Torino Aula Magna Cavallerizza Reale
Alessandra Russo flauto Carlos Del Ser Guillen oboe Matteo Genini clarinetto Stefano Fracchia corno Paolo Dutto fagotto Stefano Musso pianoforte
LunedĂŹ 07.IX.2015 ore 17
Schulhoff Hindemith Poulenc
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Erwin Schulhoff (1894-1942) Divertissement per oboe, clarinetto e fagotto Ouvertüre. Allegro con moto Burlesca. Allegro molto Romanzero. Andantino Charleston. Allegro Tema con variazioni e fugato. Andante Florida. Allegretto Rondino – Finale. Molto allegro con fuoco Paul Hindemith (1895-1963) Kleine Kammermusik op. 24 n. 2 per flauto, oboe, clarinetto, corno e fagotto Lustig. Mäßig schnelle Viertel Walzer. Durchweg sehr leise Ruhig und einfach. Achtel Schnelle Viertel Sehr lebhaft Francis Poulenc (1899-1963) Trio per pianoforte, oboe e fagotto FP 43 Presto Andante Rondò Sestetto per pianoforte, flauto, oboe, clarinetto, fagotto e corno FP 100 Allegro vivace. Très vite et emportée Divertissement. Andantino Finale. Prestissimo Alessandra Russo, flauto Carlos Del Ser Guillen, oboe Matteo Genini, clarinetto Stefano Fracchia, corno Paolo Dutto, fagotto Stefano Musso, pianoforte In collaborazione con De Sono Associazione per la Musica Università degli Studi di Torino 3
Pressoché coetaneo di Hindemith, il praghese Erwin Schulhoff fu pianista e compositore. Intrapresi dapprima gli studi presso il Conservatorio della città natale di cui fu allievo dal 1902 al 1904, proseguì in seguito la propria formazione a Vienna, Lipsia e Colonia (1904-1910); stabilitosi a Praga, vi insegnò tra il 1929 e il 1931 facendo parte inoltre della direzione della Radio Cèca. Ebreo, venne arrestato e deportato dai nazisti durante l’occupazione tedesca e la sua breve vita si concluse tragicamente nel campo di concentramento di Würzburg (Weissenburg), in Baviera. Aperto a dissimili ed eclettici influssi, si lasciò sedurre dalle teorie del moravo Alois Hába relative all’adozione dei cosiddetti quarti di tono, interessandosi vivamente nel contempo al linguaggio jazzistico; così pure fu attratto dalle avanguardie artistiche (segnatamente il Dadaismo) e dal neoclassicismo imperante in Europa a partire dagli anni Venti del Novecento. Il suo vasto catalogo spazia dal teatro al balletto all’ambito orchestrale (scrisse ben sei Sinfonie tra il 1925 e il 1936), dalla musica da camera a quella pianistica alla liederistica per un totale di oltre 100 numeri d’opus. Composto nel 1927 e dato alle stampe l’anno seguente a Magonza per i tipi di Schott, il Divertimento per oboe, clarinetto e fagotto si articola in ben sette movimenti dagli allusivi titoli. Significativa l’adozione di un ensemble di fiati e così pure l’esplicita scelta di richiamarsi a un genere settecentesco che, affine alla Serenata e alla Cassazione, ebbe in Mozart il più insigne esponente, laddove il linguaggio adottato è di natura schiettamente novecentesca. In prima posizione una concisa Ouvertüre dai ritmi pungenti e dai fraseggi staccatissimi, poi una Burlesca che ne prosegue idealmente il clima espressivo come di lepido chiacchiericcio, col buffo basso in ottave del fagotto che innesca uno spiritoso dialogo a tre. Un certo humour agrodolce prevale nel successivo Andantino e così pure nel Charleston dai vistosi spostamenti di accento, poi ecco che il musicista intesse una serie di saporose variazioni su un tema melanconico dal vago sapore modale, quindi un movimento non immemore di certo Prokof’ev (Florida), col suo incedere di valzer claudicante e grottesco. Da ultimo la trascinante verve di un’arguta “ronda” nella quale Schulhoff rivela di avere assimilato la lezione stravinskiana e di averla fatta propria. La sciagurata avversione del Nazismo nei confronti di una musica definita “degenerata” accomuna la vicenda biografica di Schulhoff all’itinerario creativo del ben più noto Hindemith che, a partire dagli anni Trenta, fu costretto ad abbandonare la nativa Germania per stabilirsi in Svizzera, quindi si trasferì negli Stati Uniti allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale nel 1940. Fortemente attratto dalla dimensione polifonica, Hindemith in svariate 4
occasioni intitolò Kammermusiken sue pagine dagli assunti esplicitamente concertanti: è il caso di ben sette partiture così etichettate, composte tra il 1922 e il 1927, dagli organici variabili, quasi un ventaglio di opzioni combinatorie, sicché protagonista ora è il pianoforte (Kammermusik n. 2), ora il violoncello (n. 3) ora il violino (n. 4) ora la viola e la viola d’amore (strumenti questi ultimi che Hindemith suonava con singolare bravura e si tratta delle Kammermusiken nn. 5 e 6), addirittura l’organo e un ensemble di fiati nel caso della n. 7. E i fiati, per l’appunto (già prescelti per la prima delle Kammermusiken in abbinamento alle percussioni e poi costantemente adottati nelle restanti, accanto agli archi, beninteso) vi giocano un ruolo coloristico tutt’altro che secondario. Quanto alla Kleine Kammermusik op. 24 n. 2 per flauto, oboe, clarinetto, corno e fagotto risale al 1922 e venne espressamente concepita per la Frankfurter Bläser-Kammermusikvereinigung. Cinque i movimenti in cui si articola questa sorta di Divertimento per fiati (dacché di questo si tratta) pubblicato anch’esso da Schott, frutto della creatività di un Hindemith appena ventottenne. In apertura una pagina scherzosa (Lustig) che gioca sul dialogo tra i vari strumenti. Ecco allora l’eloquio sornione del clarinetto dapprima, poi le agilità del flauto, le velature dell’oboe, intrecciati gli uni agli altri in animate filigrane, in faceti conversari sostenuti dal pulsare regolare e bonario di corno e fagotto; qualche increspatura, una zona misteriosa al centro, come un venire meno, poi la ripresa, a suggerire una regolare forma ternaria, una frase rapsodiante del fagotto in uno stingere progressivo e infine lo sberleffo garbato del clarinetto. In seconda posizione un bonario Walzer dagli sghembi profili resi ancor più penetranti grazie alla sonorità acuminata dell’ottavino in cui brandelli melodici vanno affiorando qua e là, ora coagulandosi, ora sfarinandosi, in un clima vagamente straniante. Assorto e pacato il terzo movimento (Ruhig und einfach, Calmo e semplice) costituisce l’oasi lirica del brano, specie laddove nella zona mediana è l’oboe a prendere l’iniziativa, esponendo una melopea impregnata di esotismo, sostenuto dal felpato incedere dei suoi sodali, prima della rarefatta chiusa, arcana e notturna. Nel folgorante quarto tempo – poco più di venti battute – è evidente il gusto per la celia, per la burla, smaccatamente esibito. Da ultimo una sorta di fanfara dalle acidule dissonanze, scorrevole e assertiva, con coerenza pone termine alla composizione: nel più puro spirito del Divertissement. Anche il gigione e poliedrico Poulenc – forse la personalità di maggior spicco entro il cosiddetto Group Les Six, “monaco e monello” secondo un’indovinata definizione del Rostand che ben coglie 5
l’essenza del suo operare artistico – per i fiati ebbe sempre una speciale predilezione. E allora ecco la matura Sonata per flauto e pianoforte (1947) e le due coeve Sonate per oboe e pianoforte e per clarinetto e pianoforte (1962): in precedenza c’erano state la curiosa e bizzarra Sonata per clarinetto e fagotto (1922) e l’antecedente per due clarinetti (1918). Di ancor maggior rilievo, per la perfetta sintesi timbrica di pianoforte e fiati, il Trio (1926) e il Sestetto (1932-1939): in assoluto tra i vertici della musica cameristica non solamente francese di primo Novecento. Per esplicita ammissione di Poulenc, il Presto iniziale del Trio (dalla limpida e “classica” ripartizione in tre movimenti) si richiamerebbe «allo schema di un Allegro di Haydn», con tanto di introduzione lenta; e si tratta di pagina charmante e scherzosa che definire neoclassica è senz’altro riduttivo, in linea con l’estetica dei Sei, fluida e scintillante, dall’ammirevole politezza formale, incluso qualche impertinente guizzo e certe smagate divagazioni che di Poulenc sono una vera firma, e financo echi jazzistici curiosamente contaminati. L’animato Rondò conclusivo, dalle amabili eccentricità, in anticipo rispetto alle analoghe atmosfere poi esplorate nella sublime Suite française aprés Gervaise, deriverebbe invece il suo modello formale dallo Scherzo del Secondo Concerto per pianoforte e orchestra di Saint-Saëns. Alla base di tale opzione l’autorevole “consiglio” nientemeno che di Ravel. In posizione centrale la nobile e assorta cantabilità – quasi di stampo vocale – di una pagina stupenda, elegiaca, appena striata di vago spleen, che va espandendo il suo placido, onirico lirismo come proteso fuori dal tempo. Analoga freschezza e spontaneità si ritrova intatta nel superbo Sestetto, pagina fragrante dal fascino a dir poco ineguagliabile, ancora una volta dalla mirabile chiarezza formale, che pare riallacciarsi a certe atmosfere del balletto Les Biches. Vi si riconosce la miglior cifra di Poulenc: l’inventiva melodica zampillante e inesauribile, la verve ritmica, lo humour, la naturalezza, l’apparente disinvoltura che in realtà cela un’incredibile profondità di pensiero, quei tratti insomma che fanno della sua scrittura qualcosa di assolutamente unico. Frivolezza e intensità, delicatezza, spirito corrosivo e tenerezza vi convivono splendidamente. È possibile vedervi il riflesso di certe indelebili emozioni di anni lontani, vissute specie durante le lunghe estati trascorse a Nogent-sur-Marne, il suo “paradiso” «con le balere, i venditori di patatine fritte e i balli popolari». Poulenc stesso, non a caso, ebbe ad affermare: «Il côté monellesco della mia musica non è artificiale come molti credono, ma si riallaccia a ricordi d’infanzia che mi sono molto cari». In un’atmosfera vagamente circense, provocatoria e croccante si 6
apre l’ampio Allegro vivace iniziale nel quale emerge poi tosto un esteso squarcio lirico di indicibile bellezza, venata di malinconia e assorti trasalimenti, ammirevole per l’esplorazione di variegati e policromi universi timbrici. Vi si ammirano una magistrale scrittura dei fiati e una poderosa inventiva che sorregge costantemente la pagina. Ma ecco che il motorismo ritmico riprende il sopravvento con felice allure, entro un clima spigoloso e cubista. In posizione centrale una pagina rarefatta e toccante (Divertissement) di inarrivabile fascino melodico: possiede le qualità seduttive dei veri capolavori, contemplando altresì un passo animato entro un impianto di struggente appeal. Infine la corsa a perdifiato dello scanzonato e sbarazzino Finale corona meravigliosamente, non senza un velo di disincantato distacco in certi estesi passi sognanti, quest’opera di forte impatto che pare il ritratto stesso di Poulenc, inguaribile enfant terrible. Attilio Piovano
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La De Sono Associazione per la Musica è stata costituita nel febbraio del 1988 da un gruppo di privati con il patrocinio di industrie piemontesi e non persegue scopi di lucro. In oltre venticinque anni di attività l’Associazione si è proposta quattro finalità principali. Segue e finanzia con borse di studio, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, il perfezionamento di giovani strumentisti, compositori e musicologi piemontesi. Interviene nel campo dell’editoria musicale con la pubblicazione di tesi di laurea e dottorato in musicologia, saggi scritti da affermati studiosi e repertori iconografici. Organizza, in autonomia e in collaborazione con altri enti, corsi di perfezionamento per giovani talenti. Programma concerti e incontri per l’ascolto e la conoscenza della musica, dall’antica alla contemporanea. Protagonisti ne sono i giovani borsisti, o ex-borsisti, e la formazione Archi De Sono, composta da prime parti affermate e dai talenti più promettenti tra quelli che partecipano alle attività formative dell’Associazione. Alessandra Russo, borsa di studio De Sono nel 2010, si è perfezionata alla Haute École de Musique di Ginevra; attualmente collabora con la Mahler Chamber Orchestra e la English National Opera. Carlos Del Ser Guillen ha studiato in Spagna, dove è nato, si è perfezionato a Ginevra e Friburgo e ha collaborato frequentemente con l’Orchestra del Festival di Lucerna, con l’Orchestra Mozart e con l’Orchestra del Concertgebouw di Amsterdam. Matteo Genini si è diplomato presso il Conservatorio di Milano. Borsista De Sono dal 2010 ha frequentato la Musik Akademie di Basilea e attualmente frequenta la Hochschule für Musik di Lucerna. È primo clarinetto dell’Orchestra Giovanile Mondiale con la quale ha effettuato tournée in Spagna e Guatemala. Stefano Fracchia, borsa di studio De Sono dal 2013 al 2014, ha studiato presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino e ha collaborato con le Orchestre del Teatro Regio di Torino e del Teatro Regio di Parma. Paolo Dutto ha studiato presso il Conservatorio di Cuneo e si è perfezionato alla Scuola di Musica di Fiesole. Dal 2005 al 2010 ha suonato stabilmente presso l’Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini” di Riccardo Muti.
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Stefano Musso, borsa di studio De Sono dal 2013, frequenta la Hochschule für Musik di Basilea e l’Accademia di Musica di Pinerolo. Suona regolarmente in stagioni e festival di rilievo, quali Unione Musicale di Torino, MITO SettembreMusica e Musica Riva Festival.
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