I rifiuti un problema da a ffrontare

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PER LA GESTIONE DEI RIFIUTI

LAVORIAMO IN COMUNE

I RIFIUTI UN PROBLEMA DA AFFRONTARE

Parte I I termini del problema e l’Educazione Ambientale

CAMPAGNA DI INFORMAZIONE E DI EDUCAZIONE DEL MINISTERO DELL’AMBIENTE Carta riciclata trattata senza impiego di cloro

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Gentile Insegnante, il Ministero dell’ambiente chiede la Sua collaborazione alla campagna nazionale di informazione ed educazione «Per la gestione dei rifiuti lavoriamo in comune». La campagna, nel perseguire l’obiettivo finale di divulgare una serie di esperienze positive compiutamente realizzate e di diffondere azioni responsabili per la gestione dei rifiuti, si è rivolta ad una pluralità di soggetti: le amministrazioni locali, le piccole e medie imprese, gli artigiani ed il mondo della scuola. In considerazione del fondamentale ruolo educativo svolto dalla scuola nel promuovere comportamenti consapevoli e corretti, particolare attenzione è stata prestata al settore didattico, per il quale il Ministero ha elaborato una specifica iniziativa. È stata attuata una verifica sul campo per individuare le esigenze del mondo scolastico che ha consentito di definire un progetto didattico con caratteristiche tali da poter essere diffuso nelle scuole dell’obbligo e nel biennio delle superiori. In una prima fase sperimentale, svolta nell’arco di quattro mesi presso le scuole di comuni distribuiti in tutte le regioni, il Ministero dell’ambiente ha verificato l’efficacia dei materiali didattici predisposti e ha raccolto suggerimenti e proposte. Sulla base dei risultati emersi dalla sperimentazione (che ha coinvolto 18.000 studenti, 900 insegnanti, 750 classi e 150 scuole) è stato realizzato questo manuale didattico, frutto anche del lavoro e della collaborazione degli insegnanti e dei ragazzi che hanno partecipato con entusiasmo all’iniziativa. I contenuti del manuale sono innovativi e appaiono idonei a consolidare una corretta cultura ambientale, stimolando negli studenti l’affermarsi del principio della responsabilità individuale nei confronti dei rifiuti. I docenti dovranno fare la propria parte per rendere i ragazzi promotori di soluzioni nonché protagonisti del cambiamento di abitudini personali, familiari e delle comunità civili. Il Ministero dell’ambiente spera che il manuale costituisca un utile supporto per la Sua attività professionale e uno strumento per accrescere il dialogo e lo scambio di esperienze avviato con la campagna informativa. Le auguro buon lavoro.

Paolo Baratta Ministro dell’ambiente

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Indice Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .IV Capitolo I I termini del problema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 1.1 I rifiuti: cosa sono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 1.2 Come la natura ricicla i rifiuti: in natura i rifiuti non esistono . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 1.3 La storia dei rifiuti: i rifiuti sono un prodotto dell’uomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 1.4 Rifiuti e consumi: una relazione da considerare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 1.5 Definizione e classificazione dei rifiuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5 1.6 Rifiuti domestici: di che cosa sono composti? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5 1.7 I rifiuti della città: i flussi dei rifiuti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5 1.8 I rifiuti: quanti sono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .6 1.9 Primo passo: ridurre i rifiuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .6 1.10 La raccolta differenziata e la selezione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7 1.11 Composizione di alcune materie prime: loro riciclabilità e smaltimento. . . . . . . . . . . . .7 1.12 Le raccolte differenziate di seconda generazione: «il secco» e «l’umido» . . . . . . . . . . . .10 1.13 Rifiuti e smaltimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .11 1.14 Come scegliere le «tecnologie» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .13 1.15 Dove collocare gli impianti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .13 1.16 Smaltimento e legislazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .13 Analisi delle normative e delle politiche ambientali in Europa: normativa comunitaria. . . . . .14 Capitolo II L’Educazione Ambientale e le fasi del progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .15 2.1 Dall’Ecologia all’Educazione Ambientale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .15 2.2 Dalla programmazione al progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .16 2.3 L’Educazione Ambientale e il problema «rifiuti» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .16 2.4 I rifiuti e le opportunità educative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .17 2.5 La ricerca insieme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .17 2.6 Le fasi del progetto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .18 2.6.1. Prima Fase. La ricerca delle motivazioni e l’approccio al problema “rifiuti” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .18 2.6.2. Seconda Fase. La conoscenza del problema “rifiuti”. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .19 2.6.3. Terza Fase. Il lavoro sul campo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .19 2.6.4. Quarta Fase. L’elaborazione dei dati, il “prodotto” e la comunicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .19 Le Scuole «laboratorio» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .21

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Presentazione

Perché i rifiuti, perché la scuola La proposta che viene presentata in queste pagine affronta un’emergenza ambientale unanimamente riconosciuta, presente capillarmente sul territorio nazionale, che coinvolge da un lato governo e gestione dell’ambiente e, dall’altro, i comportamenti quotidiani di ogni cittadino. Un’emergenza che richiama questioni di ampio spettro perché riguarda la natura e l’organizzazione della nostra società. Per questo motivo quello dei rifiuti è un problema che necessita di un intervento educativo capace di tener conto delle relazioni esistenti tra conoscenze, comportamenti e valori presenti nella vita quotidiana, che interagiscono con l’universo di esperienze dell’individuo. Un intervento educativo non facile poiché deve essere in grado di produrre un cambiamento non solo nelle conoscenze ma anche nei comportamenti e negli atteggiamenti di ciascuno. La scuola può fortemente contribuire nella costruzione di una cultura diversa nei confronti del problema rifiuti, non solo al proprio interno, con i ragazzi, studiando e sperimentando il problema, ma anche instaurando un dialogo con le istituzioni e con i cittadini. Per proporre un modo di lavorare che possa rispondere all’una e all’altra esigenza, in questo manuale il problema rifiuti è affrontato da due punti di vista diversi ma, per quanto detto sopra, strettamente collegati fra loro. In questo volume, «I termini del problema e l’educazione ambientale», in una prima parte sono presentati gli aspetti scientifici e legislativi dei rifiuti, sono fornite indicazioni utili sulle possibili soluzioni a partire dalla raccolta differenziata, viene descritto lo stato dell’arte in rapporto alle diverse tipologie di rifiuto e sono indicati i dati del problema a livello nazionale. Legata a questa parte in cui vengono offerti ai docenti i contenuti per lavorare sull’argomento, vi è quella riguardante le riflessioni più avanzate e le linee guida dell’educazione ambientale, i rapporti fra questa e la possibilità della scuola di assumere un ruolo attivo e di avviare un cambiamento culturale trovando le connessioni tra le azioni educative e il progetto di

una nuova civiltà di rapporti tra gli individui e tra l’uomo e l’ambiente. Nel secondo volume, «I percorsi didattici e le schede operative», vengono presentati i percorsi suggeriti, le attività didattiche e le indicazioni metodologiche . Si troveranno molte motivazioni per insegnanti e studenti ad occuparsi di rifiuti. E, soprattutto, la proposta è progettata per favorire nella scuola un ruolo attivo per la salvaguardia del proprio territorio, con la possibilità e la capacità di offrire proposte, ipotesi di soluzioni, attività di sensibilizzazione verso la cittadinanza, rilanciando per questa via un ruolo talora negletto, ma fondamentale, di scuola come istituzione.

Come si legge questo manuale: I due volumi che compongono il manuale, «I termini del problema e l’educazione ambientale» e «I percorsi didattici e le schede operative», sono collegati tra loro allo scopo di orientare il docente e di evidenziare le relazioni tra la parte contenutistica e metodologica della proposta educativa. Infatti il docente troverà, nel primo volume, informazioni tecniche, sociali e culturali e materiale di riferimento, quali tabelle e indicazioni normative necessarie per affrontare correttamente il problema, oltre ai concetti base dell’educazione ambientale. Questo gli permetterà di costruire, in base al proprio piano di lavoro curricolare, il progetto educativo adattandolo al contesto scolastico in cui questo è inserito, seguendo le indicazioni riguardanti il lavoro per progetti e le fasi di lavoro. Troverà poi, nel secondo volume, i percorsi didattici e le schede operative che lo guideranno nell’attuazione del progetto. I percorsi didattici, sono infatti intesi non come rigide unità didattiche, ma come «piste» di lavoro da smontare, verificare ed adattare di volta in volta alla situazione che il docente si troverà ad affrontare. Le schede operative, anche se passibili di rielaborazione, costituiscono materiali già pronti per essere utilizzati con gli studenti. Percorsi e schede operative, oltre ad essere mirati al

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livello scolastico per cui sono proposti, sono collegati fra loro e alle fasi del progetto attraverso indicatori (vedi legenda) che permetteranno una immediata visualizza-

zione delle relazioni che intercorrono tra fasi, contenuti, percorsi e attivitĂ didattiche nella proposta stessa.

Legenda: Parte

Marcatori Grafici

Contenuti

Fasi del Progetto

Percorsi

Schede Operative

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Capitolo I I termini del problema

1.1 - I rifiuti: cosa sono Analizziamo la definizione di rifiuto, esposta nel DPR n. 915 del 10/9/82, che regola attualmente ogni attività relativa ai rifiuti siano essi urbani, speciali, o tossiconocivi. Si legge: «si chiama rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto derivante da attività umane o da cicli naturali, abbandonato o destinato all’abbandono». Da questa definizione potrebbe derivare una visione dei rifiuti come elemento a sé stante e non come parte di una rete invisibile di trasformazioni legate ai processi produttivi, alle modalità di consumo e all’uso delle risorse. Non solo, vi si potrebbe leggere anche una sorta di legittimazione del singolo a non sentirsi coinvolto né responsabile della produzione e della destinazione dei propri rifiuti; segno evidente di una rottura di relazioni tra il cittadino ed il territorio in cui vive. Tutto ciò oggi non è più possibile, poiché viviamo in una continua situazione di precarietà e di emergenza che pone ogni giorno il problema rifiuti davanti ai nostri occhi: nelle strade e sui giornali, per quella o quell’altra discarica che chiude, per quello o quell’altro impianto di combustione per produzione di energia che viene costruito. Ricordate lo slogan pubblicitario di qualche anno fa? «Ma che fa signora? Va ancora in giro con le bottiglie?» Serviva per lanciare i contenitori in plastica e, sciaguratamente, ebbe un grosso successo, tanto da indurre molti di noi a considerare le bottiglie in vetro scomode e fuori moda e a preferire i nuovi e luccicanti contenitori. Poche persone allora si sono domandate dove questi nuovi contenitori sarebbero andati a finire dopo l’uso. «USA E GETTA» diceva la frase coniata nel 1960 dal sociologo americano Vance Packard e mai nessuno avrebbe immaginato che questa avrebbe segnato una nuova epoca. Eppure a forza di gettare si finisce col costruire una piramide di spazzatura enorme: pensate che in una città come Milano, sommando i rifiuti della città e quelli delle piccole imprese artigianali e delle grandi industrie, si raggiungono le 5000 tonnellate al giorno. In Lombardia, in un anno, si

arriva a più di 10 milioni di tonnellate; come a dire un cassone lungo 1 chilometro, largo 300 metri ed alto 100 metri, maleodorante e pericoloso. In Italia , in un anno, si producono ormai 21 milioni di tonnellate di Rifiuti Solidi Urbani (RSU), di cui il 92% finisce in discariche che esauriscono in pochi anni le loro capacità di smaltimento. Tutto diventa rifiuto urbano o industriale: la luccicante carta che avvolgeva le nostre caramelle, il sacchetto che conteneva i biscotti, il frigorifero o la televisione guasti e tutte quelle cose che prima ci sembravano così belle ed ora sono apparentemente così inutili. Ovviamente i rifiuti li produciamo tutti, chi più chi meno, ed, in fondo, ci sembra che sia sempre stato così o che il problema non sia tanto grave. Produrre e gettare rifiuti è così legato al nostro comportamento quotidiano che viene considerato il più delle volte dai non «addetti ai lavori» un «fatto naturale». Eppure il rifiuto, industriale o urbano che sia, è una invenzione umana: in natura non esiste. I residui degli animali e dei vegetali rientrano nei cicli naturali, la natura non butta via niente: usa e riusa, mantenendo in questo modo le sue risorse attraverso un percorso circolare immaginario, chiuso ed infinito.

1.2 - Come la natura ricicla i rifiuti: in natura i rifiuti non esistono Considerare rifiuto «qualsiasi oggetto derivante da attività umane o da cicli naturali, abbandonato o destinato all’abbandono» riflette una visione del problema propria dell’uomo. L’uomo, infatti, non considera il legame reale che collega i rifiuti prodotti alle risorse a cui attinge per soddisfare i suoi bisogni. In realtà, in natura, il rifiuto e la risorsa rappresentano aspetti e momenti diversi della continua e lenta trasformazione della materia e della vita sul nostro pianeta. Ad esempio il petrolio, che noi consideriamo una risorsa indispensabile della nostra civiltà, non è altro che una grande massa di rifiuti organici che ad una certa tempera-

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CAPITOLO I tura e pressione si trasformano in un liquido denso e oleoso. Tali processi richiedono tempi lunghissimi, dell’ordine dei milioni di anni (tempi geologici e biologici), mentre l’uomo negli ultimi quarant’anni (tempi storici) sta esaurendo le risorse che trasforma prima in merci e poi in rifiuti. Così l’ecosistema terra, nato circa 4,5 miliardi di anni fa, formato da litosfera, atmosfera, idrosfera e biosfera (per molti biologi biomassa), è in continua trasformazione. La LITOsfera 4,5 miliardi di anni fa era composta di materiale semiliquido e incandescente che si è raffreddato ed è diventato solido in superficie, mentre è rimasto molto caldo al centro del nostro pianeta. I movimenti di trascinamento, che le zolle costituenti la crosta terrestre subiscono come conseguenza dei movimenti del magma sul quale galleggiano, hanno provocato continui mutamenti: sono nate montagne, si sono formate profonde depressioni e fosse in fondo agli oceani; continenti si sono saldati, altri si sono allontanati, alcuni oceani sono scomparsi. Inoltre si sono verificate violente eruzioni vulcaniche e terribili terremoti che hanno cambiato l’aspetto di intere regioni. Anche oggi la litosfera subisce continue trasformazioni, i detriti che queste trasformazioni provocano non sono rifiuti, ma sabbie, ciottoli e sassi che vengono allontanati dal luogo di origine e riempiono una valle o una conca marina. L’ATMOsfera originariamente era composta da idrogeno e elio, che ben presto si sono volatilizzati nello spazio o sono stati spazzati via dall’attività, allora particolarmente intensa, del vento solare. La nostra atmosfera ha, invece, origine dai gas e vapori liberati nelle eruzioni vulcaniche, in prevalenza anidride carbonica e vapor acqueo, e poi ossido di carbonio, idrogeno solforato, ammoniaca: tutti altamente tossici e per noi irrespirabili. Quando la temperatura della Terra lo ha consentito, il vapor acqueo si è trasformato in oceani, nuvole, nebbia, dando così origine all’IDROsfera. La condensazione del vapor acqueo ha trascinato con sé gran parte dell’anidride carbonica (solubile in acqua), mentre l’ammoniaca si è trasformata in azoto. Negli oceani, intanto, si formavano aggregati di molecole complesse (soluzioni diluite di sostanze organiche) che avrebbero dato successivamente luogo alle prime forme di vita. Infine la comparsa della vita vegetale, grazie ai processi di fotosintesi, ha prodotto l’ossigeno che si è diffuso nell’atmosfera mescolandosi all’azoto. Dalla nascita della Terra sono dovuti trascorrere ben 1 miliardo e mezzo di anni perché si creassero le condizioni per la vita. La BIOsfera compare, quindi, 3 miliardi circa di anni fa e ha la forma di molecole molto piccole (dell’ordine di un millesimo di millimetro). Fin dal primo momento in cui nasce la vita, compare anche la morte, come limite entropico del sistema. L’organismo passa da uno stato di ordine, alimentato dall’energia (vita), ad uno stato di disordine, il cui massimo (massimo entropico del sistema)

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porta alla degradazione delle molecole complesse che lo costituiscono, trasformandole in molecole semplici. Cosa capita ai rifiuti a questo punto? I rifiuti non esistono, perché fin dall’inizio nascono cellule che si adattano a «mangiare» e riciclare i «resti» delle altre cellule. La biosfera si differenzia ben presto nelle due principali forme di vita animale e vegetale e, prima lentamente, poi più rapidamente, assume forme più complesse e grandi, fino a raggiungere le dimensioni di un elefante o di una balena. Alcune forme di vita a volte si estinguono, mentre a volte si adattano molto facilmente alle trasformazioni della litosfera e dell’atmosfera e sopravvivono per miliardi di anni. I rifiuti continuano a non essere un problema perché nulla si spreca o si butta. Esiste un piccolo o grande essere vivente animale o vegetale, un fungo o un batterio, che usa quello che è stato scartato da altri o che è morto. Un vecchio tronco viene demolito da funghi e larve di insetti fino a diventare humus per il bosco ed essere riciclato come sali minerali e anidride carbonica, che le piante possono riutilizzare come alimenti. Si crea così all’interno dell’ecosistema un sistema formato da due componenti: autotrofa (vegetale: capace di utilizzare sostanze semplici e di fissare direttamente l’energia solare) ed eterotrofa (animale: decompone e trasforma sostanze complesse ricavando energia dai loro legami chimici), organizzati in catene e reti alimentari (vedi figura di pagina 3). La catena alimentare è organizzata in modo che nulla venga sprecato. Ci sono gli organismi produttori di materiale organico (i vegetali) e gli organismi consumatori che sono incapaci di produrre materiale organico e si limitano a consumare quello che producono i vegetali (gli animali). Se i vegetali e gli animali morti del nostro pianeta non subissero alcuna trasformazione, la Terra sarebbe una enorme discarica povera di risorse che si accumulerebbero via via nei corpi degli animali e delle piante senza vita (carbonio, azoto, ossigeno, zolfo…). Esistono pertanto organismi decompositori, come i funghi e i batteri, in grado di demolire sia i produttori che i consumatori e di recuperare, riciclando, le risorse del pianeta: carbonio, azoto e ossigeno principalmente. Ognuno ha il suo ruolo ed ognuno concorre a mantenere in piedi una catena che continua da 3 miliardi di anni: i vegetali costruiscono, gli animali utilizzano, i decompositori demoliscono, infine i vegetali riutilizzano, riciclando all’infinito. L’ambiente terrestre, quindi, è un ecosistema chiuso che, con il solo apporto di energia solare, conserva le risorse (materia) delle quali dispone in modo continuo e incessante. Questo sistema a ciclo chiuso è caratterizzato da flussi naturali di sostanze (cicli bio-geochimici) che ne determinano e ne fanno rimanere costante la quantità nell’ambiente.


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FIG. 1 • I.M.S. «E. DA ROTTERDAM», SESTO SAN GIOVANNI

1.3 - La storia dei rifiuti: i rifiuti sono un prodotto dell’uomo L’uomo è comparso sulla Terra 5 milioni di anni fa e fino a quando è vissuto in piccoli gruppi nei villaggi, ha mantenuto l’equilibrio naturale delle risorse, perché i pochi rifiuti che produceva venivano riciclati completamente. Il cibo avanzato veniva utilizzato dagli animali che si avvicinavano al villaggio e le stoviglie rotte, i resti di una vecchia capanna e i poveri abiti non più utilizzabili venivano usati per costruire terrapieni più alti e quindi più asciutti sui quali costruire un villaggio sempre più sicuro da alluvioni e da animali feroci. Nel 5000 a.C. nacquero le prime città e, da quel momento fino ai primi del XVIII secolo d.C., l’economia della stragrande maggioranza delle famiglie che vivevano sia in città che in campagna era fondata sull’arte del riciclo e del «non spreco»: le cose da buttare erano veramente poche. Infatti i vestiti smessi erano passati ai più poveri o rivoltati per i più piccoli; la cenere della legna del camino era il detersivo per le stoviglie e la biancheria; questa veniva rammendata molte volte e poi tagliata a strisce, per farne pannolini per bambini o scarpe per i pastori; il poco cibo avanzato veniva mescolato alla paglia e agli escrementi degli animali allo scopo di farne letame; i pochi prodotti dell’artigianato erano così scarsi e costosi che prima di essere buttati dovevano essere ben sfruttati. Poi, alla fine

CAPITOLO I del ‘700, in alcune aree della Terra, ancora oggi le più ricche, nacque l’industria, che fabbricava oggetti più economici di quelli prodotti dall’artigianato. Lentamente le condizioni complessive di vita dell’uomo andarono migliorando, allungandone la durata media della vita. Intorno al 1925 il rifiuto più diffuso era ancora la cenere, ma già il vetro e i metalli venivano scartati in quantità non trascurabili. Nel secondo dopoguerra nasce la cosiddetta «civiltà dei consumi»: da quel momento la quantità di rifiuti è aumentata vertiginosamente, in particolare materiali organici, vetro e carta e prodotti nuovi come le plastiche e i materiali delle industrie chimiche e siderurgiche. I paesi industrializzati devono quotidianamente risolvere il problema dello smaltimento degli enormi quantitativi di materiale scartato, perché i cicli naturali non riescono a «chiudersi»: gli agenti atmosferici non riescono a trasformare i rifiuti in tempo utile e i batteri e i funghi non hanno il tempo di decomporli, non c’è più equilibrio tra i tempi della natura e quelli dell’uomo. Ma non solo, dal momento in cui sono stati immessi sul mercato enormi quantitativi di materiali che fino ai giorni nostri non erano presenti in natura, il problema dei rifiuti è diventato ancora più critico. La plastica e tutti i prodotti di sintesi che l’uomo ha immesso sul mercato, infatti, non sono nella maggior parte dei casi biodegradabili, cioé non esistono ancora in natura organismi piccoli o grandi capaci di decomporli.

1.4 - Rifiuti e consumi: una relazione da considerare L’incremento dei rifiuti è legato al crescente livello dei consumi individuali ed al benessere a cui il nostro paese è arrivato. I rifiuti, infatti, in quanto prodotti di scarto che derivano dall’attività dell’uomo (produzione, trasporto, distribuzione, consumo di merci), sono una funzione diretta della cultura e dell’organizzazione di vita dell’uomo. Storicamente sono diventati un problema grave proporzionalmente allo sviluppo della società industriale. Questa dimensione storica del problema è molto interessante: le comunità umane hanno sempre prodotto rifiuti, diverso è stato il volume complessivo, la cultura e la tecnologia con cui si sono affrontati. Attraverso i consumi e i modi impiegati per risolvere il problema dei rifiuti sarebbe possibile indagare su aspetti significativi delle società del passato. Se è vero che all’uomo primitivo non era permesso alcun «errore ecologico» perché a rischio era la sua stessa sopravvivenza, è anche vero che di errori ecologici nella storia ce ne sono stati molti (quasi tutte le epidemie di peste dell’ultimo millennio in Europa sono legate anche a crisi di carattere ecologico). D’altra parte, il fatto che non fosse possibile sprecare le risorse ambientali obbligava di fatto ad assumere atteggiamenti rispettosi dei cicli biologici.

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CAPITOLO I Nelle società preindustriali, ad esempio, l’attività agricola assorbiva gran parte degli scarti di tipo domestico e l’integrazione tra agricoltura e allevamento consentiva di riutilizzare i residui organici degli animali come nuova risorsa, sotto forma di concime per i campi. I «beni» venivano concepiti come oggetti durevoli e venivano riparati o destinati ad altro uso. In epoca industriale la quantità di beni di consumo circolante è aumentata enormemente e con essa la quantità di rifiuti. L’invenzione poi dei mezzi di comunicazione ha ulteriormente allargato il circuito produzione - consumi, diffondendo mode ed imponendo sul mercato prodotti e materiali non sempre indispensabili e soprattutto non sempre ecocompatibili. Si sono diffusi così atteggiamenti culturali che hanno abituato il cittadino ad essere consumatore passivo, a non fare da sé, a consumare il «già pronto», ad apprezzare l’usa e getta; lo hanno trasformato in un consumatore acritico e pericoloso in quanto produttore di una grande quantità di rifiuti. Per valutare quanto sia passivo l’atteggiamento di ciascuno di noi di fronte a questo problema basti pensare che gli imballaggi che vengono utilizzati per incartare, contenere, pubblicizzare gran parte dei prodotti presenti sul mercato costituiscono circa il 40% in peso e il 60% in volume di tutti i RSU di origine domestica. Questo atteggiamento è conseguenza del fatto che ci sentiamo estranei ai beni che acquistiamo, di cui non conosciamo la natura merceologica né i meccanismi di funzionamento e che abbandoniamo, disinteressandoci della loro destinazione una volta che li consideriamo scarti. Non solo non ci sentiamo responsabili della produzione dei nostri rifiuti, ma ne abbiamo una visione legata alla nostra sfera personale.

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1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27.

Sostanze nocive e tossiche Arsenico e i suoi composti Mercurio e i suoi composti Cadmio e i suoi composti Tallio e i suoi composti Berillio e i suoi composti Composti di cromo esavalente Piombo e i suoi composti Antimonio e i suoi composti Fenoli e i suoi composti Cianuri, organici e inorganici Isocianati Composti organo-alogenati Solventi clorurati Solventi organici Biocidi e sostanze fitofarmaceutiche Prodotti a base di catrame derivante da processi di distillazione e raffinazione Composti farmaceutici Perossidi, clorati, perclorati e azotati Eteri Sostanze chimiche di laboratorio non identificabili e/o sostanze nuove i cui effetti sull’ambiente non sono conosciuti Amianto (polveri e fibre) Selenio e i suoi prodotti Tellurio e i suoi prodotti Composti aromatici policiclici con effetti cancerogeni Composti del rame solubili Sostanze acide o basiche impiegate in trattamenti in superficie dei metalli Policlorodifenili, policlorotrifenili e loro miscele

TABELLA 1

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TERMINI DEL PROBLEMA


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1.5 - Definizione e classificazione dei rifiuti Riprendiamo la definizione di rifiuti come appare nel DPR 915/82: «chiamasi rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto derivante da attività umane o da cicli naturali abbandonato o destinato all’abbandono» e vediamo come questi vengono classificati nello stesso DPR, osservando che la classificazione dei rifiuti nelle diverse categorie è funzionale alle modalità di produzione e non alla loro natura (composizione), diversificata a seconda del loro grado di pericolosità. ◆ ◆

Sono Rifiuti Solidi Urbani (RSU): quelli non ingombranti provenienti da fabbricati o da altri insediamenti civili; quelli ingombranti provenienti da fabbricati o da altri insediamenti civili (arredamenti); quelli giacenti sulle strade o aree, sia pubbliche sia private, sulle spiagge marittime, lacuali e sulle rive dei fiumi.

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Sono Rifiuti Speciali (RS): quelli derivanti da lavorazioni industriali, da attività agricole, artigianali, commerciali e di servizi che, per quantità e qualità, non siano assimilabili ai RSU; quelli provenienti da ospedali, case di cura e affini non assimilabili ai RSU; materiali provenienti da demolizioni, costruzioni o scavi; veicoli a motore, macchinari e apparecchiature deteriorate e obsolete; rimorchi e simili fuori uso e loro parti; residui dell’attività di trattamento dei rifiuti. Una ulteriore classificazione utile ai fini dello smaltimento prevede altre tre categorie: i rifiuti inerti (vetri, rocce, materiali ceramici cotti e materiali provenienti da demolizioni e scavi); i rifiuti speciali assimilabili ai RSU ai soli fini dello smaltimento in discarica (imballaggi, imbottiture, scarti della produzione alimentare…); i Rifiuti Urbani Pericolosi RUP (batterie, pile, prodotti con etichetta «T» e «F») e prodotti farmaceutici.

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Sono Rifiuti Tossici e Nocivi (RTN): tutti i rifiuti che contengono o sono contaminati da sostanze ritenute nocive e tossiche per l’uomo e l’ambiente. Tali sostanze sono individuate in un numero di 27 come si può vedere dalla tabella n. 1.

1.6 - Rifiuti domestici: di che cosa sono composti? Abbiamo già detto che conoscere le caratteristiche qualitative dei rifiuti è funzionale alla programmazione di interventi di trattamento differenziato, di recupero e di riciclaggio. Quotidianamente buttiamo nella spazzatura di casa le

CAPITOLO I seguenti categorie di rifiuti appartenenti alla massa eterogenea dei RSU : ◆ contenitori in vetro ◆ contenitori in alluminio ◆ materiali ferrosi ◆ plastiche ◆ carta ed altri materiali lignei e cellulosici ◆ residui organici Sempre nella normale attività domestica produciamo numerosi rifiuti pericolosi, detti RUP (Rifiuti Urbani Pericolosi): ◆ pile e batterie esauste ◆ farmaci inutilizzati e scaduti ◆ prodotti chimici di uso domestico e relativi contenitori (topicidi, agenti corrosivi, residui di lavanderia, vernici) ◆ prodotti chimici usati nel giardinaggio e relativi contenitori (pesticidi, anticrittogamici ecc.) ◆ oli vegetali e minerali esausti ◆ lampade a vapori di gas tossici, tubi catodici (televisore)

1.7 - I rifiuti della città: i flussi dei rifiuti Quando si parla di RSU non si intendono i soli rifiuti domestici, ma tutti quei rifiuti che usualmente vengono raccolti dai servizi comunali e municipali. Una prima distinzione utile riguarda la provenienza di questi rifiuti. È evidente, infatti, che nei cassonetti e per le strade arrivano flussi di rifiuti originati da sorgenti diverse. Ecco le principali: ◆ utenze domestiche (le singole abitazioni) ◆ utenze commerciali (negozi, bar, alberghi ecc.) ◆ uffici ◆ piccole attività artigianali e industriali Ulteriori distinzioni possono essere fatte, ad esempio, fra i rifiuti ingombranti, che possono essere classificati in: ◆ rifiuti da spazzamento stradale ◆ rifiuti «verdi» da potature e taglio d’erba ◆ inerti da demolizioni o ristrutturazioni edilizie ◆ residui ospedalieri o da ambulatori medici e veterinari ◆ rifiuti da mercati ortofrutticoli o del pesce, da macelli, da mense ◆ resti di animali Occupandoci di RSU, e in particolare di rifiuti prodotti in casa, a scuola o in ufficio, è opportuno imparare a classificarli, per poter mettere in pratica la raccolta differenziata, indispensabile per uno smaltimento corretto. Infatti, le operazioni di recupero possono essere molto diverse se riferite ai rifiuti domestici oppure a quelli non domestici.

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CAPITOLO I

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1.8 - I rifiuti: quanti sono Uno dei problemi più preoccupanti di questi ultimi anni è stato il crescente aumento dei rifiuti (+4% in peso e +5-6% in volume - «Ambiente Italia», Franco Angeli Editore, 1992) la cui soluzione richiede pianificazioni ragionate, controlli ed interventi di prevenzione e recupero. Qualunque sia la categoria a cui appartengono, il volume dei rifiuti prodotti sia nelle abitazioni, sia nelle attività commerciali, artigianali ed industriali ha raggiunto oggi livelli tali da richiedere complessi piani per le modalità di raccolta e di smaltimento da parte dell’Ente preposto e un serio coinvolgimento del singolo, nell’opera di educazione a consumare meno, a produrre un minor quantitativo di rifiuti e a collaborare al piano della raccolta differenziata. Per dare un’idea delle dimensioni del problema, basti pensare che l’italiano medio produce circa 1 chilo di rifiuti solidi o liquidi ogni giorno, 350 chili ogni anno: questo significa 5 volte il suo peso corporeo medio. Dunque in Italia vengono prodotte 20 milioni di tonnellate di rifiuti urbani ogni anno. In volume diventano 125 milioni di metri cubi (un grattacielo di 42 piani a base quadrata, con il lato di 1 chilometro). Tra peso e volume Da quanto sopra riportato, emerge l’importanza di sottolineare anche l’aspetto relativo al volume dei rifiuti. Oltre al peso, il volume dei rifiuti rappresenta un indicatore utile. Il volume più che il peso li rende visibili e l’ingombro dei rifiuti è quello che preoccupa di più. A parità di peso, rifiuti più voluminosi determinano l’aggravarsi dei problemi. Quindici anni fa un metro cubo corrispondeva a 150-180 chilogrammi di rifiuti, oggi corrisponde a circa 100 chilogrammi non pressati. I rifiuti si sono, quindi, «alleggeriti» di circa metà del loro peso determinando, tra l’altro, la necessità di dotarsi di un numero sempre maggiore di cassonetti .

Evoluzione dei pesi specifici dei rifiuti a MODENA (chilogrammo/metro cubo) Anno

centro storico

1974

130

156

188

1978

133

161

159

1982

128

126

135

1987

106

111

109

TABELLA 2

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area resifrazioni denziale periferiche

TERMINI DEL PROBLEMA

Un’indagine condotta dall’Azienda municipalizzata di Modena (Tabella n. 2) evidenzia due fenomeni: ◆ la diminuzione del peso specifico dei rifiuti ; ◆ la loro omogeneità in aree con diverse caratteristiche. Merita una voce a parte la questione «imballaggi» che introduce il problema della inutile produzione dei rifiuti e spreco di materie prime: gli imballaggi rappresentano, come già detto, il 40% in peso e il 60% in volume di tutti i RSU. Infatti il settore industriale alimentare, dolciario, e quello chimico specificatamente rivolto a detersivi e prodotti per la casa in genere, e il settore igienico sanitario e di bellezza, investono capitali ingenti per ingrandire e abbellire i contenitori dei diversi prodotti con l’obiettivo di valorizzarne il contenuto presso il consumatore, andando molto oltre gli obiettivi sanitari ed economici di conservazione dei prodotti per i quali l’imballaggio è stato originariamente sviluppato e per i quali è giustificato. Lo scopo principale è attrarre il cliente con un richiamo esteticamente gradevole, anche se il prodotto avrà un costo più elevato. Ed il costo della confezione, purtroppo, non potrà essere recuperato, gravando su di esso il «valore» ambientale perso per lo spreco di materie prime come carta pregiata, cartone, plastica, alluminio, cellophane, usate per il confezionamento e l’aggravio del processo di smaltimento (raccolta, trasporto, stoccaggio o discarica). È importante sensibilizzare e indurre il cittadino ad una consapevolezza del problema inducendone le scelte all’acquisto di prodotti che siano confezionati con più attenzione ai valori ambientali.

1.9 - Primo passo: ridurre i rifiuti Nell’ultimo decennio, come già indicato, la produzione dei rifiuti ha registrato un incremento costante. Gli effetti di tale tendenza, nei prossimi anni, non saranno più sostenibili, l’imperativo pertanto dovrà essere quello di ridurre la produzione di rifiuti e di aumentare il recupero e il riciclaggio (vedi ciclo riportato nel riquadro a pagina 7). Occorre, quindi, intervenire adeguatamente sull’intero ciclo di produzione, riciclaggio, recupero e smaltimento dei RSU. Ne consegue che necessita il coinvolgimento di tutti (industria, istituzioni, cittadinanza attiva) e l’assunzione di responsabilità da parte di ogni individuo per limitare la produzione di RSU. Gli esempi vengono dall’estero: in Germania, un’apposita legge, il decreto Töpfer, impone ai produttori di recuperare gli imballaggi delle merci, mentre in Olanda è stato siglato un accordo con produttori e distributori per ridurre del 60%, entro il 1995, gli imballaggi a perdere. La raccolta differenziata resta un punto nodale di ogni politica per una migliore gestione dei rifiuti. È indispensabile operare la selezione dei rifiuti, che consiste nel separarne le varie componenti, per evitare di riempire inutilmente le discariche, per non distruggere


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CAPITOLO I

TERMINI DEL PROBLEMA

nell’impianto di combustione per produzione di energia materie prime non utilizzabili per il recupero di energia, per evitare rischi di inquinamento atmosferico, ma soprattutto per cercare di recuperare e riutilizzare il più possibile le risorse che costituiscono la maggior parte di ciò che abbandoniamo e che consideriamo rifiuto.

1.10 - La raccolta differenziata e la selezione Per poter essere trattati, riciclati o correttamente smaltiti i rifiuti devono essere mantenuti in flussi omogenei di materiali. Per alcuni materiali come le plastiche, difficili da riciclare, l’indicazione è di riutilizzarle il più possibile, mentre per altri materiali come carta, vetro, alluminio e legno contenuti nei rifiuti l’indicazione è quella di separarli tra loro tramite la raccolta differenziata, per poterli riciclare. La Tabella n. 4 indica i quantitativi dei rifiuti raccolti separatamente in alcune città italiane Come si può evincere da questi dati, solo la raccolta del vetro è capillare e svolta con una certa efficienza, mentre uno dei settori dove è necessario il massimo impegno è quello relativo alla carta. Per incrementare la raccolta differenziata comunque, la via da percorrere è quella di aumentare il valore di mer-

cato delle frazioni rivalorizzabili ancora troppo basso per invogliare gli operatori che spesso preferiscono rivolgersi ai mercati esteri.

1.11 - Composizione di alcune materie prime: loro riciclabilità e smaltimento Alluminio È un elemento molto comune nella crosta terrestre, sempre combinato con altri elementi e in particolare con l’ossigeno. Il minerale dal quale più comunemente si ricava l’alluminio è la bauxite, presente in particolare nei giacimenti della Guyana inglese, della Costa d’Oro in Africa, in Australia e in India. Gli stati industrializzati che, come l’Italia, hanno esaurito o non hanno mai avuto miniere di bauxite, si sono specializzati in una politica di riciclaggio che consente loro di ridurre le importazioni e il consumo di energia. Infatti, rifondere alluminio riciclato fa consumare solo il 5% dell’energia necessaria per ricavare alluminio dalla bauxite. In particolare l’Italia ha una fiorente industria di tra-

INDUSTRIA DEL RICICLAGGIO

MATERIE PRIME

RIUTILIZZAZIONE

PRODUZIONE

DISTRIBUZIONE

MATERIE SECONDE

RIFIUTI

RIFIUTI RICICLABILI

RIFIUTI NON RICICLABILI

CONSUMO

SMALTIMENTO CONTROLLATO

TABELLA 3 • CICLO DI PRODUZIONE, RICICLAGGIO, RECUPERO E SMALTIMENTO DEGLI RSU

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CAPITOLO I

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TERMINI DEL PROBLEMA

Quantità t/anno Rifiuti

Bologna

Brescia

Firenze

Roma

Milano

Torino

Verona

Carta

1140

1769

1309

-

322

180

-

Vetro

3113

2047

3211

13200

18086

46000

1500

Lattine

-

36

22

-

0,7

0,5

28

Pile

42

21

42

58

80

21

21

Medicinali scaduti

20

11

15

87

75

4

20

Plastica

111

-

-

-

48

-

280

Residui organici

-

-

123

-

-

-

-

TABELLA 4 • (Fonte: Ministero dell’ambiente: «Relazione sullo stato dell’ambiente in Italia» 1992) sformazione che utilizza al 40% l’alluminio di importazione, ricavato direttamente dalla bauxite, e al 60% alluminio riciclato. Quest’ultimo viene recuperato da alcune componenti dei camion, degli aerei, dei treni, delle automobili; dalle porte e finestre, dalle facciate e dai tetti degli edifici; dalle pentole, dai contenitori e dagli imballaggi in genere, ad esempio dalle lattine usate per le bibite gassate; da 1 chilogrammo di lattine di alluminio si ottengono 750 grammi di alluminio puroIn Italia, però, le lattine di alluminio vengono recuperate solo al 15%, mentre sarebbe opportuno incrementare questa raccolta per non disperdere inutilmente questa risorsa e per evitare problemi nella fase di smaltimento. Infatti, in discarica, le lattine occupano molto spazio rispetto al loro peso e non si degradano. Nell’impianto di combustione per produzione di energia rimangono tali e quali ripresentandosi un po’annerite nelle scorie in uscita. Carta Le possibilità di recupero della carta sono note, anche se negli ultimi anni la raccolta della carta non ha avuto sensibile sviluppo perché la carta riciclata non è apprezzata da tutti per il suo colore grigiastro dovuto all’assenza del processo di candeggiamento; va peraltro sottolineato come il candeggio sia una delle operazioni più inquinanti e dannose per l’ambiente. Inoltre la produzione di carta, un tempo fatta utilizzando gli stracci, si realizza con l’impiego di cellulosa, ricavata dalla polpa del legno: usarla vuol dire distruggere estese aree boschive. Pur essendo insidiato dalla plastica, il consumo di prodotti ad alta percentuale di cellulosa non sembra dimi-

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nuire come dimostra l’uso di fazzoletti di carta, tabulati per computer, carta per fotocopie, maxipanni per cucina, prodotti per l’igiene. La carta riciclata dovrebbe essere adottata dagli Enti Pubblici e dalle Scuole che ne sono grandi consumatori. La realizzazione di un progetto di riciclaggio di carta consente di far risparmiare sul costo di smaltimento e di far risparmiare all’ambiente le sue risorse, ad esempio gli alberi e l’acqua (400.000 litri per 1 tonnellata di carta) necessari a fabbricare carta nuova..

Alcuni dati a confronto sulla carta tasso di utilizzo

tasso di recupero

Germania

43%

41%

Olanda

66%

54%

Francia

45%

34%

Spagna

66%

41%

Italia

46%

27%

TABELLA 5 • (Fonte: elaborazioni Assocarta su dati ISTAT, 1992) Compost La materia prima utilizzata è rappresentata dagli scarti organici putrescibili che, una volta separati dalla massa dei rifiuti, vengono raggruppati in cumuli di altezza non supe-


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TERMINI DEL PROBLEMA

riore ai due o tre metri, all’aperto o in capannoni. Vengono quindi ossigenati uniformemente tramite rivoltamenti meccanici o insufflazioni di aria che favoriscono l’azione dei batteri aerobi. Infine i cumuli vengono mantenuti ad un livello di umidità compreso tra il 30 e il 50%. La sostanza organica viene demolita e stabilizzata dalla flora aerobica con contemporanea produzione di calore che determina anche una disinfezione. Il materiale così prodotto, dopo le necessarie operazioni di pulizia, è il «compost». Il compost è un ammendante organico, paragonabile al letame bovino, ricco sia delle sostanze organiche necessarie ai suoli agricoli, sia delle sostanze nutritive necessarie alla crescita dei vegetali (azoto, fosforo, potassio…). Il compostaggio si attua convenientemente nei luoghi dove già separatamente si raccolgono grandi quantità di rifiuti organici: mercati ortofrutticoli, rionali, mense, grandi servizi di ristorazione collettiva, parchi e giardini. Tale tipologia di recupero è comunque alla base della raccolta differenziata che separa le componenti «secca» e «umida» dei rifiuti, come vedremo in seguito. Medicinali I prodotti farmaceutici appartengono, secondo la legge, alla categoria dei RUP e necessitano quindi di tecniche di smaltimento successive ad una raccolta differenziata. I cosiddetti principi attivi che sono le sostanze chimiche ad attività farmacologica, possono essere nocivi e devono essere correttamente smaltiti. In discarica, mescolati ai rifiuti domestici, possono dar luogo ad emissioni nocive e inquinare il percolato, il liquido che si accumula sul fondo della discarica. In questo modo si possono disperdere nell’ambiente prodotti che possono alterare gli equilibri naturali fra batteri e virus; quindi è necessario smaltire questa frazione di rifiuti in discariche appositamente controllate o negli impianti di combustione per produzione di energia dotati di forni ad alta temperatura. Pile Esiste la possibilità di recuperare il mercurio e altri metalli presenti nei vari tipi di pile. Il mercurio è una sostanza altamente tossica: è sufficiente 1 grammo di mercurio disperso nell’ambiente per inquinare fino a 200 quintali di alimenti e 1000 litri di acqua. È interessante osservare che le comuni pile a bottone sono composte per 1/3 di mercurio. Le pile devono essere conservate, sigillate ed inviate in appositi contenitori, in discariche per rifiuti pericolosi. Nell’impianto di combustione per produzione di energia alcuni metalli, mercurio compreso, possono volatilizzare e devono essere catturati con filtri speciali. Poiché possono avere luogo fenomeni di accumulo nella catena alimentare dato che il mercurio, a contatto con i microrganismi del terreno, può trasformarsi in un

CAPITOLO I composto pericoloso detto metilmercurio, è importante che le pile siano smaltite correttamente a partire dal loro conferimento negli appositi contenitori. Esistono tecnologie che permettono di recuperare i metalli contenuti nelle pile e che in questi anni si stanno sempre più diffondendo e sviluppando. Plastiche Erroneamente si pensa che vi sia un solo tipo di plastica, in realtà si deve parlare di plastiche in quanto diversa è la loro composizione chimica. Il quantitativo del riciclato nel 1991 e 1992 ha avuto incrementi diversi, a seconda delle tipologie e degli usi, come si evince dalla Tabella n. 6. Resta il fatto che una buona percentuale viene utilizzata dal settore dell’imballaggio (vedi PVC, PET, PS, PP) che ha rappresentato il 40,6% del consumo di materiale plastico. Le plastiche più diffuse sono: Il polietilene (PE); si usa per la fabbricazione dei sacchetti di plastica (9 miliardi di pezzi solo in Italia), dei teloni agricoli, dei sacchi per la spazzatura, sacchi industriali, bottiglie per il latte, fusti, taniche e cassette, contenitori e pails per pitture e casalinghi, tappi, chiusure e cappucci spray, nastri adesivi, materiali da imbottitura. LDPE è il polietilene a bassa densità, mentre HDPE è il polietilene ad alta densità. Il cloruro di polivinile (PVC); impiegato soprattutto per le bottiglie di acque minerali non gassate, pellicole per film, bottiglie e flaconi di detersivi, shampoo e cosmetici, sacchetti, alveoli per frutta, uova, cioccolatini e fiale, corde. È la plastica maggiormente sotto accusa poiché se usata come combustibile può dare luogo a composti organici clorurati tra i quali alcuni pericolosi, quali le diossine e i furani; il suo composto base (il cloruro di vinile) è cancerogeno e si chiede da più parti che non ne venga consentito l’uso per gli imballaggi per alimenti. Il polipropilene (PP); si utilizza nella fabbricazione di stoviglie, film, sacchi industriali, confezioni per gelati e yogurt, siringhe monouso, secchi per vernici e spazzatura. Il polistirolo (PS); si usa per la produzione di bicchieri posate e piatti, coppette di gelati e yogurt, tappi, chiusure, cappucci spray e, nella sua forma espansa, per imballaggi di oggetti. Il polietilentereftalato (PET); è la plastica per bottiglie per bevande gassate. In discarica la plastica occupa, a parità di peso con gli altri rifiuti, uno spazio molto maggiore, pari a circa il 25% del volume e praticamente non si decompone. Nell’impianto di combustione per produzione di energia le plastiche aumentano il potere calorico della massa dei rifiuti da bruciare, inoltre, come abbiamo già detto, i prodotti di combustione delle plastiche clorurate, come il PVC, possono contribuire alla formazione e dispersione nell’aria di furani e diossine.

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CAPITOLO I

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TERMINI DEL PROBLEMA

Tipologia e quantitativi di materie plastiche riciclate 1992 (ton.)

1991 (ton.)

1992-1991 (variaz. %)

LDPE polietilene a bassa densità

172.610

238.040

-27,5

HDPE polietilene ad alta densità

64.303

68.337

-5,9

86.145

78.662

+9,5

PP polipropilene

151.206

166.079

-8,9

PS polistirolo

33.393

40.605

-17,7

5.420

5.341

+1,4

4.118

3843

+7,1

ABS stirene butadiene acrilonitrile

25.296

18.246

+38,6

Altro

28.870

26.736

+7,9

PVC cloruro di polivinile

PET polietilentereftalato PC policarbonato

TABELLA 6 • (Fonte: Unionplast) La plastica è riciclabile? In Italia vengono rigenerate alcune delle plastiche provenienti dagli scarti di lavorazione industriale, cioé la plastica omogenea costituita dallo stesso composto base. La riutilizzazione di plastiche di diversa composizione è ancora agli inizi: non più di qualche migliaio di tonnellate all’anno. Anche la selezione dei diversi tipi è assai complicata e in fase di sperimentazione. Vetro Un milione e duecentomila tonnellate di vetro tra bottiglie, bicchieri, barattoli e contenitori di alimenti e generi vari finiscono ogni anno nella spazzatura. Stimando per lo smaltimento una spesa media di centomila lire a tonnellata di rifiuti, si buttano 1.200 miliardi solo per far sparire i «cocci» dalla nostra vista (R. Butta «Lo smaltimento dei rifiuti solidi e dei fanghi», F. Muzio, 1990) A questo spreco se ne aggiungono altri come quello dell’inutile consumo energetico, tenuto conto che per produrre un chilogrammo di vetro si consuma mezzo chilogrammo di petrolio, se si parte dalla sabbia, e se ne consumano 350 grammi, se si riutilizza il vetro riciclato. In discarica, essendo un materiale inerte, il vetro non si degrada ma, occupando per sempre spazio prezioso, contribuisce ad un più rapido esaurimento dell’impianto. Nell’impianto di combustione per produzione di energia per rifiuti urbani, che raggiunge la massima temperatura di 950 gradi, il vetro non fonde; i rottami si trovano in egual volume nelle ceneri a valle, rendendo così inutile il costo dell’incenerimento, anzi produce danni,

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giacché provoca l’abrasione delle parti meccaniche dell’impianto e il conseguente aumento dei costi di manutenzione. Il vetro è riciclabile? Il vetro, una volta selezionato, e ripulito dalle scorie intese come etichette, tappi e parti metalliche, può essere macinato e rifuso per essere riutilizzato. In Svizzera il cittadino, abituato ormai da molti anni alla raccolta differenziata, seleziona le bottiglie, dividendole in chiare e scure offrendo quindi alle aziende che riciclano il vetro un prodotto di maggior pregio.

1.12 - Le raccolte differenziate di seconda generazione: «il secco» e «l’umido» Al 1989 il recupero di RSU da raccolta differenziata si può stimare in circa 800.000 tonnellate, costituite in gran parte da vetro. Le raccolte differenziate tradizionali, pur con le necessarie modifiche, non possono comunque incidere per una quota superiore al 15 % della produzione di rifiuti attuali. Per lo sviluppo di una politica di gestione dei rifiuti basata sulla prevenzione e sul recupero, occorrerebbe fare un salto di qualità, passando dai tipi di raccolta differenziata tradizionale a forme di raccolta differenziata «integrate» o di «seconda generazione», basate sostanzialmente sulla separazione fin dall’ambito domestico della frazione organica e putrescibile dalla frazione secca.


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TERMINI DEL PROBLEMA

L’adozione di questi sistemi comporta però una revisione complessiva del sistema di conferimento dei rifiuti che si articola su una doppia linea: rifiuto «valorizzato» e rifiuto destinato ad altre forme di smaltimento. Si tratta di sistemi sperimentati con successo in altri Paesi europei (ex Germania Federale, Austria, Olanda e recentemente anche in Francia) ed introdotti (od in via di progressiva introduzione) nella legislazione italiana. Tali sistemi hanno costi ormai analoghi a quelli di altri sistemi di smaltimento che adottano adeguate misure di protezione ambientale (discarica, inceneritori) e consentono i più elevati rendimenti in termini di recupero dei materiali e di recupero energetico. Bidone del «secco» Col nome di «bidone del secco» si intende una forma di raccolta che prevede la separazione, fin dal livello domestico, delle sostanze secche recuperabili (carta, vetro e metalli; in molti casi anche plastica, legno e tessili) dai restanti rifiuti composti dalla parte organica putrescibile, polveri e tutti gli altri residui, anche secchi e inerti ma non recuperabili. Il materiale secco raccolto separatamente in casa, in un apposito bidone o più semplicemente in un sacco distinto, viene successivamente conferito in un contenitore stradale posto esternamente alle abitazioni in accoppiata al contenitore dei rifiuti ordinari. Quest’ultimo viene così ad essere destinato ad accogliere tutta la parte umida o comunque non recuperabile per il cui conferimento si mantengono le forme tradizionali. Si realizza così, sia nella fase del conferimento che nella fase della raccolta, una completa distinzione tra questi due flussi di rifiuti. Le materie secche e recuperabili sono destinate ad uno specifico impianto di selezione, quelle umide o non recuperabili possono essere inviate ad un impianto di compostaggio o a discarica. Questo sistema di raccolta è stato sperimentato in Germania, dove ha raggiunto una certa diffusione (circa 3 milioni di abitanti serviti). Le quantità raccolte presso le sole utenze domestiche oscillano nelle varie esperienze tra i 67 e i 91 chilogrammi/abitante annui, equivalenti a circa il 20-35 % dei RSU domestici. I recuperi che vengono effettuati possono riguardare: vetro bianco, vetro verde, vetro bruno, vetro misto, carta di giornale, cartone, cartaccia, plastiche leggere e plastiche pesanti, stracci, legno, ferro, alluminio, altri metalli non ferrosi. In taluni casi la componente stracci-legno-plastica può essere addensata come combustibile alternativo. In fase di selezione gli scarti risultano essere circa il 10-20 % del materiale conferito. Bidone biologico La raccolta differenziata dei rifiuti organici prevede l’utilizzo, fin dall’abitazione, di un duplice contenitore: ◆ un primo contenitore destinato alla raccolta di tutti i residui alimentari, piccoli pezzi di carta (non patinata o

CAPITOLO I colorata), residui di giardinaggio; tale contenitore può essere sostituito da un sacco di carta resistente ed eventualmente da un sacco di plastica qualora il successivo impianto di compostaggio sia dotato di una macchina lacera-sacchi; ◆ un secondo contenitore destinato alla raccolta delle frazioni di rifiuti non soggetti a recupero. Fuori dalle abitazioni sono disposti due contenitori, analogamente al modello del «bidone secco»: uno destinato al conferimento della sola parte organica, l’altro per il conferimento dei restanti rifiuti. In aggiunta alla raccolta della frazione organica possono essere previste le raccolte di vetro e carta, sia in campane che porta a porta. In Germania le sperimentazioni sono avvenute a partire dal 1983 ma si sono ormai ampiamente estese coinvolgendo anche aree urbane di medie dimensioni per un totale di abitanti serviti stimato in oltre mezzo milione. Analoghe esperienze sono state condotte in Olanda, per un totale di circa 10.000 tonnellate annue di rifiuti organici domestici raccolti e trattati. I quantitativi raccolti attraverso questo sistema presentano una certa variabilità ed oscillano tra il 15 e il 40% del totale dei rifiuti. Nelle città in cui la raccolta ha assunto carattere obbligatorio i rendimenti si aggirano attorno al 30% dei rifiuti.

1.13 - Rifiuti e smaltimento Da quanto detto fin qui, si deduce che qualsiasi sistema di smaltimento deve necessariamente tener conto delle tipologie dei rifiuti da trattare e dei flussi attraverso i quali si forma l’insieme dei rifiuti. La discarica Il sistema di smaltimento più usato oggi è quello di collocare i rifiuti in discariche controllate che sono delle grandi buche dove il materiale che proviene dalla città viene sepolto e subito coperto, ogni giorno, in modo da evitare cattivi odori e proliferazione di animali. Perché un «buco» diventi discarica controllata occorrono particolari tecnologie costruttive al fine di evitare il più possibile rischi per l’ambiente. Infatti le pareti e il fondo di una discarica controllata sono ricoperti da un telo impermeabile o da materiale argilloso ed un impianto di drenaggio serve a raccogliere il percolato, evitando di farlo riversare nella falda. Inoltre i rifiuti, decomponendosi, formano dei gas, detti biogas, costituiti per lo più da metano e da anidride carbonica, che opportunamente captati, potrebbero essere riutilizzati come fonte di energia. Nella discarica vengono abbandonate molte risorse: i metalli, la carta, il vetro, l’alluminio ed ogni materiale riciclabile non viene più rimesso in circolo. A lungo andare le risorse, che sono così abbondanti in natura ma non infinite, poiché la loro velocità di produzione spontanea è

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CAPITOLO I minore della velocità con la quale l’uomo le consuma, si esauriranno e recuperarne di nuove sarà sempre più difficile e costoso. Aspetti positivi della discarica: ◆ costo iniziale dell’impianto relativamente basso; ◆ mancanza di prodotti di scarto, se si esclude il percolato; ◆ possibilità di installare impianti di biogas per la produzione di energia. Aspetti negativi della discarica: ◆ difficoltà di reperire aree tecnicamente idonee e ambientalmente sicure; ◆ pericoli per la contaminazione di suolo e sottosuolo, in particolare delle falde freatiche e dell’atmosfera, a causa dei gas di fermentazione, degli odori, delle polveri trasportabili dal vento; ◆ formazione di incendi non facilmente controllabili se profondi nella massa e produzione di fumi maleodoranti. Purtroppo, l’enorme quantità di rifiuti da smaltire e la difficoltà di reperire aree idonee porta alla formazione di discariche abusive, un fenomeno che riempie le periferie delle città di mucchi di macerie, di elettrodomestici rotti, divani, rifiuti organici putrescenti, veleni domestici, scarti di lavorazioni artigianali e industriali. I danni provocati sono enormi: ◆ l’infiltrazione dei liquidi di percolazione provoca l’inquinamento della falda e di conseguenza l’impossibilità di usare l’acqua dei pozzi della zona per usi potabili o irrigui; ◆ l’emissione di fumi dannosi e di odori sgradevoli derivati dalla combustione e dalla decomposizione di materiali tra loro non compatibili come la carta e la plastica, bombolette spray, medicine e pile, insetticidi e detersivi, provoca l’inquinamento dell’aria; ◆ lo stato di putrefazione dei rifiuti organici richiama animali randagi come i topi, determina cattive condizioni igienico sanitarie e favorisce l’insorgere di focolai di infezione. Gli impianti di combustione per produzione di energia Un altro sistema largamente in uso per lo smaltimento dei rifiuti è la combustione controllata. Nell’impianto di combustione controllata, detto genericamente impianto di combustione per produzione di energia, i rifiuti vengono scaricati dagli automezzi della nettezza urbana in una fossa di ricezione e da questa vengono prelevati tramite una benna, mossa da un carro ponte e immessi nella tramoggia (una specie di grande imbuto) di alimentazione del forno, per consentire una adeguata combustione. La temperatura deve essere non inferiore ai 900 gradi, per distruggere i composti organici, ma non superiore ai 1000 gradi, per evitare che le ceneri volanti aderiscano alle pareti interne del forno, corroden-

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dole. I gas in uscita devono sostare per almeno due secondi in una camera di post-combustione ad una temperatura di 950 gradi, per completare la combustione dei gas, riducendo al minimo la possibilità di emissione di composti organoclorurati (fra i quali diossine e furani). Il calore prodotto dalla combustione viene normalmente utilizzato per generare energia elettrica. Polveri ed eventuali inquinanti vengono abbattuti con diverse tecnologie, tra le quali filtri elettrostatici e torri di lavaggio a umido o a secco. Nei gas di combustione possono trovarsi: ◆ anidride solforosa; ◆ acido cloridrico; ◆ polveri contenenti piombo, zinco, mercurio ed altri metalli. Inoltre, in condizioni di combustione non controllata, possono formarsi le diossine quando il cloro (contenuto nelle plastiche «clorurate» come il PVC, in alcune carte sbiancate e nel sale da cucina) brucia insieme alla lignina, presente nel legno, nella carta e nei vegetali. L’unico modo per ridurre la produzione di fumi inquinanti dagli impianti di combustione per produzione di energia consiste nella raccolta separata dei rifiuti organici dalle abitazioni: la buccia di banana, le foglie di insalata e le ossa del pollo non dovrebbero essere bruciate. Inoltre le plastiche, come il PVC, non dovrebbero più essere utilizzate per gli imballaggi. È invece vantaggioso bruciare nei forni esclusivamente la carta e la plastica non riciclabile, il legno e i tessuti presenti nei rifiuti. Esistono impianti di preselezione che separano i rifiuti prima che vengano avviati all’incenerimento e che cercano di isolare i rifiuti che non dovrebbero essere bruciati: ma tali impianti si sono dimostrati molto carenti se non inutili allo scopo. Tra l’altro vetro e metalli non bruciano e, se non vengono separati a monte, si ritrovano nell’identica quantità a valle, nelle scorie dell’impianto di combustione per produzione di energia, senza poter più essere riutilizzati come risorse. Considerando gli aspetti positivi della combustione possiamo dire che essa consente di ridurre fino al 10 e 30 % rispettivamente peso e volume iniziali dei rifiuti trattati; inoltre i rifiuti possono bruciare per autocombustione una volta avviato il processo: maggiore è la frazione di materia combustibile (carta plastica ecc.) presente nella spazzatura, tanto più alto è il suo potere calorico; attualmente un chilogrammo di rifiuti domestici contiene circa 2000 calorie, capaci di assicurare l’indipendenza termica al processo di incenerimento: i rifiuti cioé bruciano da soli, una volta avviato il processo. Aspetti negativi dell’incenerimento: ◆ tempi di realizzazione relativamente lunghi (3 anni); ◆ alti costi di costruzione (paragonato ad altri sistemi); ◆ elevati costi di manutenzione; ◆ disponibilità di una discarica ad accogliere le scorie di combustione;


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rischio di inquinamento atmosferico.

L’impianto di compostaggio Per trattare la parte organica putrescibile dei RSU vengono costruiti impianti di compostaggio. L’utilizzazione agricola del compost ha due obiettivi: restituire sostanza organica umificata, cioé fertilità, al terreno agricolo, utilizzando una risorsa presente nei rifiuti e, contemporaneamente, diminuire del 28% circa il volume totale dei rifiuti solidi urbani da smaltire. Sono state messe a punto diverse tecniche di compostaggio che sono incentrate sulla meccanizzazione, sull’accelerazione del processo di decomposizione e sullo smaltimento contemporaneo di rifiuti di diversa origine e natura. Teoricamente il sistema più semplice di compostaggio è quello che distribuisce sul suolo coltivabile la parte organica putrescibile dei RSU, mescolandola agli strati superficiali del terreno così da essere decomposta dai microrganismi e trasformata in humus; tuttavia da un punto di vista igienico, tale sistema è assolutamente inaccettabile. Si possono allora raccogliere i rifiuti in concimaie o in celle chiuse. Il sistema più pratico è quello che tritura i rifiuti prima di farli decomporre consentendo così la riduzione del 50% del loro volume e favorendo una decomposizione aerobica. Nell’impianto di compostaggio, qualunque sia la tecnologia utilizzata, avviene una «decomposizione aerobica», in presenza di ossigeno e «termofila», con sviluppo di calore, di scarti organici putrescibili diversi, svolta, in condizioni controllate, da popolazioni miste di microrganismi «indigeni» (batteri, funghi, attinomiceti), cioé già presenti nel cumulo. Quindi i protagonisti del compostaggio sono gli scarti organici e i microrganismi che per accrescersi e riprodursi hanno bisogno di ossigeno e di carbonio e che trasformano i rifiuti umidi in compost contenente dal 20 al 30% di humus. Fattori positivi di un impianto di compostaggio: ◆ affidabilità del sistema; ◆ semplicità di gestione; ◆ possibilità di recupero dei materiali ferrosi. Fattori negativi di un impianto di compostaggio: ◆ possibilità di diffusione di odori poco gradevoli; ◆ difficoltà nel trattare imponenti masse di rifiuti organici; ◆ difficoltà di reperire rifiuti compostabili non contaminati.

1.14 - Come scegliere le «tecnologie» Le tecnologie di trattamento devono essere appropriate alla frazione di rifiuto: 1. Agli impianti di selezione finalizzati al riciclaggio dei materiali devono essere ammessi solo rifiuti raccolti come «frazione secca». Questi impianti servono a recuperare carta e cartone, metalli e plastica. 2. Agli impianti di trattamento dell’umido (cioé della frazione organica putrescibile) chiamati impianti di compostaggio, devono essere ammessi solo rifiuti provenienti dai mercati e dalla raccolta differenziata del rifiuto da cucina domestico, da mense pubbliche e private, da sfalci e potature. 3. Agli impianti di combustione devono essere ammessi esclusivamente rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata di frazioni non riciclabili esenti da residui organici (carta, plastica, mobili…). 4. Alle discariche controllate devono essere ammessi solamente gli inerti e gli eventuali rifiuti in eccedenza.

1. 15 - Dove collocare gli impianti Per gli impianti di produzione di energia e di riciclaggio, una collocazione idonea può essere rappresentata dalle zone industriali previste dai piani regolatori dei singoli comuni. I siti destinati a discariche, anche quelle destinate ad inerti e frazioni non organiche, devono essere idrogeologicamente idonei, distanti da insediamenti abitativi e dai pozzi di acqua destinata al consumo umano. Non sono autorizzabili discariche in zone protette o vincolate.

1.16 - Smaltimento e legislazione Il DPR n.915/82 che a tutt’oggi regola la materia nelle sue linee fondamentali, è suddiviso in sei titoli che trattano i seguenti argomenti: TITOLO I principi generali, classificazione delle competenze degli Enti Pubblici, autorizzazioni TITOLO II regime dell’attività di smaltimento dei rifiuti speciali TITOLO III come smaltire i rifiuti tossici e nocivi TITOLO IV disposizioni fiscali e finanziarie per favorire l’attuazione della legge TITOLO V sistema sanzionatorio e pene TITOLO VI disposizioni transitorie relative al periodo di entrata in vigore della legge Al TITOLO I è interessante sottolineare la parte che tratta i «principi generali» a cui deve essere ispirata ogni operazione di smaltimento dei rifiuti. Premesso che lo smaltimento è indicato come attività

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CAPITOLO I di pubblico interesse, si definiscono i principi generali a cui le operazioni di smaltimento debbono obbedire: ◆ deve essere evitato ogni danno o pericolo per la salute, l’incolumità, il benessere e la sicurezza della collettività e dei singoli; ◆ deve essere garantito il rispetto delle esigenze igienicosanitarie ed evitato ogni rischio d’inquinamento di aria, acqua, suolo, sottosuolo; così pure vanno evitati rumori e odori; ◆ devono essere salvaguardate la flora e la fauna e deve essere evitato ogni degrado dell’ambiente e del paesaggio, devono essere rispettate le esigenze di pianificazione economica e territoriale; ◆ devono essere promossi, con l’osservanza di criteri di economicità e di efficienza, sistemi tendenti a riciclare, riutilizzare i rifiuti e recuperare da essi materiali ed energia; ◆ devono infine essere favoriti sistemi tendenti a limitare la produzione di rifiuti.

Analisi delle normative e delle politiche ambientali in Europa: normativa comunitaria Il 18 marzo 1991 la Comunità economica europea ha emanato la direttiva CEE 91/156 relativa ai rifiuti che modifica la precedente direttiva 75/442 e la rinnova in modo significativo. Con la nuova direttiva è un rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato 1 (della direttiva) e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi». La direttiva insiste inoltre sull’esigenza di adottare misure preventive come lo sviluppo di tecnologie pulite, la

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diffusione di prodotti che in ogni momento della loro vita, dalla produzione allo smaltimento, contribuiscano il meno possibile all’aumento della quantità e pericolosità dei rifiuti. Importanti indicazioni vengono date dagli Stati Membri sulla possibilità di adottare misure autorizzative semplificate (autonotifica) per attività di recupero dei rifiuti, purché siano fissate norme tecniche per questa attività. Viene prescritto che siano adottate le misure necessarie affinché il recupero e lo smaltimento avvengano senza pregiudizio per l’uomo e per l’ambiente, mentre viene chiesto agli Stati Membri di attuare una rete integrata e tecnicamente adeguata di impianti di smaltimento che permetta alla Comunità, nel suo complesso, di pervenire all’autosufficenza nello smaltimento. La direttiva ribadisce il concetto base comunitario «chi inquina paga» e stabilisce che i costi di smaltimento devono comunque essere sopportati o da chi detiene i rifiuti o dal produttore che produce rifiuti. Recentemente, con la direttiva 94/62/CE, pubblicata il 31.12.1994, l’Unione europea ha affrontato anche la tematica degli imballaggi. Gli imballaggi costituiscono oggi circa il 50% in volume dei RSU. La Direttiva è orientata a prevenire la produzione di rifiuti fin dall’origine, a ridurre l’impatto sull’ambiente, armonizzando le misure nazionali degli Stati dell’Unione europea, per garantire il corretto funzionamento del mercato interno dell’Unione. La Direttiva dà priorità assoluta a prevenire la produzione dei rifiuti di imballaggio con l’esplicito obiettivo di ridurre il volume globale di imballaggi. A questa misura si affiancano misure per il reimpiego ed il riciclo degli imballaggi, per poter ridurre lo smaltimento finale, privo di qualunque forma di valorizzazione.


Capitolo II L’Educazione Ambientale e le fasi del progetto

Introduzione 2.1 - Dall’Ecologia all’Educazione Ambientale Il termine Ecologia introdotto per la prima volta nel 1866 da Haeckel definisce la Scienza [=logos] della casa [=oikos] degli organismi animali, con il compito di studiare i rapporti complessivi tra di essi ed il proprio ambiente organico ed inorganico e soprattutto nei loro rapporti positivi o negativi con le piante. Analizza, quindi, la biosfera (cap. I-pfr. 2) nella sua complessità avvalendosi di competenze incrociate fra discipline scientifiche differenti (chimica, fisica, zoologia, botanica, geologia ecc.). A causa di uno stato sempre più pressante di emergenza ambientale, l’Ecologia ha assunto un significato più ampio, non più Scienza specialistica da «addetti ai lavori», ma studio dell’Ambiente, inteso, da un lato, come interazione di fenomeni naturali, sociali, economici, storici, politici e, dall’altro, come il risultato di un processo di trasformazione su cui esercitano il proprio controllo i ritmi e le leggi naturali così come, i condizionamenti imposti dall’attività e dalle scelte dell’uomo. In questa prospettiva l’Ecologia assume un nuovo ruolo. Essa diventa modello di analisi ed integrazione dei vari «saperi», da quello umanistico e storico-sociale a quello scientifico-tecnologico, in modo da comprendere l’ambiente e il ruolo della specie uomo all’interno di esso. Da questa interpretazione trasversale, l’Ecologia diventa il tessuto connettivo fra i vari saperi e le varie discipline e fa emergere l’esigenza di un profondo rinnovamento culturale. Qui il nesso tra l’Ecologia e l’Educazione Ambientale. Quest’ultima, infatti, riveste non solo il compito di far acquisire nuove informazioni, conoscenze e competenze, ma anche di creare valori e costruire una mentalità in grado di stimolare la partecipazione di individui e comunità alla gestione dell’ambiente. L’acquisizione di nuove conoscenze, competenze e

capacità, a cominciare da quelle che permettono una più responsabile e obiettiva valutazione della realtà ambientale, comporta un processo formativo talmente ampio e radicale che non può non divenire un compito istituzionale della scuola, l’agenzia formativa più importante. Per rispondere in modo adeguato a questi compiti occorre un nuovo modo di «fare scuola» che preveda il coinvolgimento di docenti ed allievi in una situazione di ricerca, per affrontare problemi reali. Un modo che, partendo dalla scuola, sia capace di arrivare a cittadini ed Istituzioni che vivono all’esterno della scuola stessa. Per far questo il primo passo è quello di avviare attraverso l’Educazione Ambientale processi educativi che stimolino la capacità di «problematizzare», ossia di analizzare criticamente i problemi attraverso percorsi che partendo da domande vere, aperte, non banali, vadano alla ricerca di soluzioni possibili. Quanto detto sopra è il risultato di una lenta evoluzione dell’Educazione Ambientale, anche in relazione a nuove ricerche epistemologiche e metodologico-didattiche. In un primo momento, infatti, l’Educazione Ambientale si è identificata con l’approccio scientifico-naturalistico, inteso come somma di fenomeni biologici, fisici e chimici, che venivano considerati separatamente. Non solo, spesso le problematiche ambientali affrontate riguardavano situazioni più o meno «naturalistiche», lontane dal «vissuto» dei ragazzi. Oggi, l’Educazione Ambientale è costituita da tutte quelle attività che permettono la costruzione di una «mentalità ecologica». Con questo termine, si intende, da un lato, una mentalità capace di vedere l’ambiente come un sistema di relazioni, come prodotto dell’interazione tra i diversi aspetti, fattori e processi di trasformazione che coinvolgono la Natura e l’Uomo; dall’altro una mentalità dinamica in grado di partecipare e di assumere atteggiamenti responsabili verso l’ambiente. In questo contesto diviene prioritario considerare il territorio come «spazio di vita», nel quale l’individuo vive ed opera e nel contempo l’esperienza dell’allievo e la sua possibilità di assumere comportamenti capaci di intervenire per modificare l’ambiente stesso.

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2.2 - Dalla programmazione al progetto Dal punto di vista della scuola, l’attività di Educazione Ambientale, ormai ampiamente sperimentata in significative attività di ricerca educativa in Italia e in Europa (vedi progetti OCSE e ISFOL), poggia su un assunto fondamentale: non bastano le informazioni o le conoscenze per assumere valori e comportamenti positivi per l’ambiente. Non basta trasmettere i concetti base dell’Ecologia per ritenere che «scatti» automaticamente il rispetto per ciò che ci circonda. Il limite delle risorse, l’equilibrio dinamico fra gli elementi, viventi e non, che contraddistingue ogni ecosistema, l’irreversibilità di molti interventi dell’uomo sulla natura, il concetto di entropia… sono concetti da «costruire» attraverso situazioni educative complesse, fatte di esperienza, informazioni, studio, scelte ed azioni che si realizzano direttamente nell’ambiente, venendo a contatto con problemi reali e quotidiani che in esso si incontrano. In questo senso l’Educazione Ambientale è fondamentalmente educazione ai rapporti e alle relazioni tra «osservatore e osservato», tra «soggetto e ambiente». Per muoversi in questa direzione occorre passare da un lavoro di progettazione educativa, costruita solo all’interno della scuola, ad una progettazione «territoriale», in grado cioé di coinvolgere in un processo formativo globale, scuola, cittadini e istituzioni. Questo lo si può fare se non ci si limita ad affrontare teoricamente grandi tematiche quali energia, rifiuti, ecc., ma se si costruiscono progetti su problemi reali e delimitati come il risparmio energetico a scuola, il riciclo nel proprio quartiere, ecc. Lavorare per progetti significa motivare l’allievo e il docente ad un cambiamento che conduca ad un obiettivo concreto, alla possibilità d’intervento, alla ricerca di soluzioni, fino all’elaborazione di proposte ed azioni, in grado di modificare anche se parzialmente ciò che sta intorno. La progettazione deve prevedere la possibilità per l’allievo di ricercare le proprie motivazioni, di fare scelte, di fornire le proprie soluzioni, di assumere in tal modo propri valori, ossia di sviluppare, le sue «qualità dinamiche» (assunzione di responsabilità, espressione di un pensiero autonomo, spirito d’iniziativa, capacità di decidere ecc.). A questo proposito, un punto importante da considerare in un progetto di Educazione Ambientale è l’integrazione tra le tematiche prese in considerazione ed i curricoli scolastici. Questa integrazione permette, da un lato, di assicurare continuità al lavoro di Educazione Ambientale collegandolo al «fare scuola» quotidiano e dall’altro, di offrire strumenti innovativi anche nei confronti delle discipline. La metodologia qui proposta richiede un’opera di riflessione continua nelle varie fasi del progetto ispirandosi alla «ricerca-insieme», in cui il docente è coinvolto in

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E LE FASI DEL PROGETTO

un’attività di ricerca con gli studenti, accetta il ruolo di «guida» e non di detentore della «verità». Insegnanti e studenti sono coinvolti in un’attività di «ricerca» sul proprio territorio, accettando sin dall’inizio l’incertezza e l’imprevedibilità di un’indagine di cui non si conoscono prioritariamente risultati e soluzioni. Un progetto di Educazione Ambientale dovrebbe essere affrontato preferibilmente come lavoro di équipe che permetta l’impostazione di ricerche il più possibile articolate, e consenta a discipline e competenze diverse il raggiungimento di obiettivi comuni e concreti. Questo, sul piano metodologico - didattico, significa che un progetto di Educazione Ambientale può diventare un percorso trasversale che permea e coinvolge tutte le discipline del curricolo scolastico.

2.3 - L’Educazione Ambientale e il problema rifiuti La problematica dei rifiuti, se da un lato costituisce l’emergenza ambientale più visibile, dal punto di vista dell’Educazione Ambientale, è una delle più difficili da affrontare. I rifiuti fanno parte così tanto del quotidiano, che spesso ci scordiamo della loro esistenza o delle problematiche che questi possono creare all’ambiente. Per meglio comprendere questa «quotidianità» ci vengono in aiuto le parole di Italo Calvino: «… ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello d’apparecchio. Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti di Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo tubi di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori, materiali d’imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana: più che dalle cose che ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove.» La descrizione della città di Leonia non è molto diversa da quella che potremmo fare di una qualsiasi città e, una cosa sicuramente vera che lo scrittore dice, è che ormai siamo arrivati a misurare la nostra civiltà e il nostro sviluppo in quantità di rifiuti. La situazione rifiuti da emergenza, è divenuta motivo di sopravvivenza per determinati ecosistemi, tanto da mettere a rischio la stessa sopravvivenza della specie uomo. Risulta, quindi, tanto difficile quanto necessario cominciare a modificare i nostri comportamenti, a partire da quelli quotidiani per contribuire a cambiare il paradigma culturale della stessa parola: da «rifiuto» a «risorsa». Per raggiungere questi obiettivi, la migliore linea da seguire è costruire un progetto che valorizzi il «vicino» (il problema rifiuti nello spazio di vita del ragazzo) e che si


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sviluppi attraverso percorsi «flessibili» secondo la metodologia della ricerca. In questo modo la scuola può divenire un punto di riferimento per il cambiamento che investe tutto il territorio, poiché le azioni che la scuola fa, o propone, vengono riportate nel territorio stesso.

2.4 - I rifiuti e le opportunità educative I rifiuti solidi di provenienza urbana (RSU) costituiscono un insieme composito di materiali (cap. I, pfr. 10, 11, 12) che rappresenta una fonte non trascurabile di risorse. Queste ultime possono essere recuperate attraverso l’assunzione di comportamenti nuovi basati su un nuovo rapporto utilizzo-consumo e tramite l’adozione di tecniche in grado di garantire una migliore sostenibilità ambientale. Il problema rifiuti, data la sua complessità, comprende un po’ tutti gli aspetti dell’emergenza ambientale (inquinamento dell’aria, dell’acqua, del suolo, limite delle risorse, consumo energetico, ecc.). In sostanza, esso, permette di interpretare meglio: ◆ L’ambiente in quanto ecosistema, ovvero come complesso degli elementi fisici, chimici, biologici legati tra di loro da flussi di energia e trasferimenti di materia. ◆ L’ambiente come territorio governato dall’uomo attraverso le sue attività dirette, ovvero il complesso di regole di cui si è dotato e la definizione preventiva delle attività future (progetti, pianificazioni, ecc.). ◆ L’ambiente vissuto che ogni persona si costruisce individualmente sulla base delle proprie esperienze personali: lo spazio e il significato degli oggetti cambia a seconda della disposizione spaziale e delle interferenze culturali. Inoltre, occuparsi di rifiuti permette, con una certa agilità didattica, di evidenziare e rendere consapevole una visione tecnico-economica, in altri tempi già definita consumista, che non tiene conto dell’esauribilità delle risorse e della degradabilità dell’ambiente. Un progetto di Educazione Ambientale sui rifiuti è oggi più che mai utile e necessario se persegue i seguenti obiettivi: 1. Far percepire la presenza dei rifiuti nella vita quotidiana. 2. Far individuare le interazioni esistenti tra la propria azione quotidiana, sia biologica che sociale, e la questione rifiuti. 3. Far comprendere l’importanza di trasformare i rifiuti in risorsa. 4. Far comprendere l’importanza del riutilizzo/riciclo per diminuire la quantità di rifiuti. 5. Far comprendere l’importanza del «risparmio», ossia produrre meno rifiuti, sia in termini di organizzazione della distribuzione (imballaggi, ecc.), sia in termini di modifica dei comportamenti dei consumatori.

CAPITOLO II

6. Far comprendere come piccole azioni quotidiane individuali diventano «benessere collettivo» e permettono di risolvere problemi che sembrano di non facile risoluzione.

La proposta educativa: linee guida 2.5 - La ricerca insieme Come abbiamo visto, l’Educazione Ambientale si caratterizza per essere un processo che parte da problemi vicini alla vita dei ragazzi, da problemi presenti nel loro territorio, per divenire una ricerca aperta, che coinvolge conoscenze, valori e comportamenti e che educa a riconoscere la complessità dell’ambiente; una ricerca che chiede un modo diverso di rapportarsi tra le discipline, che chiede alla scuola di offrire nuove opportunità formative. Tutto questo in favore di uno sviluppo che guardi al futuro e che si domandi che cosa vuol dire «sviluppo sostenibile», in un nuovo modo di intendere la qualità della vita ed il ruolo del sistema formativo. Da queste considerazioni, nasce la proposta didattica basata su attività che mirano al «coinvolgimento personale» (percettivo, emotivo ed affettivo), del soggetto in formazione, per indurre costanti processi di riflessione e concettualizzazione personalizzati ed autonomi. L’apprendimento, infatti, è sempre il risultato di una riorganizzazione degli schemi (motori, cognitivi, comportamentali) con cui fino a quel momento ci siamo «adattati» all’ambiente in cui viviamo. Riorganizzazione che viene stimolata da una situazione di disequilibrio tra ciò che si è (o ciò che si sa, ciò che si fa) e ciò che è richiesto da una nuova situazione. Pertanto, favorire l’apprendimento vuol dire rompere gli schemi e generare una situazione di disequilibrio o contraddittoria da cui uscire con una situazione di nuovo equilibrio e nuove soluzioni. Il docente, in questo modo, perde la funzione di «possessore della verità», per diventare un organizzatore di situazioni e contesti di apprendimento, per promuovere una ricerca-insieme tra docente e studente. La ricerca-insieme, in corso d’opera, si allarga, varca i confini della scuola, coinvolge altri soggetti, mira a rendere visibile nel territorio, per la comunità locale, la presenza e l’iniziativa della scuola. La proposta che qui presentiamo ha come scopo principale quello di creare sinergie tra Istituzioni, cittadini e Scuola che contribuiscano a modificare il modo di concepire i rifiuti relativamente alla qualità della vita. Il territorio diviene così il luogo privilegiato in cui creare una nuova effettiva «continuità» educativa del curri-

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colo. Ogni età ha sicuramente le sue specificità (che abbiamo cercato di rispettare differenziando i materiali didattici), ma è anche vero che oggi l’atteggiamento dei ragazzi verso l’ambiente diviene progressivamente sempre più labile con il crescere dell’età. Diviene perciò fondamentale creare occasioni permanenti, in tutta la fase di crescita dei ragazzi. Occasioni in cui riappropriarsi del proprio territorio, trovare nuove radici affettive e di conoscenza; in cui sentire, in modo positivo, la responsabilità individuale per la salubrità della propria vita e del proprio ambiente. Lungo questa strada ha senso che il territorio sia insieme la rete di relazioni in cui cooperino le diverse età per costruire un territorio collettivo più sano. Ma ha altrettanto senso che a partire dal territorio, dal vicino, sia possibile acquisire la consapevolezza delle relazioni che legano il proprio territorio a quelli più lontani, il proprio problema agli altri problemi, in un processo di comprensione che va dal locale al globale per ritornare al locale. Certo non è facile tradurre tutto ciò in attività didattica, compatibile con le «strettoie» della scuola. Ma è anche vero che ultimamente nuovi spazi si sono aperti (Progetto Giovani, ecc.), l’attenzione a questi problemi è cresciuta, molte esperienze si sono realizzate. Rimane il fatto che spetta alla fantasia e alla professionalità dell’insegnante tradurre idee e proposte in un percorso didattico concreto, per la propria classe. Nelle pagine che seguono proviamo a dare alcune indicazioni che possono facilitare il lavoro.

2.6 - Le fasi del progetto Per poter realizzare un percorso educativo, il progetto può essere organizzato in fasi di lavoro che non vanno pensate come sezioni rigidamente separate e cronologicamente sequenziali, ma come funzioni diverse e complementari che possono ritornare in momenti successivi di realizzazione del progetto, in una visione «ciclica» del processo educativo. Non avrebbe infatti senso separare aprioristicamente la fase della conoscenza da quella del lavoro sul campo. L’una e l’altra sono infatti, spesso, le due facce di uno stesso processo. Ogni fase presenta in genere degli obiettivi, che ogni insegnante dovrebbe esplicitare sia a se stesso che alla classe, ed una strategia operativa, con un’attenzione permanente alla raccolta di documentazioni per la valutazione dei processi attivati e delle reazioni degli allievi. Qui di seguito presentiamo le diverse fasi per favorire la costruzione di un piano di lavoro e le sue connessioni con la programmazione disciplinare del singolo docente. Con l’avvertenza che i percorsi didattici e le attività possono essere variamente collocati nelle diverse fasi, a seconda del percorso che ogni insegnante si costruirà in modo originale.

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2.6.1. Prima Fase La ricerca delle motivazioni e l’approccio al problema rifiuti Uno dei punti qualificanti di un percorso di Educazione Ambientale è quello di arrivare a costruire nuovi atteggiamenti rispetto all’ambiente e alla sua gestione. Per arrivare a questo, un primo passo è certamente quello di riconoscere i comportamenti corretti e quelli non corretti nella vita di tutti i giorni e di ricercare le motivazioni che possono permettere il cambiamento in favore di una migliore qualità della vita sia individuale che collettiva. Gli ostacoli maggiori per questo riconoscimento sono le rappresentazioni mentali che ognuno di noi ha del problema, poiché queste formano nell’individuo degli «stereotipi», difficili da rimuovere, in quanto costituiscono le conoscenze iniziali su cui le successive verranno costruite. Conoscere le rappresentazioni mentali degli allievi sulla tematica rifiuti è il primo passo per avviare un processo di Educazione Ambientale che valorizzi le differenze ed i vissuti individuali degli allievi con un approccio educativo che crei reali motivazioni al cambiamento. Questo approccio è tanto più necessario perché il problema rifiuti non è immediatamente riconoscibile dai ragazzi: per loro non è un problema; il cammino dei rifiuti finisce nella pattumiera di casa; tutte le problematiche relative alla qualità e alla quantità rimangono «fuori dalla porta». È importante, quindi, far prendere coscienza ai ragazzi del problema stimolando la ricerca di nuove soluzioni a vantaggio di una migliore qualità della vita propria e collettiva. Che cosa c’è nella testa dei ragazzi: prima che sia… rifiuto? Come abbiamo detto una fase irrinunciabile in un progetto educativo su problemi ambientali è quello dell’analisi dell’immaginario, dei comportamenti e dei valori che sono propri dei ragazzi. All’interno dell’emergenza rifiuti è indispensabile porre l’accento sull’origine del problema, puntualizzando comportamenti e valori che ne sono causa. Fenomeni come consumismo, influenza della pubblicità sui comportamenti, creazione di miti da parte dei mass-media, sono difficilmente collegati all’idea del rifiuto. Non si coglie con immediatezza il nesso tra comportamenti quotidiani, apparentemente innocui e questa emergenza ambientale: è difficile che i ragazzi rispondano affermativamente a domande come: «Il rifiuto è un fatto naturale?» o «Il medico produce rifiuti quando cura una ferita?». Come è difficile rendersi conto del volume di rifiuti che giornalmente ognuno di noi produce. Inoltre il rifiuto, nel linguaggio corrente, è connotato di negatività: è sgradevole, pericoloso, inutile, quindi va abbandonato. Analogamente parlare di rifiuti a scuola può sembrare fuori luogo e poco motivante per tutti, anche perché il


L’EDUCAZIONE AMBIENTALE

E LE FASI DEL PROGETTO

tema viene trattato solitamente riferendosi soprattutto allo smaltimento. Quale può essere allora il punto di partenza? Ci sembra necessario che i ragazzi collaborino a definire il problema e si sentano motivati a trattarlo. E, nel nostro caso, il riconoscimento dei termini del problema, nonché delle relazioni che intercorrono tra essi, ad esempio tra consumismo e rifiuti, può avvenire a fine progetto e costituire l’obiettivo da raggiungere.

2.6.2. Seconda Fase La conoscenza del problema rifiuti Questa seconda fase si propone di affrontare l’aspetto cognitivo della tematica. Gli insegnanti progettano percorsi didattici conoscitivi che mettono in evidenza i diversi aspetti legati ai rifiuti (storico, economico, sociale, scientifico, linguistico ecc.), cercando il più possibile di integrare i contenuti curricolari con la tematica stessa. Allora, come entrare nel problema? Una chiave per coinvolgere gli allievi nel problema e per dipanare la complessa rete di conoscenze, comportamenti e responsabilità che si imbriglia intorno al problema rifiuti è l’analisi per cicli e flussi: energetici, dell’acqua, dell’aria, degli alimenti, ecc. Non ci si deve limitare, però, all’analisi delle strutture di ogni ciclo o flusso, ma è opportuno studiare le loro interconnessioni con altri cicli, dal momento che è da esse che spesso emergono problematiche ambientali. Ad esempio, il ciclo dell’acqua non evidenzierebbe problemi di inquinamento se non si incrociasse con l’uso domestico dei detersivi o dei fertilizzanti. La proposta di analizzare il problema rifiuti, nelle sue interconnessioni con la società dei consumi, nasce dalla dimensione di preoccupante emergenza ambientale che questo riveste per il pianeta Terra. D’altra parte il rapporto consumo-rifiuti evidenzia le distorsioni dell’attuale modello di sviluppo introiettate in «mode d’acquisto». Il problema rifiuti ha raggiunto un livello tale di complessità da determinare una nuova figura professionale, il «rifiutologo», sempre più attento non solo a tecniche di raccolta, trasporto e smaltimento, ma anche a temi di risparmio, riciclo e riuso. Un modo per analizzare i consumi all’interno del complesso sistema antropizzato (che dall’ambiente esterno preleva le merci ed in esso abbandona i rifiuti derivanti) è quello di fissarne le fasi in termini di distribuzione, commercializzazione, residui e rifiuti. In questo senso l’inizio del percorso didattico può nascere da un discorso sulla produzione e l’uso di una merce in relazione a possibilità concrete, da parte dei ragazzi, di avere contatti diretti con il «campo» di interesse che viene a generarsi.

CAPITOLO II

2.6.3. Terza Fase Il lavoro sul campo In questa terza fase il territorio diventa luogo di ricerca, di scoperta, di verifica, di sperimentazione, di…cambiamento. È la fase dei «laboratori», dell’attività che permette di operare, agire per cambiare le situazioni rilevate nelle fasi precedenti. Gli allievi non sono attori passivi, ma protagonisti con il docente del loro percorso di scoperta e, possono così costruire in modo autonomo il proprio sapere e i propri valori. Uno degli indicatori significativi dell’Educazione Ambientale è rappresentato dalla concretezza e rilevanza locale del problema affrontato nel progetto didattico: l’importanza del «vicino» si esplica in un solido rapporto scuola-territorio. Il «vicino», oltre che spaziale, è culturale, psicologico, vissuto, affettivo ed è, pertanto, più «grande», ricco, concreto, motivante e, spesso, più facilmente ed efficacemente problematizzabile: in questo senso rappresenta una delle condizioni per un’attività condivisa e coinvolgente. Il lavoro sul campo rappresenta la concretizzazione di questo rapporto con il territorio «vicino», per affermare il senso di un’appartenenza, di tipo ecosistemico, che è di tutti noi. Il «campo» non è solo una banca dati, ma è occasione di percezioni e osservazioni accurate e, perché no, luogo in cui si manifestano emozioni ed affetti, sede di conoscenza sistemica e trasversale ad ogni disciplina, contesto per una ricerca «vera» e per la costruzione di un’insostituibile «conoscenza locale», difficilmente rinvenibile in libri di testo o in enciclopedie. Talvolta può risultare estremamente efficace adottare un «campo» tanto vicino eppure così poco conosciuto come la propria aula, la propria casa o, persino, la propria pattumiera! Ed è così che proponiamo di «viaggiare» tra i rifiuti, concretizzando le idee, confrontando le proprie immagini mentali con la realtà attraverso il lavoro sul campo, leggendo i segni per individuare e capire relazioni vicine e a distanza, per riconoscere i delicati equilibri naturali e costruire una mentalità ecologica. Sarà così possibile educare a comportamenti ecocompatibili tesi all’uso responsabile delle risorse. Ma l’acquisizione di una nuova mentalità e di nuovi concetti, non è così facile. Nell’attività didattica bisognerà rendere abbordabili e percorribili tali acquisizioni strutturando situazioni educative che garantiscano il massimo della motivazione, dell’interesse, della disponibilità e dell’attenzione: elementi indispensabili all’apprendimento.

2.6.4. Quarta Fase L’elaborazione dei dati, il «prodotto» e la comunicazione In questa fase si realizza il «prodotto finale» come ulteriore momento di interazione con l’esterno e proposta, anche se parziale, del cambiamento dei comportamenti oltre che dell’acquisizione di conoscenze e di consapevo-

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CAPITOLO II

L’EDUCAZIONE AMBIENTALE

lezze sulla problematica affrontata dagli studenti. È il momento in cui gli allievi, forti delle proprie conoscenze e dei valori acquisiti, sono in grado di esprimere opinioni, proposte e di presentare richieste concrete a Istituzioni e cittadinanza attiva. È importante, infatti, che il progetto contenga una fase in cui il territorio studiato e la scuola entrino in «comunicazione»; ossia una fase in cui i risultati del lavoro svolto vengano presentati alle Istituzioni e ai cit-

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E LE FASI DEL PROGETTO

tadini in modo che gli allievi possano cogliere l’importanza


Le Scuole «laboratorio»

Scuole Elementari ✵ III° CIRCOLO DIDATTICO ANDRIA (BA) ✵ VIII° CIRCOLO DIDATTICO ANDRIA (BA) ✵ I° CIRCOLO DIDATTICO EDIFICIO OBERDAN - ANDRIA (BA) ✵ II° CIRCOLO DIDATTICO EDIFICIO D. BOSCO ANDRIA (BA) ✵ I° CIRCOLO DIDATTICO ARCO DI TRENTO (TN) ✵ II° CIRCOLO DIDATTICO ARCO DI TRENTO (TN) ✵ «LOMBARDO RADICE» CAIFANA (PG) ✵ «FULVIO SBARRE» CASEBASSE NOCERA UMBRA (PG) ✵ I° CIRCOLO DIDATTICO CASTELLAMMARE DI STABIA (NA) ✵ III° CIRCOLO DIDATTICO CASTELLAMMARE DI STABIA (NA) ✵ IV° CIRCOLO DIDATTICO CASTELLAMMARE DI STABIA (NA) ✵ VI° CIRCOLO DIDATTICO CASTELLAMMARE DI STABIA (NA) ✵ «II° CIRCOLO» CERVIA (RA) ✵ «III° CIRCOLO» CERVIA (RA) ✵ «A. MOLARO» CERVIGNANO DEL FRIULI (UD) ✵ I° CIRCOLO DIDATTICO COLLE VAL D'ELSA (SI) ✵ II° CIRCOLO DIDATTICO COLLE VAL D'ELSA (SI) ✵ DIR. DID. SCUOLA ELEMENTARE COURMAYEUR (AO) ✵ I° CIRCOLO DIDATTICO COSENZA ✵ III° CIRCOLO DIDATTICO COSENZA ✵ V° CIRCOLO DIDATTICO COSENZA ✵ VII° CIRCOLO DIDATTICO COSENZA ✵ II° CIRCOLO DIDATTICO CUNEO

✵ III° CIRCOLO DIDATTICO CUNEO ✵ «L. EINAUDI» CUNEO ✵ «S. ANTONIO» CUNEO ✵ «F. GENTILE» FANO (PS) ✵ «BIANCHINI» FANO (PS) ✵ «TORRETTE» FANO (PS) ✵ «PODERINO» FANO (PS) ✵ «MAROTTA» FANO (PS) ✵ «MONTESSORI» FANO (PS) ✵ III° CIRCOLO DIDATTICO FANO (PS) ✵ «CASTELLAMMARE DI STABIA» LADISPOLI (ROMA) ✵ «S. D'ACQUISTO» MANOPPELLO (PE) ✵ «SCALO» MANOPPELLO SCALO (PE) ✵ DIREZIONE DIDATTICA GANZIRRI (ME) ✵ CIRCOLO DID.TICO «DINA E CLARENZA» MESSINA ✵ «N. TOMMASEO» MESSINA ✵ «VILLA LINA» MESSINA ✵ «DIREZIONE DIDATTICA» CAMARO INF. (ME) ✵ I° CIRCOLO DIDATTICO MONTEBELLUNA (TV) ✵ II° CIR. DIDATTICO «F.BARACCA» CAUNADA MONTEBELLUNA (TV) ✵ «DANTE ALIGHIERI» NOCERA UMBRA (PG) ✵ IV° CIRCOLO DIDATTICO POTENZA ✵ V° CIRCOLO DIDATTICO RN LUCANIA - POTENZA ✵ VII° CIRCOLO DIDATTICO POTENZA

✵ «U. MERCURIO» POTENZA ✵ «DE AMICIS» QUARTU SANT'ELENA (CA) ✵ «S.E. DI VIA CIMABUE» QUARTU SANT'ELENA (CA) ✵ «REGINA MARGHERITA» QUARTU SANT'ELENA (CA) ✵ I° CIRCOLO DIDATTICO QUARTU SANT'ELENA (CA) ✵ III° CIRCOLO DIDATTICO QUARTU SANT'ELENA (CA) ✵ IV° CIRCOLO DIDATTICO QUARTU SANT'ELENA (CA) ✵ «DELLE PIANE» RAPALLO (GE) ✵ «MARCONI» RAPALLO (GE) ✵ «XXV APRILE» SESTO SAN GIOVANNI (MI) ✵ «G.MANCINI» SERRAMONACESCA (PS) ✵ «ANNA FRANK» VALTOPINA (PG) ✵ I° CIRCOLO DIDATTICO VENAFRO (IS) ✵ II° CIRCOLO DIDATTICO VENAFRO (IS)

Scuole Medie ✵ V GRUPPO «P. CAFARO» ANDRIA (BA) ✵ «SALVEMINI» ANDRIA (BA) ✵ «E. FERMI» ANDRIA (BA) ✵ «PADRE N. VACCINA» ANDRIA (BA) ✵ «A.MANZONI» ANDRIA (BA) ✵ «NICOLÒ D'ARCO» ARCO DI TRENTO (TN) ✵ «PUGLIATTI» CASTANEA (ME) ✵ «STABIAE» CASTELLAMMARE DI STABIA (NA)

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LE SCUOLE «LABORATORIO» ✵ «DI CAPUA» CASTELLAMMARE DI STABIA (NA) ✵ «F. SEVERI» CASTELLAMMARE DI STABIA (NA) ✵ «VIVANI» CASTELLAMMARE DI STABIA (NA) ✵ «MARIA BONITO» CASTELLAMMARE DI STABIA (NA) ✵ «L. DENZA» CASTELLAMMARE DI STABIA (NA) ✵ «PLINIO» CASTELLAMMARE DI STABIA (NA) ✵ «RANDACCIO» CERVIGNANO DEL FRIULI (UD) ✵ «GERVASI» CERVIA (RA) ✵ «A. DI CAMBIO» COLLE VAL D'ELSA (SI) ✵ SCUOLA MEDIA COURMAYEUR (AO) ✵ «R. ZUMBINI» COSENZA ✵ «GULLO» COSENZA ✵ «T. CAMPANELLA» COSENZA ✵ «GALIMBERTI» CUNEO ✵ «M. D'AZEGLIO» CUNEO ✵ «ODESCALCHI» LADISPOLI (ROMA) ✵ «FUMAROLI» LADISPOLI (ROMA) ✵ «G. MARCONI» MANOPPELLO (PE) ✵ «F. PETRARCA» GANZIRRI (ME) ✵ «G. GALATTI» MESSINA ✵ «ENZO DRAGO» MESSINA ✵ «T. A. JUVARA» MESSINA ✵ «S. FRANCESCO DI PAOLA» MESSINA ✵ «E. CASTRONOVO» MESSINA ✵ «G. A. CESAREO» MESSINA ✵ «ARCHIMEDE» MESSINA ✵ «C. D. GALLO» MESSINA ✵ «GIOVANNI XXIII» MONTEBELLUNA (TV) ✵ «DANTE ALIGHIERI» MONTEBELLUNA (TV) ✵ «MARI» NOCERA UMBRA (PG) ✵ «G. GALILEI» POTENZA ✵ N. 1 QUARTU SANT'ELENA (CA) ✵ «C. E. PORCU» QUARTU SANT'ELENA (CA)

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✵ N. 3 QUARTU SANT'ELENA (CA) ✵ N. 4 QUARTU SANT'ELENA (CA) ✵ «A. ROSAS» QUARTU SANT'ELENA (CA) ✵ STATALE RAPALLO ✵ «E. BRADA» SESTO SAN GIOVANNI (MI) ✵ «EINAUDI» SESTO SAN GIOVANNI (MI) ✵ «DON MILANI» SESTO SAN GIOVANNI (MI)

Scuole superiori ✵ I.T.I.S. «O. JANNUZZI» ANDRIA (BA) ✵ I.P.S.I.A. «GALILEI» CASTELLAMMARE DI STABIA (NA) ✵ I.T.I.S «ELIA» CASTELLAMMARE DI STABIA (NA) ✵ I.T.C . «L. STURZO» CASTELLAMMARE DI STABIA (NA) ✵ LICEO CLASSICO «PLINIO» CASTELLAMMARE DI STABIA (NA) ✵ LICEO SCIENTIFICO «F.SEVERI» CASTELLAMMARE DI STABIA (NA) ✵ LICEO SCIENTIFICO «A EISTEIN» CERVIGNANO DEL FRIULI (UD) ✵ I.T.I.S. «A. MONACO» COSENZA ✵ I.T.A «G. TOMMASI» COSENZA ✵ I.T.G. COSENZA ✵ LICEO SCIENTIFICO «E. FERMI» COSENZA ✵ I.T.G CUNEO ✵ LICEO SCIENTIFICO «S. PERTINI» LADISPOLI (ROMA) ✵ I.T.C. «QUASIMODO» MESSINA ✵ I.T.G. «MINUTOLI» MESSINA ✵ I.T.I.S. «VERONA TRENTO» MESSINA ✵ LICEO SCIENTIFICO «ARCHIMEDE» MESSINA ✵ LICEO CLASSICO «LA FARINA» MESSINA ✵ I.T.C. «EINAUDI» MONTEBELLUNA (TV) ✵ ISTITUTO ALBERGHIERO MILANO MARITTIMA-CERVIA (RA) ✵ I.T.I. S. SPERIMENTALE NOCERA UMBRA (PG) ✵ I.T.G. «G. DE LORENZO» POTENZA ✵ I.T.C «PEZZULLO» POTENZA

✵ I.P.S.A.R POTENZA ✵ LICEO SCIENTIFICO»G.GALILEI» POTENZA ✵ I.T.C. QUARTU SANT'ELENA (CA) ✵ I.T. C. «LICETI» RAPALLO (GE) ✵ LICEO CLASS.-LING. «DAVIGO» RAPALLO (GE) ✵ I.M.S «E. DA ROTTERDAM» SESTO SAN GIOVANNI (MI) ✵ I.T.I.S. «SPINELLI» SESTO SAN GIOVANNI (MI) ✵ I.T.C.G «DE NICOLA» VENAFRO (IS)


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