Yohji Yamamoto I’m a cutter not a couturier
When someone tells me: — Yohji, I want to wear your clothes —. I answear him: — Beware, don’t trust on me. It’s not so easy —. Quando qualcuno mi dice: — Yohji, desidero portare i tuoi vestiti —. gli rispondo: — Attento, non fidarti. Non è così semplice —. Yohji Yamamoto
Indice
Introduzione
Microbiografia
Principali linee
Y’s | Y’s Red Lab Yohji Yamamoto Yohji Yamamoto+Noir Y-3 Y’s for Living
Overview
Come il suono in una mano sola L’ispirazione Il mio sogno è disegnare il tempo Giocare con i limiti: una moda dell’eccesso
Temi Punti cardine del modus lavorandi
Nero, ombra finale e forma di tutto Il nero contro il rosso | aria Uniformi: abiti ispirati dalle uniformi Il non finito Disequilibrio asimmetrico Oversize
Yohji words
Intervista
Collaborazioni
Appunti di viaggio sui vestiti e le città Cinema, musica, teatro e sport Limi Feu Yamamoto
Preview
Yohji Yamamoto Fall 2008 Fall Winter 2008/09 is Coming-soon
Apparati
Biografia Bibliografia consultata
Introduzione
I happen to have beeen born in Japan, but i’ve never been labeled myself in that way.
Microbiografia
è successo che io sia nato in Giappone, ma non mi sono mai etichettato in quella maniera.
Formazione Si laurea in legge all’Università di Keio nel 1966. Studia alla prestigiosa scuola di moda giapponese Bunka Fashion College di Tokio tra il 1966 e il 1968, vincendo i premi Endu e Soen, guadagnandosi un’esperienza/viaggio a Parigi tra il 1968 e il 1970.
Yohji Yamamoto
Yohji Yamamoto nasce in Giappone a Tokio nel 1943.
Carriera _ Designer, sarto su misura a Tokio, dal 1970; _ fonda una società di “Ready to Wear” Y’s nel 1972; prima sfilata a Tokio nel 1977; _ debutta con la collezione pret a porter a Parigi. La linea Yohji Yamamoto debutta lo stesso anno, 1981; _ fonda la Yohji Yamamoto Inc. e nello stesso anno lancia la sua linea pour homme, 1984; _ fonda la Yohji Yamamoto Design Studio a Tokio nel 1988, quindi apre una boutique a Parigi. Collabora con Wim Wenders al film “Appunti di viaggio sui vestiti e le città”. Firma i diritti con Patou per una linea di profumi nel 1994; _ primo profumo per donna Yohji, debutta a New York con la collezione donna, 1996; _ apre un nuovo negozio a Londra, 1997; _ secondo profumo da donna Yohji Essential, 1998; _ primo profumo da uomo Yohji, apre la sua prima boutique indipendente nel quartiere di Soho a New York, 1999; _ pensa ad una linea di cosmetici nei primi anni del 2000; viene nominato direttore creativo di Adidas Sport Style creando la linea Y-3, luglio 2002; _ debutta nei circa 290 punti vendita della catena giapponese, una linea di abbigliamento che lo stilista ha disegnato per i negozi Muji, primavera 2003; _ prime mostre internazionali: “Corrispondenze”, Palazzo Pitti, Firenze. “Juste des Vêtements”, Musée de la Mode et du Textile a Parigi, 2005; _ esposizione “Dream Shop”, Momu di Anversa, 2006; _ collaborazione tra lo stilista e lo storico brand di calzature Dr. Martens, 2007; _ lancia Coming-Soon una linea di abiti e accessori casual ultrasofisticati, inverno 2008.
Mostre “New Wave nella moda. Tre designers giapponesi”, Phoenix Art Museum, Arizona, 1983; “Il tempo e la moda”, Biennale di Firenze con un intervento creativo nella mostra “New Persona” e “New Universe”, 1996; “Anti-fashion” Victoria and Albert Museum, Londra, 2003; “Juste des Vêtements”, Musée de la Mode et du Textile, Parigi, 2005; “Corrispondenze”, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze 2005/2006; “Dream Shop”, Momu Belgio, 2006. Filmografia “Notebook on Cities and Clothes” di Wim Wenders, 1989; “Brother” di Takeshi Kitano, 2000; “Dolls” di Takeshi Kitano, 2002; “Zatoici” di Takeshi Kitano, 2003. Libri “Talking to Myself”, Carla Sozzani Editore, 2002. Premi “Fashion Editors Club Award”, Tokyo, 1982; “Mainichi Grand Prize”, 1984; “Master of Design”, Fashion Group International, 1997; “Arte e Moda”, Pitti Immagine, Firenze, 1998; “The International Award from the Council of Fashion Designers of America” (CFDA) New York, 1999; Premiato dall’Ordine della Cultura Giapponese, 2004. Indirizzo San Shin Building 1, 1-22-11 Higashi Shibuya-ku, Tokyo, Japan. Web site www.yohjiyamamoto.com.jp www.adidas.com/y-3 www.ysforliving.co.jp www.muji.com www.limifeu.com www.ysmandarina.com www.coming-soon.com
Introduzione
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Introduzione
1 Maglia asimmetrica scanalata in jersey con maniche extra-long, catalogo Yohji Yamamoto, Fall 1992/93; abito, catalogo Yohji Yamamoto Spring 1985.
3 Giacca lunga con coda “gazza” dalla collezione “Tango”, catalogo Yohji Yamamoto Fall 1985/56; cappotto drappeggiato in velluto di lana rossa.
2 Cappotto lungo in panno marrone rossiccio sopra gonna in panno nero, catalogo Yohji Yamamoto, Fall 1988/89; vestito-bustino e largo cappello in raso di seta satin gialla, catalogo Yohji Yamamoto Spring 1985.
4 Effetto di rosso scarlatto e nero. Vestiti di fodera lunghi con maniche intere e confusioni di tulle rosso; ritorno al classico per l’abito di gabardine nero portato su camicia di cotone bianco, catalogo Yohji Yamamoto Spring 1997.
5 Work in progress nel laboratorio di Yamamoto a Tokio.
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6 Disegno di Yamamoto per la collezione “Bambole Russe”, Fall 1990/91; giacca con baschina su gonna reversibile di lana, Fall 1997/98. 7 Completo in seta di chiffon bianca, catalogo Yohji Yamamoto Spring 1997; catalogo Yohji Yamamoto Fall 1986/87. 8 Abito due pezzi in lana nera di gabardine, Fall 1995/96; catalogo Yohji Yamamoto Fall 1987/88.
9 “Kimono” cappotto/vestito, Spring 1995/96. 10 Yohji Yamamoto a Parigi intento nell’ultima revisione dell’ordine di uscita dei vestiti per la sfilata Spring 1991.
Introduzione
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Principali linee
1 Capppotto lungo reversibile in lana color ruggine e rete nera, catalogo Yohji Yamamoto Fall 1995/96; ampio cappotto con effetto schiacciato, catalogo Yohji Yamamoto Fall 1984/85.
3 Cappotto rivestito in stoffa di lana nera con tessitura chiazzata; catalogo Yohji Yamamoto Fall 1995/96; stola verde oliva in stoffa di lana, catalogo Yohji Yamamoto Fall 1988/89.
2 Lunga giacca in pelle con maniche in lana su maxi gonna drappeggiata, Fall 2008.
1970
1980
1990
2000
1971 Fonda la Y’s Company Ltd.
1984 Fonda la Yohji Yamamoto Inc. e lancia la prima linea Yohji Yamamoto pour homme
1995 Yohji Yamamoto + Noir
2002 Linea Y-3 per Adidas
1996 Yohji, primo profumo per donna
2004 Y’s for living Inc.
1972 Y’s 1979 Y’s for men
1998 Yohji Essential, secondo profumo per donna 1999 Yohji, primo profumo per uomo
2007 Y’s Mandarina 2008 Coming-soon
Principali linee
I’ve already reached a goal. I’m enjoying the rest of my life. Now it’s time to enjoy time, time to spend time. Ho già raggiunto un obbiettivo. Mi sto godendo il resto della mia vita. Ora è il momento di godersi il tempo di spendere tempo. Yohji Yamamoto
Y’s Nel 1977 fu presentata la prima sfilata a Tokio. La collezione per donna rifletteva i tipici abbigliamenti maschili, dal momento che i vestiti erano tagliati in forme disordinate con tessuti lavati e colori scuri. Questi abiti esprimevano un’eleganza funzionale e una sobrietà che Yohji Yamamoto avrebbe riaffermato alcuni anni dopo con Y’s for men, la linea per uomo a prezzi moderati e di grande successo, fatta di un mix di vestibilità, parti integrate e separabili. Oggi, Y’s e Y’s for men sono brands affermati come abbigliamento pratico di tutti i giorni “Ready to Wear” oltre i limiti della moda e delle tendenze fluttuanti. Y’s for men include inoltre Y’s for men shirt e Y’s Red label, linee e tessuti raffinati che sono direttamente ispirati al guardaroba di Yohij Yamamoto, disponibili solo in Giappone.
Y’s
Y’s for men
Y’s S/S 2007
Y’s for men S/S 2007
Y’s Red label
Principali linee
Collezione Red label 2008
Yohji Yamamoto Nel 1981 Yamamoto presentò a Parigi la sua prima linea sperimentale e idiosincratica Yohji Yamamoto pour femme e nel 1984, continuò con la prima presentazione della linea Yohji Yamamoto pour homme. Il tessuto è sempre alla base del suo design e la posizione predominante dell’abito è quello che meglio definisce la sua concezione di silhouette, passando da uno stile destrutturato e ampio ad uno più strutturato e aderente alla silhouette stessa, attraverso uno spirito del vestire più fasciato. Queste due linee sono da intendersi come Ready to Wear di lusso.
Yohji Yamamoto pour femme
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1 Spring 2008, Ready to Wear. 2, 3 Fall 2007, Ready to Wear. 4 Spring 2007, Ready to Wear.
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5, 6, 7, 8 Fall 2008, Ready to Wear.
Yohji Yamamoto pour homme
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Principali linee
7, 8 Anteprima 2008 9 F/W 200 10 F/W 2007/08
Yohji Yamamoto+Noir Collezione Ready to Wear per donna basata su pezzi classici e senza tempo della linea Yohji Yamamoto. Ogni stagione una parte della collezione cambia, mentre l’altra rimane la stessa. Yohji Yamamoto+Noir è quasi del tutto realizzata in nero con una insolita interpunzione di colori brillanti.
Yohji Yamamoto + Noir
Spring 2008, Ready to Wear.
Yohji Yamamoto + Noir
Principali linee
Spring 2008, Ready to Wear.
Y-3 Reinterpretazione delle classiche tre strisce, simbolo del brand Adidas su sciarpe, maglioni e t-shirt. Grande spazio anche al logo Y3 che compare principalmente su cappellini, borse e scarpe. Yohji Yamamoto è riuscito a fondere l’anima fortemente sportiva del marchio, con un’innovazione modaiola che gli regala un nuovo accento fashion. Sport, ed eleganza si fondono assieme per trasformarsi nell’essenza più profonda della filosofia di Y-3. Tessuti sportivi mescolati ad altri eleganti, colori scuri abbinati a tinte forti, disparate lunghezze combinate in multistrati azzeccati, mix materico che accoppia lana, pelle, nylon e gomma per dar vita ad una collezione adatta ad ogni fase delle giornata.
Y-3
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1, 5 Spring 2007. 2, 3 Spring 2008. 4 Fall 2006.
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6, 10, 12 Fall 2007. 7, 8 Fall 2008. 9, 11 Fall 2006.
Y-3
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Principali linee
13 Fall 2008. 14, 17 Fall 2007. 15 Spring 2007. 16 Fall 2006.
Y’s for living Linea di accessori, tessuti e complementi per la casa tutti rigorosamente pensati secondo la filosofia minimale ed essenziale della cultura giapponese.
Y’s for living
Abbigliamento e accessori
Y’s for living
Complementi d’arredo
Fabric is everything. Often I tell my pattern makers. — Just listen to the material. What is it going to say? Just wait. Probably the material will teach you something, so you have to study waiting, how to wait, how to listen —. But it’s very hard for them, because the pattern maker’s job is cutting – breaking. They can’t wait. Il tessuto è tutto. Lo dico spesso ai miei modellisti. — Ascolta semplicemente il materiale. Che cosa sta dicendo? Rimani in ascolto. Probabilmente il materiale ti insegnerà qualcosa, così devi studiare aspettando, come aspettare, come ascoltare —. Ma è molto difficile per loro, perchè il lavoro del modellista è tagliare – rompere. Non possono aspettare. Yohji Yamamoto
Overview
Overview
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1 Spring 2008, Ready to Wear. 2, 3 Fall 2008, Ready to Wear. 4 Yohji Yamamoto.
Come il suono in una mano sola Yohji Yamamoto, nel mondo della moda, è fra i pochissimi che mette d’accordo tutti: è facile sentire il suo lavoro vicino a quell’innovazione che non prescinde mai dall’invenzione, a quello spirito che sa andare oltre la creatività. Cercare di capire l’essenza di Yamamoto è come cercare di capire qual’è il suono della mano sola ricercato da un noto indovinello Zen, un’enigma insolubile razionalmente che spiega come la mano stessa sia il suono, in quanto esiste prima di quest’ultimo e ci sarà anche dopo, oltre che durante. Yohji Yamamoto è un apripista del pensiero senza pari, e non si cura granchè dei percorsi commerciali per sviluppare quello che vede molto, molto prima degli altri. I suoi tempi di “incubazione” diciamo così, a volte sono lunghi, e possono essere inizialmente oscuri anche per chi lo conosce bene. Nelle sue creazioni, Yamamoto rivoluziona il rapporto tra capo e persona, rendendo incorporeo il corpo di quest’ultima. L’uomo e la donna diventano una semplice struttura al servizio del loro animo più profondo: la loro specificità di esseri umani, il loro stile di vita, più che i loro corpi, vengono proiettati sull’abito. Le geometrie, i tagli delle linee di vestibilità per i quali Yamamoto è famoso sarebbero puro esercizio accademico, se dietro non ci fosse questa intenzione/invenzione continua a farne altre creature. Quella di Yohji è una dimensione a tutto tondo non una interpretazione reale o una semplice de/ricostruzione degli elementi per dare di questi nuove letture. Si pensi al suo utilizzo del nero, alle sue sovrapposizioni di strati e raddoppi di capi, alla ripresa di altri contesti nella loro interezza, non tanto per farne una citazione o una provocazione. Anche certi particolari minimi, per esempio alcune losanghe di cardigan, al tatto come alla vista sembrano punti di passaggio verso un’altra dimensione che una volta indossati sono la dimensione stessa. — I’m a cutter, not a couturier — ha detto una volta Yamamoto, ed è questa frase probabilmente il suo modo più semplice per definire il suo stile di trattare tessuti e forme acute, vive ricche di armonia. Tagliatore si, ma nel modo in cui uno scrittore vuole essere diretto e non lasciare dubbi: pochissimi aggettivi, vocaboli scelti con cura estrema. Yohji Yamamoto ci mostra in modo chiaro che la creatività è una: basta essere in grado di sentire il suono di una mano sola e meravigliarsene ogni volta, sempre.
Overview
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5 Spring 2006, Ready to Wear. 6 Fall 2008, Ready to Wear. 7 Fall 2006, Ready to Wear.
For me, the essence of a women is in her joints. Like a delicate molecular structure resembling a bunch of cherries, when you move one end in one direction, the other moves in the opposite direction. These very slight changes, a fleeting expression, the very instant before it vanishes. For me, a women is a kind of extremely subtle mechanism. Per me l’essenza di una donna è nelle sue articolazioni. Come una piccola struttura molecolare che assomiglia a un grappolo di ciliegie, quando muovi un capo da una parte, l’altro si muove nella direzione opposta. Cambiamenti molto delicati, un’espressione fugace, il momento preciso prima che svanisca. Per me una donna è una sorta di meccanismo estremamente sottile. Yohji Yamamoto
Overview
L’ispirazione Partecipe della sensibilità pionieristica che è emersa sulle passerelle parigine nei primi anni ottanta, Yohji Yamamoto ha un approccio filosofico nei confronti della moda che lo rende interessato a qualcosa di più che a coprire il corpo: ci deve essere una sorta di interazione fra il corpo, colui che indossa e il designer. Con Issey Miyake, Rei Kawakubo e Juniya Watanabe, Yamamoto esplora nuovi modi di vestire, sintetizzando gli archetipi del vestire occidentale e gli abiti tradizionali giapponesi. Rifiutando di accettare le idee tradizionali della donna come uno specchio della sessualità e reagendo al concetto occidentale di glamour femminile espressa negli abiti attillati e avvolgenti, Yamamoto adotta un modo di stratificare, drappeggiare e abbracciare il corpo, mascherandolo con abiti sobri, destrutturati, svuotati, basati sul kimono, che ignora gli usuali punti di accentuazione. Senza compromessi nei confronti degli occhi occidentali, Yohji infatti investiga la convinzione tradizionale giapponese che la bellezza non è data naturalmente, ma espressa attraverso la manipolazione delle possibilità dei colori e dei materiali che costituiscono l’abito. Di conseguenza la costruzione degli abiti di Yamamoto viene vista nel cerchio più che nella verticalità, non dal collo in giù come nella moda occidentale, ma con un approccio rettilineo e a due dimensioni che esplora la fascinazione visuale dell’asimmetria, la nozione del pittoresco, che gioca una parte importante nella filosofia del disegno giapponese dove le forme irregolari sono apprezzate per la loro mancanza di artificio e per la loro maggiore vicinanza alla natura. Perciò gli abiti di Yamamoto hanno strane falde, tasche e strati, collari e orli ellittici, pensati per il corpo in movimento, e le etichette all’interno portano la scritta “Non c’è nulla di più noioso di un look piatto e scialbo”. Non riferendosi alla moda occidentale ma ad un archetipo fisso del vestito giapponese che è stato sviluppato e raffinato nel corso di secoli, Yamamoto produce una contro-moda, abiti non direzionali che ignorano lo sviluppo occidentale del profilo ma che influenzano i designer occidentali a loro volta. La bellezza è più indefinibile, e va ricercata nell’intreccio dei materiali più che nelle decorazioni applicate, con l’uso di tessuti come il cotone, lino e il rayon che sono stati scelti deliberatamente per la loro apprezzabilità nelle pieghe e nelle superfici di ordito e di trama. Come molti designers giapponesi Yamamoto è interessato all’evoluzione e allo sviluppo di nuovi materiali. La sorgente primaria di Yamamoto è idiosincratica e deriva da una vasta biblioteca che usa come ispirazione. Un libro a cui fa
Overview
costantemente riferimento è una collezione di fotografie di August Sander, un fotografo progressista di Colonia dei primi anni venti del 1900, che raccoglie un ampio campionario di diversi gruppi sociali, dai contadini agli artigiani, operai, studenti, professionisti, artisti e uomini politici chiamati a svolgere il delicato ruolo di testimoni e archetipi della loro epoca. Ciò che sorprende in queste fotografie è l’atteggiamento dei personaggi così apparentemente distaccato dall’istante dello scatto, come se l’espressione delle persone così riprese fosse conforme all’idea che quelle avevano di sé, di ciò che in loro è più tipico, anziché l’adozione di una posa per loro più vantaggiosa ma al tempo stesso più artefatta. Lo stesso Sanders diceva: — Queste persone delle quali io conoscevo le abitudini fin dall’infanzia mi sembravano, anche per il loro legame con la natura, designati apposta per incarnare la mia idea di archetipo. La prima pietra era così posta, e il tipo originale servì da referente per tutti quelli che ho trovato in seguito per illustrare nella loro molteplicità le qualità dell’universale umano —. Yamamoto ne interpreta l’essenza, ispirandosi anche ai vestiti di uso professionale come quelli protettivi, usati per esempio, nelle fabbriche dalle donne che producevano munizioni negli anni quaranta. Il risultato è la riproduzione del cappotto a risvolti di Jean Paul Sartre scoperto in una vecchia fotografia di Cartier-Bresson. — Le persone scelgono i miei vestiti come forma di affermazione — ha spiegato Yohji Yamamoto riassumendo nello stile laconico che ci è diventato familiare negli ultimi venti e più anni. Per questo non si tratta della solita opulenza della haute couture, o la smagliante brillantezza del prêt-à-porter e nemmeno della futuristica visione dell’avanguardia. Ciò che è diventato chiaro, gradualmente ma in maniera inesorabile, mentre seguivamo la risposta dei designer giapponesi ai grandi archetipi della moda, è stata una scelta di un vocabolario neutro, di una tavolozza semplificata, la potente ed essenziale differenza dello stile Yamamoto. Un approccio che, mentre prende in considerazione il contributo della moda parigina e indubbiamente nei costumi tradizionali giapponesi, tuttavia la interpreta in maniera molto libera per esporre nuovi ambiti di potenziale creativo nel dominio della moda e in tutti i suoi modi e manifestazioni. Negli anni cinquanta, i sarti d’alta moda regnarono in maniera incontrastata, ma nella decade successiva si ritrovarono a combattere con il successo crescente degli stilisti i quali ebbero molto più a che fare con la promozione dei nomi di grandi brand ndustriali, diventando il fulcro di una generazione che acquisì il
inome di giovani creatori essenzialmente stabilitisi a Parigi, e più tardi in Italia. Fra il 1965 e il 1985, un’intera varietà di tendenze fiorì brevemente nel prêt-à-porter incontrando sconfitte o vittorie, ma restando comunque ispirata dai sarti di grande nome e dai designer fuori dagli schemi. Era essenzialmente un movimento chiuso in se stesso, bizzarro e stravagante nelle sue tradizioni, e il suo grande successo causò la perdita di brillantezza creativa e novità. Nei primi anni ottanta, fu superato dalla nuova ondata dei cosiddetti concettualisti. Questo termine, acquisito dalle arti plastiche, si riferiva ad un ritorno all’arte concettuale degli anni sessanta, i cui protagonisti cercarono di rimpiazzare il lavoro dell’arte stessa con il proposito di darle rilievo, sostenendo il processo della sua gestazione, l’analisi dei suoi concetti e dei suoi effetti. In altre parole e più precisamnete, il tipo di affermazione a cui Yamamoto trova riferimento. Tuttavia l’arte concettuale è spesso stata catalogata come elitaria ed introversa, infatti i suoi frequentatori erano preoccupati di trovare dei punti in comune con il loro pubblico cercando ispirazione nel mondo reale. Oggi, dopo quasi 30 anni, la moda sta trovando la sua strada attraverso l’esperienza di questi artisti (con la differenza che gli artisti originali non erano obbligati ad operare all’interno di un’economia di mercato). Persino Marcel Ducamp è fonte di ispirazione, dal momento che è l’esplosivo rappresentante del Minimalismo, ma anche le opere di Reinardt o le strutture primarie di Donald Judd, Sol Lewitt e Carl André. E anche l’arte povera con le sue accumulazioni, gli assemblaggi di Jannis Kounellis, Mario Merz, Giulio Paolini… Questi movimenti nell’arte contemporanea rappresentano tutti un tentativo di lavorare con la vita di ogni giorno. Anche oggi, guardando con occhi nuovi una pila di pietre, un manifesto pubblicitario strappato, o le insegne al neon delle città, lo spirito è sempre lo stesso: trovare una strada per lavorare con l’immaginazione e al contempo liberarla nello spazio. Anche se non si spinge così lontano dal reclamare lo stato di artista, nel suo approccio agli abiti, Yamamoto mostra se stesso come essere eccezionalmente sensibile alle tendenze contemporanee - nella stessa maniera in cui i sarti delle generazioni precedenti avevano risposto al cubismo, ai balletti russi o alla Pop Art. L’arte povera si spinge ancora oltre, attraverso il suo rifiuto di essere sedotta dalle superfici liscie, dai colori Pop e dalla società dei consumi, optando invece per gli elementi basici che non vengono trasformati: scarti di legno, fango, gesso, carbone e così via. Nei ruggenti anni ottanta Yamamoto aproccia in maniera
comparata - uno dei pochi che cerca di rompere con una concezione fossilizzata di ciò che è l’abito - distruggendo i codici attraverso i quali gli abiti esprimono il loro appeal, ripensando ai segnali glamour spinti fuori dalla loro apparenza, ridefinendoli in relazione con il corpo maschile e femminile, ed infine - vicino all’incomprensibilità universale - reinterpretando radicalmente le rispettive concezioni del bello e del brutto, del presente e del passato, della memoria e della modernità. In questo atteggiamento rivoluzionario, un ruolo centrale viene giocato dal colore nero, il buio definitivo e la silhouette universale (arma segreta usata anche da Coco Chanel nei primi anni del novecento). Nella cultura giapponese è un colore tradizionalmente associato al contadino e allo spirito del samurai e per Yamamoto queste collezioni sono dei veri e propri inni all’oscurità, all’eliminazione dei gioielli, della decorazione e del dettaglio, che investe di mistero la sua idea di silhouette. In una società che glorifica ed esalta il corpo e lo espone alla vista, Yohji ha inventato un nuovo codice di modestia. Questa è una moda che non riconosce condizioni, è senza età e senza tempo attraverso abiti strappati da ogni tipo di artificiosa ostentazione, ridotti all’essenzialità: ad un concetto per un vestito, ad una proposta per una giacca ad una idea astratta di donna. A faccia a faccia con il declino irreversibile dei valori tradizionali di eleganza, Yamamoto li traspone in un estetico e tecnologico ambiente che è risolutamente contemporaneo.
Overview
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Overview
1, 2, 3, 4, 5 ritratti, August Sander, Germania, 1876/1964.
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8, 9 Pina Baush. 10 Dipinto, Kuniyoshi 1844/1848.
5 Fall 2005, Ready to Wear. 11 Spring 1998, Ready to Wear. 6, 7 Spring 2008, Ready to Wear. 12 Spring 2008, Ready to Wear.
Overview
Esplorando la storia dell’abbigliamento in tutte le sue principali variazioni, lo stile Yamamoto celebra e allo stesso tempo mette incessantemente in discussione il matrimonio ambiguo fra il duraturo e l’effimero. Fuori da ciò, come in tutti i momenti importanti nella moda, nascono i classici: forme contemporanee imbevute di un mondo di riferimenti storici che segretamente si perpetuano in forme sempre nuove. Yohji Yamamoto - il cui nome signifca ai piedi della montagna nasce nel 1943 in una Tokyo ancora devastata dalla seconda Guerra Mondiale, da bambino ed in seguito in età adolescenziale cresce nella più assoluta spartanità; l’unico supporto arriva dalla madre Fumi Yamamoto, una vedova di guerra che lavora sedici ore al giorno come sarta. La prima donna in nero della sua vita. Niente elettrodomestici in casa e nessun vizio d’alcun genere, nemmeno quando giunge la tanto attesa ripresa economica. Fu l’irresistibile lusso sprigionato dal circo della moda ad accarezzare la sua curiosità ed infine convincerlo ad abbracciare un mondo tanto lontano dal suo. Dapprima si iscrive alla Keiko University e con poco entusiasmo cerca di frequentare le élite giapponesi, di adottare i suoi codici e di programmare i suoi obiettivi. Con la costernazione della madre, alla fine, decide di ritornare e di lavorare nel suo negozio... e tutto ciò che i clienti vogliono sono solo copie schiavizzanti dei modelli parigini. Riesce ad entrare con non pochi sacrifici al prestigioso Bunka Fashion College (www.bunka-fc.ac.jp) tutt’oggi faro dell’istruzione artistica mondiale che ha dato i natali a designer del calibro di Kenzo, Atsuro Tayama e in tempi recenti Junya Watanabe ed il giovanissimo Nigo creatore del cult brand “A Bathing Ape”. Gli anni passati al Bunka furono difficili per Yamamoto, pieni di umiliazione e risentimenti dovuti anche al fatto che era l’unico ragazzo e l’allievo più vecchio della scuola. Nel 1972 debutta nella capitale giapponese con la sua prima collezione che battezzerà Y’s, ma non soddisfatto dell’ambiente che lo circonda, che reputa eccessivamente noioso e borghese, lascia Tokyo per Parigi insieme al suo amico d’infanzia Rei Kawabuko, creatore del marchio Comme des Garçons. — Arrivato a Parigi ho dovuto faticare non poco per poter riuscire ad impormi — racconta Yamamoto — mi sono dovuto scontrare con mille difficoltà; in primis la lingua e in seguito il perbenismo europeo, shockato dalle mie creazioni —. Il debutto sulle passerelle giunge solo dopo alcuni anni; in un periodo pieno di solarità per la moda, Yamamoto sconvolge gli addetti ai lavori proponendo una moda alternativa ai soliti binari, con la chiara intenzione di rivoluzionare una volta per tutte le regole del gioco. — Era un obbiettivo che ci siamo
Overview
dati Rei ed io, volevamo andare contro ogni convenzione —. E ci riuscirono pienamente. La prima collezione presentata a Parigi nel 1981 viene battezzata dalla critica come “post-atomica” e “da fine del mondo”, proponendo tagli indefiniti, grandi squarci all’interno dei tessuti e soprattutto nero, tanto nero solo raramente spezzato dal bianco e dai toni del grigio. Mentre la moda europea si concentrava a seguire le morbide curve del corpo femminile, il duo giapponese esplorava territori assai differenti, ignorando i contorni del corpo ed enfatizzando su un design geometrico. Inneggiando alla semplicità e alla funzionalità delle linee, portano sulle passerelle il ricordo antico della loro tradizione come le forme squadrate dei kimono ed il peso di un passato storico, grigio come il colore dei loro abiti. Le loro opere gli valsero il titolo di ribelli della moda, nonché di “Re della decostruzione”. Libération scriveva: — la moda francese ha incontrato i suoi dominatori: i Giapponesi —. Sotto comparivano le seguenti parole profetiche scritte da Michel Cressole: — gli abiti che ci offre di indossare nel 1982 nei prossimi vent’anni saranno infinitamente più contemporanei di quelli proposti da Cardin e Courrèges nel 1960 per gli anni 2000, che oggi ci appaiono così vecchi come un film sovietico in bassa risoluzione. I sarti francesi hanno per troppo tempo fatto attenzione a rettificare moda e scienza come un periodo di orrore. Gli stilisti giapponesi al contrario preparano le donne del pianeta terra ad essere capaci di decidere in un’istante i vestiti e gli accessori da indossare quando hanno solo mezz’ora per prepararsi —. Una volta che le loro strade si separarono, agli inizi degli anni ‘90, Kawabuko cominciò finalmente a sperimentare con i colori, mentre Yohji continuò ad optare per il nero ed i toni scuri. Non tutto però rimase invariato; con l’inizio di una nuova decade, Yamamoto cominciò sempre di più a concentrarsi sui tessuti, iniziando a mischiare i filati tecnologici alle materie nobili per conferirgli una consistenza del tutto originale. Un uomo d’affari oltre che un talento creativo,- anche se ha sempre dichiarato di non essere interessato ai soldi, e al tempo ne aveva veramente pochi- Yamamoto si trova ora a capo di otto società. Ora è sua madre a lavorare per lui. Fu nel 1984 che lanciò il suo attacco all’ultimo bastione del conservatorismo: l’abito da uomo. Per creare un compagno adeguato per il suo concetto di donna, l’abito in tre pezzi
e le sue associazioni di formalità da robivecchi doveva andarsene. Prototipi di vestiti fluidi e disciplinati, capolavori di understatement li rimpiazzarono. Camicie bianche con una severità immacolata di autoritarismo, che incarnano l’architettura del neo classicismo. Cappotti e spalle strette, giacce a tre bottoni, pantaloni attillati al ghinoccio e fermi su un paio di scarpe nere lucidate. Per quindici anni fino ad oggi, la tendenza è stata irreversibile, questo è stato il look per l’uomo. — Se la moda si occupa di vestiti allora non è indispensabile. Ma se la moda è la maniera di guardare alle nostre vite quotidiane, allora è indubbiamente importante. Delle cosidette arti solo alcune possono influenzare le persone nella maniera in cui lo fa la moda o la musica. La moda è una maniera fondamentale e unica di comunicazione che ha a che vedere con i sentimenti di una generazione che veste gli abiti che ha scelto —. Yamamoto è il più filosofico e il più saggio dei designers di moda, forse l’unico che appare spesso il più disilluso. — Fare un vestito significa pensare alle persone. Sono sempre contento di incontrare le persone e parlare con loro. è ciò che amo di più di ogni altra cosa. Che cosa stanno facendo? Che cosa stanno pensando? Come conducono le loro vite? E poi mi posso sedere a lavorare. Comincio con i tessuti, la materia effettiva, la sua sensazione. Poi, mi muovo verso la forma. Possibilmente ciò che conta di più per me è la sensazione. Poi quando comincio a lavorare sulla materia penso alla maniera che la forma dovrebbe assumere. La costruzione di tutti gli abiti di Yamamoto comincia dai due punti appena sotto alle scapole. Da lì il vestito cade nella maniera migliore, permettendo al tessuto di prendere una sua propria vita —.
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13, 14 Spring 2006, Ready to Wear. 15, 16 Spring 2008, Ready to Wear.
I’m not simply working for fashion. I am searching for beauty and trying to touch history with clothes. I believe strongly in what I am doing because I am sincere in my fascination with women’s beauty. Non sto lavorando solamente per la moda. Sto cercando la bellezza e provando a toccare la storia con gli abiti. Credo fortemente in quello che sto facendo, perchè la mia è un’attrazione sincera nei confronti della bellezza femminile. Yohji Yamamoto
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1 Fall 1988, Ready to Wear. 2 Spring 1994, Ready to Wear. 3 Spring 2000, Ready to Wear. 4 Fall 1993, Ready to Wear.
Il mio sogno è disegnare il tempo Quando il primo vestito di Yamamoto si insinuò nel brillante, strutturato e super accessoriato mondo del prêt-à-porter di Parigi negli anni ottanta, la sua linea era la vestibilità larga. Il vestito stava distante dal corpo, lo distanziava delicatamente e sebrava apparentemente non toccarlo mai. Spesso scuro e opaco nel colore sembrava stare in piedi da solo. Di una severità positivamente medioevale, aveva un’apparenza di seconda mano che spinse alcuni a definirlo post punk (il grunge era ancora ad anni luce di distanza). Sembrava vissuto come se avesse assunto una patina con il passare del tempo, come quegli oggetti nel nostro guardaroba che sono diventati i nostri favoriti e speciali. A Wim Wenders che ha fatto un film su di lui, Yamamoto ha confidato: — il mio sogno è disegnare il tempo —. Un pensiero va a tutte quelle mantelle oversize, cappotti destrutturati e giacce asimmetriche. — La simmetria, il simbolo della perfezione non è sufficientemente umana —. Ed è precisamente l’umanità che il maestro delle forbici e del tessuto cerca per la sua ispirazione - agli abiti da lavoro di centinaia di figure anonime, o a quegli uomini e donne della Germania centrale che posarono per il fotografo August Sander negli anni a cavallo tra le due guerre -. Un vestito che diventa tutt’uno con la persona che lo veste, così tanto parte di lui stesso che è totalmente soggetto alla forza della sua personalità. — Che una stagione della moda sia o no interessante non dipende dal designer ma da coloro che la vedono e la comprano —. E cosa c’è di giapponese in tutto questo? Yamamoto come cittadino del mondo riconosce il suo debito alla storia della moda e in particolare a tutta l’archeologia della sartoria. Ma si rifiuta di identificare se stesso nei termini delle sue origini est asiatiche. — L’influenza giappponese? Semplicemente non mi interessa. è successo che io sia nato in Giappone ma non mi sono mai etichettato in quella maniera —. Tuttavia è difficile non vedere nelle pieghe continue con cui Yamamoto drappeggia i suoi corpi, nella eternità della sua creazione, e nella modestia e ristretezza dei suoi manichini l’effetto di una tradizione così particolare. Lo stesso mistero e silenzio, la stessa qualità dell’astrazione dei kimono di seta giapponesi... e poi c’è quella parte restante di mondo che trova così affascinante - fra il semplice e il sofisticato, fra i materiali naturali e l’avanguardia tecnologica, fra l’impero dei sensi e la discrezione temperata dei sentimenti. Sono proprio questi paradossi che vengono espressi senza
l’elaborazione degli aneddoti, nella persona di Yamamoto e nel suo lavoro come un autentico sarto della vita di tutti i giorni. è uno di quei pochi designer che hanno contribuito a far nascere una duratura trasformazione nell’apparire dell’uomo e della donna degli ultimi anni del ventesimo secolo. All’alba del terzo millennio che sta lentamente uscendo dalla sua conchiglia, il designer solitario ha coltivato il suo terreno facendo della casa Yamamoto un brand name. Il fatto che abbia ricevuto il Premio Internazionale nel 1999 dal CFDA per il suo lavoro lo prova. Nonostante non definirebbe mai la moda come un’arte, gli Stati Uniti lo hanno definito “un’artista” garantendogli un prestigioso premio e organizzando mostre sul suo lavoro e così in Italia, in Francia a Parigi, in Belgio e in molte altre città del mondo. Da qualche parte fra Oriente ed Occidente, il suo spirito cattura le essenze, le contraddizioni e le passioni del nostro tempo.
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5 Spring 1998, Ready to Wear. 6 Fall 2007, Ready to Wear. 7 Fall 2000, Ready to Wear. 8 Spring 2008, Ready to Wear. 9 Fall 2008, Ready to Wear.
Making clothes is a painful process. Every snip of the scissors is painful. That’s why I set myself limits. Fare vestiti è un procedimento doloroso. Ogni colpo di forbici è doloroso. è per questo che mi do dei limiti. Yohji Yamamoto
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Giocare con i limiti: una moda dell’eccesso Yohji Yamamoto e l’eccesso... al di là di questa personalità schiva e minimalista, ci potrebbe essere una figura più sovversiva e turbolenta la cui originale e sorprendente moda possa essere considerata un susseguirsi di frontiere sociali, visive e morali da essere oltrepassate una dopo l’altra? Una sorta di strada parallela al di fuori dei parametri consueti, una personalità che supera gli ostacoli del conformismo e dell’abitudine. Quando Yohji Yamamoto presentò le sue prime collezioni a Parigi nell’inverno 1981/1982, la moda dei trionfanti anni ottanta era caratterizzata da una forte scultura del corpo e dalla corsetteria, taglie aderenti, e silhouettes accentuate, un look che era altezzoso e aggressivo. In contrasto con queste dimostrazioni rumorose e abbaglianti di forza, le sue strane e nuove idee avrebbero proposto una nuova geografia del corpo. Le serene e trascurate linee avrebbero d’ora in poi delineato le frontiere di uno spazio fluttuante, per il quale in maniera cruciale, il profilo del corpo non avrebbe più costituito l’alpha e l’omega. Non ci sarebbe più stato né un inizio né una fine, dal momento che l’aria si era insinuata fra il corpo e il tessuto: una componente che per sua natura è intangibile, diventava una componente chiave del rapporto corpo/vestito, preparando la piattaforma per una nuova concezione di come la figura si sarebbe strutturata in rapporto ai volumi e all’equilibrio della massa corporea. In altre parole questa era allo stesso tempo una nuova concezione della relazione fra l’essere umano e lo spazio, e una nuova maniera di canalizzare energie e tensioni. L’abbigliamento secondo Yohji Yamamoto trovò una nuova faccia nel mondo della moda - un certo tipo di moda, che non aveva più un aspetto preciso e delineato -. Pensò di evitare di trasformare le sue creazioni in attrazioni da circo attraverso una continua sperimentazione. Perchè sebbene nel suo lavoro l’innovazione andava di pari passo con l’incomprensione, tuttavia la novità non era necessariamente senza una ragione. La forma dei capi, per quanto nuova e sorprendente poteva essere, rimaneva eminentemente vestibile a causa di questo incessante interrogativo sull’equilibrio. La continua esplorazione di nuovi territori diventava anche una spia di avvertimento nei confronti dei tic linguistici e delle abitudini chiuse su se stesse, come quando, durante la metà degli anni novanta, rivisitò la tradizione della sartoria francese con una incredibile passione e ne combinò le influenze con la cultura dell’abbigliamento asiatico.
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Queste creazioni, spesso descritte come “mutanti” - con le loro forme nuove, nuovi colori, nuovi tagli, nuovi materiali - e alleate con nuove forme umane, sembrarono incomprensibili se comparate con la mentalità e i valori culturali contemporanei occidentali all’inizio degli anni ottanta: cosa che indubbiamente le rese ancora più affascinanti successivamente. Qualunque sia stata la vera interpretazione, l’emergere di questa nuova moda non fu senza ripercussioni, perchè sconvolgendo le convenzioni comunemente accettate, il designer e i suoi vestiti difficili si scontrarono con le idee esistenti a proposito della figura, e di conseguenza della maniera in cui era rappresentata. è altresì da notare che anche molti fotografi contribuirono a dipingere l’universo di Yamamoto come promotore di un grande rinnovamento della fotografia di moda e di essere stato lo spunto per alcuni dei loro migliori lavori, molti dei quali rimarranno indubbiamente nella storia.
Il punto a cui Yohji Yamamoto ha sconquassato le fondamenta morali e culturali delle convenzioni non è così sorprendente se prendiamo in considerazione la sua personalità perpetuamente oscillante fra gesti misurati, un’intensa concentrazione in studio e un comportamento turbolento fuori di esso.
Questo riesame della forma e dell’immagine nel combattimento implacabile e quotidiano di Yohji Yamamoto contro la tradizione appare infine come una rivolta, una successione di atti di ribellione contro l’ordine costituito, un combattimento all’omologazione del guardaroba della donna giapponese degli anni settanta, fatta di vestiti e tacchi importati dall’occidente. Questo sguardo si forma attraverso una successione di atti sovversivi: immaginando vestiti veramente originali, esaltando il disordine come metodo di trasgressione.
Tuttavia, un esame più ravvicinato delle sue parole, la sua passione e il suo modo di vivere mostra che la realtà è molto più complessa, per non dire l’esatto opposto. In primis questo perchè, come i suoi disegni, è una personalità estrema sia nel suo approccio sia nel suo comportamento, e non esita a dire che — senza eccesso non è possibile (…) Non puoi avere un’assenza di colore, una trasparenza, non va bene! —.
Non c’è nulla di disordinato nel suo lavoro o nella sua organizzazione, ma un vero disordine lo si trova nel fulcro dell’idea che Yohji ha nei confronti della sua professione che si concretizza in un attacco serrato alla perfezione, e di cui dichiara — voglio vedere cicatrici, fallimenti, disordine. (…) Penso che la perfezione sia brutta —. Per lui la perfezione – non importa se di forma o di immagine - è la bancarotta, suona come una richiesta di umanità e libertà in un mondo che chiede continuamente perfezione e simmetria e di cui Yamamoto si fa oppositore incontestato attraverso il caposaldo principale del suo lavoro e del suo atteggiamento nei confronti di tutto ciò che è “perfetto”. Una libertà che la contro moda di Yohji Yamamoto procura indubbiamente, giocando incessantemente con le frontiere di nuovi territori da esplorare e di cui fare esperienza.
Nell’immaginario contemporaneo della moda occidentale, i giapponesi sono sempre apparsi a livelli differenti come figure impenetrabili. Yamamoto ha l’immagine di un personaggio schivo e riservato, uno che parla poco ma bene e sempre arriva al nocciolo della questione, con chiarezza e pertinenza. L’immagine di un pensatore separato dalla folla, che si eleva al di sopra del terreno che lo sostiene, si avvicina sempre di più alla saggezza con l’avanzare dell’età. Un concentrarsi di energia e di valori positivi, toccati dallo Zen e marcati dalla grazia del Buddismo.
L’eccesso è prima di tutto uno stile di vita. Yohji Yamamoto ama il tabacco (e fuma pesantemente), l’alcool (una sorta di smarrimento e di confusione, — Bere mi mette in uno stato sorridente, (…) vengo completamente trasformato quando bevo —, confessa, ama le donne (fonte di ispirazione) e il gioco d’azzardo (una sorta di spensieratezza e distrazione). Ma non ha nessuna illusione in merito a queste cose. L’eccesso è anche un rimedio alla routine e alla noia, una maniera di confondere le aspettative degli altri su sé stesso, di provocare stupore, contravvenendo ai valori morali della borghesia, che spesso uniscono la virtù, la disciplina e il successo in un’unica qualità. Per Yamamoto il disordine, l’indisciplina e le oscillazioni di comportamento nella sfera privata sembrano arricchire e illuminare la sua sfera pubblica e la sua moda. Perchè nel suo lavoro come in ogni altra cosa niente viene preso alla leggera. Non guardiamo nel dettaglio ogni eccesso notturno, ma sottolineamo che investe il più profondamente possibile in qualsiasi territorio che decide di esplorare,
e lo fa con ardore e passione, precisione e determinazione. Basso di statura, esile, quasi fragile. Barba e capelli lunghissimi, una volta corvini ed oggi inevitabilmente segnati da alcune ciocche bianche. Nonostante tutto, 64 anni portati magnificamente. È noto, oramai anche i grandi “vecchi” della moda sono diventati più attenti al proprio aspetto. Giorgio Armani e Karl Lagerfeld insegnano. Il suo segreto? Lo sport, è cintura nera di Karate, e la musica naturalmente. Frontman della sua cara rock band, ha trovato nella musica la fonte dell’eterna giovinezza, così come Mick Jagger e Iggy Pop prima di lui. Rappresentano una sorta di accompagnamento, uno sberleffo di fronte alle convenzioni, e simultaneamente una specie di complemento creativo nella forma di un altro campo di attività. Questo tutto ciò che si sa del suo privato, Yohji come la maggior parte degli stilisti, è riservato in maniera quasi maniacale. L’aspetto pubblico della sua vita invece è ormai noto a tutti. Quasi sempre in abito nero, così come vuole la sua filosofia del vestire, ama spezzare la monotonia con un Borsalino sempre diverso; unica nota di colore ed unico vezzo concesso. Ha un aurea pacata e riflessiva, da perfetto Guru eppure sprizza una tale energia dai suoi occhi da far pensare a rivoluzioni interne, celate nel profondo del suo essere. Rivoluzioni che restano sopite finché non prende tra le mani un pennello e comincia a dipingere, la forbice e comincia a tagliare, creando abito dopo abito; è all’ora che prende vita la magia.
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1 Spring 2006, Ready to Wear. 2, 3 Fall 2008, Ready to Wear.
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4 Spring 2008, Ready to Wear. 5 Beijing 2008, China. 6 Spring 2005, Ready to Wear. 7 Fall 2006, Ready to Wear. 8 Yohji Yamamoto, 2008.
Temi Punti cardine del modus lavoranti
I naturally create ways of cutting and pattern making, always trying to find new silhouettes or forms, people sometimes interpret it as Haute Couture but that’s not what I’m aiming at. It’s simply creation. Creo spontaneamente modi di tagliare e di fare modelli, sempre cercando di trovare nuove forme e profili, la gente spesso le interpreta come Haute Couture, ma non è quello a cui sto puntando. è semplicemente creazione. Yohji Yamamoto
Nero, ombra finale e forma di tutto Il nero ha molti signficati per Yamamoto. Il nero è il colore delle ombre. Il nero è il colore di sua madre vedova. Il nero è il colore del teatro Bunraku (nel Bunraku le marionette vengono manovrate da uomini vestititi di nero). Il nero è l’insieme di tutti i colori. Il nero è il colore che ha scelto per esprimere sé stesso. Tutti i capi di questa serie sono di colore nero ma con tessuti e forme diverse.
Nero, ombra finale e forma di tutto
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1, 3, Fall 2008., Ready to Wear.
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6 Spring 2006, Ready to Wear.
2 Spring 2008, Ready to Wear.
7 Y’s, Fall 2003, ready to Wear.
4 Fall 2006, Ready to Wear.
8, 10 Fall 2008, Ready to Wear.
5 Y’s, Fall 2003, ready to Wear.
9 Fall 2006, Ready to Wear.
Temi Punti cardine del modus lavorandi
I have always said that men never hold a real woman in their arms but only a woman of their imagination. Is love reality or image... is it image or reality? I’ve been going round and round like a caged mouse on its wheel. Ho sempre detto che gli uomini non tengono mai una vera donna fra le loro braccia, ma solo una donna della loro immaginazione. L’amore è realtà oppure immaginazione? Ho girato e rigirato come un topolino sulla ruota della sua gabbia. Yohji Yamamoto
Il nero contro il rosso | aria Questa serie di vestiti neri è accentuata dall’uso del rosso vivo. Il rosso è spesso usato nelle sue collezioni come “una traccia di rossetto”, come una pura luce nel mezzo dell’oscurità. Ogni colore usato nei lavori di Yohji deve essere forte come il nero, altrimenti non c’è contrasto. Questi abiti dimostrano come Yohji taglia i capi affinchè non stiano mai troppo vicini al corpo così che ogni donna, piccola o grande, li vestirà diversamente. Il vuoto fra il corpo e il vestito li farà muovere splendidamente.
Il nero contro il rosso | aria
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1 Fall 2008., Ready to Wear.
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6, 9 Fall 2005, Ready to Wear.
2, 4 Spring 2008, Ready to Wear.
7, 10 Spring 2008, Ready to Wear.
3 Y’s, Fall 2004, Ready to Wear.
8 Fall 2007, Ready to Wear.
5 Spring 2005, Ready to Wear.
11 Spring 2005, Ready to Wear.
Temi Punti cardine del modus lavorandi
In my philosophy, the word androgyny doesn’t have any meaning. I think there is no difference between men and women. We are different in body but sense, spirit and soul are the same. Nella mia filosofia, la parola androgino non ha nessun significato. Non credo ci sia differenza fra uomini e donne. Siamo diversi nei corpi, ma i sensi, lo spirito e l’anima sono le stesse. Yohji Yamamoto
Uniformi: abiti ispirati dalle uniformi Le uniformi sono sempre state una grande fonte di ispirazione per Yohji che ha spesso lavorato su questo soggetto prendendo come riferimento la scuola, l’esercito e persino le vesti ecclesiastiche. Una delle ragioni dietro la fascinazione di Yohji per le uniformi è che sono dei vestiti che hanno una funzione, concepiti per essa e tessuti per durare a lungo. Diventano persino una parte dell’identità di chi li veste. Possono essere come un’armatura che protegge da occhi non accoglienti.
Uniformi: abiti ispirati dalle uniformi
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1, 3 Spring 2008, Ready to Wear.
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6, 7, 10, 11 Spring 2006, Ready to Wear.
2, 4 Fall 2008, Ready to Wear. 8 Spring 2007, Ready to Wear. 5 Spring 2006, Ready to Wear. 9 Spring 2008, Ready to Wear.
Temi Punti cardine del modus lavorandi
My real break is the final moment of creation which happens about one month before showing a collection. At this moment everything is possible – I fell like a genius, so strong, so fresh. This moment is repeated 4 time a year – the other 350-odd days a year I struggle. La mia vera rottura è il momento finale della creazione che accade circa un mese prima della presentazione della collezione. In questo momento tutto è possibile – mi sento come un genio, così forte, così fresco. Questo momento si ripete 4 volte all’anno – gli altri 350 strani giorni dell’anno combatto. Yohji Yamamoto
Il non finito Il concetto di non finito lo possiamo riscontrare nella collezione “Mussola” s/s 2000 basata sull’idea di mostrare il processo di confezione dell’abito, “Il momento più felice” per Yohji. A volte trova la mussola finale più bella del vestito finito perchè in quel momento le emozioni sono più percepibili. Tutti i capi sono fatti in tessuto bianco o nero e mostrano le cuciture di costruzione. Questa collezione è stata ispirata in gran parte dalle creazioni in mussola di Charles James che aveva visto durante un suo viaggio a New York. La mussola è il cotone comune che i designers usano per creare la prima forma del capo. Tutto è ancora possibile in questo momento.
Il non finito
Spring 2000, Ready to Wear.
Temi Punti cardine del modus lavorandi
Everything that is graceful, gentle, decent and kind comes from asymetry. Symmetry is ugly. If you are a human being you cannot make perfection. Tutto ciò che è grazioso, gentile, decente ed elegante viene dall’asimmetria. La simmetria è brutta. Se sei un essere umano non puoi raggiungere la perfezione. Yohji Yamamoto
Disequilibrio asimmetrico Questo tema esprime perfettamente il senso di disequilibrio e di asimmetria, entrambi importanti nel lavoro di Yohji. Odia la perfezione perchè è l’imperfezione - l’errore fatto dalle mani umane – che crea la bellezza delle cose. Questo tema è illustrato chiaramente e ogni singolo pezzo è diverso da entrambi i lati: diversa misura delle maniche, diverso mantello sulle spalle, una parte lunga contro una parte corta etc.
Disequilibrio asimmetrico
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1, 2, 3, 6 Fall 2006, Ready to Wear.
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7 Fall 2006, Ready to Wear.
4 Fall 2008, Ready to Wear.
8 Spring 2008, Ready to Wear.
5 Spring 2007, Ready to Wear.
9 Fall 2008, Ready to Wear. 10 Spring 2007, Ready to Wear. 11 Spring 2006, Ready to Wear.
Temi Punti cardine del modus lavorandi
I had been thinking to show my clothes in front of a “comfortable” number of people, allowing them to smell the fabric in a very “intimate” way. This has been my dream for a long time. Pensare di mostrare i miei abiti di fronte ad un numero di persone “opportuno”, permettendo loro di annusare il materiale in una maniera molto “intima”. Questo è stato il mio sogno per molto tempo. Yohji Yamamoto
Oversize Il capo ideale di Yamamoto non ha taglia, infatti non ama l’idea di una taglia perfetta sul corpo. I capi dovrebbero essere diversi su ogni persona: qualche volta troppo piccoli, spesso larghi abbastanza per lasciare che l’aria passi fra il corpo e il tessuto, lasciando l’immaginazione libera di indovinare la forma del corpo all’interno. Questo è quello che risulta più affascinante e sexy per Yohji. Ha fatto questo tipo di vestiti sin dall’inizio e ancora ama farli.
Oversize
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1, 3 Fall 2006, Ready to Wear. 2, 4 Fall 2008, Ready to Wear.
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5, 6, 8, 9 Fall 2006, Ready to Wear. 7 Y’s Fall 2004, Ready to Wear. 10 Y’s Fall 2003, Ready to Wear.
Yohji words
I’ve already reached a goal. I’m enjoying the rest of my life.
Intervista
Ho già raggiunto un obiettivo. Mi sto godendo il resto della mia vita.
Quali sono le caratteristiche del tuo design? — Cappotti oversize, t-shirts oversize, giacche oversize... tuttavia, niente veramente oversize —.
Yohji Yamamoto
Qual’è il pezzo preferito delle tue collezioni? — In termini di un “pezzo” non lo percepisco come qualcosa di favorito. Psicologicamente, essere umani significa dimenticarsi della tristezza e dell’amarezza, perciò ho pochi ricordi di queste emozioni. Ho sempre pensato di voler dimenticare le cose che sono già passate. Penso sempre che si sarebbe potuto farla in maniera migliore. Nei termini della mostra delle collezioni, mi sembra che alcune di loro siano ancora molto forti —. Come descriveresti il tuo lavoro? — Ho giocato tutte le mie carte —. Qual è il tuo obbiettivo finale? — Ho già raggiunto un obbiettivo. Mi sto godendo il resto della mia vita. è arrivato il momento di godersi il tempo di spendere tempo —. Che cosa ti ispira? — Ispirazione… una parola che mi è stata tirata addosso migliaia di volte, e alla quale ogni volta ho risposto in una maniera diversa. Credo che sia ogni cosa che accade che ci ispira in ogni momento —. La moda può ancora avere un’ambizione politica? — Se la moda ha un ruolo è di essere immorale. Un ruolo che è quello di trasferire la debolezza, l’umiliazione, e gli aspetti deplorabili della natura umana in qualcosa di affascinante. L’arte è sempre usata o consumata dall’autorità del tempo. L’arte co-opera attraverso la resistenza. In questo senso la moda può avere qualcosa a che fare con un ambito sociale. Ma una ambizione politica? Non la vedo nella moda. Ma, se la moda avesse una simile ambizione, la descriverei come “libertà” —. Chi hai in mente quando disegni? — Le sorelle Sozzani, Madonna, Jodie Foster. E Pina Bausch —.
è importante per te l’idea di una collaborazione creativa? — Importante non è la parola giusta. Collaborazione creativa può essere usata in un senso tecnologico; che significa fare incontrare la tecnologia con l’artigianato. Ma quando parliamo di creatività ci deve essere dell’ego, e quando ci sono due ego non si può che arrivare al compromesso. Perciò non trovo importante la collaborazione in termini creativi. Potrei trovare la collaborazione nei termini in cui ci si influenza reciprocamente in una maniera positiva. Ci si deve aspettare il conflitto sin dall’inizio, perciò dovresti approcciarti alla collaborazione con ragione ed intelligenza —. Chi è stata la tua più grande influenza nella tua carriera? — Sigh – Sigh – Sigh… mia madre… oh… mia madre ancora e per sempre —. In che maniera le tue esperienze hanno influenzato il tuo lavoro come designer di moda? — Questo è un argomento di cui le persone non dovrebbero mai parlare; questa domanda si avvicina troppo alla questione. Si potrebbe scrivere un romanzo su questo, credo. Ognuno ha le sue storie private, di cui non parla mai, di cui potrebbe non parlare mai e di cui è un po’ impertinente chiedere. è difficile, non crede? —. Che cosa è più importante nel suo lavoro: il procedimento o il prodotto? — Questa è la migliore delle domande! Non potrei essere più felice che all’interno del processo di sviluppo. Poi il prodotto è una realtà – e la realtà colpisce. In una stagione che è andata bene mi dico: — Ah, sono sceso a compromessi…— e in una stagione in cui non ho lavorato così tanto, penso — Non era il momento giusto, non ho fatto abbastanza —. Sento la responsabilità come un risultato. Il mio cuore batte durante il procedimento… ma il giorno decisivo arriva sempre —. Disegnare è difficile per te, se è così che cosa ti spinge a continuare? — Si dovrebbe dire in questa maniera: posso continuare a disegnare proprio per la sua difficoltà. Si può dire che disegnare è una cosa molto facile; la difficoltà sta nel trovare una strada per esplorare una nuova bellezza —.
Yohji words
Yohji words
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1, 2, 3 Spring 2006, Ready to Wear. 4, 5 Fall 2008, Ready to Wear.
Sei mai stato influenzato o commosso dalle reazioni suscitate dai tuoi disegni? — Ho sensazioni opposte: una è sentirmi un po’ imbarazzato e dire — non è poi un così buon lavoro —. L’altra è un sentimento così forte che non può essere espresso con le parole “influenzato” o “commosso” ma dalle parole “ucciderò tutti” che si adattano di più. A volte trovo un critico intelligente che analizza la fase inconscia che giace nel mio lavoro. Mi da una lezione —. Qual’è la tua definizione di bellezza? — Condizione, coincidenza e caso. Un fiore bellissimo non esiste. C’è solo un momento in cui un fiore appare bellissimo —. Qual’è la tua filosofia? — Ma va!… —. Qual’è la lezione più importante che hai imparato? — Sono quello che sono a causa di quattro o cinque donne. Per favore dammi una ricompensa! —.
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6 Yohji Yamamoto con sua madre, Fumi Yamamoto, e la sua chitarra. 7 Spring 2005, Ready to Wear. 8 Fall 2008, Ready to Wear. 9 Spring 2008, Ready to Wear. 10 Y’s Fall 2003, Ready to Wear. 11 Spring 2006, Ready to Wear.
You might have slept with Rock and Roll music blaring out at full blast. Dovreste aver provato a dormire con il Rock and Roll sparato a tutto volume. Yohji Yamamoto
Collaborazioni
Collaborazioni
Immagini tratte dal film “Appunti di viaggio sui vestiti e le città”
Appunti di viaggio sui vestiti e le città Nel 1989 Yamamoto, insieme al regista Wim Wenders e al produttore Ulrich Felsberg, creò un film basato sulla sua esperienza di mettere insieme una delle sue collezioni. Il risultato, realizzato su videocassetta nel 1993, fu “Appunti di viaggio sui vestiti e le città” - Notebook on Cities and Clothes. Nel film c’è una scena nella quale lo stilista giapponese, apponendo l’insegna del suo nome proprio sulla sua nuova boutique di Tokio, firma con il gesso direttamente sulla targa affissa davanti al negozio. Non è soddisfatto però né della prima, né della seconda, né delle successive scritture del suo nome, tant’è che le cancella ripetutamente finché non arriva a quella che gli appare come la più felice, che può quindi essere saldata definitivamente sull’insegna con uno spray fissante. Immaginiamo che proprio quella sequenza di lettere dell’alfabeto occidentale di cui si compone il nome Yohji Yamamoto gli sembri, da un lato, avvicinare meglio di altre la firma al suo corpo suggellando un legame metonimico tra il nome proprio e la mano, e dall’altro dar vita, in quanto griffe, all’indumento di moda come segno puro. La firma diventa così logo, ma conserva, condensandole, tutte le componenti grafologiche e uniche, perché individuali, della scrittura. Quel film fa scorrere nei suoi fotogrammi un’intervista poetica viaggiante di Wenders a Yamamoto nella quale si intrecciano grandi temi: la metropoli – Parigi e Tokio; la riproduzione delle immagini tra l’analogico della vecchia cinepresa e il digitale della videocamera - tecnologia giapponese in quegli anni lì pronta dietro la porta; il mestiere di regista paragonato a quello di stilista – entrambi un “taglia e cuci”... Ed è la moda a costituire il connettivo e il propulsore di questi grandi temi, beninteso la moda di Yamamoto che è essa stessa poesia del tempo, poesia della persona. Un film intriso così profondamente di temi benjaminiani - la riproducibilità, la metropoli, il viaggio urbano - non poteva del resto non stabilire con la moda un patto narrativo e tematico. Ad una condizione: che fosse la moda di un designer che della moda nega programmaticamente la fugacità e il senso effimero, uno come Yamamoto che “firma” con la sua stessa mano, che crede nell’abito come casa della persona, e che disegna nei suoi indumenti il tempo, intendendolo filosoficamente come condizione della possibilità di essere proprio quella persona. È possibile allora che il bavero di un certo cappotto lo renda proprio il cappotto di Sartre, così come appare in una foto di Cartier-Bresson a partire dalla quale Yamamoto viene ripreso
da Wenders mentre lavora per realizzare un trench femminile. Moda de-scritta, come direbbe Roland Barthes, ma descritta oltre la lingua, nella sua essenza. L’abito ideale potrebbe durare una vita intera, non passare mai di moda, segnare la vita nelle sue (dell’abito come della vita) umane asimmetrie. L’abito perfetto per Yamamoto può essere eterno, durare l’intera vita di un uomo o di una donna. — Tu disegni il tempo —, dice lo stilista a se stesso nel film di Wenders. Il tempo come concetto filosofico di apertura e di possibilità, quelle che sono date a una persona nel suo vivere quotidiano, nel suo mestiere, nella sua verità, elementi che spesso è una fotografia, un ritratto, a svelare. Talmente legato alla sua città da affermare — Non ho il senso di essere giapponese ma piuttosto tokionese —. La stessa Tokio, così come l’ha sempre vista e vissuta Yohji, che emerge nel film-ritratto di Wenders. Yamamoto, lo stilista più paradossale del jet set internazionale, quello che sforna fino a sei sfilate all’anno, quando tutti gli stilisti per conquistare una bella fetta di successo si imbarcano in almeno due sfilate all’anno. Eppure lui invita il pubblico, il popolo, a non preoccuparsi delle novità, a considerare le “sue” creature “per sempre”: — Comprare una nuova giacca significa comprare una nuova vita, qualcosa che cambia completamente il proprio stile di vita. Con ciò voglio dire: per favore, non fate dei miei vestiti un oggetto di consumo, vivranno insieme a voi per sempre. Nella moda le cose cambiano ogni sei mesi, mentre nella mia filosofia non è così: puoi indossare un capo per almeno dieci, vent’anni, senza preoccuparti delle novità —.
Collaborazioni
Collaborazioni
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1 Collana per Mikimoto, 2007. 2, 3 Yohji e Yohji Essential per Patou. 4 Dr. Marteens, Spring 2008, Ready to Wear. 5 Y’s Mandarina, Spring 2007. 6 Tracolla per Hermès, Fall 2008, Ready to Wear. 7 Sneakers Y-3.
Cinema, musica, teatro e sport Lo stilista giapponese ha anche intrattenuto una corrispondenza tutta speciale con du e arti fondamentali quali il cinema e l’architettura, sin da quando, come abbbiamo detto, nel 1989 il regista Wim Wenders lo rese protagonista del suo film-intervista “Appunti di viaggio sui vestiti e le città”. E ad altre due arti, la musica e la danza, Yamamoto ha dedicato molte sue creazioni, lavorando per i costumi di opere classiche e contemporanee, da Puccini a Ryuichi Sakamoto, alla sensuale coreografa tedesca Pina Bausch. Abiti che, in una sfida a colpi di estro, preziosità, glamour e teatralità, trovano una sorta di parallellismo tra lo stilista del Sol Levante, nato a Tokio, e Yamamoto, stilista avant guard e hi-tech, ma devoto alle vecchie e solide glorie culturali: appassionato com’è delle vecchie stelle del rock’n’roll, come Bob Dylan, Lou Reed, James Taylor, il jazz e il blues moderni dei neri. Talmente raffinato e versatile da concedere un tocco di atmosfera visionaria ai costumi di “Life”, l’opera di Ryuichi Sakamoto, da disegnare l’impeccabile rigore dark ai costumi di “Brother”, il film-cult di Takeshi Kitano e di “Zatoici”, per poi sconfinare nell’euforia fiabesca di “Dolls”, altra collaborazione cinematografica con Kitano. Ed è del 2007 il risultato dell’unione creativa di Mandarina Duck e Yohji Yamamoto, battezzata Y’s Mandarina, ovvero una collezione di pezzi bivalenti, frutto di una fusione avveniristica di design, elementi funzionali e couture. Le borse da corriere da donna prendono la forma da grembiuli, canottiere e minigonne in satin rosso o beige gabardine. Mentre gli zaini della collezione uomo si allargano per diventare giacche da pioggia o antivento, con la stessa rapidità con cui arriva un temporale estivo. Guardando oggi alle realizzazioni di Yamamoto sin dai decenni passati, la cifra costante del suo stile appare essere l’accoglienza: del corpo nell’abito, dell’abito nell’abito - come in alcune realizzazioni che trasformano una piega del vestito in un contenitore per un soprabito - del piede nelle scarpe, sempre rigorosamente basse e monacali. Comprese quelle sneakers, realizzate a partire dal 2002 per Adidas in una linea, Y-3, di cui è direttore creativo. Nella collezione Fall 2007 e Spring 2008 ha esternato il suo amore per l’anfibio in collaborazione con Dr. Marteens realizzando calzature con pellami di altissima qualità rilucenti di motivi ispirati alle fantasie dei kimono, con la riproduzione di stampe create personalmente da celebri disegnatori di capi
tradizionali giapponesi. Sul catwalk dell’anteprima Fall 2008, per esempio, le modelle hanno indossato anfibi dall’aria cattiva, ammorbiditi solo dalle lunghe gonne morbide che ristabilivano un certo equilibrio. Gli inseriti in tweed li legano inevitabilmente alla stagione invernale, per cui sono stati concepiti. Difficilmente riusciranno a conquistare le amanti dello stiletto… ma per chi è cresciuto con gli anfibi, saranno probabilmente un piacevole amarcord. Ed ancora insieme a Mikimoto, l’azienda giapponese celebre in tutto il mondo da oltre un secolo per i suoi gioielli realizzati soprattutto con meravigliose perle, Yamamoto ha creato un’esclusiva collezione di preziosi in perla composta da 20 pezzi fra girocolli, anelli, bracciali ed orecchini che hanno debuttato nella settimana della Couture parigina nel luglio del 2007. Ma è nelle ultime sfilate parigine del 2008 che ha sorpreso tutti: l’ultima uscita della sfilata ha visto cinque modelle indossare cinque nuovi modelli in pelli pregiate e design esclusivo firmate dallo stilista giapponese per Hermès. Occasione quanto mai propizia per annunciare la collaborazione, dal momento che gran parte della collezione di Yamamoto ha fatto largo uso di pelle per i propri modelli. Se la sapienza sartoriale incontra la pelletteria il risultato non può che sublimare le due arti, restituendo un risultato di gran lusso. C’è già chi scommette sulle liste d’attesa.
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There is nothing so boring as a neat and tidy look. Non c’è nulla di più noioso di un look piatto e scialbo. Yohji Yamamoto
Yohji Yamamoto fall 2008 Fresco di una partnership con Mikimoto con cui ha creato una linea di gioielli in perla “non tradizionale”, Yohji Yamamoto ha debuttato in un’altra collaborazione di alto profilo per la sua sfilata d’autunno: una collezione di borse in pelle realizzate con Hermès. Il designer giapponese d’avanguardia aveva già dimostrato, lo scorso anno in questo periodo, un interesse per le storiche case francesi produttrici di beni di lusso quando ha dato la sua personale ed ironica interpretazione del logo di Luois Vuitton. Comunque i fans di Yamamoto non si devono preoccupare che l’avvicinamento ad un brand storico dell’estblishment come Hermès lo porti a rigare dritto. Al contrario, questo avvicinamento ha scatenato in lui un interesse verso la manipolazione della pelle (nessun riferimento al motivo stampato del cavallo) che lo ha portato a pensare a nuovi modi per interpretare alcuni dei suoi più amati capi. In primo luogo ci sono le familiari giacche hard-soft. La sopracitata pelle - molto spesso in nero, ma anche in tinte arancio e blu, e sempre con bordi grezzi e non finiti incontra la lana sartoriale o il cotone drappeggiato per creare attraenti capi spalla che hannno una nuova sensualità. Questi, come le più strutturate giacche in lana cotta grigio carbone e colorato tweed, sono abbinate alle gonne lunghe e ampie che Yamamoto ama. Quest’ultime, va detto, sono realizzate in maniera più impegnativa del solito estendendo la circonferenza con giri extra di tessuto intorno alla vita. Ancora una volta lo show termina con un tocco spettacolare: un quintetto di modelle vestite con lunghi cappotti semplici in khaki o navy (alcuni dei quali sollevati sul retro e sospesi da straps all’interno) ognuna delle quali porta una meravigliosa borsa di Hermès. Se serviva una prova ulteriore del fatto che Yamamoto marcia ancora secondo il proprio ritmo, questa arriva dagli autoparlanti in passerella: il chitarrista la cui musica ha accompagnato lo show non è altri che lo stesso designer.
Yohji Yamamoto fall 2008
Fall 2008, Ready to Wear.
Yohji Yamamoto fall 2008
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Fall 2008, Ready to Wear.
Fall Winter 2008/09 is Coming-soon Forte del crescente successo della collezione Y-3 per Adidas (che ha debuttato nel 2003), lo stilista giapponese si prepara a lanciare Coming Soon, una nuova linea di sportswear nata dalla collaborazione con l’italiana Sinv Spa. Il progetto coniuga l’inconfondibile minimalismo del designer 64enne e l’esperienza dell’azienda vicentina per la realizzazione di capi e accessori con un prezzo più accessibile e rivolti a un pubblico giovane, in cerca di uno stile dallo spirito contemporaneo, fresco e casual ma allo stesso tempo sofisticato. Ogni stagione si concentrerà su singoli temi, che potranno essere mischiati e accoppiati con capi di altri marchi. Si tratta di una novità assoluta per i fan dell’icona del design giapponese, tanto “devoti” al loro Guru da indossare i suoi look così come proposti in passerella. Per la prima stagione Yamamoto ha studiato 170 capi maschili e 200 femminili, con l’idea di dare a ciascuno la possibilità di creare un suo personale messaggio stilistico grazie al vantaggio dell’anonimato. La collezione si rivolge a uomini e donne dalla personalità forte, dal carattere anticonformista, capace di apprezzare un contenuto creativo seppure anonimo. Il supercasual non è affatto un capo fatto a casaccio, come potrebbe far supporre l’etichetta, ma è contraddistinto da uno studio attento e in continua evoluzione. Gli amanti dello sportswear non dovranno comunque lasciarsi ingannare: a dispetto del look informale e confortevole, ogni indumento sarà realizzato con l’amore per i dettagli che ha reso Yamamoto famoso in tutto il mondo. La collezione per la moda autunno/inverno 2008/09 debutterà nei negozi solo nel mese di luglio. Nel frattempo i più curiosi potranno assaporarla via internet sul sito www.coming-soon. com, grazie a un video ambientato a Londra e diretto dal fotografo britannico Max Vadukul, che ha voluto raccontare il dialogo amoroso tra due giovani a metà tra la danza e il mimo. Sembra che i capi della nuova linea continueranno anche in futuro a snobbare le passerelle: Yamamoto sarebbe infatti intenzionato a proseguire nella realizzazione di contributi video per ogni stagione, ambientati di volta in volta in una città diversa, ciascuno con un gruppo di coreografi e nuovi ballerini che interpretino i capi attraverso il movimento e l’espressione del corpo.
Fall Winter 2008/09 is Coming-soon
Anteprima Fall 2008/2009 dal video di Max Vadukul per Coming-Soon.
Fall Winter 2008/09 is Coming-soon
Collaborazioni
Anteprima Fall 2008/2009 dal video di Max Vadukul per Coming-Soon.
Limi Feu Yamamoto Un cognome pesante da portare nel mondo della moda e di cui si è presto sbarazzata per trovare la propria strada. Oggi Limi Feu ha 33 anni, capelli neri corvini, un’adolescenza punk e un tribale sul braccio sempre coperto da larghe camice bianche oversize. Al quotidiano francese Libération racconta — In Giappone abbiamo un tale proliferare di brands che finiamo per non vedere più nulla. Non capisco le tendenze, - e non legge nè riviste, nè internet-. — Preferisco osservare la gente per strada —. Nel 1996 ha iniziato a lavorare come modellista per la collezione Y´s. Quattro anni più tardi presenta a Tokyo la sua prima collezione A/W 2000/01 Y´s Bis Limi. Nel marzo 2002, fortemente incoraggiata dal padre, crea il suo brand, LIMI Feu. E nel dicembre dello stesso anno apre il primo flagship store nel quartiere chic di Tokyo, Daikanyama. Oggi le collezioni di LIMI Feu e LIMI Feu prankster - kidswear tra 1 e 4 anni - sono vendute ai più prestigiosi department stores del Giappone: Parco, Isetan e Galerie Shinokawa. La nuova collezione A/W 2008/09 sfila giocando sui toni black&white muovendosi al ritmo di “Paris-Texas” di Rey Cooder remixato da Jiro Amimoto. Forme asimmetriche e tutti i toni del nero. Solo un rossetto vivace sfugge alla totale monocromia.
Limi Feu Yamamoto
Fall 2008, Ready to Wear.
Apparati
Apparati
Biografia
Bibliografia consultata
1943 Nasce a Tokio. La madre Fumi Yamamoto, è una vedova di guerra. Lavora 16 ore al giorno come sarta per pagare il mantenimento e l’educazione del figlio. 1966 Studia legge all’Università di Keio ed è premiato per il suo diploma finale. 1969 Si diploma alla prestigiosa scuola di moda Giapponese Bunka Fashion College. 1971 Apre la sua prima casa di moda, la Y’s Company Ltd. 1972 Presenta la sua collezione Y’s. 1977 Dopo aver prodotto per alcuni anni molte collezioni ogni stagione, decide di adottare la pratica di altri importanti designer Giapponesi e di partecipare alla sfilate con loro a Tokio. 1979 Nasce la prima collezione Y’s for men. 1981 Il momento decisivo della sua carriera arriva quando il suo lavoro viene visto a Parigi, durante la settimana della moda dedicato alle collezioni di prêt-à-porter di stilisti e designers. Sfila anche a New York. 1982 Yohji Yamamoto riceve il premio del 26° Fashion Editors Club Award a Tokio. 1984 Fonda la Yohji Yamamoto Inc. e lancia la prima linea Yohji Yamamoto pour homme, quindi apre anche una boutique a Parigi. 1988 Fonda la Yohji Yamamoto Design Studio a Tokio. 1989 Il centro di creazione industriale del Museo di Arte Moderna Georges Pompidou commissiona al regista Wim Wenders di fare un film su Yohji Yamamoto. Il film che ne risulta è un lungometraggio girato in 35 mm, a colori, intitolato “Appunti di viaggio sui vestiti e le città”. 1990 Gli viene commissionato il disegno dei costumi di “Madame Butterfly” di Puccini, per una produzione dell’Opera di Lione. La scenografia viene disegnata da Avatalsozaki. 1991 Riceve il premio del 35° Fashion Editors Club Award a Tokio.
1993 Il festival di Bayreuth gli commissiona i costumi per il “Tristano e Isotta” di Wagner per la produzione di Heiner Muller con Daniel Baenboim come direttore musicale. 1994 Il Ministero della Cultura Francese gli conferisce il titolo di Cavalliere delle Arti e delle Lettere (Mainichi Award). Firma i diritti per Patou per una linea di profumi. 1995 Pina Bausch, Fanny Ardant, Jean Nouvel, Juliette Binoche, Sandrine Kiberlain, Wim Wenders e Karl Lagerfeld sono fra coloro visti indossare capi di Yohji Yamamoto. Lancio della nuova collezione Yohji Yamamoto + Noir (olus noir) collezione donna, urbano e classico nell’atteggiamento. 1996 Lancio di Yohji, il primo profumo del designer, creato e prodotto in marmo rosso del Belgio da Jean Patou. Sviluppato in 2 anni, fu presentato in Francia nel 1996 (nel 1997 a New York con la collezione donna), e fu seguito da un secondo profumo da donna, Yohji Essential, nel 1998. 1997 Riceve il 4° premio del Fashion Editors Club Award di Tokyo, e anche il Night of Stars Award from the Fashion Group di New York. Apre un nuovo negozio a Londra. 1998 Premio “Arte e Moda” al Pitti Immagine di Firenze. Partecipa al 25° anniversario della compagnia Wuppertal di Pina Bausch realizzando i costumi di scena. Secondo profumo da donna Yohji Essential. 1999 Riceve il premio The International Award from the Council of Fashion Designers of America (CFDA) di New York. Disegna i costumi per “Life” opera di Ryuchi Sakamoto. Debutta il primo profumo per uomo Yohji homme come la sua prima boutique autonoma a New York nel quartiere di Soho. 2000 Viene esposto un suo abito da sposa all’interno del Victoria & Albert Museum di Londra per la mostra “Radical Fashion” ed inizia una collaborazione con il regista Takeshi Kitano per il quale crerà i
costumi di numerosi film. Disegna i costumi di “Brother” sempre di Takeshi Kitano. A Parigi nei primi anni 2000, propopne “un’elaborata celebrazione dell’amore” concretizzata nella linea chiamata Woman’s Wear daily, (29 febbraio 2000), che comprendeva cappotti, vestiti di velluto, e favolosi vestiti, tagliati e drappeggiati con inventiva. 2002 Pubblica “Talking to Myself”, Carla Sozzani Editore). Disegna i costumi per “Dolls” di Takeshi Kitano. Viene nominato come direttore creativo di Y-3, divisione sportiva di Adidas Sport Style. Ottiene un successo strepitoso non solo con le scarpe ma anche con le felpe, le tute e tutti i capi sportivi dimostrando come un grande stilista può avere un successo planetario uscendo dalle passerelle del prêt-à-porter. Premiato con la medaglia di bronzo per il miglior libro del mondo della Leipzig Stiftung Bunchkunst per “Talking to Myself”. 2003 Mostra “Can i help you?” presso l’Hara Museum of Contemporary Art di Tokyo. Supervisiona i costumi per il film “Zatoici” di Takeshi Kitano. Debutta nei circa 290 punti vendita della catena giapponese, una linea di abbigliamento che lo stilista ha disegnato per i negozi Muji. Il tipico “Yohji style” viene espresso in una serie di costumi per uno show di Elton John chiamato “The Red Piano” a Las Vegas. In quest’occasione disegna oltre 150 maglie e abiti decostruiti per i cantanti. Tutte le maglie sono come seta, e Elton in un’intervista al magazine GQ dichiara “tutto quello che è stato fatto prima di ora è brutto e sbagliato”. Nel 2007, suona a Tokio, e dedica il concerto al suo amico Yohji “il genio”. 2004 Viene premiato dall’Ordine della Cultura Giapponese. 2005 Prime mostre internazionali. “Juste des Vêtements”, Musée de la Mode et du Textile a Parigi. La rivista Belga A Magazine viene fondata, con Yohji Yamamoto come art director. 2005/2006 “Corrispondenze”, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze. 2006 Mostra al Momu di Anversa intitolata
“Dream Shop” dove il pubblico poteva addirittura provare gli abiti in mostra. 2007 Viene annunciata in febbraio collaborazione tra lo stilista e lo storico brand di calzature Dr. Martens, che si concretizzerà in una collezione di cinque modelli per l’autunno-inverno 2007/08. Giugno 2007 Y’s Mandarina, ovvero una collezione di pezzi bivalenti, frutto di una fusione avveniristica di design, elementi funzionali e couture. Le borse da corriere da donna prendono la forma da grembiuli, canottiere e minigonne in satin rosso o beige gabardine. Mentre gli zaini della collezione uomo si allargano per diventare giacche da pioggia o antivento, con la stessa rapidità con cui arriva un temporale estivo. 2008 Dopo Y-3 lancia Coming Soon realizzata in partership con l’italiana Sinv Spa. Linea di abiti e accessori casual ultrasofisticati e dal prezzo decisamente accessibile. La novità sta nel fatto che il nome dello stilista non è menzionato nel brand, perchè pensato per un consumatore più interessato allo stile e alla qualità del prodotto che unicamente al marchio. Il debutto a luglio nei negozi top del mondo.
An Exhibition Triptych testi di Frédéric Bonnet edizioni Kaat Debo & Paul Boundens Yohji Yamamoto testi di François Baudot edizioni Assouline, Parigi Fashion Now a cura di Terry Jones & Avril Mair Taschen Mug anno 4, numero 7, giugno 2004 edizioni Antilia S.a.s www.en.wikipedia.org www.style.com www.men.style.com www.elle.it www.corbis.com www.fashion-forum.org www.cincinnatiartmuseum.org www.yohjiyamamoto.com.jp www.adidas.com/y-3 www.ysforliving.co.jp www.limifeu.com www.ysmandarina.com www.coming-soon.com
Š Miriam Nonino giugno 2008
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To single out the moment of waking something that was asleep: all creation is a repetition of that moment. A repetition of fragments. I want to achieve anti-fashion through fashion. That’s why I’m always heading in my own direction, in parallel to fashion. Because if you’re not waking up what’s asleep, you might as well stay on the beaten path. Fermare il momento in cui qualcosa che sta dormendo si sveglia: tutta la creatività è una ripetizione di questo momento. Una ripetizione di frammenti. Voglio raggiungere una contro-moda attraverso la moda. Ecco perchè vado sempre dritto per la mia strada, parallelamente alla moda. Perchè se non svegli ciò che sta dormendo faresti meglio a lasciare perdere. Yohji Yamamoto