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David Foster Wallace La ragazza con i capelli strani Titolo originale The Girl with Curious Hair Traduzione di Francesco Piccolo Postfazione di Mattia Carratello
Einaudi Tascabili Stile libero
Copyright 1989 David Foster Wallace Copyright 1998 Giulio Einaudi editore s.p.a', Torino
Quando tutto è ironia, intrattenimento e spettacolo come si racconta il dolore? Le storie di Wallace, riconosciuto ormai come il piÚ grande talento della nuova scena letteraria Usa, aprono uno squarcio netto sulla vita americana, la sua durezza, il drammatico alternarsi di verità e finzione. Lo stile di Wallace, miscela sulfurea di alto e basso, fa piazza pulita di ogni minimalismo, come di ogni concessione mimetica alla violenza della vita. Basta a Wallace inseguire i deliri drogati di un rampollo wasp e del suo gruppo di amici punk fuori tempo, o ascoltare i discorsi di un
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allucinato Lyndon Johnson di fronte ai manifestanti pacifisti, o spiarlo mentre, nell'intimità di un rapporto con un giovane nero, si infrange la sua maschera di duro, per farci capire che nulla è come pretendere di essere, e che raggiungere la realtà è pura questione di scrittura e di stile. Rinnovando la grande tradizione degli scrittori postmoderni suoi maestri, Thomas Pynchon e Don Delillo, in particolare, i racconti di Wallace vanno al cuore del sentimento di un'epoca, ne sono al tempo stesso lo specchio e l'anima. Il suo è lo sguardo di chi cova l'amore per il proprio Paese, ritratto come un grande corpo stanco e ormai violato, di cui conosce palmo a palmo ogni ferita e che accetta, e fa proprio, con tenace e illusa malinconia.
David Foster Wallace è nato nel 1962 a Urbana, nell'Illinois. E' autore di due romanzi, Infinite Jest e The Broom of the Sistem. In Italia è uscito da Minimum fax un suo reportage dal titolo, Una cosa divertente che non farò mai più.
Per L'
Lyndon «Ehi, voi, laggiù. Qui c'è il vostro candidato, Lyndon Johnson.» Elicottero della campagna elettorale per il Senato degli Stati Uniti, 1954
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- Mi chiamo Lyndon Baines Johnson. E questo cazzo di pavimento che stai calpestando, ragazzo, è mio. Nella stanza c'era anche un assistente, in un angolo, un tipo magro magro con orecchie enormi, che lavorava su un lungo tavolo di legno di pino, e si agitava tra una telescrivente e alcuni ritagli di giornale: ma Lyndon ce l'aveva proprio con me. Eravamo negli anni Cinquanta e io ero giovane, sfacciato, senza pensieri. Cosí, spensierato, ero entrato in quell'ufficio, mi ero avvicinato alla sua scrivania, con le mani infilate nelle tasche del cappotto facendolo sventolare leggero. Stavo dritto, impalato, e guardavo il pavimento rosso scuro sotto i piedi. Ogni quadrato rosso aveva al centro una stella dorata. Lui si sporgeva oltre la scrivania verso di me. Sembrava un grande uccello predatore. - Mi chiamo Lyndon Baines Johnson, figliolo. Nel Senato degli Stati Uniti ho il posto di Senatore dello stato del Texas, Usa. Sono il ventisettesimo uomo piú ricco della nazione. Ho il piú grosso pisello di Washington e la moglie con il nome piú carino di tutte. Perciò non me ne frega niente delle conoscenze del paparino di tua moglie, devi stare composto davanti a questo Senatore, ragazzo. Ogni volta che alzavo la testa, lo vedevo con gli occhi fissi su di me sempre allo stesso modo. Sembrava tutto occhi, gli occhi di una persona minuta, intrappolati dentro la faccia rugosa aquilina sporgente di un grosso tranquillo uccello da preda. Era lo stesso sguardo che aveva nelle fotografie.
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Mi scusai nervosamente: - Mi dispiace, signore. Forse sono un po' teso. Ero lí fuori a compilare il modulo d'assunzione e tutt'a un tratto mi ritrovo qui dentro a parlare direttamente con lei, signore. Tirò fuori da qualche parte un inalatore e una scheda. Infilò l'inalatore in una narice, lo schiacciò e tirò su. Poi diede uno sguardo alla scheda. - «Tutte le persone che vogliono essere assunte negli uffici del Senatore del Texas devono sostenere un colloquio», - lo sto leggendo su questa scheda, ragazzo - «il colloquio può essere fatto da un qualsiasi funzionario, basta che abbia un incarico superiore a quello che potrà avere il potenziale assunto». L'ho scritto io. Non me ne frega niente delle conoscenze che ha la moglie del paparino di tua moglie tra i medici, io ho un incarico superiore a quello tuo potenziale, e quindi ti faccio il colloquio, ragazzo. Qualcosa in contrario? L'assistente con le orecchie enormi si era messo a lavorare su un altro giornale, stando ben attento a fare ritagli dritti e squadrati. - Un Senatore che fa il colloquio all'ultimo degli assistenti di un ufficio? - dissi. Sentivo in sottofondo voci indistinte, suoni lontani di telefoni, macchine da scrivere e telescriventi. Cominciavo a pensare di aver fatto domanda di assunzione per il lavoro sbagliato. Non avevo nessuna esperienza. Ero giovane, sfacciato. E il mio curriculum non diceva tutta la verità. - Deve essere un ufficio particolarmente serio, questo, - dissi. - Caspita se è serio, ragazzo. E il capo di questo bel mucchio di metri quadrati nel Dirksen Building ce l'hai davanti, è Lyndon
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Johnson. E un capo controlla, fa i colloqui e ricontrolla ogni cosa che dirige, se vuole fare bene il suo lavoro -. Fece una pausa. Prendi nota di quello che ho appena detto, ragazzo. Guardai verso il testone dell'assistente, ma quello era tutto concentrato ad attaccare con precisione lunghe strisce di scotch aiutandosi con un righello. - Aggiungici «colloqui preliminari», disse Lyndon. - Inserisci all'inizio della frase «colloqui preliminari», figliolo. I pori della pelle si dilatavano; tentavo di sistemarmi la giacca e il cappotto e intanto cercavo di far finta che quello fosse proprio il mio giorno fortunato, come se non avessi voluto fare altro nella vita che trascrivere gli aforismi di senatori fulminati dall'ispirazione. Ma Lyndon non si accorse di nulla; aveva girato la sua poltrona di pelle e continuava a pensare, rivolto verso la parete con la finestra, zeppa di foto firmate, onorificenze di ogni tipo, corna di toro senza testa che si toccavano come tenaglie, proprio dietro la grande scrivania. Lyndon si tormentò i denti con un angolo della scheda che aveva letto prima, poi girò la poltrona verso di me quel tanto che bastava per dirmi: - Se c'è una sola cazzo di possibilità che il culo di un qualsiasi ragazzino impaurito e incapace persino di abbottonarsi la giacca mi capiti tra i piedi nell'ufficio di questo perfetto Senatore degli Stati Uniti, che poi sarei io, sta sicuro che al culo di quel ragazzo il colloquio glielo faccio io di persona.
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Aveva il cranio lucido, nonostante fossimo negli anni Cinquanta. Dietro la testa c'era una specie di siepe di capelli. La testa aveva la forma di un pallone, era grande, come se racchiudesse un'enorme cavità cerebrale. Le sue mani erano gigantesche e piene di vene. Puntò lentamente un dito cosí grande che avrebbe potuto essere un braccio verso l'assistente magro: - Piesker, fammi aspettare ancora per la rassegna stampa e ti faccio fare il giro di tutto l'ufficio a calci in culo! L'assistente magro stava ritagliando un articolo dalla forma molto complicata con incredibile velocità. Mi schiarii la voce. - Potrei chiederle in cosa consiste il lavoro per il quale avrei compilato la richiesta, signore? Lyndon continuava a fissare la parete piena di foto e decorazioni con l'enorme finestra. Lí accanto sventolavano le bandiere degli Stati Uniti e dello stato del Texas. Fuori dalla finestra si vedeva il marciapiede, un poliziotto, una strada, qualche albero, una cancellata nera di ferro decorata con punte che sembravano cuoricini piantati al contrario. Piú in là si vedeva il verde acceso e il bianco sfavillante del Campidoglio. Lyndon tirò su un'altra volta dall'inalatore. Il flaconcino fischiò leggermente. Io aspettavo, in piedi, mentre lui esaminava controluce il modulo che avevo compilato. - Questo ragazzo si chiama David Boyd. Qui c'è scritto che vieni dal Connecticut. Dal Connecticut? - Sí, signore. - Ma il padre di tua moglie non è Jack Childs?
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Annuii. - Che cazzo, parla, Boyd! Black Jack Childs, dei Childs di Houston? E la signora Childs e la mia adorata mogliettina hanno lo stesso medico laggiú nel Texas, no? - Cosí mi è stato riferito, signore. Girò la poltrona verso di me, senza rumore, giocando di nuovo con il suo regolamento, passandoselo sulle labbra mentre continuava a esaminare il modulo. - Qui c'è scritto che hai frequentato la facoltà di economia a Yale e poi l'hai abbandonata, è vero? - E' cosí, signore. Sono andato via da Yale. - Anche Yale sta nel Connecticut? - disse pensieroso. Continuavo a sventolare il cappotto con le mani in tasca. - Sí -. Poi dissi: - Per essere sincero, signore, mi hanno chiesto di andare via. - A Yale hai conosciuto la bambina di Jack Childs? Sei stato travolto dal vortice della passione? Hai buttato all'aria gli studi in nome dell'amore? Ammirevole. Proprio come me -. Portava un paio di stivali, grossi stivali che ora luccicavano sulla scrivania. Gli occhi piantati in mezzo a quella faccia guardavano un punto lontano. - L'hai fatto per sposarti? Sei andato via da Yale per questo? - Signore, in tutta onestà mi hanno chiesto di andare via. - A Yale che sta lassú nel Connecticut hanno chiesto a te di andare via? - Sí signore.
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A quel punto ho visto che arrotolava il modulo e se lo infilava nell'orecchio, quanto piú poteva, cercando qualcosa, lo sguardo perso nel vuoto. «Il futuro sarà completamente diverso dal presente.» Discorso all'Associazione della Stampa, Washington, D.C', 17 aprile 1959 «Il Presidente è un uomo infaticabile.» Un membro del Governo, 1965 «Il Presidente è un uomo prudente.» Un membro del Governo, 1964 «Dubito che Lyndon Johnson abbia mai compiuto un'azione impulsiva nella sua vita, è sempre stato un uomo prudente, giudizioso.» L'Onorevole Sam Rayburn, 1968 - Sono stato imprudente, - dissi a Lyndon. - Ho fatto cose imprudenti, e mi hanno chiesto di andare via. Lyndon guardava Piesker e poi l'orologio, Piesker e poi l'orologio. Piesker, l'assistente, piagnucolava mentre raccoglieva i fogli sul lungo tavolo di solido legno di pino davanti a un quadro con un bosco e colline marroni e un fiume secco sotto un cielo azzurro. - Quelli di Yale mi hanno chiesto di andare via, - dissi, - ecco perché il mio diploma è quello che è. Stava sempre lí davanti a me, ma dava la sensazione che quel che diceva fosse da una parte una risposta a me, dall'altra una
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riflessione che riguardava lui solo. - Io da parte mia, - disse, - ho tenuto il culo ben lontano da tutti i college. Ho lucidato scarpe in un salone di barbiere. Ho venduto cosmetici rassodanti porta a porta. Ho fatto l'apprendista tipografo in un giornale. Ho fatto perfino il pastore di capre, per un amico, un'estate -. Lo vidi per la prima volta fare quella faccia. - Cristo, detesto la puzza di capra, - disse. - Cristo santo. Hai mai annusato una capra, ragazzo? Feci del mio meglio per scuotere la testa in segno di rammarico. Vorrei tanto poter ricordare la faccia che aveva fatto. Ma mi veniva da ridere nonostante facessi di tutto per trattenermi. Il suo viso si era sgonfiato come una tenda senza i picchetti, mentre gli occhi ruotavano all'indietro. La mia risata divenne sfacciata e isterica: non sapevo piú come fermarla. Ma Lyndon sorrise. Ancora non mi era stato permesso di sedermi. Stavo su quel maestoso pavimento rosso, separato da Lyndon e dai suoi stivali da chilometri di legno consumato di scrivania. - Al massimo, avrai sentito parlare della puzza di capra, - disse sovrappensiero. - Sí, qualcosa che ha che fare con il vino, misto a quella tipica puzza di animali, ecco, sono sicuro che... Ma improvvisamente si drizzò sulla poltrona, come se si fosse ricordato di qualcosa di importante e di grave. Il suo scatto fece cadere le forbici dalle mani di Piesker. Si sentí un gran fracasso. Lyndon mi squadrò dalla testa ai piedi.
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- Merda, figliolo, non dimostri piú di vent'anni. «Ricordatevi, uno dei segreti di Lyndon Johnson è che è un perfezionista - un perfezionista nell'arte piú imperfetta del mondo: la politica. Ricordatevi soltanto questo.» Un sostenitore anziano, 1960 Alla fine fui costretto a sedermi. La mia schiena cominciava a essere dura come quella di una statua. Me ne stetti seduto in un angolo dell'ufficio di Lyndon per quattro ore quel freddo giorno di primavera. Lo osservai divorare un intero pacco di importanti articoli, selezionati, ritagliati e raccolti da Piesker dai giornali piú prestigiosi di tutta la nazione. Vidi entrare e uscire assistenti e collaboratori. Sembrava che Lyndon avesse dimenticato che ero lí, su una sedia enorme, in un angolo, con il cappotto tirato su fino alla vita poggiato sulle gambe, e lo guardavo. Lo guardavo mentre leggeva, dettava, firmava e poi ricominciava da capo. Lo guardavo mentre faceva finta di non sentire che il telefono squillava. Mi meravigliai del fatto che il telefono di un uomo cosí importante squillasse raramente. Lo ascoltai parlare con Roy Cohn per venti minuti di fila senza mai rispondere alla domanda che gli aveva fatto Roy Cohn, e cioè se secondo lui Everett Dirksen poteva permettersi di essere comprensivo con quelli che si mostravano comprensivi nei confronti del comunismo. Lyndon girò gli occhi verso il mio angolo solo una volta, nell'attimo in cui accesi una sigaretta, mostrando i denti fino a quando non la schiacciai dentro un contenitore di ceramica poggiato a terra, pregando Dio che si trattasse di un posacenere. Vidi il Senatore ricevere una personalità che parlava con
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un raffinato accento italiano e che era venuto per discutere dell'importazione di cotone texano nel Mercato Comune, li vidi accomodarsi uno di fronte all'altro su due poltroncine al centro del lucido pavimento rosso, e bere caffè nero da tazzine delicate complete di piattino e cucchiaino, portate dalla segretaria personale di Lyndon, Dora Teane, una donna con un trucco pesante ma senza sopracciglia, con un viso gentile e un rotolo di grasso in vita. Vidi Lyndon poggiare il cucchiaino sottile nella tazza, portare casualmente la mano verso il basso per raggiungere l'inguine e spostare leggermente i calzoni mentre continuava a discutere con l'ospite di prodotti tessili, di democrazia e della salute della lira. Nell'ufficio la luce si affievolí fino a diventare rossa. Probabilmente stavo per addormentarmi, quando sentii all'improvviso:- Ehi, tu nel mio angolo. - Non startene lí seduto con le mani in mano, ragazzo -. Lyndon parlava srotolandosi le maniche della camicia. Eravamo soli. - Vai a parlare con la signorina Teane, là fuori. Comincia a orientarti. Se vedo un ragazzo disorientato tra i dipendenti di Lyndon Baines Johnson, il culo di quel ragazzo si ritroverà sul marciapiede in un baleno. - Sono stato assunto, allora? Il colloquio è finito? - chiesi, in piedi, sull'attenti. Lyndon non mi stava a sentire. - L'uomo che ha inventato le convocazioni di sedute straordinarie del Senato degli Stati Uniti d'America, quell'uomo è lo stesso uomo che accudiva il
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gregge di capre, - e intanto prendeva con cura la giacca e se la infilava con movimenti eleganti. Si abbottonò i polsini mentre attraversava la stanza, con passo danzante, con i tacchi che risuonavano. Lo seguii. Si fermò davanti alla porta e guardò il suo cappotto, sull'appendiabiti. Poi guardò me. Il legno dell'appendiabiti era intarsiato come la porta dell'ufficio. Tenni il cappotto di Lyndon mentre se lo infilava, aggiustandosi il bavero con un colpo secco. - Posso sapere esattamente per cosa sono stato assunto? - chiesi, indietreggiando per fargli spazio mentre si girava per guardarsi allo specchio. Lyndon guardò l'orologio. - Sarai l'addetto alla posta. Non mi misi ad analizzare la questione. - Non è una cosa un po' inutile, qui? - Consegni la posta, ragazzo, - disse, girando la maniglia della porta. - Sarai capace di consegnare lettere per questo ufficio, no? Lo seguii tra i rumori e le luci fluorescenti degli uffici. C'erano archivi e scrivanie e Atti del Congresso e macchine da scrivere grigie. Le luci forti e bianche proiettavano la sua ombra su ogni scrivania cui passava accanto.
- Il Senatore attribuisce estrema importanza al costante dialogo con i cittadini e con gli elettori, - mi stava dicendo Dora Teane. Mi consegnò una scheda prestampata. L'intestazione era in neretto e parlava di direttiva per rispondere nello stesso giorno. - E' un
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vademecum per il personale nel quale si dispone che qualsiasi lettera il Senatore riceva, deve ottenere una risposta che va rispedita nello stesso giorno -. Mi mise una mano sul braccio. Sentii un leggero odore di tavola calda. La scheda era piena di istruzioni numerate, dalla grafia appuntita e quasi infantile. Sicuramente non era stata scritta da una segretaria. - Questo, - la signorina Teane indicava la scheda, - è un regolamento innovativo per l'ufficio di un Senatore. Mi mostrò la stanza della posta nel seminterrato del Dirksen Building, le cassette, le borse per i portalettere, i sacchi postali. Lyndon Johnson riceveva un mare di lettere tutti i giorni. «Sono uno che fa compromessi e stratagemmi. Perché cerco di concludere qualcosa. E' così che funziona il sistema negli Stati Uniti.» «New York Times», 8 dicembre 1963 Io e Margaret trovammo un appartamento carino in T Street. Cosí la mattina potevo andare a piedi al Dirksen Building. Margaret, che aveva sia lo spirito di iniziativa sia la macchina, trovò un lavoro part-time come insegnante di corsi di recupero a Georgetown. Divenni subito amico di un bel po' di giovani impiegati che arrivavano a Washington da tutti i college della East Coast. In particolare frequentavo il timido, garbato addetto stampa di un altro Senatore del sud che aveva gli uffici nel palazzo. Peter, che restò quattro mesi, aveva quei modi meravigliosi tipici della Carolina e amava la
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discrezione, come me. E intanto consegnavo lettere. Tre volte al giorno, svuotavo cassette postali, ceste di telegrammi, sacchi consumati pieni di posta, e infilavo tutto dentro capienti carrelli che facevo scorrere sul pavimento di pietra grigia del seminterrato fino all'ascensore da carico, e arrivavo su nel labirinto intricato degli uffici di Lyndon. Smistavo la posta in una stanza che odorava perennemente di ciclostilati. Dovevo capire velocemente che genere di lettere fossero e a chi darle per la risposta. Dovevo conoscere bene tutti gli impiegati di Lyndon, i ricercatori, gli assistenti, le segretarie e gli addetti alle pubbliche relazioni, fino all'intero staff dei collaboratori stretti: Hal Ball, Dan Johnson, Walt Peltason, Jim Johnson, Cobt Donagan, Lew N. Johnson, Dora Teane e la sua squadra di dattilografe - tante graziose donne del sud, profondamente inquiete, lavoratrici, devote al collegio elettorale del Texas, al Partito Democratico, e unite da un complesso e simultaneo sentimento di negazione di paura, avversione, disprezzo, e soggezione e lealtà fanatica verso Lyndon Baines Johnson. «Tutte le sere, quando vado a dormire, mi chiedo: cosa abbiamo fatto oggi che può provare alle future generazioni che abbiamo gettato le fondamenta per un mondo migliore e senza sofferenze, fatto di pace e benessere?» Conferenza stampa, Casa Bianca, 21 aprile 1966 «Oh, poteva essere un vero bastardo. Era capace di diventare una
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bestia, lo sapevano tutti. Capace di nascondere le graffette sul pavimento sotto la scrivania per mettere alla prova il custode notturno. Capace di urlare come un pazzo. Un giorno era gentile con tutti e il giorno dopo strillava e sbraitava insultando te e tutta la tua famiglia, nel linguaggio più volgare che esista, davanti ai tuoi colleghi. Noi ci eravamo abituati, e avevamo smesso di sentirci in imbarazzo quando succedeva, perché una volta o l'altra era capitato a tutti. Tranne che al signor Boyd. Noi avevamo una strategia per restare lontani dal raggio di azione del Vice Presidente. Certe volte era capace di rimanere in collera per giorni. Ma era una collera innocua. Però serviva a tenerci sempre in allarme. Si aggirava negli uffici come un predatore in cerca di una preda. Non sapevi mai quando, o dove, o chi avrebbe colpito. Era collera. Non era un ambiente di lavoro sereno, signore. Eravamo tutti terrorizzati la maggior parte del tempo. Tranne il signor Boyd. Il signor Boyd, signore, non ha mai ricevuto in pubblico una parola spiacevole dal Vice Presidente fin dal primo giorno che è stato assunto, quando il Vice Presidente era ancora Senatore. A quel tempo noi pensavamo che il signor Boyd fosse un suo parente stretto. Devo in ogni caso ammettere che il signor Boyd non ha mai approfittato della sua immunità dagli attacchi d'ira del Vice Presidente. Certo che ne ha fatta di strada per diventarne l'assistente, dall'addetto stampa che era. Per carità, lui ha lavorato sodo come chiunque di noi, signore, ed è stato rispettoso verso il Vice Presidente quanto
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può essere rispettoso un uomo verso un altro uomo. Ma questa è soltanto l'opinione di una dattilografa, naturalmente.» Dattilografa dell'ufficio di Lbj, novembre 1963 La verità viaggiava alla solita velocità con cui la verità viaggia di solito negli uffici, nel Palazzo, nel quartiere. Io ero un omosessuale. Ero stato omosessuale a Yale. Nell'ultimo anno prima di iscrivermi al corso di economia del college, avevo conosciuto e ero diventato intimo di uno studente di Yale, Jeffrey, un ragazzo ricco di Houston, Texas, molto bello, spesso premuroso, triste ma anche passionale, possessivo, e soggetto a periodici attacchi di depressione cosí gravi che era costretto a prendere farmaci. E avevo capito che erano i farmaci a renderlo cosí triste. Il mio amante Jeffrey frequentava un gruppo di ragazzi dell'alta società texana, un po' imbalsamati ma simpatici, tra i quali c'era Margaret Childs, una bella ragazza alta e con le spalle larghe, che a un certo punto decise, non so per quale motivo, di essere innamorata di me. Cominciò a perseguitarmi. Io la evitavo usando tutte le scuse plausibili. Semplicemente: non mi interessava. Ma Jeffrey diventava sempre piú inquieto. Mi disse chiaramente che i suoi amici non sapevano che era omosessuale, e che non lo dovevano sapere. Allo stesso tempo mi costrinse a evitare del tutto Margaret, ma la cosa non era facile: Margaret era incontrollabile, intelligente quanto basta per essere perennemente annoiata, e cominciò a non vederci chiaro, a insospettirsi delle manovre di Jeffrey (abbastanza subdole)
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per tenermi lontano da lei. Sentí l'odore irresistibile del melodramma, e cominciò la caccia. Jeffrey divenne geloso come solo un maniaco può esserlo. Durante il mio primo anno al college, mentre ero in giro a cercare le solite palle da golf da regalare a mio padre per Natale, Jeffrey e Margaret fecero una piazzata di quelle tragiche in un caffè di New Haven. Pare che Jeffrey salisse sul bancone dei dolci. Cosí, certe notizie riservate diventarono pubbliche. Alcune arrivarono alle orecchie dei miei genitori, che erano amici dei genitori dei miei due compagni di stanza. I miei genitori si presentarono in carne e ossa al campus di Yale. Nevicava. A cena con i miei genitori e i miei compagni di stanza, da Morty's, Jeffrey era cosí agitato che dovettero portarlo in bagno per calmarlo. Mio padre tamponava la fronte di Jeffrey con fazzoletti di carta inumiditi, in una stanza gelida. Jeffrey non la smetteva di dire a mio padre quanto fosse gentile. Mentre i miei genitori stavano per partire - avevano le mani letteralmente aggrappate alla maniglia delle porte del treno -, mio padre, sotto la neve, si decise a chiedermi se per caso le mie preferenze sessuali stessero sfuggendo al mio controllo. Mi chiese se, qualora avessi trovato la donna giusta, sarei stato in grado di avere un amore eterosessuale, di sposarmi e avere una famiglia e una posizione dignitosa all'interno della società. Queste, spiegava mio padre, erano le uniche cose importanti che lui e mia madre si auguravano per me, il loro unico figlio, che amavano piú di ogni altra cosa al mondo. Mia madre stava zitta. Ricordo lo sforzo che
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facevano per avere un'aria distaccata mentre io parlavo con affanno cercando di spiegare perché non avrei potuto fare e quindi diventare ciò che mio padre voleva che diventassi, mentre invocavo la loro comprensione verso la mia diversità, sostenendola con gli argomenti disponibili negli anni Cinquanta, imprecando contro una sorta di dio degli ormoni cosí come uno sciamano impreca contro gli spiriti della natura per un raccolto mancato. Mio padre continuò ad annuire per tutto il tempo di quella seria e civile conversazione mentre mia madre era concentrata a cercare chissà cosa nella borsa. Quando non mi presentai a casa il weekend successivo, mio padre mi mandò un biglietto, mia madre un assegno e qualcosa da mangiare avvolto in carta d'alluminio. Li vidi soltanto un'altra volta prima che mio padre morisse di un male improvviso. Decisi di abbandonare Jeffrey, e in questa scelta mi fu vicina la determinata, irriducibile Margaret Childs. Purtroppo Jeffrey vide, in tutto questo, buone ragioni per togliersi la vita, e lo fece in un modo particolarmente crudele; e lasciò, sul tavolo che stava sotto i tubi del riscaldamento a cui fu trovato appeso, una nota - una specie di documento - accuratamente battuta a macchina, piena di verità assolute concatenate a vere e proprie invenzioni: quanto bastò all'amministrazione della facoltà di economia di Yale per chiedermi di andarmene. Alcune settimane dopo la veglia funebre di mio padre, sposai Margaret Childs, sotto un albero di mesquite, con gli occhi blu di mia madre che mi squadravano sotto il cielo di Houston, e una sequenza di giuramenti, promesse, rifiuti, giudizi e compassione che andavano molto al di là di quanto richiesto dai
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rituali del ministro battista dei Childs. La verità, sulla quale non si può aggiungere molto oltre ciò che è stato già detto, e che in seguito si diffuse negli uffici del Senatore, e nei palazzi Dirksen e Owen, e al circolo di fanteria di Capitol Hill dove da veri gentiluomini evitarono di infierire, portò a una serie di conseguenze che si conclusero con il fatto che il padre di Margaret, il signor Childs, che era meno ricco dei veri potenti secondo gli standard del Texas nel 1958, ma con una certa influenza politica che lo legava direttamente ad alcuni Senatori degli Stati Uniti, fece un gesto esemplare, che voleva essere il tipico esempio del bastone e della carota, e scaraventò suo genero in una di quelle sfere di influenza costringendomi a entrare con una mano avanti e l'altra dietro negli uffici di un vecchio Senatore già affermato ma ancora in ascesa, strano e ingegnoso, probabile candidato democratico alle successive elezioni presidenziali. Lyndon. Io classificavo e consegnavo la posta. Le lettere normali, quelle ufficiali, la posta importante e le lettere intestate venivano consegnate tutte nelle mani di uno degli otto consiglieri e assistenti piú vicini a Lyndon. La posta proveniente dal Senato andava a uno dei tre assistenti dell'amministrazione. Tutte le buste con indirizzo a mano - automaticamente classificate come lettere degli elettori - venivano ripartite dalla signorina Teane e da me tra segretarie, praticanti, dattilografe, e qualsiasi altro impiegato dell'ultimo livello. Il fatto era che queste lettere degli elettori, queste Voci del Popolo, piene di invettive o
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adulazioni o richieste di petizioni per risarcimenti o possibili guadagni, erano tante, troppe, molte piú di quante il personale dell'ultimo livello riuscisse a smaltirne in un giorno. Allora scrissi, ed ebbi l'approvazione per farlo, una serie di lettere di risposta preconfezionate, che però sembravano del tutto personalizzate, e che rispondevano ad alcuni temi ricorrenti; eppure continuavamo a restare indietro rispetto alla direttiva per rispondere nello stesso giorno. Il lavoro arretrato diventava minaccioso. Cominciai a rimanere in ufficio fino a tardi, telefonando a Margaret e Peter per dire di tenermi fuori dai programmi serali, per poter lavorare alle risposte del Senatore a ognuna di quelle voci del popolo. Mi piaceva la quiete della sera negli uffici, con la lampada accesa e sullo sfondo la musica delle cicale a intervalli regolari. Gli impiegati che avevano a che fare con le lettere cominciarono ad apprezzarmi. Una dattilografa cominciò a portarmi fette di pandolce di banana. La cosa migliore era che avevo il permesso di bere il caffè nero e amaro tipico del Texas orientale preparato dalla signorina Teane; lei lasciava cadere nella mia tazza le gocce bollenti dalla macchinetta del caffè, mentre riordinava la scrivania, ed erano gocce rotonde e pesanti, e intanto spegneva le luci e le macchine. Quelle sere in ufficio erano deliziose. E in quelle sere, la maggior parte delle volte anche le luci dell'ufficio di Lyndon filtravano dalla fessura della grande porta. Certe volte riuscivo a sentire il suono lontano del transistor che accendeva quando restava solo. Raramente lasciava l'ufficio prima delle dieci, a volte faceva anche piú tardi: si buttava il cappotto
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sulle spalle, e qualche volta lo sentivo parlare con qualcuno che non c'era, altre volte lo sentivo correre per poi frenare bruscamente e scivolare lungo il pavimento liscio dei corridoi, senza mai guardare nella mia direzione mentre leggevo lettere sgrammaticate scritte a mano, mettendone alcune in evidenza per la signorina Teane, decidendo quali delle risposte preconfezionate sarebbero state adatte per alcune delle altre, apponendovi il timbro del Senatore, e ancora inumidendo, legando, misurando, ammucchiando, fumando. E una sera alzai lo sguardo verso un'ombra sottile e lo vidi lí, piantato davanti alla scrivania nel grande ufficio vuoto, perplesso, come se per lui fossi uno sconosciuto. In effetti non ci eravamo quasi piú parlati da quel primo colloquio di quattro mesi prima. Stava lí, con il cappotto sportivo buttato sulle spalle, incredibilmente alto, leggermente piegato verso di me. - Che cazzo ci fai qui, ragazzo? - Sto finendo di sistemare le ultime lettere, signore. Guardò l'orologio. - E' mezzanotte, figliolo. - Anche lei lavora sodo, Senatore Johnson. - Chiamami signor Johnson, ragazzo, - disse Lyndon, tentando di infilare di nuovo l'orologio nel taschino. - Puoi continuare a chiamarmi signore. Accese un'altra lampada e si sedette con fatica dietro la scrivania di Nunn, un praticante estivo che veniva dalla Tufts. - Questo non è il tuo lavoro, ragazzo -. Guardò le pile di fogli che avevo già preparato. - Ti paghiamo per fare questo?
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- Qualcuno lo deve fare, signore. E io sono un grande ammiratore della direttiva per rispondere nello stesso giorno. Lui annuì, compiaciuto: - L'ho scritta io. - Credo che il suo rispetto per queste lettere sia da ammirare, signore. Si fece pensieroso, poi fece schioccare le labbra. - Non credo che si possa tenere un ragazzo con gli occhi arrossati a leccare posta tutta la notte senza un compenso adeguato. - Qualcuno lo deve fare, signore, - dissi. Che poi era la verità. - Queste sono le parole su cui si basa la mia vita, figliolo, disse, piantando uno stivale sulle carte di Nunn, aprendo una o due buste, dando un'occhiata. - Ma diamine, ce ne fossero di mogli con un po' di cervello che lascino i mariti fuori fino a tardi, fino a mezzanotte. Guardai il mio orologio, poi guardai verso la pesante porta dell'ufficio di Lyndon. Lyndon sorrise per la mia espressione. Sorrise con gentilezza. - Io porto la mia signora Claudia «Lady Bird» Johnson qui, - disse, dandosi dei colpetti sul petto, appena sopra la cicatrice del bypass che gli avevano applicato di recente (aveva mostrato quella cicatrice a tutto l'ufficio). - Proprio come la mia Bird porta me nel suo cuoricino. Tu dedichi la tua vita ad altre persone, metti la tua capacità fisica, la tua mente, la tua intelligenza al servizio della gente, e allora tu e tua moglie dovete essere l'uno nel cuore dell'altra, non importa quanto siate lontani, o distanti o soli -. Sorrise di nuovo, facendo una smorfia mentre si grattava un braccio.
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Lo guardai da dietro la pila alta un metro di posta ufficiale. - Lei e la signora Johnson sembrate una coppia molto fortunata, signore. Lui distolse lo sguardo. Si infilò gli occhiali. Le sue lenti erano fatte in modo strano, avevano il colore dell'acqua, sembrava che all'interno ci fosse un liquido. - La mia Lady Bird e io siamo stati fortunati, è vero. Siamo fortunati. - Penso che lo siate, signore. - Cristo, se lo siamo -. Guardò oltre la pila di posta. - Cristo, se lo siamo. Quella notte restammo lí a rispondere alle lettere per ore, quasi sempre in silenzio. Poi, prima che la luce laggiú intorno al Monumento si facesse color malva e la nebbia dell'alba avvolgesse il Campidoglio, mi accorsi che Lyndon mi fissava, ricurvo com'ero nel mio completo sbottonato, mi fissava e annuiva e diceva qualcosa, a voce troppo bassa per poterlo sentire. - Mi scusi, signore. - Dicevo di continuare cosí, ragazzo, questo è tutto. Continua cosí. Io ho fatto cosí. Tu devi fare cosí. - Potrebbe spiegarsi meglio, signore? - Lyndon Baines Johnson non si spiega meglio. E' una mia regola, e l'ho sempre trovata conveniente. Non mi spiego mai meglio. La gente non crede a quelli che vogliono spiegarsi meglio. Scrivilo, ragazzo: «mai spiegarsi meglio».
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Si alzò lentamente, appoggiandosi alla piccola scrivania di metallo di Nunn. Io presi il mio taccuino e la penna mentre lui si stirava le pieghe del cappotto. «Non ho mai conosciuto un uomo con un bisogno di amore tanto profondo come Lb.» Un vecchio impiegato, 1973 «Non sopportava di stare da solo. Voglio dire che veramente lo detestava. Entravo nel suo ufficio mentre se ne stava seduto da solo alla sua scrivania, e anche se non si può dire che fossi uno di quelli che lui amava vedere, i suoi occhi si rasserenavano... Aveva una piccola radio tascabile, una radiolina a transistor, e qualche volta sentivamo che la accendeva, lì nel suo ufficio, mentre lavorava da solo. Voleva che ci fosse sempre un po' di rumore. La voce di qualcuno che parlasse con lui o un po' di musica. Ma non era un uomo triste. Non voglio darvi questa immagine di lui. Kennedy era un uomo triste. Johnson era solo un uomo esigente. Tutto quello che dava, voleva che in qualche modo gli fosse reso. E sapeva di essere fatto così.» Chip Piesker, ex assistente alla ricerca, aprile 1978 Cominciai a sbrigare molto del mio impegnativo lavoro nell'ufficio di Lyndon, sul pavimento rosso, tra le stelle. Sceglievo e catalogavo e rispondevo alle lettere in un angolo, poi sul lungo tavolo di pino quando Piesker fu mandato a raccogliere la rassegna stampa quotidiana di Lyndon alla mia scrivania. Rispondevo a un numero sempre maggiore
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di lettere personali. Lew N. Johnson sosteneva che io avevo un tocco speciale, originale. La signorina Teane cominciò a sottopormi questioni, lei a me, invece del contrario. Lyndon spesso mi chiedeva di prendere appunti per suo conto - di pensieri, modi di dire, cose da ricordare. Mostrava, fu cosí anche in seguito, una vera passione per la retorica. Mi chiedeva di dare un'occhiata al taccuino che portavo con me, e ripassava alcune cose. Si candidò alle primarie del 1960 mentre era ancora Senatore. La sua determinazione a non volersi sottrarre ai doveri del Senato voleva dire che realisticamente non avrebbe potuto andare oltre le primarie. Ma i suoi uffici nel Dirksen Building triplicarono il personale e diventarono una specie di quartier generale militare. Io prendevo ordini direttamente da Lyndon o da Dora. La posta diventava ogni giorno piú importante. Feci una propaganda elettorale a tappeto attraverso le lettere, nella campagna del 1960, lavorando con pubblicitari e addetti alle analisi demografiche. Assistenti e impiegati e amici e rivali e colleghi entravano e uscivano, entravano e uscivano. Lyndon odiava il telefono. Dora Teane gli passava solo le telefonate piú urgenti. Quelli che conoscevano bene Lyndon venivano di persona per «le chiacchiere» che spesso determinavano la fine o l'inizio di una carriera. Venivano davvero tutti. Humprey sembrava il guscio vuoto di una locusta. Kennedy sembrava la pubblicità di qualcosa che non desideri, ma che poi finisci per comprare. Sam Rayburn mi faceva venire in mente un cespuglio trascurato. Nixon sembrava la caricatura di Nixon. John
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Connally e John Foster Dulles non sembravano proprio niente. I capelli di Chet Huntly sembravano finti. De Gaulle era semplicemente assurdo. Jesse Helms era falso e gentile. A chiunque dovesse stare ad aspettare qualche minuto, portavo la scura bevanda magica della signorina Teane. A volte restavo a chiacchierare per un po' con il visitatore. Trovai utile il francese che avevo appena imparato, per fare due chiacchiere col generale.
Margaret Childs Boyd, mia moglie da quasi due anni, aveva trovato nella lavatrice, all'inizio del nostro periodo in T Street, i miei boxer «ignominiosamente macchiati» - sono le sue parole. Minacciò di dire al signor Jack Childs, che ora stava a Austin, che i complicati e filosofici accordi prematrimoniali, a lungo dibattuti, sembravano andati a monte. Lei era entrata in rapporti, che non vedevo di buon occhio, con un disegnatore satirico del sindacato che ritraeva Lyndon curvo come un punto interrogativo e con la faccia da bassotto. Margaret amava, a parte gli esercizi sessuali piú classici e ripetitivi, bere birra d'importazione. Le era sempre piaciuta la birra - la prima immagine che associo al suo nome è di lei con un boccale di birra olandese in mano sullo sfondo delle luci di New Haven - ma ora ci stava dando dentro con entusiasmo sempre maggiore. Beveva col disegnatore, con i colleghi dei corsi di recupero, con le altre vedove elettorali. Quando era ubriaca, mi accusava di avere una storia con Lyndon Johnson. Una volta mi chiese se alcuni dei miei boxer macchiati dovessero essere conservati intatti per i posteri. Io andai a prepararle una di quelle bevande forti che si prendono nel
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Texas orientale e mi chiusi in camera, dove me ne stavo spesso a lavorare fino alla mattina su itinerari, lettere, indirizzi, organizzazione e riscrittura di alcune delle proposte degne di essere stampate e sulle note da aggiungere ai discorsi. In quel periodo entrai a far parte dello staff dei collaboratori stretti di Lyndon. Prendevo uno stipendio generoso, che mi serviva a mantenere il mio nuovo compagno, M. Duverger, un giovane imparentato con l'ambasciatore haitiano negli Stati Uniti, in un delizioso, elegante appartamento esclusivo che sembrava fatto apposta per noi. Anche Duverger era orgoglioso del ritratto firmato dal Vice Presidente e dalla signora Johnson che io avevo appeso, con il suo permesso, in una delle nostre stanze. «E allora non parliamo soltanto per fare gli spacconi. Andiamo a parlare con i nostri parenti, gli zii, i cugini, e le zie, andiamo a fare il nostro dovere il tre novembre e votiamo per il Partito Democratico.» Discorso agli alunni dell'ultimo anno della Chesapeake High School, Baltimora, Maryland, 24 ottobre 1960 «Allora ditegli che quel che farete è semplicemente andare lì e dire «con Lbj fino in fondo». Le vostre madri e i vostri padri e i vostri nonni, alcuni di loro lo dimenticheranno. Ma io conto su voi
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giovani, voi che dovrete combattere le nostre guerre, e che dovrete difendere questo paese, e che sarete annientati se avremo un disastro nucleare - io conto su di voi che dovete avere fiducia nel futuro, conto su di voi affinché vi alziate presto e incitiate le vostre madri e i vostri padri ad alzarsi presto anche loro, per andare a votare.» Discorso alle classi del quarto anno della scuola elementare di Mansfield, Ohio, 31 ottobre 1964 «- Boyd e Johnson? Non ce n'era uno di noi che potesse davvero affermare di capire i rapporti che Dave aveva con Lbj. Non sapevamo che tipo di ascendente il ragazzo avesse su Johnson. Ma sapevamo che aveva un ascendente. - Questo è sicuro. - Ma funzionava anche al contrario, mi pare. Voglio dire Boyd venerava quel diavolo di Lbj. - Non so se «venerava» è la parola giusta. - Lo amava? - Adesso non ricominciamo, ragazzi. Quei pettegolezzi, sapevamo che erano soltanto false dicerie, anche allora. Di omosessuale, nel corpo di Lyndon Johnson, non ce n'era nemmeno un'unghia. E poi lui amava Lady Bird di un amore davvero bestiale. - Hai detto bene: c'era qualcosa di bestiale in Lbj. Secondo me, lui sapeva bene cos'era la bestialità. Durante gli anni della
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presidenza, vide confermata la sua idea che l'uomo è una bestia crudele e furba. Lui però non avrebbe voluto essere così. Erano anni difficili. - Era la cosa che i radicali odiavano di più in lui. Temevano di essere tutti bestie e che Lbj fosse soltanto una bestia piú furba e potente di loro. Era tutto lì. - Dio solo può sapere che presagi erano questi per il futuro politico della nazione. - Lbj era allo stesso tempo un genio e uno scimmione. - Ed era questo che piaceva a Boyd. - Io penso che Dave fosse davvero attratto da questo, non credete? Dave non era certo una bestia. Assolutamente no. - Probabilmente era troppo raffinato per essere una bestia. - Forse eri tu a vederlo raffinato. Ma io per esempio non ho mai avuto fiducia in lui. Se devo giudicare dal carattere e dalla personalità, non c'è niente che mi faccia pensare a un tipo raffinato. Raffinato in che senso? - Un sacco di volte restavi in una stanza solo con lui e nemmeno ti accorgevi che c'era. - Allora raffinato nel senso di invisibile, in qualche modo. - Invece la presenza di Johnson la notavi subito anche in un salone enorme o in un convegno affollato. Sentivi subito che in quel posto c'era un'aria strana. - Johnson voleva intorno persone che sapessero sempre che lui era lì.
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- Allora possiamo dire così: Johnson aveva bisogno di un pubblico, e Boyd era il pubblico di cui lui aveva bisogno. Verso il quale non doveva sentire né responsabilità né riconoscenza. - Non sono ancora sicuro che sia impossibile che siano stati insieme. - Io sono sicuro. - Anch'io. Essere un omosessuale sarebbe stata una cosa troppo delicata, voglio dire anche troppo umana per Lbj, e non se lo sognava nemmeno. Io dubito perfino che lui fosse in grado di provare a immaginare cosa fosse un omosessuale. Essere omosessuali è una cosa astratta, secondo il mio modo di vedere, e Lbj odiava le astrazioni. Andavano oltre la sua comprensione. - E lui odiava qualsiasi cosa andasse al di là della sua comprensione. O non la considerava proprio, o la odiava. - Boyd viveva con quel negro del terzo mondo che si spacciava per francese e che portava i tacchi alti. Ha vissuto con quel negro per anni. - Johnson doveva avere piú autorità su quel ragazzo. - Dite che Lbj lo sapeva, allora? Di Boyd e del negro? Del resto, Lbj e il ragazzo erano così intimi... - Non ho mai saputo di qualcuno che sospettava che lui sapesse. - Nessuno sapeva che lui sapeva. - Ma come faceva a non sapere?» Dr. C.T. Peete (a cura di), Analisi di un Presidente.
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Interviste ai collaboratori stretti di Lbj, 1970 Anche quando diventò Vice Presidente, Lyndon continuò a tenere i suoi uffici nel Dirksen Building, col pavimento rosso e le stelle dorate, la lunga fila di scrivanie-cubicolo per gli impiegati, la grande finestra e il tavolo di solido legno di pino dove i miei nuovi assistenti smistavano la posta sotto la mia supervisione. - C'era soltanto uno stramaledetto lavoro che avrei voluto fare per togliermi dalle palle in un solo colpo gli uffici, le scrivanie, le tecnologie e gli impiegati. Un solo stramaledetto lavoro, ragazzo, mi disse nell'aria frizzante della limousine scoperta, mentre andavamo alla festa d'insediamento del Presidente. - E sembra che questa brava gente, in tutta coscienza, non abbia voluto darlo, quel lavoro, a Lyndon Baines Johnson. Allora sai cosa ti dico? Fanculo a tutti, ecco cosa dico. Ho ragione, Bird? - E piantò il gomito nelle costole di Claudia Johnson, sotto la pelliccia e il vestito di taffetà. - Però adesso te ne stai un po' zitto, Lyndon, eh? - disse la signora con quella finta severità che Lyndon ovviamente adorava, perché era il loro linguaggio in codice. Lady Bird diede dei colpetti al solido braccio di Lyndon e poi accarezzò il suo zigomo rosso e spigoloso, mentre l'altra mano guantata restava poggiata sul mio ginocchio. - Ora, signor Boyd, la nomino responsabile della trasformazione in essere umano di questa bestia rude e malvagia.
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- Ci proverò, signora. - Bravo, ragazzo, insegnami a comportarmi bene, - urlò il Vice Presidente, mentre guardava la folla e agitava la mano per rispondere ai saluti. - Adesso ve lo dico, mi devo soffiare il naso, e scorreggerò lí sul palco, sí, farò una scorreggia. Mi soffierò il naso. Chi se ne frega di quanti occhi elettronici saranno puntati verso quel palco di merda. Spero solo che questo vento ne spazzerà via un bel po' -. Fece una pausa, guardandosi intorno, stupito. Pronti al lancio, sta partendo una scorreggia. Scorreggiò a lungo nel cappotto e nel freddo sedile di pelle della limousine. Wroooooooo. - Come bisogna fare con te, Lyndon? - Lady Bird rideva, allegramente scandalizzata, sventolando la mano verso quella folla ondeggiante di persone. Ricordo ancora le nuvole bianche di fiato che uscivano da quelle bocche. Faceva freddo.
Vidi per la prima volta Claudia Alta «Lady Bird» Taylor Johnson a una grigliata estiva sulla riva del fiume Pardenales, che scorreva accanto al ranch di Lyndon nel Texas. Gli amici stretti e il suo staff erano stati convocati per aiutare Lyndon ad accendere la brace e per preparare l'imminente Convention che, già si sapeva, era matematicamente destinata alla vittoria di un altro uomo. Lyndon mi voleva far stringere la mano al suo cane. - Chiederò a Blanco di stringertela, non a te, ragazzo, - mi rassicurò Lyndon. Poi si girò verso Lew N. Johnson. - Io lo so che
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questo ragazzo è pronto a stringere la mano al cane. Non devi nemmeno chiederglie-lo -. Lew N. si era tirato su gli occhiali e rideva. - E questa è la mia moglie snaturata, la signora Lyndon Baines Johnson, - disse, presentandomi a una adorabile, raffinata signora con un viso rotondo e un naso perfetto e con i capelli elegantemente e rigidamente acconciati. - Questa è Lady Bird, ragazzo, - disse. - Sono molto felice di conoscerla, signora. - Il piacere è mio, signor Boyd, - sussurrò lei, con un morbido accento texano. Avvicinai le mie labbra alla mano delicata che mi aveva offerto. Tutti lí attorno potevano vedere come Lyndon pendesse dalle labbra della moglie, osservare i leggeri inchini di lei, come sapeva muoversi tra la gente, e come ogni gesto di Lady Bird scavasse una distanza incolmabile tra i due. - Lyndon mi ha parlato di lei con affetto e gratitudine, - disse, mentre Lyndon gongolava alle sue spalle e le sussurrava qualcosa con la bocca appoggiata sulla pelle nuda e lentigginosa proprio accanto alla spallina del vestito. - Il signor Johnson è troppo buono, - dissi, mentre Blanco si strusciava tra la mia tibia e il bordo dei bermuda, correndo poi verso la brace fumante. - Ecco cosa, ragazzo: io sono troppo buono! - urlò Lyndon, battendosi la testa come se avesse appena capito tutto. - Scrivi questa cosa per me, figliolo: «Johnson è troppo buono» -. Si girò, urlando con le mani intorno alla bocca: - Forza! Facciamo suonare qualcosa all'orchestra, ragazzi, o volete tenere il culo incollato
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alle sedie? - Un'orchestrina di uomini in camicia a quadretti e cappello da cowboy cominciò a dirigersi verso il palco. Ascoltavamo la musica, mangiavamo nei piatti di carta. Lyndon si muoveva nei suoi stivali tenendo il tempo dell'orchestra. Sentii una mano delicata sul mio polso. - Spero che mi farà l'onore di venire a prendere un tè con i pasticcini qualche volta -. La signora Johnson mi sorrise, guardandomi solo per il tempo necessario a farmi quell'invito. Mentre annuivo, avevo la pelle d'oca. La signora Johnson si scusò e si allontanò, e mentre camminava la gente si voltava a guardarla e si apriva al suo passaggio, perché emanava una grande autorità che non aveva nulla a che fare con il potere o con la possibilità di nuocere. Mi tirai su i bermuda che continuavano a cadermi. - Finiscila di girare a vuoto e va a prenderti un po' di grigliata! - mi urlò Lyndon nelle orecchie, addentando una pannocchia mentre continuava a ballare.
Lyndon ebbe il secondo infarto grave, il primo era stato tenuto segreto, nel 1962. Lo stavo portando a casa dall'ufficio, di sera tardi. Ci stavamo dirigendo verso est, fuori Washington, verso la sua casa sull'oceano. Cominciò ad ansimare nel sedile di fianco. Non riusciva a respirare bene. Il suo inalatore nasale non sortiva piú effetti. Le labbra erano livide. Per me e il signor Kutner dei Servizi Segreti fu difficile persino trascinarlo in casa. Io e Lady Bird Johnson lo liberammo dai vestiti e cominciammo a massaggiarlo sul petto, all'altezza del by-pass, con alcol
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denaturato. Lyndon si era spruzzato quello spray che di solito lo faceva respirare meglio. Continuavamo a massaggiarlo. Aveva il torace debole, un po' curvo, tipico delle persone anziane. Le labbra erano sempre cianotiche. Stava avendo il secondo infarto, disse ansimando. Lady Bird lo massaggiava dappertutto. Lui non volle che dicessimo a Kutner di chiamare un'ambulanza. Voleva che non lo sapesse nessuno. Diceva che lui era il Vice Presidente. Alla fine Lady Bird diede ordine di trasportarlo al Bethesda Naval in una berlina con i vetri scuri. Kutner ignorò i semafori. Ci vollero tutte e due le mani di Lady Bird per tenere la mano di Lyndon, perché lui per respirare si dibatteva e si contorceva. Soffriva come un cane. - Merda, - continuava a dire, mostrandomi i denti. - Merda, ragazzo, non ora. - No, non ora, - gli sussurrò la signora Johnson nel grande orecchio livido. Il Vice Presidente degli Stati Uniti d'America rimase al Bethesda diciotto giorni. Per le solite analisi, ordinammo a Salinger di riferire alla stampa. In ogni caso, negli ultimi giorni del ricovero, Lyndon convinse un chirurgo a togliergli una sanissima appendice. Pierre parlò a lungo dell'appendicite ai media. Lyndon mostrò alla gente la cicatrice dell'operazione in ogni occasione pubblica. - Maledetta appendice, - diceva. Cominciò a prendere la digitale che gli avevano prescritto. Lady Bird lo costrinse a smetterla di mangiare la cotenna di maiale fritta che di solito teneva nel cassetto della scrivania in alto a destra,
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accanto alla pistola con l'impugnatura d'argento. Io mi imposi di smettere di fumare nell'ufficio di Lyndon. Ricevetti un bigliettino rosa.- Io e mio marito desideriamo ringraziarla della dedizione, della premura e della discrezione mostrate durante la recente malattia di mio marito -. Il biglietto aveva un profumo meraviglioso; M. Duverger disse che avrebbe voluto sentirlo ogni giorno, un profumo come L'Oiseau del mio biglietto. «Mi sono diplomato alla Johnson City High School del Texas; nella mia classe eravamo in sei. Per un certo periodo avevo avuto la sensazione che mio padre non fosse davvero così intelligente come pensavo avrebbe dovuto essere, e quindi pensavo che sarebbe stato meglio seguire buona parte dei comportamenti di mia madre. Così, quando presi il diploma decisi di seguire il consiglio del vecchio filosofo Horace Greely: «Vattene a ovest, ragazzo», per cercare fortuna. Con ventisei dollari in tasca e una T-Ford io e i miei cinque compagni di scuola partimmo una mattina all'alba per il luminoso ovest, il grande stato della California. Arrivammo lì secondo i nostri piani, senza quasi più nulla dei ventisei dollari, e io trovai subito un lavoro ben pagato, novanta dollari al mese per far salire e scendere un ascensore. Ma alla fine del mese, dopo aver pagato tre pasti al giorno e la camera e la lavanderia, capii che probabilmente era meglio tornarsene a casa a mangiare da mamma anziché restare in California. Così me ne tornai nel Texas e trovai un lavoro nella Società Autostrade. Dovevamo essere al lavoro all'alba, e ce ne tornavamo a casa al tramonto. Il tempo per arrivare al lavoro non era compreso nella giornata. Dovevamo essere sul posto,
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lontano venti o trenta miglia di autostrada, al sorgere del sole e non potevamo andarcene prima che il sole fosse tramontato. Tutto questo per la meravigliosa paga di un dollaro al giorno. Dopo poco più di un anno di questa vita nella Società Autostrade, cominciai a pensare che il consiglio di mio padre di continuare gli studi per imparare una vera professione invece di essere uno studente fallito e basta - che forse questo consiglio era più saggio di quanto non avessi pensato un anno prima. In altre parole, mio padre era diventato molto più intelligente da quando ero andato in California e da quando lavoravo per la Società Autostrade. E con l'aiuto di Dio, e grazie anche all'insistenza di mia madre affinché tornassi a scuola per imparare una professione, feci cinquanta miglia in autostop e me ne tornai a scuola, dove rimasi per quattro lunghi anni. Ma da allora ho avuto sempre ottimi impieghi. Adesso ho un contratto valido fino al 20 gennaio 1965.» Discorso ai laureandi dell'Amherst College, Amherst, Massachussets, 25 maggio 1963 Mia madre venne a farmi visita a Washington una sola volta in quei dieci anni; lei e Margaret andavano molto d'accordo. Il giorno che mia madre venne a trovarmi, Duverger rimase a cucinare tutta la mattina: un arrosto squisito, patate alla crema, e Les Jeux Dieux, un dolce haitiano, una specialità dal sapore dolcissimo. Si diede da fare freneticamente in cucina per tutta la
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mattinata, vestito solo con un grembiule e i tacchi alti e intanto io pulivo sotto i mobili con l'aspirapolvere e lucidavo le superfici con un olio speciale. Mentre eravamo seduti a bere un aperitivo nel salotto pulitissimo che odorava di carne di maiale, mia madre cominciò a parlare di Margaret Childs e di quanto sperassero, sia lei sia Jack e Sue-Bea Childs, che dopo il ricovero in ospedale per disintossicarsi dall'alcol tornasse a una vita migliore, una cosí cara ragazza che non aveva mai fatto del male a nessuno. Duverger continuava ad agitarsi nella giacca sportiva che gli avevo prestato. Fu l'unica esperienza della mia vita di un pranzo immerso in un silenzio totale. Eravamo concentrati sul rumore dei coltelli nei piatti. Riuscivo persino a distinguere i diversi modi di masticare. Il regalo di mia madre per la nostra casa fu un grappolo di uva finta, con i chicchi di marmo e il gambo di vetro verde. Mia madre non sembrava vecchia. - Elle a tort, - continuava a ripetere Duverger, piú tardi, mentre si spalmava la vaselina. Era tutto orgoglioso di non sapere bene l'inglese. Quando stavamo soli, parlavamo in una specie di pidgin. - Elle a tort, cette salope-là. Lei è torto. Lei è torto. Gli chiesi che cosa volesse dire mentre spalmava la vaselina gelida prima su di sé e poi su di me. Mi saltò addosso violentemente, come una bestia. Andai a sbattere contro la testata del letto. - Perché dici che mia madre ha torto? - Lei mi odia perché pensa che tu mi ami. Mi sodomizzò violentemente, senza pensare a farmi godere, e alla
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fine ricadde tremando e piangendo al mio fianco. Io avevo urlato molto per il dolore. - Ce n'est pas moi qui tu aimes? - Certo che amo te. Viviamo insieme, René. Aveva ancora il respiro pesante.- Ce n'est non me. - E chi, allora? - gli chiesi, facendo il gesto di buttarlo giú dal letto. - Se dici che non amo te, chi è che amo, allora? - Tu m'en a besoin, - urlò, squarciando l'oscurità della camera da letto con il bianco delle sue unghie. - Tu hai bisogno di me. Ti senti responsabile per la mia vita. Ma non è me che ami. - Io amo te, Duverger. Bisogno, responsabilità: in questo paese queste cose sono espressioni di amore. - Elle a tort -. Si girò dall'altra parte, si spostò nel suo angolo di letto, mettendosi in posizione fetale. - Lei non sa quanto siamo tristi -. Io non dissi niente. - Perché dobbiamo essere così tristi... - disse. E lo disse in quel modo che sembrava un'affermazione. Continuava a ripeterlo. Mi svegliai, molto piú tardi, con davanti agli occhi la sua schiena nera che si muoveva ritmicamente, le mani che gli coprivano la faccia; e continuava a ripetere quella frase. «Per lui la vita è una giungla. E non gli importa quanto tempo tu pensi che si debbano tenere le redini in mano, perché lui ha deciso di tenerle per sempre.» Un vecchio collega, 1963 «La maggior parte delle preoccupazioni se le inventa. Vede problemi
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dove non ce ne sono. E' capace di svegliarsi una mattina con il pensiero fisso che durante la notte è andato tutto perduto. Un amico intimo, 1963 Lyndon trascorse i quattordici minuti del percorso verso il Parkland Hospital sotto i sedili neri della limousine decappottabile, con il naso schiacciato contro la suola di una scarpa del Senatore Yarbrough. Sopra di loro, per ripararli e per tenerli fermi quando si agitavano, c'era un agente dei Servizi Segreti il cui dopobarba sarebbe bastato da solo a creare quel panico e quella confusione. Io contemplavo le orde di folla per le strade di Dallas mentre ero seduto sopra a tutti e tre, e abbassavo lo sguardo solo quando si agitavano, osservando dal mio piedistallo tre uomini dei Servizi Segreti che sui sedili anteriori di una decappottabile cercavano di tener ferma la First Lady che si dimenava e urlava, implorandoli di lasciarla tornare indietro a recuperare qualcosa, ma non riuscii a capire di che si trattava. Noi stavamo nei sedili posteriori uno sopra l'altro, una montagna di braccia e gambe, come un gruppo di studenti di Yale dentro una cabina del telefono. I risvolti dei pantaloni di Lyndon, le caviglie bianche senza peli e gli stivaletti si agitavano davanti alla mia faccia mentre la macchina correva. Riuscivo a sentirlo, sotto l'insopportabile dopobarba dell'uomo dei Servizi, imprecare contro Yarbrough. L'ospedale era isteria coreografica. Lyndon, col fazzoletto premuto sul naso sanguinante, era assediato da telecamere, microfoni, medici, uomini dei Servizi, giornalisti e, peggio ancora, tutti quei
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funzionari e collaboratori del Presidente, che si guardavano intorno attentissimi, e decisi a saltare dall'altra parte della barricata prima che l'animale politico che avevano cavalcato diventasse freddo. Telefonai a Lady Bird Johnson - Lyndon aveva digrignato i denti al suggerimento di prendere in mano il telefono in un momento come quello - per rassicurarla e per avvertirla che si doveva preparare a venire a Dallas il piĂş presto possibile. Poi chiamai Hal Ball per rendere agevole e veloce il viaggio della signora Johnson. Vidi Lyndon intrappolato dalla ressa in un angolo, le molli guance infiammate, il naso arrossato, gli occhi da persona minuta annebbiati dallo shock e dalla speranza riaccesasi all'improvviso. I suoi piccoli occhi cercavano i miei, oltre la spirale avvolgente di giornalisti e adulatori, ma non riusciva a liberarsi, anche se io cercavo di sporgermi oltre il banco dei telefoni. - O mi togli quel microfono dalla faccia oppure ti spedisco a casa a calci in culo, - si sentĂ nell'edizione speciale del telegiornale. Dan Rather era sparito, sbiancando, e ritirando tutta la troupe. PoichĂŠ le notizie dei medici e dei Servizi Segreti tardavano ad arrivare, la folla pian piano si disperse. Riuscimmo a fare una riunione con Lyndon in una piccola sala d'attesa lontano dai corridoi. L'incontro fu molto efficace. Organizzammo un team per l'occasione. I Servizi provvidero a uno sbarramento davanti all'ufficio di Ball. Bunker, Califano e Salinger prendevano nervosamente appunti. Le riunioni di Gabinetto furono risolte con quel genere di caloroso distacco riservato di solito alle discussioni
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sul golf. Lyndon parlò poco. Accompagnai Lyndon nella camera della First Lady. Lyndon si fece spazio tra la folla intorno al suo letto. Gli sembrò che fosse piú tranquilla, mentre le poggiava la mano sulla fronte, coprendole però tutta la faccia. Il colorito era buono. Ci fu il lampo di un flash. Attraverso le dita di Lyndon vidi gli occhi sedati della First Lady. Nessuno aveva notizie, nemmeno si sapeva chi potesse avere notizie lí in ospedale. Tutti noi sussurravamo, facevamo ipotesi, fumavamo, soffiando via il fumo lontano da Lyndon, e aspettavamo. Lyndon era cosí brutale con quei giovani bostoniani che venivano a curiosare per commiserarlo e per congratularsi, che presto lasciarono perdere il nostro gruppo. Connally, con il braccio fasciato, ci gironzolava intorno, bevendo da una bottiglia un liquido gassato il cui volume restava costantemente immutato. Telefonai a Duverger, che era rimasto a casa con la bronchite, a guardare le notizie alla televisione, fuori di testa dall'ansia. Telefonai alla signorina Teane nella sua casa di Arlington. Provai anche a chiamare Margaret nella casa di cura nel Maryland e mi informarono che era stata dimessa qualche settimana prima. Il numero di mia madre dava occupato da ore. La nostra riunione finí molto tempo prima che arrivassero notizie ufficiali. A ognuno erano state assegnate un centinaio di cose da fare. Pian piano la piccola stanza si svuotò. Protetto da Pierre e da me, Lyndon ebbe finalmente qualche minuto per starsene in una poltrona della sala d'attesa a riposare e a riflettere un po'. Poi, mentre passeggiava con passo pesante, chiese il suo inalatore. Gli
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stivali lasciavano strisce sul pavimento, quando trascinava le sue lunghe gambe. Si teneva l'avambraccio, aprendo e chiudendo il pugno. La pelle sotto gli occhi era violacea. Gli diedi della digitale, e dovetti quasi costringerlo a buttarla giú. Ci sedemmo. Per un po' di tempo restammo a fissare le pareti bianche della stanza. Connally stava davanti a un distributore, e rifletteva su cosa prendere. - Qualsiasi cosa, - stava mormorando Lyndon. - Mi scusi, signore? Aveva lo sguardo assente. - Ragazzo mio, - disse, - darei qualsiasi maledetta cosa che ho per non dovermi alzare ora e andare a occupare un posto senza averne il diritto e senza che l'abbia voluto la gente. Non sono stupido, so che non è bene entrare dalla porta di servizio. Elemosina. Umiliazione. Sfiducia. Responsabilità che non avevi mai pensato di affrontare. - E' naturale che ti senti così, ora, L.B., - disse Connally, inserendo una moneta nel distributore. Lyndon guardava fisso in un punto che non riuscivo a vedere, facendo oscillare la testa enorme. - Darei qualsiasi maledetta cosa che ho, ragazzo. Salinger mi lanciò uno sguardo, ma io avevo già tolto il cappuccio alla penna.
Ci fu un periodo di transizione. Due montagne di posta. Scatole da confezionare e chiudere. Giganteschi traslocatori da tenere d'occhio.
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La salute di Duverger peggiorò. Sembrava incapace di reagire alla bronchite e alle infezioni che ne seguirono. Non aveva piú la forza di salire le scale e dovette lasciare il lavoro alla boutique. Se ne stava a letto, ascoltava dischi graffiati di Belafonte e ammucchiava ogni giorno una montagna di kleenex usati di tutti i colori. Dimagriva e aveva sempre la febbre. Seppi che la malaria era una malattia tipica di Haiti, e mi procurai del chinino dal Bethesda. Forse era per la suggestione, o perché sapevo di correre dei rischi, ma sentivo la mia salute indebolirsi ogni giorno che passavo accanto a Duverger. Mi presi tutti i mal di gola che giravano alla Casa Bianca. Alla fine feci l'abitudine ad avere il mal di gola. L'organizzazione della Casa Bianca nel ricevere, distribuire e rispondere alle lettere era enorme, con tantissimi addetti, rapidità, perfetta efficienza. La direttiva per rispondere nello stesso giorno di Lyndon era una sfida troppo facile per questi addetti alle poste in carriera veloci e abili. Io diventai qualcosa di piú che il responsabile della posta, perché redigevo e adattavo quella decina di lettere standard che venivano stampate con la firma del Presidente e spedite in risposta a un numero incredibile di telegrammi e lettere che arrivavano da ogni angolo del paese. A cominciare dal 1965 la maggior parte delle lettere erano di protesta, ed era difficile evitare che le risposte standard suonassero artificiali oppure sulla difensiva e quindi petulanti. Io e Duverger ci unimmo formalmente in matrimonio con un breve rito civile che si svolse in periferia, nel quartiere di Mount Vernon. Alla cerimonia parteciparono pochi amici stretti. Peter venne
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direttamente da Charlotte. Duverger dovette stare seduto durante la cerimonia, con un austero vestito di seta che aveva il compito di sdrammatizzare, ma che piú probabilmente sottolineava, il grigio pallido del suo colorito. «Apprezzo in particolar modo la vostra visita perché sento di avere un legame con la gente, e poiché qui non mi fanno uscire lì fuori, sono contento quando vi fanno entrare qui dentro.» A un gruppo di visitatori della Casa Bianca, 14 maggio 1966 «Non stiamo cambiando il nostro programma. Stiamo cambiando idea sul modo di realizzarlo.» Congresso dei Giovani Democratici, Columbia University, New York, 21 maggio 1966 «- Sembrava ossessionato dalla sua salute. Cominciò a sembrare irrobustito in quel modo in cui lo sembrano le persone magre. - Anche Boyd diventò fragile e ossessivo. Non si toglieva mai il cappotto. Sudava. Come se seguisse l'esempio di Lbj in ogni cosa. - Boyd non aveva un ruolo ufficiale. Quell'esercito di giovani in carriera addetti alla posta di Kennedy si erano già organizzati con la direttiva per rispondere nello stesso giorno prima ancora che noi ci insediassimo alla Casa Bianca. - Se ne stava seduto ad ascoltare la radio mentre Lyndon lavorava.
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Chissà che ci faceva lì. - Tutti e due girovagavano sempre lì intorno. Passeggiavano nel giardino. Guardavano oltre il recinto. - Qualche volta vedevamo il Presidente camminare da solo, circondato da tutti quegli agenti dei Servizi Segreti, ma dietro di lui c'era sempre Boyd. - Ma chi lo sa perché passeggiassero per ore e ore fuori dal palazzo. - Spegnevano la radio, quando andavano fuori. - Chissà quante decisioni prendeva in quei momenti. Tonchino. Cambogia. Questioni scottanti. - Né sapremo mai nulla di Lady Bird. Lei era una di quelle First Lady dietro le quinte. E' impossibile valutare la sua influenza. - Sappiamo che Boyd lo ha aiutato a scrivere qualcuno degli ultimi discorsi. - Ma nessuno sa quale. - Quelli lì erano tutti amici per la pelle. - Nessuno sa che fine hanno fatto. - Probabilmente anche quel ragazzo svelto dalle orecchie grandi avrebbe continuato a lavorare in ufficio, se Dave fosse sopravvissuto a Lyndon.» Dr. C.T. Peete (a cura di), Analisi di un Presidente. Interviste ai collaboratori stretti di Lbj, 1970
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«Allora, gente, animo, e state allegri, Cristo santo.» Discorso in Tv, Stanza Ovale, Casa Bianca, novembre 1967 La maggior parte delle storie che si raccontano su quegli ultimi mesi, su Lyndon che a volte si rifiutava di lasciare la Stanza Ovale, sono vere. Io me ne stavo seduto nell'enorme poltrona d'angolo, con in grembo fazzoletti di carta e pillole, e lo guardavo pisciare nel cestino di metallo dell'ufficio che la signorina Teane la mattina dopo avrebbe svuotato senza dire una parola. I rumori dell'ufficio erano assorbiti dai tappeti spessi voluti da Truman, assieme ai mobili lussuosi. L'ufficio era buio tranne che per un faro che passava di tanto in tanto e per la luce arancione dei falò di quelli che protestavano nel parco dall'altra parte della strada. La finestra dell'ufficio che si apriva verso la Pennsylvania era macchiata da chiazze di muco che colavano dal naso di Lyndon. Lui stava lí, la faccia schiacciata contro la finestra, il respiro che appannava il vetro e mormorava qualcosa in sottofondo ai duri slogan dei dimostranti. Gli elicotteri volavano bassi come gabbiani; potenti fasci di luce illuminavano il parco lì fuori e tutta l'area intorno alla Casa Bianca, e una fila di agenti dei Servizi Segreti comandati da Kutner erano allineati lungo il recinto di ferro nero. Si sentiva il fracasso di cose che venivano lanciate oltre il recinto. Lyndon chiese il suo inalatore e inspirò ferocemente. - Quanti bambini ho ammazzato oggi, ragazzo? - chiese, girandosi
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verso la stanza. Respirai profondamente e deglutii. - Penso che non sia bello né salutare pensare alla questione in questi termini, signore. - Fanculo alla tua anima candida, ragazzo, ti ho chiesto quanti! Indicò la finestra illuminata dai falò. - Mi pare che questo chiedono quei coglioni là fuori. Ha diritto di chiederlo anche Lyndon Johnson, mi pare. - Credo siano trecento o quattrocento bambini, oggi, signore, dissi. Starnutii debolmente nel fazzoletto. - Ora è contento? Lyndon si girò di nuovo verso la finestra. Aveva dimenticato di riabbottonare i pantaloni. - Contento, - sbuffò. Il modo migliore per capire se aveva sentito bene era aspettare che ripetesse. - Pensi che loro siano contenti? chiese. - Chi? Indicò i falò con un cenno della testa enorme, restando in ascolto del suono lieve dei megafoni distanti e dei fischi di protesta con cui rispondevano i dimostranti. Si mosse e appoggiò le mani sul davanzale. - Quei giovani americani che stanno lí fuori, - disse. - Mi sembrano piuttosto incazzati, signore. Si tirò su i pantaloni che gli stavano cadendo, pensieroso. Eppure io sento un retrogusto di felicità in quella incazzatura, ragazzo. Penso che a loro piaccia urlare offese, oltraggiare, e restare ingiustamente impuniti. Ecco cosa pensa di questo mondo libero il tuo Presidente, ragazzo. - Potrebbe spiegarsi meglio, signore?
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Lyndon scoppiò a ridere appannando quasi tutta la finestra, e poi indicammo insieme il grande cartello scritto a mano sul muro della Stanza Ovale, vicino alle corna di toro dietro la scrivania del Presidente. L'avevo appeso io. Diceva: mai spiegarsi meglio. Scosse la testa. - Credo... ecco, credo di non avere nessun contatto con la gioventú americana. Credo che loro non possono capire me, o cosa è giusto, o quali idee culturali vanno bene per una nazione. Starnutii. Appoggiò le sue grandi dita scure alla finestra, lasciando altre impronte. - Tu penserai che è una cosa stupida da dire, ma io ti dico che per questi giovani è stato tutto troppo maledettamente facile, figliolo. Questi giovani che fanno gli hippie, che fanno i contestatori, e che usano la violenza e le proteste pubbliche. Gli abbiamo dato troppo, ragazzo. Intendo i loro padri. Gli uomini che erano giovani quando ero giovane io. E questi giovani di oggi si mettono a pisciare fuori dal vaso. Mai una volta che abbiano dovuto preoccuparsi, sacrificarsi o soffrire per qualche cosa. Non sanno niente della Grande Depressione e non sanno niente della disperazione -. Mi guardò. - Pensi che sia una buona cosa? Restai a guardarlo in silenzio. - Credo di iniziare a capire che la gente ha bisogno di soffrire per qualcosa. Sai cosa significa questo? Significa che la nostra politica interna probabilmente non va bene, ragazzo. Comincio a pensare che c'è qualcosa di sbagliato proprio nel cuore della
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questione -. Tirò su dall'inalatore, mentre guardava le danze dei contestatori. - Noi trasporteremo la sofferenza di questa gente proprio qui in casa nostra, con una appropriata politica interna, ragazzo, - disse, - e non gli daremo piú la possibilità di rimpiazzarla. Guardali lí, ragazzo, come ballano, come dicono vaffanculo - come se fossero i primi al mondo a dire vaffanculo - e io, il loro Presidente sto qui a guardarli. Guardali anche tu e vedrai quello che vedo io. Io vedo degli animali che vogliono soffrire per forza, gente che chiede di soffrire per sentirsi un vero americano, ragazzo; e se noi non ci decidiamo a dargli qualche sofferenza vera, un buon motivo per soffrire, loro andranno a cercarla da qualche altra parte. E troveranno la sofferenza che gli serve nei giovani orientali che combattono una guerra dall'altra parte, andranno lí a prendere la sofferenza di quell'altra gente e la renderanno propria. Si sentiranno molto eccitati, figliolo. Credo che i giovani americani vogliano sentire un po' di eccitazione autentica. Ecco perché stanno lí fuori: vogliono sentirsi eccitati; e prendono a prestito la loro eccitazione da giovani orientali che non sarebbero capaci nemmeno di allargare le gambe di tua madre per farla pisciare. Noi che governiamo non siamo stati capaci di dare loro niente di tutto questo. Loro pensano che la ricchezza e il potere sono noiosi. Dio benedica le loro anime patetiche -. Premette il naso sul vetro. Io ebbi una visione, mentre lui stava lí, di bambini e negozi di caramelle. Diedi un'occhiata a un elicottero che passava sopra di noi illuminando con un proiettore la Stanza Ovale come se fosse
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mezzogiorno. - Ma allora lei pensa che ci sia qualcosa di giusto in quello che stanno facendo lí fuori? - «Qualcosa di giusto», - sbuffò Lyndon, senza muoversi dalla finestra illuminata di blu. - No, per il semplice fatto che loro non hanno nessuna idea di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato. Ascoltali. Non hanno la minima idea di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Basta che li ascolti. Ci mettemmo ad ascoltarli. Io tiravo su col naso in silenzio. - Per loro, giusto e sbagliato sono soltanto parole, ragazzo -. Andò a sedersi sulla poltrona dietro la scrivania enorme, dritto, le mani appoggiate sul legno presidenziale di ciliegio levigato. - Ma giusto e sbagliato non sono parole, - disse. - Sono sensazioni. Le senti nelle budella, negli intestini e da tutte le parti. Non sono parole. Non sono canzoni per chitarra. Le hai dentro. Nel cuore e nell'intestino. Come le persone che ami con tutto te stesso -. Si tastò il polso e strinse il pugno. - Facciamo che quei poveri ragazzi che stanno lí fuori si sentano per un attimo responsabili di qualcosa. Facciamoli sentire responsabili di qualcuno, e dopo torneranno qui a spiegare al loro Presidente, a me, Lbj, cosa vuol dire giusto, sbagliato e tutto il resto. Misurammo insieme il suo battito. Poi la pressione. Non aveva dolori nelle spalle e nel fianco, e non aveva le labbra livide. Poi decidemmo che si doveva sdraiare per far rifluire il sangue, e appoggiai i suoi stivali sul davanzale della finestra. Avevo il petto e la schiena zuppi di sudore. Ritornai nella mia poltrona d'angolo, e
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mi sentivo terribilmente debole. - Tutto bene, ragazzo? - Sí, signore. Grazie. Ridacchiava. - Dovrebbero esserci un paio di funzionari federali qui fuori, vorrei parlargli. Tossii. Ascoltammo in silenzio, malati come eravamo, le canzoni, i cori, gli slogan e il rumore degli elicotteri e il fragore delle lattine di birra che cadevano. I minuti passavano mentre le fiamme del falò svanivano. Chiesi a Lyndon se dormiva. - Non sto dormendo, - disse. - Allora posso chiederle come si sente, signore? Il silenzio era rotto solo dai cori lontani. Lyndon si soffiò il naso con forza, con gli occhi chiusi, la testa buttata indietro. - Come mi sento a fare che? Mi schiarii la voce. - Ad avere responsabilità, come stava dicendo prima. Ad avere la responsabilità della gente. Come si sente, ad averla? Non capivo se ridacchiava o respirava con affanno, un suono cupo, quasi irreale, che arrivava dagli abissi della sua poltrona reclinata. Osservavo il suo profilo, il sogno di ogni caricaturista. - Tu e Bird, - disse. - Cazzo, tu e la mia Bird fate sempre domande identiche a Lyndon Johnson, figliolo. E' cosí curioso -. Si sollevò per guardarmi dritto negli occhi anche nel buio fitto dell'ufficio. Ho spiegato proprio la settimana scorsa a Bird perché la responsabilità non è affatto una sensazione, - disse con voce calma.
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- Può dirmi se la responsabilità le dà qualche sensazione particolare? Se la emoziona? Ripose l'inalatore e si mise a giocare con i riflessi che faceva l'orologio nel controluce della finestra. - Ho spiegato a Bird che è come il cielo, ragazzo. Ecco cosa le ho detto. Cosa mi rispondi se vengo da te a chiederti che sensazioni ti dà il cielo? Il cielo non dà nessuna sensazione, ragazzo. Tossimmo tutti e due. Alzò gli occhi, e lo sguardo cadde sulle corna, e annuí come se guardasse qualcosa di familiare. - Però sta lí, amico. Il cielo sta lí. Sta lí, sopra il tuo culo, ogni giorno del cazzo. Non importa dove vai, ragazzo, tu alzi gli occhi, e sopra ogni cosa del cazzo c'è il cielo. E il giorno che non ci sarà il cielo... Riprese l'inalatore e si spruzzò le ultime gocce rimaste nel naso. Fece un rumore orribile. Dopo poco accompagnai di nuovo Lyndon al cestino di metallo pieno di urina. Stavamo in piedi lí, insieme, sul pavimento di marmo bianco del Presidente. «Il signor Lyndon «Lbj» Johnson, come tutti gli uomini che hanno un incarico pubblico, era spinto sia da una grande e puntigliosa ambizione personale, sia da un grande e puntiglioso desiderio di far del bene al prossimo. Lui era, come tutti i grandi uomini, un diavolo, un misterioso paradosso. Non sarà e non potrà mai essere compreso fino in fondo. Ma per quelli di noi che si sono riuniti oggi sotto questo cielo di grandi stelle solitarie per cercare di capire un uomo che dobbiamo cercare di capire per tributargli l'onore che
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merita, io dico soltanto questo. Dico andate a ovest. Più a ovest riuscite ad andare, più vicini sarete a Lyndon Baines Johnson.» Jack Childs, Senatore dello stato del Texas, elogio funebre per la morte di Lbj, Austin, Texas, 1968 Quando ricevetti il bigliettino rosa con due righe che mi invitavano a prendere tè e pasticcini con Claudia «Lady Bird» Johnson, mi trovavo nel nostro lettone, prostrato da una violenta influenza. Duverger se ne era andato da una settimana circa. Ero stato nel New Hampshire per mettere a posto l'organizzazione postale, e quando tornai, se ne era andato. Non mi aveva scritto nemmeno una parola, né si era portato via una delle sue innumerevoli valigie. I suoi soldi e molti dei miei taccuini neri erano spariti. Per capire quale fosse la mia preoccupazione per la carriera di Lyndon non c'è testimonianza migliore del panico che provai al pensiero che René avesse manomesso i taccuini o vi fosse stato costretto da Qualcun Altro. La maggior parte delle annotazioni dei taccuini erano vere parola per parola. Erano riportate intere riunioni del Consiglio Direttivo tenute tra lavandini, cesti della biancheria e vasche da bagno con i piedi a zampa di leone mentre Lyndon liberava l'intestino nel cesso. In quelle brevi annotazioni c'erano verità sufficienti a mettere in imbarazzo Lyndon senza piú rimedio; lui aveva dato ordine che ogni cosa che era stata scritta
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rimanesse scritta. Confesso, con tormento, che gli incubi di quel primo giorno riguardavano soprattutto Lyndon, il tradimento, e un mostro Repubblicano che ci faceva morire di paura. Poi, tre giorni di frenetiche ricerche di Duverger mi avevano portato sia nel profondo nord, a cercarlo nel New Hampshire tra quelle checche di Humprey, Mccarthy, Lindsay e Percy - perfino da lui -, sia nel profondo sud nelle squallide sale di Chevy Chase. Mi ritrovai senza piú forze, e mi beccai un'influenza violenta. Anche Lyndon, che era stato male, non veniva in ufficio e non dava sue notizie da una settimana. Non mi aveva chiamato. Nessuno, né dall'ufficio né dalla Casa Bianca, mi aveva chiamato in quei tre giorni che ero stato cosí male. Né io avevo avuto la forza di chiamare qualcuno. - I nostri mariti e io saremmo onorati di averla da noi per un tè e qualche pasticcino nella nostra casa sulla spiaggia questa sera, diceva il biglietto colorato, senza intestazione. Ero cosí abituato a guardare subito l'intestazione quando aprivo una busta, che la sua assenza nel bigliettino della First Lady mi sembrò quasi un atto di arroganza. Ed era, si capiva bene, una presa in giro, che ho il fondato sospetto citasse la vignetta dell'amico di Margaret, il quale una volta mi aveva disegnato come una donnina graziosa con il naso alla W.C. Fields che con l'abito da sposa si aggrappava al treno di Johnson del '68; cosí come era una presa in giro il fatto che la signora Johnson desiderasse avere il marito fuori dai piedi, visto
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che vedeva il suo ufficio (e me) come la rivale che non aveva mai avuto nella vita. Quel «i nostri mariti», allora, faceva intuire di cosa mi avrebbe parlato. Inoltre, non eravamo mai riusciti a sapere il nome del profumo potente che emanava dai bigliettini della signora Johnson e che aveva sedotto Duverger fin dalla prima volta. Era andato in giro per negozi, per giorni, ad annusare ogni tipo di profumo, ed era arrivato alla conclusione che l'essenza di base doveva essere costituita dalle margheritine quando cominciò a non farcela piú a uscire di casa.
Duverger stava morendo di qualcosa che non era la malaria. Tutti e quattro i miei stipendi erano risucchiati dal Bethesda, dove Duverger non era stato accettato e dove lo staff medico, come san Tommaso davanti a Dio, non sapeva fare nient'altro che definire l'aggravarsi delle sue condizioni in base a tutto ciò che non aveva. I medici dai quali andavo per far visitare il mio sofferente marito non riuscivano a dedurre altro che una particolare predisposizione alle innumerevoli malattie che giungevano e proliferavano in quel covo di batteri che era Washington. Negli ultimi mesi ero stato tutte le notti a vegliare un uomo che stava morendo di predisposizione, cingendo con il mio braccio bianco le sue costole che diventavano sempre piú visibili, sentendo i battiti di un polso troppo esile e debole per sopportare il peso delle mani dalle unghie lunghe, osservando lo stomaco che si incurvava e i fianchi che si allargavano come quelli di una donna e le ginocchia gonfie come polpette su gambe afflosciate.
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- Suis fatigue. M'aimes-tu? - Tais-toi. Bois celui-ci. - M'aimes-tu.? Sempre piú debole, guardavo sbattendo le palpebre le immagini di tutte le mie relazioni sul televisore nell'angolo, vedevo lo stesso Lyndon deperito davanti a una folla di giornalisti carnivori; vedevo una guerra trasmessa per la prima volta in diretta, a tratti crudele e vera, a tratti piena di elenchi di morti e di mappe dell'esercito: questa era l'impressione per noi che tentavamo di interpretare i servizi dal fronte; con una inversione di tendenza, il presidente aveva deliberato che la raison di Stato è prima di tutto ridurre la somma totale delle sofferenze; un'intuizione della sua crescente debolezza, dopo che altri due infarti consecutivi lo avevano lasciato smagrito, ingiallito e pieno di macchie; e i suoi occhi sembravano crescere per effetto della faccia che si stringeva sempre piú. Duverger, che non aveva avuto la forza di dirmi che mi lasciava, era scappato. Si era preso le cose che avevo scritto e non mi aveva lasciato niente di suo. Niente nel vaso, né sotto la foto firmata e il piccolo Klee sulla mensola. Tra fazzoletti di carta e pillole contro la nausea avvolte nell'alluminio, lessi il biglietto scritto con grafia elegante dalla signora Johnson, consegnato a mano da uno dei miei ragazzi. Annusai il profumo che emanava dal biglietto.
- Wardine ha preparato qualche dolcetto che trovo si accompagni molto bene al tè alla camomilla, signor Boyd.
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- Grazie, signora. - E' Wardine che deve ringraziare. La cameriera nera con calze nere e un grembiule ricamato stava pulendo il viso regolare della First Lady dai residui di maschera che le erano rimasti attaccati. Poi sistemò il cuscino sotto i piedi della signora Johnson e si congedò, senza mai voltarsi dalla mia parte. Feci qualche colpo di tosse. Mi asciugai il sudore. - Mio marito sta per morire, figliolo. Ero arrivato in ritardo con il taxi a casa dei Johnson, che mi ricordava i tempi in cui era ancora Senatore, una ex casa colonica con la torretta sulla riva orientale del delta del Potomac che si apriva come labbra prima di sfociare nell'Atlantico. Riuscivo a sentire l'oceano e a vedere le luci che brillavano sopra un manto di nuvole, al largo, verso est. Una sirena risuonava dal fiume. Mi tastai le ghiandole della gola. - Nemmeno lei è in gran forma, signor Boyd. Mi guardai intorno. - Il Presidente ci sta raggiungendo, signora? Mi guardò da sopra il vapore che saliva dalla tazza. - Lyndon sta morendo, figliolo. Ha avuto delle complicazioni... in seguito alla malattia che l'ha colpito in questi ultimi anni. - Ha avuto un altro infarto? - Ha chiesto di non restare solo questa notte. - Mi sta dicendo che pensa che debba morire stanotte? Chiuse meglio la vestaglia. - E' una grande prova per tutti noi che
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siamo legati al Presidente -. Alzò gli occhi. - Non crede? La verità è che ero diffidente. Non c'erano medici in giro. All'entrata, c'erano soltanto i soliti agenti di Kutner. Tirai su col naso, a lungo. - Allora perché non è con lui, signora, visto che non vuole restare solo? Lady Bird diede un piccolo morso al dolcetto. Sorrise nel modo in cui sorridono le signore eleganti mentre masticano. - Io sto con Lyndon ogni momento di ogni giorno, mio caro. Del resto glielo avrà detto. Io e il Presidente Johnson siamo troppo legati per darci l'un l'altro compagnia e sostegno fisico -. Diede un altro morso. - Forse queste sono cose che può dare qualcun altro. Sorseggiavo il delizioso tè dalla tazza sottile di porcellana cinese. La tazza era quasi troppo sottile per riuscire a tenerla in mano. Mi prese un forte attacco di nausea. Mi piegai in avanti e chiusi gli occhi. Le orecchie mi fischiavano, a causa delle medicine. Avevo voglia di dire alla signora Johnson che non mi sembrava possibile che lei, che pure era volata a Dallas con un caccia a reazione, se ne stesse seduta lí a mangiare con calma dolcetti e a chiacchierare con me. A dire la verità volevo dirle che anch'io avevo i miei problemi. Ma non volevo raccontarle di quali problemi si trattava. Volevo parlare con Lyndon. - Allora io mi accomoderei da lui, signora. - Va tutto bene, signor Boyd? - Non proprio. Ma sarei onorato di andarmi a sedere accanto al Presidente Johnson -. Provai a ingoiare.- Con tutto il dovuto
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rispetto, signora, io dubito che il Presidente stia per morire. Non è mai successo che siano morti uno dopo l'altro due presidenti ancora in carica, signora Johnson -. Avevo fatto un'apposita ricerca su questo fatto, nel 1963, per mandare una lettera di risposta a molti cittadini che chiedevano di essere rassicurati. La signora Johnson si sistemò la vestaglia sotto le gambe sul divano rosa. Ogni cosa in quella stanza la faceva sembrare il salotto privato di una First Lady. Dagli specchi con le cornici incise a timpano alle delicate statue orientali, dalla cristalleria esposta in alto su mensole bianche al disegno del tappeto che si avvolgeva in una specie di arabesco tra il mio divano e quello della signora Johnson. Chiusi gli occhi. - Anche lei, signor Boyd, - disse, mentre spezzava un dolcetto, sembra provato da una... una specie di stanchezza, a causa dell'amore evidente e della responsabilità che sente per gli altri. Sentii il ticchettio tipico di un orologio costoso. Capii cosa voleva dire e feci uno sforzo per togliermi dalla testa Duverger e i taccuini. Deglutii sentendo un lampo di fuoco in gola. - Io non sono innamorato del Presidente, - dissi. Lei fece un meraviglioso sorriso mentre le mie parole rimanevano lí sospese. - Le chiedo scusa, signor Boyd. - Sono sicuro che non è bello farmi vedere in questo stato proprio quando lui è in quello stato, - dissi. Mi appoggiai al bracciolo del divano.- Sono sicuro che avrà sentito un sacco di storie su di me e sul fatto che sono innamorato del signor Johnson e che per questo l'ho seguito come un animale affamato d'amore, e di come ho
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desiderato essere intimo con lui, e di come ho goduto di questo rapporto di lavoro cosí stretto perché lo amo -. Temo di aver vomitato quel poco di tè e pasticcini che avevo preso. Un malinconico filo di vomito cadde dal mio cappotto e si posò sulle gambe.- Beh, non è vero, - dissi, pulendomi la bocca. - E chiedo scusa per aver vomitato proprio adesso. - Signor Boyd, - disse lei. - Caro signor Boyd, io non ho nessuna riserva sui suoi sentimenti per Lyndon. Apprezzo, al di là dei miei poveri mezzi per esprimerla, la sua devozione verso mio marito, la responsabilità e i compiti che il Signore ha ritenuto di affidargli. Apprezzo i suoi sentimenti verso mio marito piú di quanto riesca a dire. E credo di capire in cosa consistano questi sentimenti -. Distolse per delicatezza lo sguardo dalle mie gambe. - Io mi riferivo a suo marito. Ero immerso nel vomito, avvolto nei dolcetti. - E anche questo gioco mio-marito-suo-marito, signora. Io non ho capito se mi prende in giro. I pettegolezzi raramente dicono la verità, - dissi. Mi alzai, per far scivolare via il vomito. La fronte della signora Johnson prima si corrugò, poi si distese.Suo marito, signor Boyd -. Tirò fuori una specie di scheda rosa mentre io stavo lí in piedi. - M. Duverger, - lesse, - un negro dei Caraibi con l'immunità diplomatica, da lei sposato con rito civile nel 1965 -. Alzò gli occhi dalla scheda. - E' stato cosí gentile da offrire la compagnia e le premure che Lyndon ha richiesto nel corso della malattia.
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Provai a mettere a fuoco il tappeto. - Duverger è qui? - Mentre lei era al nord, a fare quello che il signor Donagan ci ha descritto come un delicato lavoro che riguardava la posta della nostra organizzazione nel New Hampshire, - disse, sistemando il vassoio dei dolci.- Lui stesso si è messo d'accordo con il signor Kutner dei Servizi per portare suo marito nella nostra casa e presentarlo al Presidente. Che sta morendo. Starnutii. Lei bevve un sorso. Cercavo qualche segnale sul suo viso. Sentivo un irragionevole desiderio di vedere cosa c'era scritto sulla scheda che aveva tirato fuori. Ero anche combattuto tra l'urgenza di correre da Duverger - anche se quella casa era enorme, e io non ero mai entrato nelle stanze piú interne - e quella di sapere come diavolo facesse Coby Donagan ad affermare che il lavoro che ero andato a fare al nord era cosí importante. Desideravo tante di quelle cose diverse in quel momento, che non riuscivo piú a muovermi. La First Lady bevve un altro sorso. - Cosí il signor Johnson sa che ho un marito? - chiesi. - Mio caro, come poteva non saperlo? - Lady Bird mi sorrise dolcemente. - Come poteva non conoscere il cuore di un ragazzo che ha dato la sua vita e il suo cuore per la vita e il lavoro di Lyndon Baines Johnson? Cominciai a provare verso la signora Johnson un sentimento piú sgradevole di quello che avevo provato per Margaret. Stava seduta lí, con i capelli perfetti, in vestaglia, a mangiare dolcetti. Io mi sentivo semplicemente a pezzi. - E Duverger sta bene? - dissi, con voce rauca. - Dov'è? E' morto? La verità è che sta morendo lui. Non
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il signor Johnson. - Sono di là a chiacchierare, signor Boyd. - René parla malissimo l'inglese. Alzò le spalle come per dire che era irrilevante. - Lyndon mi ha detto che hanno avuto conversazioni lunghissime. E le hanno tenute riservate, come facevate voi due. - Come ha potuto Duverger non dirmi che veniva qui? E' morto? - M. Duverger ha fatto molta impressione su Lyndon, che lo ha trovato un negro molto singolare, signor Boyd. Hanno chiacchierato di cose che stanno molto a cuore a Lyndon, come la sofferenza, le lotte tra fazioni opposte, i problemi dei negri. Mi ha detto che non si sentiva cosí bene da quando lei e la signorina Teane l'avete allontanato dal suo ufficio. - Ho chiesto se è morto, - dissi. Lei mangiò un dolcetto. - E' a conoscenza dei sentimenti di mio marito come lo sono io, David? - Mi guardava, aspettando una risposta. Non avevo intenzione di dire niente fino a quando lei non avesse detto qualcosa. - Mio marito, - continuò, - si sente responsabile del fatto che lei e io possiamo sentirlo come un peso. La responsabilità lo ha consumato. Lei lo ha visto. Lei è stato il suo unico conforto in questi dieci anni, figliolo. - Allora lei ha davvero paura che lui sia innamorato di me. Sarà stata la somiglianza o un'autentica angoscia, ma notai che rispondeva alle domande come rispondeva Lyndon; era come se le sfiorasse, come se ci girasse attorno per avvicinarsi e poi subito
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allontanarsi seguendo un suo ragionamento. Adesso ridacchiava alla maniera della gente del sud, con la manina bianca che le copriva la bocca piena di pasticcini. I suoi capelli erano racchiusi in una specie di retina. - Lyndon dice sempre che in tutta la vita non ha mai capito perché le nuove generazioni, come la sua, David, valutino l'importanza delle cose misurandole con l'amore. Come se questa parola potesse spiegare i sentimenti degli ultimi anni. Riuscii a vedere l'ombra di Kutner, e di un altro dietro di lui, passare dall'ingresso alla cucina. Mi alzai. Lei stava dicendo: - L'amore è soltanto una parola. Unisce cose separate. Io e Lyndon, anche se lei non sarà d'accordo, concordiamo sul fatto che non ci amiamo piú, nel senso proprio del termine. Perché abbiamo smesso molto tempo fa di essere abbastanza separati per un amore che copra ogni distanza. Lyndon dice che sarà felice il giorno in cui amore, giusto, sbagliato, responsabilità, tutte queste parole, lui dice, saranno per la gioventú americana nient'altro che collegamenti tra distanze. - Sono Kutner e Coby Donagan quelli che ho visto andare in cucina? - La prego, si sieda. Mi sedetti di nuovo. Lei si appoggiò allo schienale.- Lyndon è ossessionato da questo concetto di distanza, David. Il fatto è che lui non sopporta di rimanere solo, fisicamente solo, e non ha importanza se è l'uomo piú potente del mondo - e in questo senso la sua compagnia devota non ha avuto prezzo per noi -, il suo odio per la solitudine è una
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conseguenza di ciò che le sue memorie definiranno un concetto filosofico: la distanza dalla quale ci guardiamo, dalla quale siamo collegati, l'amore. L'amore, lui dice, è una grande autostrada, una linea che unisce vari punti, e questi punti sono le diverse culture, collegate e unite nelle grandi distanze grazie all'autostrada. Mio marito ha dichiarato pubblicamente che anche l'America, l'America che ama a tal punto da accettare di morire per lei, deve essere compresa in termini di distanze. - Allora neanche noi ci amiamo? - Fissavo la sua cristalleria, in ordine e mai usata, accaldato e nauseato. - Due persone molto vicine non possono amarsi nemmeno in modo platonico? - Mio marito dice che voi avete un collegamento particolare. L'uno contiene l'altro, e viceversa. Lui dice che il pavimento su cui lei cammina è di sua proprietà. Lui dice che lei è come il cielo la cui presenza e il cui significato sono lí ogni giorno. Tossii. - Di sicuro l'amore significa meno di questo? Capii, di nuovo, cosa voleva dire la signora Johnson. E di nuovo mi venne da vomitare. - Signora Johnson, - dissi, - io stavo parlando di me e Duverger -. Provai ad appoggiarmi allo schienale della poltrona come aveva fatto lei.- Il signor Johnson lo sa che io e Duverger ci amiamo? Che il mio primo pensiero, quando ho visto che avevo perso i taccuini e che lui non c'era, è stato per lui? Sa che io lo amo? L'ombra che seguiva quella di Kutner era Wardine, la cameriera nera
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della First Lady, che si era specializzata nelle maschere per il viso. - E chi l'ha scritta la scheda su di me, quella che lei ha letto? - Qualcuno che sta nella camera di sopra, - disse la signora Johnson, senza indicare, - dove i nostri due mariti si sono ritirati, - senza guardarmi in faccia, - per cancellare la loro distanza; lui deve sapere quanto noi lo amiamo, figliolo. Deve sapere soltanto questo. Non è d'accordo? - Inclinò la teiera di porcellana, alzando il coperchio per far vedere a Wardine che non c'era piú tè. Di sopra. Io mi alzai di nuovo. Poteva dirmi di mettermi seduto quanto voleva, stavolta. - Il Presidente non morirà, signora. - Non è d'accordo? Wardine versò altro tè alla sua padrona, poi venne verso di me. - Signora? Lei si sporse in avanti, prese dello zucchero, rivolgendosi al proprio volto affilato da uccello, che tremolava sulla superficie del tè come la luna sull'acqua. - Ragazzo, le ho chiesto se è d'accordo o non è d'accordo.
La puzza del mio cappotto insudiciato era la stessa puzza che proveniva, un po' meno forte, da sotto quella porta. Il dolce tintinnio femminile del cucchiaino di Lady Bird era il suono maschio del mio vecchio anello dell'università che batteva sul pannello intarsiato della imponente porta della camera da letto. Bussai. Sentii un improvviso spasmo allo stomaco, e dovetti appoggiarmi fino
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a quando non fu passato. Si udì un lungo lamento provenire dal porto. C'era silenzio dietro la grande porta, in quella notte di novembre del 1968. Dimentica la curva del cerchio, dove la distanza equivale alla pura e semplice visione di quanto abbraccia. Costruisci una strada. Traccia una linea. Vai a ovest, fin dove il paese te lo permette Bodega Bay, non Whittier, California - e traccia una linea; e fa in modo che la scia tracciata stabilisca la distanza tra il punto di partenza e la visione che abbraccia; e seguita a tracciare quella linea, verso ovest, sempre piú lontano; e l'orbe terrestre si allaccerà a quella linea, tienila vicina a quanto abbraccia, come un ingordo con una pralina; e la gigantesca curva che è alla base delle linee rette ti porterà a tempo debito all'estremità orientale del paese alle tue spalle, quella oscura camera da letto padronale sull'oscura sponda orientale dell'Atlantico; e il cerchio che hai tracciato è silenzioso e immenso, e quanto il mondo abbracciò sta all'interno: la camera da letto: un trofeo che nel cadere ha stellato il vetro della teca, un tappeto baluginante di riflessi del traffico e un ammasso di attrezzature in legno che odorano di olio di palma e dell'alito della malattia. Vidi la grande, bianca testata del letto del Presidente, le lenzuola, illuminate dalle luci di diversi colori che provenivano da fuori, dai semafori dell'incrocio tra Washington e Kennedy Street. Sul letto sfatto - dove in modo ordinato erano sparsi fogli e schede, i miei taccuini, e i fogli di un decennio stenografati per Lyndon - giaceva il mio amante, rigido e steso su un
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fianco, un'agghiacciante radiografia di se stesso, uno scheletro, spaventosamente magro, la barba incolta, la mano affusolata dalle unghie grigie che copriva parte della faccia bianca al suo fianco, l'enorme faccia bianca attaccata al corpo esile sotto le lenzuola pulite, immobile, con due agenti dei Servizi ormai distrutti, ora rossi, ora verdi. La mano gelida e protesa di Duverger copriva una parte del viso del Presidente in una carezza interrotta; era come un ragno posato sulla enorme testa calva dell'uomo, la sottile, dritta bocca del carnivoro, gli occhiali con la montatura chiara e l'inalatore poggiati sul comodino, il telefono diretto che lampeggiava, silenziosamente attivo, giallo per la luce gialla che proveniva da Kennedy Street. La mano di Duverger era aperta sulla faccia del Presidente. Vidi le ampie lenzuola bianche di cotone, con Duverger sopra e Lyndon sotto, il petto spigoloso da uomo anziano di Johnson che sbucava dalle lenzuola, spigoli che si muovevano su e giĂş con fatica, il battito sempre piĂş debole, come l'acqua che scorre a grande distanza dalla sorgente. Mi pulii le labbra dal muco e vidi, avvicinandomi, gli occhi inconfondibili del Presidente, gli occhi di una non poi cosĂ piccola persona, gli occhi cerchiati dal blu intenso del dolore profondo, sgranati in direzione del soffitto della camera da letto, li vidi attraverso le dita contratte di Duverger. Sentii labbra che baciavano il palmo di un nero, e labbra e mano si muovevano all'unisono per formare delle parole, con gli occhi che cercavano di mettere a fuoco quella presenza estranea, protesa verso il letto, che ero io. La mano di Duverger, lo capii, si muoveva in quel modo solo se il
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Presidente sorrideva. - Ehi, ragazzo, - sussurrò. Ero vicinissimo, ora. - Lyndon?
E meno male che il Responsabile delle Vendite sapeva fare il massaggio cardiaco Il Responsabile delle Vendite, da poco divorziato, ancora una volta aveva lavorato fino a tardi nel suo ufficio, al Reparto Vendite. Erano le dieci passate. In un altro ufficio, all'estremitĂ opposta di un diverso piano, anche il Vice Presidente dell'Ufficio Esteri, sposato da quasi trent'anni, nonno di un nipotino, aveva lavorato fino a tardi. Uscirono entrambi. Tra i due dirigenti ultimi a lasciare il Palazzo c'erano le stesse analogie sussistenti fra linee parallele. Tutti e due, uscendo, bilanciavano il proprio peso con quello di una ventiquattrore di pesante esilitĂ . Monogrammi e logotipi della compagnia costeggiavano maniglie di metallo rivestite di cuoio che tutti e due stringevano nella mano. Tutti e due, ciascuno al proprio piano vuoto, procedevano lungo corridoi illuminati di luce bianca su tappeti monocolori friabili e fruscianti verso gli ascensori che muti e a bocca aperta stavano ciascuno nel proprio pozzo ai rispettivi ingressi dell'enorme Palazzo. Tutti e due, percorrendo il corridoio del proprio reparto, provavano la tipica inquietudine subsonica che prova il dirigente
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abituato a fare gli straordinari quando di notte con soprabito vestito spiegazzato e cravatta allentata si muove in zone che andrebbero viste e vissute alla luce del giorno. Tutti e due ricevettero, con la diversa intensità consentita dal rispettivo dolore, un'intuizione dell'obliquo quando, nella pila ordinata di fette di spazio illuminato che separavano il dirigente dal lamento distante dell'aspirapolvere di un custode, il silenzio stesso del Palazzo trovò espressione: sentirono, quasi nelle ossa, il lento sollievo di un respiro profondo, un sospiro spaziale, l'impercettibile movimento furtivo di enormi palpebre che si schiudono in affinità ridesta con il vuoto che dopo tutto era, capisce l'assennato dirigente, metà dell'intera giornata del Palazzo. Capisce che il Palazzo non solo racchiude lo spazio, ma lo organizza; controlla il dirigente e non viceversa. Che il Palazzo non era, dopo tutto, fatto da o per i dirigenti. O gli impiegati. Tantomeno il Responsabile divorziato del Reparto Vendite, il quale osservò fra sé, solo, nell'ascensore in discesa verso il Garage dei Dirigenti, che, a un certo punto inosservato ma mai trascurato di ogni serata aziendale di lavoro, arrivava il Momento di Andarsene; che quel punto della notte di straordinari era il fulcro sul quale le cose fondamentali e invisibili ruotavano, impercettibilmente - il perno di ore inconsapevoli - e che, nel lasso di tempo fra quel punto e l'alba lavorativa di abiti impeccabili, il problema dell'egemonia del Palazzo sarebbe diventato, silenziosamente, in loro assenza, un vero problema, sospeso nell'aria, irrisolto. Il Responsabile delle Vendite era sospeso nell'aria, appeso al filo
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del suo ascensore. Questo Giovane Dirigente di nuovo single, smilzo, agile, era circondato da un'aura di grande austeritĂ , aveva fatto prestissimo carriera (un giovane dirigente in senso quasi letterale), si sentiva piĂş a suo agio con quelli che manteneva a vari metri di distanza, e aveva un atteggiamento professionale, nei confronti dei clienti che rappresentava per la compagnia, distribuito lungo un asse che andava dall'efficiente al freddo. Il suo ascensore scendeva con un fitto brusio che di solito era impossibile sentire. Lo scooter d'importazione bianco sfavillante del Responsabile delle Vendite se ne stava inclinato sul cavalletto accanto a una possente e altrettanto sfavillante auto modello Brougham. Erano gli unici due veicoli rimasti nel vuoto Garage dei Dirigenti sotto il Garage degli Impiegati sotto il seminterrato del Palazzo. A quell'ora, le dieci passate, il livello piĂş basso del Palazzo sembrava lontanissimo da tutto. Il vuoto Garage dei Dirigenti era enorme, sconfinato, lunghissimo, con quel soffitto claustrofobico alto due metri e mezzo, quelle orribili luci gialle appena sopra la testa, il cemento delle superfici che aveva lo stanco colore dei gas di scarico. E poi il din don, il rollio e il sospiro dell'ascensore del Responsabile delle Vendite che si richiudeva alle sue spalle produsse echi e echi di echi che si frangevano contro e fra i muri di pietra grigia del Garage dei Dirigenti, e lo stesso fecero il ticchettio delle eleganti scarpe del Responsabile delle Vendite e il tintinnio delle chiavi separate dagli spiccioli. Il silenzio del luogo, totale e sensibile a ogni eventuale disturbo, non invogliava a fischiettare. Il Garage dei
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Dirigenti odorava di gas di scarico, di qualcosa che era vagamente ma indubbiamente gomma e di Responsabile delle Vendite. Una ventilazione umidiccia corse il Garage: proveniva dal curvo orifizio della Rampa di Uscita, posto accanto al Settore Riservato - riservato a Direttori e Funzionari - a un mezzo isolato dal punto centrale dove erano parcheggiati Brougham e scooter. La Rampa di Uscita si avvolgeva a perdita d'occhio in una buia spirale che oltrepassava il piano degli Impiegati per sbucare nella strada silenziosa, vuota, illuminata dai lampioni comunali. Il Responsabile delle Vendite stava aggirando la Brougham nera fiammante per raggiungere lo scooter, quando sentí il rollio e il sospiro dell'ascensore sul lato opposto del Garage dei Dirigenti. Il suo casco, legato con la catena in fondo al sellino, per il momento era il casco dello scooter, e il Responsabile delle Vendite, la cui moglie, dalla quale era ormai legalmente separato, era quella che aveva tramato e confabulato, ebbe la momentanea visione dello scooter col casco come di un centauro delle Shetland infestato da spiritelli, abitato da esseri minuscoli e invisibili - la visione di quella sera fu subitanea, perché il giovane dirigente guardò quasi immediatamente oltre lo scooter e dall'altra parte del Garage verso il din don riecheggiato dell'ascensore opposto. L'ascensore vomitò il Vice Presidente dell'Ufficio Esteri, che avanzava rigido, paonazzo, verso lo spazio sgombro, giallo schiacciante del Garage dei Dirigenti. Il Responsabile delle Vendite e il Vice Presidente dell'Ufficio Esteri si conoscevano poco, solo di vista, e il Responsabile delle
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Vendite si era tolto le lenti a contatto nel bagno del Reparto Vendite prima di cominciare la lunga serata di letture ravvicinate alla luce bianca. Ma siccome il Vice Presidente dell'Ufficio Esteri era grande e grosso - alto, grosso, largo e informe, e anche la schiena, uno scafo che di giorno percorreva al rallentatore i corridoi della compagnia, era florida, scabra, un dirigente vecchio abbastanza da essere letteralmente un Anziano Dirigente - il Responsabile delle Vendite riconobbe quasi all'istante il Vice Presidente dell'Ufficio Esteri che emergeva dall'ascensore opposto del Garage dei Dirigenti e procedeva ticchettando e tintinnando, rigido, verso la messa a fuoco del Responsabile delle Vendite, la testa dell'omone anziano si drizzò come se avesse percepito un rumore, infastidita, il corpo grossissimo che sbarellando curiosamente rallentava, si fermava, scarrocciava, incapace di rispondere a una chiara propensione alla rapidità, e procedeva solo spostando il peso da una parte all'altra, una mongolfiera umanoide con troppa aria, che portava la valigetta di pesante esilità dai manici di cuoio verso la solida Brougham nera parcheggiata accanto allo scooter «spiritato» e col casco del Responsabile delle Vendite, continuando a tastare qualcosa nel davanti del soprabito con la mano piena di fazzolettini e di chiavi. Il Responsabile delle Vendite era chino sulla complicata estirpazione del casco. Già si predisponeva a quella sensazione tutta maschile e singolare data dall'imperativo alla conversazione che sempre si pone a due uomini legati da interessi professionali che si
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incontrano a tarda ora in uno spazio sotterraneo altrimenti vuoto e silenzioso, ma di una gracile silenziosità, ben al di sotto del luogo alto e vagamente palpitante di una lunga e dura giornata per entrambi: l'obbligo di conversare senza i presupposti di una conversazione dettati da intimità o interessi o preoccupazioni da condividere. Condividevano il dolore, anche se naturalmente nessuno dei due lo sapeva. Chino a decapitare il suo scooter, il Responsabile delle Vendite andava cercando parole né liquidatorie né invitanti, né distaccate né invadenti; disponeva la faccia a una studiata noncuranza, limitando gli eventuali convenevoli a una sorta di striminzito «Saaalve!» che già contenesse un'attestazione di distanza e la volontà di mantenerla. Chino, dispose la carne della sua faccia, assunse uno sguardo freddo ma rispettosamente freddo e senza sforzi di immaginazione addolorato con il quale incontrare lo sguardo inevitabile del Vice Presidente dell'Ufficio Esteri. Dalla parte opposta l'ascensore si richiuse con un rollio; le cose all'interno ascesero, risuonando. Il Vice Presidente dell'Ufficio Esteri era ancora abbastanza distante da produrre echi, ma, nella visione periferica, stava ancora puntando, lentamente, una mongolfiera, un iceberg, verso il Responsabile delle Vendite, che sollevò la disposizione della sua faccia dal (finalmente) amputato casco e la portò dallo scooter bianco all'anziano dirigente che si avvicinava. Il Vice Presidente dell'Ufficio Esteri, si avvide lui, che lo veniva puntando, la mano tintinnante sul davanti del soprabito, ora
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si era fermato; stava lí ora, impalato, sollevando il collo possente e la grossa testa verso il nulla, come un animale uggiola a un sentore minaccioso. Il Responsabile delle Vendite guardò, poi osservò, mentre il Vice Presidente dell'Ufficio Esteri se ne stava lí, impietrito, gonfio, con una smorfia; l'anziano dirigente faceva una smorfia a un punto dietro e apparentemente appena sopra il Responsabile delle Vendite, come se decifrasse l'iscrizione di un'antenna radio sul soffitto scalfito alto due metri e cinquanta del Garage dei Dirigenti. Il Vice Presidente dell'Ufficio Esteri se ne stava lí, a fare smorfie, piantato appena al di là di una perfetta messa a fuoco da astigmatico. Oscillò pesantemente, fece un'altra smorfia, lasciò cadere una ventiquattrore di rumorosa esilità e si portò le mani a quella che sembrava, un po' sfocata, una specie di cavità comparsa sul davanti del soprabito a doppiopetto. Si aggrappò a se stesso come fanno le persone doloranti; sembrò piegarsi in due, il grosso corpo tutto curvo sopra e attorno all'evidente alveo di dolore sul davanti del soprabito. Emise un suono come un gorgoglio, triplicato dall'eco. Il Responsabile delle Vendite osservava il Vice Presidente dell'Ufficio Esteri che piroettava, strusciava contro la fuliggine di un pilastro di cemento scorticandone una striscia e urtava contro la ciambella di cemento di un senso vietato rollando, piroettando, abbrancando l'aria, inarcandosi, accasciandosi e cadendo. Sembrava che a cadere, notò il Responsabile delle Vendite, osservando, sorpreso oltre misura, ci mettesse il doppio del tempo che ci mettono
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normalmente le cose a cadere. Il Vice Presidente dell'Ufficio Esteri, gorgogliando, tenendosi la rientranza del petto, cadde con delicata lentezza sul pavimento ingrigito dai gas di scarico del Garage dei Dirigenti, dove prese a contorcersi. E meno male che il Responsabile delle Vendite sapeva fare il massaggio cardiaco. Tempestivo, rapido, agile, in forma, indipendente, ormai un lupo solitario - benchÊ efficiente - nella grigia foresta della vita, non tanto freddo quanto efficace, attraversò, in uno slancio samaritano, l'intervallo di pietra che separava la sua esile valigetta e lo scooter senza casco dal Vice Presidente dell'Ufficio Esteri, per mettersi a gambe divaricate sull'enorme informe anziano che si contorceva e che, a quella insolita ravvicinata distanza di emergenza, scoprà il Responsabile delle Vendite, aveva grossi pori sulla faccia, occhi di una mitezza inespressiva, una sottile ragnatela di capillari a colorirgli le guance, la bocca aperta come un pesce, fronte bianco rospo aggrottata dal dolore, mento perso nella pozza di carne del suo stesso collo, mani che battevano un tempo senza ritmo sul petto dei vestiti, deboli gorgoglii miagolati persi negli echi triplicati delle subitanee e ripetute richieste di aiuto da parte del Responsabile delle Vendite ai piani superiori. I vestiti, il cappotto, l'abito di lana grigia sembravano espandersi, allentati, dall'anziano dirigente supino espandersi come l'acqua, pensò il Responsabile delle Vendite, incallito lanciatore di pietre a pelo di stagno - espandersi come l'acqua si ritrae in cerchi da quanto ne ha disturbato il centro.
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Il Rappresentante delle Vendite, in tutto quest'arco di tempo, da quando pilastro e segnale erano stati strusciati e urtati, aveva urlato aiuto nel vuoto Garage dei Dirigenti. Le sue urla, i gorgoglii del Vice Presidente dell'Ufficio Esteri supino, e relativi echi, stavano producendo un rumore complessivo le cui proporzioni, che sembravano illimitate al chiuso del Garage dei Dirigenti, erano tali che il Responsabile delle Vendite sarebbe rimasto perplesso e sorpreso al punto da negarlo decisamente - mentre piegava all'indietro il testone scabro dai grossi pori sul fulcro di un palmo e usava un sottile dito pulito per sgombrare la martoriata gola rosa uterino da lingua e materiale estraneo - per quanto poco del suono cacofonico e apparentemente totale delle sue richieste di aiuto stesse risalendo la curva della minuscola Rampa di Uscita e filtrando attraverso i rari interstizi nel soffitto da bunker del Garage dei Dirigenti per risuonare al piano deserto degli Impiegati, senza parlare del fatto di dover superare la spirale ora rovesciata della Rampa o di dover evadere dalle spessissime mura di cemento del Garage del Personale per arrivare nella silenziosa ma ben illuminata strada della zona commerciale di sopra, percorsa da due innamorati che incedevano maestosi, pallidi come bambole, braccia intrecciate, silenziosi, l'orecchio teso senza mai però udire una vera differenza nel costante, distante sibilo e sospiro del traffico cittadino notturno. Nel frattempo, sotto il Garage del Personale sotto la strada, nello smisuratamente riecheggiante e desolato Garage dei Dirigenti, il
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Rappresentante delle Vendite aveva squarciato i vestiti che si espandevano dalla bizzarra rientranza e si stava adoperando con tutte le forze sul cuore difettoso del Vice Presidente dell'Ufficio Esteri. Praticava il massaggio cardiaco, battendo sul morbido incavo dello sterno, alternando quattro colpi con la respirazione attraverso le labbra piene ma leggermente blu e la testa piegata dell'anziano dirigente martoriato, dentro il petto infossato che si sollevava, il petto ricadeva, prendendo il tempo e il fiato concesso dalla pausa ogni quattro colpi possibili per invocare Aiuto in direzione della tranquilla strada mentre, usando il massaggio cardiaco, riusciva a mantenere il Vice Presidente dell'Ufficio Esteri in vita quel minimo sufficiente in attesa dell'arrivo dei soccorsi, come gli aveva insegnato e certificato una piccola istruttrice neohippy dagli occhi a mandorla volontaria della Croce Rossa - sotto le cui gambe divaricate, ricordava, si erano messi volontariamente tutti gli studenti per farsi praticare la respirazione, e alla quale il Responsabile delle Vendite aveva offerto, in una serata spontanea e illuminata al quarzo, una tazza di caffè e un toast ai nove cereali, invitandola alla Festa Annuale degli Apprendisti Venditori, e aveva poi sposato - glielo aveva certificato lei, poteva sempre servire a salvare una vita, e lui era rimasto ammaliato dal principio enunciato della fidanzata, secondo il quale, nel dubbio, era sempre meglio sbagliare nel senso della sollecitudine e della prontezza per preservare le funzioni vitali minime, fino all'arrivo dei soccorsi, le braccia e la zona lombare che ora cominciavano a bruciargli mentre colpiva, chino, l'anziano dirigente supino, continuando a invocare
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«Aiuto» nelle pause e allentando il suo di colletto, il sudore che scivolava oleoso sulla pelle soda sotto il suo di soprabito foderato e l'abito di lana grigia, il suo di respiro che si faceva affannoso per mantenere il Vice Presidente dell'Ufficio Esteri in vita, scongiurando l'arrivo dei soccorsi, alle dieci passate, nel vuoto piú totale, invocando, inascoltato, «Aiuto», la vita di uno felicemente sposato e nonno di mitezza inespressiva ora letteralmente nelle mani del giovane dirigente, da tenere e mantenere, per una vita, tra le spire di gas di scarico dimenticati, sotto l'occhio compassato e vigile della luce del suo scooter decapitato. - Aiuto, - continuava a invocare il Responsabile delle Vendite, ogni quatto colpi concessi durante il mantenimento circolatorio artificiale, mentre a gambe divaricate praticava la respirazione al Vice Presidente dell'Ufficio Esteri supino, martoriato in mezzo a una sgonfia spira di panni scompigliati che si espandevano, ancora, lentamente sul cemento al monossido di carbonio. - Aiuto, - invocava l'attivo Responsabile delle Vendite, avvertendo come il vago ricordo della ventilazione umidiccia e interrompendosi, di nuovo, per guardarsi alle spalle, oltre il cofano nero della Brougham e il casco buttato distrattamente accanto allo scooter bianco, verso la Rampa che saliva in una spirale a perdita d'occhio fino a una strada, vuota e luminosa, davanti al Palazzo, vuoto e luminoso, spodestato, autonomo e autosufficiente. Chino su quanto richiedevano due vite, sotto tutto, continuava a invocare aiuto.
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La mia apparizione in Tv Sono una che il 22 marzo 1989 è apparsa in pubblico al David Letterman Show. Una, per dirla con mio marito Rudy, che ha una faccia e delle opinioni note, grosso modo, alla stragrande maggioranza della popolazione degli Stati Uniti, e un nome sulle copertine, sugli schermi e sulla bocca di tutti. E che ha il cuore invisibile, celato in recessi inaccessibili. Cosa che, secondo Rudy, avrebbe dovuto salvarmi dalle conseguenze della mia apparizione in Tv. La settimana intorno al 22 marzo 1989 è stata anche la settimana in cui, nello show di David Letterman, hanno mostrato una serie di servizi che curiosavano nella vita privata e nei passatempi dei dirigenti della Nbc. Mio marito, che ha un nome piú conosciuto nell'ambiente dello spettacolo che fuori, stava sulle spine: conosceva Letterman, e lo temeva; a sentire lui, sapeva bene quanto Letterman amasse bistrattare le sue ospiti, quanto fosse misogino. Era domenica quando mi ha comunicato che era il caso, assieme a Ron e Charmian, la moglie di Ron, di prepararmi ad affrontare Letterman. Il 22 marzo 1989 sarebbe stato il mercoledì successivo. Il lunedì, gli spettatori hanno seguito David Letterman che andava a fare pesca d'altura con il direttore della testata giornalistica della Nbc. Il dirigente, che mio marito aveva conosciuto, aveva un pappo di peli che gli germogliavano nelle orecchie rosse ed era proprietario di imbarcazione canna e mulinello ipertecnologici, il tipo da fare pesca d'altura senza neanche l'amo. Lui e Letterman
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avevano fissato l'esca ai fili con gli elastici. - E' lí che aspetta che il povero coglione si decida a mettersi a smoccolare contro i pesci, - ha detto Rudy con una smorfia, mentre fumava. Il martedì, Letterman ha passato al setaccio l'enorme collezione di calamite da frigorifero del responsabile dei varietà della Nbc. Diceva: - Ditemi voi se questo non è spettacolo, signore e signori! Sentivo sulla lingua il sapore amaro dello Xanax. Abbiamo chiesto a Ramon di tirare fuori qualche vecchia registrazione dello show e l'abbiamo guardata. - Che effetto ti fa? - mi ha chiesto mio marito. Al rallentatore, Letterman lasciava cadere dal tetto di un palazzo di venti piani diverse bottiglie di champagne, della frutta bella matura, una lastra di cristallo, e quello che, solo per un attimo, è sembrato un maialino vivo. - E' tutto fasullo, è questo che conta, - ha detto Rudy mentre David Letterman lasciava cadere un maialino urlante da quello che era chiaramente un tetto finto ricostruito in studio; abbiamo visto qualcosa precipitare dall'alto del tetto vero e schiantarsi al suolo per rivelarsi solo un maialino imbalsamato. - Ma questo non ne fa un santo -. Mio marito ha lanciato un'occhiata alla sua immagine riflessa nel vetro nero della nostra sala di proiezioni e si è ricomposto: - Non ti credere che la fasullaggine sia reale. - Io davo per scontato che la fasullaggine non dovesse sembrare
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reale, - ho detto. Lui mi ha indicato lo schermo, dove Paul Shaffer, collaboratore musicale e amico di David Letterman, aveva assunto la sua tipica aria interrogativa. Avevamo preso tutti e due dello Xanax prima che Ramon sistemasse i nastri. Io avevo bevuto anche un bicchiere di chablis. Arrivati all'esame e alla discussione delle calamite, mi sentivo sfinita. Anche mio marito era stanco, ma si andava convincendo sempre piú che questa apparizione in Tv presentava dei problemi. Che andava presa sul serio.
La telefonata era arrivata da New York il venerdì precedente. La persona al telefono si era congratulata con me per il fatto che il mio serial poliziesco veniva ripreso per la quinta stagione consecutiva, e mi aveva chiesto se mi andava di partecipare come ospite al David Letterman Show; Mr Letterman, aveva detto, sarebbe stato terribilmente felice di avermi nel programma. Dopo qualche titubanza avevo acconsentito. Di illusioni me ne restano poche, però sono davvero orgogliosa del successo del nostro spettacolo. Faccio un bel personaggio, mi impegno, lo interpreto bene, e vado letteralmente pazza per gli altri attori e per tutti quelli che lavorano alla serie. Ho chiamato il mio agente, il direttore di produzione e mio marito. Ho accettato di apparire in Tv mercoledì 22 marzo. Per me e Rudy era l'unico buco della settimana, incalzata com'ero da una tabella di marcia che non mi concedeva di mettere insieme due giorni liberi di fila: la mia serie viene registrata il venerdì, con lettura
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del copione e prova generale il giorno prima. Anche per il 22, aveva fatto presente mio marito, mentre bevevamo un drink, saremmo dovuti partire dall'aeroporto di Los Angeles il mercoledì mattina molto presto, visto che per contratto dovevo partecipare a uno spot di würstel il martedì. Il mio agente si era offerto di rimandare le riprese dello spot - quelli della Oscar Mayer si erano mostrati molto disponibili durante tutta la campagna pubblicitaria - ma la regola di mio marito è che bisogna sempre rispettare gli obblighi contrattuali e io, vivendo con lui, avevo deciso di adottarla. Questo significava che martedì avrei fatto le ore piccole per guardare il David Letterman Show e il maialino e le calamite da frigorifero e una sfilza interminabile di animali che facevano le cose piú strane, per poi prendere un volo all'indomani prima dell'alba: anche se la registrazione dello show non cominciava prima delle 17,30 ora locale, Rudy aveva fatto di tutto per incontrare Ron in anticipo e studiare con calma una strategia. Martedì notte, prima che mi addormentassi, David Letterman aveva fatto indossare un vestito di velcro a Teri Garr, che si era lanciata contro un muro di velcro. Quella sera la rubrica di libri presentava l'edizione del 1989 della ^Buyer's Guide to New York City Officials; mentre Letterman tendeva il libro verso le telecamere, Teri, appiccicata al muro, penzolava dietro di lui a una certa distanza da terra. - Quella potresti essere tu, - ha detto mio marito, chiamando in cucina per avere un bicchiere di latte.
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Lo show aveva la mania di presentare le cose dieci a dieci. Abbiamo guardato quelle che, secondo la redazione dello show, erano le dieci pubblicità piú brutte di tutti i tempi. Ricordo la numero cinque, o forse era la quattro: una compagnia tedesca di auto cercava di associare l'acquisto della sua macchina a forma di scatolone con il piacere sessuale mostrando, su uno sfondo di pini e strumenti a fiato, una languida donna nordica che cedeva al fascino del cambio della macchina. - Be', io sono tutto scombussolato, - ha detto Letterman alla fine del filmato. - E voi, signore e signori? Poi ha fatto vedere il falso spot di un programma culturale che con tutta probabilità la Pbs aveva deciso di non inserire nel palinsesto autunnale. Si trattava del filmato piuttosto reticente di quattro ribelli del Kurdistan con tanto di turbante, carichi di artiglieria leggera, che durante la rivoluzione riescono a ritagliarsi del tempo per suonare un quartetto di Händel in un prato pieno di fiori viola. Il messaggio era che i germogli della cultura fioriscono anche nei terreni piú impervi. Letterman si è schiarito la voce e ha detto che alla fine la Pbs si era arresa alle pressioni dell'Associazione Genitori e Insegnanti contro lo spot. A un rullo di tamburi Paul Shaffer ne ha chiesto il motivo. Letterman ha fatto una smorfia di imbarazzo che io e Rudy abbiamo trovato irresistibile. C'erano, ancora una volta, dieci risposte. Le due che ricordo erano: accostamento gratuito di Sikh e violette, accostamento gratuito di questioni religiose e violini. Tutti ridevano a crepapelle. Anche Rudy ha riso, pur sapendo che la Pbs non aveva mai commissionato un
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programma del genere. Io ho riso mezza addormentata e mi sono appoggiata al braccio che teneva allungato sullo schienale. Ogni tanto David Letterman se ne usciva con un: - E adesso ci divertiamo, gente -. E tutti ridevano. Ricordo di aver pensato che non trovavo Letterman particolarmente minaccioso, anche se ero sconvolta all'idea di venire scollata da un muro.
E non mi importava niente di come l'ombra pronta, obliqua dell'aereo si affrettava sulla pista per unirsi a noi quando abbiamo toccato terra. A quel punto ero completamente sconvolta. Sono addirittura sobbalzata con un Oh quando il muso dell'aereo ha coinciso con la sua ombra all'atterraggio. Sono anche scoppiata a piangere, ma niente di grave. Io sono una che quando è sconvolta si mette a piangere; non me ne faccio un problema. Ero tesa e sfinita. Mio marito mi ha accarezzato i capelli. Però, ha detto, non era il caso che prendessi uno Xanax, e gli ho dato ragione. - Devi essere vigile, - ecco il motivo. Mi ha preso il braccio. L'autista della Nbc ha messo i bagagli dietro, lontano da noi. Li sentivo sballottare nel bagagliaio. - Devi essere vigile e preparata, - ha detto mio marito. Secondo lui ero tesa quanto basta da mostrarmi conciliante; Rudy sÏ che conosceva la natura umana. Ma a quel punto ero una corda di violino. Una buona parte della mia tensione in vista dell'apparizione in Tv sapevo bene da dove veniva. - Fino a che punto dovrei essere preparata? - ho chiesto. Io e
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Charmian avevamo già discusso al telefono della mia apparizione. Lei mi aveva consigliato decisione e semplicità. Avrei indossato un abito blu a tinta unita, senza gioielli. Capelli sciolti. Rudy aveva tutt'altro per la testa. Diceva di temere per me. - Io non ci vedo tutte queste cose terribili che ci vedi tu, in David Letterman, - gli ho detto. - Ha le lentiggini. Leggeva le previsioni del tempo in una Tv locale. E' un dritto. Ma lo sono anch'io, Rudy. Morivo dalla voglia di uno Xanax. - Tutti e due sappiamo come sono fatta. Sono un'attrice che ormai ha quarant'anni e quattro figli, tu sei il mio secondo marito, hai fatto un salto di qualità nella carriera, io ho girato tre serial, gli ultimi due di grande successo, ho avuto una nomination agli Emmy e probabilmente non farò mai carriera nel cinema né il mio lavoro di attrice sarà mai apprezzato davvero -. Mi sono girata per guardarlo. - Embè? Tutto questo è risaputo. E' già sotto gli occhi di tutti. Onestamente, non riesco a pensare a nulla di me o di noi che possa essere attaccabile. Mio marito ha allungato il braccio bello robusto sullo schienale dietro di noi. La limousine odorava come una borsa di buona qualità; gli interni erano di pelle rossa morbidissima. Sembrava quasi umida. - Si accanirà sulla faccenda dei würstel. - Ci provi, - ho detto io. Mentre attraversavamo un quartiere della periferia a sud est di Manhattan, mio marito ha cominciato ad agitarsi per il fatto che l'autista della Nbc, un ispanico giovane e bruno, poteva sentire quello che stavamo dicendo, anche se tra noi c'era uno spesso vetro divisorio, e per parlargli era necessario attivare l'interfono. Mio
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marito ha tastato il vetro e la griglia dell'interfono. La testa dell'autista era immobile, tranne quando si muoveva per guardare negli specchietti retrovisori. La radio era stata accesa per noi e l'interfono diffondeva musica classica. - Non può sentirci, - ho detto. - ...pensa se hanno registrato questa conversazione e la fanno ascoltare mentre siete in onda e tu stai a guardare inorridita, - ha mormorato mio marito assicurandosi che l'interfono fosse spento. Letterman ci andrebbe a nozze. E noi faremmo la figura dei perfetti idioti. - Perché insisti a dipingerlo cosí squallido? Non ne ha l'aria. Rudy ha provato a rilassarsi mentre entravamo nella Manhattan che conta. - Questo è lo stesso uomo, Edilyn, che ha chiesto pubblicamente a Christie Brinkley in quale stato si corre il Kentucky Derby. Mi sono ricordata di quello che Charmian aveva detto al telefono e ho sorriso. - Ma è vero o no che lei non ha saputo rispondergli? Anche mio marito ha sorriso.- Be', lei era stravolta, - ha detto. Mi ha accarezzato la guancia, e io la sua mano. Cominciavo a sentirmi meno nervosa. Ha usato la sua mano e la mia guancia per farmi girare verso di lui. - Edilyn, - ha detto, - il problema non è il suo squallore. Il problema è il ridicolo. Quel bastardo dispensa ridicolo come un
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enorme parassita stile Howdy-Doody. L'intero show se ne pasce; si gonfia e cresce quando le cose diventano assurde. Con Letterman che mette su un'aria satolla, sinistra, raggiante. Chiedi a Teri il fatto del velcro. Chiedi a Lindsay di quel filmato manipolato di lui e del papa. Chiedi a Nigel, a Charmian o a Ron. Li hai sentiti, no? Ron potrebbe raccontarti delle storie da far rizzare i capelli. Nella borsetta avevo un portacipria. Dopo due giorni filati di trucco televisivo, avevo la pelle infiammata e bollente. - Però è simpatico, - ho ricominciato. - Letterman, dico. Quando lo abbiamo visto, mi è sembrato che gli piacesse mettere in ridicolo se stesso almeno quanto gli ospiti. Insomma, non è un ipocrita. Ci trovavamo in un piccolo ingorgo. Un tipo male in arnese stava cercando di pulire il parabrezza della limousine con la manica. Rudy ha cominciato a dare colpi sul vetro divisorio fino a quando l'autista non ha attivato l'interfono. Ha detto che invece di passare prima in albergo, volevamo essere portati direttamente al Rockefeller Center, dove si registrava lo show. L'autista non si è girato ne ha fatto un cenno di assenso. - E' anche questo a renderlo cosí pericoloso, - ha detto mio marito, tirando su gli occhiali per massaggiarsi il naso. - L'intera cosa alimenta il ridicolo in tutti i presenti. Il fatto stesso che il pubblico possa dire che Letterman sceglie di mettersi in ridicolo, esenta quel bastardo di un dritto dalla vera ridicolaggine -. Il giovane autista ha suonato il clacson; l'accattone si è tirato indietro. Ci dirigevamo verso est, risalendo Manhattan; da quella distanza
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potevo vedere il palazzo dove Letterman registrava lo show e dove Ron lavorava in un ufficio al sessantesimo piano. Ron era collega di mio marito prima che Rudy decidesse di passare alla Tv pubblica. Erano rimasti amici. - La vittoria o la sconfitta dipende da come la tua ridicolaggine sarà percepita dal pubblico, - ha detto Rudy, affacciandosi nel mio portacipria per aggiustare il nodo alla cravatta. Man mano che ci avvicinavamo avevamo una visione sempre piú parziale del grattacielo Rockefeller. Ho chiesto mezza pillola di Xanax. Sono una che detesta sentirsi confusa; mi sconvolge. Tutto quello che volevo era sentirmi vigile e rilassata. - Apparire vigile e rilassata, - mi ha corretto mio marito.
- Farà di tutto per farti sembrare ridicola, - ha detto Ron. Lui e mio marito erano seduti sullo stesso divano di un ufficio a un piano cosí alto del palazzo che mi sentivo le orecchie come al decollo. Stavo di fronte a Ron in una poltrona tacitamente costosa di acciaio rivestito di tela. - E qui non puoi farci nulla, - ha continuato. Però c'è modo e modo di rispondere. - Cioè? - Basta rispondere a tono, - ha detto Ron, portandosi il bicchiere alla minuscola bocca. - Se quello che vuole è farmi sembrare una stupida, - ho detto, liberissimo di provarci, direi, o no? Rudy ha fatto roteare il contenuto del bicchiere. Il ghiaccio ha
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tintinnato. - E' questo l'atteggiamento che sto cercando di farle assumere, - ha detto a Ron. - E' convinta che Letterman sia davvero come lo vede lei. Tutti e due hanno sorriso, scuotendo la testa. - Be', lui ovviamente non è affatto cosí, - mi ha detto Ron. Ron ha forse la bocca piú piccola che abbia mai visto in faccia a una persona; io e mio marito conosciamo ormai da anni sia lui che Charmian, due veri amici. Ha una bocca assolutamente priva di labbra, con gli angoli acuti; piú che una bocca sembra una specie di taglio nella testa. - Perché nessuno è cosí, - ha detto. - E lui è convinto che questa è la sua grande trovata. Ecco perché ogni cosa dello show va ridicolizzata -. Sorrideva. - Ma è questo il nostro vantaggio, Edilyn, che lo sappiamo. Se sai in anticipo che verrai trattata in modo da sembrare ridicola, sei tu a guidare il gioco, perché a quel punto puoi renderti ridicola da sola, senza lasciare che sia lui a farlo. Almeno Ron pensavo di riuscire a capirlo. - Dovrei fare in modo di rendermi ridicola? Mio marito si è acceso una sigaretta. Ha accavallato le gambe e si è messo a osservare il gattino bianco di Ron. - La questione fondamentale è se vogliamo lasciare che Letterman si prenda gioco di te su un canale nazionale, o se lo vuoi anticipare e stare al gioco facendolo da sola -. Rudy guardava Ron, che ormai era in piedi. Come scelta tua, - ha detto Rudy. - E' qui che ci giochiamo la vittoria o la sconfitta -. Ha sospirato. Il divano era in una macchia di sole. La luce, a quell'altezza, sembrava chiara e fredda. La sua
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sigaretta sfrigolava, sprigionando il fumo nell'aria luminosa. Ron era tipo da mettersi in agitazione, e cosí ha fatto anche in quell'occasione: si alzava e si sedeva e si alzava di nuovo. - E' il consiglio giusto, Rudolph. Ci sono cose permesse e cose vietate. Non devi sembrare una che vuole fare la furba o l'intelligente. Funziona con Carson. Ma con Letterman non attacca. Ho sorriso stancamente a Rudy. La lunga sigaretta sembrava avere un'emorragia di fumo, il sole sul divano era fortissimo. - Carson ti darebbe manforte, - ha confermato Rudy. - Carson è sincero. - La sincerità non c'entra, - ha detto Ron. - Qui si prende in giro la gente sincera. - O che ha l'aria sincera, che crede di esserlo, come direbbe Letterman, - ha detto mio marito. - Ecco, bravo, - ha detto Ron, squadrandomi dalla testa ai piedi. Aveva la bocca piccola e la testa enorme e rotonda, il ginocchio sollevato, il gomito appoggiato sul ginocchio, il piede sul bracciolo di un'altra esile poltrona d'acciaio, mentre il gatto circuiva l'altro piede in terra disegnando pigri anelli. - E' il peccato capitale che si commette al David Letterman Show. E' il tallone di Adidas di ogni ospite che gli finisce fra le grinfie -. Ha bevuto. Tanto vale che tu lo sappia. - E' proprio cosí, ti dico: far vedere che lo sai è la cosa migliore, - ha detto mio marito, sputando un pezzetto di ghiaccio nella mano. Il gatto di Ron si è avvicinato per annusare il pezzo di
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ghiaccio. Il calore delle dita protese di mio marito ha trasformato il ghiaccio in acqua, mentre io lo guardavo, assente. Il gatto ha starnutito. Mi sono aggiustata il vestito blu che mi ero infilata nel camerino di Letterman. - Voglio sapere soltanto se mi prenderà in giro per la pubblicità dei würstel, - ho chiesto a Ron. Era questo che temevo davvero. Quelli della Mayer si erano comportati molto bene durante le trattative e la campagna pubblicitaria, e credo anche che eravamo riusciti a fare degli onesti e gradevoli spot, e del resto non dovevano essere niente di piú che adatti e divertenti per un prodotto del genere. Non volevo che i würstel di Oscar Mayer venissero messi in ridicolo per colpa mia; né volevo che mi facessero passare per una che prostituiva nome, faccia e doti per una fabbrica di carne. Voglio dire, la metterà giú dura? Si accanirà su questa cosa? - Non se lo farai tu per prima! - hanno detto Rudy e Ron all'unisono, guardandosi. Poi sono scoppiati a ridere. Era un gioco fra loro. Ho riso anch'io. Ron si è girato per riempirsi di nuovo il bicchiere. Io ho bevuto un sorso dal mio. Il ghiaccio della Pepsi continuava a battermi sui denti. - E' l'unico modo per sdrammatizzare la cosa, - ha detto Ron. Mio marito ha schiacciato la sigaretta. - Devi bistrattarti prima che ti bistratti lui, - ha allungato il bicchiere a Ron. - Devi fare in modo che ti vedano come una che sa prendersi in giro, in modo consapevole e autoironico -. La grande bottiglia ha gorgogliato mentre Ron riempiva di nuovo il bicchiere di Rudy. Ho chiesto se potevo avere anche solo un terzo di Xanax.
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- In altre parole, devi apparire a Letterman come lui appare alla gente, - Ron ha fatto un gesto come per riassumere il tutto, poi si è seduto un'altra volta. - Ridi senza scomporti. Comportati come se sapessi fin dalla nascita che è tutto trito, artificiale, vuoto, assurdo, e che proprio per questo è divertente. - Ma io non sono affatto cosí. Il gatto ha sbadigliato. - Non mi comporto cosí nemmeno quando recito, - ho detto. - Lo so, - ha detto Ron, allungandosi verso di me e versandomi uno spruzzo di liquore sui cubetti di ghiaccio ricoperti di Pepsi. - Certo che non sei cosí, - ha detto mio marito, sollevando gli occhiali. Quando è teso si strofina sempre i segni rossi che gli occhiali gli lasciano sul naso. E' un'abitudine.- Ecco perché c'è poco da scherzare. Se uno va a mostrare timidamente il culetto nei paraggi dello studio di David Letterman, poco ma sicuro che glielo rompono -. Ha spento un'altra sigaretta guardando Ron. - In ogni caso farà un figurone, - ha detto Ron, sorridendo. Si è toccato la piccola bocca affilata, con un'espressione che mi è sembrato tradisse una certa tenerezza. Per me? Non eravamo cosí intimi. Certo non quanto lo ero con sua moglie. Il liquore sapeva di fumo. Ho chiuso gli occhi. Ero stanca, confusa e nervosa; e anche un po' arrabbiata. Ho guardato l'orologio che avevo avuto in regalo per il compleanno. Sono una che preferisce mostrare i propri sentimenti piuttosto che nasconderli; è molto piú sano. Ho riferito a Ron che Charmian al
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telefono mi aveva detto che David Letterman era un tipo un po' timido, ma fondamentalmente simpatico. Ho detto che se ero estremamente nervosa forse era colpa di mio marito, e adesso anche di Ron; e che o mi davano uno Xanax, o mi davano dei consigli costruttivi e incoraggianti, senza pretendere che fossi artificiale, vuota o sulla difensiva al punto da cancellare il divertimento di quella che, in fin dei conti, non doveva essere altro che un'intervista divertente. Ron sorrideva paziente ascoltandomi. Rudy stava facendo il numero di un coordinatore del programma. Ron gli ha consigliato di dire che non sarei scesa in sala trucco prima delle 17,30: l'editoriale di quella sera era lungo e impegnativo, e prima del mio intervento avrebbero trasmesso un filmato sul tempo libero di un altro dirigente della Nbc. Mio marito ha affrontato il tema della fiducia e i suoi legami con la consapevolezza.
E' saltato fuori che su una parete dell'ufficio di Ron c'era un pannello automatico che si apriva su varie file di monitor, tutti sintonizzati sui programmi della Nbc. Uno mandava le previsioni del tempo, uno la puntata del 22 marzo di ÂŤLive at FiveÂť e, sotto di loro, un altro mandava le prime immagini della registrazione del David Letterman Show. L'annunciatore, che indossava un maglione a girocollo, parlava in un microfono vecchio stile che sembrava un rasoio elettrico con l'aureola. - Signore e signori! - diceva.- Ecco a voi un uomo che, in questo
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preciso istante, si sta controllando la patta dei pantaloni: David Letterman! Scroscio di applausi; la telecamera ha zummato sul segnale Applausi nello studio. Su tutti i monitor è apparsa la scritta David Letterman Show - Segnale Applausi - Telecamera. Mentre il pubblico applaudiva, la scritta lampeggiava. David Letterman è apparso dal nulla con una orribile giacca da yachtsman e delle scarpette da lottatore. - Quanta bella gente, - ha detto. Ho toccato la patina di Pepsi e di buon rum sul ghiaccio nel mio bicchiere. Il dito ha lasciato una striscia netta sulla patina. Davvero non credo che tutto questo sia necessario. - Fidati di noi, Edi. - Ron, diglielo tu, - ho detto. - Aspetta e vedrai, - ha detto Ron. Ron stava vicino alla grande finestra sopra il divano, che non riceveva piú la luce diretta del sole. La finestra dava a sud; vedevo i tetti coperti di antenne, sentivo i clacson delle macchine lontane. Ron maneggiava una specie di ricetrasmittente, abbastanza piccola da stargli nel morbido palmo della mano. Mio marito teneva la testa dritta e il pollice all'insú mentre Ron controllava il segnale. Il piccolo auricolare nell'orecchio di Rudy in origine era stato concepito per permettere ai cronisti sportivi di ricevere direttive e notizie dell'ultimo minuto senza smettere di parlare. Mio marito l'aveva trovato utile per dare consigli durante le trasmissioni in diretta prima di decidere di lasciare la televisione commerciale. Si
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è tolto l'auricolare e l'ha pulito con il fazzoletto. L'auricolare, che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere color carne, in realtà era color prostata. Ho dichiarato in modo categorico che non avrei mai messo un auricolare color porcellino per seguire i consigli di mio marito su come non essere sincera. - No, - mi ha corretto mio marito, - come essere non-sincera. - E' diverso, - ha detto Ron, cercando di raccapezzarsi con le istruzioni della ricetrasmittente, scritte per lo piú in coreano. Ma io volevo essere vigile e rilassata, scendere nello studio e farla finita. E volevo uno Xanax. E cosí io e mio marito abbiamo avviato le trattative.
- Grazie, - ha detto Paul Shaffer rivolto al pubblico in studio. Grazie ancora -. A me è venuto da ridere, dietro le quinte, nelle lunghe ombre frastagliate prodotte dalle luci puntate in ogni direzione. Altri applausi per Shaffer. La telecamera ha di nuovo inquadrato il segnale Applausi. Da quella distanza, ho pensato, i capelli di Letterman sembravano una specie di casco. Avevano un aspetto solido e compatto. Continuava a ficcarsi i foglietti della scaletta nell'ampio spazio fra i denti anteriori e a giocherellarci. Lui e la sua redazione hanno passato rapidamente in rassegna una lista di dieci medicinali, venduti sia con sia senza ricetta medica, che presentavano quella che Letterman ha definito una pericolosa somiglianza con delle note caramelle. Ne ha mostrate le diapositive accostate, per fare il confronto. In effetti gli Advils erano identici agli M&m's marroni. I Motrin, visti
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sotto la giusta luce, erano le Sweet Tarts. I Nadril, una marca di antidepressivi, erano identici alle minuscole Red Hots rotonde che tutti abbiamo mangiato da piccoli. - Non è pazzesco? - ha detto Letterman a Paul Shaffer. E lo Xanax, l'ansiolitico tanto in voga, somigliava in piccolo a quelle orribili noccioline morbide rosa-arancio che si vedono dappertutto ma che mai nessuno ammetterà di aver assaggiato. Alla fine avevo ottenuto uno Xanax da mio marito. Era stata un'idea di Ron. Mi sono toccata l'orecchio e ho cercato di spingere piú giú l'auricolare, perché non si vedesse. Poi ho sistemato i capelli sopra l'orecchio. Stavo pensando seriamente di sfilarmelo. Mio marito conosceva la natura umana. - I patti sono patti, continuava ad arrivarmi all'orecchio. Il giovane assistente grassoccio che era con me mi aveva detto che sarei stata la seconda ospite della puntata del 22 marzo del David Letterman Show. Il primo era il direttore della Nbc Sports, che avrebbe dovuto sedersi per gioco al centro di un cerchio di dinamite sul punto di esplodere. Nel programma con me c'era anche quello che si era autoproclamato re delle televendite di casalinghi. Abbiamo guardato un breve filmato sulla dispepsia dei suini. - Dunque il suo lavoro è stato pressoché ignorato dalla critica, diceva Letterman nel filmato, rivolgendosi al regista del documentario, un veterinario dell'Arkansas che ha annaspato per tutta l'intervista perché, diceva la voce metallica nel mio orecchio, non sapeva se con Letterman era il caso di parlare seriamente del lavoro
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di una vita.
A quanto pare, il direttore della Nbc Sports si divertiva a creare dei cerchi perfetti di materiale altamente esplosivo nel laboratorio ricavato in cantina, li portava in cortile e ci si sedeva in mezzo: era il suo hobby. David Letterman ha chiesto al dirigente della Nbc di spiegarsi meglio: uno poteva sedersi al centro esatto di un cerchio perfetto di dinamite ed essere completamente al sicuro, racchiuso nel vuoto, in una specie di occhio del ciclone, - ma se uno soltanto di quei bastoncini di dinamite fosse stato difettoso, l'esplosione avrebbe potuto, in teoria, uccidere il dirigente? - Uccidere? - continuava a ripetere Letterman, guardando Paul Shaffer e ridendo. I bolscevichi avevano usato il cerchio nelle cerimonie di «esecuzione» dei nobili russi che in realtà volevano risparmiare, ha detto il dirigente; era una messinscena antica e venerabile. L'ho trovato un tipo fuori dal comune e ho deciso che il senno non è di casa negli hobby degli uomini. Mentre aspettavo di fare la mia apparizione, ho immaginato il dirigente in questo cerchio perfetto nel suo cortile di Westchester, illeso ma circondato da onde violente di esplosione. Immaginavo qualcosa di simile a un tornado rosa... dal momento che la pila di dinamite sul palco era rosa. Ma nella realtà l'esplosione è stata grigia, deludente nella sua brevità, un botto moscio, anche se Letterman mi ha fatto ridere quando ha lasciato credere che la registrazione dell'esplosione non
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era venuta bene e che il direttore della Nbc Sports, che sembrava uno che si è beccato un ceffone cosmico, doveva rifare tutto daccapo. Per un momento il direttore ha creduto che Letterman facesse sul serio.
- Capisci, - ha detto Ron mentre si avvicinava il momento di prepararmi, - non è proprio capace di fare la persona seria, Edilyn. E' un miliardario con le scarpette da lottatore. - Basta guardarlo, - ha detto mio marito, piegato per controllare che il freddo auricolare rosa nel mio orecchio stesse a posto, - e ti vedi un'intera nazione che guarda e sgomita il vicino. - Vai lí dentro e sgomita, - ha detto Ron in tono incoraggiante. Ho guardato la sua bocca, la testa, il gatto. - Dimentica tutte le regole che hai imparato su come apparire nei talk show. Questo tipo le ha fatte saltare. Se c'è una cosa che prende in giro sono proprio le regole sulla comicità televisiva -. I suoi occhi sono diventati un po' freddi. - Fa i soldi mettendo in ridicolo proprio quelle cose che gli hanno permesso di fare i soldi mettendole in ridicolo. - Be', nel mondo dello spettacolo e un pezzo che c'è un atteggiamento di tipo parricida nei confronti delle regole, - ha detto mio marito mentre aspettavamo l'ascensore. - Di sicuro non l'ha inventato lui -. Ron ha acceso una sigaretta e gliel'ha data, sorridendo con complicità. Sapevamo tutti e due a cosa si riferiva Rudy. Lo Xanax cominciava a fare effetto, e stavo bene. Ero psicologicamente pronta per la mia apparizione in Tv. - E' un po' quello che è successo con il «Saturday Night Live», -
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ha detto Ron. - In fondo si tratta dello stesso fenomeno. Scenografie povere che devono sembrare ancora piú povere. Smorfie da video amatoriale, aggeggi rimediati per effettacci sussultori o demenziali della telecamera, o squinternati subnormali e ultrafasulli. Il David Letterman Show e il «Saturday Night Live»: sono degli anti-show. Eravamo in fondo all'enorme ascensore silenzioso. Sembrava immobile. Sembrava chiuso al proprio interno. Rudy ha premuto il 6. Avevo un ronzio nelle orecchie. Ron mi parlava lentamente, quasi non dovessi capirlo. - Ma anche se qualcosa è concepito come un anti-show, se ha successo, sempre uno show è, - ha detto Ron. Ha preso il gatto, gli ha sollevato la testa e ha cominciato a grattarlo sotto la gola. - Pensa un po' come deve sentirsi sotto pressione quel figlio di puttana, - ha sussurrato mio marito. Ron ha abbozzato un sorrisetto gelido, senza girarsi verso Rudy. Mio marito fuma sigarette di marca estera, sicché tutti pensano che sta andando a fuoco qualcosa. Mentre lui aspirava, guardando serio il suo vecchio superiore, quella sibilava, schioppettava e sbuffava come una ciminiera. Ron mi ha guardato. - Ti ricordi quelle magnifiche parodie delle pubblicità che facevano proprio all'inizio del «Saturday Night Live», Edilyn? Cosí riuscite che ci mettevi un po' a capire che erano parodie e non pubblicità vere. Lo sai che quegli anti-spot hanno attecchito? E sai poi cos'è successo? - mi ha chiesto Ron. Non ho risposto. A Ron piace fare le domande e rispondersi da solo. Siamo arrivati al piano dove si registrava lo show di Letterman. Io e Rudy siamo usciti dopo di
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lui. - E' successo che, - ha detto da sopra la spalla, - gli sponsor si sono messi a fare le pubblicità nel «Saturday», e erano quasi uguali alle parodie che facevano nello show, per cui ci mettevi un po' a capire che erano degli spot veri. Cosí facendo, gli sponsor usufruivano di una grossa fetta di pubblico che non si perdeva neanche un secondo di pubblicità, nella speranza che si trattasse di una parodia -. Segretarie e impiegati scattavano sull'attenti davanti a Ron che passava insieme a noi; il suo gatto sbadigliava e si stirava. - Ma, - ha riso Ron, sempre senza girarsi verso mio marito, - ma invece gli sponsor avevano rivoltato la frittata e si erano serviti di quella trovata per abbindolare quello stesso pubblico che le parodie avevano preso in giro perché si lasciava abbindolare. Le porte dello studio 6A stavano in fondo a un corridoio con la moquette, accanto a un poster enorme che mostrava David Letterman mentre faceva la foto a quello che stava facendo la foto a lui per il poster. - Perciò, essere fatti in un modo o in un altro è un problema che non si pone nemmeno in uno show come questo, - ha detto Rudy, facendo cadere la cenere senza guardare Ron. - Quelli sì che erano tempi, vero? - ha bisbigliato Ron all'orecchio del gatto, contro il quale si strofinava il naso. Le porte chiuse attutivano i rumori di una grande allegria. Ron ha digitato un codice su un pannello luminoso accanto al poster di
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Letterman. Lui e Rudy sarebbero tornati di sopra nel suo ufficio dove, dalla schiera di monitor, avrebbero ricevuto simultaneamente una valanga di mie immagini. - Devi soltanto recitare, tutto qui, - ha detto mio marito, aggiustandomi i capelli sopra l'orecchio. Poi mi ha fatto una carezza. - E tu sei un'attrice versatile e piena di talento. Ron, manovrando la zampa del gatto quasi a simulare un saluto, ha detto: - Lei è un'attrice, Rudolph. Con il tuo aiuto faremo andare questa faccenda per il verso giusto. - Guarda che lei ha capito. Solo che ancora non se ne rende conto. - Insomma, dovrei essere una specie di anti-ospite? - ho detto.
- Sono terribilmente felice di vederla, - ecco cosa mi ha detto David Letterman. Prima c'era stata la mia presentazione: l'assistente con il maglione mi ha guidato tenendomi per il gomito e, quando la luce mi ha investito, è sgattaiolato via. - Sono terribilmente, ma che dico, mostruosamente felice di vederla, - ha detto Letterman. - E' a caccia di punti deboli, - ha gracchiato il mio orecchio. Zone di ingenua presunzione. Palloni da sgonfiare. Qualsiasi cosa. Ho biascicato un «Sííí» a David Letterman. Ho sbadigliato, toccandomi l'orecchio con aria assente. Visto da vicino sembrava cosí giovane che mi sono cascate le braccia. Gli davi al massimo trentacinque anni. Si è congratulato con me per la ripresa del serial, per la nomination all'Emmy, e ha detto che il network aveva gestito egregiamente il periodo della mia
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gravidanza durante il terzo anno del serial, riuscendo a inquadrarmi dalla vita in su per ben tredici episodi consecutivi. - E' stato divertente, - ho detto sarcastica, ridendo in modo distaccato. - Un divertimento bello grosso, - ha detto Letterman, e il pubblico a ridere. - Oh Cristo santo, faglielo vedere che sei sarcastica e distaccata, - ha detto mio marito. Letterman ha chiesto qualcosa a Paul Shaffer, che ha assunto la sua aria interrogativa. David Letterman aveva una minuscola etichetta attaccata alla guancia (aveva davvero le lentiggini) con su scritto Trucco. Gli era rimasta appiccicata dopo uno scherzo fatto in precedenza, durante il suo lungo editoriale quando, dopo uno spot pubblicitario, era ricomparso etichettato dalla testa ai piedi. In cima alla fontana gorgogliante fra noi e i riflettori, avevano appeso una specie di freccia con su scritto: Giochi d'acqua. - Allora, Edilyn, cosa c'è di vero nelle voci che collegano queste cose turpi che stanno succedendo nel network di suo marito con altre, diciamo, voci di corridoio... - ha alzato gli occhi dalla scaletta per guardare Paul Shaffer. - Sai, Paul, qui dice proprio «voci di corridoio»; secondo te possiamo continuare a chiamarle voci di corridoio? E poi, Paul, che vuol dire «voci di corridoio»? - Noi della band qui, pensiamo che possa voler dire qualsiasi... insomma, può voler dire centinaia di cose, Dave, - ha detto Shaffer
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sorridendo. Ho sorriso anch'io. Il pubblico rideva. All'orecchio mi è arrivata la voce di Ron: - Rispondi no -. Ho immaginato una parete di mie inquadrature, lo sfregio nella testa di Ron e la ricetrasmittente vicina allo sfregio, mio marito seduto a gambe accavallate, il braccio allungato sullo schienale di non so cosa. - ...di corridoio o no, sul fatto che lei e il bellissimo programma di Tito lascerete la televisione commerciale alla fine della prossima stagione per trasferirvi magari in un altra televisione non commerciale di cui non si conosce il nome? Mi sono schiarita la gola: - Tutte le voci che girano su mio marito sono assolutamente vere -. Il pubblico ha riso. Letterman ha fatto: - Ah ah -, e il pubblico ha riso piú forte. - Quanto a me, - mi sono lisciata la gonna come fanno le signore per bene, - delle questioni che riguardano la produzione o il lato economico del programma, David, ne so poco e niente. Sono una che recita, io. - Ehi, non trova che sarebbe strepitoso stamparlo sulle magliette delle donne di tutto il mondo? - ha chiesto Letterman, toccandosi l'etichetta sul fermacravatta. - E per quanto ne so, Dave, si è trattato proprio di cose turpi ha detto Reese, il direttore della Nbc Sports, seduto accanto a me, in un'altra di quelle poltrone che sembravano come sventrate. Intorno agli straordinari occhi di Reese, c'erano due piccoli cerchi di fuliggine, provocati dall'esplosione del suo hobby. Ha guardato Letterman. - Una lotta di potere nella Tv pubblica?
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- Diciamo cosí, una specie di... sanguinoso colpo di stato all'interno dell'Associazione in Favore del Diritto di Voto alle Donne, lei non crede, Edilyn? Io ho riso. - Squadre antirivolta e idranti che avanzano verso il circolo del tè. Io, Letterman, Reese e Shaffer ci stavamo sbellicando. Il pubblico rideva. - Le parole difficili fioccano, - ho detto. - Veramente... veramente si tratta di pugnalate alle spalle con un linguaggio grammaticalmente corretto... Mentre cercavamo di ricomporci, mio marito mi dava dei suggerimenti. - Il fatto è che temo di non saperne nulla, - ho detto, mentre Letterman e Shaffer stavano ancora ridendo e scambiandosi occhiate. Anzi, - ho continuato, - non sono nemmeno così sicura di essere un'attrice consapevole, dotata e versatile. David Letterman stava invitando il pubblico, che continuava a chiamare signore e signori (il che non mi dispiaceva), a immaginare Sono una che recita, io, stampato su una maglietta. - Per questo sto facendo quegli spot pubblicitari che passano in continuazione, - ho buttato lí, sbadigliando. - A proposito, Edilyn, volevo parlare anche di questo, - ha detto Letterman. - Il fatto è che, - si è strofinato il mento, - volevo proprio chiederle che cosa pubblicizzano, senza naturalmente fare il
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nome dell'ottimo... ottimo e posso dire delizioso? - La prego. - Delizioso prodotto -. Ha sorriso. - Altrimenti sarebbe uno spot anche questo. Ho annuito, sorridendo. L'auricolare era muto. Mi sono guardata intorno con aria innocente, facendo finta di stirarmi, e ho fischiettato l'arcinoto motivetto dello spot. Letterman e il pubblico hanno riso. Anche Paul Shaffer ha riso. La voce metallica di mio marito ha gracchiato di approvazione. In lontananza sentivo ridere perfino Ron; una risata composta. - Sì, direi che ha reso l'idea, - ha sogghignato Letterman. Ha lanciato i foglietti della scaletta contro una finestra finta alle nostre spalle. Si è sentito un rumore chiaramente fasullo di vetri rotti. Sembrava un tipo assolutamente cordiale. Mio marito mi ha comunicato qualcosa che non sono riuscita a capire perché Letterman si era appoggiato le mani dietro il casco di capelli e stava dicendo: - Ah, ora ci siamo, ecco perché, Edilyn. Non è un segreto che in prima serata girano tanti ma tanti bei dollaroni. Sono talmente tanti questi dollaroni dei compensi di prima serata, che ce ne arrivano solo vaghi accenni, allusioni, niente di piú, dai graffiti nei bagni qui alla Nbc. Sono cifre tali che se ne parla solo a bassa voce. Prendiamo lei, - ha detto, - non ha avuto tre, vero, serie televisive di qualità? Piú un'infinità di apparizioni come ospite in altri programmi... - Centootto, - ho detto.
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Per un attimo ha guardato compunto la telecamera, mentre il pubblico rideva. - ...Appunto: un'infinità di apparizioni come ospite d'onore, - ha detto. - Lavora in un serial poliziesco apprezzato dalla critica che va in onda ormai da, quanto, tre, quattro anni? E poi ha... - ha dato uno sguardo a una scheda - ...una figlia piena di talento che ha già fatto molti buoni film e che attualmente lavora in un serial, un marito che è un grande promotore, praticamente una leggenda nella storia del varietà... - Ve lo ricordate «Laugh-In»? - ha detto il direttore della Nbc Sports. - E «Flip Wilson»? «The Smoothers»? Ve lo ricordate il «Saturday Night Live» dei bei tempi, durati qualche anno? - Scuoteva la testa in segno di ammirazione. Letterman ha rilassato la sua faccia. - Allora: i serial, una figlia nei serial, una nomination all'Emmy, un marito che ha promosso un'infinità di programmi e di serial, uno dei migliori matrimoni dell'ambiente, per non dire dell'emisfero settentrionale... - andava contando sulle dita. Aveva mani assolutamente anonime. - A lei, mia cara, non manca proprio niente, - ha detto. - Se me lo consen-te -. Ha sorriso giocherellando con la tazza del caffè. Io ho risposto al sorriso. - Insomma, Edilyn, una nazione intera si sta chiedendo cosa c'è dietro questi spot di... würstel, - ha chiesto in un tono semilamentoso, che ha subito caricato in un lamento vero e proprio. Mi è arrivata la vocina di Rudy:- Hai visto come ha caricato quel lamento appena si è accorto che...?
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- Perché non sono una grande attrice, David, - ho detto. Letterman sembrava dispiaciuto. Per un momento l'ho guardato nella bianca luce dei riflettori, e sembrava dispiaciuto per me. Ero convinta di avere di fronte un uomo fondamentalmente sincero. - Le cose che ha elencato, - ho detto, - non sono altro che un patrimonio -. Lo guardavo. - Sono il mio patrimonio, David, non sono me. Io sono un'attrice della televisione commerciale. Perché non recitare nel commercio televisivo? - Sii onesta, - ha sibilato Rudy, con la voce fioca e metallica che sembrava uscire da un microfono di pessima qualità. Letterman faceva finta di sorseggiare il caffè da una tazza vuota. - Siamo onesti, - ho detto. - Il pubblico era in silenzio. Ho appena festeggiato un compleanno molto traumatico, e mi sono ormai disfatta di tante illusioni. Lei ha di fronte a se una donna priva di illusioni, David. Tanto è bastato a ringalluzzire Letterman. Si è schiarito la gola. L'auricolare sibilava l'ordine di non usare mai la parola «illusioni». - Ma guarda che coincidenza, - stava dicendo Letterman con aria assorta. - Pensi che io sono un'illusione senza donne; dí un po', Paul, tu ci vedi una qualche analogia? Ho riso insieme al pubblico mentre Paul Shaffer assumeva la sua aria interrogativa dalla pedana per l'orchestra. - Si mette male, - mi ha comunicato mio marito dall'ufficio di un uomo i cui collaboratori pescavano senz'amo e si sedevano dentro cerchi esplosivi. Mi sono aggiustata i capelli sopra l'orecchio.
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Ho detto: - Ho quarant'anni, David. Li ho compiuti una settimana fa. Credo sia arrivato il momento di capire chi sono. - L'ho guardato.- Ho quattro figli. Conosce molte attrici che lavorano nella Tv commerciale e che hanno quattro figli? - Be', ce ne sono di attrici con quattro figli, - ha detto Letterman. - Non abbiamo avuto qui di recente una deliziosa e dotata giovane signora con quattro figli, Paul? - Fammi i nomi di dieci attrici con quattro figli, - l'ha sfidato Shaffer. Letterman si è rigirato di scatto: - Dieci? - Meredith Baxter Birney? - ha detto Reese. - Meredith Baxter Birney, - ha confermato Letterman. - E anche Loretta Swit ha quattro figli, no, Paul? - Marion Ross? - Se non sbaglio Meredith Baxter Birney ne ha cinque di figli, Dave, - ha detto Paul Shaffer, piegandosi sul piccolo microfono sopra l'organo. Aveva sulla larga chierica un'etichetta con su scritto Chierica. - Scusate, signori, - li ho interrotti, sorridendo, - ma qui il problema è che ho quattro figli e sono già piú famosi di me. Io ho fatto in tutto due film importanti nella mia carriera. E ora, a quarant'anni, mi rendo conto che con due film e tre serial molto lunghi, è molto probabile che non lascerò il segno nel mondo del cinema. David, sono un'attrice televisiva. - E' una che recita in televisione, - mi ha corretto Letterman,
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sorridendo. - E adesso anche negli spot televisivi -. Mi sono stretta nelle spalle con l'aria di chi ignora dove sia il problema. Paul Shaffer, ancora piegato sull'organo, ha intonato poche note, ma dolcissime, di «tanti auguri a te». Letterman si era infilato un'altra scheda fra i denti. - Insomma, se ho capito bene, ci sta dicendo che secondo lei la faccenda dei würstel non avrebbe compromesso la sua carriera. - Oh no, per carità, - ho riso.- Non volevo affatto dire questo. Voglio dire che la mia carriera è questa, chiaro? Non è di questo che si stava parlando? Letterman si è sfregato il mento. Ha guardato il direttore della Nbc Sports. - Allora non ha avuto timore... come dire, di compromettere la sua integrità, l'aspetto artistico del suo lavoro; sta forse dicendo che queste cose non hanno avuto nessun peso nella sua decisione? Ron stava chiedendo a Rudy di passargli un attimo il trasmettitore. - Ma c'era un aspetto artistico, - ho detto. - Ha mai provato a emozionarsi di fronte alla carne, David? - Mi sono guardata intorno. - Nemmeno voi? A spalmare la mostarda con convinzione? Letterman sembrava a disagio. Il pubblico rumoreggiava: non sapevano se ridere. Ron ha cominciato a trasmettere messaggi con voce calmissima. - A mostrarti ancora affamato al quindicesimo salsicciotto? - ho detto mentre Letterman sorrideva e sorseggiava dalla tazza. Mi sono stretta nelle spalle. - Quegli spot trasudano arte da tutti i pori,
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David. Sentivo a malapena la voce di Ron che mi avvertiva del pericolo di sembrare sulla difensiva. Letterman infatti era diventato all'improvviso diffidente, riluttante. Ha guardato a sinistra del palco, poi la scaletta, quindi me. - Edilyn, solo un cinico, come Paul che vede lĂ, - Shaffer rideva - sarebbe tentato di chiederle... ma insomma, - ha detto, - con questo po' po' di patrimonio che abbiamo elencato prima, con una come lei, a cui, fra virgolette, non manca niente... una cosa che incuriosisce tantissimo un tipo come Paul, anche se non sono affari nostri, - si toccava impacciato il colletto, - ma arriviamo alla domanda: con tutto il dovuto rispetto per la montagna di soldi, una montagna enorme, come fa un'attrice, se non di grande talento sicuramente, dobbiamo ammetterlo, stimata, e a cui, soprattutto, non manca niente... a emozionarsi di fronte a un pezzo di carne? Ron, o forse Rudy, ha bisbigliato ÂŤOh, mio DioÂť. - A mostrarsi affamata davanti all'ennesimo salsicciotto sul quale mette tutta quella... mostarda, - ha detto Letterman, la testa inclinata, guardandomi, ricordo perfettamente, nell'occhio destro. E se preferisce soprassedere capiremo benissimo... dico bene, Paul? Sembrava proprio a disagio. Come se stesse sparando le ultime cartucce. Io lo guardavo come se fosse completamente pazzo. Ora che aveva tirato fuori la sua stupida domanda, mi sentivo come se avessimo partecipato a due conversazioni separate fin dall'inizio dell'intervista. Mi è venuto davvero da sbadigliare.
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- Devi solo essere onesta, - stava dicendo Ron. - Insisti, parlagli delle tasse arretrate, - bisbigliava Rudy. - Guardi, - ho detto sorridendo,- credo che qui uno dei due non si sia spiegato bene. Posso essere veramente onesta? Letterman continuava a guardare a sinistra del palco, come se cercasse qualcuno. Ero convinta che avesse la sensazione di essersi spinto troppo in là, e il suo disagio aveva fatto piombare il pubblico in un silenzio di tomba. Sorridevo, finché il mio silenzio non ha attirato la sua attenzione. Mi sono allungata verso di lui con aria cospiratoria. Dopo un attimo si è deciso ad allungarsi sulla scrivania verso di me. Ho guardato lentamente da una parte e dall'altra. In un sussurro perfettamente udibile ho detto:- Ho fatto gli spot dei würstel gratis. Ho ammiccato alzando e abbassando le sopracciglia. Letterman è rimasto a bocca aperta. - Gratis, - ho detto, - soltanto per l'arte, il divertimento, qualche confezione di hot dog e il piacere di un prodotto ben confezionato. - Ma su, andiamo, non dirà sul serio, - ha detto Letterman, tornando nella sua posizione e mettendosi le mani nei capelli. Fingeva di rivolgersi al pubblico in studio: - Signore e signori... - Una sensazione che sicuramente tutti i presenti conoscono bene. Sorridevo con gli occhi chiusi. - Anzi, sono io che li ho cercati. Mi sono offerta. Li ho quasi pregati. Avrebbe dovuto vedere. Avrebbe dovuto esserci. Non era un bello spettacolo.
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- Che presa in giro, - è intervenuto Paul Shaffer, fingendo di asciugarsi un occhio sotto gli occhiali. Letterman gli ha tirato la scheda, e l'addetto agli effetti sonori, in maglione rosso, ha prodotto un altro rumore di vetri. Ho sentito Ron dire a Rudy che ero stata geniale. All'improvviso sembrava che Letterman si stesse divertendo un mondo. Sorrideva; faceva ah ah; lo sguardo si era rianimato; sembrava un enorme giocattolo. Sembravano tutti spassarsela. Mi sono toccata l'orecchio e ho sentito mio marito ringraziare Ron. Abbiamo chiacchierato e riso ancora un paio di minuti su come l'arte e il sapersi accettare siano infinitamente piú importanti del patrimonio. L'intervista è finita in un tripudio di buoni propositi. David Letterman ha preso qualche etichetta che aveva addosso e ne ha fatto coriandoli. Ero sinceramente dispiaciuta che fosse finita. Letterman mi ha sorriso calorosamente prima che partisse la pubblicità.
In quel preciso istante ho sentito dal profondo del cuore che tutta l'angoscia, le elucubrazioni, la paura di Rudy erano state inutili. Perché, quando è partita la pubblicità, David Letterman era lo stesso di prima. Il regista, col suo cardigan, si è passato il dito sul collo come per tagliare la gola, la fotografia originale di un paraurti occupava tutti i monitor della 6A, la band diretta da Shaffer si è scatenata, le luci delle telecamere si sono spente. A Letterman sono crollate le spalle; si è accasciato sulla scrivania
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volutamente da poco, asciugandosi la fronte con un pezzo di stoffa spiegazzato estratto dal taschino della giacca da yachtsman. Ha sfoderato un caldo sorriso e ha detto che era stato mostruosamente bello avermi come ospite, che quella sera il pubblico aveva senz'altro speso bene il suo tempo, che sperava mia figlia Lynnette avesse, nel suo stesso interesse, anche solo la metà della mia presenza scenica, e che se avesse saputo quale ospite strepitosa ero, avrebbe personalmente mosso mari e monti per avermi in studio già da molto. - E' andata davvero cosí, - raccontavo a mio marito piú tardi nella limousine della Nbc. - Ha detto «mostruosamente bello», «speso bene», e che sono stata un'ospite strepitosa. E non ci stava ascoltando nessuno. Ron si era fatto portare da un autista a prendere Charmian, e insieme ci avrebbero raggiunti al River Cafè, dove cercavamo di ritrovarci ogni volta che io e Rudy capitavamo in città. Ho guardato il nostro autista, davanti a noi, al di là del vetro divisorio: senza cappello, capelli a spazzola, la testa immobile come una foto. Mio marito, seduto accanto a me, mi teneva una mano fra le sue. La cravatta e il fazzoletto erano impeccabili. Mi pareva quasi di sentire nell'aria il suo sollievo. Era terribilmente sollevato quando l'ho rivisto dopo la registrazione. Letterman aveva spiegato al pubblico che avevo altri impegni ed ero stata accompagnata fuori mentre lui presentava il re autoproclamato delle televendite di casalinghi, che indossava la spilla di un'associazione caritatevole. - Certo che ha parlato cosí, - ha detto mio marito. - E' nel suo
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stile. - Infatti, - ho affermato, guardando il contenuto delle sue mani. Ci dirigevamo verso sud. - Ma non vuol dire che lui è veramente cosí, - ha detto, guardandomi dritto negli occhi. Poi anche lui ha guardato le nostre mani. I nostri tre anelli erano uno vicina all'altro. In uno slancio di affetto mi sono fatta piú vicino sul morbido sedile di pelle, il viso bollente e infiammato. L'orecchio, libero, si sentiva un po' violentato. - Non piú di quanto tu sia come ti sei mostrata mentre ce lo giostravamo meglio di come abbia mai visto fare, - ha detto. Mi guardava ammirato - Sei un'attrice versatile e piena di talento, - ha detto. - Hai seguito le istruzioni. Hai mantenuto la calma, facendo onore a tutti e due, e cosí sei sopravvissuta all'apparizione in un anti-show -. Ha sorriso. - Sei stata grande. Mi sono staccata da mio marito quel tanto che bastava per guardare la sua faccia pulita. - Non ho recitato, con David Letterman, - gli ho detto. Ed ero sincera. - Quelli da tenere a bada... eravate tu e Ron -. Continuava a sorridere. - Altro che patto, se Charmian non mi avesse detto di tenere i capelli sciolti mi sarei subito tolta l'auricolare. Letterman si sarebbe sentito offeso. E sapevo fin dal momento in cui mi sono seduta di fronte a quella ridicola scrivania che non avrei avuto nessun bisogno di istruzioni. Non mi ha bistrattata -, ho detto. - E' una persona divertente, Rudy. Io mi sono divertita.
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Sorridendo, ha acceso una lunga Gauloise. - L'hai fatto solo per divertimento? - ha domandato beffardo. Ha anche accennato a darmi di gomito. Stavamo attraversando un quartiere residenziale che io ricordavo come popolare. E devo confessare che a quell'accenno di gomitata ho provato un che di cupo al cuore. Mi sembrava cosà brutto non riuscire a far comprendere al proprio consorte che avevo fatto sul serio. E gliel'ho detto. - Mi sono mostrata come sono, - ho ribadito. E ho visto sulla faccia di Rudy la stessa espressione che dovevo aver avuto io quando non capivo di cosa stessero parlando Ron e Rudy e anche David. E ho sentito la stessa sensazione strana, come di panico che, ora mi immagino, lui doveva aver sentito per tutta la settimana. Ci siamo messi tutti e due ad ascoltare la dolce musica barocca che proveniva dall'interfono della limousine. - E' stato come al mio compleanno, - ho detto tenendo la mano del mio secondo marito fra le mie. - Quando è stato il compleanno, eravamo d'accordo. Ho quarant'anni, e ho figli grandi e piccoli, un marito a cui voglio bene, e sono un'attrice della televisione che ha accettato di fare da testimonial per una marca di wßrstel. Non ci abbiamo anche brindato su col vino, Rudy? Abbiamo messo le carte in tavola. E' passata solo una settimana da quando eravamo d'accordo. Cos'altro dovrei essere diventata nel frattempo? Mio marito ha liberato la mano e ha toccato la griglia del vetro divisorio. La testa senza cappello dell'autista spagnolo era dritta. Ho notato che una parte del collo era priva di pigmentazione. La zona
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piú chiara era circolare e spariva sotto l'attaccatura dei capelli. - A un certo punto si è sporto verso di me, Rudy. Gli ho visto il viso fin nei minimi particolari. Aveva le lentiggini. Sotto i riflettori ho visto le goccioline di sudore. E un piccolo neo, vicino all'etichetta. Aveva gli occhi dello stesso azzurro che hanno quelli di Jamie e Lynnette d'estate. L'ho guardato. L'ho visto. - Ma noi te l'avevamo detto, Edilyn, - ha detto mio marito allungando una mano nel taschino della giacca.- Il motivo per cui è lí, è per dimostrare che lui non è come lo vedi. E' proprio questo il punto. Che nessuno è veramente come lo vedono gli altri. L'ho guardato. - E tu pensi che sia vero? La sigaretta scoppiettava. - Non ha importanza quello che penso io. Di questo tratta lo show. Sono quelli che lo seguono a renderlo vero. - E tu ci credi, - ho detto. - Io credo a ciò che vedo, - ha detto, posando la sigaretta per armeggiare con il tappo del tubetto. Sull'etichetta c'era scritto due o più pastiglie, varie volte al giorno. - Se così non fosse, come farebbe a condurre lo show in quel modo... - Mi pare una grossa ingenuità. - ...come facevamo anche noi? - ha detto. Certe pillole sono davvero amare. Quando ho finito il drink preso dal bar della limousine, sentivo ancora il sapore dello Xanax in fondo alla lingua. Il riflusso di adrenalina mi aveva lasciato sfinita. Dagli alti edifici siamo sbucati vicino al fiume. Ho guardato fuori mentre costeggiavamo il ponte di Manhattan. E' apparso
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il sole al tramonto, rosso, come sospeso, alla nostra destra. Mentre passavamo, abbiamo guardato tutti e due il fiume. Alla luce del tramonto marzolino, lo strato superficiale aveva il colore di una ferita. Ho ingoiato. - Cosí tu credi che nessuno è veramente come lo vediamo. Non ho avuto risposta. Rudy guardava dal finestrino. - Oggi ho notato che Ron praticamente non ha bocca. E' piú un taglio nella testa -. Poi, dopo una pausa:- Il fatto che ti senti legato a lui nelle questioni di lavoro non deve condizionare la nostra vita privata -. Ho sorriso. - In fondo non ci manca niente, tesoro. Mio marito ha riso senza sorridere. Guardava gli ultimi raggi di sole sull'acqua mentre ci avvicinavamo all'intreccio d'ombre del ponte di Brooklyn. - Perché se nessuno è veramente come lo vediamo, - ho detto, allora anch'io sono cosí. E anche tu. Affascinato dal tramonto, Rudy ha cominciato a decantarlo: gli sembrava un'esplosione, come sospesa tutt'intorno, quasi a sfiorare l'acqua. Si rifletteva e sdoppiava in quello spicchio di fiume. Ma mentre lo diceva, mi sono accorta che fissava solo l'acqua.
- Oddio, - ecco cosa ha detto David Letterman quando gli esplosivi sono esplosi e Reese, il direttore, è venuto fuori dal cerchio perfetto con quella sua faccia fuori del comune cerchiata di fuliggine. Mesi dopo, una volta uscita da una situazione che mi
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vedeva al centro, sopravvissuta nella quiete prodotta dal grande tumulto dal quale io, in quanto causa, perfettamente circondata, ero esente, sono rimasta di nuovo stupita da quanto fosse in fin dei conti la cosa piĂş giusta da dire per una persona in quel frangente.
E me lo sono ricordato e ho faticato molto per far capire che, se non altro, io sono una donna che dice quello che pensa. E' cosĂ che devo vedermi, se voglio vivere. E per questo, mentre la limousine messa a nostra disposizione ci portava all'appuntamento con Ron e Charmian e forse anche Lindsay, per bere e mangiare dall'altra parte del fiume a spese della Nbc, ho chiesto a mio marito chi pensava che fossimo allora realmente, io e lui. Domanda che non avrei mai dovuto fare.
La ragazza con i capelli strani a William F. Buckley e Norman O. Brown Risucchio ha sognato che doveva vedere un concerto ieri sera altrimenti si trasformava in una cosa liquida, e allora ieri sera io e i miei amici Mister Wonderful, Big e Risucchio siamo andati a Irvine a vedere Keith Jarrett che suonava il piano in un concerto all'Irvine Concert Hall. E' stato un grande concerto! Keith Jarrett è un negro che suona il pianoforte. Io vado pazzo per gli artisti negri che fanno gli artisti in qualsiasi campo dello spettacolo. Credo
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proprio che sono una razza di performer di talento e incantevoli, e certe volte sono pure simpatici. Mi piace soprattutto assistere alle performance dei negri da lontano, perché da vicino il loro odore il piú delle volte risulta sgradevole. E devo dire mio malgrado che pure Mister Wonderful da vicino ha un odore molto sgradevole, però è un bravo ragazzo, è allegro e si mette a ridere quando affermo che la sua puzza mi fa un po' senso e sta attento a tenere le distanze o comunque a non mettersi sottovento. Io mi spruzzo acqua di colonia English Leather che mi rende profumato e attraente in ogni momento. English Leather è l'acqua di colonia per uomini di quella pubblicità dove una donna bellissima e molto sexy che gioca a biliardo meglio di un professionista si mette a dire che tutti i suoi uomini hanno addosso English Leather oppure non hanno addosso niente. Trovo questa donna molto seducente e sessualmente eccitante. Mi sono registrata la pubblicità della English Leather con il mio nuovo videoregistratore Toshiba e mi piace sdraiarmi sulla mia sdraio di crine e masturbarmi mentre vado avanti e indietro con la pubblicità sul mio videoregistratore. Risucchio si è messa a guardarmi mentre mi masturbavo davanti alla pubblicità dell'acqua di colonia English Leather e ha ammesso che la donna è molto eccitante e ha aggiunto che se fosse per lei le leccherebbe la vagina. Risucchio è una bisessuale con una predilezione per il sesso orale. Siamo rimasti in piedi a fare una stupida fila per un sacco di tempo davanti all'Irvine Concert Hall allo scopo di vedere Keith Jarrett in concerto perché siamo arrivati in ritardo e non abbiamo evitato il casino. Siamo arrivati come al solito in ritardo perché
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Big doveva smerciare Lsd a due tizi a Pasadena, e poi pure a due donne che stavano a Brea, e mentre stavamo in fila per vedere Keith Jarrett è riuscito a vendere un po' di Lsd perfino a due ragazzi, Manomorta e Muffa, che se l'erano fatta in motocicletta fino a Irvine per diventare suoi clienti di Lsd. Big è un punk di una certa esperienza che prepara Lsd nella sua stanzetta in casa dei miei amici, e poi lo va a vendere. Odio starmene in fila tanto tempo e per questo non voglio arrivare mai tardi, ma del resto Risucchio ha cominciato a farmi un pompino all'istante, nell'istante in cui lei e Big e Mister Wonderful sono venuti a prendermi nella mia nuova casa di Altadena e mi hanno caricato su un ex camioncino del latte e io sono venuto mentre percorrevamo la Highway 210 ed è stato molto bello, e grazie a Risucchio non mi ha dato troppo fastidio fare tardi e non mi ha dato troppo fastidio pagare i biglietti, che erano molto cari, perfino per vedere un negro. Manomorta e Muffa si sono subito schiaffati sulla lingua l'acido appena acquistato e hanno deciso di restare per venire con noi a vedere Keith Jarrett dopo che Risucchio ha deciso che potevo pagare io i loro biglietti. Risucchio poi mi ha presentato a Manomorta e Muffa, che a me sono sembrati due pischelli del liceo. Risucchio mi ha presentato a Manomorta e Muffa; ha detto: Manomorta, Muffa, questo è Fighettodelcazzo. E poi ha presentato Manomorta e Muffa a me. Il mio nome è Fighettodelcazzo, anche se non è affatto il mio nome. Tutti i miei migliori amici sono punk e raramente hanno un nome eccetto nomi come Tettona o Manomorta o
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Muffa. Risucchio per esempio si chiama Sandy Imblum e viene da Deming, New Mexico. Muffa ha chiesto a Risucchio se poteva toccarle solo un poco la punta dei capelli e lei gli ha risposto che poteva andarsi a sedere su qualche palo appuntito, e la cosa mi ha fatto ridere tantissimo. Muffa aveva un'aria troppo immatura per essere un vero punk, e sfortunatamente era bruttino. Era pelato, ma sfoggiava qua e là ciuffi di capelli, portava occhiali rosa e aveva un collo sottile, però in definitiva sembrava un bravo ragazzo; invece Manomorta si era fissato che non gli piaceva il mio nuovo vestito appena acquistato da «Rodeo» sulla Rodeo Drive e non gli piacevano nemmeno le mie Top-Sider e nemmeno la mia cravatta della scuola privata che aveva una bella scritta «Accademia Militare di Westminster» e aveva pure la bandiera americana. Sosteneva che non sembravo un tipo a posto, né un bravo giovane e che i miei vestiti erano abbastanza brutti. Gli dava fastidio pure l'odore della mia colonia English Leather. Risucchio si è innervosita per tutte queste dichiarazioni di Manomorta e ha chiesto a Mister Wonderful se gli andava di fare male a Manomorta, e cosí Mister Wonderful ha piazzato un calcione nel basso ventre di Manomorta con un anfibio di quelli pesanti con la punta rinforzata, da guerrigliero Contra del Centroamerica. Manomorta ha cominciato a soffrire per il dolore insopportabile tanto che poi è stato costretto a stare seduto sul cordone proprio in mezzo alla fila per vedere Keith Jarrett, tenendosi le zone basse prese a calci. Risucchio ha infilato un dito in ciascuna delle narici di Manomorta e gli ha detto che forse era il caso di chiedermi scusa, se voleva
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continuare a conservare pure il naso nella composizione della sua faccia. Il dolore e il fastidio sono particolarmente fastidiosi per la gente che si è appena schiaffata Lsd sulla lingua, e allora Manomorta ha deciso di porgermi le sue scuse senza nemmeno guardarmi in faccia. Io ho informato Manomorta che le sue scuse venivano accettate senza problemi e che in fondo mi sembrava uno giusto, e gli ho stretto la mano per dimostrargli che Fighettodelcazzo non era uno che voleva rompere le scatole, e Big lo ha aiutato ad alzarsi e ha lasciato che gli si appoggiasse mentre io pagavo al tipo dietro lo sportello dell'Irvine Concert Hall sei biglietti per vedere Keith Jarrett, per un totale di centoventi dollari. Manomorta ha detto a Big che il suo Lsd era number one mentre tutti insieme entravamo nel delizioso e comodissimo ed elegantemente decorato foyer dell'Irvine Concert Hall. Risucchio mi ha sussurrato all'orecchio che siccome avevo pagato i biglietti per vedere Keith Jarrett e l'avevo salvata dalla liquefazione, in cambio avrebbe tentato di tenere in bocca il mio pene in erezione per parecchi minuti senza farmi venire, e inoltre avrebbe acconsentito a farsi sbruciacchiare dietro le gambe con parecchi fiammiferi, e la cosa mi ha reso felice, e allora io e Risucchio ci siamo infilati le lingue l'uno nella bocca dell'altra mentre i nostri amici si mettevano in cerchio intorno a noi e urlavano a gran voce tutta la loro approvazione. Pure gli altri gruppi di amici che erano venuti a vedere il concerto di Keith Jarrett approvavano il buonumore del nostro gruppo e ci hanno
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concesso un sacco di spazio e di privacy nell'ampio foyer dell'Irvine Concert Hall. Mister Wonderful e Big e Risucchio hanno preso in quantità abbondante l'Lsd di Big, roba seria che lui fabbrica apposta per i concerti e cioè senza le anfetamine cosí uno non si agita troppo, e pure Manomorta e Muffa l'avevano preso, quindi erano tutti sotto effetto dell'Lsd, il che li rendeva superdivertenti a starci insieme. Io non ho preso l'Lsd perché l'Lsd e le altre sostanze illecite purtroppo non riescono ad avere nessun effetto su di me o sul mio stato naturale di coscienza. Non riesco mai ad andare fuori di testa mandando giú droghe, e tutti i miei amici punk sono affascinati da questo fatto e lo trovano troppo divertente. A scuola, al college, alla facoltà di economia e a quella di legge, ero uno molto simpatico ed estroverso ma nemmeno in questi ambienti le sostanze illecite funzionavano. Niente. I miei amici punk impazziscono quando vado a comprare quantità enormi di droga e le prendo tutte senza riuscire ad andare fuori di testa mentre su di loro funzionano. Il mese scorso per il mio compleanno mi hanno schiaffato sulla lingua quasi tre quarti dell'acido di Big e poi ce ne siamo andati a fare un giro con la mia nuova auto sportiva che mia madre mi ha regalato per il compleanno. E' una Porsche a sei marce piú due retromarce e gli interni in pelle. E con il motore turbo! Pure Big e Risucchio si sono schiaffati varie droghe sulla lingua e abbiamo cominciato a correre sparati a retromarcia per la Pacific Coast Highway fino a quando un poliziotto non ci ha fatto segno di accostare e mi è toccato allungargli una mancetta di mille dollari per distorglielo
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dall'arresto di Risucchio che si era fissata che quello aveva una pistola fatta con del materiale di scarto radioattivo e continuava a tentare di estrargliela dalla fondina perché diceva che l'unica cosa da fare era lanciarla contro un albero per neutralizzare le radiazioni. L'agente, per altro, si è comportato da gentiluomo, e si vedeva che era felice di ricevere un fuori mano di mille dollari. Siamo ripartiti, stavolta a marcia avanti, e Big ha cominciato a ridere per il fatto che Risucchio pensava di neutralizzare le radiazioni della pistola lanciandola contro un albero, e rideva cosí tanto che si è bagnato i pantaloni, rischiando di macchiare una parte degli interni in pelle della mia Porsche nuova, e devo ammettere che mi sono innervosito, e ho cominciato a essere freddo con Big, ma in una piazzola di sosta Risucchio mi ha lasciato bruciacchiare un capezzolo a Big con il mio accendino d'oro, cosí mi è tornato il buonumore e ho pensato che in fondo Big era un bravo ragazzo. Ieri sera siamo andati verso i sei posti della nostra fila dell'Irvine Concert Hall e abbiamo preso posto. Il mio nuovo amico Manomorta si è seduto lontano da me ma vicino a Big, e pure Mister Wonderful si è seduto vicino a Big. Io mi sono seduto tra Muffa e Risucchio, che si era messa nell'ultimo posto della nostra fila. Giú in fondo sul palco dell'Irvine Concert Hall c'era un pianoforte con uno sgabello. Una donna seduta dietro Risucchio ha bussato sulla spallina della mia nuova giacca sportiva protestando perché i capelli di Risucchio creavano problemi alla sua visuale e non vedeva il pianoforte e lo sgabello sul palco. Risucchio ha detto alla donna che
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poteva andare a fare in culo, ma il buon vecchio Muffa ha capito la situazione e ha chiesto a Risucchio di scambiare il posto con lui e cosí ha risolto i problemi di visuale alla donna, che continuava a tossire da quando Risucchio le aveva rivolto la parola. Muffa era un tappo e aveva pochissimi capelli che dalla testa salivano su verso l'aria, cosí era perfetto per uno che doveva stargli seduto dietro. Risucchio ha i capelli soltanto al centro della testa rotonda e sono abilmente scolpiti a forma di pene gigante in erezione; per il resto è pelata come Muffa. In ogni caso, questo pene di capelli è molto grande e turgido, quindi può creare problemi quando il soffitto è basso e quando qualcuno deve stare seduto per vedere una cosa che vuole vedere anche Risucchio. La sua migliore amica e confidente è Tettona, è lei l'autrice della scultura ed è lei che le fornisce prodotti speciali per la cura dei capelli, e visto che è una hair stylist affermata, fa in modo che la scultura di capelli di Risucchio sia sempre rigida e che somigli a quel che deve somigliare. Io vado a farmi i capelli al Julio Unisex Fashion Cut Center di West Hollywood, e mi faccio fare una scriminatura particolare sul lato destro dei capelli e me li faccio scalare tutto intorno cosí che le mie orecchie, che sono particolarmente ben fatte e attraenti, risaltino sempre. Ho visto questo taglio raffinato su «Gentleman's Quarterly», ho ritagliato la foto e l'ho portata a Julio per fargli vedere come volevo i capelli. Mister Wonderful invece ha un taglio alla mohicano che ieri sera dava sul viola pallido, ma la maggior parte delle volte è arancione. I capelli di Big sono lunghissimi, folti e neri e gli coprono la testa e le spalle e la schiena, e pure la faccia. In
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pratica Big per poter vedere indossa una maschera di plastica che si è fatto installare tra i capelli all'altezza degli occhi, e questo soltanto grazie a un'abile operazione di Tettona. I capelli in prossimità di quella che probabilmente è la bocca di Big non sono il massimo della pulizia perché tendono a trattenere qualcosa del cibo che li attraversa durante il pranzo. Come portava i capelli Manomorta, nemmeno me lo ricordo. Muffa mi si è chinato addosso per dire a Risucchio che era stata davvero generosa a scambiarsi di posto con lui per permettere alla donna che tossiva di godersi lo spettacolo, perché secondo lui Keith Jarrett era un artista negro sensazionale che tutti al mondo dovevano vedere per capire cos'è la musica, e mi ha chiesto se aveva ragione. Sono stato felice di dare ragione a Muffa e di calmare Risucchio cosí non ci avrebbe messo in croce, e Muffa aveva davvero ragione quando il negro Keith Jarrett è salito sul palco con i pantaloni larghi, le scarpe e la camicia velours che gli andava troppo grande, e si è seduto sullo sgabello davanti al pianoforte. Come molti negri, Keith Jarrett aveva i capelli tipo afro; da dove stavano i nostri sei posti all'Irvine Concert Hall era tutto quello che riuscivo a vedere di Keith Jarrett mentre suonava: la schiena e i capelli tipo afro. E come suonava bene! Ho detto a Risucchio che questo artista era un fenomeno anche se non era un punk come Risucchio e Big e Mister Wonderful, che insieme formano un gruppo punk di altissimo livello conosciuto ovunque come Gli Sfinteri Immensi, e Risucchio che in quel momento era nel punto di massimo effetto dell'Lsd mi ha guardato come
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se ci fosse qualcosa di estremamente interessante alle mie spalle. Mi ha passato la lingua sulla faccia per piú di trenta secondi, poi di colpo si e fermata e mi ha indicato una minuta ragazzina bionda nella fila piú in basso, e ha deciso che i capelli della ragazzina erano una cosa affascinante e strana da vedere. Si è messa a fissare la ragazzina sotto di noi con grande intensità, mentre Keith Jarrett andava avanti con il suo concerto. Mentre io e i miei amici ascoltavamo Keith Jarrett suonare il piano all'Irvine Concert Hall ieri sera, pensavo che eravamo un gruppo fichissimo di giusti e di giuste e che ero felice di aver fatto amicizia con gente cosí divertente! Sono veramente unici, e poi sono cosí diversi dai miei vecchi amici con i quali sono cresciuto ad Alexandria, in Virginia, quando frequentavo belle scuole e università tipo l'Accademia Militare di Westminster, la Brown University, la facoltà di Economia all'Università della Pennsylvania o quella di Legge a Yale. Tutti quei miei vecchi amici hanno nomi veri e portano vestiti come i miei, sono pure molto carini, intelligenti e spesso divertenti, però mai quanto questa banda di scimmie che sono i miei nuovi amici della zona di Los Angeles! Ho conosciuti tutti i miei nuovi amici punk a una festa subito dopo il mio arrivo nella zona di Los Angeles per il mio nuovo lavoro dove mi danno piú di centomila dollari all'anno. Alla festa a Los Angeles in onore dei Giovani Repubblicani di Los Angeles ci ero andato insieme a Miss Paisley Campbell-Greet, una fica che stavo tentando di convincere a farmi un pompino e successivamente a lasciarsi sbruciacchiare, e chiacchieravo e facevo lo spiritoso da
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parecchie ore con lei e con parecchi Giovani Repubblicani quando a un certo punto parecchi punk, vestiti di pelle e di metallo e che non erano proprio d'accordissimo con la politica dei Giovani Repubblicani su alcune questioni sociali, sono sbucati improvvisamente dal nulla, hanno buttato giú la porta e hanno cominciato a mangiare il costoso rinfresco preparato dalle Ausiliarie dei Giovani Repubblicani, ad assumere stupefacenti e a fracassare qualsiasi cosa. L'organizzatore della festa quando ha provato a protestare con i punk piú grandi, che erano Big e gli amici del cuore di Big, Teschio e Trapano, affinché fossero piú educati e avessero un comportamento piú consono, si è beccato in cambio un dito nell'occhio. E appena dopo la scena del dito nell'occhio, sempre alla festa mi sono fatto trascinare in una discussione con un Giovane Democratico, uno della facoltà di Legge di Berkeley, in California (vorrei proprio sapere perché ce l'hanno fatto entrare!), Paisley Campbell-Greet lo conosceva e ce ne stavamo lí tutti a chiacchierare tranquillamente quando io con ingenuità e con un certo orgoglio ho messo in mezzo il fatto di mio padre e di mio fratello, e della recente promozione e responsabilità e senso dell'onore di mio fratello. Muffa mi si è buttato addosso perché voleva dire che secondo lui il negro Keith Jarrett era un musicista cosí grande ed emozionante per il fatto che il suo concerto era in realtà una improvvisazione jazz, e cioè lui in realtà componeva la musica intanto che la suonava. Risucchio ha cominciato a piangere per questa cosa e anche per la ragazzina dai capelli strani e cosí io le ho prestato uno dei miei
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fazzoletti di seta i cui colori si combinano perfettamente con la maggior parte dei completi del mio guardaroba. Alla festa dei Giovani Repubblicani ho cominciato a raccontare che la famiglia di mia madre possiede un'azienda che fabbrica prodotti farmaceutici di alta qualità, mentre la famiglia di mio padre fa parte dell'alta aristocrazia militare. Mio padre è uno degli ufficiali col grado piú alto nel Corpo dei Marines degli Stati Uniti d'America, e sia lui che io che mio fratello siamo parenti di uno dei generali piú valorosi che la nazione americana abbia mai avuto dai tempi di Ulysses S. Grant. Mio fratello ha trentaquattro anni e in questo momento è tenente colonnello del Corpo dei marines degli Stati Uniti d'America e ha l'onore di servire il Presidente degli Stati Uniti d'America in qualità di custode della valigetta nera con i codici nucleari. All'inizio mio fratello aveva soltanto l'incarico di ufficiale addetto al servizio notturno e ogni notte se ne stava seduto davanti alla camera da letto del Presidente della nostra nazione con la valigetta nera attaccata al polso, ma ora che ha dimostrato di essere un custode eccellente dei codici nucleari è passato all'incarico diurno, e per questo lo si può vedere spessissimo in televisione in piedi sull'attenti a non piú di tre metri dal Presidente, mentre custodisce la valigetta nera con i codici nucleari che sono molto importanti per conservare l'equilibrio dei poteri nel nostro pianeta. Il Giovane Democratico imbucatosi alla festa non ce l'ha fatta piú circa le mie dichiarazioni circa mio fratello custode diurno dei codici nucleari e ha cominciato a essere veramente maleducato, alzava
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la voce e gesticolava democraticamente e le braccia volteggiavano nella tipica giacca sportiva di velluto a coste, e alla fine mi ha addirittura appoggiato il dito sul petto. Paisley Campbell-Greet ha detto di essere ubriaca e comunque di avere un debole per le discussioni sulla politica di difesa nazionale, però io in ogni caso non sopporto che mi appoggino un dito sul petto e mi sono visto costretto a prendere il mio accendino d'oro e a dare fuoco alla barba del Giovane Democratico della facoltà di Legge di Berkeley. Lui si è impressionato molto e ha cominciato a correre avanti e indietro continuando a darsi degli schiaffi sulla barba, e Paisley pure era un po' seccata, invece io ero contento di avergli dato fuoco alla barba con il mio accendino d'oro. E cosí ho conosciuto i miei amici punk e sono diventato Fighettodelcazzo; perché Risucchio e la sua amica Tettona giocavano a chi riusciva ad afferrare con i denti gli spicchi di limone dentro la grande caraffa del ponce di Tiffany dei Giovani Repubblicani e a un certo punto si sono sentite scaraventare via dall'avvocatino con la barba fumante che gli ardeva intorno al cranio e per questo l'ha immerso nella caraffa. Risucchio si è arrabbiata per come lui le ha trattate e ha deciso di immergergli la testa nell'aperitivo fino a quando gli veniva a mancare l'ossigeno. Paisley Campbell-Greet cercava di tirare via Risucchio dal Giovane avvocato Democratico, e ha fatto innervosire pure Tettona che ha deciso di strappare a Paisley una considerevole parte del suo costoso vestito di taffetà, e da quel momento la visione delle tette di Paisley Campbell-Greet era
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a disposizione di tutti gli invitati. Ero felice che Risucchio aveva provato a fare del male all'avvocatino in fiamme, e cominciavo anche a capire che difficilmente Paisley Campbell-Greet mi avrebbe fatto un pompino visto che avevo dato fuoco al suo amico di Berkeley, e poi le sue tette si sono rivelate molto molto piccole e troppo appuntite, cosí ho cominciato a ridere senza fermarmi davanti allo spettacolo dell'abito da cocktail di Paisley e mi sono presentato a Risucchio, le ho fatto molti complimenti per i capelli a forma di pene eretto e le ho confidato la mia felicità per il fatto che fosse montata sulla schiena dell'avvocatino che mi aveva messo un dito sul petto solo perché mio fratello custodiva la valigetta nera con i codici nucleari per il Presidente degli Stati Uniti d'America. E quando Risucchio e la sua banda - Tettona e Teschio e Trapano e Big e Mister Wonderful hanno saputo che mio fratello faceva il custode dei codici nucleari per il Presidente della nostra nazione e che mi rendeva felice sbruciacchiare gli avvocati che mi danno fastidio, si sono riuniti e hanno deciso che ero il piú incredibile e meraviglioso Giovane Repubblicano mai esistito sul nostro pianeta, e mi hanno rapito trascinandomi via dalla festa a bordo del loro ex camioncino nero del latte con i simboli druidici abilmente verniciati sulla vernice, prima che la polizia chiamata da Paisley e dall'avvocato attizzato arrivasse a mettermi nei guai che mi avrebbero fatto perdere il lavoro che mi fa guadagnare un sacco di soldi. Quella sera Risucchio e Tettona me l'hanno preso in bocca, e pure Trapano. Con Risucchio e Tettona sono stato felice, con Trapano no, quindi non sono bisessuale. Risucchio poi ha accettato di farsi
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sbruciacchiare un po', e ho capito che è una persona meravigliosa. Big è riuscito a prendere un cucciolo dietro la loro casa in East Los Angeles e lo ha inzuppato di benzina e poi hanno lasciato che gli dessi fuoco io nello scantinato della loro casa in affitto, e cosí ci siamo dovuti stringere in un angolo per fargli spazio mentre correva su e giú per la stanza parecchie volte. All'Irvine Concert Hall ieri sera Manomorta mentre si toccava in mezzo alle gambe ha cominciato a lamentarsi perché Keith Jarrett gli stava scaricando una strana energia che proveniva dalle antiche radici della sua chioma afro, e ha preso a fare la checca isterica. Risucchio aveva smesso di piangere però era sempre piú affascinata e attratta dai biondi e ricci capelli della ragazzina seduta accanto a un uomo anziano che indossava una bella giacca sportiva, due file piú in basso dei nostri sei posti al concerto. Risucchio ha deciso che i capelli strani della ragazzina rappresentavano un amuleto anti-sacrificale prodotto con materiale chimico radioattivo e che se avesse potuto tagliarli e introdurseli nella vagina sotto la veranda di casa del patrigno a Deming, New Mexico, avrebbero potuto bruciarla e ribruciarla quante volte volevano, lei non avrebbe piú provato dolore o fastidio. Risucchio ha ricominciato a piangere e a soffocare fiamme immaginarie, e subito dopo ha tentato di alzarsi e di lanciarsi due file piú sotto verso i capelli della ragazzina, ma Mister Wonderful l'ha presa al volo e le ha promesso di procurarle qualche strano capello nell'intervallo; poi ha schiaffato un po' di roba sulla lingua di Risucchio con la cortese collaborazione di Big.
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All'estremità della nostra fila di posti al concerto c'era Muffa che sembrava molto interessato a me come persona e ha cominciato a parlare mentre ascoltavamo Keith Jarrett che faceva le sue improvvisazioni seduto sullo sgabello. Muffa ha dichiarato che era evidente che io fossi una bella persona però lo stesso non capiva come fosse possibile che avevo stretto amicizia con i miei amici punk di Los Angeles - Big e Risucchio e Mister Wonderful - visto che non ero come loro né mi vestivo come loro né avevo la tipica pettinatura punk, e non ero povero né indifferente né nichilista. Cosí io e Muffa abbiamo cominciato una fitta e affascinante conversazione e io gli ho raccontato tantissime cose di come ero fatto e lui le ha trovate interessanti e originali. Parlavamo di cose profonde e intanto Mister Wonderful teneva a freno Risucchio, e Big teneva a freno le smanie di Manomorta per potersene stare tranquilli ad ascoltare le dolci melodie che il nostro artista negro continuava a diffondere. Ho spiegato a Muffa che io e i miei amici punk eravamo molto legati e che se pure non potevo vestirmi come loro sia per il mio lavoro sia per questioni di tradizione di famiglia, non poteva sapere quanto ammiravo il look dei miei amici. Poiché Risucchio sa bene che il mio lavoro e la mia famiglia producono tanto capitale a ogni istante, a lei non dispiace se non posso vestirmi in pelle o in metallo o rasarmi la testa o fare con i miei capelli una scultura di quelle tipiche dei veri punk. Il mio lavoro è molto interessante e nemmeno troppo faticoso e ce l'ho da meno di un anno. Sto in uno studio legale in qualità di associato e mi occupo di mediazioni per conto di aziende. Succede qualche volta che i prodotti fabbricati da certi
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fabbricanti sono fallati o difettosi, e possono arrecare danno ai consumatori, e quando a un consumatore gli girano e per il danno subito vuole fare causa a uno dei clienti del mio studio, chiamano me per fare una mediazione. Questo per esempio può accadere per i giocattoli dei bambini o per attrezzi elettrici. Sono un mediatore per le aziende particolarmente adatto perché mi piacciono molto le sfide e mi piace affrontarle con lo spirito dei marines e annientare l'avversario! E sono appassionato e spietato proprio quando il prodotto è davvero difettoso e ha davvero causato un danno al consumatore perché allora è una sfida piú eccitante cercare di convincere una giuria o un giudice che quel che è successo veramente non è successo veramente e che il prodotto del fabbricante non ha arrecato alcun danno al consumatore. Ma la sfida piú eccitante è quando il consumatore che ha subito il danno è presente al processo, perché una giuria tende a nutrire sensi di colpa verso le persone che hanno subito un danno, soprattutto se fanno parte di una minoranza razziale e hanno un esercito di figli piccoli, come spesso accade alle minoranze razziali quando si presentano in tribunale. Sebbene abbia mediato un sacco di cause per le aziende, mi è andata male solo una volta o due, perché io ci sguazzo nelle sfide difficili nelle quali sono parte dell'azione legale, e anche perché la gente è ben disposta verso di me, per via del mio aspetto. Un avvocato inesperto si sorprenderebbe molto se sapesse quanto conti l'aspetto per una giuria. Io modestamente sono un diavolo dal bell'aspetto e dimostro anche meno dei miei ventinove anni. Sembro un ragazzo a posto, un
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giovanotto della porta accanto, una brava persona, e mia madre una volta ha detto che ho il viso di un angelo del paradiso. Ho gli occhi languidi di un canguro, la pelle bianca e morbida di un neonato, la carnagione chiara. Non c'è nemmeno bisogno che mi rada, ho una pettinatura sobria e non ho i problemi tipici della forfora, quali prurito e squame. Ho i capelli sempre puliti, ordinati e corti. E le mie orecchie sono veramente attraenti. Ho spiegato a Muffa che vestire in modo ineccepibile e sembrare un angelo mi aiuta nella carriera e Risucchio questa cosa l'ha capita. La mia carriera mi frutta piú di centomila dollari all'anno, e inoltre mia madre mi manda assegni dal suo conto personale, quindi ho una grande disponibilità di contanti, la qual cosa rende Risucchio e Big e Mister Wonderful un gruppo di punk particolarmente allegro. Prima che mi arrabbiassi con lui, Muffa mi piaceva tantissimo. A differenza di Risucchio e Manomorta, l'assunzione di Lsd aveva reso Muffa un tipo tranquillo e allegro ieri sera al concerto di Keith Jarrett. Non ha avuto allucinazioni e non ha cominciato ad agitarsi, ma ha descritto con semplicità in che modo la pasticchetta sulla lingua lo aiutasse a percepire con tutti e cinque i sensi la musica del negro Keith Jarrett. Udiva la musica, la vedeva e ne sentiva perfino l'odore e il sapore. Muffa ha deciso che qualcosa in quella musica aveva un odore di velluto vecchio nel baule di una soffitta, però anche di vitamine, di medicine, e aveva anche un po' l'odore del mattino. Ed era anche convinto che queste improvvisazioni di Keith Jarrett riusciva proprio a vederle. Si è sforzato di descrivermi con parole sue i colori di un tramonto attraverso il fuoco, azzurro e
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albicocca, o attraverso il fumo, prugna e nero. Ha detto che qualche volta la musica assomigliava a una luce debole dietro il ghiaccio. Mi sono sentito cosí felice di ascoltare il resoconto sensuale di Muffa, che quando Risucchio mi ha messo la mano sul pene dentro i morbidi pantaloni di gabardine sussurrando che tra i capelli strani della ragazzina bionda si nascondevano vermi e serpenti in perenne movimento che scandivano i nomi della famiglia di Risucchio, gli Imblum di Deming nel New Mexico, le ho infilato la lingua in bocca. Muffa sapeva un sacco di cose sugli altri generi musicali oltre il punk. Per lui Keith Jarrett è un artista negro di grande talento. Ha detto che solo un genio poteva starsene seduto su uno sgabello davanti a migliaia di spettatori lontani e cominciare a suonare qualsiasi vecchia melodia gli girava in quella testa da afro. Secondo Muffa, nella testa di Keith Jarrett ci sono miliardi di questi motivetti, e lui li suona, e non soltanto suona i motivetti ma li rende pure irriconoscibili, li cambia, improvvisando, e cosí ogni sera fa un concerto diverso da quello precedente. Il modo in cui i motivetti si legavano era determinato dal subconscio di Keith Jarrett, sosteneva Muffa, cosí i concerti di Keith Jarrett assomigliavano a una linea retta e non a un cerchio bello tondo. La linea era come una piccola autobiografia delle particolari esperienze e sensazioni del negro. Ho informato Muffa che non sapevo che i negri avessero anche loro il subconscio ma che in ogni caso la musica mi piaceva tantissimo, e Muffa c'è rimasto un po' male. Risucchio ha preso a fare dei mugolii che mi hanno sessualmente eccitato e neanche
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ha detto 'fanculo alla donna con la tosse che stava dietro a Muffa quella che ci ha chiesto se per favore potevamo abbassare la voce per permettere a tutti quelli che erano venuti all'Irvine Concert Hall di godersi il concerto, ma Muffa era ancora di cattivo umore e ha detto alla donna che avrebbe preso a calci suo marito se non la smetteva di rompere le palle e cosí lei si è cucita la bocca e io ho preso la mano di Risucchio e mi sono messo in bocca una delle sue dita con lo smalto bianco per le unghie al sapore di vaniglia che mi piace tanto. La ragazzina dai capelli gialli che per Risucchio erano chimici e occulti si era quasi addormentata sulla spalla dell'anziano signore con l'elegante giacca sportiva fatta su misura. La giacca mi piaceva molto e avrei voluto portarla io invece che quel signore. Speravo che si voltasse dalla mia parte per vedere in faccia che tipo era uno che portava quella giacca sportiva e ho cominciato a pensare che forse l'unica cosa da fare per spingerlo a voltarsi era tirargli una monetina sulla nuca. In ogni caso oltre a essere un buon punk pelato tuttofare con gli occhiali rosa, Muffa era anche sveglio e intelligente. Era molto interessato a me come persona, e senza che me ne accorgessi aveva spostato il discorso dai generi musicali con annesse esperienze e sensazioni del negro Keith Jarrett a niente musica di nessun genere piú le mie esperienze ed emozioni di bianco. Era evidente che Muffa era ansioso di scoprire come era possibile che io avessi rapporti cosí soddisfacenti con i miei amici punk. Ha detto che voleva veramente capire un Fighettodelcazzo come me. Prima durante l'effetto dell'Lsd si era fatto tutto serio ma poi è diventato buffo in un modo
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che mi sembrava simpatico e coinvolgente. Secondo la sua teoria i punk sono dei bambini nati in spazi molto angusti, senza finestre, in piú circondati da muri di cemento e di metallo, tutti sfregiati da graffiti, e quando diventano grandi passano la vita a cercare di uscire fuori da quei muri. Tentano di muoversi veloci sul margine estremo di qualcosa e continuano fregandosene del rischio di cadere da quel margine estremo. Muffa ha detto che i componenti della mia banda di punk si sentivano tutti come se non avessero niente, né avrebbero mai avuto niente, e cosí facevano in modo che questo niente diventasse tutto. Inoltre Muffa ha detto che io ero un Fighettodelcazzo che aveva tutto, e quindi chiedeva spiegazioni sul fatto che io ero pronto a scambiare il mio tutto assoluto con il niente assoluto. Muffa era curioso e simpatico seduto al suo posto alla fine della nostra fila, però insisteva nel fissare il profilo del mio bel viso, e teneva la mano sulla manica della mia giacca sportiva nuova, e la cosa non mi piaceva, perché aveva le unghie sporche. Mi ha chiesto perché mi chiamavano Fighettodelcazzo. Ho spiegato a Muffa che per me era un bravo ragazzo e che mi piaceva discutere con lui di cose cosí profonde e che ammiravo il suo orecchino. Il suo orecchino era di osso. Quando ha sentito queste parole Muffa si è di nuovo rabbuiato e io gli ho detto che non doveva fare cosí. Risucchio guardava la monetina che tenevo in mano mentre fissavo la testa del signore anziano, e come se per lei fossi un libro aperto, ha capito. Mi ha sussurrato all'orecchio di lanciare la monetina
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sulla ragazzina dai capelli strani cosí la ragazzina sentendo dolore si sarebbe voltata verso di noi e Risucchio avrebbe avuto l'occasione di guardare il viso della ragazzina dai capelli strani. Ha detto di aver già intuito che il viso della ragazzina era quello di un vero e proprio gigante, con pianeti ruotanti nelle orbite degli occhi, e che il suo alito aveva il sapore di mela. Ha detto che se avesse strappato i capelli strani alla ragazzina e li avesse introdotti nella propria vagina sotto l'effetto dell'Lsd si sarebbe trasformata dalla Sandy Imblum che era in un cerchio di fuoco con braccia gambe e vagina che emanavano calore. Muffa le avevo chiesto educatamente se voleva mandar giú una pasticca di vitamina B12 per neutralizzare parte della potenza delle sostanze illecite, ma ormai Risucchio non avvertiva piú la presenza di Muffa. Ha messo la mano vicinissima al mio pene di gabardine e poi ha detto che una volta piena di capelli strani infuocati sarebbe andata a trovare mio padre nell'ufficio del corpo dei marines degli Stati Uniti e si sarebbe gettata tra le sue braccia di guerriero consumando con lui l'atto sessuale e mio padre nel momento dell'orgasmo avrebbe preso fuoco a causa di Risucchio, e immolatolo, gli avrebbe poi tagliato la sua gola da guerriero e mi avrebbe lasciato lavare nel suo sangue. Risucchio è davvero una grande fica, ma devo ammettere che quello che ha detto non mi è piaciuto, mettersi a parlare cosí di mio padre e di un atto sessuale con lui davanti a tanta gente nell'Irvine Concert Hall. Muffa ha ipotizzato che era probabile che Risucchio fosse fuori di testa a causa dell'Lsd e ha chiesto a Mister Wonderful se poteva usare quel braccio che bastava a proteggere parecchie persone per tenere buona
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Risucchio, e Big ha detto a Muffa di cucirsi la bocca e di farsi gli affari suoi. Ce l'avevo davvero tantissimo con Risucchio e mentre la chioma afro di Keith Jarrett ha cominciato a muoversi di qua e di là seguendo la musica che si era fatta piú dura, piú tipo punk, ho incrociato le braccia e ho cominciato a cacciare aria dalle narici con rabbia verso Risucchio. Subito dopo l'ho costretta ad abbassare lo sguardo e l'ho fissata con rabbia. Le pupille nere degli occhi di Risucchio sono diventate enormi fino a coprirle il colore degli occhi e ha cominciato ad aver paura del sottoscritto e si è messa a piangere, e la cosa mi ha fatto stare un po' meglio. Muffa ha di nuovo messo la mano sudicia sulla manica della mia giacca sportiva nuova e io mi sono girato verso di lui con le braccia ancora incrociate, e devo essere apparso molto incazzato pure a lui, perché mi aveva toccato la manica, dato che anche i suoi occhi ingenui sono diventati enormi e violacei dietro gli occhiali rosa e si è aggiustato i capelli e ha spiegato serenamente che forse era il caso che io e lui ci avviassimo nel foyer dell'Irvine Concert Hall a chiarire un paio di cose, in attesa che pure gli altri ci raggiungessero lí appena cominciava l'intervallo. Ero molto incazzato e non sapevo se a quel punto volevo tirare la monetina alla ragazzina dai capelli folti oppure prendere il mio accendino e bruciacchiare Muffa nel foyer, e poi ho deciso di bruciacchiare Muffa, e l'ho trascinato su per i gradini del corridoio che portava al fresco e piacevole foyer dell'Irvine Concert Hall. Risucchio mi ha chiesto dove vai Fighettodelcazzo?, ma io le ho
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voltato le spalle, freddo. Ma quando siamo arrivati nel foyer mi è passata la voglia di bruciacchiare Muffa perché non sarebbe stato per niente divertente perché quando siamo arrivati nel foyer Muffa si è seduto subito su una bella panchina di proprietà dell'Irvine Concert Hall con i suoi pantaloni di pelle, gli anfibi neri e la camicia di pelle con un mucchio di catene e munizioni che pendevano un po' ovunque dalle spalle striminzite e dietro la schiena e con quella testa pelata con i ciuffi sparsi qua e là e ha cominciato a piangere, e cosí le lacrime di Muffa sono spuntate da sotto gli occhiali rosa. Muffa è cosí apparso giovane quanto effettivamente è, cioè un minorenne. Ho capito che l'Lsd di Big stava facendo effetto sul buon vecchio Muffa e che, al contrario di me, le sostanze illecite attecchivano sulla sua anima. Mentre piangeva, Muffa ha confessato che non riusciva a comprendermi e che gli facevo paura. Ho risposto che la cosa faceva molto ridere: un punk pieno di munizioni come Muffa che si metteva paura di un borghesuccio carino e ordinato come Fighettodelcazzo. Gli ho teso la mano senza rancore e mi sono offerto di chiedere a Risucchio di fargli un pompino di quelli suoi, ma Muffa non ha nemmeno risposto all'offerta e mi ha preso la mano che gli avevo teso in segno d'amicizia e con la sua mano non proprio pulita mi ha tirato giú a sedere sulla bella panchina accanto a lui. Era difficile ascoltare Keith Jarrett dal foyer. Muffa ha ricominciato dicendo di avere difficoltà a inquadrare filosoficamente un Fighettodelcazzo come me, e di avere difficoltà a
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comprendere la felicità da me emanata praticamente in ogni momento. Ci ha messo un po' prima di riuscire a pronunciare la parola felicità. Capisci cosa voglio dire, ha chiesto. In te c'è qualcosa di cosí completamente felice, Fighettodelcazzo. Con molta pazienza ho rispiegato a Muffa la questione della gran quantità di contanti che mi entrano, dei vestiti e degli oggetti per la casa di qualsiasi tipo che mi posso comprare, e invece Muffa scuoteva la testa mezza calva sostenendo che lui non voleva dire proprio felicità quando aveva detto felicità. Vorrei sapere perché sei cosí... felice, ha detto. E dopo avermi chiesto ancora un sacco di volte perché ero felice, mi ha chiesto se amavo Risucchio. Ho messo il braccio della mia giacca sportiva nuova intorno alle spalle in pelle di Muffa e gli ho confidato che Risucchio nella mia lista stava al primo posto, e che mi faceva sentire felice ogni volta che me lo prendeva in bocca e mi regalava orgasmi sublimi, e poi mi permetteva di bruciacchiarla in diverse parti del corpo. Le lacrime non scivolavano piú sotto gli occhiali rosa di Muffa ma continuava a guardarmi e a fissarmi in un modo che mi veniva voglia di fargli male finché ho ipotizzato che era entrato nella tipica ipnosi da sostanze stupefacenti, nella quale una persona fissa gli oggetti come fossero troppo grandi per essere compresi, e rimane cosí per un bel pezzo. Non sapevo se era il caso di lasciare Muffa lí nel foyer in stato di ipnosi, però avevo voglia di tornare a sentire Keith Jarrett e allora ho dimenticato completamente Muffa e mi sono avviato verso la fontanella dell'acqua potabile per poi rientrare in sala. Ma prima di riuscire ad aprire le
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porte della sala ho sentito la voce di Muffa che mi chiamava e mi sono di nuovo ricordato di lui e ho visto che Muffa non mi fissava piú dritto negli occhi senza vedermi come un coniglio quando sono tornato vicino alla panchina, e non mi ha guardato nemmeno negli occhi mentre diceva che se gli svelavo il segreto di questa emanazione ininterrotta di felicità mi avrebbe permesso di bruciacchiarlo e di bruciacchiare pure la sua fidanzata, che era mezza negra. Ho risposto a Muffa che la sua era una di quelle offerte che non si possono rifiutare, e che però non era facile rispondere perché avevo già tentato di spiegargli piú volte che le cose che mi rendevano felice erano tante. La verità è che in vita mia soltanto poche cose mi hanno reso storicamente infelice e giú di corda. Exemplum gratia, una è stata quella volta al college della Brown University quando sono andato a testa alta ad arruolarmi al corso per Allievi Ufficiali di Complemento del Corpo dei marines per seguire le orme di mio padre e di mio fratello che servono con onore l'esercito e il colonnello addetto al reclutamento ci ha sottoposto a uno stupido test sulla personalità e io sono stato bocciato e dopo un po' quando sono tornato a protestare educatamente quelli mi hanno fatto fare un altro test e mi hanno detto che ero stato bocciato un'altra volta, e allora mi hanno fatto parlare con un dottore che è entrato nell'ufficio Allievi Ufficiali di Complemento e poi il colonnello addetto al reclutamento per la Brown University ha telefonato a mio padre che era impegnato in un lavoro delicato a Washington, D.C', e mio padre si è molto innervosito per questo contrattempo. Il colonnello
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continuava a chiamare mio padre Signore, e si scusava per averlo interrotto mentre lavorava, e comunque non sono mai riuscito ad arruolarmi in un corso per Allievi Ufficiali né alla Brown University né altrove. Ed exemplum gratia, un'altra cosa è stata l'episodio di Alexandria, in Virginia, quando avevo otto anni e mia sorella ne aveva dieci e mio fratello che ora custodisce i codici nucleari per il Presidente allora si trovava all'Accademia Militare di Westminster e io e mia sorella stavamo nella stanza di mio fratello a giocare sulla sua scrivania e abbiamo trovato delle riviste nei cassetti in basso e le riviste, che erano pornografiche, erano piene di uomini e donne che praticavano atti sessuali e noi le abbiamo lette e guardato foto di uomini che introducevano il pene nel buco tra le gambe delle donne e gli uomini e le donne sembravano molto felici e io ho sfilato le mutandine a mia sorella e poi ho sfilato pure le mie e ho introdotto il mio pene eccitato dalle riviste nel buco che io e mia sorella abbiamo trovato tra le sue gambe, che era la sua vagina, ma quando ho introdotto il pene nella sua vagina mia sorella non è stata per niente felice e mio padre è entrato nella stanza perché lei lo ha chiamato e ha visto che praticavamo un atto sessuale e mi ha trascinato nel suo studio vicino alla stanza dei giochi nel seminterrato di casa nostra e mi ha bruciacchiato il pene con l'accendino d'oro dei marines e mi ha avvertito che se mi fossi ancora azzardato a toccare la sua bambina mi avrebbe incenerito del tutto il pene con l'accendino d'oro e mi è toccato andare da un dottore a farmi prescrivere una pomata per il mio pene bruciacchiato,
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cosí mi sono sentito infelice e giú di corda. Se i miei genitori da piccolo non mi avessero insegnato che raccontare in pubblico le faccende private di famiglia è un segno di maleducazione, avrei fornito a Muffa un sacco di esempi di quante volte ero stato storicamente infelice e invece ho ripetuto che Risucchio mi rende continuamente felice prendendomelo in bocca e lasciandosi bruciacchiare, perché sono questi i due soli momenti in cui mi sento felice in materia di cavoli e cicogne. Sfortunatamente, anche se sono un gran bel fico e molte ragazze prima a scuola e ora nella vita mostrano di desiderarmi, il mio pene non vuole sentire ragioni di starsene eretto quando vogliono praticare l'atto sessuale, mentre diventa eretto solo se me lo prendono in bocca, e se me lo prendono in bocca mi viene voglia subito di bruciacchiarle con i fiammiferi o con l'accendino e tante ragazze questa cosa non la sopportano e sono infelici quando le brucio e perciò hanno paura di prendermelo in bocca e vogliono praticare soltanto l'atto sessuale. Invece Risucchio non ha paura e si presta. Oltretutto Risucchio sa che la cosa che mi renderebbe il piú felice mediatore per conto delle aziende della storia dell'umanità sarebbe quella di uccidere mio padre e sa pure che io ucciderò mio padre e mi laverò col suo sangue non appena possibile, magari senza farmi scoprire per non risultare colpevole, casomai lo farò quando andrà in pensione e mia madre sarà debole, e Risucchio ha giurato che mi aiuterà e che pure lei ucciderà il patrigno e mi fa i pompini e qualche volta si lascia bruciacchiare. Parlavo con Muffa e sentivo la mia voce debole e rauca perché
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ricordare gli eventi storici del passato di solito fa effetto sul mio stato naturale di coscienza come gli stupefacenti fanno effetto sulle altre persone, e mi rende strano. Ho detto a Muffa che mi dispiaceva di non poter rispondere alla sua domanda, in ogni caso gli ho promesso mille dollari in contanti se convinceva la sua fidanzata negra a lavarsi con cura per poi farmi un pompino e lasciarsi sbruciacchiare dietro le gambe con i fiammiferi. Muffa ha guardato fisso il sottoscritto come uno semi-ipnotizzato per un bel po' di tempo e cosí mi sono sentito fiducioso che si sarebbe convinto ad accettare il regalo e che insomma ci saremmo messi d'accordo, e intanto il concerto jazz di pianoforte di Keith Jarrett era interrotto per l'intervallo e le persone hanno cominciato ad affollare il foyer dell'Irvine Concert Hall. Le persone si muovevano lente e il cuore nel mio petto batteva lento. La gente arrivava nel foyer chiacchierando, con movimenti ancor piú rallentati di quelli dell'Nfl Highlights Show, dove interrompono continuamente il programma per far vedere la pubblicità di quella donna bellissima e molto sexy che va dicendo che i suoi uomini hanno addosso English Leather oppure non hanno addosso niente. Il mio stato naturale di coscienza diventava sempre piú storicamente strano mentre Muffa continuava a fissarmi e la gente nel foyer passeggiava e comprava panini e beveva dalla fontanella dell'acqua potabile e cercava il bagno e tutto questo sempre al rallentatore, e l'aria dell'Irvine Concert Hall diventava piú simile alla luce polare, e la voce di Muffa che tentava di declinare la mia offerta arrivava ormai da
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lontano, e i suoi occhiali rosa cominciavano a sembrare due pallide aurore attraverso il ghiaccio. Dalla bella panchina del lento foyer ho preso a tentare di vedere se Risucchio e Big e Mister Wonderful e Manomorta stessero uscendo per aiutarmi a convincere il vecchio Muffa ad accettare la mia proposta di regalo, e invece mi sono ritrovato a osservare con grande interesse la corsa al rallentatore dell'anziano brizzolato atletico e distinto signore in giacca sportiva. A vederla di spalle e da due file piĂş in alto nell'Irvine Concert Hall, la giacca sportiva mi era sembrata una di quelle firmate, mentre ora a vederla da vicino nel foyer aveva il bavero stretto e un taglio per niente europeo, proprio il tipo di giacca che non sopporto. Il signore correva con comica lentezza, portando in braccio la ragazzina dai capelli strani, inseguito per il lento e affollato foyer da Mister Wonderful e Risucchio, che nel tentativo di raggiungere il signore anziano e la ragazzina dai capelli strani avevano staccato Manomorta e Big. Le bocche dei miei amici Mister Wonderful e Risucchio avevano proprio la forma di quelli che stanno ridendo per l'eccitazione e Mister Wonderful aveva in mano qualcosa di metallico luccicante e il pene di capelli scolpito di Risucchio stava cominciando a spettinarsi in punta e i suoi occhi continuavano ad avere pupille enormi e nere e il bianco intorno non c'era piĂş e lei correva al rallentatore nei suoi vestiti di pelle e plastica con le mani protese in avanti verso i capelli strani della ragazzina dai capelli strani che stava dormendo tra le braccia del distintissimo signore anziano che ha oltrepassato la mia panchina correndo al rallentatore con il bavero stretto, e
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quando ho visto il luminoso pallido viso della ragazzina che dormiva sopra la spalla saltellante del signore in corsa al rallentatore quel viso mi ha reso estremamente felice ed eccitato, e mentre Risucchio e Mister Wonderful al rallentatore agguantavano il signore per la giacca sportiva poco elegante dall'altra parte del foyer dell'Irvine Concert Hall e mentre le mani di Risucchio con le unghie alla vaniglia e la cosa luccicante di Mister Wonderful erano ormai vicinissimi ai suoi capelli strani la ragazzina dai capelli strani ha aperto gli occhi tra le braccia del signore anziano e ha fissato direttamente e incessantemente il sottoscritto, che stava seduto sulla panchina per tenere a bada Muffa e spostare le sue mani con le unghie schifose dal polsino della manica della mia giacca sportiva nuova, e al rallentatore ho assunto un'espressione felice, confortante e rassicurante davanti alla ragazzina bionda e mi sono alzato al rallentatore dalla panchina mentre la mano di Risucchio si muoveva ancora di piú al rallentatore tra i radiosi capelli della ragazzina e Mister Wonderful faceva qualcosa con la cosa luccicante al signore anziano che poi era il padre della ragazzina dai capelli strani. E questo è tutto.
Dire mai
Labov Una cosa per niente divertente? La gastrite. Se non mi credete, chiedetelo alla signora Tagus: lei vi illuminerĂ sulla questione. Per
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ciò che mi riguarda: niente gastrite. Stomaco duro come la pietra. Artrite sí, gastrite no. Il tè non può fare niente contro la gastrite della signora Tagus. E' un tale fastidio, signor Labov! - mi dice mentre siamo nella cucina del mio appartamento. - Scusi se mi lamento continuamente, dice, - ma sembra che in questi giorni il mio stomaco reagisca a ogni minima seccatura stringendosi automaticamente come un pugno -. Stringe la mano in un pugno, nel suo cappotto, e si china a soffiare sul tè bollente, che sparge un denso fumo nell'aria fredda della mia cucina. - E ora questa preoccupazione, - dice la signora Tagus. Di nuovo fa il pugno con un vigore che le invidio, per via dell'artrite che ogni giorno mi tormenta gli arti, specialmente in inverni come questo; ma la mia comprensione va tutta allo stomaco della signora Tagus, che è la mia migliore e piú intima amica da quando sette anni fa la mia povera moglie e poi il suo povero marito sono passati a miglior vita a tre mesi di distanza l'uno dall'altro, che riposino in pace. Sono un sarto. Labov il sarto del North-side che sa fare qualsiasi cosa. Adesso sono in pensione. Ho scelto, tagliato, provato, cucito e confezionato il cappotto di procione che la signora Tagus porta da anni e che ha addosso anche in questo momento nella cucina che il mio padrone di casa tiene fredda, come il resto di questo appartamento che io e la mia povera moglie Sandra Labov prendemmo in affitto ancora negli anni del presidente Truman. Il padrone di casa vorrebbe che Labov andasse via per dare l'appartamento a una persona piú giovane e aumentargli l'affitto. Ma dovrebbe sapere che nessuno sa
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meglio di un sarto come non sia un problema coprirsi con cappotti ben fatti e aspettare la primavera. Saper aspettare è sempre stata una mia qualità. Ho cucito il pesante cappotto unendo le fodere di diverse pellicce del marito della signora Tagus, nonché mio amico carissimo Arnold Tagus, che ad agosto fanno otto anni che l'hanno sepolto. - Lenny, - ha sussurrato la signora Tagus guardando il suo tè. Non c'è piú il pugno; sta approfittando della tazza del tè per scaldarsi le mani.- Lenny, - dice, come distratta dal calore che cova tra le mani rinsecchite. Lenny è il figlio dei signori Tagus, Lenny Tagus. C'è anche un figlio piú piccolo, Mike Tagus. Per ciò che mi riguarda: niente figli. La signora Labov aveva problemi di sterilità che, quando lo scoprimmo, lasciarono immutato il mio amore per lei. Però niente figli. Ma i Labov e tutti i Tagus sono cosí: uniti. Li ho visti crescere i ragazzi dei Tagus, Lenny e Mike, e ne ero orgoglioso e felice. Sapete il tipo di persona che si mette lí e tira fuori il rospo? La signora Tagus non è quel tipo di persona. Se ha qualcosa per la testa, comincia a girarci intorno, un gesto qui, una parola lí, magari un sospiro; comincia a dare forma alla cosa dentro di lei come a una materia malleabile, come se fosse argilla, e tu la devi lavorare insieme a lei con pazienza per fare in modo che alla fine venga fuori. Per ciò che mi riguarda: se ho qualcosa da dire, la dico e basta.
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Mikey e Louis - Vuoi uscire ancora con lei? - Che cazzo dici! La voglio strozzare. - Eeeeh! - Muoio dalla voglia di rivederla. - Stalle alla larga. E' una pericolosa. Sembrava che ci fosse dentro fino al collo. - Mi ha lasciato lei. Non l'ho lasciata io. - Fammi capire. - Carlina mi ha scaricato. - In che modo, Tagus? - Ha solo detto che non le andava piĂş di uscire con me. Non fa per niente bene, se vuoi saperlo. Li capisco quelli che si mettono a piangere, quando vengono lasciati. - Ti ha detto questo? Questo e basta? - Dopo che le ho ficcato mezzo grammo di roba su per il naso e che le ho offerto da bere per tutta la notte. - Brutta storia. - Devo averle ficcato nel naso quasi un grammo di roba. - Scommetto che non hai dovuto ficcare niente dentro a niente. Scommetto che il suo naso non ha avuto bisogno di grandi persuasioni. - Era cominciata bene. C'era lei, c'era Lenny, su cui volevo che facesse colpo, e c'ero io. Mentre sono al bar a prendere da bere per tutti, lei e lui si fanno fuori il mio grammo. Poi lui se ne va con la scusa che deve mettere a letto i bambini. Gli gocciola la merda
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dal naso, va a sbattere contro i muri, però deve andare a mettere a letto i bambini. A quel punto io e lei cominciamo a discutere. Non ricordo nemmeno di cosa. E dopo un po' lei mi scarica. - Vuoi una birra? - Mi ha letteralmente lasciato seduto lí. Non so nemmeno come è tornata a casa. - ... - Ho proprio voglia di ammazzarla. - Non ne vale la pena. Fatti una birra. - Due mesi, amico. Due mesi buttati al cesso. Le ho fatto conoscere tutti. Mamma, Labov. Le ho raccontato le stronzate piú intime. Tutte le stronzate su di me. - Brutta storia. - Cazzo se è una brutta storia, Lou. - Che ne dice Lenny? Ne avrai parlato con Lenny. - Figuriamoci. In situazioni come queste rompe i coglioni. Mi parla dall'alto in basso. Fratello grande fratello piccolo. E poi sta fuori tutto il giorno. Bonnie dice che non sa neanche dove: all'ufficio, al bar, o chissà. Non fa che lamentarsi tutto il tempo. Pure lei e Len hanno i loro problemi. Stanno messi male. Stressati. Sempre incazzati. Lenny si è fiondato sugli alcolici e sulla roba come fosse il suo ultimo pasto. Io vado al bar a prendergli da bere, e loro si fanno fuori tutto senza di me. Chi mai farebbe assegnamento su uno cosí? - Nessuno, amico.
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- E poi le ho offerto da bere per tutta la notte. - Apri la birra. - Penso che potrei anche ammazzarla. - Nessuno ammazzerà nessuno, Mikey. - Trovami almeno qualcuno da poter picchiare.
Len Ragazza alla cannella, cioccolatino profumato, miele da baciare che cola bollente al centro di me stesso.
Labov - Lenny è il suo orgoglio e la sua gioia, - dico alla signora Tagus. Poi dico: - Cosa ci sarà mai in Lenny da far venire la gastrite a una madre fiera e felice come lei, signora Tagus? - Se lei avesse ricevuto una lettera e poi una telefonata come le ho ricevute io oggi, signor Labov, anche il suo stomaco perfetto sarebbe diventato un groppo, un pugno. Io che la gastrite ce l'ho già... - Scrolla il capo nel suo bel cappotto. Insisto perché la signora Tagus assaggi un salatino. - Lenny ha un problema, - sussurra, continuando a girarci intorno. Mentre mastica con cura il salatino, sussurra ancora: - Con Bonnie. Quindi riassumendo ci sono dei problemi tra Lenny Tagus, figlio della signora Tagus, un insegnante del college, che ha scritto un libro sulla Germania prima dell'avvento di Hitler (impossibile da leggere per via dei caratteri minuscoli) che è stato definito serio e documentato in una recensione che la signora Tagus ha attaccato sul
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frigorifero con un nastro adesivo invisibile di quelli che non si staccano piú. C'è un problema tra il Lenny della signora Tagus e la Bonnie di Lenny Tagus, sua moglie da otto, nove anni, una ragazza dolcissima, la migliore cui potesse aspirare anche un buon partito come Lenny, che gli ha dato dei figli sani ed educati, e che fa uno sformato cosí buono che è una tentazione del demonio. La signora Tagus sussurra cose incomprensibili, sorseggia il tè che ora si è raffreddato e ha smesso di spargere il suo vapore intenso nell'aria fredda della cucina del mio appartamento. - Ma come fanno a farle venire la gastrite le lettere, le telefonate e i suoi figli che io amo come fossero miei? - dico. Metto in fila quattro biscotti accanto al piattino della signora Tagus. - Se lei avesse ricevuto la telefonata che ho ricevuto io da Bonnie, - dice la signora Tagus. - Da quella ragazza che chi mai al mondo avrebbe il coraggio di ferire? E chi mai potrebbe negare una giusta considerazione ai suoi sentimenti? Intravedo il biancore del mio respiro nell'aria della cucina. Mi sento rassicurato nel vederlo. Metto la mano sul pugno chiuso della signora Tagus posato sul gelido tavolo della mia cucina. La pelle delle nocche della signora Tagus è tirata e secca, e quando apre la mano per lasciarsela accarezzare sento la sua pelle raggrinzirsi come carta. Quanto a me: anch'io purtroppo ho la pelle raggrinzita come carta. Guardo le nostre mani. Se la mia povera Sandra fosse qui con noi stasera parlerei - ma a lei soltanto - della vecchiaia, del freddo, dei problemi che si hanno a salire le scale, delle mani
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raggrinzite come carta, con macchie scure e unghie gialle, di come a Labov sembri che invecchiando assomigliamo agli animali. Le unghie diventano artigli, la faccia prende la forma del teschio, le labbra si ritraggono dai denti come a scoprire un ringhio. Scarni, ringhiosi, vecchi: perché meravigliarci che della nostra sofferenza non importa a nessuno che non sia un ringhioso come noi? Sandra Labov: il tipo di persona alla quale tutti potrebbero parlare di questioni come queste. Mi manca in ogni momento. La perdita di Sandra Labov è ciò che fa girare le lancette nere dell'orologio della mia cucina, dicendomi cosa devo fare, e quando. Io e la signora Tagus siamo uniti nel modo in cui, mi scuserete, io penso che i vecchi abbiano bisogno di unirsi in questa città, di questi tempi. Suo marito e io eravamo cosí, eravamo uniti in questo modo. Per il signor Tagus e tutta la famiglia: abiti confezionati con lo sconto. Per me e la signora Labov: l'assicurazione al prezzo di costo. I Tagus e i Labov sono uniti. Cosí uniti che io all'improvviso guardo l'orologio e costringo la signora Tagus a dirmi i motivi della sua gastrite senza più indugiare. - Fuori il rospo, signora Tagus, - le dico. Lei sospira e si stringe per il freddo. Guardo il suo respiro. Mi si avvicina e sputa il rospo, sussurrandomi queste parole: - Si tratta di infedeltà, signor Labov -. Con gli occhi velati per le cateratte dietro le lenti spesse mi guarda negli occhi e dice, a voce piú alta: - Insomma: tradimento. Lascio che il silenzio si raccolga intorno a questa cosa che finalmente si è materializzata e poi chiedo alla signora Tagus di
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spiegarmi cos'è questa storia del tradimento. - Ucciderà Bonnie facendola morire di vergogna. Oppure Mikey potrebbe mettergli le mani addosso, al sangue del suo sangue, - è questa, secondo la signora Tagus, la causa del suo terribile attacco di gastrite di questa sera, questo strano problema triangolare tra i tre figli che ancora non mi sembra di avere del tutto chiaro. La signora Tagus trattiene le lacrime. Il suo te è diventato freddo e di un colore piú chiaro, e io mi alzo per prendere la scatola del tè e mettere l'acqua calda nel bollitore di rame che io e mia moglie Sandra ricevemmo in regalo da Arnold e Greta Tagus nel giorno del nostro matrimonio, lo stesso in cui Roosevelt passò a miglior vita, che riposi in pace, e la signora Tagus si schiarisce la voce un'altra volta e si tocca di nuovo lo stomaco attraverso il cappotto che io stesso le ho confezionato, usando filo di ottima qualità per giuntare le pelli. Dice che la telefonata di sua nuora Bonnie Tagus che oggi l'ha ridotta in quello stato aveva anche a che fare con la fotocopia della metà di una lettera di Lenny, suo figlio e vanto, metà di una lettera che la signora Tagus ha trovato nella sua cassetta postale, sempre oggi, ma prima della telefonata di Bonnie Tagus. Parla in modo precipitoso. Dice che la mezza lettera di Lenny era una fotocopia (nemmeno indirizzata a lei personalmente)? Lui aveva spedito diverse fotocopie della lettera, per espresso. Un colpo di testa. - Lo definisce uno sfogo, - dice la signora Tagus, - verso gli amici e la famiglia -. Per chiarire tutto a tutti. Mi guarda mentre traffico con
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il bollitore sulla cucina che ha un solo grande bruciatore funzionante. L'ho forse ricevuta anch'io, signor Labov, questa lettera incompleta? Ma io ricevo la posta solo una volta alla settimana, il martedì, (ora è quasi venerdì, secondo l'orologio), per via del fatto che la mia cassetta postale qui nel palazzo è stata forzata, e io penso che non sia sicura, considerato che la pensione mi arriva per posta, cosí ho deciso di affittare una cassetta all'ufficio postale, ma per arrivare all'ufficio postale ci vuole mezz'ora con la soprelevata o ci vogliono sette dollari con il taxi e delle linee degli autobus non ne parliamo nemmeno e poi con questo tempo chi vuole piú di una scocciatura alla settimana? Quindi la lettera potrebbe trovarsi nella mia cassetta. La signora Tagus ha fiducia nella sicurezza della sua cassetta postale, qui nel palazzo dove lei e Arnold Tagus vennero a vivere a partire dallo stesso weekend in cui giustiziarono i Rosenberg sulla sedia elettrica a causa di Nixon. Ho messo un altro po' di tè caldo, scuro e appena fatto davanti alla signora Tagus, in una tazza speciale comprata alla «Casa della tazza» a Marshall Fields, con un coperchio che serve a mantenere il calore del tè, e che quasi inconsapevolmente ho utilizzato sempre in situazioni di emergenza come questa. Come quella notte di tanti anni fa, quando Mikey Tagus inghiottí la lingua durante una partita di football a scuola, Arnold e Greta bevevano un tè dopo l'altro dalle tazze con il coperchio che avevo portato al Pronto Soccorso. Stavamo tutti seduti a bere tè e a pregare. Quella fu la prima volta che la signora Tagus sentí lo stomaco stringersi come un pugno. E ora
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stringe di nuovo il pugno, e nel pugno tiene le pagine sgualcite della lettera di Lenny, macchiate come le fotocopie quando si bagnano. Mentre parla si dondola sulla sedia della cucina e guarda nel vicolo in direzione della scala antincendio che è tutto il suo panorama. «Lettera aperta di Lenny lasciata a metà e indirizzata alla piccola comunità che comprende la mia famiglia e gli amici intimi (lettera opportunamente concepita anche come satellite per comunicazioni, una sonda lanciata nella costellazione di sentimenti che circonda e informa l'orbita personale del suo latore) con l'esclusione di Bonnie Fluttermann Tagus e Michael Arnold Tagus - avente come oggetto il suo medesimo latore e le suddette escluse controparti.»
21-2 Adorati parenti e maestri, vi prego di prendere atto che la persona di Leonard Shlomith Tagus, esimio professore, autore di L'emozione in poesia. Il tema dell'impeto nella poesia della Repubblica di Weimar, una monografia i cui diritti d'autore superiori alle tre cifre andranno presumibilmente ad allungare le dichiarazioni dei redditi del 1985, unico fine germanista della Northwestern University, studioso, docente, figlio, padre, fratello; che il piú scaltro dei marinai coniugati, cioè il medesimo L.S. Tagus, avendo navigato con successo per nove anni tra lo Scilla e Cariddi di Attrazione e Occasione, oggi 21 febbraio 1985 dichiara di aver commesso adulterio, per ben quattro
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volte, con una certa Carlina Rentaria-Cruz, già sentimentalmente legata a mio fratello, Michael Arnold Tagus; che il sottoscritto prevede il verificarsi di ulteriori episodi di adulterio; e che tutti gli episodi del passato e gli altamente probabili episodi futuri di detto adulterio saranno portati all'attenzione della moglie del sottoscritto, la signora Bonnie Fluttermann Tagus, per l'esattezza tra l'una e le due del pomeriggio (ora di pranzo), in data odierna. Sappiate inoltre che non è né desiderio né intenzione di L. Tagus né tantomeno il fine di una lettera apertamente esplorativa: a) la giustificazione di tali attività libido/genitali da parte del sottoscritto per suscitare la disapprovazione o la comprensione nel gruppo dei suoi intimi; oppure: b) la spiegazione delle attività medesime, giacche qualsiasi spiegazione di una trasgressione degenererebbe inevitabilmente in una giustificazione (vedi il punto a)); si tratta invece semplicemente di: c) informare le persone sulle quali la mia esistenza e il comportamento da essa delineato potrebbero determinare un effetto in virtú degli eventi descritti piú sopra e dibattuti, come al solito, piú sotto; e di: d) descrivere, probabilmente adottando la sperimentata pentade euristica del chi-come-dove-quando-perché, le ragioni per le quali tali episodi sono avvenuti, avvengono e avverranno; e infine di: e) sviluppare le prevedibili conseguenze di tali attività per il sottoscritto, per le altre persone in questione (B.F.T', M.A.T') direttamente coinvolte nelle sue scelte, e per tutte le restanti persone le cui vicende psichiche sono, in misura variabile, legate alle nostre. Una volta eliminati a) e b), c) è annullato dalla seguente
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rivelazione: Ragazza alla cannella. Labbra carnose, pelle al caramello, capelli color cognac, da sudamericana. Un tipo: una ragazza color luce sporca, occhi dal fondo bianchissimo e capelli come un liquore, scintillante e affumicata; seni perfettamente a punta che spiccano quando inarca il petto, quando per le risate lo inarca e batte ansiosamente la mano sullo sterno che sta per esplodere. Cosa che accade regolarmente. Perché è una ragazza allegra. Ride per ogni battuta purché non sia macabra e non riguardi la politica, e preferisce evitare le discussioni sull'aborto; ma negli altri casi è come il bel tempo che non cambia mai, qualcosa che la trasporta da un luogo a un altro piuttosto che il contrario, una risata dal suono penetrante simile a una possessione irrefrenabile, che la fa contorcere, piú forte della sua percezione di disagio e di imbarazzo, un'offesa inoffensiva per chiunque viva in un mondo che è soltanto un fumetto violento, gli occhi lucidi che guardano intorno a implorare soccorso, o un invito alla serietà, lo sgonfiarsi di un capezzolo strusciato dal cotone della sottoveste, qualche distrazione per farla calmare. Un'allegria che è quasi al confine con il dolore. E io l'ho guardata contorcersi, con gli occhi color panna stretti stretti, su un alto e rumoroso narghilè Graphix, nell'appartamento di Mikey Tagus; e un uomo che era sordo in una città di sirene ha udito il richiamo fatale di una di esse; e gli scogli sommersi che a lungo ero riuscito a evitare hanno sgretolato l'esile e fragile prua della mia prudente personalità. Carlina Rentaria-Cruz, assistente
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segretaria negli uffici del North-side del Chicago Park District. Ventenne, deliziosa, luminosa e scura, capelli appiccicosi di gin, nostra signora dai riccioli umidi sulle copertine dei dischi, accento spagnolo, stivali a punta, splendore latteo della pelle, labbra lucide, che sprigionano luce - che brillano senza l'ausilio della lingua - labbra che si inumidiscono da sole. Tutto ciò in contrasto - e sia chiaro che non intendo né offendere né spiegare - con una donna di trentaquattro anni dal sedere grosso, solida e bianchiccia come tutte le casalinghe. Conosciuta in ogni microscopico dettaglio. Da un grande neo piatto sul braccio sinistro spunta un ciuffo di peli neri. Capezzoli duri come i gommini delle matite che si oppongono a vasti seni le cui ampie curve mi sono note come le noiose anse del nostro lago. Una donna sempre munita di cuscino per le emorroidi gonfiato a vari livelli, un'oscena ciambella rosa di plastica dura, che ammortizza, imbottita del suo biossido, l'eredità lasciata alla donna dal lungo e laborioso parto di Saul Tagus. Una donna le cui labbra sono cronicamente secche (cattiva secrezione sebacea) e raccolgono negli angoli una pasta biancastra. Il cui modo di fare, lo confesso, è sempre stato un po' troppo per bene per i miei gusti. E la sua risata pacata e sempre opportuna, consapevole, complicata da un'automatica e artificiosa partecipazione verso le sensibilità individuali dei presenti. Cioè Bonnie ride soltanto con; Carlina è stata concepita e cresciuta per ridere soltanto di. Rappresentazione emblematica di una scena con risata di B.F. Tagus: Immaginate una cena in piedi: B.F. Tagus sta adempiendo la sua
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quota autoimposta di un aneddoto familiare che «delizierà» i nostri ospiti: - E Joshua riceve la sua fetta di torta dal cameriere, e comincia a sbarrare gli occhi - (qui una portentosa imitazione) - la guarda, e mi dice, me lo sussurra appena il cameriere se ne è andato, dice, mamma, mamma, perché c'è il gelato su questa torta, e io gli dico ma Joshua, il cameriere ti ha chiesto se gradivi la presenza del gelato e tu gli hai risposto sí, amore; a quel punto Joshua mi guarda, sta quasi piangendo, povero amore, e dice: la presenza del gelato? Mamma, ma io avevo capito senza il gelato... Lui... pensava... non è... - (mano sulla bocca, occhi paurosamente sgranati, grande abbandono, spalle che si alzano e si abbassano in sincrono, una risata piena di tenerezza, bontà e tutte quelle cose lí). Rappresentazione emblematica di una scena con risata di C. R.-Cruz: - Len, Len, lo sai perché gli ippopotami si accoppiano nell'acqua? L'ho sentita in un club. Lo sai? Beh, falla bagnare tu una fica di quelle dimensioni! - (A questo punto comincia a contorcersi, travolta dalla sconcezza). Per non parlare dell'accento letteralmente esiziale, una autentica fellatio a ogni sillaba pronunciata da quel portale autolubrificante che diventa di colpo un giardino profondo e un'alta città frastagliata. Un pianeta. - Oh, lenito, adesso ti mangio! (Per inciso, l'amplesso si è rivelato in questo caso una faccenda di lamenti ad alta voce squisitamente avulsa da qualunque rimando alla coscienza ebraica: grida di Carlina e poco spazio per qualche
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aspetto accessorio della disperazione; una forsennata zuffa a due alla ricerca di qualcosa che sta nascosto sottochiave al centro di un sistema di corpi). E la sua irriverenza è addirittura meticolosa. - Len, Len, quante principesse sul pisello ebree servono per avvitare una lampadina? - Principesse sul pisello? - La risposta giusta è due, ho sentito dire. Una per chiamare il paparino e una per comprare una Diet Coke! - dice contorcendosi sul posto dalle risate. (Immorale. C'è dell'immoralità da queste parti, e va bene cosí. cfr. piú avanti. (per quanto devo ammettere che questa storiella l'ho trovata offensiva)). Inoltre,
Mikey e Louis - Perché mai dovrei almeno telefonargli? - Per un consiglio, Tagus. E' piú grande di te. Sa come stanno le cose. Quella sera c'era anche lui. Può aiutarti a inquadrare la situazione. - E' un rompicoglioni quando si tratta di faccende come quella tra me e Carlina, questa è la verità. Fa il paternalista quando vede che mi serve un consiglio. - Ma lui ha visto quanto eri carino con lei e che lei si comportava come se la storia dovesse durare. - Non credere che volessi farla durare per sempre. - Len è uno che la sa lunga, Mike.
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- E' che se devo smettere di andare a letto con qualcuno voglio che sia una mia decisione, tutto qui. O almeno voglio prima parlarne. - Lui forse potrà capirci qualcosa. Hai detto che l'ha conosciuta. Ti dirà di non prendertela. - Ho proprio voglia di picchiare qualcuno. - Tagus. - Comunque il telefono è occupato. - Intanto fatti una birra. Almeno vuol dire che stanno a casa. - Forse dovrei provare a telefonare a Carlina. - Non lo farei. - Te lo dico fin d'ora: farà il rompicoglioni.
Len
Ho detto alla ragazza alla cannella che non sarò mai perdonato per questo. Mai. Che nel momento in cui entri in una certa storia e in una certa situazione, sei vincolato agli altri, fai parte di una cosa piú grande. Che l'intera costellazione diventa in un certo senso liquida, e ogni sussulto la fa increspare. Mi ha chiesto chi è stato il primo a formulare la frase mai dire mai. Le ho risposto che deve essere stato uno che era proprio solo. Lei è seta in un letto di satin comprato per corrispondenza. Completa e senza cuciture, un uovo di muscoli sessuali. I miei movimenti sopra di lei sono sconnessi, frenetici, il mio interstizio solitario è una droga universale che mi infonde coraggio e che odoro
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con la spina dorsale. E mentre mi inoltro dentro di lei, invoco un dio di cui non ho mai sentito cosí acutamente l'assenza. Porta medagliette cattoliche che fanno un tintinnio tutto speciale. Mi sono scusato per aver invocato il nome di Dio in un momento del genere. Mi tocca i fianchi. Non ci sono atei nelle trincee. Ride sul mio petto; sento che sta strizzando gli occhi. Lei è il mio peccato.
Labov Ho sistemato la poltrona della signora Tagus in modo che possa usare il telefono a muro della mia cucina per parlare con Lenny, suo figlio, senza dover stare in piedi - visto che nelle sue condizioni, in un momento come questo, con problemi di famiglia e di stomaco, stare in piedi non è consigliabile. E' al telefono con Lenny. C'è molto coraggio qui dentro mentre la signora Tagus ascolta senza piangere le cose che Lenny le dice al telefono. Il mio cuore sta cedendo. Voglio bene alla signora Tagus come un amico vuole bene a un'amica. Lei è la mia ultima sincera e vecchia amica in questo mondo se si esclude il vecchio Schoenweiss il dentista che però è diventato talmente sordo che non si può piú parlare con lui nemmeno del tempo. Mentre bevo il tè e guardo la signora Tagus nel suo bel cappotto ben confezionato e nel suo vecchio ed elegante abito di lana con un filo di sottoveste che spunta sulle pesanti calze scure, le morbide scarpe bianche con le spesse suole di gomma, per via dei piedi piatti, i suoi spessi occhiali per via della vista e i capelli ancora quasi tutti neri sotto il cappello di pelliccia che mi si spezza il cuore
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se ricordo il compianto Arnold Tagus che lo metteva quando andavamo insieme a vedere le partite di football dei Bears, nel gelo degli autunni passati, io lo so, so dentro di me che amo la signora Tagus, che ho chiamato Greta guardandola negli occhi mentre la accompagnavo alla poltrona che ho sistemato sotto il telefono a muro costringendola quasi con la forza, lo faccio per amicizia le ho detto, a fare per il bene del suo stomaco la telefonata che avrebbe potuto chiarire almeno in parte l'intero equivoco. Sono un ringhioso animale rinsecchito e ingiallito che vuole bene a un altro animale. Vicino al mio telefono c'è un grande lembo di carta da parati a fiori che si è scollato dal muro della cucina fin dai tempi di Jimmy Carter (tento sempre di parlarne al padrone di casa), e ora è ricurvo sul cappello e sulla testa della signora Tagus come un'onda d'acqua azzurra piena di fiori. Non mi piace il modo in cui sembra voglia avvolgere Greta Tagus. Comunque sia, sono in collera con il suo Lenny? Non ne sarei capace, anche se riuscissi a capire il problema che fa piegare la signora Tagus sul suo stomaco sotto il mio telefono. Lenny Tagus è un bravo ragazzo. Questo è quello che so. Conosco il Lenny Tagus che si è laureato, che ha persino vinto un dottorato, e intanto sosteneva economicamente Arnold e Greta Tagus dopo che Arnold Tagus fu costretto a cedere l'ufficio a un'azienda di stato riducendosi a lavorare a provvigione, cosa che, a detta di tutti, lo uccise. Il Lenny che avrebbe aiutato anche Mikey a finire il college se Mike non avesse ricevuto la borsa di studio grazie al football nell'Università
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dell'Illinois, ma poi fu costretto a ritirarsi quando si scoprí che non aveva ancora imparato a leggere come si deve, e andò invece a lavorare per il dipartimento di softball del Chicago Park District, dove ha un impiego interessante e sicuro, anche se tutti sanno quanto siano lunghi gli inverni del softball, dal punto di vista commerciale. Il Lenny Tagus che telefona a sua madre, la signora Tagus, due volte alla settimana, puntuale come il mio orologio, «per parlare un po'» è la scusa, e invece è per farle sentire l'amore che prova per lei e per farle sentire che non si dimentica che lei è sola nell'appartamento vecchio e freddo di Arnold. Per non parlare di quando la signora Tagus, spesso in mia compagnia, viene invitata nella casa di Lenny Tagus e famiglia per una delle cene preparate da Bonnie Tagus! Come minimo una volta al mese. John Tagus e Saul Tagus e il piccolo Becky Tagus in quei pigiami che inglobano anche i piedi, che sbadigliano sul loro latte nelle tazze di plastica con le figurine sui lati. Lenny che accarezza quei sottili capelli infantili e legge in una luce soffusa brani di Gibran o Novalis. Avete presente il calore? Ecco: c'è calore nella casa dei signori Tagus. - Cosí dovrei incontrare questa persona? - sta chiedendo la signora Tagus sotto l'onda della carta da parati mentre parla al mio telefono. - Noi e Mike e Bonnie e questa persona dovremmo sederci e parlare come vecchi amici? - Fa presente a Lenny la possibilità che la sua mente sia temporaneamente scossa, forse per lo stress e la tensione della mezza età. Accenna a queste ipotesi in tono rispettoso in modo che capisca che lei riesce a sentire Becky, e piú lontano
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forse anche Bonnie che piangono in sottofondo. Gli manifesta il suo incredulo stupore, piú un mal di stomaco del tutto nuovo e molto forte, quando Lenny le rivela che una certa ragazza, che non era Bonnie, si trovava lí, ha detto, proprio adesso, nella camera da letto sua e di Bonnie, sotto un lenzuolo, con Lenny; e che Bonnie, l'ultima volta che Lenny l'ha vista, stava piangendo nel ripostiglio dei detersivi della camera di servizio. Il Lenny Tagus con i capelli a spazzola, i bermuda e i calzettoni neri che tagliava il prato del palazzo quando il vero giardiniere era messo fuori gioco dal gin, per consentire alla famiglia Tagus una piccola riduzione dell'affitto. Che mi ricordo si rifiutò di lasciare che Mike (Mike ha quattro anni di meno ma a dieci era già piú alto di Lenny, piú alto di tutti - forse ha cinque anni di meno, insomma quattro o cinque) andasse a fare a pugni al posto suo con dei ragazzacci che avevano rotto il corno francese di Lenny e lo avevano preso a calci nella schiena mentre era per terra nel cortile della scuola e gli avevano lasciato dei lividi gialli che se chiudo gli occhi li vedo ancora sulla schiena del giovane Lenny Tagus, che non volle dire a Mikey chi doveva prendere a pugni. Il Lenny che fece per mesi la spesa per conto di mia moglie la signora Labov quando Dio solo sa se ne aveva di lavoro da fare, oltre alla quantità di cose da preparare a scuola per la laurea e il dottorato, quando la flebite della signora Labov si aggravò e io dovevo stare in negozio a cucire e l'ascensore del palazzo era guasto e il padrone di casa, che già durante gli anni di Kennedy e Johnson
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provava a mandarci via, ci mise un tempo vergognoso per farlo riparare e Sandra dava a Len la lista della spesa. La signora Tagus sta dicendo a Lenny di non muoversi da lí. Che lei, come madre, ha delle cose da dirgli. Nel tono della sua voce c'è la forza d'animo della persona che ogni giorno si trascina la gastrite. Il freddo della cucina mi provoca dolore alle mani e le infilo sotto le braccia, dentro il cappotto a righe che, come il vecchio cappotto di Arnold Tagus, ho cucito personalmente.
Lenny Mentre parlavo e ascoltavo mia madre, immaginandola con la mano sullo stomaco o sugli occhi, i due luoghi fisici sui quali polarizza i problemi che si accolla, proteggendoli come preziosi trofei, il signor Labov sicuramente accanto alla sua teiera nera, i vecchi pantaloni sformati che ricascano sulle caviglie e cosí lenti da scoprire la regione settentrionale del sedere (dio che tenerezza mi fanno le persone con i pantaloni cosí flosci da lasciare scoperto l'inizio del sedere), me lo immagino che bofonchia e, dietro la nube di fumo che si alza dal tè, lancia occhiate a mia madre, al telefono, mia madre che di sicuro si è appoggiata alla lurida parete scrostata della preistorica cucina di Labov; e mentre ripasso la lettera, che sicuramente giace da qualche parte sulla persona di mia madre, quella lettera che è un fatale esercizio di disinformazione che non sono neanche riuscito a finire prima di spedirla, in preda a un desiderio furioso che la cosa comunque si sapesse, che venisse fuori, che l'attesa finisse, e che lo sparo assordante che scatena la
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tragedia... - Mi sono ritrovato a fremere, nel bel mezzo della conversazione una conversazione che come al solito consisteva soprattutto di pause, la speciale comunicazione via cavo del suono della distanza, elettrico e solitario - a fremere per l'impulso di... spiegare. Spiegare. E mentre pregavo mia madre di venire a casa mia, per aiutare me e la ragazza appetibile a tirare fuori Bonnie da un buio di scope, stracci e varichina, per discutere di tutta la faccenda, noi cinque, insieme - sentivo salirmi in gola come un conato la tentazione incontrollabile di spiegare, giustificare, congetturare ed estinguere dentro di me e per me la verità, la piatta scialba e banale verità che si faceva tangibile per me tramite nient'altro che una timida frasetta vergata sbrigativamente a matita sopra l'urinatoio piú a sud del bagno degli uomini, sul piano del mio ufficio all'università, la semplice frase basta signor Brava Persona in mezzo allo squallido groviglio di genitali che circondavano quella riga all'altezza degli occhi... Invece, in comunicazione elettromagnetica con il sangue del mio sangue, tra le voci di Becky e Bonnie e il parlottio e le risatine di Carlina che volge verso di me la schiena nuda color caffè tutta piegata su un narghilè, nascosto da qualche parte nel lato della donna del letto dei Tagus; al telefono, invece, ho sentito che spargevo fuori da me un torrente fangoso di frasi sbagliate, emissioni di un fiato burocratico, calcoli derivati dagli assiomi di
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un eterno bambino su ciò che sua madre avrebbe voluto sentire, ragionamenti vorticosamente irradiati dalla proposizione di fondo che Bonnie e Io Non Siamo Piú Fatti L'Uno Per L'Altra, Mamma, che Ci Siamo Allontanati, e Tranne I Bambini Non Abbiamo Niente Che Ci Tiene Insieme, e Ti Sembra Bello Questo Per I Bambini? Tutte cose che il signor Brava Persona sa bene che sono ingannevoli, vuote, e moralmente colpevoli. Tuttavia c'è stato un episodio, troppo nitido per essere stato un sogno, in cui una mattina prestissimo, non piú tardi dell'anno scorso, io e Bo ci siamo entrambi mezzi svegliati. Sincronicamente. In questo letto. Mezzi svegli, seduti, a fissare le nostre sagome sfuocate nel bagliore verde della sveglia digitale; ci siamo guardati reciprocamente, dapprima tentando di riconoscerci, e poi in preda a uno shock sincronizzato: terrorizzati per aver visto l'altro, all'unisono abbiamo gridato «^Cooosa?» e siamo caduti sui cuscini ripiombando nel sonno. A colazione abbiamo confrontato le nostre considerazioni e tutti e due siamo usciti molto turbati. Questo mamma lo capisce, questa specie di rivelazione unificata della separazione: sono le inquietudini del matrimonio che si contrappongono alle inquietudini della persona, correnti nel flusso e riflusso dei sensi di colpa che accompagnano i rapporti sentimentali lungo tutto l'arco della vita. Lei dice, - Ogni matrimonio ha i suoi alti e bassi, altrimenti non è un matrimonio. Vuoi che ti parli degli anni che abbiamo passato insieme io e il tuo povero papà? Sí, mamma.
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Ma, in fondo, anche no. Potrei onestamente replicare descrivendo quella specie di paralisi interiore che ugualmente accompagna il prolungato intersecarsi dei problemi pratici di due persone che vivono fianco a fianco e di come tutto ciò tolga il respiro a un uomo. Del modo in cui tutte le sante sere la conversazione di Bonnie non abbia altro argomento che i problemi. Il costo del rivestimento del divano a due posti del soggiorno. La qualità del taglio della carne x al mercato y. Le persistenti e misteriose eruzioni di psoriasi sul pisello di Josh che lo costringono a grattarsi in un modo che certo non può continuare cosí. Sull'altro fronte: questa partner che nel bene e nel male è ancora una bambina, sia quando mette il broncio, sottomessa, silenziosa, e urla Sì (Sì!(Dio!)); sia quando accovacciata nel suo divano offre a un insegnante con la cravatta allentata ridotto in stato catatonico da una giornata trascorsa in mezzo alla burocrazia parasovietica del dipartimento di germanistica di questa università, quando mi offre un fiume rinfrescante di chiacchiere colmo di intuizioni irrilevanti e impagabili del tipo: «Oggi non sopporto i miei capelli; non li sopporto» (come si fa a non sopportare i propri capelli?); oppure «Ieri sera alla Tv ho notato che il naso di Karl Malden assomiglia allo scroto di un uomo, non ti pare?» (Sí); o ancora «Vaffanculo, ma come è possibile che mi venga il ciclo nel mio unico paio di jeans bianchi proprio mentre mi controllano all'uscita da Jewel?»; o anche «Mike ti picchierà quando verrà a saperlo» (magari fosse cosí
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semplice); oppure «Non amerò mai qualcuno per sempre»; «Tu vuoi che mi senta in colpa per tua moglie per il fatto che non la ami piú» (fosse soltanto questo). E va bene, la signora Tagus è stanca di sentire parlare di navigazione, esigenze, insopportabile tran tran, di questa rappresentazione delle angosce della mezza età. Da una parte: un misto di latte e cannella, che non brucerà eternamente per nessuno; dall'altra: lealtà dimostrata fino allo sfinimento, pratico realismo, compassione, slancio, una donna che avrà sempre il colore e l'odore della Noxzema. Confronti confronti confronti: le ragioni imperniate sugli altri sono facili da manipolare. Tutte le cose vuote sono leggere. Il fatto è che sono proprio stanco di stare bene. Di essere buono. Forse sono solo stanco di non capire dove si estinguono in me le attese millenarie di una costellazione, dov'è che la mia volontà appende il suo cappello di pelliccia. Dovrebbe essere l'angolino di una persona che sa quello che vuole. Vorrei essere determinato. Lo voglio. Non è affatto piú complicato che basta sig. b.p'. Cioè basta sig. l.s'. Quindi basta con le stronzate, visto che non riesco a spedire piú della metà di me stesso. Se soltanto Bonnie la smettesse di graffiare la porta del ripostiglio.
Labov - Sei un bravo ragazzo Lenny, - dice sinceramente la signora Tagus
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al mio telefono. - Sei un bravo ragazzo, e noi ti vogliamo bene, io e Bonnie e Mikey. E anche il signor Labov, - guarda verso di me e la forza che ha aleggiato cosí a lungo sulla signora Tagus finisce, e la signora Tagus si mette a piangere, piange come si può immaginare piangano nazioni intere, e io distolgo lo sguardo, per rispetto. Infilo le mani dolenti per l'artrite sotto le braccia all'interno del cappotto e guardo, oltre la scala antincendio, oltre il cortile del palazzo, la finestra di fronte alla mia, che ha una serranda chiusa che negli ultimi tempi non è mai stata alzata. La serranda è abbassata dai tempi del Vietnam e non so chi vive in quell'appartamento. Mi accorgo che nessuno parla piú e che la signora Tagus dietro di me ha riagganciato il telefono al muro vicino al lembo cadente della carta da parati. Piange come una nazione intera, stringendo forte gli occhi per un dolore allo stomaco che non voglio neanche immaginare. Vado dalla signora Tagus.
Mikey e Louis - Mikey, ho detto soltanto: dove, ho detto solo questo. - ... - Se qualcuno mi rincorre e devo scappare di corsa da qualche parte, vorrei almeno sapere dove sto andando. Ecco tutto. - ... - Se non vuoi dirmi dove stai andando, dimmi almeno come mai qui nel cruscotto la spia dei freni resta sempre accesa. - La spia dei freni?
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- Guarda qui. Mi pare proprio che non si sia spenta mai. Hai un problema ai freni, posso darti qualche indirizzo dove farli aggiustare. - E' un problema elettrico del quadro. Fa contatto. Non si spegne mai. Da quando l'ho comprata. Ormai è come una specie di fiamma eterna che veglia su di me. - Non si spegne mai? - E non sono neanche i freni. - A me farebbe venire un po' la pelle d'oca. - Non so. A me piace. Credo di considerarla in un certo senso rassicurante.
Len Tuttavia anche il novello solitario può accorgersi subito che una vita vissuta, temporaneamente o no, come una semplice rinuncia di ogni valore diventa nel migliore dei casi angusta e nel peggiore dei casi vuota: una vita ad aspettare ciò che non sarà mai. Seduti ad accettare passivamente (senza giudicare) l'accadere e il finire delle cose. Aspetterò l'arrivo di quelli di cui ho fatto saltare le orbite. Aspetterò che la cosa diventi di dominio pubblico - la reazione collettiva, le consultazioni, le recriminazioni, le proteste di lealtà, il tradimento, le conseguenze. E poi finirà anche questo. Il dolore porterà via i suoi feriti. La mia costellazione sarà fuori della mia percezione. Ma loro aspetteranno, perché io aspetterò. Aspetteremo il giorno in
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cui le croci e delizie di Carlina Rentaria-Cruz diventeranno per Leonard Shlomith una parte del giorno come un'altra. E aspetteremo l'inevitabile giorno in cui risuoneranno dei sibili silenziosi e l'unica mia sirena mi lascerà per un uomo del colore di un bel sigaro. E non si dica, quel giorno, che avrò aspettato qualcosa che valeva la pena aspettare.
Labov - Toglietevi dai piedi e lasciate in pace la signora! - urlo a una banda di teppisti vestiti in pelle che occupano tutto lo spazio sotto la pensilina di plastica davanti al binario della soprelevata e che rivolgono fischi e commenti alle lacrime ghiacciate dal vento sulle lenti spesse della signora Tagus. Dai piedi freddi sulla piattaforma (piedi: anch'essi artritici) percepisco che il treno sta arrivando. Dico alla signora Tagus di telefonarmi quando vuole un taxi per tornare. La aspetterò a casa. Un vagabondo accanto a una pattumiera incendiata canta l'inno nazionale al di là dei due binari, ma le note arrivano fino a noi trasportate sulla piattaforma dalle forti folate del vento invernale. Tutta la neve è diventata rigido ghiaccio. Consegno alla signora Tagus il thermos con il tè per il viaggio, che dura tre quarti d'ora perché, ringraziando il cielo, non deve cambiare. Raccomando alla signora Tagus di dire ai suoi ragazzi di venirmi a trovare. Berremo qualcosa di caldo, e discuteremo di tutta la
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faccenda. Ecco che il treno arriva. La signora Tagus si avvia a tentoni. Non dice mai niente quando piange, Greta. Facciamo come se niente fosse, dignitosamente. Ha varcato lo sportello del treno. Prende posto da sola, ma nella direzione opposta a quella di marcia, cosa che temo non giovi allo stomaco. Greta si sfila i guanti e solleva le mani ingiallite, che io ricordo quando erano bianche, le solleva per sfilarsi gli occhiali ghiacciati. Senza occhiali la signora Tagus è piú vecchia. Gli sportelli si richiudono prima che io sia riuscito a trascinare il mio corpo irrigidito verso il finestrino per dire alla signora Tagus di sedersi nella direzione di marcia. C'è tanto rumore, e io non sopporto il rumore. Tengo le mani, infilate nei guanti che mi sono comprato, sulle orecchie e vedo la signora Tagus che si allontana sui binari verso nord. Nel nostro palazzo nella mia cucina guardo la mia cucina e vedo il treno che la porta via.
E' tutto verde Lei dice non mi importa se tu mi credi o no, è la semplice verità, tu continua pure a credere quello che ti pare. Quindi è sicuro che sta mentendo. Quando dice la verità impazzisce pur di convincermi a crederle. Perciò sono sicuro che sta mentendo. Lei si accende una sigaretta e guarda fuori, lontano da me, fa la maliziosa con la sigaretta bene in vista e lo sguardo verso la finestra ancora bagnata, e io non so proprio cosa dire. Dico Mayfly io davvero non so cosa dire o cosa fare e se posso crederti più. Ma queste sono le cose che so. So che io invecchio e tu
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no. E so che ti do tutto quello che ho da darti, con le mani che ho e con il cuore che ho. Tutto quello che ho dentro, io te l'ho dato. Tenendolo insieme e lavorando duro ogni giorno. Ti ho fatto diventare la ragione di ogni cosa che faccio. Ho provato anche a costruire una casa da offrirti, per farti restare con me, perché fosse bello restare con me. Mi accendo anch'io una sigaretta e butto il fiammifero nel lavabo dove ci sono gli altri fiammiferi e i piatti e la spugna e tutte queste cose qua. Dico Mayfly io il mio cuore l'avevo gettato per strada e sono andato a recuperarlo per te ma ora ho quarantotto anni. E' ora che la smetta di lasciarmi trasportare dalle cose e basta. Devo usare quel po' di tempo che mi rimane per provare a far andare le cose per il verso giusto. Devo capire quello che voglio. Dentro di me ci sono delle esigenze che tu non riesci nemmeno più a vedere, perché ormai le tue esigenze sono troppe. Lei non dice niente e io guardo lei che guarda la finestra e sento che lei sa che io lo so, e lei cambia posizione sul divano. Si siede sulle sue gambe. Indossa dei pantaloncini. Dico davvero non ha importanza cosa ho visto o cosa credo di aver visto. Non ha più nessuna importanza. So soltanto che io invecchio e tu no. Ma ora sento che tutto ciò che mi appartiene fa parte di te e sento che non ricevo più niente da te. I suoi capelli sono tirati su sotto un berretto con delle forcine e con la mano si tiene il mento, è presto, dal mio divano guarda
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incantata fuori la finestra ancora bagnata. E' tutto verde dice. Guarda come tutto è verde Mitch. Come fai ad avere voglia di dire tutte queste cose quando qui fuori è tutto cosí verde. La finestra sul lavabo del mio cucinino è lucida per via della pioggia pesante della notte scorsa e ora è mattina, c'è il sole, è ancora cosí presto, e ci sono tante cose verdi lí fuori. Gli alberi sono verdi e il prato e pettinato all'indietro per i violenti scrosci di pioggia. Ma non è tutto verde. Le altre roulotte non sono verdi e il mio tavolino da gioco in mezzo alle pozzanghere e le lattine di birra e le cicche che galleggiano nei posacenere non sono verdi, o il mio camper, o il mio carrello, o tutta la ghiaia, o quella ruota giocattolo che sta in piedi sotto una corda di bucato senza bucato vicino alla roulotte a fianco, dove c'è quel tipo con i figli. E' tutto verde sta dicendo. Sta sussurrando e quel suono non lo riconosco più. Getto la mia sigaretta e a fatica cerco di distrarmi da questa mattina con il sapore di qualche verità nella bocca. Mi giro a fatica verso di lei nella luce del divano. Sta guardando fuori, lí da dove è seduta, e io guardo lei, e c'è qualcosa in me che non riesco a trattenere, in quello sguardo. Mayfly ha un corpo. E lei è il mio mattino. Dico il suo nome.
Piccoli animali senza espressione E' il 1976. Il cielo è basso e pieno di nuvole. Le nuvole grigie
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sono gonfie, increspate e luminose. Il cielo sembra un cervello. Sotto le nuvole c'è un campo, e tira vento. Un'autostrada sbiadita corre vicino al campo. Passano un sacco di automobili. Una accosta. Una donna giovane con un viso appassito fa scendere dall'auto due bambini. L'uomo al volante guarda dritto davanti a sé. I bambini non fiatano. Hanno la pelle bianchissima. La donna ha in mano un sacchetto con dentro qualcosa di molto pesante. Il suo viso appassito pende sul sacchetto. La donna porta il sacchetto e i bambini con la pelle bianchissima verso uno steccato di legno, vicino al campo, vicino all'autostrada. Appoggia le mani dei bambini, che sono piccole, allo steccato di legno. La donna dice ai bambini di tenere le mani sullo steccato finché non torna l'automobile. Sale in auto e l'auto parte. Nel campo vicino al recinto c'è una mucca. I bambini tengono le mani sul recinto. Il vento soffia. Passano un sacco di auto. I bambini restano lí fermi tutto il giorno.
E' il 1970. In un cinema una donna dai capelli rosso fuoco è seduta a parecchie file dallo schermo. Una bambina con un bel vestitino è seduta accanto a lei. E' appena cominciato un cartone animato. Gli occhi della bambina si perdono nel cartone animato. Dietro la donna è buio. Un uomo si siede dietro la donna. Si sporge in avanti. Le sue mani si perdono nei capelli della donna. Gioca con i suoi capelli nel buio. La luce riflessa del cartone animato fa tremolare le facce del pubblico: gli occhi della donna brillano per la paura. E' completamente immobile. L'uomo gioca con i suoi capelli rosso fuoco.
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La bambina non si gira mai verso la donna. I cartoni animati, le anteprime dei film e il film durano quasi tre ore.
Alex Trebek si aggira per lo studio di Rischio! con una spilla sul petto dove c'è scritto «Pat Sayak assomiglia a un tasso». Lui e Sayak giocano a squash ogni giovedì.
E' il 1986. Il cielo notturno della California è illuminato e silenzioso come un palazzo abbandonato. Dall'appartamento caldo di Faye sulle strade all'orizzonte si vede una scia lentissima di microscopici lustrini bianchi. Faye Goddard e Julie Smith sono sul letto di Faye. A turno, si mettono una sopra l'altra. Fanno sesso. I gemiti di Faye echeggiano come monete contro le grandi vetrate del suo attico. Poi Faye e Julie si rinfrescano con degli asciugamani bagnati. Stanno in piedi nude davanti alle vetrate a guardare Los Angeles. Frammenti di Los Angeles si accendono e si spengono, come se le luci si offuscassero a vicenda. Julie e Faye tornano a letto, come amanti. Si scambiano complimenti sui loro corpi. Si lamentano di quanto è breve la notte. Continuano ad analizzare, con una sorta di entusiasmo infelice, le piccole omissioni che, dice Julie, necessariamente punteggiano la strada che conduce a un rapporto vero. Faye dice che Julie le piaceva già molto tempo prima di sapere che anche lei piaceva a Julie. Consultano insieme sul dizionario Oxford la definizione di «piacersi».
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Si abbracciano. Julie è bianchissima, i suoi capelli sono corti e spinosi. Attraverso i vetri, il buio della stanza è scheggiato da frammenti di Los Angeles di notte. Il buio accerchia ognuno dei frammenti e combacia con essi come un guanto da giardiniere. E' romanticissimo.
Il 12 marzo 1988 piove. Dalla finestra dell'ufficio di sua madre, Faye Goddard vede la strada diventare prima scura e poi lustra di pioggia. Dee Goddard è seduta sulla sua scrivania, è scalza, e anche lei guarda fuori della finestra. La regista di Rischio! è lí con l'addetto stampa dello show. La capo macchinista e la suggeritrice riordinano degli appunti. Alex Trebek è seduto da solo accanto alla porta in una di quelle sedie da regista, beve una bibita in lattina. La stanza si riflette nella finestra buia. - Se ci dici che cosa le hai detto, forse riusciamo a capire se viene, - dice Dee. - Possiamo fare una cosa tipo «il meglio in venti minuti», Faye, dice la regista guardando l'orologio che tiene nella parte interna del polso.- Poi ci vorrà almeno un'ora per organizzare e registrare. Oppure tagliamo, il che significa rimediare col satellite e un po' di televendite. - Per non parlare di un ragazzo che ormai è mezzo catatonico per il terrore ed è in preda a un attacco di nervi, - dice a bassa voce Muffy demott, addetto stampa. - L'ultima volta che l'ho visto, era in posizione fetale sul pavimento fuori della sala trucco.
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Faye chiude gli occhi. - Ho detto a mio marito di tenerlo d'occhio, - dice la regista. - Grazie mille, Janet, - dice Dee Goddard alla regista. Abbassa lo sguardo sulla sua cartellina. - Sono già arrivati tutti i concorrenti delle altre quattro puntate? - Tutti quelli iscritti. Molti più di quanti ne abbiamo mai avuti. Poi c'è una pensionata dell'esercito, piuttosto timida, che non è mai stata inserita nemmeno in una sfida di prova fino alla fine di aprile. Dice che non ce la fa più ad aspettare di sfidare Julie. - Ma non sfiderà Julie, - dice Muffy demott. Dee sbircia la sua cartellina.- Insomma, in tutto quanti sono? - Nove, - sussurra Faye. Poi si tocca i capelli sulle tempie. - Ne abbiamo nove, - dice la regista, - sono sufficienti per tutte e quattro le puntate con una rotazione di due per puntata -. Nella stanza, il suono della pioggia che batte sul tetto di alluminio della Merv Griffin Enterprises, sembra carne che frigge in lontananza. - E sono sicura che sono preparati, - dice Faye. Si guarda il dorso delle mani che tiene in grembo. - Che fa Julie se il ragazzo la elimina? Il tuo nuovo misterioso guru delle nozioni. - Non fare confusione tra quel che sono, da una parte, e quel che mi dicono di fare, - dice la regista. - Non la elimina, - dice la capo macchinista, scuotendo la testa; sta masticando un chewing gum che le stimola un vermetto di muscolo sulla tempia. Alex Trebek, guardando il suo orologio digitale, inizia a schiarirsi la voce come fa ogni volta prima di una puntata; è un
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rituale. Tutti nella stanza si girano a guardarlo. Dee dice: - Alex, che ne dici di far accomodare i nuovi concorrenti alle postazioni, avvertendoli che potremmo, ma non è detto, essere in leggero ritardo? E ringraziali per la loro pazienza. Alex si alza, si aggiusta la cravatta. La sua lattina risuona sul fondo metallico di un cestino. Si schiarisce la voce. - Un buon conduttore e tutto quan-to -. Dee gli sorride cordiale. - Bravo. Alex lascia la porta aperta. Fuori il sole squarcia le nuvole. Le palme gocciolano e il cemento luccica. Le macchine sfrecciano, con i tergicristalli posizionati su «soloognitanto». Janet Goddard, la regista, tiene lo sguardo basso, e finge di essere concentrata su quel che ha in mano. Faye sa che la luce improvvisa del sole la sta facendo sentire poco attraente. Nella finestra Faye vede il profilo di Dee controllare l'orologio con un movimento impercettibile. - Le domande sono pronte? - chiede il profilo. - Bastano per quattro puntate, - dice la capo macchinista; - gli argomenti sono a posto, tutti i monitor sono sintonizzati. Ora Joan sta fissando l'ordine delle domande. - Quello è il mio lavoro, - dice Faye. - Il tuo lavoro, - sibila la regista, - è dire alla mammina qui presente dove è finita la tua amichetta nevrotica. - Alex avrà bisogno tra pochissimo di tutti i testi alla postazione, - dice Dee alla capo macchinista.
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- Ecco il tuo lavoro, oggi -. Janet fissa la schiena di Faye. Faye Goddard mostra il dito medio alla moglie del suo ex patrigno, Janet Goddard, sul vetro della finestra. - Uno di questi per ogni domanda sugli animali, - dice. La regista si alza, dice a Faye che è una puttana con l'aria di una mantide religiosa, poi esce, chiudendosi alle spalle la porta che era rimasta aperta. - Puttana, - dice Faye. Dee con un sorriso lieve dice che le sembra che di puttane ce ne siano un po' troppe. Muffy demott ride e va a sedersi sulla sedia di Alex. Dee scende dalla scrivania. Una scheggia della scrivania si spezza tirata via dai pantacollant. Si accovaccia accanto alla figlia, che è sulla sedia della scrivania, girata verso la finestra, con i piedi nudi appoggiati sul davanzale. Le ginocchia di Dee scricchiolano. - Se non viene, - sussurra Dee,- allora dimmelo. Almeno sistemo la cosa con Merv, piccola. Il fatto è che Faye vede nella finestra l'immagine sfocata e splendente di sua madre. Vede il volto medievale di sua madre, i capelli rossi scrupolosamente pettinati, le rughe tristi che disegnano un triangolo intorno alla bocca e al naso, che intrappolano e accumulano fondotinta e trucco ogni volta che il viso si contrae durante la giornata. Dee ha gli occhi arrossati, cerchiati da occhiaie profonde, borse di sangue nero. Dee è bella, a parte le occhiaie. Quest'anno Faye ha notato che comincia a intravedersi un principio di borse nere anche sotto ai suoi occhi, che sono uguali a
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quelli del padre, marrone scuro e leggermente tiroidei. Faye sente l'alito di Dee. Ma non riesce a capire se sua madre ha bevuto. Faye Goddard ha ventisei anni; sua madre cinquanta. Julie Smith venti. Dee stringe il braccio di Faye con la mano sottile che a stare in ufficio si è raffreddata. Faye si gratta il naso. - Non viene, me l'ha detto. Sarà per un'altra volta. La capo macchinista fa un salto quando il telefono squilla. - Ma no, non è vero, - dice Faye. - Bambina mia -. Dee accarezza il braccio che aveva stretto. - E' chiaro che io non ho sentito niente, - dice Muffy demott. - Va bene, - dice la capo macchinista. - Portatela in sala trucco -. Alza gli occhi verso Dee. - La vuoi in sala trucco? - Brava, - dice Dee a Faye indicando la porta chiusa. - Non penso che il signor Griffin stia bene, - dice la suggeritrice. - Lui e il ragazzo sono degni l'uno dell'altro. Buttiamo dentro anche la pensionata dell'esercito. Facciamo una puntata di nevrotici. Dee avvicina il viso di Faye con la sua mano sottile. La bacia con dolcezza. Le labbra combaciano alla perfezione, pensa improvvisamente Faye. Rabbrividisce, nell'aria condizionata.
«La regina di «Rischio» detronizzata dopo un regno durato tre anni.»
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Titolo di «Variety» del 13 marzo 1988
- Non muovetevi di lí, - dice la televisione. - E dove vuoi che vada? - chiede Dee Goddard, seduta sulla sua sedia, nel suo ufficio, di notte, nel 1987. - Siamo qui per dar vita a delle cose belle, - dice la televisione. - Anch'io, - dice Dee. - Anch'io l'ho fatto. Una volta. Dee è seduta nel suo ufficio alla Merv Griffin Enterprises tutte le notti della settimana e ammazza il tempo bevendo un martini annacquato dopo l'altro. Le pareti del suo ufficio sono coperte da una quantità di frasi celebri distorte. Cose tipo: mi è semblato di vedele un matto; per colpa di un canguro non si fa più credito a nessuno. E foto con dedica. Dee e Bob Barker insieme, ai tempi in cui scriveva i testi di Verità o Illazioni. Merv Griffin che le consegna una targa. Dee e Faye tra Wink Martindale e Chuck Barris a un party. Dee preme il telecomando per passare dalla Nbc a Mtv, sulla tv via cavo. Ragazzi truccati, quasi anoressici, suonano chitarre che non sembrano chitarre ma aerei o armi. - Vostro marito vi guarda ancora come vi guardava un tempo? chiede la televisione. - Ma figuriamoci, - dice Dee sarcastica tra un sorso e l'altro. - Beve troppo, - dice Julie Smith a Faye. - Perché soffre, - risponde Faye, guardando la madre. Julie guarda anche lei il monitor del circuito interno dell'ufficio di Faye. - Beve per dimenticare o per ricordarsi che soffre?
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Faye sorride. Julie scuote la testa. - E' una cosa meschina spiarla cosí. - Oggi meriti una pausa, - dice la televisione. - Il latte è salute... Combatte i nemici dell'igiene... Non hai voglia di un cheeseburger lí a casa tua? - Veramente no, - dice Dee, alzandosi in piedi sulla sedia. - Non ne ho nessuna voglia -. Il bicchiere le cade di mano. - Però è stata carina a dire quella cosa su di te, prima -. Julie guarda il profilo di Faye. - A dire che anche lei una volta ha dato vita a una bella cosa. Faye sorride senza smettere di guardare il monitor. - Hai sentito cosa ha fatto Alex oggi? Sayak dice che ormai con Alex è guerra aperta. Alex è entrato in cabina di regia e si è messo a giocare con il tasto degli applausi durante la registrazione della terza puntata della Ruota della Fortuna. Tipo che il pubblico applaudiva ogni volta che un concorrente sbagliava e perdeva soldi. Sajak dice che si vendicherà. - Just do it, - dice la televisione. - Okay, - dice Dee. Poi si addormenta sulla sedia. Faye e Julie sono sedute su piccoli asciugamani sottili, nel 1987, sul bagnasciuga, nude, su una spiaggia per nudisti a sud di Los Angeles. L'alba è appena spuntata. Il sole è alle loro spalle. Il Pacifico all'alba e color lilla. Deboli onde bagnano i piedi delle due donne e poi si ritraggono subito. Il cielo è di un colore assurdo.
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Julie ha detto a Faye che secondo lei gli amanti passano per tre differenti fasi nel corso della loro conoscenza. All'inizio si raccontano aneddoti e le cose che amano. Poi le cose in cui credono. E nella terza fase studiano la relazione tra le cose in cui l'altro crede e quelle che in realtà fa. Julie e Faye si stanno raccontando aneddoti e tutte le cose che amano per il ventesimo mese consecutivo. Julie dice a Faye che lei, Julie, ama più di ogni altra cosa: la poesia contemporanea, le donne crudeli, le parole che hanno un solo significato, le facce in cui l'espressione cambia all'improvviso, una enciclopedia canadese in edizione limitata che nessuno conosce e che si chiama Enciclopedia Laplace: tutti i fatti del mondo, l'odore tenero della cipria che si sente quando le donne anziane aprono il portatrucco, e ovviamente il dizionario Oxford. - Devi ammettere che l'enciclopedia è diventata la tua fonte di guadagno. Julie respira a fondo l'aria che ha l'odore del lievito. - E' stato proprio come ci raccomandavano sempre i professori: l'enciclopedia è diventata la mia amica. - Parli di quand'eri bambina? - Faye accarezza il braccio di Julie. - Gli uomini apparivano e scomparivano, uno dopo l'altro. Mi dispiaceva cosí tanto per mia madre. Questi uomini vuoti, silenziosi, e lei che si aggrappava a ognuno, e se li portava a casa. E non ce n'era uno che riuscisse a sopportare mio fratello. - Vieni qui. - Certe volte la situazione diventava intollerabile. Ecco, mi
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ricordo che mia madre faceva una vita davvero orribile. Ma quando le cose si mettevano male, ci chiudeva in camera per tenerci al di fuori -. Julie sorride pensando a se stessa. - Ricordo che mi dava un righello e una matita. Per giocare. Potevo stare lí con il righello per ore, a giocare. - Anche io adoravo i righelli. - Puoi costruirci interi mondi. Io riuscivo a costruire mondi interi tracciando linee. Una specie di bacchetta magica seghettata. Passavo tutto il giorno cosí. Con mio fratello che guardava. Su questa spiaggia non ci sono i gabbiani all'alba. C'è silenzio assoluto. La marea si sta ritirando. - E poi avevamo una di queste enciclopedie Laplace: tutti i fatti del mondo. Il suo quarto marito le passava a quelli che le vendevano porta a porta. Tenevo i volumi sparsi in ogni stanza dove mia madre poteva rinchiuderci. Cosí erano diventati veri e propri amici. Capivo quando erano più affidabili e quando lo erano meno. Cominciavo a conoscerli profondamen-te -. Julie guarda Faye. - Non mi importa se ti sembra stupido o esagerato. - Non mi sembra affatto stupido. Non è divertente avere un fratellino minorato e una madre con una vita orribile, e sentirsi soli. Per non parlare di quando ti chiudeva a chiave. - La verità è che era lui che chiudevano a chiave. E io dovevo stargli dietro. - Volevo soltanto dire che un fratello autistico non può essere un compagno per nessuno al mondo, e non importa quanto lo ami, - dice
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Faye, mentre con la punta del piede prova a disegnare un angolo nella sabbia umida. - Prendermi cura di lui mi portava via una quantità di tempo incredibile. Però hai ragione, non mi faceva compagnia. Ma io avevo soltanto lui e volevo che stesse con me. Come se fosse il mio lavoro. Avevo soltanto lui ed era parte della mia identità, o una cosa del genere, capisci? Come se mi desse diritto a occupare più spazio. Non avevo neanche otto anni. - Non riesco a credere che non la odi, - dice Faye. - Nessuno degli uomini che stavano con lei riusciva a sopportare di averlo tra i piedi. Quelli che ci provavano, dopo un po' non ce la facevano più. Non faceva altro che guardarti fisso e agitare le braccia. E quando guardavano mia madre negli occhi qualche volta dicevano che avevano l'impressione di vedere lui che li fissa-va -. Julie si scuote via un po' di sabbia dai capelli corti. - E invece lui era intelligente. Era totalmente chiuso in se stesso, ma era intelligente. Riusciva a fissare la stessa cosa per ore senza annoiarsi. E poi scoprii che sapeva leggere. Leggeva molto lentamente e mai ad alta voce. Non so cosa erano le parole, perlui -. Julie si gira verso Faye.- Grazie all'enciclopedia, abbiamo imparato a leggere entrambi. Molto presto. Le illustrazioni ci aiutavano molto. - Non riesco a credere che non la odi. Julie tira un sassolino. - Eppure non la odio, Faye. - Ti ha abbandonato su una strada perché un tizio glielo aveva chiesto. Julie continua a guardare il buco nella sabbia da cui ha preso il
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sassolino. Il buco si scioglie. - Lo amava davvero quell'uomo che stava con lei -. Scuote la testa. - Le ha chiesto di liberarsi di lui. Credo che abbandonò anche me perché badassi a lui. Le sono grata per questo. Se allora mi avesse allontanato da lui, la mia vita non avrebbe avuto più senso. - Piccola mia. - Sarei rimasta io in ospedale tutto quel tempo, non lui. - Ma che dici? Come se lui all'improvviso avesse smesso di essere autistico perché non potevi più prenderti cura di lui. Julie Smith odia più di ogni altra cosa: i biglietti d'auguri, i genitori adottivi che adottano qualcuno senza prima fare un esame di coscienza e valutare la loro capacità di amare, l'odore di zolfo, John Updike, tutti gli insetti con le antenne, e gli animali in genere. - E le donne dolci? - Credo che gli insetti con le antenne siano peggiori. Persino quando sono fermi, le antenne continuano a muoversi. Le antenne non smettono mai di muoversi. E' una cosa che non sopporto. - Ti amo, Julie. - Anch'io ti amo, Faye. - Non avrei mai creduto di poter amare una donna cosí. Julie scuote la testa guardando il Pacifico. - Non farmi diventare triste. Faye osserva un minuscolo insetto senza antenne che pattina su zampette sottili come capelli sulla superficie trasparente di una
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pozza formata dalla marea. Si schiarisce la voce. - Allora, - dice. - Qual è il tipo di linea nel campo da football di cui ce n'è una sola? - Quella di centrocampo. - Qual è l'unico mese dell'anno senza festività nazionali, il cui nome deriva da un imperatore romano che... - Agosto. Il sole è più alto; il sangue si sta ritirando dall'acqua azzurra. Le donne si spostano verso il mare per farsi ancora accarezzare dalle onde. - Certe volte l'oceano mi sembra un enorme cane azzurro, - dice Faye mentre lo guarda. Julie mette un braccio intorno alle spalle nude di Faye. «Le abbiamo voluto bene come a una figlia, - ha dichiarato l'addetto stampa di Rischio!, Muffy demott.- Ci dispiacerà vederla andare via. Nessun concorrente ha mai significato tanto per un quiz quanto la signorina Smith per Rischio!.» Articolo di «Variety», 13 marzo 1988 Onde leggere arrivano, si infrangono, si ritraggono. Dita bianche si allungano sulla spiaggia e si sciolgono sulla sabbia. Faye vede la sabbia scura brillare sotto di loro quando l'acqua viene trascinata via dalla marea che si ritira. La spiaggia si riassesta e sibila mentre diventa più chiara. Faye guarda il profilo di Julie Smith. Julie ha la pelle più bella che Faye abbia mai visto. Non è solo che è cosí delicata da essere
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screpolata, o che qui col sole basso ha il colore del vino rosso; è che ha un tessuto che sembra veramente vivo, una morbidezza elastica, come una guaina matura, un baccello. Vulnerabile e spessa. Tesa, lucida e fissa solo sugli zigomi rotondi; sono le ossa a rendere le guance incavate, gli occhi profondi. Il profilo del suo volto ha la forma di una chiave musicale, sembra slavo. Tutto quel che le appartiene ha una sorta di permeabilità: persino la scura e sottile distanza tra i due denti davanti sembra una specie di fessura, un timido invito. Julie ha usato quei denti e la fessura per eccitare Faye con un'abilità delicata che Faye non aveva creduto possibile. Julie ha alzato gli occhi. - Allora? Faye guarda nel vuoto, poi scuote la testa. - Stavi parlando di poesia -. Julie sorride e accarezza il viso di Faye. Faye accende una sigaretta nel vento. - Il fatto è che non mi è mai piaciuta. Non dice mai niente. Anche quando mi piace, poi capisco che è solo un modo più complicato per dire cose ovvie. Cosí mi pare. Julie sorride. Tra i suoi denti davanti c'è una fessura. - E va bene, - dice. - Ma considera che poche, pochissime di noi hanno un bagaglio culturale sufficiente a comprendere le cose ovvie. Faye ride. Bagna un dito e disegna un numero nell'aria. Ridono. Un'onda improvvisa si rompe fragorosa sul bagnasciuga. Il dito di Faye sa di fumo e di sale.
Pat Sajak, Alex Trebek e Bert Convy stanno seduti in cerchio con i
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pantaloni sportivi e le cravatte allentate, nella sala riunioni della Merv Griffin Entertainments, una mattina, a guardare una cassetta delle finali di baseball dell'anno precedente. Nello schermo gigante della sala un battitore colpisce un lancio basso. - Era bassa, - dice Trebek. Bert Convy, che si sta pulendo le lenti a contatto, guarda il replay strizzando gli occhi. Trebek si aggiusta sulla sedia.- Dimmi il miglior battitore di palle basse di tutti i tempi. - Joe Pepitone, - dice Sayak senza esitare. Trebek lo guarda stupito. - Joe Pepitone? - Willie Stargell è stato un gran battitore di palle basse, - dice Convy. Gli altri due non gli badano. - Reggie Jackson era grande, - conclude Sajak. - Lo è ancora, - dice Trebek, guardandosi distrattamente le unghie. Il conduttore di quiz ha una vita professionale non troppo impegnativa. Tutte e cinque le puntate della settimana si possono registrare in un giorno solo. Di solito una settimana al mese si passa lavorando duro in studio per lo spettacolo. Il resto del tempo è libero. Bert Convy passa il tempo tra fiere delle auto, inaugurazioni di centri commerciali ed episodi di Love Boat, - e ormai è molto più che miliardario. Pat Sayak a squash è un fuoriclasse, si occupa di giardinaggio, e sta imparando la terza lingua con un corso di corrispondenza. Alex, conosciuto nell'ambiente per essere il conduttore con maggior dedizione al lavoro dai tempi di Bill Cullen, ogni giorno viene visto in qualche sala attrezzi della
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Mge che legge o si schiarisce la voce, o si aggiusta i capelli, o si preoccupa. C'è un colpo che va a segno. Sajak tira una lattina contro lo schermo. Trebek e Convy ridono. Sayak si gira verso Bert Convy.- Come va col dente, Bert? Convy si copre la bocca. - E' sempre scolorito, - dice torvo. Trebek lo guarda: - Hai un dente scolorito? Convy tasta un canino scoperto.- Una cosa passeggera. Sta già sparendo -. Strizza gli occhi per guardare Alex Trebek. - Però non dirlo a Merv. Trebek si guarda intorno, per capire se Convy ce l'ha con qualcun altro. - Dici a me? La persona qui presente? Ti sembro uno che fa cose del genere? - Mi sembri un conduttore di quiz. Trebek fa un largo sorriso. - Deve essere per i miei denti perfetti, meravigliosi e intatti. - Bastardo, - brontola Convy. Sajak fa segno di abbassare la voce.
La dinamica del rapporto tra Faye Goddard e Julie Smith, secondo quelli che le frequentano, non è del tutto chiara. Faye ha ventisei anni e negli ultimi tre anni e mezzo ha lavorato nello staff di Rischio! Julie ha venti anni, i genitori adottivi sono a Lajolla, e ha conservato il titolo di campione di Rischio! per oltre settecento puntate riscuotendo un enorme successo.
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Tre anni e mezzo fa, il principe della produzione dei quiz, Merv Griffin, decise di riportare al successo il popolare show Rischio! ormai dimenticato dalla stampa nazionale, di far ritirare Art Flemming e di mettere al suo posto Alex Trebek, bello ma un po' rigido, abbastanza distinto, affidabile, un ex modello che si era fatto le ossa nei quiz presentando Alta Tensione per la Barris/Nbc, un programma che era durato poco. Dee Goddard - che aveva scritto spettacoli ormai datati come Verità o Illazione e Indovina il motivo, e aveva lavorato per la promozione e la distribuzione di Pesca il Jolly e infine prodotto Scommettiamo, - con risultati altalenanti di pubblico ma lodi dalla critica - fu assunta dalla Mge come produttore esecutivo di Rischio! Un periodo di tensione e confusione era poi seguito quando Griffin aveva deciso di nominare Janet Lerner Goddard - quarantotto anni, vincitrice di due premi Clio, ma anche moglie dell'ex marito di Dee - regista del risorto quiz; e infatti Dee si convinse a ritirare le dimissioni soltanto quando l'assistente di Griffin ebbe la geniale idea di fare una telefonata a New York, dove Faye Goddard, dopo aver lasciato l'università di Bryn Mawr nel 1982 con una laurea in biblioteconomia, stava lavorando alla rivista «Puzzle». Il braccio destro di Merv propose di inserire Faye nello staff di Rischio! in qualità di Ricercatrice Argomenti e Domande. Faye lavora per sua madre. Estate 1985. Faye è nello staff di Rischio! da circa quattro mesi quando una ragazza dalla voce roca e dalla bellezza stravagante, entra con un giubbotto di jeans sbiadito, uno zainetto, e un annuncio del «Times» che richiede concorrenti per la Mge. La ragazza dice di
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voler partecipare a Rischio!; le hanno detto che è portata per il sapere nozionistico. Faye le fa un colloquio e ne è lievemente intrigata. La ragazza ottiene un punteggio buono ma certo non eccezionale in un quiz di cultura generale che ha però una rilevante sezione zoologica. Julie Smith riesce a fatica a entrare in una sfida di prova. Nella registrazione della sfida di prova, messa a confronto con il bruno Shriner da Encino e il bibliotecario Redding, secco come un ramoscello e con un parrucchino biondo esagerato, Julie vince facilmente, ma ha problemi a parlare con chiarezza al microfono, e mostra qualche difficoltà anche con il gioco più famoso e arguto di Rischio!, quello in cui il conduttore dà la definizione della risposta e il concorrente deve indovinare la domanda giusta. Per la sfida di prova, Faye dà a Julie un punteggio di tre quinti. Di solito vengono richiamati solo quelli che ottengono quattro e cinque quinti. Ma ad Alex Trebek, che passa un bel po' del suo tempo libero a bazzicare le sfide di prova, la ragazza piace, anche dopo che lei rifiuta di andare a bere qualcosa con lui al bar della Mge. Dee Goddard e Muffy demott scelgono Julie tra altri diciotto possibili concorrenti; del resto nessuno, nello staff di un programma che si sforza di riacquisire uno share accettabile, può avere qualcosa in contrario a prendere giovani concorrenti di una bellezza ossessiva. Eccetera. Julie Smith viene inserita nella rotazione dei concorrenti all'inizio del settembre 1985. Le puntate di Rischio! dalla quarantasei alla quarantanove vengono
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registrate il 17 settembre. La signorina Julie Smith di Los Angeles appare per la prima volta nella quarantaseiesima puntata. Nessuno riesce a ricordare chi fosse allora il campione in carica. Palindromi, Astrologia musicale, Diciottesimo secolo, Edoardi famosi, La Bibbia, Storia della moda, Fobie varie, Sport senza palla. Julie guida il gioco in entrambe le manche. Risponde a tutte le domande. Mai successo prima, nemmeno ai tempi di Flemming. Gli altri due concorrenti, fiacchi e intristiti, vengono incoraggiati durante le pause. Julie vince 22.500 dollari, praticamente tutti i soldi in palio, in mezz'ora. Nella prima puntata non vince di più soltanto perché un innervosito Alex Trebek annuncia l'annullamento del gioco finale, in quanto Julie Smith non può avere nessuno stimolo a scommettere una parte della sua vincita contro quella degli avversari, rispettivamente di zero e 400 dollari. Un Trebek con gli occhi di fuori e un largo sorriso fa il gesto di levarsi il cappello davanti a una Julie dallo sguardo assente mentre partono i bongos della sigla e scorrono i titoli di coda. Dieci minuti dopo Faye Goddard riesce a ritrovare Julie Smith, che era sparita, in un angolo nascosto dei camerini dei concorrenti (a chi deve andare di nuovo in onda viene chiesto di cambiarsi d'abito tra una puntata e l'altra, per fare finta che sono «tornati di nuovo domani»). Arriva il momento della quarantasettesima puntata. Un titolo da difendere e tutto il resto. Julie è seduta e si guarda in un gelido specchio da trucco contornato da lampadine accese, il viso appassito e senza espressione. Ha problemi a reagire agli stimoli. Faye deve portarle un vestito stirato, starle a parlare mentre si
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veste e praticamente trascinarla di peso sopra, nello studio. Faye è in cabina di regia, sta cercando di spiegare alla madre i suoi dubbi sulle possibilità che ha la nuova, strana campionessa di vincere un'altra puntata, quando Janet Goddard in silenzio le fa segno di guardare il monitor. Julie si sta mangiando gli avversari facendoli a pezzi. Si scopre che il nome di Lady Bird Johnson è Claudia. Che la città della Florida che produce più avana di tutta Cuba è Tampa. Il dito di Julie tortura il pulsante. Nel gioco delle domande, formula quella giusta prima ancora che Alex abbia terminato la definizione della risposta. La prima manche è conquistata. Janet manda la pubblicità. Julie resta seduta nella sua postazione, fissando il pubblico ammutolito. Faye e Dee guardano Julie appena la luce rossa si accende e Alex Trebek immediatamente mostra il suo stanco sorriso professionale. Ogni volta che si accende la luce rossa della messa in onda a Julie Smith succede qualcosa. Qualcosa soltanto. La ragazza del punteggio di tre quinti e dallo sguardo senza espressione, sparisce. Ogni aspetto concavo di questa persona diventa convesso. La telecamera è sempre su di lei. Con sguardo innamorato. Spesso Julie viene inquadrata mentre Trebek sta ancora leggendo la domanda. Il suo viso, in onda, produce una vivace scossa della frequenza; la sua espressione, serena e luminosa, irradia una sorta di armonia con gli argomenti che appaiono sul tabellone luminoso. Trebek continua ad armeggiare con il nodo della cravatta. Faye sa che lui percepisce qualcosa di insolito, di strano, nell'andamento
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del quiz. Quando Julie dà la definizione latina del comune ravanello il pubblico in studio fa un sospiro di stupore e bisbiglia. - Nessuno sa il nome latino del ravanello, - dice Faye a Dee. - E' una di quelle domande micidiali che metto apposta in ogni gioco. L'umore degli altri due concorrenti peggiora. Qualcuno tra il pubblico comincia a urlare il nome di Julie. Trebek, che non aveva mai visto il pubblico abbandonarlo per qualcun altro, si innervosisce ancora di più. Usa quaranta preziosi secondi per raccontare un aneddoto che ha già raccontato di quando andò a vedere una partita dei Dodgers con Tom Brokaw. Il pubblico rumoreggia, vuole che il gioco proceda. - Marca male, - sussurra Faye. Dee la ignora, si curva verso il monitor. Janet fa segno ad Alex di fare una pausa. Tutto sudato e inquadrato da lontano, Alex promette all'America che tornerà tra poco, impaziente di indagare sulla incredibile signorina Smith e sugli ancora più incredibili sacrifici che deve aver fatto per assorbire tante nozioni in così giovane età. Rischio! fa un break per la pubblicità Triscuit. Faye e Dee guardano il monitor terrorizzate; il pubblico in studio è pietrificato: il viso di Julie Smith si accartoccia come un Kleenex infilato in tasca. Inizia a piangere in silenzio. Le lacrime scendono lungo le chiavi musicali delle sue guance e gocciolano sul microfono, producendo chissà come un debole fruscio. Janet, dalla regia, è stupita. Faye viene mandata a prendere un impacco freddo ma non arriva in tempo sul set. Le luci si riaccendono. L'America guarda
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Julie Smith disfarsi di tutte le domande del tabellone del Doppio Rischio! con il viso e il giubbotto sintetico lustri di lacrime. Trebek, improvvisamente e goffamente gelido, fa finta di non notare nulla, e non le fa (né le farà per centinaia di puntate) nessuna delle domande sulla sua vita privata che aveva promesso di farle. Il gioco va avanti. Faye ha scoperto ancora un'altra Julie rispondere a domande su domande. Il viso di Julie ora è asciutto, irrigidito. Continua a guardare dritto verso le schede che Trebek ha in mano con gli occhi ridotti a due fessure. Nel Rischiotutto finale, con gli avversari di nuovo senza soldi, Julie ignora freddamente Trebek che comincia a chiedere se bisogna annullare di nuovo, e decide di scommettere tutti i suoi 22.500 sul fatto che il primo frammento venuto alla luce dell'Uomo di Pechino era un pezzo di mandibola a forma di parentesi. Vince 45.000 dollari. Alex finge di inginocchiarsi davanti a lei. Il pubblico applaude. Parte la sigla finale. E in questo momento del finale conservato da Faye Goddard, Julie Smith, inquadrata nel luminoso luccichio della sua postazione di metallo, mostra serena e spontanea il dito medio ad Alex Trebek. Una nazione intera impazzisce. I centralini alla Mge e alla Nbc cominciano una stridula sinfonia che dura due giorni interi. Pat Sajak manda tre dozzine di rose rosse a gambo lungo nel camerino di Julie. Lo share dell'ultima parte di Rischio!, puntata numero quarantasette, è di cinquanta - alla pari con il Super Bowl e gli omicidi. Tutto questo accade il 17 settembre 1985.
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- La mia parola preferita, - dice Alex Trebek, - è commozione. E' la mia parola preferita specialmente quando viene usata in combinazione con la mia seconda parola preferita, indur-re -. Si gira verso il medico. - Sto facendo soltanto delle associazioni. Va bene se faccio delle associazioni? L'analista di Alex Trebek non risponde. - Un sogno, - dice Trebek. - Mi capita spesso di sognare che mi fermo davanti alla vetrina di un ristorante, e guardo un cuoco che lancia in aria delle frittelle. Ma poi capisco che non sono frittelle, ma facce. Sto guardando un uomo con un cappello da cuoco che con la spatola lancia in aria delle facce. Lo psichiatra unisce le mani a forma di guglia di chiesa e le osserva con attenzione. - Ma forse sono soltanto stanco, - dice Trebek. - Sono stanco morto. Sono preoccupato per il mio sorriso. Credo che cominci a essere un sorriso stanco. E un sorriso stanco non è attraente; dal punto di vista professionale è preoccupante -. Si schiarisce la voce. - Ed è questa preoccupazione che mi rende ancora più stanco. E' un circolo vizioso del sorriso. - Questa ragazza con la quale lavora... - dice il medico. - E oggi Convy confessa che gli si sta scolorando un dente, - dice Trebek. - Mi dica che la cosa promette bene, perché non me lo dice? - La concorrente di cui parla sempre. - Ha perso, - dice Trebek, strofinandosi il naso. - Ha perso ieri. Non li legge mai i giornali? Ha perso con suo fratello, dopo che
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Janet e l'assistente di Merv lo hanno buttato dentro in segreto, il piccolo bastardo handicappato, con un punteggio truccato di cinque quinti nella sfida di prova e un tabellone pieno di domande sugli animali. Lo psichiatra alza un po' le sopracciglia. Sono nere e ad angolo, come se avessero dei cardini. - Dietro c'è una storia poco chiara, - dice Trebek, muovendo a scatti i larghi polsini chiari per creare sul soffitto riflessi dei suoi gemelli contro la luce che arriva dalla finestra. - Mi è arrivata quasi di quarta mano, ma mi è arrivata. I genitori hanno abbandonato i figli quand'erano piccoli. C'era una ragazza e suo fratello, Lunt. Te lo immagini un campione che si chiama Lunt? Lunt era autistico. Autistico nel senso che più che un bambino era un manichino. Muffy ha detto che Faye ha detto che la ragazza se lo portava in giro come una valigia. E cosí alla fine lui e la ragazza furono abbandonati in un posto sperduto. Dai genitori. Una cosa terribile. Lei venne adottata e il fratello fu affidato a un istituto. Un istituto statale. Questo ragazzo senza speranze è venuto fuori che aveva imparato a memoria l'intera Enciclopedia Laplace: tutti i fatti del mondo. Furono entrambi costretti a mandare a memoria questa enciclopedia, da piccoli. E io che pensavo di aver avuto un'infanzia traumatica -. Trebek scuote la testa. - Ma lui fu rinchiuso, e la sorella fu adottata da della gente di Lajolla che non era, da quello che ho capito, proprio raccomandabile. Cosí lei scappò. Entrò nel programma. E prese tutti a calci in culo. Era
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bella, sportiva e non faceva stronzate. Usò la vincita per pagare i conti da capogiro per curare l'autismo di Lunt. Lo portò in una clinica privata nel deserto che si diceva fosse specializzata in... come dire, nello sradicare le persone da se stesse. E riconsegnarle alla socie-tà -. Trebek si schiarisce la voce. - E devo ammettere che lo hanno sradicato per bene, - dice, - sono riusciti a farlo parlare. Anche se nasconde ancora la testa sotto al braccio quando sente la minima tensione. Inoltre ha un aspetto bizzarro. Ma la cosa incredibile è che arriva e la fa fuori con il suo torrente di nozioni zoologiche -. Trebek gioca con i gemelli. - E lei se ne deve andare. - Nella nostra ultima seduta ha detto che la amava. - E' lesbica, - dice Trebek stancamente. - E' lesbica fino al midollo. Penso che sia una di quelle lesbiche militanti. Conosci il tipo? Quelle incazzate? Guarda gli uomini come se fossero soltanto delle sgradevoli ombre nell'aria. In più sta insieme a quella irresponsabile della nostra capo-ricerche, cosa che se non sapessi che la Commissione Federale per le Comunicazioni non si aspetta niente di buono da questo tipo di relazioni, avresti... - Passiamo alle associazioni libere. - Associazione di immagini? - Come vuole. - Invitai la ragazza a bere un caffè o qualsiasi altra cosa, anni fa, proprio all'inizio, al bar della Mge, e lei mi guardò con il suo sguardo ossessivo, commovente. E poi mi dice che non riuscirebbe mai a mandar giú della caffeina insieme a un uomo che porta un orologio
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digitale. Va al diavolo, dice. E mostra a me il dito medio alla tv nazionale. Si è tagliata i capelli a spazzola. Certe volte sembra un vampiro. Una volta, nella postazione dei concorrenti - la postazione è dove stanno tutti i concorrenti durante la puntata - una delle luci tremolava, sono luci al neon, e lei disse andate al diavolo, voleva cambiare postazione, perché quel tremolio fosforescente la faceva sentire come in un incubo. Effettivamente, ricordo che quella luce sembrava davvero un incubo. Era come se ci fosse un impulso nel neon. Come sangue. Tutti nelle postazioni erano innervositi -. Trebek si liscia i baffi. - Una ragazza strana. C'era qualcosa di strano in lei. Quando sorrideva brillava ogni cosa, come se fosse troppo a fuoco. Questo diventava divertente, in qualche modo. - Sì, credo di amarla, - dice Trebek. - Ha stile quando dà le risposte. Bisogna vederla quando comincia a rispondere... E' tipo una carezza intellettuale, se esiste. Penso a noi due insieme: i mari si aprono, le stelle ci illuminano come luci della ribalta... - E che mi dice di questa ricercatrice con cui sta? - E' una ragazza abbastanza carina. Sicura, socievole. Non brillantissima. Un po' emotiva. Ha un rapporto di amore-odio con sua madre -. Trebek riflette. - La mia opinione è questa: Faye è quel tipo di ragazza che si lascia trascinare sempre dalle emozioni, capisci? Non sa mai bene dove la portano, ma nemmeno le è mai successo di andare a sbattere contro qualcosa. Una surfista della psiche. Però ha uno sguardo spaventato, per essere cosí giovane. E poi ha questi occhi neri, gonfi, da pazza. Perfettamente rotondi e
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neri. E soprattutto ha un seno pazzesco. - Conflitti con la madre? - La madre di Faye è un produttore esecutivo molto ansioso. Passa troppo tempo a ossessionarsi sul perché non è abbastanza ossessionata dal fatto che la nostra regista è la moglie del suo ex marito. - Una regista? - Janet Lerner Goddard. La peggiore regista con cui abbia mai lavorato. Dee la odia. A Janet piace giocare con la mente di Dee. L'unica cosa sicura, è che è una mente spesso attratta dal gin. A Janet piace infilare piccoli intriganti souvenir dell'ex di Dee nella sua cassetta della posta in ufficio. Vecchi conti, fermacravatte. Gioca con la mente di Dee. Dee è cosí ossessionata che non riesce più a fare niente. Riesce a mala pena a lavorare. - Un'immagine che associa a questa persona? - Ha presente quei fucili ultramoderni, che hanno funzioni molto più complicate per mirare che per sparare? Ecco, Dee è cosí. Dio, ho una paura da morire di diventare cosí! Lo psichiatra pensa che per oggi è tutto. Indica la porta a Trebek. - Ah, ecco: un'altra parola che adoro e sgargiante.
In queste prime settimane d'autunno del 1985, un pubblico che cresce giorno dopo giorno scorge soltanto due aree di possibile vulnerabilità nella signorina Julie Smith di Los Angeles. La prima ha a che fare con gli animali: Julie è semplicemente incapace di rispondere a domande che riguardano animali. Nella sua quarta puntata, gli argomenti del Superrischio includono Canzoni con
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protagonisti marsupiali e zoologici, e un eidetico farmacista di Westwood lotta con Julie punto dopo punto per tutto il percorso verso il Rischiotutto prima che lei lo distrugga con una coraggiosa scommessa sulla misura delle scarpe di Eva Braun. Nella sua quinta puntata (che doveva essere, secondo le regole proclamate dal gioco, l'ultima - se sarà dichiarata campionessa per la quinta volta consecutiva, dovrà ritirarsi), Julie si scontra con un postino di Berkeley incredibilmente grasso che afferma di essere un cofondatore della sezione californiana della Mensa. La terza concorrente è una stenografa di Fullerton nevrastenica (ma bellissima, Alex continua ad aggiustarsi la cravatta) che si asciuga di continuo le labbra sulla manica della camicetta. La stenografa accumula rapidamente un punteggio negativo e diventa istericamente ansiosa durante il secondo break pubblicitario perché il postino farabutto, vendicativo e maldicente la convince che alla fine di Rischio! le toccherà pagare in contanti i 900 dollari che ha di debito con il programma altrimenti non la lasceranno andare via dal set. Faye si precipita da lei durante la pausa, ma la donna non accenna a calmarsi. Continua a controllare furiosa tutte le uscite appena Faye si allontana e la luce rossa si accende. Un suono di campana dà il via al Superrischio. Julie, che continua a non guardare verso il pubblico, inizia a prendersi delle piccole pause prima di rispondere ad Alex. Lascia delle possibilità anche agli altri. Ne approfitta solo il postino. Ma Julie è sempre in testa. Faye tiene d'occhio la stenografa, che sta cercando di
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controllarsi soltanto grazie a un enorme sforzo di volontà. Il postino incalza Julie. Julie assume uno sguardo disgustato e scorre il tabellone per diversi minuti, prima di scegliere l'ultimissima definizione, Antica Roma da mille: autore del De Oratore che fu giustiziato da Ottaviano nel 43 a.C'. Il dito di Julie traccia cerchi intorno al pulsante; guarda la stenografa. Gli occhi del postino sono chiusi mentre cerca la domanda giusta per quella risposta. La testa della stenografa scatta verso l'alto all'improvviso. Guarda furiosa Julie, preme il pulsante e dice: Chi è Tullio. Silenzio. Trebek guarda la sua scheda. Scuote la testa. La stenografa va a meno 1900 dollari e sembra che stia per avere un mancamento. Faye ora vede Julie Smith che preme il pulsante e sussurra al microfono che, sebbene Alex si aspettasse senza dubbio la domanda Chi è Cicerone, desidera puntualizzare che Marco Tullio Cicerone, 106-43 a.C', era noto indifferentemente come Cicerone e Tullio. Proprio come il nome meno comune di Augusto è Ottaviano, aggiunge, indicando la scheda. Trebek guarda la scheda. Faye si precipita a controllare. Il verdetto arriva pochi secondi dopo. La stenografa ottiene i 1000 dollari e il suo saldo diventa attivo. Rossa per l'emozione, abbraccia Julie e la telecamera le inquadra. Il postino si tocca il risvolto della giacca. Julie sorride di un sorriso veramente radioso. Alex, come al solito commosso, fa una breve dichiarazione sullo spirito di competizione sano e sportivo del quale è orgoglioso di essere stato testimone oggi. Il Rischiotutto finale vede Julie annientare definitivamente il postino, che è convinto che la letteratura indiana sia cominciata con Kipling. La puntata ottiene
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uno share del sessantacinque per cento. Quasi nessuno fa caso allo scambio di numeri di telefono tra Julie e la stenografa mentre parte la sigla di coda. Faye si prende una strigliata da Muffy demott che le fa notare l'importanza capitale di cercare tutte le domande possibili a una certa risposta. L'immagine di Julie che, premendo il pulsante, interviene a correggere occupa tutto lo spazio della rubrica «Che notizie» del «Newsweek». Quella sera l'assistente di Merv Griffin convoca una riunione di emergenza di tutto lo staff. Sono convocate le menti migliori della Mge. Alex e Faye sono invitati a partecipare. Faye chiama il bar per i caffè, la Coca e il seltz per Merv. Griffin parla all'orecchio del suo braccio destro. Il suo uomo ha un viso abbronzato e un parrucchino nero. L'uomo fa cenno con la testa, poi si alza: - Non possiamo lasciarla andare via. E' troppo grande. E' sensazionale. E' diventata lei lo show. Guardate questi grafici -. Mostra i grafici. - Ma ci sono delle regole, - dice la regista. - Cinque puntate, ritiro per chi non è mai stato sconfitto, ritorno per le finali ad aprile. L'appuntamento dell'anno. La tradizione. Dai tempi di Art Flemming. E' anche una questione di lealtà verso tutti i concorrenti. Questione di etica. Griffin dice qualcos'altro all'orecchio dell'uomo abbronzato. Poi l'uomo si alza di nuovo. - Stronzate, - dice l'uomo abbronzato rivolgendosi alla regista. -
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La ragazza è magica. I grafici non mentono. Quelli della Triscuit hanno offerto il doppio per ogni spot di trenta secondi, fino a quando ci saràlei -. Faye nota che l'uomo sorride con le labbra, ma non con gli occhi. - Tu pensa a inquadrarla, Janet, e per noi il programma si può chiamare pure Julia Smith Show, se porta tutti questi soldi. - Si chiama Julie, - dice Faye. - Sicuro: Julie. Merv parla all'orecchio dell'uomo in piedi. - E' necessario che Merv ricordi a noi tutti gli aumenti di stipendio e gli incentivi che ne verranno? - dice l'uomo abbronzato, mostrando il cinturino dell'orologio. - Qui finisce che diventiamo gli eroi della televisione. Le eroine. La Mge diventerà Camelot. Voi, tutti voi, cavalieri della tavola rotonda -. Si guarda intorno. Allora forza. Mie regine. Amazzoni dello spettacolo. - Non puoi mantenere uno share del sessanta per cento senza accettare compromessi, - dice Dee, che è seduta accanto a Faye, sorseggiando qualcosa che a Faye sembra di un colore troppo simile all'acqua. La regista dice qualcosa all'orecchio di Muffy demott. C'è un momento di silenzio. Griffin si alza in piedi insieme al suo uomo. - Ho visto le registrazioni, e sono impressionato come non lo sono mai stato prima. E' come se fosse una lente, un filtro in grado di incanalare quella grande forza dispersiva che molti nell'industria televisiva hanno tentato per tutta la vita di definire e utilizzare -. E' Merv Griffin che parla. Tutti gli occhi intorno al tavolo sono abbassati. - Qual è quella forza? - chiede Merv con più calma. Lui e
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il suo uomo si siedono di nuovo. Alex va verso la porta per prendere un vassoio dalle mani del cameriere. Griffin sussurra qualcosa all'uomo abbronzato, e l'uomo abbronzato si alza. - Merv suppone che questa forza, signore e signori, sia la capacità dei fatti di trascendere la loro autolimitazione e diventare, in se stessi e di se stessi, significato, sentimento. Questa ragazza non prende soltanto i fatti a calci nel culo. Questa ragazza fa diventare importanti le cose banali. Le rende umane, le fa diventare qualcosa che ha il potere di emozionare, evocare, indurre, catalizzare. Dà al gioco contemporaneamente la trasparenza e il mistero che tutti noi dell'industria televisiva abbiamo cercato per decenni, andando a tentoni. E' il concorrente ideale che unisce testa, cuore, pancia, dito che preme il pulsante. Lei è, o può diventare, l'incarnazione del quiz. Lei e il miracolo. - Vuoi dire che diventerà una specie di culto? - chiede Trebek, aprendo una lattina con le braccia protese in avanti. Merv Griffin guarda Trebek gelido. Gli occhi dell'uomo di Merv luccicano. - Vedete quella finestra? dice. - Ecco dove butteremo le regole. Fuori dalla finestra -. Si tocca il naso. - Secondo voi, il vostro sensibile datore di lavoro può lasciare le regole al loro posto - e vi prego di riflettere sulle diverse implicazioni che ha lo «stare al proprio posto», - dice guardando Janet, - se, voglio dire, segue le regole ciecamente soltanto perché sono regole, mentre l'obiettivo reale, lo scopo, e
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l'idea di queste stesse regole è diffondersi per le strade e dentro i cuori del mondo libero dei consumatori Triscuit? - Assolutamente no, - dice Dee convinta. L'uomo prosegue: - E qui c'è lo scoop. Lei rimane fino a quando non verrà eliminata. Noi non possiamo e non vogliamo darle alcun aiuto in onda. Fuori onda avrà ogni cosa che a Merv sembrerà ragionevole. Siamo pronti a darle una mano, ad avere un tabellone facile quando la strategia lo consente, e lasceremo anche un po' di spazio agli altri concorrenti. Le diciamo che siamo pronti a darle una mano. Demott sarà uno dei nostri premi. Muffy demott si pulisce le labbra con un tovagliolino del bar. - Io sono un premio? - Se la ragazza accetta il nostro aiuto, allora tu, demott, comincerai ad aiutarla a proteggere i suoi guadagni. Le dici che avrà la protezione della Mge. La togli dalla prima fascia di reddito e la porti almeno fino alla quarta. Capito? Accetterà di farsi aiutare, con un premio come questo. - Lei manda tutti i suoi soldi all'ospedale dove sta suo fratello, - dice Faye a bassa voce, avvicinandosi alla madre. - Ospedale? - chiede Merv Griffin. - Che ospedale? Faye risponde a Griffin. - Tutto quello che mi ha detto è che suo fratello sta in un ospedale in Arizona perché ha dei problemi ad avere rapporti con il mondo. - Con il mondo? - chiede Griffin. Poi guarda il suo uomo. L'uomo di Griffin si aggiusta delicatamente il parrucchino, e si rivolge a Muffy. - Approfondisci questo fatto, demott, - dice. -
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Questo fatto del fratello che sta in ospedale. Se è una notizia da diffondere, fa in modo che sia diffusa. Prendi da parte la ragazza. Spiegale tutto. Dille delle regole. Dille che lei resterà lí fino a quando ce la farà -. Poi fa una pausa teatrale. - Dille che Merv potrebbe invitarla a colazione, un giorno o l'altro. Muffy guarda Faye. - Va bene. Merv Griffin guarda l'orologio. In quell'istante scattano tutti in piedi. Le carte svolazzano. - Dee, - dice Merv dalla sua sedia, toccandosi distrattamente un canino. - Tu e tua figlia restate un altro minuto, per favore.
Storia dell'Idaho, Monete nel mondo, Truffaut, Santi patroni, Cocktail famosi, Animali, sport invernali, 1879, La Rivoluzione Francese, Canzoni con protagonisti i fiori, Il Talmud, «Pazzo sarai Tu». Uno dei concorrenti, puntata due-otto-sette, 4 dicembre 1986, è un adolescente occhialuto con macchie di acne e un torace piatto in una maglietta sbiadita col disegno di Mozart; dichiara in onda di aver corretto il calendario solare occidentale che era in totale isomorfismo con l'orologio atomico dell'Ufficio della Misurazione del Tempo degli Stati Uniti con sede a Washington. Fissa continuamente Julie con occhi luccicanti. Qualsiasi cifra riuscirà a vincere, dice, servirà a finanziare il sogno di suo padre. Viene poi fuori che il sogno di suo padre consiste nel costruire delle terme sul retro della casa di famiglia di Orange County, con un elefante in servizio
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permanente che spruzza acqua da ogni parte delle terme. - Oh Dio, come sono stanco, - confessa Alex a Faye che gli passa una bibita e un fazzoletto durante il terzo break pubblicitario. Dietro Alex, Faye scorge Julie alla sua postazione, che guarda verso il pubblico dello studio. La gente fa a gara per attirare la sua attenzione. Le speranze del ragazzo di acquistare elefanti svaniscono nel Rischiotutto. Dichiara con voce stridula che la settimana islamica non specifica un preciso giorno di riposo. - Il venerdì, - sussurra Julie. Alex fa partire la sigla, e chiede al pubblico se ha notato che i californiani non guardano mai (mai, enfatizza) verso oriente.
- Voglio sapere perché il fratello non può avere rapporti con il mondo. Solo questo voglio sapere, - dice Merv Griffin, cercando di alzare le pellicine con una graffetta. Dee fa un debole segno di assenso. - E' un ragazzo autistico, - dice Faye. - Davvero non capisco perché vuoi delle informazioni su una persona handicappata. Merv continua a rivolgersi a Dee. - Cos'ha esattamente. Ci sono diversi stadi di autismo. Qual è la prognosi? Parla? Può commuovere? Assomiglia troppo alla sorella? Eccetera eccetera. - Vogliamo tutte le informazioni possibili sul fratello, - insiste l'uomo di Merv con il viso abbronzato. - Perché? Dee guarda il bicchiere vuoto che tiene in mano.
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- Vorremmo capire questo, - mormora Merv. - Se anche il fratello può essere infallibile nel quiz come è infallibile lei -. Passa a fare il lavoro con la graffetta sulla mano sinistra. - Il fatto che lui abbia, come ci ha detto la nostra Faye, problemi ad avere rapporti con il mondo, insieme a codici genetici incredibili, può aver prodotto in lui, - sorride, - un miracolo più grande? Può riuscire a incarnare il quiz più della sorella? - Riesce a sollevare una pellicina.- Può fare quello che fa lei? - Immaginate soltanto le potenzialità, - dice l'uomo brillante. Stiamo provando a guardare molto lontano in questa cosa. Una specie di sfida finale, capite? Una roba tipo Antigone. Se lei prima o poi verrà eliminata noi ovviamente vogliamo che la batta qualcuno che abbia la stessa capacità di attirare pubblico. Il ricovero costosissimo del fratello pagato dalla sorella generosa è già una grande notizia per i giornali. - Voglio soltanto sapere se anche lui è un miracolo, - dice Merv. - E' autistico, - dice Faye, sbarrando gli occhi da insetto. Capite cosa vuol dire? Stanno provando a insegnargli a parlare secondo un filo logico. A non avere convulsioni quando qualcuno lo guarda. E voi pensate di mandare in onda una persona del genere? L'uomo di Merv è in piedi davanti alla finestra buia dell'ufficio. - Immaginate che la ragazza prolunghi il miracolo oltre se stessa, questo sta cercando di dire Merv. Il miracolo delle risposte a tutto può aver creato una sorta di antica, reale perpetuazione di se stesso. Stiamo parlando di un fatto che prolunga le emozioni, che
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passa incolume attraverso il cambiamento che inevitabilmente accompagna ogni tipo di emozione, Faye. - Stiamo pensando alla perpetuazione, ecco a cosa stiamo pensando, - dice Merv. - Su questo progetto, alla Triscuit hanno già mostrato il pollice alto. L'atteggiamento di Dee continua a peggiorare mentre se ne stanno tutti lí in piedi. - Ricordate, signore, - si sente la voce dell'uomo di Merv dalla finestra. - O fate parte della soluzione o del precipitato -. E scoppia a ridere. Griffin addirittura si dà manate sulla coscia.
Nove mesi dopo Faye e di nuovo nell'ufficio dell'uomo di Griffin. L'uomo porta altri capelli. Dice: - Solo due parole, Faye. Dico Commissione Federale e dico Tutti a casa. Noi non, ripeto non, vogliamo che si senta neanche puzza di scandalo. Non vogliamo nessuno scandalo come la domanda da 64.000 dollari. Ho ragione? Perciò ti dico Commissione Federale e Tutti a casa. - Fai delle ottime ricerche, Faye. Noi ti apprezziamo molto qui. Ho sentito con le mie orecchie Merv usare la parola tesoro quando è stato fatto il tuo nome. - Io non le passo nessuna risposta, - dice Faye. L'uomo fa un vigoroso cenno di assenso. Faye lo guarda. - Non ne ha alcun bisogno. - Voglio solo dire che i nostri panni sporchi sono una questione privata, - dice l'uomo brillante. - Tesoro o non tesoro. Perciò ti
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consiglio di tenerti il tuo bell'appartamento di vetro di cui ho sentito parlare cosí bene.
Durante il primo anno, gli indici di ascolto scendono un po', ma succede sempre cosí. Poi diventano costanti in maniera incredibile. Le azioni della Mge vengono ripartite tre volte in nove mesi. Alex si compra una macchina cosí costosa che ha paura di salirci. Per andare al lavoro, prende l'autobus. Dee e la suggeritrice acquistano delle proprietà nei canyon. Faye si informa sugli investimenti in Borsa con l'aiuto di Muffy demott. Julie si trasferisce in un bungalow a Burbank, continua a vivere con poco e manda tutti i guadagni, eccetto quel poco che le serve per vivere e per pagare le tasse, all'Ospedale Psichiatrico di Palo Verde, a Tucson. Rifiuta di posare per la copertina di «People». Faye spiega a quelli di «People» che Julie è fondamentalmente una persona riservata. Di lí a poco si arriva al punto che Julie non può più andare da nessuna parte senza camuffarsi. Faye la aiuta a scegliere un paio di baffi e le spiega che non deve esagerare con la colla.
Se si controllano alcuni dati dei piani di volo dell'aeroporto di Los Angeles viene fuori che l'uomo abbronzato di Merv, la regista di Rischio! Janet Goddard, e un certo signor Mel Goddard, che lavora nell'ufficio diritti d'autore della casa di produzione Screen Gems, salgono a bordo del nuovo Piper Cub dell'uomo abbronzato di Merv il pomeriggio del 17 settembre 1987, volano a Tucson, Arizona, e restano
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lí tre giorni tra formiche volanti e ragni neri, un traffico inimmaginabile e un susseguirsi di monsoni caldissimi pregni di anidride carbonica. «A detronizzare la signorina Smith dopo più di settecento vittorie consecutive ieri sera è stato un certo «signor Lunt» dell'Arizona, un giovane la cui abitudine di nascondere la testa sotto il braccio nei momenti difficili non sminuisce affatto il virtuosismo con cui ha affrontato un pulsante e un tabellone che erano stati per anni proprietà esclusiva della campionessa.» Da «Variety», 13 marzo 1988
«E ora che ne sarà della Smith?» «Variety» del 14 marzo 1988
A mezzogiorno di oggi Los Angeles è veramente un forno. E' il 1987. Un postino in pantaloncini da postino e calzini di lana sta pranzando nel profondo intestino di un ufficio postale aperto. L'aria luccica sull'asfalto come benzina. Occhiali da sole cavalcano tutte le facce che si vedono in giro. Faye e Julie stanno passeggiando nella zona ovest di Los Angeles. Faye indossa un copricostume e sandali di cuoio. I sandali cigolano e sbattono mentre cammina. - Che cosa facevi? - dice Faye.- Che lavoro facevi prima di vedere il nostro annuncio? - Un professore di psicologia all'università di Los Angeles stava
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facendo dei test sull'emissione di saliva umana in risposta a differenti stimoli. Ero un oggetto di studio scientifico. - Eri una salivatrice professionista? - Mi pagavano, Faye. Avevo diciassette anni. Ero arrivata da La Jolla in autostop. Non avevo soldi, nĂŠ un posto dove dormire. Non avevo da mangiare. - Ma lui cosa faceva, suonava campanelli o ti metteva sotto il naso la cioccolata per vedere se sbrodolavi? Julie ride, denti larghi, baffi e occhiali da sole, i capelli corti e ispidi nascosti sotto un cappello da safari. - Non proprio. - E che faceva, allora? I sandali di Faye cigolano e sbattono. - I tuoi sandali fanno un rumore che mi eccita, - dice Julie.
- Le assicuro che non passa giorno che... - dice l'esperto rappresentante delle vendite di enciclopedie P. Craig Lunt nell'ufficio del piĂš grande produttore di quiz, alle prese con uno di quei giochi minuscoli in cui bisogna infilare una minuscola pallina nella bocca di un clown. Dee Goddard e Muffy demott sono nell'ufficio di Dee, dal quale si domina la strada, oggi, a mezzogiorno, nell'aria condizionata, con una brocca di martini, e guardano il Nuovissimo Quiz degli Sposini. - Benvenuti al Nuovissimo Quiz degli Sposini, - dice la tele. - Programma debole, - dice Dee.- In questo quiz non fanno altro che
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umiliare i concorrenti. Con battute di basso livello. - A me invece questo programma piace, - dice Muffy allungandosi verso la brocca tenuta al fresco accanto al condizionatore. - E' colpa loro se sono disposti a farsi umiliare da Bob Eubanks in cambio di una lavastoviglie o di un congelatore. - Sì, ma è proprio scadente. Almeno prima Mel dava un'occhiata ai testi. Ora è veramente... è veramente un'operazione da quattro soldi -. Dee strizza le ultime gocce da un limone. La testa di Bob Eubanks occupa tutto lo schermo. - Dio mio, guarda la testa di quell'uomo. - Eppure si mantiene giovane, no? - riflette Muffy. - Sembra che non invecchi mai. Mi chiedo come faccia. - Avrà barattato l'anima con la faccia. Avrà il culto dei bisturi affilati. Offrirà sacrifici a misteriosi maestri pregando per la protezione della sua faccia. Muffy la guarda. - Uno straordinario premio speciale, scelto apposta per voi, - dice la televisione. Dee si sporge in avanti. - Guarda quella testa. Soltanto la fronte occupa l'intera inquadratura. Devono aver bisogno di obiettivi speciali. - In fondo mi piace. In fondo è divertente. - Io sono felice che lui sia dentro la televisione e io fuori, cosí lo posso spegnere ogni volta che mi pare. Muffy alza il suo martini verso la luce della finestra e lo osserva. - E a te di sicuro non capita mai di svegliarti di
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soprassalto la notte e pensare che forse è tutto il contrario. Dee incrocia le caviglie sotto la sedia. - Tesoro mio, se noi facciamo questo lavoro è proprio per essere sicuri che non è tutto il contrario. Ridono. - Però se ne sentono di storie, - dice Muffy. - Su queste persone sole o con chissà quale disturbo che non hanno avuto nient'altro che la televisione, i loro genitori o chi per essi li hanno abituati a questo piazzandoli fin da piccoli davanti al televisore, e quando poi diventano grandi la televisione rappresenta il loro intero mondo emotivo, è tutto quello che hanno, ed è anche l'unico modo di definire la propria esistenza, la propria identità: e cioè che loro stanno al di fuori della televisione, e tutto il resto del mondo è dentro la televisione -. Sorseggia il martini. - Non cambiate canale, - dice la televisione. - E poi si sentono storie su come una volta ogni tanto uno di questi qui in qualche modo riesce a entrare nel televisore. Per caso, - dice Muffy. - Vengono inquadrati tra il pubblico durante una partita, oppure sono intervistati per strada su un referendum o un'altra cosa, e poi vanno a casa e si piazzano davanti alla tv, e mentre guardano all'improvviso vedono che sono dentro al televisore -. Muffy alza gli occhiali sulla fronte. - E qualche volta si viene a sapere che questa cosa li ha fatti uscire pazzi. Qualche volta succede. - Ci dovrebbe essere un'assicurazione speciale per queste cose, -
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dice Dee, facendo tintinnare il ghiaccio nella brocca. - Potrebbe essere un'idea. Dee si guarda intorno. - Hai visto il vermourh da qualche parte?
Julie e Faye passeggiando oltrepassano una casa color rosa shocking. Un camioncino Volkswagen sta uscendo da un vialetto d'ingresso. Canta la canzone triste e stridula tipica della Volkswagen-in-retromarcia. Faye si asciuga la fronte con il braccio. Si sente umida e appiccicosa, come un panino tenuto in caldo nel sacchetto. - Ma io non so proprio cosa potrei dire, - spiega. - Stare insieme a una donna non vuol dire essere automaticamente lesbica, - dice Julie. - Non vuol nemmeno dire essere Marie Osmond, però. Julie ride. - E' una croce che dovrai abituarti a portare -. Le prende la mano. Julie e Faye fanno moltissime passeggiate. Faye va in auto a casa di Julie e l'aiuta a travestirsi. Julie mette i baffi e un cappello, i bermuda, una maglietta hawaiana, e una Nikon al collo. - E se invece fossi lesbica? - chiede Faye. Guarda un bambino piccolo che continua a tirare pugni dietro la coscia del padre che con un'espressione serena compra un gelato a un carretto. - Voglio dire, che succederebbe se fossi lesbica, e la gente mi chiedesse perchÊ sono lesbica? - Faye lascia un attimo la mano di Julie per togliersi una goccia di sudore dal labbro superiore. - Cosa dico se mi chiedono perchÊ?
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- Ti aspetti che molta gente stia lí a farti domande sulla tua sessualità? - chiede Julie. - Oppure c'è qualcuno in particolare che ti preoccupa? Faye non risponde. Julie la guarda. - Non posso credere che te ne importi davvero. - Forse sí. Del resto non puoi decidere tu quali sono le domande che mi possono preoccupare. Tu sei la ragione per cui io potrei essere lesbica; ti sto solo chiedendo un consiglio su cosa potrei rispondere. Julie alza le spalle. - Di' quello che ti pare -. Si controlla di continuo i baffi a causa del caldo. - Di' che l'omosessualità è semplicemente una risposta alla diversità. Di' che lo scopo dell'amore è riuscire a infilare le dita nei buchi della maschera di chi si ama. Riuscire ad afferrare la maschera in qualche modo, e chi se ne importa di come ci riesci. - Non ho nessuna voglia di stare a sentire teorie sulle maschere, Julie, - dice Faye. - Voglio sentire cosa posso rispondere alla gente. - Perché non mi dici chi è che ti preoccupa cosí tanto? Faye non risponde. Incrociano un uomo enorme, con la faccia rossa come una bistecca, stivali da cowboy appena comprati, una gigantesca stella di latta attaccata sul risvolto della giacca. A Julie viene da ridere. - Non ridere, - dice Faye. Camminano in silenzio. Il cielo è limpido, aperto e stirato.
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Risplende di sole, trasparente come dopobarba. Julie sorride tra sé, sotto il cappello. E' un sorriso freddo. - Tu sai quanto può essere divertente, - dice, - se ti vuoi divertire a inventare spiegazioni. Puoi regalare alla gente i motivi che vuoi, se quello che vogliono sapere è: per quale motivo. Puoi inventarti qualsiasi cosa. Anzi, ti sorprenderà, ma più i motivi sono improbabili, più la gente sarà soddisfatta. - E questo è divertente? - Ti garantisco che è più divertente di stare a pensare quanto sia preoccupante tutta la faccenda. - Julie, - dice all'improvviso Faye. - Che succede se una volta perdi? Restiamo insieme? O stiamo insieme solo per il quiz? Una donna con dei pantaloncini di spugna sta guardando Julie in modo abbastanza sfacciato. Julie distoglie lo sguardo, il cappello calato. - Te ne dico io uno, - dice. - Se la gente cerca un motivo, puoi dire cosí. Ti innamori follemente di un uomo che dice che anche lui è follemente innamorato di te. E' più grande di te. E' un uomo d'affari importante. Tu gli dai tutta te stessa. Lui parte per la Francia, per un affare delicato. Ti dice che non puoi andare con lui. Aspetti per giorni, ma non ti chiama. Allora lo chiami tu, in Francia, e una voce di donna ti risponde con un pronto francese, e si sente il rasoio elettrico dell'uomo sullo sfondo. Un paio di giorni dopo ricevi una cartolina francese scritta in fretta, spedita il primo giorno che è arrivato lì. C'è scritto: «L'Europa è qui. Vorrei che tu fossi meravigliosa». E tu per il dolore diventi lesbica.
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Faye osserva il profilo del viso di Julie, con la pelle che sembra uva bianca perfetta. Julie dice: - Puoi raccontare che quest'uomo che ti ha spezzato il cuore cosí presto nel ricordo ha ormai assunto le sembianze di una caricatura: testa enorme, corpo minuscolo, segni particolari esagerati. - Posso dire poi che ormai tutti gli uomini mi sembrano cosí. - Oppure puoi raccontare quest'altro. Conosci un ragazzo, al tuo college. Un ragazzo molto considerato, bellissimo e soprattutto - e questa è la cosa che ti attira di più - molto ma molto serio. Un uomo che va in biblioteca e prende un manuale di anatomia per cercare il punto preciso e le implicazioni neurologiche del clitoride femminile - semplicemente, tu ne sei sicura, per darti il massimo di piacere. Lui suona il tuo clitoride, il tuo corpo intero, come uno strumento delicato. Ti innamori del ragazzo completamente. L'intensità del tuo amore crea quella che definiresti una sintonia organica: un corpo non può muoversi senza le gambe; le gambe non si possono muovere senza il corpo. Lui diventa il tuo corpo. - Ma ben presto lui si stanca del mio corpo. - No, anzi, il tuo corpo diventa la sua ossessione. Lui comincia ad avere una cura del tuo corpo più di quanto la possa avere tu. Poi comincia a metterti a dieta, oppure a farti aumentare di peso. Ti fa fare ginnastica, decide come devi tagliarti i capelli, come ti devi truccare. Il tuo corpo non può fare niente senza di lui. Diventi muscolosa, a causa della ginnastica continua. I vestiti si fanno
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sempre piÚ stretti. Lui fa degli schizzi dell'evoluzione del tuo corpo su quei grandi fogli di carta da macelleria e li appende in camera uno accanto all'altro, come in una progressione evolutiva. I tuoi amici pensano che sei diventata pazza. Ti abbandonano tutti. Lui ti ha presentato a tutti i suoi amici. Ogni volta che ti presentava a uno di loro, ti chiedeva di girarti, per fargli vedere bene come eri fatta. - Io non sono felice con lui. - No, tu sei felice da impazzire. Ma nel momento in cui ti senti pienamente felice, di te stessa non è rimasto nulla. - Lui mi vuole guardare mentre faccio sollevamento pesi. Ha degli attrezzi in camera. - Il tuo amore, - dice Julie, - nasce proprio dalla tua incompletezza. Sei ridotta alla devozione assoluta per un altro, pietrificata dallo sguardo di Medusa. - Ti ho detto che le astrazioni non mi piacciono, - dice Faye insofferente. Julie cammina, in silenzio, con lo sguardo perduto della concentrazione. Faye vede una grande farfalla sbattere senza alcuna logica contro il finestrino nero fumo di una limousine. La limousine è ferma a un semaforo. Ora la farfalla scivola via lontano dal finestrino. Vaga senza scopo verso il marciapiede, dove si posa, splendente. - Ti fa sollevare pesi, in camera, di notte, mentre lui sta seduto a guardarti, - dice Julie con voce tranquilla. - Presto finisci per sollevare i pesi completamente nuda, mentre lui ti guarda dalla sua
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sedia. Cominci a sentirti a disagio. Per la prima volta senti in bocca il lieve sapore del degrado. Il degrado ha un sapore simile al tè. Aumenta ogni notte. Ormai la tua bocca sa di tè e lui decide che vuole stare fuori, e guardarti dalla finestra, mentre sollevi i pesi nuda. - Mi sento veramente male quando lui mi guarda dalla finestra. - E poi, alla fine, arrivano i suoi amici. Succede che lui comincia a invitare tutti gli amici di notte per guardare insieme a lui dalla finestra quando tu sollevi i pesi. Riconosci le facce di ognuno di loro. Li vedi al di là del tuo stesso riflesso nel vetro nero. Facce tese e affascinate. Ti ricordano le facce che si fanno con le zucche. Quando li guardi vedi una lingua uscire fuori da una delle facce e leccare la finestra. Non riesci a capire se è la lingua del ragazzo bellissimo e serio, o di qualcun altro. - E cosí per il dolore comincio a diventare lesbica. - Ma continui ad amarlo. I sandali di Faye sbattono. Si asciuga la fronte e pensa. - Sono innamorata di un ragazzo e ci mettiamo insieme, e iniziamo ad andare a cena dai suoi. Una sera mentre preparo la tavola, sento suo padre in salotto che dice ridendo al figlio che la punizione per la bigamia consiste nell'avere due mogli. Ride anche il ragazzo. Passano accanto a un negozio di elettrodomestici. Faye vede una pubblicità da dietro la grande vetrina, riflessa nel prisma dagli occhi di mosca di una trentina di televisori. Alan Alda tiene in mano un prodotto tra indice e pollice. Lo guarda e sorride.
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- Sei innamorata di un uomo, - dice Julie, - che insiste a dire che può amarti soltanto quando sei in piedi al centro esatto della stanza in cui vi trovate.
Pat Sajak pianta della lattuga nell'orto della sua casa di Bel Air. Bert Convy è a bordo del suo jet Lear, diretto alla Fiera dell'Auto di Indianapolis.
- Le racconto un sogno, - dice Alex Trebek al medico con le sopracciglia circonflesse. - Faccio questo sogno in cui sono in piedi sorridente davanti a un leggio su una piccola collina in mezzo a un campo. Il campo, che è verdeggiante e coperto di trifogli, è pieno di conigli. Sono seduti e mi guardano. Ci saranno milioni e milioni di conigli in quel campo. Stanno seduti lí a guardarmi. Qualcuno di loro ogni tanto abbassa la testa per addentare qualche trifoglio. Ma i loro occhi non si staccano mai da me. Sono seduti e mi guardano, milioni di piccoli conigli, e li guardo anch'io.
- Zio, - dice Patricia («Patty-Jo») Smith-Tilley-Lunt, grassoccia e con il viso appassito, seduta dietro un registratore di cassa del ristorante Holiday Inn dell'albergo Holiday Inn, sulla statale 70, Ashtabula, Ohio: - Zio zio zio zio.
- No, - dice Faye. - Un altro. Incontro un uomo nel parco. Siamo andati lí tutti e due a passeggiare. L'uomo ha un cucciolo
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piccolissimo, il cucciolo più tenero e carino che abbia mai visto. Il cucciolo è tenuto a un piccolo guinzaglio. Quando incontro l'uomo, il cucciolo scodinzola cosí forte che finisce per perdere l'equilibrio. L'uomo lascia che io giochi un po' con il cucciolo. Gli gratto lo stomaco e lui mi lecca la mano. L'uomo ha in un cestino un pranzo da picnic. Passiamo tutto il giorno nel parco, con il cucciolo. Al tramonto sono perdutamente innamorata dell'uomo con il cucciolo. Rimango con lui la notte. Lascio che entri dentro di me. Sono innamorata. Ogni volta che chiudo gli occhi, vedo davanti a me l'uomo e il cucciolo. - Ho un appuntamento con l'uomo nel parco un paio di giorni dopo. Questa volta porta con se un cucciolo diverso, un altro cucciolo tenero che scodinzola e mi lecca la mano, e lecca la mano dell'uomo. L'uomo dice che è il fratellino del primo cucciolo. - Oh Dio, Faye. - La cosa va avanti: ci incontriamo nel parco, e lui ogni volta viene con un cucciolo diverso, ed è cosí dolce e affettuoso e pieno di attenzioni nei confronti miei e dei cuccioli che ormai sono completamente perduta per lui. Sono ancora completamente perduta la mattina in cui lo seguo mentre va a lavorare, solo per fargli una sorpresa, portargli tipo un succo di frutta e una pasta. Allora lo seguo e in realtà scopro che è un ricercatore scientifico di cosmetici, che sperimenta i prodotti sui cuccioli, li uccide, li seziona, e prima di fare gli esperimenti porta ogni cucciolo al parco, lo fa passeggiare, e soprattutto lo usa per attirare donne da
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sedurre. - Sei cosí distrutta e nauseata che cominci a diventare lesbica, dice Julie.
Pat Sajak va incontro ad Alex Trebek appena battuto sonoramente per tre partite di fila a squash. Negli spogliatoi del circolo Trebek prova ad annodarsi un ascot mentre si congratula con Sayak per il rinnovo del contratto e ripete che dopo tanto tempo forse e il caso di smetterla con il risentimento per lo scherzo degli applausi. Sayak dice che lui nemmeno se lo ricordava più e dice a Trebek «amico mio»; poi c'è qualche lancio di asciugamani e un'atmosfera di cameratismo.
- Cerca di farmi capire che tipo di collegamento ci può essere tra Faye Goddard e Julie Smith, - dice Merv Griffin al suo assistente abbronzato. Il suo uomo e appoggiato alla finestra dell'ufficio, guarda le macchine che corrono sulla Hollywood Freeway, in pieno sole. Le macchine luccicano.
- Tu e tua madre andate a vedere un film, - dice Faye. Lei e Julie sono ferme sotto il tendone di una pellicceria per difendersi un po' dal caldo. - Il film è Il figlio di Flubber, della Disney. Dura quasi tutto il pomeriggio -. Si raccoglie i capelli dietro al collo e li solleva.- Dopo che il film è finito, tu e tua madre uscite, siete lí fuori sul marciapiede, tua madre ha un crollo nervoso. Il bigliettaio cerca di trattenerla, ma lei è cosí isterica. Si strappa i capelli che tu hai sempre ammirato e sperato un giorno di avere come i suoi. E'
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completamente isterica. Vien fuori che un uomo nel cinema dietro di te si è messo a giocare con i capelli di tua madre durante tutto il film. Le toccava i capelli in modo erotico. Lei era inorridita e disgustata, ma non aveva detto una parola, per tutto il tempo, probabilmente per paura che tu, la sua bambina, scoprissi che un uomo misterioso nel buio stava toccando tua madre in modo erotico. Si accascia sul marciapiede. Deve accorrere suo marito. Per un anno va avanti ad antidepressivi. Poi comincia a bere. - Qualche anno dopo suo marito, il tuo patrigno, la lascia per un'altra donna. La donna ha la stessa storia, lavora nello stesso campo, ha lo stesso aspetto di tua madre. Tua madre diventa ossessionata dalle differenze minime che hanno portato il tuo patrigno a lasciarla per l'altra. Beve. La donna si prende gioco della sua sensibilità, da persona insicura e fondamentalmente schifosa qual è, e si veste come tua madre, infila piccoli souvenir del tuo patrigno nella cassetta della posta di tua madre, si colora i capelli con la stessa sfumatura di rosso di tua madre. Tutti voi lavorate insieme nella stessa minuscola ma potentissima azienda. E' una minuscola, laida e claustrofobica piccola comunità, dove nessuno può andare via dal covo che ognuno ha contribuito a insudiciare. Cominci a essere confusa. E poi incontri questa persona speciale, divertente, triste; e unica.
- La pioggia in Spagna, - dice la regista Janet Goddard a un bambinone adulto, cosí paffuto, pallido e assente da sembrare un
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pupazzo di neve.- Devi dire soltanto «La pioggia in Spagna» senza mettere la testa sotto al braccio. - Fa' finta che è un gioco, - dice.
La verità è che la sera prima che il fratello di Julie Smith batta Julie Smith nella sua settecentoquarantunesima puntata di Rischio! Faye dice a Julie cosa hanno fatto l'uomo di Merv Griffin e la regista. Le due donne vestite sono accanto alle vetrate dell'appartamento di Faye e guardano le montagne lontane che si trasformano, grazie a un gioco di ombre, nei cioccolatini Hershey, quelli a forma di piramide. Faye dice a Julie che è perché alla Mge hanno una tale ammirazione e rispetto per Julie che vogliono esercitare un controllo attentissimo sulla scelta di chi dovrà sostituirla. Che per la Mge Julie è un miracolo d'incarnazione del quiz, e che lo staff si sta adoperando per fare di tutto nella speranza di non perdere quel miracolo e quella incarnazione, nella speranza che passi incolume attraverso il cambiamento che accompagna inevitabilmente ogni tipo di emozione. Poi dice che ha solo ripetuto le stronzate che ha detto l'uomo abbronzato. Julie chiede a Faye perché Faye non le ha detto prima cosa stava per accadere. Faye chiede a Julie perché Julie manda tutte le vincite ai medici di suo fratello e però non vuole parlare con lui. Julie non è una che piange facilmente. Julie chiede se ci saranno domande sugli animali, domani.
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Ci saranno un sacco di domande sugli animali, domani. La regista ha scelto personalmente gli argomenti e le domande per domani. Faye è stata temporaneamente assegnata alla capo macchinista per aiutarla a riparare l'illuminazione della C difettosa nella gigantesca insegna Rischio! in studio. Faye chiede perché a Julie piace inventare motivi per cui si diventa lesbiche. Lei pensa che Julie sia lesbica perché odia gli animali, per qualche motivo. Faye dice che non capisce qual è il motivo. Piange, guardando la vetrata. Faye chiede a Julie se davvero il fratello di Julie può batterla. Julie dice che suo fratello non può assolutamente batterla, e che in fondo al suo silenzio il fratello questa cosa la sa. Julie dice che lei conoscerà sempre ogni fatto che conosce suo fratello, più uno.
Dalla finestra della sala trucco Faye vede un ammasso di nuvole grigie allontanarsi dal sole. Ci sono piccole gocce di pioggia sui vetri della finestra. Faye dice alla truccatrice che può andare, ci penserà lei. Julie è sulla sedia del trucco, con una camicetta estiva e una gonna di cotone sbiadita; ha i sandali. Ha le gambe accavallate, i capelli appuntiti dal gel. I suoi occhi, calmi, scintillanti e per niente annoiati, sono fissi sullo specchio illuminato e guardano appena al di sotto del mento. Un brevissimo e dolce sorriso per Faye. - Sei in ritardo, ti amo, - sussurra Faye.
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Comincia a metterle il fondotinta. - Te ne regalo uno, - dice Julie. Faye disperde la linea del fondotinta nelle morbide cavità sotto la mascella di Julie. - Ti regalo un altro motivo, - dice Julie. - Puoi tenerlo di riserva, per quando sarai davvero nei guai. Ci crederanno. - Non verrai eliminata. Ha persino il terrore di alzarsi. Ho dovuto scavalcarlo per entrare qui dentro. Julie scuote la testa. - Puoi raccontare che avevi otto anni. Tuo fratello stava sempre zitto e aveva cinque anni. Racconta che il viso di tua madre le era appassito addosso, che prima gli uomini e poi se stessa l'avevano resa orribile. Che il suo viso era appassito per amore di un uomo indifferente e silenzioso che ti ha lasciata per sempre appoggiata a uno steccato di legno vicino all'autostrada. Racconta di come tua madre ti ha lasciata vicino a un campo di erba secca. Racconta che il campo, il cielo, l'autostrada, ogni cosa aveva il colore del bucato vecchio. Racconta che la tua mano è stata appoggiata a un palo tutto il giorno, la tua mano e la mano pallida di un bambino malato, aspettando qualcuno che prima, ogni volta, era sempre tornato. Faye sta mettendo la cipria. - Racconta che c'era una mucca, - Julie deglutisce. - Stava nel campo, vicino al recinto su cui tu tenevi appoggiata la mano. Racconta che la mucca è rimasta lí tutto il giorno, continuando a masticare qualcosa che aveva ingoiato chissà da quanto, e ti guardava. Racconta che il muso della mucca non aveva espressione. E
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che è rimasta lí tutto il giorno a guardarti con un muso enorme senza nessuna espressione -. Julie sospira. - Racconta come tutto questo a un certo punto ti ha fatto venire voglia di urlare. Il vento sembra che urli. Stare lí con la mano appoggiata a uno steccato di legno tutto il giorno con un bambino che è il silenzio impersonificato. Che può, e tu lo sai, restare lí per sempre, ad aspettare l'unica macchina che conosce, senza poterci capire mai niente. E una mucca che sta lí e ti guarda, nello stesso modo in cui guarda ogni altra cosa. Faye con un fazzoletto le toglie la cipria in eccesso. Poi Julie si asciuga il rossetto. - Racconta che ancora adesso non sopporti gli animali, perché il muso degli animali è senza espressione. Non c'è la minima possibilità che ne abbiano una. Di' loro di guardare, ma veramente, il muso di un animale, una volta. Faye passa un pettine nei capelli morbidi e bagnati di Julie. Julie guarda Faye attraverso lo specchio incorniciato da lampadine.- Poi di' loro di provare a guardare da vicino le facce degli uomini. Di' loro di restare perfettamente immobili, per un po', e di guardare dritto in faccia un uomo. La faccia di un uomo non ha niente. Guarda da vicino. Di' loro di guardare. E non pensare a come si muove la faccia - le facce degli uomini non smettono mai di muoversi, sono come le antenne. Ma non fanno altro che muoversi tra differenti configurazioni di inespressività. Faye cerca gli occhi di Julie nello specchio.
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Julie dice: - Racconta che non esistono buchi dove infilare le dita nelle facce degli uomini. Racconta che forse speri di riuscire a non amare mai quel che non puoi afferrare. Julie gira la sua sedia del trucco e alza la testa verso Faye. Questo succede quando ti amo, se ti amo, - sussurra, passando un dito sulla sua guancia bianca e incipriata, allungandosi per tracciare un segno bianco sul viso di Faye. - Succede quando assume un'espressione. Cerca di guardare fuori da te stessa, e ogni momento ha un'espressione diversa. Di' alla gente che sai che la tua faccia è meno bella quando è ferma. Lascia le dita sul viso di Faye. Faye chiude gli occhi per trattenere le lacrime. Quando li apre Julie la sta ancora guardando. Sorride di un sorriso radioso. E' ora. Prende le mani di Faye. - Una volta mi hai chiesto che cosa mi ha insegnato la poesia, dice. E' quasi un sussurro, la sua voce da microfono. - E mi hai chiesto se noi, noi due, stavamo insieme solo per il quiz. Vero, tesoro? - con il dito solleva il mento di Faye. - Te lo ricordi? Ricordi l'oceano? Il nostro oceano all'alba, come lo adoravamo? Lo adoravamo perché era come noi, Faye. L'oceano era una cosa ovvia. Noi siamo rimaste a guardare una cosa ovvia, per tutto il tempo -. Sfiora un capezzolo di Faye, in modo troppo soffice perché Faye possa accorgersene. - Gli oceani sono solo oceani quando si muovono, sussurra Julie. - Sono le onde a fare in modo che gli oceani non siano soltanto pozzanghere gigantesche. Gli oceani sono le loro onde. E ogni onda dell'oceano incontrerà alla fine quello verso cui si muove, e allora si potrà infrangere. Tutto ciò che vedevamo, tutto il
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tempo che chiedevi, era ovvio. Anche una poesia era ovvia perché era come noi. Guarda le cose in questo modo, Faye. La tua stessa faccia si muove con espressione. Un'onda, che si infrange su uno scoglio, rinunciando alla sua forma in un gesto che è espressione di quella forma. Capisci? Non era sulla spiaggia che Faye aveva chiesto del loro futuro. Era a Los Angeles. E allora cosa dire dell'onda inaspettata che era arrivata dal nulla e si era infranta su se stessa? Julie sta guardando Faye. - Capisci? Gli occhi di Faye sono aperti. Diventano grandi. - Non ti piace la mia faccia quando è ferma?
Lo studio è azzurro cipria. La gigantesca insegna Rischio! cala dall'alto. La sua C tremola di un fioco tremolio fluorescente. Julie allontana subito lo sguardo dalla lettera guasta. Alex porta un fiore all'occhiello. I nomi dei tre concorrenti appaiono in corsivo davanti alle loro postazioni. Alex soffia a Julie il tradizionale bacio. Pat Sayak mostra a Faye un pollice in alto dal lato opposto dello studio. Poi ridendo indica un punto. Faye guarda e vede una buccia di banana sul tappeto azzurro pallido, accuratamente lasciata sul percorso delimitato da un nastro che Alex compie ogni giorno dalla sua postazione al tabellone luminoso. Dee Goddard, Muffy demott e l'uomo abbronzato di Merv Griffin sono chini sui monitor in cabina di regia. Janet Goddard studia l'inquadratura di un pallido ragazzo paffuto che fa sembrare piccola la postazione. Il terzo concorrente, al centro,
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si tocca il trucco. Faye sa di cipria. Continua a osservare Sayak che si sta sfregando le mani. La luce rossa si accende. Alex alza le braccia per i saluti. Non ha l'orologio digitale al polso. La regista, nella cabina di regia, con la cuffia, dice qualcosa alla camera due. Julie e il pubblico si guardano.
Postfazione@di Mattia Carratello Una curiosa avvertenza precede l'edizione originale dei racconti di David Foster Wallace: «queste sono storie di finzione, al cento per cento. Alcune di esse proiettano i nomi di figure pubbliche "reali" all'interno di circostanze e personaggi inventati; (...) questi nomi vogliono solo descrivere figure e immagini, la materia di cui son fatti i sogni collettivi; essi non denotano, o pretendono di descrivere, informazioni private di persone reali in tre dimensioni, viventi, decedute o altro». Nella shakespeariana materia dei sogni contemporanei la forza e l'illusione delle immagini creata dai mezzi di comunicazione richiede certe precisazioni: il mondo in 3D potrebbe risentirsi, il lettore e lo spettatore potrebbero anche confondersi. David Foster Wallace, nuovo talento della scena letteraria degli Stati Uniti, è nato nel 1962 a Urbana, nell'Illinois. Situata nel cuore dell'immenso Midwest, il centro agricolo degli Stati Uniti, Urbana è sede di una famosa università e di una delle più grandi biblioteche del mondo; da qui, fra milioni di libri e milioni di tonnellate di grano, Wallace immagina di scrivere per una nazione di creduli voyeur. Se le statistiche dicono il vero, negli Usa si
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passano sei ore al giorno davanti alla tele. Un'intera generazione, quella sotto i quaranta, non ha memoria di un mondo che non sia scandito e definito dai personaggi, dalle situazioni e dagli eventi prodotti da uno schermo bidimensionale e parlante. E' una generazione di guardoni, di spioni solitari, assuefatti alla divertente commedia giornaliera che permette loro di scrutare in case e vite altrui, coltivando l'illusione di osservare qualcuno senza che questi lo sappia. Wallace prende atto, come scrittore, di questa sfida dello sguardo: in fondo, è proprio il voyeurismo l'attività che più accomuna l'inventore di storie all'audience televisiva. «I romanzieri, come specie, tendono ad appostarsi e a guardare. Sono osservatori nati. Sono spettatori», scrive Wallace in un saggio sul rapporto fra la televisione e la fiction negli Stati Uniti. Ma il suo sogno di narratore, quello che forma la materia delle sue pagine, è di riscattare l'immenso serbatoio emotivo che i guardoni di tutto il mondo rovesciano nelle immagini bidimensionali. Creare di nuovo una distanza tra l'osservatore e l'oggetto per inserirvi l'emozione, il dolore e la gioia, donando un corpo solido a quel silenzio dell'individuo che l'intrattenimento di massa sommerge nel rumore rosa dello spettacolo. La nostra è una cultura che allevia il dolore con ogni mezzo, dai farmaci miracolosi ai giochi a premi, e allo stesso tempo mette in scena uno spettacolo inarrestabile della sofferenza (soprattutto fisica) più finta ed esteriore, rendendola in fondo piacevole, accettabile e divertente. Si può intrattenere in qualunque modo e la
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letteratura, di certo, non si sottrae a questo compito. Ma non basta compiacere l'audience, trascinare il lettore nella recita di una realtà efferata e senza senso, o far finta di rivitalizzare lo scarso sex appeal della scrittura compilando elenchi di prodotti di consumo, siano detersivi, capi d'abbigliamento o accessori tecnologici dell'ultim'ora. Per dirla con lo stesso Wallace, «se ciò che ha sempre caratterizzato la cattiva scrittura - personaggi insipidi o un mondo narrativo pieno di cliché - diventa una descrizione del mondo d'oggi, allora la cattiva scrittura non è altro che un'ingegnosa imitazione di una brutta realtà. Abbiamo davvero bisogno di una narrativa capace solo di drammatizzare tutto quanto sia stupido e grottesco?» Wallace cerca di rispondere con un gesto forte e significativo, quello di una letteratura in espansione costante, folle e ingegnosa. Scrive un romanzo di più di mille pagine, Infinite Jest (1996), che vuole risvegliare il lettore, fargli il massaggio cardiaco. In La ragazza con i capelli strani inventa e descrive altri gesti, schietti e simbolici: quello vitale, disperato e sospeso, del responsabile del reparto vendite, o il magnifico dito medio esibito in faccia al presentatore del gioco a premi più famoso del Nordamerica. Eppure Wallace ama mortalmente tutto ciò che fa spettacolo, ed è un consumatore vorace di televisione: ha scritto poi saggi importanti sul tennis, su David Lynch e sulla rap music, collabora a riviste come «Harper's» ed «Esquire». Non è un osservatore distaccato e ironico, è dentro il sistema, e sa quanto può essere divertente. Ma ha capito che una delle grandi eredità del postmoderno, l'ironia
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dissacrante e globalizzata, non è più una valida risposta alla durezza del reale. La televisione e la pubblicità hanno spettacolarizzato la dissacrazione, ne hanno fatto il proprio principale strumento; insistere con il cinismo, con l'ironia di una rappresentazione brutale e sfacciata, conduce soltanto a morire d'accettazione. Wallace non vuole intrattenere, o solo descrivere: nell'analisi dei sintomi della società dello spettacolo si trova la premessa di un intervento e di un lavoro che vanno spartiti con il lettore, invitato a farsi strada nell'interpretazione di un testo ricco e difficoltoso, per essere pronti a risolvere una situazione d'emergenza. E meno male che il responsabile del reparto vendite sapeva fare il massaggio cardiaco si legge nel titolo di un racconto: cosí la solitudine del voyeur, del lettore, dello spettatore, può essere interrotta, e la fiction può avviarsi a spezzare l'insistente monologo che scaturisce dal continuo spettacolo dello schermo.
Wallace è un realista, e come tutti i realisti di fine secolo non può non essere un sottile falsario. La sua è una scrittura virtuosistica, ricca di timbriche e stili diversi, capace di perfette imitazioni e di plagi appassionati. Alle spalle di Wallace, insegnante di letteratura inglese e creative writing in un college dell'Illinois, troviamo i grandi autori statunitensi degli ultimi decenni: le anatomie enciclopediche e colossali di Thomas Pynchon, Don Delillo e William Gaddis, gli esperimenti metaletterari di John
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Barth e Robert Coover, ma anche l'umanità dolente di Salinger e Carver. La falsificazione iperreale di Wallace si rivela nel primo racconto di questa raccolta, Lyndon, dove un giovane omosessuale viene assunto nello staff del futuro Presidente degli Stati Uniti. All'interno di uno dei documenti «ufficiali» inseriti nella narrazione emerge improvvisamente il nome di Boyd, il protagonista. Il personaggio di finzione si introduce cosí nell'ordine della storia, per raccontare dall'interno ciò che l'informazione dei media ha omesso e trascurato: il dolore e la malattia, l'amore reso impossibile dall'annullamento delle distanze, da un'eccessiva vicinanza. Questo è forse il racconto che meglio descrive l'America di oggi: un mondo dove tutto è connesso, tutto è visibile e raggiungibile, e in cui non si trova lo spazio necessario ai sentimenti, un vuoto dove l'utopia del contatto umano possa realizzarsi. E senza spazio l'America cessa di esistere, e con essa il sogno, persino quello di personaggi discutibili come il vicepresidente Lyndon Johnson e sua moglie Lady Bird. Sullo sfondo dell'omicidio Kennedy e dell'eccesso di pienezza della società contemporanea risuona la tentazione paranoica già narrata da Pynchon, e si delinea una visione di morte da progressivo raffreddamento, conseguenza ultima di un distacco dalle cose e dagli uomini; un distacco in cui è coinvolta anche molta letteratura contemporanea, strenuamente raccolta su se stessa. Il freddo, per chi viene dalle pianure del Midwest nordamericano, è una condizione inevitabile: il freddo è il silenzioso protagonista del racconto Dire mai, nella cucina mal riscaldata, nella bassa
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temperatura di rapporti consumati. Ma qui entra in gioco il massaggio di Wallace, il gesto che di nuovo mette in movimento le cellule e il sangue, spingendo e riscaldando il lettore, scatenando la metamorfosi dell'oggetto semplicemente osservato in oggetto vissuto. Wallace vorrebbe essere come Julie Smith, la protagonista di Piccoli animali senza espressione, e dare forma a una letteratura che renda importanti le cose banali, in grado di trascendere i fatti per divenire sentimento e significato. Rivolgendosi ai guardoni ovunque piazzati in poltrona a intrattenersi con l'immagine elettronica, lo scrittore cerca un superamento della solitudine rumorosa del consumatore di massa, della miseria dello spettacolo: un rifiuto della sparizione e del silenzio imposti dalle telecamere del mondo.
Wallace è quasi un'enciclopedia della nuova scrittura statunitense. All'interno di Infinite Jest egli rivisita temi e linguaggi che sono diventati l'armamentario espressivo della fiction di fine millennio. La complicata vicenda si svolge nel corso di un XXI secolo dominato dall'ansia del divertimento, in cui la grande industria ha sponsorizzato persino il nome degli anni a venire. Vi si racconta, tra l'altro, di una banda di terroristi su sedie a rotelle che cerca di ottenere la copia di un film cosà divertente da causare negli spettatori un permanente stato vegetativo. Nel suo primo romanzo del 1987, The Broom of the System, incentrato sulla sparizione di una devota e anziana seguace di Wittgenstein, già si inscenava la confusione comica e paralizzante del linguaggio contemporaneo.
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Wallace appartiene a una nuova generazione di scrittori che vogliono superare l'inquietante pienezza lasciata loro dai maestri del postmoderno, per soccorrere una letteratura in posizione sempre più marginale tra le arti contemporanee. Vi sono autori eccessivi e innovativi, come William Vollmann e la scomparsa Kathy Acker; altri che raccolgono la lezione dei generi letterari, soprattutto la fantascienza e il giallo, per offrire al lettore una fusione inestricabile di verità e finzione, creando un palcoscenico della realtà sul quale le passioni possano finalmente brillare ed esplodere. Molti di loro si scoprono inaspettatamente romantici, vicini a Cormac Mccarthy, o a certo pathos quasi insostenibile che da Poe discende sino a Paul Auster e al nuovo gotico. In questa raccolta di racconti Wallace vuole rappresentarli tutti, in un'esibizione di maestria letteraria che nasconde un progetto ambizioso. Quando i lettori si immergono nelle pagine del libro, Wallace li costringe ancora una volta a guardare e a soffrire per personaggi doppiamente finti e bidimensionali; e siamo di nuovo voyeur, davanti all'ennesimo gioco a premi, al più volgare dei salotti televisivi, ma con la strana sensazione che tutto sia semplicemente più vero. Mattia Carratello
Fine