traevano ispirazione dal mondo della strada, univano abiti da lavoro come le salopette a capi sportivi come magliette da hockey, da football e cappelli da baseball. I colori erano molto accesi ed il logo era spesso ben visibile in modo da rendere i capi immediatamente riconoscibili. Questa moda si diffuse molto rapidamente passando dalla vendita dei capi in strada a quella all’interno dei grandi magazzini e persino alle sfilate in passerella. I tre brand che in quel periodo ebbero maggiore successo furono: Cross Colours, FUBU e Karl Kani. Fino a qui però si è parlato solamente di come l’hip-hop abbia creato una propria moda, ma non di come si è passati dal vedere personaggi del calibro di Notorius BIG e Tupac che hanno sostituito bomber e baggy con abiti sartoriali e camicie in seta firmati dai grandi marchi del lusso. L’evoluzione ha inizio negli anni ’90 grazie al mondo del cinema che influenzò lo stile di questi MC.

Dj Kool Herc in una foto del 1979.

Il rapper Ice Cube in una foto del 1996.


Immagini tratte dai film: ‘Scarface’ (sopra) Quei bravi ragazzi’ (sinistra)

Questi brand uscirono quindi dalla propria nicchia per invadere le strade espandendo la loro fama e la loro iconicità. Donatella Versace, in un’intervista del 2011, ha voluto ricordare Notorius BIG con queste parole: “Penso che Biggie sia stato fantastico, è venuto ai miei show a Parigi diverse volte e ci vedevamo spesso, amavo quello che stava facendo e come stava dando alla gente un modo per conoscere Versace. Penso che molte persone abbiano iniziato a conoscere Versace per merito suo”. Insomma, che voi preferiate la versione street o quella chic non importa, quello che conta è sapere che da questo movimento, spesso troppo criticato e mistificato, sono nate le basi della moda moderna. Film sui gangster come “Scarface”, “Carlito’s Way”, “The Goofellas” e “Casino” fecero la loro comparsa nelle sale cinematografiche americane trasmettendo agli spettatori un’immagine dei boss della criminalità organizzata che affascinava i giovani.

Le storie di questi criminali provenienti dalle classi sociali più povere avevano molte attinenze con la vita di diversi ragazzi che nelle canzoni raccontavano le loro ambizioni di successo. Gioielli, macchine, donne e vestiti costosi rappresentavano gli status symbol di chi, partito dal ghetto, aveva finalmente raggiunto la fama e la ricchezza. Abiti sartoriali, pellicce, scarpe in pelle e gioielli vistosi erano diventati i must have dell’armadio di ogni rapper di successo e i grandi marchi del lusso come Prada, Gucci, Fendi, Louis Vuitton e Versace erano diventati i brand più ambiti da ogni appassionato di musica hip-hop, venendo perfino omaggiati dai rapper all’interno dei loro testi.


MC’s LEGACY #1

MC’s LEGACY #1

MC’s LEGACY #1

MC’s LEGACY #1

MC’s LEGACY

La storica connessione fra musica e urbanwear. A differenza di quanto si potrebbe pensare, il concetto di collaborazioni nel settore delle sneaker risale a molto tempo fa. Anche prima che Nike firmasse Michael Jordan. In realtà dobbiamo ringraziare Converse per aver dato il via a questa tendenza nel 1923, quando hanno firmato il giocatore di basket Chuck Taylor. E poiché l’intero concetto di sneaker si basa sul comfort e sulle prestazioni, aveva senso che più marchi firmassero gli atleti per commercializzare le loro sneakers. Ma con l’attenzione e gli interessi dei consumatori in continua evoluzione, raggiungendo la musica e l’arte, l’industria delle scarpe ha dovuto tenere il passo.

La collaborazione, come suggerisce il nome, è l’atto di 2 entità, persone o anche marchi, che uniscono gli sforzi per creare. Il risultato di solito dipende dal tipo di collaborazione. Quindi nel nostro caso, le collaborazioni nel settore delle scarpe da ginnastica si traducono nella creazione di scarpe da ginnastica. Che sono spesso esclusivi e molto desiderati. In questi giorni, tutti i principali marchi di sneaker hanno un elenco di celebrità di alto profilo come atleti e musicisti che cercano di spingere i loro milioni di follower sui social media lungo il funnel di vendita.

New York City Fotografia storica Estevan Oriol, 1984.

’s LEGACY #1


Snoop Dogg e Dr. Dre a Los Angeles in una foto del 1996.


TYLER the creator Il rapper americano, produttore discografico, cantautore e regista video, Tyler Gregory Okonma, noto anche come “Tyler, The Creator” è il co-fondatore del fiorente collettivo hip-hop “Odd Future Wolf Gang Kill Them All”. Ha iniziato la sua carriera caricando canzoni su “Tumblr” che è diventato rapidamente virale e ha attirato l’attenzione di massa. Tyler ha autoprodotto il suo primo mixtape “Bastard” e presto lo ha seguito con il suo album di debutto “Goblin”. Sebbene abbia avuto un’infanzia angosciante, è riuscito a trovare conforto nel comporre musica originale fin da giovane. Gran parte delle sue canzoni continuano a riflettere versi del suo passato avverso. Si è esibito in importanti programmi televisivi come “Late Night with Jimmy Fallon”, “The Mindy Project” e “Jimmy Kimmel Live”. Ospita anche il carnevale annuale “Camp Flog Gnaw” all’Exposition Park di Los Angeles; l’evento attira gli amanti della musica da tutto il mondo. Ha avuto l’opportunità di lavorare con mega marchi discografici come “XL Recordings”, “Sony Music Entertainment” e “RED Distribution”. Di recente si è unito al settore dell’abbigliamento fondando la sua azienda di abbigliamento chiamata “Golf Wang”. Tyler ha vinto numerosi riconoscimenti per il suo contributo distintivo come artista e performer.


TRAVIS SCOTT Tra i nomi che hanno fatto parlare di sé tutto il mondo nel 2018 (ma anche negli anni precedenti) c’è sicuramente Travis Scott, uno degli astri più luminosi della scena rap americana degli anni Duemiladieci. Cresciuto musicalmente da Kanye West, è oggi uno degli artisti di maggior successo al mondo, tanto da essere in lizza per diversi Grammy nel 2019, tra cui quello per il Miglior album rap grazie al disco Astroworld. Jacques Berman Webster II è nato a Houston, in Texas, il 30 aprile 1992 sotto il segno del Toro. Cresciuto a Missouri City, si è appassionato alla musica fin da bambino, iniziando a suonare la batteria a 3 anni, il pianoforte a 5 e a scrivere canzoni già a 10 anni. Dopo le prime collaborazioni con amici e compagni di scuola, Scott vola a Los Angeles su invito del rapper T.I., interessato alle sue prime produzioni. Tramite alcuni agganci, il giovane artista viene a contatto con un big come Kanye West, con cui instaura una proficua sinergia.


KAWS

Dai muri di New york ai musei del mondo.


In Giappone, alle pendici del Monte Fuji, è spuntata una gigantesca figura gonfiabile con gli occhi a X. Si tratta di HOLIDAY, la nuova installazione itinerante di KAWS che ha per protagonista Companion. La scultura Holiday rende ancora più unica la naturale bellezza del paesaggio giapponese.


AIR JORDAN IV ‘KAWS’ Le KAWS x Air Jordan 4 nascona da una collaborazione in edizione limitata tra Jordan Brand e l’artista di graffiti KAWS. Presenta un mix di pelle scamosciata grigia, motivi grafici incisi a mano, suole che si illuminano al buio e Air visibile. La scarpa è stata rilasciata a livello globale il 31 marzo 2017. Cosa sta alimentando tutta questa eccitazione? Il direttore senior dei progetti speciali, Gemo Wong, ci ha detto che “è un pezzo di storia delle sneaker. Alcuni hanno detto che questa è la più grande uscita di sneaker mai prodotta “e probabilmente ha ragione. È il primo modello collaborativo tra l’artista nato nel New Jersey e Jordan Brand. Due entità acclamate che hanno tenuto le dita sul polso dell’innovazione creativa e della cultura delle sneakers.


Companion, l’opera piu iconica.

Quando un artista è così poliedrico, sembra quasi impossibile capire quale sia la sua opera d’arte più famosa: facendo un’analisi di ciò che Kaws ha realizzato in questi anni e dell’eco che ha avuto, è impossibile non citare Companion. Di che cosa si tratta? Companion viene considerato a tutti gli effetti il suo personaggio-cartoon più conosciuto: si tratta di un mix perfetto tra Topolino e un teschio, realizzato in 3D con alcuni richiami alla cultura giapponese.

Collabs: La capacità interpretativa di Kaws,

coniugata ad un talento visionario e ad un’autenticità che rimane intatta nonostante le derive della contemporaneità, gli ha permesso di attirare l’interesse di alcuni dei brand di moda più famosi del momento, come Nike, Supreme e Dior. Proprio per Dior ha rielaborato il logo e, durante la sfilata di presentazione della sua capsule collection, ha presentato una sua scultura ispirata a Christian Dior e al suo cagnolino Bobby, riconoscibilissima nelle fattezze di un tipico BFF anche se realizzata con una quantità indefinibile di fiori. Le sue collaborazioni però non finiscono qui: ha disegnato per Pharrell Williams la bottiglia del suo profumo Girl, per Kanye West ha realizzato la copertina di un album e nel 2013, in occasione degli Mtv Video Music Awards, ha ridisegnato il Moonman che è il premio destinato agli artisti vincitori nelle diverse categorie del famoso evento musicale.


& DESIGN KAWS #1

ART & DESIGN KAWS #1

ART & DESIGN KAWS #1

Brian Donnelly, conosciuto oggi

con il nome d’arte Kaws, è nato a Jersey City nel 1974 e fin da adolescente era affascinato dai graffiti e dall’ambiente underground. Dopo il trasferimento a New York, nel 1996 si è diplomato alla School of Visual Arts di Manhattan e ha iniziato a collaborare con Walt Disney, lavorando principalmente come illustratore. Il suo desiderio di sperimentare la sua creatività con forme e strumenti sempre diversi, gli ha permesso di affermarsi prima nel mondo della televisione, poi come scultore e street artist, e ora come designer per alcuni noti brand di abbigliamento.

visione

Qual è la di Kaws?La creatività, penserai? In realtà ciò che lo contraddistingue rispetto a moltissimi artisti contemporanei, è la sua capacità di mantenere il suo stile unico, reinterpretandolo, senza mai snaturarlo, a seconda dei contesti artistici di riferimento. Kaws ha saputo conservare intatta la sua essenza creativa, sperimentando linguaggi nuovi e non avendo mai paura di cogliere nuove sfide. Il suo esordio nel mondo dell’arte è iniziato negli anni ’90, quando lavorava principalmente nelle strade di New York, utilizzando le bombolette spray sulle cabine telefoniche e poi sui cartelloni pubblicitari, alterando i volti dei personaggi nelle fotografie. La sua idea era quella di modificare la percezione dell’arte contemporanea, andando oltre gli stereotipi e le regole della comunicazione di massa. Con il tempo si è dedicato alla realizzazione di sculture e giocattoli in vinile, fino a collaborare con alcuni dei brand di moda più famosi del momento. Dalla strada alle gallerie d’arte più cool: il linguaggio artistico e lo spirito “sovversivo” di Kaws gli hanno permesso di costruire un nuovo modo di fare arte.

ART & DESIGN KAWS #1


In alto: Blame Game #1, Blame Game #3, Blame Game #2, Blame Game #10, 2014 DONNA LEATHERMAN LLC in basso: Untitled, 2017 Acrylic on canvas


SNEAKERS&CINEMA #1

SNEAKERS&CINEMA #1

SNEAKERS&CINEMA #1

SNEAKERS&CINEMA #1

UN REGISTA “SCOMODO” e la sua visione eccentrica... Da sempre li chiama “joint” i suoi film, Spike Lee: termine di uso comune nel linguaggio americano per la sigaretta di hashish o marijuana, la “canna” diremmo noi, al punto che nei suoi titoli di testa appare sempre con fierezza la scritta “A Spike Lee Joint”.Ma il joint di Spike Lee non c’entra nulla con tutto questo, egli ha da sempre ripudiato l’uso di qualsiasi droga, va bensì inteso come “comune”, un’unione di forze che non riguarda solo il regista ma tutta la troupe. Un’unione di forze che ha saputo creare cult come Fa’ la cosa giusta, Malcolm X e La 25ª ora, per dirne solo tre. E il suo ultimo, BlacKkKlansman, uscito nelle sale italiane il 27 settembre scorso, è stato osannato da pubblico e critica, ricevendo il Gran Prix Speciale della Giuria a Cannes 2018 e il Premio del Pubblico al Festival di Locarno 2018.

Spike Lee fotografato per l’advertising con Michael Jordannel 1987

“Quello di Spike Lee è un cinema ‘scomodo’, capace di guardare con distacco, ma mai con estraneità, alle grandi questioni irrisolte d’America senza moralismi né preconcetti, non schierandosi a priori bensì assumendo regolarmente un punto di vista critico che metta in evidenza i pregi e i difetti di entrambe le parti in causa, bianchi o neri che siano, ricchi o poveri, vittime o carnefici. Un gesto di grande intelligenza, che accetta il rischio di risultare fastidioso e sconveniente, di essere mal interpretato se non addirittura incompreso.



WILLY

La maxi-storia di come la mia vita cambiata, capovolta, sottosopra sia finita.... The Fresh Prince of Bel-Air , è stato un punto fermo della sitcom per tutti gli anni ‘90, considerato da alcuni un ‘”epoca d’oro” della televisione nera. Ma più di ogni altro spettacolo, Fresh Prince ha contribuito a plasmare il modo in cui sono rappresentati i personaggi neri su film e schermo. La sitcom ha contribuito a creare un nuovo movimento socioculturale nero, consentendo ai suoi personaggi di correre contro i pregiudizi sociali e culturali a cui gli afroamericani erano stati sottoposti per così tanto

tempo. Interpretato dall’attore Will Smith, e vagamente basato sulla sua stessa vita, Fresh Prince ruotava intorno a un adolescente saggio e senza padre di Philadelphia che si trasferisce con i parenti nella comunità californiana di Bel-Air. Lo zio di Will, Phil e la zia Vivian, ei loro figli, Hilary, Carlton e Ashley sono una famiglia di classe sociale ricca. In un momento in cui la maggior parte dei personaggi televisivi neri erano poveri, di strada, considerati ghetti o dipinti come criminali, lo spettacolo si è davvero distaccato da queste immagini stereotipate. Fresh Prince ha dato al pubblico un’idea del cambiamento che la comunità nera americana stava vivendo in questo. periodo. Lo spettacolo è andato in onda per sei stagioni e, sebbene fosse una sitcom comica, ha approfondito molti problemi personali che le famiglie di colore negli Stati Uniti stavano affrontando.

“O mio Dio! O mio Dio! Carlton! Ma che cos’è quella cosa che hai sul collo?...Ah, già è la tua testa!”


Argomenti che vanno dalla scuola, ai valori familiari, al divorzio, alla brutalità della polizia, al razzismo, all’omicidio, Fresh Prince ha offerto una visione divertente e ottimista di molte situazioni che si sono verificate nel corso degli anni ‘90, molte ridicole e gioiose, ma alcune molto oscure. Scontrandosi costantemente con la sua famiglia su come credeva che avrebbero dovuto reagire alle situazioni, o su come comportarsi perché erano neri, Will ha dimostrato la diversità tra la vita nel ghetto e la vita in periferia.

Cast al completo, 1986

I graffiti, la musica, la passione per il basket e Michael Jordan: Willy, il principe di Bel-Air incarna lo spirito degli anni ’90 a stelle e strisce e ci ha regalato cose meravigliose come la “Carlton dance”, il ballo del cugino del protagonista, interpretato da Alfonso Riberio. La casa della famiglia Banks, i ricchi parenti di Willy, che si trasferisce da Philadelphia in California da loro per volontà della madre, in realtà si trova non a Bel-Air, ma a Brentwood, un altro quartiere di Los Angeles.


OKOUT #1

LOOKOUT #1

LOOKOUT #1

LOOKOUT #1

LOOKOUT #1

‘AMERICANA CULTURE’ IN JAPAN La visione orientale del work-wear made in USA. Ma l’amore del Giappone per l’America è ben documentato e, considerato da solo, non costituisce una relazione speciale. La svolta tra i due, però, avviene negli anni ‘90. A quel punto, i marchi americani giapponesi erano diventati buoni, se non migliori, le loro controparti americane. Ancora più importante, però, c’era una nascente sottocultura sovversiva che stava emergendo a Tokyo. Ura-Harajuku, in particolare, è diventato un epicentro della scena streetwear giapponese . Fu lì che furono gettate le basi per marchi come A Bathing Ape , WTAPS , Undercover , GOODENOUGH, Hysteric Glamour, Cav Empt e Head Porter.

Due ragazzi fotografati per le strde di Tokyo per un editoriale nel 1999.


New York City South Bronx Park Jam, 1984.

Altri creativi, come SasquatchfabrixIl designer di Daisuke Yokoyama, stava lanciando giornali gratuiti, manifesti per graffiti e sottoculture post-punk ispirati a ciò che stava accadendo in America. Sebbene sostenuti da una vivace scena creativa a Tokyo e prevalentemente ispirati dalle sottoculture locali, la maggior parte dei marchi sopra menzionati considerava elementi dell’Americana cruciali per la loro estetica complessiva, che si tratti di abbigliamento militare (WTAPS), cultura motociclistica (quartiere) o punk (Undercover). Sebbene esteticamente diversi dagli indumenti ispirati a Take Ivy che erano

popolari in Giappone decenni prima, i marchi Urahara rappresentavano una nuova generazione di Ametora che, a conti fatti, stava effettivamente iniziando a tornare negli Stati Uniti dal Giappone. La relazione in erba di Pharrell con Nigo negli anni 2000 è ben documentata. Il produttore nato in Virginia ha certamente contribuito alla crescente popolarità di BAPE negli Stati Uniti, ma ha anche contribuito a diffondere la crescente influenza dello streetwear giapponese attraverso BBC e Ice Cream, linee più economiche create con l’aiuto di NIGO.


DENIM デニム JAPAN MADE Questa emulazione si tramutò in una denim mania che travolse l’intera città di Tokyo e non passò molto tempo prima che il denim per eccellenza diventasse un fenomeno culturale, stiamo parlano di quello prodotto da un’azienda fondata a San Francisco nel 1853, Levi’s. Magazine come Made in U.S.A. e più tardi Free & Easy e Lightning pubblicavano interi articoli ed edizioni speciali che descrivevano nel dettaglio la storia di Levi’s, dei tessuti, della vestibilità e come distinguere un capo originale da uno fake. Tra gli anni ’60 e l’inizio degli anni ’80 i giapponesi si recavano costantemente negli Stati Uniti con il solo scopo di comprare tutti i Levi’s rimasti chiusi nei magazzini o che molti collezionisti vendevano. In Giappone l’offerta non riusciva a coprire la domanda nemmeno con le importazioni così iniziarono a produrli, anche a causa della loro graduale perdita di qualità. Infatti durante gli anni ’80 i jeans Levi’s cambiarono in modo sostanziale: prodotti in serie su telai a proiettile, i tessuti non sembravano più così ben costruiti e tinti come gli esemplari vintage e molti dei dettagli come i passanti per cinture o i rivetti nascosti, erano quasi scomparsi. La difficoltà nel reperire modelli vintage e la progressiva perdita di qualità portarono i giapponesi a decidere di produrre autonomamente il denim, nacquero così gli Osaka Five: Studio D’Artisan, Denime, Evisu, Fullcount e Warehouse, le cinque aziende che iniziarono a produrre denim di altissima qualità con tecniche tradizionali. Nel corso di tutti gli anni ’90, i pionieri dello streetwear giapponese Hiroshi Fujiwara e NIGO hanno reiterato e portato avanti la passione smodata per i Levi’s vintage collezionando una quantità infinta di veri e propri pezzi da museo che saranno poi ispirazione per le loro creazioni future.

Un raro paio di jeans Levi’s prodotto intorno al 1986 ormai quasi introvabile e gemma per i collezionisti.

Levi’s Japan avrebbe poi collaborato proprio con Fujiwara e il suo brand fragment design oltre che con personaggi del calibro di Futura e Junya Watanabe. L’ultimo esempio in ordine cronologico, dell’eredità di Levi’s in Giappone è la rivisitazione del più classico dei classici dell’azienda californiana, il 501. Rivisitati e chiamati “Harajuku” sono diventati immediatamente un pezzo da collezione e che rappresenta al meglio il legame tra Levi’s e il paese del Sol Levante.



‘BORO’ 腐った TECHNIQUE Quando il marcio diventa stile...


Raro kimono del brand Kapital in edizione limitata a sei pezzi nel mondo.

La tecnica Boro è una forma di rammendo artistico utilizzata nella cultura Giapponese. Si può usare la tecnica boro per creare piccoli manufatti come tovagliette da te, piccoli sacchettini di stoffa, utilizzando tessuti lisi, o dar nuova vita a capi di abbigliamento ormai lisi, come jeans, giubbotti in tessuto,maglie di lana o cotone deteriorati dall’usura, sicuramente il tessuto jeans è quello che si appresta meglio all’uso di questa tecnica perché è più vicino al ricordo dei kimoni giapponesi realizzati con una tela in cotone o canapa sempre tinta in con il colore blu naturalmente estratto dalle piante tintorie. Anticamente praticata dalle povere popolazioni rurali, consiste nel riassemblaggio di pezzi di tessuto ancora utilizzabili. In questo modo ottenevano dei tessuti utili a creare nuovi indumenti rappezzati dal tipico colore blu indaco.Boroboro in giapponese significa “marcio”. I Boro racchiudono i “principi estetici ed etici della cultura giapponese come la Sobrietà e la Modestia (shibui), l’imperfezione, ovvero l’aspetto irregolare,

incompiuto e semplice (wabi-sabi) e soprattutto l’avversità allo spreco (motttainai) e l’attenzione alle risorse, al lavoro e agli oggetti di uso quotidiano”. A Tokio esiste un Museo, il Museo del Kimono, quando si entra ci si aspetta di trovare sete e ricami, invece la prima impressione è quella di trovarsi in un museo d’arte moderna, e si comincia a non capirci più niente, finché non si comincia a leggere i cartelli esplicativi. Boro indica un tipo di abbigliamento costituito da abiti cuciti a toppe, fatti di pezzi di tessuto ritagliati da vecchi abiti e cuciti insieme ed imbottiti, per recuperare ogni brandello di stoffa nelle aree fredde del Giappone dove era difficile reperire i tessuti. Alcuni dei capi fotografati sono composti da ritagli vecchi di quattro generazioni.


La prefettura di Aomori, dove si è sviluppata la tecnica Boro, ha inverni freddi e lunghi. La canapa coltivata per fabbricare i vestiti e le coperte che riparavano dal freddo era dunque preziosa, più dello stesso cibo. Nemmeno un filo poteva andare perduto. Con la tecnica Boro si cucivano non solo abiti, ma anche coperte e tovaglie. Pezzi di tessuto che si tramandavano di generazione in generazione. La storia di molte generazioni era scritta nel “Boro”, ed ogni nuova aggiunta lasciava tracce della propria famiglia per le generazioni future. Huzaburo Tanaka racconta: Quando mi sposai mia madre aveva già cessato di lavorare. Aveva avuto una vita con ben pochi agi e aveva ben poco da offrirmi rispetto a quanto avevano ricevuto i miei fratelli maggiori. Lei non era in grado di offrirmi quanto aveva dato a loro e per questo si rimproverava e si rammaricava. “Caro figlio mio Chuzaburo, non ho niente da darti per il tuo matrimonio. Avrei voluto almeno farti un futon con i miei miseri risparmi. Ho da darti solo due kimono Sashiko (cuciti con la tecnica Boro) che avevo tessuto per tuo padre. Uno è usato, l’altro è ancora nuovo. Prendili come nostro ricordo.” Mia madre parlava così mentre le lacrime le scorrevano sul viso. Ricordavo mia madre come una persona forte, ma lei stava davanti al suo figlio minore e piangeva.

Un artigiano giapponese che lavora un denim per prepararlo alla tecnica boro.

Adesso guardo i due kimono Sashiko che mi ha donato con genuina sincerità. Vedo i singoli punti che uniscono due pezzi di stoffa separati per crearne uno solo, a toppe, conosciuto come Sashiko. Mia madre ci ha messo dolore e tempo, per crearli per suo marito con il cuore e con l’anima. Anche se mia madre ha già lasciato questo mondo io posso ancora sentire il suo cuore e la sua anima, cuciti in questi kimono Sashiko. Continuano a vivere, continuano a raccontare dolore, lacrime e storie preziose. Ricordo che da bambino mia nonna mi vide giocare con le forbici, mentre tagliavo un pezzo di stoffa. Mi disse: “Ricorda, che stai tagliando la tua stessa carne!” Mia nonna, che amava i tessuti, mi insegnò che vestiti e coperte non possono essere sostituiti da niente nella vita di un individuo. Dentro di essi c’è la vita; l’infinita volontà e i desideri degli esseri umani sono delicatamente tessuti in ogni pezza.




JORDAN IV ‘SASHIKO’ Con l’aumentare dell’interesse globale su questo tipo di artigianato giapponese, il colosso Nike ha deciso di reinterpretare la classica jordan iv in chiave ‘Sashiko’. Prima di proseguire descrivendo la sneaker in se, è doveroso compiere una piccola digressione storica alla ricerca delle origini dell’usanza denominata “Sashiko” (il nome che assumerà questa silhouette). Il Boro Sashiko rappresenta una vera e propria tradizione nelle zone rurali del Giappone. Sviluppatasi diversi secoli fa, intorno al 1600/1700, questa tecnica ha radici profonde, e consiste nel cucire insieme vari lembi di indumenti usati ma ancora in condizioni discrete, in modo da ottenere un indumento del tutto nuovo. Nel tempo, questa arte si è evoluta in egual misura in termini di prestigio e raffinatezza, adeguandosi ai canoni moderni.Giustamente vi starete chiedendo che cosa possa c’entrare questo discorso con la

rivisitazione di una Air Jordan 4. Per rispondere a tal quesito, vi basterà dare un primo sguardo alla struttura della sneaker, realizzata tramite una trama patchwork costituita da vari pannelli di tessuto denim cuciti insieme. Inoltre, ad arricchire il look, spiccano alcuni dettagli rossi, bianchi e grigi su tutta la superficie dell’upper, in pieno stile nipponico. Sempre in denim sarà poi il tongue tab, sul quale troveremo l’immancabile Jumpman logo bianco, accostato al lettering “Flight”, ricamato in rosso. A tutti questi dettagli si accostano infine gli heel-tabs traslucidi, animati da un blu intenso, che superano di un paio di centimetri di altezza il collar.


PT STORE 1#

LOOK OUT CONCEPT STORE 1#

LOOK OUT CONCEPT STORE 1#

LOOK OUT CONCEPT STORE 1#

DOVER STREET MARKET

Diventato in pochi anni un vero luogo di culto... Dover Street Market, è il negozio londinese concepito dalla stilista nipponica Rei Kawacubo anima creativa dell’esclusivo brand Comme des Garcons, diventato in pochi anni un vero luogo di culto dello shopping di tendenza mondiale. Se un’azienda riesce ad entrare con un proprio prodotto al DSM, vuol dire che e’ riuscita veramente ad arrivare nell’olimpo del fashion di tendenza. Grazie poi all’apertura nel mondo di altri punti vendita che si fregiano della prestigiosa insegna DSM, negozi che ripropongono un mood analogo a quello di Londra, la diffusione ed il prestigio del brand è ulteriormente cresciuta. Attraverso la presenza in importanti location di capitali internazionali come New York, Tokyo e Beijing, di quella insolita combinazione di negozio/galleria d’arte rappresentata dal format DSM, ha contribuito ulteriormente a generare una specie di business collaterale all’attività commerciale vera e propria.

Non si deve infatti dimenticare che solo chi viene prescelto da Rei Kawacubo e dal suo staff può ambire ad una di queste partnership. Non si tratta di semplici abbinamenti commerciali o di operazioni di marketing: il prodotto ed il brand devono essere ritenuti assolutamente coerenti con lo stile e l’immagine degli store DSM non si transige. Le aziende che sono state nel tempo prescelte per queste collaborazioni hanno nomi del calibro di Louis Vuitton, Prada, Saint Laurent, Gucci e Chanel per citare solo alcuni dei più conosciuti ed importanti, così come brand dello streetwear come Adidas e Nike hanno realizzato serie speciali in vendita unicamente presso DSM. Per arrivare a Rei Kawakubo, bisogna prima parlare con Adrian Joffe. Nel backstage, dopo una sfilata Comme des Garçons, Kawakubo emette una succinta sentenza in giapponese e Joffe, al suo fianco, la traduce in inglese, la amplia e d’improvviso le cose diventano chiare per la folla di giornalisti, ansiosi di carpire un po’ di saggezza da una delle menti creative più eccentriche della moda. Il viaggio di Joffe in Comme des Garçons è casualmente coinciso con l’ascesa internazionale della visione antiestablishment di Kawakubo. Dagli inizi come direttore commerciale del marchio, nel 1987, fino a diventarne presidente e a sposare la stilista, Joffe ha supervisionato e architettato il successo commerciale e creativo di Comme, raro caso di un impero costruito su un marchio anticonformista.


DEAR FRIENDS OF Per molte aziende del fashion system internazionale, la presentazione delle proprie collezioni in anteprima presso uno dei DSM stores, così come la realizzazione di una capsule collection in vendita esclusiva, contribuiscono ad attribuire una allure di grande prestigio al prodotto e all’azienda. È la curiosità che ci spinge a esplorare e studiare tutto ciò che vi si esibisce, la collezione in edizione limitata di mobili fatti di materiale epossidico color ebano o nero metallico di Hedi Slimane, lo stilista della linea uomo Dior, si trova esclusivamente al Dover Street Market.

DSM Interior design all’interno del Dover Street Market di Londra 2020.


REI

KAWACUBO REI KAWACUBO ha recentemente presentato l’ultima aggiunta alla sua vasta rete di sottoetichette, una linea di streetwear fortemente marcata intitolata CDG. L’impero della moda giapponese ha ora annunciato il lancio della linea con nuovi spazi commerciali nei negozi di Dover Street Market a Pechino, Londra, Los Angeles, New York e Singapore, oltre ai negozi COMME des GARÇONS a Hong Kong e Seoul. Queste installazioni sono ora aperte agli acquirenti. Due negozi CDG indipendenti dovrebbero aprire presto a Tokyo e Osaka, mentre è stato aperto anche il webstore CDG , che sarà disponibile dal 1 ° novembre. COMME des GARÇONS ha recentemente presentato l’ultima aggiunta alla sua vasta rete di sotto-etichette.


COMME des GARÇONS ha recentemente presentato l’ultima aggiunta alla sua vasta rete di sotto etichette, una linea di streetwear fortemente marcata intitolata CDG. L’impero della moda giapponese ha ora annunciato il lancio della linea con nuovi spazi commerciali nei negozi di Dover Street Market a Pechino, Londra, Los Angeles, New York e Singapore, oltre ai negozi COMME des GARÇONS a Hong Kong e Seoul. Queste installazioni sono ora aperte agli acquirenti. Due negozi CDG indipendenti dovrebbero aprire presto a Tokyo e Osaka, mentre è stato aperto anche il webstore CDG , che sarà disponibile dal 1 ° novembre. Per ulteriori notizie sulla moda, dai un’occhiata a questa ultima intervista di Raf Simons al New York Times .

‘Andy Warhol modeling his new Comme des Garçons jacket at the Con Edison building, New York’ by Paige Powell (1985)

COMME des GARÇONS


RESELLING-ILL #1

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STREETWEAR: NON SOLO RESELLING Quando la sneaker diventa collezione collezionismo

Il (e quindi la nascita della figura dello sneakerhead) risale al periodo tra gli anni ’80 e ’90, quando le scarpe indossate dai giocatori dell’NBA trovarono posto anche fuori dal campo, diventando oggetto del desiderio di fan e star. Da quel momento il culto per le sneakers cominciò ad invadere il campo dell’abbigliamento, trasformandosi in un

fenomeno di massa (per lo meno all’estero). Quando si parla di collezionismo è inevitabile pensare ad una ricerca maniacale del prodotto più raro ed affascinante, che non si limita ad essere un semplice articolo, ma si porta dietro delle storie più o meno interessanti.


Cover documentario ‘Sold Out Economy’ di Emily Hoberg, 2015.

Ecco quindi che un oggetto comune come una scarpa o una t-shirt diventa un simbolo di appartenenza ad una cultura, tanto da causare “rischi” o compromessi pur di aggiudicarselo. Questa situazione però non accade solamente oggi e ristrettamente nell’ambito streetwear, ma è sempre esistita, anche in settori come l’arte, le automobili, la musica ed il cinema. Parlando semplicemente dal punto di vista economico, è noto che ad una bassa offerta a fronte di un’alta domanda, il prezzo sale proporzionalmente. Non c’è quindi da meravigliarsi se alcune sneakers come quelle esposte a Milano superino i quattro zeri o per lo meno se alcune edizioni limitate vengano rivendute ad un prezzo maggiorato rispetto al retail. Il fenomeno del resell ha dilagato recentemente nel nostro Paese, ma negli Stati Uniti, per esempio, è una realtà già ben consolidata che vanta store specializzati da oltre una decade.

Attualmente in Italia si ha l’impressione che ci sia un’invasione di giovani reseller improvvisati che grazie ai marketplace su Facebook ed ai siti di resell, riescono a guadagnare cifre spropositate, nonostante la loro età. Ma non è cosi. I famigerati ragazzini di tredici anni che guadagnano tremila euro al mese sono estremamente rari, tanto da poterli contare sulle dita di una mano (esagerando). Il reseller infatti non è assolutamente un lavoro semplice, soprattutto in un periodo in cui i mezzi rendono la vendita più accessibile a tutti. Inoltre, la difficoltà non consiste solo nel riuscire a vendere il prodotto, bensì anche aggiudicarselo non è un’impresa da poco. Si parla sempre di capi limitati che per poterli acquistare bisogna vincere raffle sovraccaricate di richieste, o comunque avere contatti che di certo richiedono esperienza nell’ambiente.


FENOMENO “THE LAST DANCE”

Sono anni che molti rimproverano il modo in cui lo sneaker game sia cambiato, sottolineando come presto tutto questo frenetico susseguirsi di release e compra vendita sia destinato a estinguersi. Lasciateli parlare. I dati parlano chiaro e affermano il contrario. L’uscita delle statistiche relative al terzo trimestre di StockX hanno infatti rivelato interessanti scenari riguardanti l’attuale e la futura scena streetwear globale. Secondo quanto stimato da Cowen Equity Research, l’ecosistema dello sneakergame raggiungerà, entro il 2030, un valore pari a 30 miliardi di USD, di cui 19 fuori dal territorio statunitense. A supportare questa crescita verticale troviamo un pubblico sempre più giovane e disposto a spendere, e investire, ingenti quantità di denaro in tutti i generi di oggettistica da collezione. Non a caso sempre fuori

dal confine degli US è stato registrato un incremento delle transazioni pari al 260% all’anno, mentre è stato stimato che circa il 62% degli utenti di StockX ha un’età inferiore ai 25 anni. Il report pubblicato ha inoltre evidenziato gli oggetti più ricercati, comprati e venduti in alcuni dei mercati più promettenti come Italia, Regno Unito, Francia, Germania e Giappone. Qui sotto la gallery con le rispettive ricerche. Cosa si nota dunque dal report di quest’ultimo trimestre? Come prima cosa non c’è traccia di strascichi causati dall’impatto del coronavirus su questa porzione di mercato ma, al contrario, si è rivelato essere uno dei business con maggior margine di crescita. La facilità con cui si riesce ad approcciare a questo mondo continua ad attrarre sempre più giovani.


L’arrivo di “The Last Dance“, il documentario creato da ESPN per raccontare la stagione 1997-98 dei Chicago Bulls, ha portato a un ulteriore incremento degli interessi di tutti i collectibles legati alla figura di Michael Jordan, e ovviamente delle sue signature shoes. Il 19 aprile, giorno di presentazione di “The Last Dance“, marketplace come StockX hanno infatti registrato un aumento delle ricerche relative a Jordan Brand superiore al 50% e un conseguente picco del numero di vendite. Vendite che giorno dopo giorno hanno visto i prezzi delle scarpe lievitare incredibilmente. Nonostante nel documentario si vedano principalmente Air Jordan XIII, scarpa rilasciata nel 1997, i maggiori incrementi di prezzo sono legati alla Air Jordan I. Calzatura che, dal giorno in cui è stato rilasciato il documentario, episodio dopo episodio, ha visto crescere il proprio numero di ricerche Google raggiungendo l’apice proprio oggi, in occasione delle due nuove puntate del documentario. Nel quinto episodio, Michael Jordan viene infatti ritratto con ai piedi le AJ1 “Chicago”, scarpa con la quale giocò la sua ultima partita con i Bulls. Nella nostra analisi abbiamo scelto cinque diverse colorazioni della scarpa, partendo dalle iconiche “Chicago” fino ad arrivare alle “Rookie of the Year” e alle Jordan I High in collaborazione con Travis Scott rilasciate lo scorso anno.


$22,755

$17,275

$12,518

$6,554

JORDAN 4 RETRO EMINEM CARHARTT

JORDAN 4 RETRO UNDFTD

NIKE DUNK SB WHAT THE DOERNBECHER

NIKE AIR MAG


RESELLENOMICS Prezzi più alti stimati per sneaker deadstock

$5,646

NIKE DUNK SB PIGEON LOW

$5,133

NIKE AIR YEEZY 2 RED OCTOBER

$3,830

$3,808

NIKE DUNK SB FREDDY KRUEGER

JORDAN 2 RETRO EMINEM


SNEAKERS&FUN #1

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LARO LAGOSTA

La comicità illustrata di un portoghese. Hilário Vilas Boas aka Laro Vilas Boas aka Laro Lagosta, è nato a Ponte de Lima, una bellissima città storica nel nord del Portogallo. Cambiato dalla sua città natale a Porto all’età di 18 anni per studiare graphic design, fin da piccolo ha investito ed esplorato le sue capacità di illustratore, realizzando poster e t-shirt per band, eventi musicali, skateboard personalizzati, mostre, lavorando sempre per una futuro nella zona. Come artista, che crede veramente nel cambiamento e nell’evoluzione, può adattare il suo lavoro a contesti diversi, ma identificherai facilmente il suo stile. Laro Lagosta è innamorato delle sneakers e il suo lavoro lo riflette. I suoi scheletri sono un marchio che vive in un mondo di hype e inondato dalla cultura pop.

SNEAKERS&FUN #1


TRADUZIONE: Camminare tra la gente -Scusatemi, scusate...

TRADUZIONE: Partecipare all’asta con gli amici è come.... -Mi sento fortunato bro! - Se anche solo uno di noi vince sarò contento fam. - Vinceremo tutti, me lo sento


G.O.A.T. GREATEST OF ALL TIME


Orlando 22 luglio ‘92 Slam Dunk Contest Mr. Airness


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GreatestOfAllTime #1

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HISTORY OF A SHOE: NIKE AIR JORDAN Trenta anni fa inizia la storia che ripercorriamo oggi, un percorso caratterizzato da grandi successi i cui protagonisti assoluti sono Nike e sua maestà Michael Jordan.

Michael Jeffrey Jordan, sarebbe sufficiente citarne il nome senza proferir altre parole perché tutti conoscono molto bene la sua storia, le peripezie, le gioie e i dolori. Riconosciuto quasi unanimemente come il più forte giocatore di basket di tutti i tempi, “MJ” non è personalità importante semplicemente per la storia cestistica, ma anche, e in misura in qualche modo maggiore, per la storia delle scarpe sportive.

Nato a Brooklyn, New York il 17 febbraio 1963, cresce a Wilmington nella Carolina del Nord e muove i suoi primi “passi cestistici” sul parquet della Emsley A. Laney High School. Tra il 1981 e il 1984 gioca presso la University of North Carolina at Chapel Hill vincendo, nel 1982, il titolo NCAA grazie ad un tiro in sospensione che lo ha messo definitivamente sotto la luce dei riflettori. Il 19 giugno 1984 viene poi selezionato, con la terza chiamata, dai Chicago Bulls e da questo punto in avanti le cose non saranno mai più le stesse. Nike Inc. nel 1984 era una giovane azienda di soli 20 anni ma in forte espansione, nel settore della pallacanestro aveva ancora molto da provare ed offriva prodotti quali le Blazer e le Air Force 1. Era giunto il momento però di scalfire il predominio di Adidas e Converse, serviva un atleta mai visto prima, un personaggio sul quale puntare tutto (al contrario degli altri competitors) e chi poteva ricoprire quel ruolo se non il giovane Mike. Unico inconveniente: Jordan aveva sempre indossato scarpe Converse al college (il produttore pagava 10.000 dollari all’anno il coach Dean Smith per farle indossare ai suoi atleti) ed il suo sogno era di indossare le Adidas in NBA.

Prima dell’inizio della stagione 1984-1985 Jordan aveva tre opzioni per firmare un contratto di sponsorizzazione (in gergo “shoe deal”): Adidas, Converse e Nike. Adidas si trovava in un periodo difficile con passaggi di proprietà e non era interessata a firmare il campione da Wilmington; Converse offrì un contratto uguale a quello in atto con altre stelle NBA quali Magic Johnson e Larry Bird che valeva 100.000 dollari per un anno; Nike offrì 7 milioni di dollari per cinque anni, un contratto faraonico per l’epoca e arricchito da alcune clausole quali l’obbligo di diventare Rookie dell’anno, diventare un All-Star o avere una media di 20 punti a partita nei primi tre anni di attività altrimenti Nike avrebbe potuto terminare il contratto con 2 anni di anticipo. Quella del produttore dell’Oregon era un’offerta difficilmente rifiutabile, tuttavia Mike prese la bozza del contratto e la fece vedere ai dirigenti Adidas dicendo: “Se voi potete anche solo avvicinarvi a questa proposta firmo con Adidas!”. Non accadde e Michael Jordan divenne un atleta Nike, marca di abbigliamento da lui mai indossata prima.


Michael Jordan in uno scatto realizzato per il commercial delle jordan 1 ‘black toe’, 1988.


NBA

Jordan debutta in il 26 Ottobre 1984 ed ai piedi non ci sono ancora le Nike Air Jordan, bensì un altro tipo di Nike, le Air Ships. Le prime signature shoes di MJ arriveranno, infatti, solo nei primi mesi del 1985. Pensate che ad Aprile 2015 è stato venduto all’asta un paio di Nike Air Ships indossate da”his airness” durante la sua prima partita in carriera contro i Lakers di Magic Johnson il 2 dicembre 1984, poi firmate e regalate ad un “ball boy” della squadra avversaria. L’asta si è conclusa alla cifra di oltre 71.000 dollari. Una precisazione: quando ci si riferisce alle “Nike Air Jordan”, si fa riferimento esclusivamente alle prima scarpe realizzate da Nike per la stella dei Bulls. Oggi sono conosciute come “Air Jordan 1” in quanto Jordan Brand è divenuta poi una sezione separata di Nike, un marchio a se stante che pare nel prossimo futuro si separerà definitivamente dalla casa madre. Disegnate da Peter Moore, il debutto ufficiale sul mercato delle Nike Air Jordan avvenne nel marzo del 1985, erano delle scarpe innovative ed esteticamente molto attraenti. Le scarpe si presentano con un taglio alto, una tomaia in pelle sul cui lato spicca il grande “swoosh” (il logo Nike ndr) ed un logo dedicato alla linea “Jordan” costituito da un pallone alato sormontato dalla scritta Jordan (il “Jumpman” che conosciamo oggi deve ancora palesarsi a quel tempo) posizionato vicino collo della scarpa.


Fotografia del match Lakers - Chicago Bulls, 1989.

Michael Jordan dopo aver vinto il terzo titolo.



JORDAN 1 ‘BANNED’ Questo debutto fu seguito da una campagna mediatica dall’enorme successo attraverso lo spot pubblicitario chiamato in seguito “Banned Commercial“. In questo spot, Michael Jordan sta giocherellando con la palla da basket mentre l’inquadratura si muove dall’alto verso il basso fermandosi sulle scarpe, le quali vengono poi oscurate. La voce narrante in sottofondo cita due date: 15 settembre e 18 ottobre. La prima data si riferisce alla invenzione di una scarpa rivoluzionaria (le Nike Air Jordan); la seconda determina il giorno in cui la NBA ha ufficialmente comunicato a Jordan e Nike che queste scarpe non rispettano il regolamento sulle uniformi ed ha quindi impedito che venissero indossate. Fu così che la notizia della cattivissima NBA fece il giro del mondo e arrivando sulla bocca di tutti, una delle campagne di marketing più fortunose e riuscite di sempre.

Si rende, tuttavia, necessaria una precisazione sulla vicenda “banned”. Le scarpe in questione furono bandite dalla NBA in quanto prevedevano uno schema di colori con troppo poco bianco: erano infatti realizzate con una base nera e accenti rossi mentre solo la suola si presentava bianca. Il regolamento, invece, prevedeva che le scarpe degli atleti avessero una base bianca con accenti del colore corrispondente alle divise da gioco. La NBA comunicò quindi la violazione, ma Jordan e Nike decisero di non ottemperare al divieto e continuarono ad utilizzarle pagando ogni volta una multa di 5.000 dollari.


COLORWAYS ORIGINALI tra il 1985 e il 1986 vennero rilasciate 13 colorways definite come ‘OG’ (original)

Nike Air Jordan 1 ‘bred’

Nike Air Jordan 1 ‘chicago’

Nike Air Jordan 1 ‘royal’

Nike Air Jordan 1 ‘black toe’

Nike Air Jordan 1 ‘shadow’

Queste le celebri colorazioni utilizzate da jordan per giocare durante la sua carriera qua sopra possiamo trovare le prime e piu celebri colorwys che hanno iniziato ciò che poi diventerà un vero e proprio culto legato sia alla straordianria capacità fisica dell’atleta, sia per il lavoro impeccabile e innovativo di design da parte di nike. prima release nel 1985 con la ‘bred’’. A pagina sinistra abbiamo le seguenti colorazioni come equelle del ‘metallic pack’ o le UNC,azzurre e bianche dedicate all prima squadra di jordan, i Nortch Carolina.


Nike Air Jordan 1 ‘metallic blue’

Nike Air Jordan 1 ‘ying yang’

Nike Air Jordan 1 ‘metallic red’

Nike Air Jordan 1 ‘storm blue’

Nike Air Jordan 1 ‘metallic green’

Nike Air Jordan 1 ‘UNC’

Nike Air Jordan 1 ‘metallic grey’

Nike Air Jordan 1 ‘metallic purple’


‘Shattered Backboard’ Una storia italiana...

Nell’estate del 1985 durante un mini tour promozionale organizzato da Nike in Italia, Michael Jordan appena ventiduenne (rookie of the year nella stagione precedente) si trovò a giocare un’amichevole tra la Stefanel Trieste e la JuveCaserta, all’epoca sponsorizzata Mobilgirgi, al PalaChiarbola di Trieste, era il 25 agosto. Originariamente Michael avrebbe dovuto giocare un tempo con la Stefanel Trieste e l’altro con la Mobilgirgi Caserta ma dopo aver sostenuto il riscaldamento prepartita decise che avrebbe giocato l’intera partita con la canotta nera e arancio della squadra triestina e con al piede le sue Air Jordan 1 “Chicago”. Jordan giocò una partita da superstar mettendo a referto 30 punti con giocate da iniziato, ma quella che rimase nella storia e che ha dato il nome ad una delle colorway più belle e ricercate delle Air Jordan 1 è quando staccando poco dopo la linea del tiro libero, inchiodò una schiacciata clamorosa che mandò in frantumi il tabellone all’epoca non ancora in plexiglass ma in vetro.


Sequenza immpagini della partita disputata a Trieste con la rottura del backboard da parte di Michael.

Giancarlo Sarti, General Manager della Mobilgirgi Caserta nel 1985 racconta che sotto il canestro in frantumi restarono Pietro Generali e Toto Lopez che urlava di non essere toccato per via dei pezzi di vetro che gli erano caduti su tutti il corpo e che gli provocarono una lacerazione dei tendini della mano. L’allenatore di quella JuveCaserta era il leggendario Bogdan “Boscia” Tanjević il quale racconta che dopo aver visto Jordan schiacciare staccando poco dopo la lunetta e spaccare tutto, buttò giù 7 grappe ubriacandosi “come una belva”, per utilizzare le parole del coach italo-montenegrino. La colorway Shattered Backboard richiama i colori di quella speciale canotta della Stefanel Trieste e ricorda un momento di basket tutto italiano.


“To me Jordan is like a superhero,


he’s like Superman in real life.” - Lebron James


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SNEAKERS SLANG ##1

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SNEAKERS SLANG

Il vocabolario che un appassionato di streetwear deve possedere per sopravvivere sul web.

ACG: “all conditions gear” è una linea secondaria

di Nike che produce abbigliamento tecnico e sportivo adatto a tutte le condizioni climatiche.

Backdoor: con questa parola si fa riferimento

a una pratica scorretta messa in atto da alcuni store. Essa consiste nel tenere da parte e riservare sneakers e release esclusive per i reseller.

Beaters: tutti ne abbiamo una, che sia una

Vans Old Skool o una Air Force 1. È quella scarpa consumata ma vissuta, quella a cui non riuscite proprio a rinunciare.

Bin: letteralmente “Buy it now”. È un acronimo molto utilizzato sul web e soprattutto sulle community, si riferisce al prezzo da pagare per comprare il prodotto.

Bred: nasce dall’unione di “black” e “red“. La

fusione di queste parole è diventata nota tramite alcuni modelli di Nike molto gettonati, tra cui la Air Jordan 1 Bred OG, la Air Jordan 1 Bred Toe e la Air Jordan 4 Bred.

Bump: letteralmente “Bring Up My Post”. Termine molto usato sulle community per mettere in evidenza un post o seguirlo. Aumentandone il numero dei commenti, ne aumenta l’interazione e dunque la probabilità che venga visto da più persone.



HYPEBAE #1

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IL FUTURO DELLA SNEAKER CULTURE AL FEMMINILE La scena si tinge di rosa

Storicamente, la sfera delle sneakers è stata piuttosto dominata dagli uomini e, sebbene le donne siano sempre più al centro della scena, devono ancora affrontare ostacoli lungo la strada. Questi problemi potrebbero non essere così ovvi per gli osservatori esterni, ma sono molto sentiti dalle donne membri della comunità degli sneaker. Il blogger londinese Shan Pryce-Royal, di Shansgotsole , sottolinea lo squilibrio, dicendo:‘La mia esperienza nell’acquisto e nel collezionismo di scarpe da ginnastica è completamente diversa dalle mie controparti maschili. La cosa più pazza è che, finché non parlo di alcune delle sfide, la maggior parte delle persone non si rende nemmeno conto che queste sfide esistono!‘ Da una prospettiva ampia, c’è la sensazione che le donne membri della comunità debbano mettersi alla prova in modo più enfatico rispetto ai ragazzi. Yasmin Kovacs ( yasi_loves_kicks ), un collezionista di Melbourne, in Australia, spiega: ‘Sento che le donne forse hanno bisogno di lavorare un po’ di più per essere riconosciute e consolidare il loro posto ... Per dimostrare che possono stare al passo con i ragazzi, ma che possono portare qualcosa di nuovo in tavola, sapere di cosa stanno parlando, e sono altrettanto importanti per la cultura. ‘

Il gioco delle sneaker è una bestia in continua evoluzione, che cambia e si riallinea con il flusso e il riflusso delle mode e varie figure del settore cadono in favore e in disgrazia. Ma al di sotto della brulicante corrente di tendenze ci sono basi che avranno sempre il loro impatto, e Nike Air Max è una di queste. Dal ‘87, visible Air è stata l’avanguardia del cambiamento per il settore nel suo complesso, sia che si tratti di spingere i confini della tecnologia dei cuscini o di ampliare il mercato con modelli esclusivi femminili che hanno raccolto un appeal senza genere. Recentemente, Nike ha lanciato la sua collezione Air Max 2020 a Londra, svelando l’ Air Max 2090 retro-futuristica , l’ Air Max 90 Recrafted, l’ Air Max 90 FlyEase e la rianimata Air Max Verona esclusiva femminile - la forza era decisamente femminile. E questo ci ha fatto pensare: qual è lo stato del gioco per le donne nella sfera delle scarpe da ginnastica? Quindi, siamo andati direttamente alla fonte, chiedendo a una manciata di membri all’interno della comunità di fantascienza che stanno prendendo a calci in culo nello spazio delle sneaker femminili cosa pensavano dello stato delle sneakers nel 2020.


Set fotografici tratti dall’editoriale realizzato per Outpump nel 2012 da Joe La Puma.


Set fotografici tratti dall’editoriale realizzato per Outpump nel 2012 da Joe La Puma.


Aleali May (uh-lay-ee)

Come qualsiasi altra persona nata a Los Angeles negli anni ‘90, Aleali May è ossessionata dalle sneakers. Sebbene a scuola indossasse l’uniforme, il suo armadio era pieno zeppo di sneakers Nike Air Force e, nonostante fosse appassionata di moda, poco le importava di ciò che indossavano le dive del momento, piuttosto non vedeva l’ora che lo zio le comprasse un paio dopo l’altro di Jordan . Era chiaro fin dall’inizio che Aleali era maggiormente attratta dal fashion maschile, aveva sempre avuto un certo tocco androgino, espresso combinando l’abbigliamento urbano con le firme di lusso, qualcosa di simile agli stili dei suoi idoli Aaliyah e Alicia Keys. Fu subito dopo la laurea in marketing a Chicago, quando iniziò a lavorare alla RSVP Gallery - un concept store e una galleria fondata da Virgil Abloh e Don C - che si rese conto che avrebbe potuto lavorare nella moda, anche se forse non proprio come designer. La Galleria RSVP cambiò completamente le regole del gioco. In quello spazio, il mondo dell’arte e quello della moda si univano come non si era mai visto prima di allora. Lo stesso giorno potevano passare da lì l’artista Takashi Murakami , il rapper Pharrell o i dipendenti della marca Givenchy .



“Girls have always been sneakerheads but we’re starting to get noticed”

Fu lì che apprese che i mondi dello streetwear e del lusso non solo potevano coesistere, ma potevano anche mescolarsi a tal punto che differenziarli diventava difficile, Virgil Abloh lo dimostra sempre di più con le sue collezioni per Off-White e Louis Vuitton Men. Influencer, stilista e designer: Aleali è tutto questo e molto altro. Grazie ai contatti che acquisì lavorando per la galleria, iniziò a muovere i suoi primi passi come stilista per rapper come Lil Yachty o Kendrick Lamar , postando allo stesso tempo le foto dei suoi outfit su Instagram, dove indossava, allo stesso modo, una borsa Chanel e una collana d’oro con il suo nome alla Carrie Bradshaw, o pantaloni XXL, catene d’oro e sneakers Jordan. Ed è proprio con Jordan, la marca a cui è stata fedele fin dall’infanzia, che fu in grado di collaborare, diventando la seconda donna a ricevere questo onore, dopo Vashtie Kola. Dopo le sue Air Jordan I e le Air Jordan I Court Lux uscite l’anno scorso, nel marzo di quest’anno ha lanciato le Air Jordan VI Millennial Pink, esaurendo le scorte in pochi minuti, una prodezza che la colloca tra gli sneakerhead e i designer più popolari del momento.


SNEAKERS&FUN #1

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TRADUZIONE: La linea per la lotteria è come.... - Allora, siete qua da tanto tempo, uhn?

TRADUZIONE: Quando la stagione delle pioggio sta iniziando.

SNEAKERS&FUN #1


42 TRADUZIONE: Le persone si divertono a far sembrare le loro sneakers vecchie - Perchè l’hai fatto, le sneakers sono fatte per essere indossate, invecchiano con il tempo. Non questa merda. - Ne ho un paio extra, lo vuoi? - Si grazie...

TRADUZIONE: Le persone si divertono a far sembrare le loro sneakers vecchie - Sono ispirate dalla filosofiagiapponese si “kintsug” - Perchè non le indossi bro?


CYCLING #1

RECYCLING #1

RECYCLING #1

RECYCLING #1

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NIKE SPACE HIPPIE La multinazionale verso un futuro rinnovabile

Nike ha utilizzato gli scarti raccolti dai pavimenti delle fabbriche e quello che chiama “filato di scarto spaziale” riciclato per creare le sneakers Space Hippie in un progetto per ridurre l’impatto del carbonio dei suoi prodotti. Ci sono quattro diversi design nella collezione, chiamati Space Hippie 01, 02, 03 e 04, ma ci stiamo concentrando sull’originale, lo 01. Il concetto è iniziato nel 2017, quando una nuova ricerca all’interno di Nike ha consentito all’azienda con sede in Oregon di individuare le emissioni di CO2e ( equivalente di anidride carbonica - un’unità standard per misurare le impronte di carbonio) dei singoli materiali e dei processi di produzione nella creazione di una scarpa.


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RIFIUTI SPAZIALI RIUTILIZZATI Nike afferma che il 90 percento della tomaia dello Space Hippie, che assomiglia al loro design Flyknit, è realizzata con materiali riciclati e tessuta con il “filo dei rifiuti spaziali”. La parte centrale e ammortizzante della scarpa da ginnastica è realizzata in schiuma ZoomX in eccesso ricavata dalla produzione della scarpa da corsa Nike Vaporfly 4% . Questa schiuma leggera viene riproposta in un metodo che produce solo circa la metà dell’anidride carbonica equivalente alla creazione delle tipiche schiume Nike. “A causa dell’elevato standard che avevamo già stabilito nell’utilizzo di materiali riciclati come il poliestere e di tecniche come Flyknit, dovevamo trovare qualcosa con un impatto ancora inferiore e che ci portasse a sprecare come risorsa”, Noah MurphyReinhertz, Nike Sustainable Design Lead.


Sono comodi, ma chiunque abbia i piedi larghi avrà un po ‘di difficoltà. E tragicamente, questa non è solo una critica alla Nike, pochi, pochissimi, i produttori di scarpe si occupano di piedi larghi. Sono un giocatore di rugby di 6 piedi - un giocatore di rugby in prima fila - e posso quasi infilare le scarpe da solo in un US 11½. Non potrò mai indossare anche i calzini, semplicemente non c’è abbastanza spazio in larghezza. Ho un paio di scarpe da corsa Brooks, dal momento che fanno taglie extra larghe, anche se sembrano brutte e c’è poco da scegliere.

Ma il comfort viene prima di tutto quando si corre. Quindi i miei Space Hippies ora sono le mie scarpe da spiaggia ufficiali, il che è perfetto perché non avrò bisogno di calzini. Se non soffri di avere i piedi larghi, la Space Hippie sarebbe un’ottima scarpa da corsa oltre ad avere un aspetto piuttosto groovy. Lo Space Hippie 01 viene fornito in una scatola fresca, realizzata in cartone riciclato, naturalmente, e in una borsa per scarpe stile tote.


NIKE EARTH DAY I consumatori vogliono scelte più sostenibili, quindi abbiamo collaborato con l’artista californiano Steven Harrington per l’Earth Day, abbinando il suo stile ottimista e accattivante a uno dei nostri materiali più sostenibili per ispirare l’amore per il pianeta. Questa collaborazione presenta tre modelli iconici Air Force 1, Blazer Low e Cortez - in Flyleather, la pelle ingegnerizzata più sostenibile di Nike realizzata con almeno il 50% di fibra di pelle riciclata. Flyleather è nata dalla sfida di evolvere la pelle, che è il nostro secondo materiale a impatto ambientale più elevato in termini di emissioni di carbonio e consumo di acqua, preservandone l’aspetto, la sensazione e persino l’odore. Making Flyleather utilizza pelle di recupero che altrimenti andrebbe persa nel processo di produzione, non solo deviando i rifiuti dalle discariche ma trasformandoli in qualcosa di nuovo: un super materiale che è il 40% più leggero e 5 volte più resistente all’abrasione rispetto alla pelle pieno fiore.

L’artista Steven Harrington nel suo studio mentre progetta la collab con Nike

Utilizzando fibre riciclate, la produzione di Flyleather comporta una minore impronta di carbonio rispetto alla tradizionale produzione di pelle. Flyleather viene prodotto anche in rotolo, il che migliora l’efficienza di taglio e crea meno scarti rispetto ai tradizionali metodi di taglio e cucitura per la pelle pieno fiore. “ Nuove tecnologie e piattaforme ci consentono di avvicinarci al lavoro a livello molecolare. Flyleather è l’ultimo esempio. “ JOHN HOKE, CHIEF DESIGN OFFICER DI NIKE



ANATOMY 1#

SNEAKER’S ANATOMY 1#

SNEAKER’S ANATOMY 1#

SNEAKER’S ANATOMY 1#

ANATOMIA DELLA SNEAKERS Quante volte ci siamo trovati a guardare la nostra nuova sneaker appena acquistata e ci siamo chiesti: ma come si chiama questa parte qui? La sneaker è scomponibile in diverse parti, ma la prima divisione che dobbiamo fare è quella tra la parte alta (upper) con quella bassa (lower).

Lace Guard

Tra le due, la più semplice da analizzare è la bassa dove troviamo la suola (sole) che si divide in midsole, outer sole, cioè quella parte della suola che va a contatto con il suolo e che quindi si trova fuori. Ora è il momento di analizzare l’upper della sneaker. Per motivi tecnici e per rendere tutto più comprensibile, andiamo a scomporre ulteriormente la nostra sneaker in zona anteriore e zona posteriore.

Toe box

Toe Mid Sole

Lace


La zona posteriore si caratterizza per il Lining, cioè la fodera o il rivestimento che va a creare una sorta di cuscino che avvolge il tallone e l’Heel della sneaker che non è altro che il tallone esterno di quest’ultima.

Sotto la zona linguetta abbiamo il logo del brand che ovviamente varia a seconda di quest’ultimo. Chiudiamo la nostra sneaker con il triangolo anteriore formato dal Toe-Box, Toe e Mudguard.

Chiudiamo la parte posteriore con il quarter che è la parte ai lati la cui funzione è proteggere le caviglie. Sempre sulla linguetta c’è un’altra componente conosciuta di forma ma non di nome. Questa componente l’abbiamo imparata a conoscere con l’AIR Force 1, e stiamo parlando del Lace Guard che possiamo tradurre in blocca lacci.

Il Toe Box e il Toe proteggono la punta del piede e infatti la chiamiamo entrambi, in Italiano, punta o puntale, il toe box è più soggetto a usure da piegamento, i famosi crease.

Tongue

Finiamo questo percorso con il mudguard, il “parafango” della nostra sneaker. Questa zona, infatti, in molte sneakers è realizzata in materiali più resistenti essendo la prima a sporcarsi.

Collar

Heel

Quarter Swoosh Back

Sole

Outer


Colora le tue

SNEAKERS

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1. IDEALIZZA 2. PRENDI DEI MARKER 3. INIZIA A COLORARE

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SNEAKERS 3020

Il mondo si evolve e con esso la tecnologia, le sneakers non sono da meno, una visione che viene dal passato, può diventare realtà..... Quando nel 1989 gli schermi dei cinema mostrarono Marty McFly mentre indossava delle futuristiche scarpe Nike che si allacciavano automaticamente è esattamente uno di questi momenti: si può non essere dei particolari fan di Ritorno al Futuro, ma quelle sneaker fantascientifiche sono entrate a far parte di una suggestione riconoscibile, desiderabile. L’idea di poter indossare realmente le Nike “Power Laces”, così come possedere altri dispositivi futuristici presenti nella trilogia di film, ha trovato velocemente la sua community di fan e Nike ha sviluppato per diversi anni una narrazione che ha associato il brand al successo di Ritorno al Futuro, sviluppando tra l’altro anche il progetto benefico NIKE MAG (una replica perfetta e a tiratura limitata delle scarpe di McFly è stata messa in vendita nel 2011 e riproposta dal 20 marzo 2016). La novità oggi è che da prodotto fantascientifico le scarpe self-lacing saranno acquistabili in un futuro molto prossimo. Nell’evento Nike’s Innovation tenutosi a New York il 16 marzo il brand ha svelato la sua visione del futuro dello sportswear, inaugurando la nuova Era of Personalized Performance. Tra l’evoluzione dell’app Nike+ (pensata ora come un vero e proprio personal coach) e del design di Nike Air e Flyknit e la nuova tecnologia pionieristica applicata alle scarpe da calcio, inutile dire che le star dello show sono state le Nike HyperAdapt 1.0.



NIKE HYPER ADAPT L’atteso lancio delle self-lacing sneaker è interessante da diversi punti di vista: quello tecnologico, di sviluppo di una nuova serie di prodotti e servizi connessi e di posizionamento rispetto al consumatore. Guardando alla meccanica delle HyperAdapt, il loro funzionamento si basa su sensori posti all’interno della scarpa capaci di registrare il peso e la posizione del piede per adattarvisi perfettamente, mentre dei pulsanti laterali permettono di aumentare o diminuire la pressione di chiusura della scarpa. Come suggerisce il numero 1.0 inserito nel nome, questa tecnologia rappresenta per Nike solo il punto di partenza per evolvere e completare l’ecosistema iper-personalizzato della sua offerta. Coerentemente con la decisione di rendere disponibili le HyperAdapt solamente ai membri di Nike+, la visione della compagnia è quella di sviluppare prodotti e applicazioni pensati per comunicare tra loro, con l’obiettivo dichiarato di migliorare le performance di atleti e sportivi. Quello che bisogna immaginare è un domani in cui le nostre scarpe potranno raccogliere dati biometrici che ottimizzeranno e personalizzeranno un intero ecosistema di wearable (dai braccialetti ai vestiti) firmati Nike.

Ma l’aspetto più interessante dello sviluppo delle HyperAdapt è forse nella differente soluzione che propongono nel nuovo scenario del rapporto tra brand e consumatori. Se tradizionalmente infatti il meccanismo alla base della creazione e promozione di prodotti e servizi è stato regolato dalla risposta o creazione di nuovi bisogni e desideri, rielaborare un’invenzione cinematografica di prodotto significa lavorare nel puro ambito dell’immaginario collettivo. Sostanzialmente l’opportunità, parzialmente colta da Nike, è quella di dare vita a un prodotto dotato già in partenza di una grande riconoscibilità e valore intangibile per i consumatori; un prodotto che nasce con un “product placement inverso”, dal mondo dell’entertainment alla vita reale.



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TAKASHI MURAKAMI L’arte pop giapponese che ha colpito il mondo Takashi Murakami è indubbiamente l’artista giapponese più famoso al mondo, star dell’arte contemporanea, pittore, scultore e anche regista. Un talento creativo che la rivista TIME nel 2008 ha definito il più influente rappresentante della cultura giapponese contemporanea.

Le sue opere sono state esposte nei musei più importanti di tutto il mondo – Los Angeles, Bilbao, Parigi, Francoforte tanto per citarne alcuni.


Takashi Murakami

La storia di è quella di un artista che si allontana dalle tendenze imposte all’Università per scoprire ed esplorare le infinite possibilità dell’Arte. Nato a Tokyo, studia pittura tradizionale giapponese presso l’Università d’Arte della città. In seguito si trasferisce a New York dove definisce un vero e proprio movimento d’arte,chiamato Superflat, attraverso il quale legge la realtà. Icona dei nostri tempi, Murakami deve il suo successo all’incontro con Nobuo Tsuji, rettore dell’Università Tama di Tokyo e direttore del Miho Museum della Prefettura di Shiga. Tsuji è, infatti, l’autore di un testo fondamentale senza il quale Murakami non avrebbe probabilmente mai sviluppato la sua teoria artistica. La volontà di esprimere un’identità culturale indipendente emerge anche dalla sua factory, che ha chiamato Kaikai Kiki. Questa è una vera e propria “industria dell’arte” dove lavorano circa un centinaio di artisti. Qui viene creato tutto quanto ruota attorno al mondo di Murakami, il cui nome ormai è diventato un brand che produce di tutto, dalle opere d’arte a oggetti di merchandising. In questo modo, afferma l’artista, l’arte trova il modo di arrivare a tutti e tutti ne possono godere.




Quadro rappresentante mr.Dob realizzato nel 2001.

MURAKAMI’S MR.DOB Il signor DOB ha fatto il suo debutto nelle belle arti con l’opera d’arte in acrilico su tela a tre pannelli intitolata 727 . Creata nel 1996, l’opera su larga scala misura 299,7 x 449,6 cm. In questo pezzo, il personaggio cavalca una rappresentazione tradizionale giapponese di un’onda oceanica, evocando i motivi trovati all’interno delle storiche stampe su legno del leggendario artista giapponese Hokusai (1760-1849). Secondo il Musem of Modern Art (MoMA) , Murakami ha realizzato il pezzo utilizzando quasi venti strati di vernice acrilica che ha raschiato via per creare le impressioni atmosferiche sullo sfondo - uno stile più osservato nella tecnica Nihonga che è stata prodotta già nel XIX secolo. “Il lavoro non è particolarmente rappresentativo di nulla. È semplicemente una combinazione di tutte le tecniche disponibili che avevo in quel momento ”, disse Murakami all’istituto in quel momento.


Figlio di un tassista e di una casalinga originari di Kokura, Murakami fonda la sua poetica sulla storia di questa città, diventata famosa per essere stata l’obiettivo di riserva scelto per il lancio della bomba atomica su Hiroshima prima e Nagasaki poi, nel caso ci fossero stati problemi di visibilità. Il tema della bomba atomica, ovvero della catastrofe imminente, non abbandona mai Murakami, che sembra trovare una via d’uscita a un mondo di cui si fatica a trovare il senso soltanto nei soggetti fantastici del mondo otaku. Per Murakami è proprio questa subcultura a lungo snobbata l’unica chiave di lettura possibile della realtà contemporanea giapponese. Ma la popolarità di Murakami è dovuta anche al legame con il mondo della musica e della moda. Nel 2007 Takashi ha realizzato la copertina dell’album Graduation di Kanye West, citata come una delle cinque migliori del 2007 da Rolling Stone. Celebre è la sua amicizia con Pharrell Williams, famoso cantante e produttore, con il quale ha collaborato per la realizzazione del video di “It Girl” (2014). Infine fondamentale nella sua carriera è stata la collaborazione con la maison Louis Vuitton per la quale ha disegnato una collezione di borse che ha spopolato ovunque nel mondo.

Fotografia scattata durante la fashion week di Parigi del 2014.


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JOE LA PUMA L’host di sneaker shopping parla della sua passione

Coveteur ha recentemente incontrato il direttore editoriale di Complex Joe La Puma per discutere argomenti tra cui le sue sneakers preferite in questo momento, la collezione di sneaker più pazza che abbia mai visto e come l’acquisto di scarpe da ginnastica sia cambiato nel corso degli anni. Come conduttore dello spettacolo interno di Complex Sneaker Shopping La Puma ha frequentato artisti del calibro di Chris Rock, Neymar Jr e Allen Iverson per citarne alcuni, ed è notoriamente un buon amico del fondatore di KITH Ronnie Fieg. Nell’intervista, La Puma parla delle sue abitudini di acquisto, di come tiene il passo con le uscite di sneaker e qual è il suo graal in questo momento. Inoltre, abbiamo appreso esclusivamente da Coveteur che La Puma ha persino acquistato un bot in passato per adattarsi alle difficoltà legate allo shopping di sneaker al giorno d’oggi: “Ne ho comprato uno, non capisco nemmeno come funzioni. Non so nemmeno quanto siano precisi. Non ci sono segreti. Devi conoscere davvero qualcuno o essere fortunato con una lotteria su una delle app “.

Joe La Puma durante un evento esclusivo a Parigi nel 2015.


INTERVISTA: Come ti sei innamorato delle sneakers e della cultura??

La migliore collezione di sneakers che tu abbia mai visto?

“Sono stato abbastanza fortunato che i miei genitori quando ero piccolo, mi procuravano delle buone sneakers, anche se erano solo un paio all’anno. Ricordo che nel 1991 avevo le Jordan 6 bianche e infrarosse, e ricordo il modo in cui mi hanno fatto sentire, e non importa quanti anni hai, senti ancora che ogni volta che qualcuno fa i complimenti alle tue scarpe da ginnastica “.

“Sicuramente la collezione DJ Khaled è folle. Il tetto della stanza è come i soffitti delle chiese. Ma la collezione di Chris Brown, che è un garage pieno di vestiti e scarpe da ginnastica non organizzati, è qualcosa che non ho mai visto prima. Sembra un mini mercatino delle pulci di anni e anni di sneakers e vestiti. Le sneakers letteralmente super rare sono ammucchiate su normali scarpe da ginnastica di rilascio generale e devi scavare e trovare. Era la collezione di sneaker più pazza che abbia mai visto in vita mia, onestamente. “

Perchè le sneakers sono così difficili da acquistare? Come sono cambiate la abitudini d’acquisto? “Lo shopping online è estremamente difficile. Penso che quello che sta succedendo, sia che le abitudini di acquisto sono passate da: quando ero più giovane, sarebbe stato uno a settimana o un Jordan ogni due settimane. Penso che ora le persone stiano risparmiando per quel graal mensile e stanno semplicemente accettando il fatto che dovranno pagare al dettaglio se vogliono davvero una scarpa da ginnastica “.

Qual’è il modo migliore per comprarle? “Devi essere veramente, veramente consapevole con chi stai trattando perché le truffe si verificano tutto il tempo. Ma penso che con eBay, Stock X, Stadium Goods, Flight Club, cose del genere, anche se è difficile ottenere cose il giorno del rilascio, se paghi un po ‘di più per un premio e sai che le sneakers saranno autentiche, per per me è molto meglio che incontrarsicon qualcuno.

Ce ne saranno mai abbastanza di collaborazioni? “Puoi parlarne all’infinito di questo argomento, perché le collaborazioni nascono ogni giorno. Come giudichi se sono troppe? Guarda con l’Air Max che Sean Wotherspoon ha progettato per l’ Air Max Day . È una collaborazione tra lui e Nike - è un ibrido di Air Max 97 e Air Max 1 - e le persone ne vanno assolutamente pazze. Collaborazione che c’è qualcosa per tutti. E Virgil? Con “The 10”, ha segnato un grande cambiamento nei lavori di design e progettazione delle sneakers in se.


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Questo Speciale è stato pensato per approfondire il tema della tecnologia all’interno del mondo delle sneakers. È un viaggio che tocca varie tematiche, partendo dalle fondamenta storiche e visoonarie di un film che ha segnato la storia, per poi arrivare ai tempi odierni con le più svariate tecnologie di progettazione e produzione del prodotto.

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