“Okay, adesso però basta ricordi, basta piangere: andiamo. Dov’è il mio premio?” Disse concitata Emma, cancellando ogni segno dei grossi lucciconi che le illuminavano il viso nello sguardo. I suoi collaboratori e i manager e alcuni operatori di studio applaudirono alla sua commozione ancora una volta mentre si disperdevano lungo il corridoio. Emma si voltò guardandosi intorno: “Dov’è?” Ripeté confusa. “Qui” sussurrò una voce alle sue spalle. Voce che, tra l’altro, avrebbe riconosciuto tra mille, manco a dirlo. E tra le pareti di quel corridoio l’aveva spesso sentita sussurrare, arrampicarsi sui i muri e raggiungere le sue orecchie, l’anno prima. Da quando li avevano divisi solo lo Zanfo permetteva loro qualche attimo di respiro, durante la pubblicità tassativa del serale. Uno o due secondi, un bacio sospirato e qualche parola di incoraggiamento. Ma l’uno lasciava sulle labbra dell’altra un sapore amaro, la paura di non ritrovarsi più, là fuori. Ma il loro amore era sopravvissuto. Era sopravvissuto a mesi di lontananza, ora moriva agonizzante per colpa di una scialba aspirante ballerina. E quella parte – impotente – di Emma moriva con lui. Emma si scusò e si avvicinò lentamente alla voce che proveniva dal piccolo stanzino. Feceun passo nel buio. Lui le chiuse dietro la porta. Poi accesela luce. “Ciao” Disse incerto, guardando prima a terra poi lei, e cercando di trattenere il sorriso che forte premeva sulle labbra. Lei era lì. Lei guardava fisso davanti a lei, piccole gocce di luce correvano silenziose sul suo viso, senza permetterle di voltarsi a sinistra. Ma a cosa sarebbe servito voltarsi di lato? Lei lo vedeva già, nella sua mente. Lui era così reale e sempre presente tra i suoi pensieri aggrovigliati. Era una costante nella sua testa e non solo, lo era ovunque: sulla sua pelle, riflesso negli iridi nocciola, sulle labbra, addirittura lo cercava spessotra i capelli spettinati, nei momenti di difficoltà e incertezza. A quel pensiero chiuse forte gli occhi per frenare i singulti. Lei lo sentiva. Percepiva i suoi grandi occhi apprensivi, il fiato sospeso e la pallina del suo piercing, che nervosa ruotava sulle sue labbra pulite. Immaginava il suo petto, nudo e caldo, forte. E immaginava le sue braccia possenti, i piedi stanchi, i capelli sudati. Ora vedeva la sua mano passare tra i suoi capelli biondi. E poi la sua reazione: uno scatto di rabbia che allontanò dal suo capo quella mano. “Quante volte lo stesso gesto ha sfiorato lei?” Lo guardò dritto negli occhi, fendette lo sguardo sereno di lui, lo ricoprì di dolore. La guardava afflitto e a quella risposta lei tornò a rivolgere lo sguardo altrove. Perché stava ancora lì? Lo amava, punto. L’invito di Maria le aveva fatto correre la mente a quel preciso istante, a come le loro bocche si sarebbero ritrovate nel buio e le mani impossessate nuovamente del corpo dell’altra. Ma non era così facile, se ne accorgeva solo allora. Stefano tentò di sfiorarla ancora. Lei si scansò. Non c’erano parole, non c’erano gesti; l’aria era satura di ostilità e dolore: diffidenza. “Emma…” “No Stefano, dimmi perché siamo qui” “Te Emma?Perché sei qui?” Silenzio. “Non fare domande,” sentenziò Stefano “a cui non sai dare risposta nemmeno tu” Doppiamente ferita dalle sue parole Emma lo fucilò con lo sguardo e gli rispose provocatoriamente “Sono qui per il mio premio.” “Prego: è ai tuoi piedi!” Lei prese prontamente la cornice sistemata ai loro piedi, abilmente sottratta da Stefano in precedenza, poi prese la maniglia…in ritardo. La sua mano, quella di Stefano, era già lì: pronta a fermarla. “Resta Em, resta qui. Resta con me” Emma si voltò. I loro visi erano pericolosamente vicini. Troppo.
Successel’inevitabile. Le loro labbra si ritrovarono proprio come s’aspettava. Avide e nostalgiche. Le mani riacquistavano la sicurezza nell’altro, mangiando frenetiche centimetri quadrati di carne. Difficilmente si allontanarono l’uno dall’altra. Poi si abbracciarono e lui annusò forte il profumo della sua pelle, sul collo. “Quanto mi piaci in calzamaglia…” Commentò Emma, sciogliendosi e scherzando un po’. Lui rise di gusto, baciandola ancora. Fu la voce di Maria a spezzare quel ricongiungimento. “Ed ora con la coreografia di Garrison, ballano Giulia e Stefano. …Piero?Qualche problema? Balla prima Vito con Michela? Perfetto. Quindi Giulia torna a posto, vieni te Vito” I due nell’ombra dello stanzino si rifecero distaccati e gli sguardi si persero cercando di trovare qualsiasi cosa a cui aggrapparsi per sperare ancora. Intanto il nome di lui correva sulle pareti del corridoio, all’esterno. “Stefano? Dove si è cacciato quello sconsiderato?!” “Devi andare.” Convenne Emma. “Sì” Dissesolo, Stefano. “Immagino finirà ancora così” E deglutì ingoiando il gemito che le si arrampicava su per la gola. Stefano non rispose e quel silenzio, per Emma, valeva più di mille parole. Respirò forte chiudendo gli occhi, Emma, si lasciò scappare una piccola lacrima sul viso. “Hai preferito a me la tua passione una volta, non ho saputo biasimarti. – No lasciami finire, per favore – Ma ora stai preferendo lei a me.” “Non è così, Em” “No, stai zitto. Hai parlato – e fatto – abbastanza” Uscì con furia dallo stanzino e lui la udì nel corridoio. “E’ lì: dentro lo sgabuzzino, recuperate il mio premio, se potete.” Poi i suoi tacchi allontanarsi. Subito dopo nello stanzino sbucò Josè. “Che cosa stai facendo? Vieni, Giulia comincia a preoccuparsi.” Stefano scattò su e raggiunse lo studio. “Tutto bene?” Gli sussurrò Giulia, prima che attaccassero la musica, ma lui non le rispose. Il suo sguardo correva sui capelli biondi che sfumavano nella penombra del dietro-quinte sotto gli spalti, per poi venire inghiottiti dal buio dei corridoi. L’ombra di Stefano tremolava sull’asfalto ingiallito dai lampioni sulla strada. Teneva il capo piegato lievemente da un lato e lo sguardo verso la porta di servizio dello studio. I suoi occhi celavano un’enorme tristezza, la perlina nera che ruotava su sé stessa sopra le labbra piene tradiva un certo nervosismo. Il caschetto nero sbucò proprio in quel momento, aprendo la porta molto lentamente. Sorrideva radiosa, Giulia, nell’ammirare quel metro e ottanta di straordinaria bellezza. Il suo metro e ottanta di straordinaria bellezza. “Buonasera” Sussurrò maliziosa non riuscendo a trattenere il sorriso che le paralizzava il viso. Stefano abbozzò a stento un sorriso, lei gli mise le braccia al collo e baciò piano le sue labbra. “Aspettava qualcuno?” Chiese strofinando la fronte contro il suo naso e aspettando una risposta che le permettessedi provocarlo nuovamente. “No” Quella parola fece accorgere Giulia del freddo che c’era quella sera. Si allontanò lentamente da lui che guardava altrove, distaccato. Si rannicchiò nella grande felpa intascando le mani e si incamminò lungo la larga strada asfaltata destando l’attenzione di Stefano che dopo un attimo di esitazione la seguì fino al tavolino con le panchine addossato a un albero. Si sedette davanti – non accanto – a lei. Teneva i gomiti ben appoggiati sulle ginocchia, reggendosi la testa con le mani. Sbuffò.
“Abbiamo ballato bene” Sussurrò Giulia. La gioia di rivederlo ora si vestiva dello stesso colore spento che riempiva gli occhi di lui. Stefano alzò il capo di scatto. “Sì,” commentò distratto “Hai ballato bene, Giulia.” Giulia si accorse che improvvisamente la sua bocca si era fatta secca, nulla di ciò che le veniva in mente di dire le riusciva o, forse, non le sembrava poter ottenere significato se chi la ascoltava era uno Stefano incredibilmente ermetico e svogliato qual era lui quella sera. Alla fine ciò che disse stupì lei stessaquanto lui. “Si può sapere a che diamine stai pensando?” “Di che parli?” “Ci pensi dall’ultima coreografia.” Poi, presa dall’adrenalina, aggiunse: “Mai ti saresti permesso di sbagliare una presa durante la finale.” Stefano rimase di stucco, ma invece di rispondere si abbandonò a una risata. “Hai una risposta alla mia domanda?” Entrambi si meravigliarono nuovamente della fermezza delle sue parole. Stefano allargò le braccia. “Se ti riferisci al mio sbaglio nella presa mi dispiace, e ti chiedo scusa…” “No,” lo interruppe scuotendo il capo “no, non fare finta di fraintendere le mie parole. Fra poco partirò e voglio saperlo se quando torno devo aspettarmi di trovarti con lei.” “Andiamo Giulia, che ti prende?” “Stefano non sono ancora una ballerina professionista ma questo non fa di me una stupida.” Stefano la fissò sempre più allibito, non l’aveva vista mai prima di allora tanto seria e determinata. “Non ho mai pensato che tu fossi stupida, non vedo semplicemente cosa possac’entrare ora…lei.” “Infatti, non vedo nemmeno io come possac’entrare: non siete più insieme!” Questo non significa niente, pensò Stefano. “Come faccio a farti capire che parliamo del nulla? Io non ho più niente a che fare con lei, come posso dartene prova?” “Parlami di lei: non hai mai pronunciato il suo nome in mia presenza.” “Perché dovrei nominarla?” “Perché non dovresti se è una storia chiusa?” I toni si erano fatti più accesi e Stefano la stava odiando, odiava Giulia profondamente per quello che gli stava facendo. Lo stava facendo soffrire, lo stava mettendo alla prova, proprio quella sera in cui aveva tolto le medicazioni dalle ferite scoprendo che non si erano ancora rimarginate. Sospirò. “Cosa vuoi sapere?” Giulia incrociò le braccia e volse lo sguardo altrove, Stefano la guardò sconsolato, poi si sdraiò sulla panchina e mirò le stelle. “Emma era la ragazza più bella là dentro. Sicuramente la sua bellezza è stata la cosa che per prima mi ha colpito di lei.” Giulia trasalì: non credeva potesseriuscire a parlare veramente di lei. Si protese su di lui per poter scorgere i suoi occhi. Ma questi erano lontani da lei: Stefano scorrazzava tra i ricordi, per rievocare quei momenti. “Poi la sua spensieratezza, quella sua allegria contagiosa che faceva sempre a pugni con la profonda maturità. Il suo sorriso, la sua voce, il suo sarcasmo, la sua semplicità…lei era uguale a me. E…eallo stesso tempo così stupendamente diversa.” Scossela testa, le parole non bastavano. “Giulia?” Dissetrasalendo “Sei sicura che sia..?” “Continua, per favore.” “Sono cose che puoi leggere sui giornaletti rosa, non…” “Voglio sentirle da te.” Sbuffò. “Poi sono partito per New York. Nulla mi faceva pensare che ci saremmo potuti perdere di vista, lei invece aveva qualche dubbio. Dubbio fondato, a quanto si è visto.” Rise al ricordare qualche espressione di Emma.
Aggrottò le sopracciglia, pensoso. “Penso siano stati i nostri impegni a permetterci di dare per scontato il nostro, di impegno. Da lì il passo e breve. Sebbene ci volessimo ancora capivamo di stare stretti l’uno all’altra. Non si è mai pronti a fare i grandi gesti.” Quindi si alzò e raccolse le ginocchia stringendosele al petto. “E’ inutile spiegarlo a parole.” Giulia scorse a malincuore un balugino nei suoi occhi. “Ma ho ricominciato.” “Vorrei esserne sicura almeno quanto te.” “Ti faccio vedere” “Cosa?” “Ciao Giulia!” Balzò su e si sedette sullo schienale della panchina, sorridendo impacciato. “Ciao…Stefano…” Risposeconfusa, lei. “Che bella serata, non credi? Che fortuna incontrarti sotto queste bellissime stelle.” Con fare teatrale agitò una mano in aria, per indicare la voltata celeste. Giulia accennò un sorriso, ma era ancora triste. Quella giornata continuava ad andare come non si aspettava. “Ehi ballerina,” la chiamò lui, sussurrando “ora basta pensare ad altro, io voglio pensare a te.” Giulia si lasciò trascinare da quei grandi occhi color melassa. “Però si è anche fatto tardi: domani vostra signoria ha molto da fare, non è vero?” La ragazza annuì debolmente. “Su!” Esclamò Stefano per cercare di tirarle su il morale. La prese in braccio e lei si liberò in gridolini acuti e entusiasmanti risate. Come d’accordo, Josè si presentò puntuale allo squillo del suo cellulare. Aprì la porta di servizio dall’interno e fece sgattaiolare Giulia dentro. Stefano rimase solo sotto le stelle. Di nuovo. Stette un momento fermo e zitto a cercare di elaborare tutto quel che gli era accaduto quella serata. Non ci riuscì e si rannicchiò a terra, nascondendo il viso tra le ginocchia. Inspirò piano ed espirò forte. Quindi estrasse dalla tasca dei pantaloni il cellulare. Si rialzò. Compose veloce un numero sulla tastiera del cellulare che poi si portò all’orecchio. Le parole che vomitò poco dopo alla segreteria telefonica gli suonavano sconnessee patetiche. “Ehi Em, ciao. Spero che tu abbia solo il cellulare spento e che utilizzi ancora questa sim perché se no…beh, ti volevo dire che se vuoi ci possiamo vedere…quando…alla prima del mio spettacolo, ti va? Mi sembra una magnifica idea…così ti puoi rendere conto che…lavoro in un bell’ambiente e che quella del cigno è un’opera stupenda. Ok, quindi spero mi farai sapere. Buonanotte.” Attaccò mentre si massaggiava le tempie. Quindi ricompose il numero e cominciò a camminare avanti e indietro freneticamente. “Senti Em, sto sbagliando tutto ancora, lo so. Sono stupido e lo so, so anche questo. Ma…come dire…l’amore fa di tutto. Ah, ma che schifo mi sto riducendo? Renditene conto. Il fatto è che ogni minuto che passo lontano da te mi convinco che manchi al mio organismo più di quanto puoi mancare al mio egocentrismo.” Si fermò per prendere fiato. “Em, so che riderai quando sentirai ‘sto messaggio. Perdona la mia poca originalità ma penso che dirti che ti amo sia molto più comprensibile.” Attaccò. A qualche metro da lui, dietro la porta di servizio una ragazza piangeva, nascosta dal suo caschetto nero.