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Raffaele PISU Mattatori brava gente

«Ben oltre le idee di giusto e di sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò laggiù.»

Gialal al-Din Rumi

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Identikit

Guerrino Raffaele Pisu è un uomo che si è sempre assunto le sue irresponsabilità. In pace come in guerra. Più guerra che pace, probabilmente. Uno e centomila: attore nel Dna, ha cercato il successo e quando lo ha raggiunto gli ha voltato le spalle per guardare verso altri orizzonti, meglio se irraggiungibili; ha sempre inseguito l’amore e, trovandolo, vi si è accomodato un po’ per poi fiutare altri territori; ha inventato, creato («Io sono un creativo» è stato uno dei suoi mantra ricorrenti), si è fatto venire delle idee, ha riempito cassetti di progetti, soggetti, spunti, folgorazioni. Nomade per natura e costituzione genetica, dopo aver esplorato un territorio non ha piantato radici e se vi ha costruito le fondamenta di una casa lo ha fatto per poi abbandonarla e rivolgersi verso altri spazi, meglio se ostili e sconosciuti; come un esploratore che inconsciamente sogna di perdere la bussola.

«It is better to travel hopefully than to arrive» dice un proverbio giapponese citato da Robert Louis Stevenson; traducendo a senso «meglio il viaggiare che l’arrivare». Pisu ha compiuto tanti viaggi fisici e mentali e quando ha visto vicina la meta, quel traguardo che le persone comuni sognano come l’approdo di un doveroso riposo, lui ha disalberato, spesso volontariamente, ha sollevato l’ancora prima che toccasse il fondo, per permettere alla corrente di trascinarlo via e finalmente dedicarsi a un altro viaggio.

C’è un aforisma di George Bernard Shaw che Raffaele Pisu avrebbe potuto fare suo: «Nella vita esistono due tragedie. La prima è la mancata realizzazione di un intimo desiderio, l’altra è la sua realizzazione». Sopravvissuto alla guerra, sopravvissuto al successo, sopravvissuto alla realizzazione dei suoi sogni, Raffaele Pisu è stato un’icona della Rai per lunghi anni, ha calcato i palcoscenici del teatro di varietà e della commedia arrivando a conquistare lo scettro di capocomico, ha compiuto incursioni nel cinema svelandosi anche straordinario talento drammatico e poi? Se è vero che «ogni realtà annienta il sogno», allora lui una volta conquistata la realtà, in un percorso incoerente di grande coerenza, ha deciso che quella vetta non era sufficiente e che, dietro, se ne nascondeva un’altra ancora più alta e misteriosa. Decisamente da conquistare.

Uno dei registi di varietà «più longevi» della televisione, Vito Molinari nel suo memoir I miei grandi comici (Gremese, 2018) confessa il suo disorientamento, sembra spiazzato laddove nel confronto con altri attori traccia nitidi identikit. Al cospetto di Pisu cerca intuizioni possibili e ammette che il personaggio gli sfugge di mano, evapora da un momento all’altro come un ectoplasma per poi rimaterializzarsi da un’altra parte, su un altro palcoscenico (della vita o del teatro ha poca importanza, il confine è stato abbattuto). Scrive Molinari:

Raffaele Pisu, ovvero un’occasione mancata. Lo dico con affetto, per un caro amico. Mi riesce difficile definire esattamente cosa è Raffaele. Un attore brillante, un caratterista, un primo attore, un antagonista, un promiscuo, un grande comico. Perché è stato tutto questo, e non solo. Nella sua carriera ha interpretato, in varie situazioni, tutti questi ruoli e li ha risolti con bravura. Gli è mancato qualcosa per affermarsi definitivamente come comico, grande a tutti gli effetti. Forse un po’ di determinazione, di con- centrazione, di ambizione, di continuità, di “cattiveria”. D’altra parte le vicende della sua vita privata testimoniano di una persona sempre alla ricerca di qualcosa di diverso, con intraprendenza e fantasia…

Guerrino o Raffaele? Già dal doppio nome («Mio padre mi mise Guerrino in Comune e Raffaele in chiesa. Fu un casino tutta la vita fare i documenti… è stata una battaglia anche questa, una piccola guerra nella grande guerra…») si nasconde la dualità del personaggio, di un neonato Giano Bifronte che, allora involontariamente poi volontariamente, non intende farsi riconoscere preferendo svoltare all’improvviso passando da una strada a un viottolo, accompagnando preferibilmente il cambio di direzione con una risata.

Famiglia di origini sarde, padre maresciallo dei Carabinieri che, con la moglie casalinga, approda a un certo punto a Bologna. Qui nasce il 24 maggio del 1925 Raffaele (questo è il nome che lo consegna alla storia dello spettacolo e questo sarà). Lui consegnerà al figlio Antonio (attore, sceneggiatore, regista) una lunga testimonianza un paio d’anni prima di morire, a 92 anni compiuti. A camera fissa che lo inquadra, nella tavernetta del buen retiro di Imola, dove sta trascorrendo gli ultimi anni della sua vita accanto all’ultima moglie Leda Martellini, avvolto dal frinire delle cicale che fanno la colonna sonora dell’estate, fuma perché il medico gli ha «consigliato di non smettere», e disegna. Intanto parla ed estrae ricordi dal cilindro. E deve esordire naturalmente con uno sberleffo: «Quando son nato? E chi se lo ricorda più…». Poi riparte serio srotolando la pellicola di una vita da film. Dunque Bologna, il 24 maggio del 1925. Flash-back, Pisu bambino. Primo co-protagonista con cui si trova a lavorare: Benito Mussolini. Antefatto: il fratello più grande, Mario Pisu, è già attore, a Roma. Voce radiofonica, sul set nell’epoca dei Telefoni Bianchi (Passaporto rosso, Noi vivi, Lettere al sottotenente, La locandiera tra i titoli anteguerra, nel “post” sarà ricordato soprattutto per i due ruoli con Fellini in Otto e mezzo e soprattutto Giulietta degli spiriti). Mario ha seguito la vocazione contro il parere paterno: «Scappò di casa perché mio papà non voleva assolutamente facesse l’attore, perché ai tempi dei tempi per un maresciallo dei carabinieri un figlio attore significava cocaina, donne…». Dunque, prima partecipazione comica sul palcoscenico della vita.

«Andai a trovare mio fratello a Roma, a Cinecittà, avevo 10 anni, venivo da Bologna, dalla provincia… E stavano girando un film, c’era Maria Denis… Cinecittà era deserta in quel momento, c’era solo questa produzione. A un certo momento sentii dalle maestranze che arrivava Mussolini in visita. Io, ragazzino, Balilla, 10 anni, all’idea di poter vedere Mussolini… corro davanti allo stabilimento e lo vedo arrivare con tutti i federali dietro. Arrivato alla mia altezza faccio il saluto romano e lui mi guarda bonariamente. Corro immediatamente verso l’altro teatro di posa dove Mussolini stava andando: di nuovo il saluto romano e Mussolini cominciò a guardarmi un po’ così… vedevo già i gerarchi che parlottavano fra loro. Corro al terzo capannone dove stava arrivando Mussolini. Mi rimisi in posa, salutai e a quel punto si staccò dal corteo uno che poi ho scoperto essere Starace: mi guardò un momento, si avvicinò e mi disse: “A ragazzi’, non rompere i coglioni, vai via eh…”. Sai a Mussolini a un certo punto facevano vedere sempre gli stessi aerei: 50 a Pisa poi andavano a Palermo e avevano trasportato lì gli stessi 50 aerei. Allora, vedere sempre lo stesso ragazzino vestito da Balilla poteva generare il dubbio che ci fosse solo quello…»

Il duetto comico funziona benissimo, i tempi teatrali sono quelli giusti, si tratta solo di capire chi è il protagonista e chi la spalla, ma direi che non ci siano dubbi: il ragazzino vestito da Balilla è il protagonista, Mussolini la spalla. Dopo l’uscita di Starace, dettaglio sulla faccia perplessa del Duce, risate in sottofondo mentre la parola “fine” appare sul primo piano del piccolo Balilla. Del resto è una legge dello spettacolo: mai recitare con un cane o un bambino, finiranno inesorabilmente per rubarti la scena.

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