Preghiera per ottenere Grazie
Il 12 aprile 1851, sedici mesi dopo che ne è partito, il santo Padre Pio IX rientra a Roma, dal suo esilio a Gaeta, scortato da soldati francesi. Il corteo è accolto a Porta San Giovanni. Questo ritorno vuole rappresentare il culmine di una “riconsacrazione” di Roma e il punto di partenza per un nuovo impulso restauratore. C’è anche don Giovanni Merlini a rendere omaggio al Vicario di Cristo che rientra nella sua sede naturale. La restaurazione promossa da Pio IX si svolge su scala internazionale e al centro dei suoi interessi è l’Inghilterra, dove il vicario apostolico, Nicola Wiseman, già dal 1847 aveva chiesto al Papa la costituzione di una gerarchia cattolica nell’isola britannica. E il momento tanto atteso dai cattolici finalmente arriva: Pio IX nomina Nicola Wiseman (che molti di noi conoscono per aver letto il suo romanzo Fabiola), cardinale e arcivescovo di Westminster. Il nuovo cardinale prende contatto con molti direttori generali di istituti religiosi (specialmente missionari) per trattare fondazioni in Inghilterra. Durante la sua permanenza a Roma, aveva conosciuto il nostro don Giovanni
Merlini, verso il quale sentiva una particolare venerazione. Con lui, perciò, progetta l’introduzione in Inghilterra sia dei Missionari che delle Suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue. La risposta di don Giovanni è lineare; in linea di massima acconsente alla richiesta, ma bisogna pregare il Signore per avere la “provvidenza degli operai evangelici”; nel frattempo si cerchino i luoghi adatti e tutto si farà. Credo che in questo semplicissimo episodio della vita del nostro Venerabile Merlini, ci sia un autentico messaggio di fede e di speranza. Le frasi che egli amava ripetere spesso erano queste: “Lasciamo fare al Signore benedetto”; oppure: “Agisci come se tutto dipendesse da te, ma con la certezza che tutto viene da Dio”. Non avere paura, quindi, neppure per i comportamenti imprevedibili di Dio. Il suo modo di agire spesso risulta sconcertante. Vedrai che con Dio tutto andrà bene, nonostante le apparenze in contrario. Ti accorgerai che tutto è grazia. Perché tutto è amore. Tutto è bontà. Tutto è sorriso, anche un temporale furioso!
O Santissima Trinità, con tutte le potenze dell’anima mia adoro la vostra maestà infinita e ringrazio la vostra bontà per i doni e i privilegi concessi al vostro Servo don GIOVANNI MERLINI, ardente di zelo per la salute delle anime e apostolo indefesso del Sangue Prezioso. Vi prego di volerlo glorificare anche qui in terra, e per questo vi supplico di donarmi, per sua intercessione, la grazia che umilmente chiedo. Così sia. TRE GLORIA
Marzo 2014
Anno XXX
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FINALMENTE UN LAVORO! Per intercessione del Ven. Giovanni Merlini dopo tanti fax spediti e tanti colloqui a Milano e Alessandria, finalmente ho trovato lavoro come impiegata, proprio vicino a casa mia. Oltre che per la grazia ricevuta, in seguito alle mie preghiere, voglio ringraziare mio padre perché in questo mondo, dove non ti aiuta nessuno, mi è stato vicino anche con la preghiera. Aiutateci anche voi con la vostra preghiera, affinché anche mio fratello trovi una buona sistemazione definitiva. Distinti saluti. Lettera firmata ESAME COMPLICATO Un grazie con tutto il cuore a voi che avete aiutato mia figlia a superare questo esame molto preoccupante per lei e anche per noi familiari. Io ho pregato tanto il Venerabile don Giovanni Merlini, Santa Maria De Mattias e San Gaspare, e così mi hanno concesso questa grazia. Accettate questa piccola offerta in ringraziamento. Chiara Gandelli (Romae, die 8 Februarii 1964. Nihil obstat. Nicolaus Ferraro, S.R.C. Ads. Fidei Sub-Promotor Gen.)
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La mia tristezza in danza... Percorsi di felicità
In queste settimane spopola sul web ed in tv una serie ambientata in un ospedale non ben precisato del mezzogiorno d’Italia. Sei ragazzini, tra problemi oncologici, cardiologici, di peso, formano un gruppo per affrontare insieme il dolore, la malattia. Non mancano come al solito difensori e detrattori. Le critiche più severe, oltre la qualità della fotografia e della recitazione effettivamente discutibili, riguardano l’opportunità di usare il dolore, in particolar modo quello di sei ragazzini, per esorcizzare la malattia. Sarà. Una cosa è certa: la narrazione non addolcisce la pillola. Il dolore narrato resta dolore, il suo mistero rimane tale, forse, l’unica che ne esce lusingata è la sanità italiana. Ma va apprezzato a mio avviso un dato: in un contesto che sceglie di rimuovere il dolore, la morte, la sofferenza, la malattia, si parla schiettamente di morte, senza happy-ending, senza camuffamenti. Si parla della morte solo per ciò che essa è. Il difetto fondamentale della serie è uno: Dio è completamente tagliato fuori, e le domande che
l’uomo si pone davanti ad un bambino che muore rimangono irrisolte. Vogliamo per questo allora proporvi anche noi un racconto. La testimonianza di Emanuele, un nostro seminarista, che presta servizio presso un ospedale romano. Il racconto di come l’incontro con Dio può cambiare il senso alla sofferenza, senza rimuoverne il peso.
In un mondo che oltre alla meraviglia, lascia spazio anche al dolore e alla morte, ci chiediamo cosa sia la sofferenza. Guardando l’esperienza quotidiana forse non usciamo di strada nel descriverla come una grande domanda, ed insieme, anche una grande schifezza. È domanda, perché ogni evento doloroso riporta la mia vita a domandarsi sul suo senso; è domanda sull’esistenza, sulla mia identità, su Dio. La sofferenza prende così il nostro vivere per mano – noi che spesso crediamo di avere il controllo su ogni cosa – e in momenti inaspettati ci riconduce, alle volte con forza, altre con gradualità, da una prospettiva quotidiana quasi scontata, a quella del mistero dove la progettualità si dissolve come neve al sole. Proprio per questo, oltre che domanda, essa è da noi percepita un po’ come una grande “schifezza”. Davanti alla morte e al dolore infatti, la nostra reazione è sostanzialmente fatta di rabbia, paura, tristezza. Dopo la morte di una persona cara, siamo tutti più vuoti; vuoti perché tristi, e arrabbiati perché impotenti a risolvere la situazione.
Di fronte a tutto questo, il domandarci “perché?”, “perché a lui/a me?” è certo una domanda legittima, ma sbagliata dal momento che non conduce da alcuna parte; posso solo dire che è un’esperienza che fa verità, che smonta tante cose, ma poi ho comunque da piegarmi al mio essere piccola creatura che non sa afferrare il mistero. Il vero spazio di ricerca appartiene invece alla questione del senso più che alla spiegazione ragionevole. Abbiamo bisogno di capire il senso delle cose che avvengono, pur brutte che siano. Ed ecco la strada della fede che consiste nel lasciarmi svelare il senso da un Altro – visto che la domanda sulla sofferenza è, al tempo stesso, domanda su Dio. Ciò che ne segue, per un cristiano, è che la sofferenza e la morte restano un mistero che può però trovare luce in colui che gli uomini del suo tempo riconobbero come “più di un uomo”. In Gesù, in cui il mistero di Dio si rivela una grande carezza per me, posso vedere Dio che entra nel nulla, il mio nulla, e che considera la sua stessa vita meno importante della mia. Ciò vale non solo sul Golgota di Gerusalemme, ma su ogni calvario di ogni uomo della storia! La mia “notte buia” è così il luogo in cui posso sperimentare dolorosamente, ma in modo drammaticamente vero che Lui si prende cura di me, e che può “trasformare la mia tristezza in danza”. «Guarda a Lui e sarai raggiante, e il tuo volto non sarà confuso» (cfr. Sal 34,8).