Via Narni, 29 - 00181 Roma - Mensile di informazione - Anno LXIV - N° 7 - Luglio 2015 XLIV Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/C/RM - Una copia ₏ 1,00
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NEL SEGNO DEL SANGUE
Mensile della Unione Sanguis Christi dei Missionari del Preziosissimo Sangue Anno LXIV - N° 7 LUGLIO 2015
Direttore Responsabile Michele Colagiovanni, cpps Stampa Dali Studio srl Redazione e Amministrazione 00181 Roma - Via Narni, 29
INDICE
Messaggio del Direttore Provinciale della Provincia Italiana don Oliviero Magnone EDITORIALE
SPIRITUALITÀ T TÀ
L’aspetto sacrificale del sangue di Cristo
negli scritti di San Gaspare del Bufalo di Gennaro Cespites Il sangue dell’Alleanza di Maria Damiano
CRONACA
INCONTRO DI PREGHIERA
Gesù appare ai discepoli di Emmaus di Gabriella Dumo
http://www.csscro.it http://www.sangasparedelbufalo.it
ATTUALITÀ
Abbonamento annuo Ordinario: € 10,00 Sostenitore: € 20,00 Estero: € 50,00
La tenerezza di Mamma Leone di Giuseppe Montenegro Il sangue di Cristo nelle periferie di Annagrazia Di Liddo, asc
UMORISMO
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Il lato comico di Comik
UNIONE SANGUIS CHRISTI CENTRO STUDI SANGUIS CHRISTI
C.C.P. n. 391003
Direttore
Autorizzazione Trib. Roma n. 229/84 in data 8-6-1984. Iscriz. Registro Naz. della Stampa (Legge 8-8-1981, n. 416, Art. 11) al n. 2704, vol. 28, foglio 25, in data 27-11-1989
Andrea Giulio Biaggi, cpps Redattori:
A. G. Biaggi, M. Colagiovanni, Gennaro Cespites, Stefania Iovine, G. Montenegro Fotocomposizione
Finito di stampare nel mese di Luglio 2015 Questa rivista è iscritta all’Associazione Stampa Periodica Italiana
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Un giorno in università di Michele Colagiovanni
MISSIONI
e-mail: piaunione@gmail.com
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Sanguis Christi, salva nos! di Andrea Giulio Biaggi
Tel. e Fax: 06/78.87.037
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Elena Castiglione
Francesco Caizzone, Logo del Bicentenario
Foto:
Archivio USC Collezione privata
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Messaggio del Direttore Provinciale della Provincia Italiana Don Oliviero Magnone, c.pp.s.
Il 15 agosto 1815, nella Abbazia di san Felice di Giano ebbe inizio la Congregazione dei Missionari del Prez.mo Sangue. Il 15 agosto 2015 segna la data di un passaggio importante per la storia del nostro Istituto: 200 anni. Non si può contare il bene fatto in questo tempo alla Chiesa e all’umanità, grazia che è stata largamente donata dal Signore attraverso la Congregazione. Si può dire solo GRAZIE di tanta effusione di grazia che Dio ci ha elargito. Dal piccolo granello di senape, gettato nella fertile terra umbra attraverso l’opera di san Gaspare, oggi questa pianta è diffusa in quattro Continenti, annunciando dovunque, a tutti gli uomini di tutti i tempi che nel Sangue di Gesù siamo stati amati, riconciliati con Dio e redenti. Affidiamo alla Vergine Maria il seguito di questa storia, come scrisse san Gaspare nell’agosto 1815: “La nostra Opera l’ho affidata coi miei Compagni a Maria Santissima, Ella penserà a proteggerla dal Cielo, ed a benedirla amorosamente”. Le Celebrazioni Bicentenarie si terranno a Roma il 1 luglio, festa del Prez.mo Sangue perché si è deciso che in questa data ci sarà un momento comune a Roma. Invece il 15 agosto 2015, ogni Unità della Congregazione celebrerà localmente l’evento. In modo particolare in Italia, il 15 agosto saremo a san Felice di Giano per festeggiare; si sta approntando un apposito programma locale.
don Oliviero Magnone, cpps Nel Segno del Sangue
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Sanguis Christi, salva nos! d An di Andrea A ndr nd dre rea ea Gi Giulio G iul iu uli lio io Bia Biaggi iag ia agg ggi gi
Q
uesta è la prima invocazione al Sangue di Cristo che ho sentito pregare dalla mia nonna fin da quando ero bambino. Un Sangue, legato ad una Salvezza. Allora non comprendevo ancora cosa significasse, né che la mia vita sarebbe pian piano stata afferrata dalla bellezza feconda di tale mistero, e neppure che questo termine rosso che mi ha sempre fatto un po’ impressione nella sua visibilità cruenta – soprattutto da quando nella nostra casa è entrata la televisione a colori, soppiantando quella in bianco e nero – diventasse quel filo rosso nel quale lasciare intessere la mia vita, e vedervi nel contempo la molteplicità degli eventi storici imbastirvisi con sì tanta chiarezza. Ma perché il Signore, tra i tanti segni che avrebbe potuto
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usare per lasciarci il memoriale della nostra Salvezza, ha proprio voluto accomunare del pane al suo Corpo e del vino al suo Sangue? Fiumi di parole e corposi volumi ricchi delle più svariate interpretazioni sono stati scritti su questo argomento. Tuttavia, rimane il fatto che l’alimento più comune e naturale quale il pane sia stato scelto da Colui che frantumato sotto i colpi della malvagità dell’uomo ha spezzato se stesso per darsi a noi, e l’alimento più legato alla festa e alla gioia quale il vino sia l’immagine di Colui che pigiato sotto il peso di una ingiusta condanna ha profuso in abbondanza dalle sue ferite il sacramento dell’amore. La nostra rivista Nel Segno del Sangue, porta proprio nel suo titolo l’impressione di tale mandato: missione che –
come ci ha sempre raccomandato San Gaspare – ha una duplice funzione. In primo luogo, quello di “placare l’eterno Padre” attraverso l’offerta dei meriti del Sangue di Cristo: e cioè quella di offrire il Divin Sangue, sia a livello del Sacrificio Eucaristico sia attraverso le pratiche di devozione popolare, in espiazione dei mali presenti. In secondo luogo, quello di “procurare l’effettiva applicazione di tali meriti alle anime” attraverso l’apostolato: e cioè annunciare il Vangelo del Sangue di Cristo attraverso la predicazione, la catechesi, l’insegnamento, gli esercizi spirituali, i gruppi di preghiera, le Pie Unioni, etc., per la conversione del mondo intero. Seguendo i nostri padri, anche noi, spronati dalla voce del Sangue che chiama alla sequela, cerchiamo di portare
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Editoriale a tutti la buona novella di una Salvezza che è alla portata di ciascuno, perché già offerta una volta per sempre; Salvezza che viene donata al mondo attraverso la generosità di Colui che ti chiede solo di fidarti di Lui e di abbandonarti fiduciosamente alla sua Provvidenza. Il Signore, infatti, continua ad essere il buon Pastore ed il buon Pescatore. Pastore, di un gregge del quale è sì capo e maestro, ma s oprattutto è l’esempio di colui che guida mettendosi
alla testa del popolo ed offren-
ma piuttosto per catturarlo
dosi per primo per ciascuno e
occorre andare lì dove si trova
specialmente per coloro che
e proporgli l’irresistibile boc-
sono più lontani e facili a per-
cone della Verità.
dersi. Pescatore, tra una com-
Credo che sia necessario in
pagine riunita sulla sua barca
questo numero di Luglio, pro-
che è la Chiesa, che insegna
porre a tutti la Preghiera che
come accogliere nella rete
la nostra Provincia Italiana
dell’amore e come raggiunge-
dei Missionari del Preziosissi-
re attraverso l’amo della fede
mo Sangue ha approvato qua-
ciascun anima, divenendo lui
le segno di comunione in pre-
stesso esca e calandosi di vol-
parazione al Giubileo bicen-
ta in volta al livello di ognuno,
tenario della Fondazione del-
proprio perché s a che il pesce
la nostra Congregazione, che
difficilmente salta nella barca
avverrà il prossimo 15 Agosto.
Invito quindi tutte le Pie Unioni di lingua italiana ad unirsi con questa Preghiera al cantico di lode della Chiesa per un Carisma che lo Spirito Santo ha suscitato nel cuore di mons. Francesco Albertini e che è stato abbracciato da san Gaspare Del Bufalo, da santa Maria de Mattias, dal ven. don Giovanni Merlini e da moltissimi altri nella Chiesa. Carisma che, essendo legato al prezzo della nostra Redenzione, è impiantato nel cuore stesso del Vangelo.
Preghiera per il Bicentenario: Signore Gesù Cristo ti ringraziamo di aver suscitato nella Chiesa, mediante l’opera di san Gaspare, la Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue per annunciare a tutti i popoli e tutte le lingue che nel tuo Sangue, inestimabile prezzo sella nostra salute, siamo stati amati e riconciliati con il Padre. Redentore nostro, i meriti di quel Sangue, che quotidianamente effondi sull’altare nel sacrificio eucaristico, attraverso la nostra collaborazione, siano applicati a tutto il genere umano, affinché ogni persona possa sperimentare la preziosità della vita e il valore del sangue umano. O Maria Assunta in Cielo, sotto la tua protezione san Gaspare pose la sua Congregazione; conserva in essa la vitalità e la gioia della donazione fino alla consegna totale della propria vita. San Gaspare intercedi per noi, affinché sul tuo esempio anche noi possiamo discernere come vivere e promuovere il messaggio del Vangelo! Prega perché sia sempre più sicura la nostra vocazione per la gloria di Dio e la salvezza dei nostri fratelli. Amen.
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___ __ ___ _______ ___ __ ___ ___ _______ ___ __ ___ _______ ___ __ ___ _______ ___ __ ___ ___ Spiritualità _____
L’aspetto sacrificale del Sangue di Cristo negli scritti di San Gaspare del Bufalo di Gennaro Cespites “Ah, se io avessi tempo, vorrei unire i sentimenti per un’operetta [sul Divin Sangue] che di sì gran bene sarebbe agli interessi di religione. Non ho difficoltà dirlo: Iddio mi dà sì belle idee che nulla più… La Devozione è dogmatica, è essenziale, né si può a meno di non conoscere i pregi che presenta.” (Lettera a Mons. Cristaldi – Albano, 20 giugno 1827)
S
fortunatamente, tale “Operetta” non fu mai composta. Tutto quello che possiamo percepire delle cose meravigliose che Gaspare sapeva dire, parlando sul tema prediletto, che facevano stupire ed estasiare gli uditori, lo ricaviamo dai suoi manoscritti: qualche abbozzo di sermone sul Preziosissimo Sangue, qualche breve esortazione, qualche traccia per il mese di giugno. Più sviluppata l’apologia del titolo del Divin Sangue soprattutto nei memoriali da 166
lui presentati ai Sommi Pontefici del suo tempo. Il resto lo ricaviamo dalle sue lettere, benché non trattino mai espressamente del mistero del Sangue di Cristo, pure contengono accenni, elevazioni, insegnamenti preziosi che ci rivelano l’animo infiammato di Gaspare. Come pure gettano luce, in questo senso, i testimoni dei processi canonici che ci aiutano a farci una idea precisa del concetto che Gaspare aveva della devozione al Preziosissimo Sangue, e come la viveva, e come la
presentava nel suo apostolato. Cosa significa per San Gaspare la devozione del Preziosissimo Sangue 1. Una sintesi dottrinale che abbraccia tutta l’area della religione “nei suoi principi, nelle sue pratiche, nelle sue glorie”; 2. Una via di santificazione personale che guida l’uomo, attraverso il travaglio della purificazione e l’impegno del progredire, all’intima unione di amore con Cristo: “In omnibus divites facti estis in illo” - “Perché in Lui siete stati arricchiti di ogni cosa” (Cfr. 1Cor 1,5); 3. Un valore sociale che come “mistica arma dei tempi” difende la Chiesa dalle potenze del male, ne promuove la pace interna e l’auNel Segno del Sangue
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Spiritualità
spicata rinascita religiosa (Memoriale sul Titolo e sull’Istituto a Leone XII, in Scritti del Fondatore, Vol. XII, ff. 48 e 81). Siamo di fronte ad una Teologia, ad una Spiritualità e ad una Sociologia religiosa, che sono i tre aspetti che definiscono compiutamente il concetto di “Devozione”, come era nella vita e nella predicazione di Gaspare. Tutto questo lo vediamo sintetizzato in una delle più felici formule del Santo: “Questa devozione è di essenza del Cristianesimo: in questa abbiamo i tesori della sapienza [ecco l’aspetto teologico] della santità [ecco l’aspetto spirituale] in questa il nostro conforto, la pace, la salute [ecco l’aspetto sociale]” (ibidem). Questa formula breve ma ricchissima, dove ogni parola è un programma, ci conferma che il CARISMA proprio del nostro Santo fu la fondamentale devozione al Sangue redentore, con l’impegno che da essa derivava di esserne l’annunciatore, il missionario, l’apostolo: “Tromba del Divin Sangue”, per scuotere i Nel Segno del Sangue
Augusto Ranocchi (1931-2011) Bozzetto dell’abside della Cappella del Preziosissimo Sangue, Roma
peccatori e i settari, per la riforma dei costumi e la salvezza delle anime, per richiamare tutti all’amore del Crocifisso (Sr. Agnese del Verbo Incarnato – Valentini, in Processo Ordinario Romano Vol. II, ff. 476 e 481). Punto di partenza della sua contemplazione L’effusione fisica, amorosa del Sangue del Redentore nelle diverse fasi della passione,
perciò le piaghe del Cristo, il Divino Crocifisso erano altrettanti poli di attrazione per il suo cuore: “Ovunque io volga lo sguardo, o nella flagellazione o nella coronazione di spine… non rammento né vedo che sangue! Le piaghe dei piedi e delle mani, il capo coronato di spine, l’aperto divin Cuore… omnia ad redamandum nos provocant, tutto ci spinge a riamarlo!” (Scritti del Fondatore, Vol XV, f. 441 e Vol. XVI, fasc. 13). Dal sangue della passione e della croce Gaspare risaliva al sangue della glorificazione, che trionfa nel regno celeste, e che Gesù risorto e asceso nel santuario eterno presenta, offre di continuo al Padre a vantaggio dell’umanità pellegrina sulla terra (cfr. Scritti del Fondatore Vol. XV, ff. 400 e 455; Vol. VIII, f. 500; Vol. XV, f. 442). Ma quello che rapiva e commuoveva in modo particolare il cuore di Gaspare era il Sangue che nel mistero eucaristico Gesù e la Chiesa offrono ogni giorno sui nostri 167
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Spiritualità
altari. È il sangue che dall’altare vedeva fluire nel corpo mistico di Cristo attraverso i sacramenti, nel mistero della grazia che porta la linfa vitale dal Capo nelle membra: “Questo Divin Sangue si offre di continuo nel Divin Sacrificio, questo si applica nei Sacramenti, questo è il prezzo di Redenzione, questo è l’attestato di amore di un Dio fatto uomo, questo è ciò che presentar possiamo al Divin Padre per la riconciliazione dei peccatori: Te ergo quaesumus tuis famulis subveni, quos pretioso Sanguine redemisti!” - “Soccorri i tuoi figli, Signore, che hai redento col tuo Sangue prezioso” (Scritti del Fondatore Vol. XII, f. 49; Memoriale a Leone XII sull’Istituto).
L’apostolato L’apostolato, che costituisce la seconda dimensione del Carisma di San Gaspare, scaturisce dalla devozione al Preziosissimo Sangue, per dinamica interna, come la fiamma dal fuoco, il fiume dalla sorgente, l’albero dalla radice. Esso fu per Gaspare un’esigenza d’amore, così perento168
ria, da chiedergli l’impegno delle sue forze, del suo tempo, della sua salute, di tutto il proprio essere, fino al sacrificio supremo di sé che lo assimilò a Cristo “vittima di carità”. Gaspare non pensò mai una devozione senza l’apostolato, ma ogni apostolato era per lui devozione al Sangue di Cristo. Nel concetto stesso che il Santo aveva della devozione al Sangue di Cristo è incluso l’impegno di annunziarla, diffonderla, farla praticare, affinché produca i suoi frutti preziosi nelle anime e nella Chiesa. Dunque, un fermento di vita e di opere, nella duplice linea dinamica: verticale, come sorgente di amore verso Dio, orizzontale come dinamismo apostolico. “L’anima sente che Gesù dice dalla croce: Sitio, ho sete! Ed oh che vorrebbe fare per corrispondere!... piange per chi non piange, prega per chi non prega. Sa che le anime gli costano Sangue e accorre nella vigna del Signore a fare quel bene che può, né cessa di pregare” (Scritti del Fondatore Vol. XV, f. 460). “I peccatori abusano orrendamente del Sangue di
Redenzione e il Signore va dicendo nei suoi trasporti d’amore: A che giova il mio Sangue? Dunque vi sia chi procuri col sacro solenne culto l’adorazione di compenso e insieme ne predichi al popolo le glorie” (ibid. Vol. XII, f. 80 Memoriale sul Titolo dell’Istituto a Leone XII). “Il Divin Sangue versato fino all’ultima stilla, oh con qual voce eloquente grida al mio povero cuore! Vorrei avere mille lingue per intenerire ogni anima verso il Sangue Preziosissimo di Gesù! Oh potessi anche con il mio sangue propagare sì bella devozione!” (ibid. Vol. XV, f. 368 – Proc. Ord. Rom. Vol. II, ff. 854 e 868).
La Devozione Secondo San Tommaso, devozione deriva da “devovere”, che significa “votarsi a, darsi interamente a… fino alla morte” (Summa Theol. II/a, II/ae, q. 82, a. 1) Consiste perciò nello slancio dell’anima a servire Dio, a subordinare alla sua gloria e al suo beneplacito tutta la nostra vita. (Cfr. Pio XII, Enc. “Mediator Dei” sulla Sacra Liturgia, 20/XI/1947 AAS a. XXXIX Nel Segno del Sangue
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Spiritualità
(1947), Parte I, n.2 et ss). In questo senso Cristo è il primo e più perfetto “devoto” del Padre, perché tutta la sua vita non fu che uno slancio pieno di amore verso il Padre e un votarsi interamente alla esecuzione della sua volontà: “Il Padre mio è glorificato in questo: che io faccio sempre la sua volontà”. In questo senso si comprende l’espressione di San Gaspare che affermava di “essersi venduto”, di essersi cioè giocata la vita per questa “devozione”. Devozione che, rettamente intesa, è l’anima stessa della religione e del culto, perché essa esprime quel movimento dell’anima pieno di riverenza e di affetto verso Dio, di cui riconosce le prerogative degne di adorazione e di amore. È il ciclo vitale che coinvolge la creatura umana nella sua interezza giacché l’intelletto conosce per mezzo della fede l’amabilità di Dio e la volontà si dona al suo servizio. Se da una parte l’ardore della carità è propriamente la causa della devozione, dall’altra è la devozione che nutre la carità. Nel Segno del Sangue
L’oggetto particolare di questa devozione non è solo il sangue, considerato in se stesso come elemento fisiologico dell’umanità del Redentore, quasi astraendolo dalla intera realtà del Cristo, ma è la PERSONA stessa di Gesù Verbo Incarnato, che per il suo eroico amore alla volontà del Padre e al bene del genere umano, ha voluto spargere il suo sangue in sacrificio di redenzione e di salvezza. Il vero e pieno oggetto di questa devozione è dunque la persona di Gesù Cristo, colta nella sua più profonda identità che è l’amore e nella nota più alta e squillante dell’amore che è il Sangue. “Qui posso dire, per quella piena cognizione di fatto proprio che ho del Servo di Dio, che egli è stato in tal tempo l’uomo distintamente eletto da Dio, ed arricchito dei doni di natura e di grazia necessari ed opportuni per essere nella Chiesa di Dio come una tromba evangelica di paradiso, atta ad illuminare i popoli colla predicazione dei pregi divini del Sangue Preziosissimo di Gesù, ed a predicarli con tale pienezza, sufficiente almeno ad accenderne i cuori all’amo-
re di Gesù che con amore infinito ha sparso tutto il suo Sangue Preziosissimo per noi” (S. Vincenzo Pallotti, Proc. Ord. Alb., Vol. I, f. 413). Nella mentalità biblica, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, il sangue significa tutta la persona umana, con la sua vita, la sua anima, la sua attività. La parola “Sangue di Cristo”, coinvolge, perciò, tutto intero il Cristo, cioè la sua persona divina, che ha assunto la natura, la vita, l’attività umana per farne strumento di espiazione e di salvezza. Pertanto, il significato pieno dell’espressione “Devozione al Sangue di Cristo” dice adorazione, amore, dedizione alla persona di Cristo nel mistero del suo abbassamento, della sua obbedienza fino alla morte di croce (Cfr. Fil 2, 6-8), della sua vita offerta in sacrificio, del passaggio dalla schiavitù del peccato e della morte, alla novità gioiosa della vita [Mistero Pasquale], della vita divina trasmessa e applicata alle anime nel sacrificio eucaristico e negli altri sacramenti, della mediazione eterna di Cristo nella gloria del Padre (Ap 5,6; 1Gv 2,1; Eb 7,25). (1- continua) 169
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4000 Messe Perpetue I Missionari del Preziosissimo Sangue, per facilitare la comunione di preghiera tra vivi e defunti, hanno istituito da oltre un secolo l’Opera delle 4000 Messe Perpetue. Ogni anno vengono celebrate 4000 Messe per tutti gli iscritti, vivi o defunti. Per associarsi, o per iscrivere i propri cari, basta versare l’offerta di una Messa, una volta per sempre. Si rimane iscritti in perpetuo. Viene rilasciata una pagellina con il nome della persona iscritta.
PIA UNIONE DEL PREZIOSISSIMO SANGUE Via Narni, 29 - 00181 ROMA
TEL. E FAX A : 06/78.87.037 - C.C.P. 391003 AX
e-mail: piaunione@gmail.com
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lS Nel Segno de
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Ringraziamo tutti coloro che rispondono con tanta generosità!
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Cronaca ______________________________________
Un giorno in università d Mi di Michele M ich ic che hel ele le Co Colagiovanni C ola ol lag agi gio iov ova van ann nni ni
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l 30 aprile 2015, per insistente invito del professor Pierangelo Catalano, ordinario di Diritto Romano all’Università “La Sapienza” di Roma, partecipai a una tavola rotonda sul tema Per l’identità della Sapienza: Batta172
glione Universitario e Costituzione della Repubblica Romana del 1849. L’incontro era fissato nella prestigiosa Sala del Rettorato della stessa Università. Sarebbero intervenuti illustri professori. Io avevo preparato due episodi inediti
che riguardavano Pasquale de’ Rossi (1794-1863) del quale sono stato primo e fin ora unico biografo. Il de’ Rossi, primo all’esame di laurea in giurispridenza nel 1819, vincitore del concorso a cattedra nel 1828, Nel Segno del Sangue
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Cronaca
titolare della cattedra di Diritto Romano nel 1832, nel 1847 fu eletto alla Consulta voluta da Pio IX e di essa fu vice presidente e poi presidente per la morte del collega Antonio Silvani. Nel 1848 fu ministro di Grazia e Giustizia del Governo Mamiani e del Governo Fabbri. Nello stesso fatidico anno presiedette la Commissione per redigere lo Statuto del Battaglione Universitario di Roma, che aveva mansioni di disciplina interna all’Ateneo. Guidò gli studenti – che lo avevano eletto colonnello – alla difesa di Roma assediata dalle truppe francesi quando, presi dall’entusiasmo, si schierarono al fianco dei patrioti combattenti, oltrepassando le loro competenze. I due episodi rinvenuti nell’Archivio Segreto Vaticano, che volevo portare all’attenzione dell’uditorio, avrebbero confermato che il de’ Rossi fu uomo di coraggio, capace di resistere a persone della malavita comune, allorché vollero ricattarlo con minacce e che nella destinazione testamentaria dei propri beni, rilevantissimi, si lasciò guidare da una retta coscienza, scavalcando il nipote Nel Segno del Sangue
Mariano Tani, che non stava dando a suo parere una buona prova di sé, concedendoli invece ai pronipoti, come atto di fiducia nel futuro, più che nel presente che ben conosceva. La mattina della tavola rotonda mi recavo all’appuntamento con i miei quattro fogli da leggere. Recenti fatti di malcostume mi avevano prodotto un profondo disgusto. Un improvviso rigurgito di quell’umore si concretizzò nel seguente soliloquio. «Andrò là, “postremo tra cotanto senno”, a spremere il mio spicchio di elogio, da aggiungere agli altri spicchi dei Professori, il cui succo sarà sicuramente più pregiato e abbondante, ma di natura non diversa dal mio. Elogio alla Costituzione del 1849, figlia dell’altra del 1799; entrambe del medesimo dna di quella che consideriamo la più bella del mondo: la Costituzione del 1949 che oggi ci governa. E dopo di ciò? La Costituzione più bella del mondo voleva fugare il rischio di ricadere nelle tirannie da cui uscivamo. Che ne è del suo magnifico dettato? Siamo immersi nella corruzione. Oggi se chiedi un tuo
diritto a chi ha il dovere di soddisfarlo (e per questo servizio percepisce uno stipendio) ti fa notare che ci vogliono sei mesi. Poi però aggiunge: “A meno che tu non sia disposto a ungere la macchina; in tal caso puoi avere ciò che ti spetta in tre mesi, o perfino subito; dipende dalla quantità del lubrificante”. Dov’è la più bella Costituzione del mondo? A che cosa ci serve? Ecco: io sono convinto che molti di quelli che la scrivevano, quella Costituzione bellissima, già sapevano in quanti modi potevano violarla impunemente e si proponevano di approfittare delle opportunità subito dopo la promulgazione. Oggi non importa più a nessuno finire in galera, purché se ne possa uscire conservando i soldi frodati, frutto di scaltrezza». E conclusi: «Ecco che cosa potrei dire, invece dei due episodi nei quali ancora una volta Pasquale de’ Rossi fa una bella figura». E così feci. Piegai i quattro fogli che avevo preparato e quando dovetti parlare (per ironia della sorte toccò proprio a me iniziare a spremere lo spicchio di saggezza in forza dell’ordine alfabetico) 173
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Cronaca
cominciai la predica, non molto diversa da una qualunque predica, laica o religiosa che sia, dove si dice come le cose dovrebbero andare. «Se le buone parole non diventano carne e sangue di chi le esalta» – dissi grosso modo – «sono fiato che fa rumore. Nascono e finiscono là dove il rumore che le ha prodotte tace. Non lasciano traccia. Quando avremo finito di parlare in questa sala e ce ne saremo andati tra gli applausi, verranno gli addetti a far pulizia. Non raccoglieranno neppure una goccia di ciò che abbiamo asperso con tanta abbondanza e compiacimento. E noi ce ne saremo andati uguali a come siamo venuti, con il nostro alto concetto della Costituzione, fieri di ciò che siamo riusciti a dire a proposito della bellezza di quelle parole e dall’applauso che ci è stato tributato. Ce ne andremo. A fare che cosa? A tradire le parole che qui siamo venuti a illustrare e a magnificare. Non si spiegherebbe, in caso contrario, come possa esservi in giro tanta melma. Chi l’ha prodotta e continua a produrla con spavalderia». Le parole precise non le 174
ricordo, ma spremetti proprio questo succo. Dissi pure che avevo parlato prima che agli altri, a me stesso. Come in questo momento metto per iscritto che i concetti qui riferiti sono per me, oltre che per tutti quelli che leggeranno trovando sensato il discorso e anche se stessi più o meno colpevoli. Avrei anche voluto dire che mi consideravo più fortunato di Benedetto XVI, al quale non era stato consentito di andare a parlare là, dove io invece parlavo. Mi astenni perché avrei deviato l’attenzione da una questione di principio a una disputa sulla opportunità di dire certe cose in certi luoghi e da parte di certe persone. Per essere logico fino in fondo, conclusi dicendo che il discorso da me fatto era diretto principalmente agli uomini di Chiesa (di nuovo cominciando da me). Perché sono duemila anni che la Chiesa fa queste prediche ma per lo più non le vive. Elogia un testo che si chiama Vangelo, che io considero senza offesa per nessuno, superiore a qualunque Costi tuzione, che configura un Uomo che oltre a promulgare
certe parole ineguagliabili le visse, tant’è che viene denominato Verbo incarnato. Seguirono gli altri interventi. Nessuno si rifece al mio, se non il promotore dell’iniziativa professor Catalano, elogiando il professor de’ Rossi come cattolico coerente con la sua fede, ma anche con il sentimento dei suoi studenti che volevano un mondo più giusto. In privato, al termine di tutto, quattro vennero a congratularsi con me per quello che avevo detto. Perché in privato? Sarebbe stato più costruttivo associarsi in pubblico. Venne anche un quinto a dirmi parole di condivisione. Si chiama Giuseppe Garibaldi, discendente diretto dell’Eroe. Mi disse della sua emozione nell’aver accompagnato Papa Woytila in un viaggio e nel parlare con lui presentandosi con quel nome e cognome. Mi disse che anche il suo celebre avo, pur essendo anticlericale, condivideva il principio cristiano. “Sono anticlericale anche io” – gli dissi – “ma misericordioso, per essere giudicato con misericordia”. Nel Segno del Sangue
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______ ___ __ ___ _______ ___ __ ___ _______ ___ __ ___ _______ _ Incontro di preghiera __ luglio 2015
Gesù appare ai discepoli di Emmaus di Gabriella Dumo Canto Esposizione eucaristica Celebrante: Nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo. Amen. Ti rendiamo grazie, Signore per il sacrificio da te compiuto: con la tua incarnazione ha preso il via la tua missione terrena che la tua risurrezione ha sublimato. Donaci ora di poter comprendere, con l’illuminazione dello Spirito Santo, l’immensità di questo tuo amore per noi, per provare, sul tuo esempio, a convertire in luce le nostre tenebre.
DAL VANGELO
DI
LUCA
Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerNel Segno del Sangue
Marko Ivan Rupnik, I discepoli di Emmaus. Cripta della chiesa inferiore di San Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo (FG) 175
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Incontro di preghiera
lo. Ed egli disse loro: ‘Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?’. Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: ‘Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?’. Domandò: ‘Che cosa?’. Gli risposero: ‘Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto. Ed egli disse loro: ‘Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?’. E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: ‘Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino’. Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: ‘Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?’. E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: ‘Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone’. Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. (Lc 24, 13-35). È quasi sera. A Gerusalemme hanno crocifisso Gesù e Cleopa, un suo discepolo, presumibilmente con sua moglie, tornano verso la loro casa di Emmaus ad una decina di chilometri di distanza da quella città, da quell’orrore. Sono stanchi, tristi e delusi mentre i loro occhi sono ancora inchiodati su quella croce come i loro pensieri e le loro speranze. È finito tutto, quegli ultimi giorni con al culmine la morte di Gesù hanno ridotto al minimo le loro energie. In più sono delusi: desideravano la libertà da Roma come i loro avi dagli Egiziani, ma laddove Mosè era riuscito, Gesù, invece, aveva fallito facendosi uccidere come il peggiore dei malfattori su una croce. ”Forse non lo abbiamo saputo aiutare – pensavano – siamo scappati tutti, Pietro lo ha addirittura tradito, ma che potevamo fare noi soli contro Roma?…”. Così tornano a casa, al sicuro, tra le poche certezze che avevano lasciato per seguire Gesù, ma ora dopo averlo conosciuto come avrebbero fatto senza di lui? “Deserto”: ecco la sensazione che provano; deserto, vuoto e aridità nei loro pensieri, nei loro occhi, nei loro sandali. … Ma senza che loro lo immaginano minimamente Gesù, più vivo che mai, sta per mettersi al loro servizio, come sempre, portando la sua presenza in quel deserto e facendolo così … fiorire…, come dicono le Scritture. Certo le sembianze di Gesù non sono più le stesse: infatti Cleopa e sua moglie non lo riconoscono, forse perché Gesù, per non spaventarli, sceglie di sve176
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Incontro di preghiera
larsi gradualmente, o forse perché nel loro deserto di amarezza, delusione e tristezza, di cui molto spesso tutti noi facciamo esperienza, diventando ciechi e sordi a tutto, mai lo avrebbero potuto riconoscere! Ma poi le parole di “quello straniero” che cammina con loro cominciano a scuoterli nel profondo, allontanando la tristezza e riaccendendo inspiegabilmente tutti gli entusiasmi sopiti fino a far battere loro il cuore a mille. Giunta ormai la sera ed essendo Emmaus ancora lontana, Cleopa e sua moglie si fermano per la stanchezza in una locanda e trattengono “lo straniero” che fa per andarsene. È impossibile separarsi. Gesù, lo straniero, accetta, e nel momento in cui spezza il pane nel modo in cui solo lui sa fare, viene riconosciuto. Ecco: ora i discepoli sanno, hanno capito, hanno aperto gli occhi. Questa non è solo una bella storia a “lieto fine”; è la storia che viviamo ogni giorno. Gesù ci affascina, ma quando è il momento di seguirlo siamo presi da altre cose. Siamo abituati a bruciare tutto in fretta e così continuiamo a tradire Dio e anche noi stessi. Il “lieto fine”, l’aver riconosciuto Gesù, non tocca solo a Cleopa e sua moglie, ma tocca anche a noi se solo non trasformiamo in una bella festa il giorno di Pasqua, e in riti abitudinari le celebrazioni che lo precedono. Tutto l’anno, invece, facciamoci entusiasmare, meravigliare, turbare, commuovere dalle parole e dai gesti di Gesù, come è successo ai discepoli di Emmaus che, una volta aperti gli occhi, hanno dovuto correre a Gerusalemme per testimoniare che Gesù era veramente risorto, lo avevano visto. Evidentemente il deserto è un luogo ideale per incontrare ed ascoltare Gesù: indica infatti il vuoto e la cecità interiore, cioè la prima condizione utile all’uomo per perdersi. Il Signore lo sa e si prende cura di noi, ci parla; è capitato a Mosè di fronte al roveto ardente, ai discepoli di Emmaus, a Saulo: la presenza divina cambia i cuori duri e stolti e trasforma le incognite in certezze, offre opportunità di rinascita. Nel deserto si sta male, ma sia per noi, tutte le volte che ne facciamo esperienza, proprio l’opportunità da cogliere, il “gancio” che ci viene offerto da Gesù per risalire la china. Così da discepoli diventeremo Apostoli, da semplici seguaci simpatizzanti passeremo ad essere inviati, convinti che scelgono di avere Gesù nella loro vita perché la possa trasformare dall’interno nutrendola della sua presenza viva. E che tutto questo è vero lo testimonia la risurrezione che, superando il limite terreno della morte, apre le porte all’eternità; Gesù è veramente risorto, non è un fantasma, è in una nuova dimensione, quella dell’eternità. Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente; di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, Nel Segno del Sangue
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la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.
Preghiamo Molto spesso nella quotidianità della nostra vita ci sentiamo persi e ciechi come i discepoli di Emmaus. Soccorrici tutti, Signore, rendici coscienti della tua presenza. Per questo ti preghiamo: Aiutaci a riconoscere la tua luce, Signore. Anche quando siamo sereni, Signore, possiamo essere ciechi perché inconsapevoli. Anche nelle occasioni di festa e di gioia, donaci, Gesù, di trovare le giuste coordinate per mantenere stabile la rotta dietro di te. Per questo ti preghiamo: Aiutaci a riconoscere la tua luce, Signore. Dopo il gelo dell’inverno anche la natura si risveglia. Siamo in simbiosi con il creato che ha bisogno di luce e calore per esistere ed essere espressione di Te. Donaci di saperti trovare nei volti felici o tristi del nostro prossimo, ma anche nella natura, frutto della tua creazione. Per questo ti preghiamo: Aiutaci a riconoscere la tua luce, Signore.
Ci uniamo ora a tutta la Chiesa per offrire al Padre il dono preziosissimo del sangue di Cristo, nostra gloria, salvezza e risurrezione. Eterno Padre, noi ti offriamo con Maria, Madre del Redentore del genere umano, il sangue che Gesù sparse con amore nella passione e ogni giorno offre in sacrificio nella celebrazione dell’Eucaristia. In unione alla vittima immolata per la salvezza del mondo, ti offriamo le azioni della giornata in espiazione dei nostri peccati, per la conversione dei peccatori, per le anime sante del purgatorio e per i bisogni della santa Chiesa. E in modo particolare: Universale: Perché la responsabilità politica sia vissuta a tutti i livelli come forma alta di carità. Per l’evangelizzazione: Perché i cristiani in America Latina, di fronte alle disuguaglianze sociali, possano dare testimonianza di amore per i poveri e contribuire ad una società più fraterna.
Padre nostro Congedo Canto Finale 178
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La tenerezza di Mamma Leone di Giuseppe Montenegro
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uando parliamo di “leoni”, quasi automaticamente la nostra memoria stimolata dalla fantasia ci porta ad aver paura, perché questi sono animali fieri, pieni di forza e ferocia. I leoni infatti, non fanno sconti verso nessuno che incontrano. Quando s’infuriano, con una zampata possono sfondare facilmente il normale vetro di una macNel Segno del Sangue
china ed estrarre quindi il conducente per divorarlo. Si raccontano tante storie capitate in giro. Questi animali sono talmente forti ed agili che possono entrare con un balzo in un recinto alto più di due metri, dove si trovano ad esempio dei buoi al fine di assalirli, spezzare loro il collo con la forza di cui sono dotati, scaraventare un bue fuori dal recinto saltando fuori, e
portarselo nella foresta onde saziarsi e fare festa con i loro cuccioli. I leoni non hanno paura di nulla e di nessuno Vi racconto ora, un’avventura singolare che mi è capitata mentre ritornavo dopo due giorni di assenza dalla nostra casa Missione, da una visita fatta nei villaggi della pianura della Rift Valley (che è un abbassamento tettonico del suolo di qualche centinaio di 179
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Missioni
metri, che interessa diversi Stati dell’Africa Orientale). Era notte inoltrata, con la jeep superata la salita, viaggiavo sull’altipiano. Era da poco terminata la stagione delle piogge. La strada che percorrevo era in terra battuta. Laddove passavano le ruote delle varie jeep si erano creati dei solchi, ciascuno di un venticinque centimetri di profondità . La 180
jeep che guidavo si era immersa in questa corsia quasi obbligatoria. I fari della jeep illuminavano molto bene la strada. La vegetazione era cresciuta davvero folta ai lati dello stradone. Ero particolarmente contento, mentre ripensavo le grandi conversioni che erano avvenute ed il fervore travolgente di queste prime comu-
nitĂ cristiane che si andavano formando. Mentre stavo percorrendo la strada di ritorno per arrivare al centro della Missione, improvvisamente vidi al fianco della jeep una cosa straordinaria. Erano due cuccioli di leone di una bellezza incredibile. Mi guardavano incuriositi ed erano attirati dalla luce dei fari della jeep che brillavano come Nel Segno del Sangue
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Missioni
stelle luminosissime che fendevano con facilità di fronte a me il cielo che si stava scurendo in quella sera. Rallentai parecchio, e mi venne la tentazione di prenderli in macchina per portarli con me, tanto erano belli, anche perché non c’era accanto a loro alcun leone. Usai precauzione, perché nella steppa ci sono sempre delle sorprese, mi accontentai soltanto di ammirarli, protetto dalla pur sempre fragilità dei vetri impolverati del finestrini del mio mezzo. Prudentemente ridussi la velocità al minimo, ma senza fermarmi. Questi due cuccioli, tanto incuriositi dalla luce, si incamminarono davanti alla jeep, ciascuno in un canale. Le loro orecchie erano tese verso il rumore del motore della jeep e correvano davanti. Una scena bellissima, da mozzafiato. Mi stavo godendo la scena con spensieratezza, quando vidi all’improvviso apparire, dapprima la sagoma e poi in tutta la sua possenza, la forma della mamma leone che si mise a seguire i suoi cuccioli. Allora mi fermai un poco, per dare tempo alla leonessa di provvedere ai suoi piccoli, sperando che li facesse spoNel Segno del Sangue
stare il più in fretta possibile. Questi però continuavano la loro corsa. Ci fu come una silente intesa con la mamma leonessa che, con la forza del suo muso, scaraventò fuori carreggiata il primo e subito dopo il secondo. Ripresi a guidare la jeep adagio, e con velocità costante. Ma quei birbantelli corsero più veloci di me e si infilarono di nuovo nei solchi della strada. Immediatamente fermai la jeep. La mamma leone a questo punto tornò a controllare i suoi cuccioli. Prese con la sua bocca il primo dal collo e se lo portò lontano. Tornò d i nuovo a prendersi il secondo e, con altrettanta delicatezza e risolutezza, se lo portò lontano. Continuai il mio percorso, anche se con una riga di sudore che mi colava lungo la schiena, ormai ero sicuro che lo spettacolo fosse terminato. Vidi a questo punto però riapparire il primo cucciolo, con la stessa gioia di correre davanti alla jeep. Mi fermai di nuovo, inchiodando la macchina alla strada. Mamma leone corse avanti, fece un salto e afferrò di nuovo sul collo il suo piccolo con tanta fermezza e delicatezza al medesimo
tempo. La leonessa si fermò e mi fissò, mentre da lato la jeep le scorreva vicina, come per dirmi: “Grazie, continua il tuo viaggio” … Anch’io dal canto mio la ringraziai, e mi venne spontaneo di pensare: “Quanto sei tenera e forte allo stesso tempo, sei una vera mamma”. Continuai a questo punto con una certa velocità il mio viaggio meditando sull’accaduto. Compresi chiaramente il rischio che avevo superato, con l’immediata quasi incoscienza del momento, ma riflettevo sulla tenerezza che hanno anche le mamme nel regno animale, anche quelle così feroci come i leoni. Con quanta cura esse accudiscono i loro piccoli, a volte, nei momenti di estrema fame o bisogno sino a sacrificarsi tutte per loro. Questa fu un’esperienza unica - da brivido! - ma tuttavia fu esperienza di squisita tenerezza che spesso mi torna alla mente. Penso che nella meraviglia del Giardino dell’Eden, i nostri progenitori dovevano essere davvero contenti nel familiarizzare con tutti gli animali, senza alcuna distinzione tra quelli feroci e quelli domestici. 181
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Il Sangue dell’Alleanza L’uso del sangue nel culto ebraico
di Maria Damiano Nell’A.T. Dio permise l’uso del sangue proprio per fare il culto; ma questo sangue era sangue di animali, esterno all’uomo; dunque non era possibile stabilire con esso un’alleanza vera. Nei sacrifici rituali del culto antico l’uso fatto del sangue era un elemento di primaria importanza, specialmente nel sacrificio fondamentale, quello cioè dell’alleanza sinaitica: “Ecco il sangue dell’alleanza che Dio ha contratto con voi” (Es 24, 8). E poi, nel sacrificio annuale più solenne, quello della grande espiazione (Kippur). L’autore della Lettera agli Ebrei descrive questa celebrazione, che era la celebrazione per eccellenza, al fine di ristabilire l’alleanza. Egli osserva che nella seconda parte del santuario, 182
cioè nella seconda tenda, la parte santissima, “Solo il sommo sacerdote poteva entrare, una sola volta l’anno, e non senza sangue, che egli offre per se stesso e per i peccati d’ignoranza del popolo” (Eb 9, 7). Quindi il sangue era condizione del contatto figurativo con Dio. Senza sangue sacrificale il sommo sacerdote ebreo non poteva entrare nel santuario di Dio. L’autore della lettera osserva che questa esigenza del rituale antico è stata adempiuta nel mistero di Cristo, che si è servito del sangue, del proprio sangue, per entrare nel santuario e presentarsi davanti a Dio. Se c’è sicuramente somiglianza, essa però non è completa, perché Gesù vi è entrato per mezzo del proprio san-
gue (Eb 9, 11-12). Viene escluso, dunque, l’uso del sangue di capri e di vitelli. In un altro passo l’autore osserva che il sommo sacerdote ebreo entrava con sangue altrui, non con il proprio sangue, anzi entrava con il sangue delle bestie. Nella prospettiva antica il sangue era sacro perché significava la vita: nel sangue, dice la Bibbia, c’è la nephesh il “principio vitale” (Deut 12, 23) che viene da Dio, e perciò è sacro. Essendo un elemento sacro, esso è adatto per il culto, se Dio lo concede. Si aveva così un concetto elementare di sacralità, che derivava proprio dal carattere sacro del sangue, di qualsiasi sangue. L’autore della Lettera agli Ebrei, poi, riflettendo sul Nel Segno del Sangue
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Spiritualità
G. L. Bernini, Sanguis Christi, Ariccia mistero pasquale di Cristo, ha capito che questa sacralità elementare non poteva bastare per istituire un’alleanza con Dio: come può mai il sangue di un animale purificare la coscienza di un uomo! Non c’è rapporto valido. Si tratta di riti esterni, col sangue altrui, un sangue che non può avere relazione con Dio. Dio non vuole il sangue Nel Segno del Sangue
dei tori e dei capri. Similmente il sangue di capri e tori è inefficace in relazione con la persona umana. Esso procurava una certa purità rituale, chiamata “purità della carne” (Eb 9, 13); era completamente insufficiente per stabilire una vera relazione con Dio; bastava per il culto antico, che era un culto esterno, come la legge antica
era una legge esterna; perciò la gente che si trovava in questo sistema di esteriorità, non poteva fare di meglio ed esprimeva così un’aspirazione religiosa, degna di rispetto sì, ma in maniera inadeguata e inefficace. È chiaro, dunque, che l’efficacia del sacrificio di Cristo non è dovuta a qualche rito di sangue che lo rendesse simile ai sacrifici rituali antichi. La relazione è inversa. L’efficacia del sangue di Cristo è dovuta a un’offerta personale e generosa. L’autore della lettera lo dice spiegando in che modo Cristo ha ottenuto la redenzione eterna: “Se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsi su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo, il quale con spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente. E per questo Egli è il mediatore di una nuova alleanza” (Eb 9, 13 -15). Cristo è mediatore di una nuova alleanza perché il suo sangue è efficace per la purificazione e per stabilire la relazione con Dio. Nell’Antico Testamento l’offerta era valida a causa del 183
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Spiritualità
valore del sangue; nell’offerta di Cristo è il contrario: il sangue ha valore perché l’offerta è valida, poiché è un’offerta personale, in cui Cristo offre se stesso con la sua integrità personale perfetta: offrì se stesso “immacolato”, dice il testo; e questa offerta viene fatta grazie a un impulso dato dallo spirito eterno, ossia dallo Spirito Santo. Cristo dunque è stato, allo stesso tempo, sacerdote e vittima.Il suo è un sacrificio personale. Questa la prima novità. In secondo luogo nessuno aveva la forza di generosità necessaria per offrire se stesso. L’alleanza mediata da Cristo ha due dimensioni: una di unione con i fratelli, l’altra di relazione con Dio. Nell’ultima cena appare maggiormente la relazione con i fratelli, nel contesto di un pasto preso in comunione, dove la convivialità, l’accoglienza reciproca, la relazione fraterna acquistano un senso forte. Nell’Antico Testamento più volte un pasto segna la conclusione di una alleanza o di un patto. In questo contesto di un pasto preso in comune, Gesù fa gesti di dono ai discepoli, 184
dando un pane spezzato e il vino versato. Le parole che Gesù pronuncia dimostrano che il dono è molto più profondo di quanto appare: “Questo è il mio corpo, dato per voi; questo è il mio sangue dell’alleanza versato per voi”. Perciò non si può immaginare un modo di attuare una comunione più completa e più perfetta di Gesù con ogni discepolo e di tutti i discepoli tra loro. San Paolo dice: “Partecipiamo tutti di uno stesso pane” (1Cor 10, 17). Il sangue dell’alleanza è dato per essere bevuto; non è soltanto asperso come era nella prima alleanza del Sinai. L’istituzione dell’eucaristia, costituisce un pasto di alleanza che esprime in modo molto forte la relazione di profonda comunione tra Gesù e i discepoli: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me e io in lui” (Gv 6, 56). La dimensione verticale dell’alleanza si manifesta nella preghiera di rendimento di grazie che Gesù pronuncia due volte, prima sul pane e poi sul calice.
È il momento questo in cui Gesù rivela la sua riconoscenza filiale amorevole al Padre dal quale riceve tutto. È il momento in cui ringrazia il Padre e annuncia a tutti il suo amore verso di Lui. Gesù, mentre rende grazie, sa quanto sta per fare subito dopo e vede che il Padre gli offre la possibilità di un dono incomparabilmente più ampio, più sostanzioso, più generoso: la possibilità di dare se stesso per comunicare la vita divina: “Il Padre mio vi dà il pane del cielo” (Gv 6, 32-33). Da ciò vediamo come le due dimensioni della nuova alleanza sono nell’ultima cena strettamente unite. La dimensione verticale rende possibile quella orizzontale. Il sangue versato di Gesù, la sua morte violenta è trasformata, grazie all’amore che viene da Dio, in alleanza nuova, che è dono di Dio : “Porrò la mia legge nel loro cuore, la scriverò nel loro cuore… Io perdonerò la loro iniquità” (Ger 31, 33-34). È paradossale, ma questa è la meravigliosa opera realizzata da Dio in Cristo per noi! Nel Segno del Sangue
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Il Sangue di Cristo nelle periferie di Annagrazia Di Liddo, asc
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a parola “periferia” ci richiama il magistero di papa Francesco. L’appello ad USCIRE e ad andare verso le PERIFERIE non solo geografiche ma soprattutto ESISTENZIALI è risuonato fin da subito nelle sue parole: discorsi, omelie, angelus e, da ultimo, nell’Esortazione apostolica, Evangelii Gaudium. In questo documento sulla missione, sono molteplici i riferimenti alla chiamata ad uscire per incontrare l’umanità e donarsi. Per esempio, leggiamo ai nn. 10 e 20 dell’EG: 10. (…) «La vita si rafforza donandola e s’indebolisce nell’isolamento e nell’agio. Di fatto coloro che sfruttano di più le possibilità della vita sono quelli che lasciano la riva sicura e si appassionano alla missione di comunicare la vita agli altri». Quando la Chiesa chiama all’impegno evangelizzatoNel Segno del Sangue
re, non fa altro che indicare ai cristiani il vero dinamismo della realizzazione personale: «Qui scopriamo un’altra legge profonda della realtà: la vita cresce e matura nella misura in cui la doniamo per la vita degli altri…» 20. Nella Parola di Dio appare costantemente questo dinamismo di “uscita” che Dio vuole provocare nei credenti. Chiamati dunque ad uscire. Che ci fa capire perché sia importante il tema delle “Periferie, cuore della missione”. Lì si riversa la misericordia di Dio, là va annunciata, vissuta, comunicata. Da là occorre ripartire, per riscoprire la possibilità nascosta della vita. Al centro della missione c’è la periferia. Chi pone il suo cuore nella periferia in qualche modo si decentra. Ma cosa sono le periferie? Sono le zone d’ombra che ci abitano dentro, i nostri peccati.
Andare/uscire verso la periferia non è, quindi, semplicemente lo slancio di un cuore buono verso chi sta ai margini, è più radicalmente un cammino di purificazione, dunque, di ciò che consideriamo centrale nella nostra vita; è un esodo. Uscire verso le periferie, però, non significa rinunciare ad avere un centro, bensì (ri)trovare il proprio cuore nel cuore di Dio. Vuol dire abbandonare ciò che possiamo pensare costituisca il centro ma non lo è, per ritrovarci nuovamente centrati secondo verità. “Periferie, cuore della missione” A ricordarcele quotidianamente che attraverso di esse bisogna far passare la nostra testimonianza personale e di chiesa. “Periferie, cuore della missione” 185
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A tualità At
Sono termini-specchio dove ogni comunità cristiana è chiamata a rimodellarsi, a chiedersi: dove intercettare queste periferie, se sono lontane, o magari dentro o appena fuori di casa. Rivedere i nostri cammini formativi, se sono ancora locomotiva di traino per gli agganci con la vita reale in continuo movimento, con le periferie che interpellano presenza e incarnazione, fatte di persone e situazioni, di parole e di gesti, periferie che attendono di essere abitate dall’intera comunità dei credenti e non solo dagli addetti ai lavori. “Periferie, cuore della missione” Un grido che ci sollecita e 186
ci lancia su nuovi progetti di evangelizzazione e di promozione attenta all’uomo di oggi. Siamo aperti allo Spirito, che parla al cuore, che soffia, che fa scoprire nuove strade, nuovi cammini. Parole che donano forza e grande responsabilità. Papa Francesco invita la Chiesa ad uscire, ad andare, a portare Speranza, ad essere Accoglienza dell’Ultimo e dell’emarginato, ad essere portatori di perdono e di Amore, non è forse una periferia quella di rimanere a guardare, tanto ci sono altri che lo fanno... Sì anche questa è una periferia, ma una periferia ben più pericolosa della periferia di Bangkok per-
ché è la morte del cuore, è l’affievolirsi più o meno consapevole di appartenere al dono del mondo, al dono della vita, al dono del Battesimo ed è il cammino verso una periferia che ci porta ad allontanarci sempre più da Lui e dove certamente troveremo il buio e allora sì ci dovremo rimboccare le maniche per uscire dalla melma del nostro egoismo e indifferenza che a volte avvinghiano il nostro vivere. Nelle notti che viviamo, immagine delle varie periferie in cui ci troviamo, ecco, allora, l’annunzio, la missione che ci unisce gli uni con gli altri e ci fa beati. In ogni cuore ci sono delle Nel Segno del Sangue
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periferie da raggiungere, ogni cuore ha bisogno di avere sanate delle periferie. Ognuno di noi conosce le proprie e sa quanto bene faccia stare a tu per tu con Gesù, il solo che attraverso l’Amore può colmare ogni nostra inquietudine. Ognuno di noi deve avere a cuore le periferie del mondo, ma deve anche esser capace di riconoscere quando lui stesso si colloca alla periferia della vita degli altri e della relazione con Dio. La vicinanza al dolore, alla sofferenza, alla gioia nella vita delle persone, in fondo il “farsi compagni di strada” riempie il cuore di speranza e ti fa veramente sentire le parole di Gesù direttamente rivolte a te “beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete”. E il cuore ti si riempie di gioia perché in tutte quelle periferie Lo incontri e ti fa sentire la sua presenza… Cercare la “gratificazione” personale nella missione in Thailandia o in Asia vuol dire avere sbagliato aereo, ma raccogliere le tante benedizioni da ritrovarti a ringraziare il Signore senza volerlo per ciò che sta operando in queste periferie beh… allora il volo è quello giusto vieni e ti accorgerai di quanto vale la pena spendere la vita per Lui. Nel Segno del Sangue
Ti accorgerai allora quali sono le vere periferie che stanno dentro e fuori di noi, e ti renderai conto che quelle non sono più periferie ma sono luoghi privilegiati d’incontro della “Sua Presenza”… AMERAI (Mt 22,34-40) (paradigma della vita cristiana) In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il più grande comandamento?». Gli rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». Quel dottore della Legge gli ha fatto la domanda che gli avrei fatto io. L’ha chiesto a nome suo per fare un piacere pure a me, che di lui sono figlia, sorella, anche a distanza di secoli. L’importante è che l’abbia chiesto proprio a Lui, a distanza di un volo d’api da Gerusalemme, sulla cui sommità operai pagati un sol-
do a giornata stanno già provando le prime manovre per preparare la crocifissione. Su queste strade che Lui che della domanda è il destinatario - ha battuto come profeta. Prima di rispondere butta l’occhio a destra e vede i crocicchi che sono stati i suoi pulpiti, le piazze sulle quali ha sgranchito paralitici e gobbi, i vicoli chiusi e illuminati d’oscurità dove ha acceso la vista ai ciechi. Poi la piscina con i suoi profanatori, la strada al cui incrocio raddrizzò la donna curva, rasserenò la mano rattrappita dell’uomo infermo. Strana sorte per quest’Uomo: per un amico mandato a casa guarito, dieci o forse cento nemici s’erano aizzati contro per annunciarGli l’avvento di un giorno funesto. A breve sa che lo faranno fuori. Oggi lo vogliono semplicemente trarre in inganno: come ieri con la storia di Cesare, l’altro ieri con l’episodio della lebbra guarita in un giorno di sabato o come domani quando, dall’alto di un Legno battuto dai chiodi, Lo inviteranno a fare il miracolo dei miracoli: rifiutarsi di lacrimare per mostrarsi Figlio di Dio. Non raccoglieranno nulla, intanto gli rubano frammenti di tempo sulla strada che conduce al Golgota: “Maestro, qual è il più grande 187
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di tutti i comandamenti?” Punto di domanda e punto a capo. Una semplice coniugazione verbale – fissata in quell’imperativo che non ammette ambiguità – arriva come accecante risposta: “Amerai”. Un verbo da lasciar com’è: nudo e crudo, tremolante e fradicio di usura, accecante e tenebroso. Scandaloso per bellezza. Perché “amerai” non è “ti affezionerai, ti lascerai sedurre, t’incanterai, accarezzerai”. Quello è voce del verbo amare, modo imperativo, tempo futuro, seconda persona singolare. Un verbo diretto, pungente, preciso. Oppure – per i palati mentali più fini – amerai è voce del verbo morirai: “ti consumerai, ti sfinirai, ti spremerai”. Dalla terra al cielo, non viceversa all’inizio: “il prossimo tuo come te stesso”. Mai avverbio di modo (“come”) fu più pesante sotto il cielo di Galilea, più vicino al Golgota che alle onde di Genesaret. Perché amare Dio e il prossimo slegati dalla nostra storia è cosa troppo facile: un po’ come abitare una casa ma amarne di più un’altra, o come sposare una donna ma tenere il cuore accovacciato alla porta di un’altra. No, stavolta – fortunati noi che un metro di misura pure ce l’a188
vremmo – amerai Dio allo stesso modo che amerai te: “come te stesso”. Mai potrai amare Dio e il prossimo se non amerai le tue orecchie a sventola, quell’andare moccioso e stempiato dovuto alla canizie, quell’accento che ti ricorda la tua provenienza, quel callo sulla mano a imperitura memoria di un umile lavoro. O quella mano monca, quel piede zoppo, quella cicatrice addosso che ti rendono bello e miracoloso perché vissuto. Bello perché amante e amato. Come te stesso. Non potrai amarLo e amarli più di te. Perché mai nel cielo dei Vangeli un uomo è riuscito a disprezzare il suo albero genealogico e la sua provenienza ed è riuscito nel contempo ad amare Lui. Dalla terra al cielo “con tutta l’anima, con tutte le tue forze, con tutto il tuo cuore”. Ama te stesso all’inverosimile per riuscire a tentare poi l’avventura di amare Dio e il prossimo – che di Lui quaggiù è traccia – per lo meno quanto te. Tutto il resto è flebile illusione d’essere uomini. Quei lentigginosi riverberi del pensiero che, forse, ci mettono a posto la coscienza al tramontare di ogni sole. Ma non fanno più battere il cuore di Dio. Che della grammatica italiana
è fine intenditore, fin quasi ad usare l’avverbio più maneggiato (“come”) per insegnare all’uomo a contemplare l’Amore di lassù. Che significato ha per me… la parola periferia? L’esperienza con la Caritas diocesana di Bari-Bitonto presso il centro di accoglienza notturna per i “senza fissa dimora” m’insegna che non c’è potenziale più eversivo di quello attivato dalla fiducia e dall’amore. Non si tratta di uno slogan ad effetto, coniato per l’occasione: operando non a supporto della struttura ma a servizio della persona, ho toccato con mano come persone cosiddette di strada, dal volto rude, in un clima di rapporti improntati ad umanità e in assenza di pregiudizi, siano passati da un atteggiamento di rivendicazione tutt’altro che pacifica, a quello più maturo di chi, riprendendo in mano la propria vita, si po ne alla ricerca di significati; e scoprendo in sé insospettate e inutilizzate energie di bene, si chiede se non sia davvero giunto il momento di porle a servizio di progetti di vita e non di morte. L’esperienza con i “senza fissa dimora” nasce dopo un incontro che ho avuto con uno di loro su una panchina della stazione, mentre aspettavo il treno. Una Nel Segno del Sangue
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panchina di legno consumato, perché le panchine hanno la memoria lunga e si tengono addosso le stagioni passate e i segni che qualcuno, a volte, dimentica. Di segni ce ne sono molti. Sono solchi e graffi, scritte e buchi. E allora penso alla storia di Maurizio, una storia fatta di buchi e graffi, ma anche di qualcosa che in un certo senso dà forma. Maurizio era un manager, un uomo che esisteva, che non s i sedeva. Mi osserva senza fretta. Gli chiedo: «Era stanco quando si è seduto qui la prima volta?” Incomincia a raccontare. “Così stanco - mi dice – che non mi sono più rialzato per tre anni. Non avevo nemmeno la forza di pensare. Avevo intorno persone che mi sfruttavano per opportunismo professionale. Con la morte di mio figlio, avevo perso anche la mia vita senza accorgermene. Pensavo a lavorare, n on mi fermavo mai, ma i miei figli li ho appena visti crescere. E la colpa mi ha fermato su questa panchina. Mi ha aiutato a rallentare. Lì senti il coraggio di vedere la vita così come è realmente. Ho imparato a dare spazio a tutte le sfumature: al pianto, al sorriso, al fallimento, al riscatto. Ho imparato che dalla libertà può nascere la vita. I momenti di sconforto erano presenti Nel Segno del Sangue
ogni giorno; quella era la mia via crucis e non si possono saltare le fermate. Bisogna solo avere il coraggio di accogliere ogni debolezza.” Maurizio continua: “Un giorno ero seduto sulla panchina e davanti a me è passata una mamma con il suo figlio che scalpitava e piangeva perché a scuola non ci voleva andare. Quando sono passati davanti a me, la madre mi ha indicato e ha detto: “ Se non studi diventi come questo qui”. In quel momento il mio pensiero si è risvegliato, mi sono detto che non volevo essere più un esempio negativo. Così mi sono rimesso in piedi. Sono ritornato manager per altri senza fissa dimora. Ho organizzato mostre, eventi che attirassero attenzioni e coscienze». Come Maurizio, Luigi che mi manda a chiamare, tramite un suo amico, il lunedì santo di tre anni fa perché vuole parlarmi. Era caduto di nuovo nelle morse della criminalità. Sono andata a trovarlo due giorni dopo, il mercoledì santo, parliamo un po’, poi mi consegna una lettera: “Cara Sr. Anna Grazia posso chiederti un favore? Appena puoi va’ a trovare l’uomo della cattedrale, giù nella cripta, lo sento solo, è appeso ad una croce, al buio della nic-
chia scavata nella pietra bianca. Ieri guardavo quelle sue foto che mi hai inviato tu, ma nella mia mente lo ricordo meglio: ricordo un’immagine di assoluta bellezza. Quando sarai davanti a Lui basterà che tu lo guardi come l’ho guardato io, quel giorno, quando mi sorprendesti, solo, davanti a Lui. Egli capirà che nel tuo sguardo ci sono anch’io. Poi mi dirai come l’hai trovato.” (Luigi) Cosa mi ha insegnato questa esperienza? Maurizio, Luigi, Salvatore… mi hanno permesso di vedere ciò che di solito non vediamo. Mi hanno insegnato semplicemente che bisogna porsi di fronte all’altro sempre in ascolto, senza pregiudizi… nessun uomo è il suo limite, nessun uomo è il suo peccato. Bisogna abitare il limite per redimerlo. A Maria De Mattias stava a cuore la RIFORMA DEL MONDO che è possibile solo se lasciamo che la grazia cambi noi stessi, solo così si può avere una ricaduta positiva sulla società. Mi ha obbligata ad essere più sorella e più madre nei confronti di questa umanità che attende bisogno di verità e di salvezza. È importante sincronizzare il passo. Concludo con una pre189
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A tualità At ghiera che mi ha consegnato un altro “senza fissa dimora”, è stato al centro d’accoglienza una settimana, poi è andato via, due giorni dopo abbiamo saputo che era morto assiderato dal freddo: “Che importa se alla fine della tappa nessun tetto appare per accogliermi perché al di sopra del mio sonno il tuo viso protettore si affaccia illuminandomi con forza e amore. Che importa se non ho
unguento per i miei piedi feriti dal cammino. Il mio balsamo è di vederti nell’ombra. Che importa se nessun’acqua ha calmato la mia sete, la freschezza della Grazia vale più di una fonte insperata. Poiché per dirigermi verso di te, senza indugio, sul punto di partire, ho preso la strada. Ho rifiutato la nausea triste. Ho fuggito il peccato che fa invecchiare. Nel fiat abbandonato dagli Angeli – nel sole,
l’acqua, l’albero e il vento – potrò infine leggere il tuo volto. Mi arrampicavo come un povero recluso, i miei miseri desideri andavano errando ma il cammino ha messo a nudo il mio cuore e ho sentito l’orrore del nulla. Sei Tu che susciti i miei desideri. I miei occhi hanno gustato la tua presenza. Possano per sempre perdersi in Essa”. (Salvatore Claude)
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___ __ _______ ___ __ ___ _______ ___ __ ___ _______ ___ __ ___ _______ ___ __ __________ ___ __ __ Umoriismo
o c i m o c o t Il la di Comik toia La mangia
Nel gergo della malavita e della politica la mangiatoia indica il complesso dei finanziamenti pubblici che diventano rapidamente privati. Eppure nella mangiatoia fu deposto il Figlio di Dio, che poi disse: «Prendetemi e mangiatemi…. Ma fate anche voi questo ricordandovi che io l’ho fatto». Sono ancora alla prima fase. Se lo son mangiato e non gli permettono di proseguire la frase. Quando è l’ora del becchime al pollaio, da La polliti ca (non è ogni angolo del recinto i polli, intenti a raciun refuso) molare qualcosa per non perdere l’abitudine, corrono verso il luogo ove è ammannita… la manna. Corrono con le ali spalancate per aiutarsi nella gara di velocità, e si contendono i posti più favorevoli per beccare, dando colpi ai rivali che fanno lo stesso. Questo fanno i polli. I pollitici (non è un refuso) invece fanno lo stesso. La sola differenza, se proprio vogliamo considerarla tale (essendoci ignota l’intenzione dei polli) è che sostengono di farlo per servire meglio il popolo. Tutti (o quasi) indistintamente sbandierano un tale nobile intento. Che però realizzano solo se finiscono in galera, levandosi di torno. Ma chi può costringerli a rendere un tale servizio al popolo? Sono divisi in fazione e ognuna vorrebbe che fosse l’altra a finire in galera. Meglio applicare il detto: dalle stelle allo stallo. Soprassedere: cioè seguitare a sedere sulla stessa poltrona. Solo per i polli c’è la soluzione infallibile. Non sbandierano l’orgoglio di servire il popolo; anzi se potessero parlare direbbero con tutta sincerità che non ne hanno la minima intenzione. E invece finiscono regolarmente in pentola o allo spiedo.
o lo italian o c a r i m l I
Nessuno avrebbe mai potuto immaginare, pur abbandonandosi alla più sfrenata fantasia, che delle persone che arrivano seminude su gommoni rattoppati e senza un soldo potessero fruttare tanto denaro… Giustamente quel tizio diceva al compare: «Aoh! Ciavemo na vacca da mugne!». Ma nell’affare neppure la lingua ne usciva pulita. Magari poi presiedeva un convegno di poesia. Nel Segno del Sangue
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Lo scopo di questo Istituto è di procurare con tutto l’impegno che non sia invano sparso quel Sangue di vita eterna, ch’è il prezzo infinito della nostra Redenzione, ma che ognuno se ne approfitti a propria salvezza. (Articoli Fondamentali, 1°)