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14.IX lunedì www.mitosettembremusica.it
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ore 21
Torino Chiesa di San Giovanni Maria Vianney
Quintetto Regio Artisti del Teatro Regio di Torino Schubert
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LA MUSICA È ASSICURATA
Franz Schubert (1797-1828) Quintetto in do maggiore op. postuma 163 D. 956 Allegro ma non troppo Adagio Scherzo. Presto – Trio. Andante sostenuto Finale. Allegretto – Più allegro Quintetto Regio Artisti del Teatro Regio di Torino Sergey Galaktionov, Tomoka Osakabe, violini Armando Barilli, viola Davide Eusebietti, violoncello Davide Botto, contrabbasso
In collaborazione con Teatro Regio
Nell’ultimo anno di vita Schubert collezionò solo insuccessi. Le sue ultime composizioni risultavano ostili ai contemporanei, soprattutto per le loro proporzioni dilatate. Quelle «divine lunghezze», che Schumann avrebbe lodato qualche anno dopo nella Sinfonia in do maggiore, oltrepassavano i limiti di sopportazione del pubblico. Anche Beethoven era stato accusato di prolissità: già nel 1803 la sua Terza Sinfonia aveva messo a dura prova la pazienza degli ascoltatori e nel 1824 le reazioni alle prime esecuzioni della Nona furono altrettanto scomposte. Schubert fu vittima delle stesse critiche, ma non si lasciò intimidire dal gusto contemporaneo e continuò a comporre con ampio respiro formale. Il Quintetto per archi è perfettamente allineato a questa tendenza: non nasconde quell’esigenza di spazio che era necessaria allo stile dell’ultimo Schubert. Il suo organico, che prevede l’uso di due violoncelli anziché di due viole, privilegia la consuetudine di Boccherini rispetto a quella di Mozart: un ensemble più equilibrato, che raddoppia le parti estreme (violino e violoncello), garantendo una tessitura ricca e un timbro caldo. L’esecuzione del Quintetto Regio amplifica questo aspetto sostituendo, come assai raramente avviene, il secondo violoncello con il contrabbasso: lo strumento più grave della famiglia degli archi, pur eseguendo le stesse note, dona all’ensemble un colore più avvolgente, specie nelle parti in pizzicato, come nel secondo movimento. Bastano poche note dell’Allegro ma non troppo per scontrarsi con tutta la potenza espressiva dell’ultimo Schubert: prima un’idea composta, dai tratti quasi settecenteschi; poi un episodio violento, che inscena un dialogo sanguigno tra i vari strumenti; quindi il secondo tema cantabile al violoncello e al contrabbasso, accompagnati da pizzicati leggeri. Si passa da un clima all’altro senza nemmeno rendersene conto: a Schubert basta un’idea per voltare pagina, portando per mano l’ascoltatore attraverso paesaggi distanti. Nella coda c’è spazio per un dramma in miniatura, che rimette in scena tutti i personaggi di questo primo movimento, lasciandoli sfumare dolcemente nel silenzio. Anche la staticità su cui si apre l’Adagio è profondamente espressiva: solo il primo violino emerge sugli altri strumenti, lasciando risuonare frammenti di melodia. Poi improvvisamente il discorso si anima: un dialogo agitato prende il sopravvento, attraversando un terreno irrequieto.
Nella ripresa torna l’atmosfera celestiale della prima sezione; ma non è più come prima: l’agitazione della parte centrale non si è estinta, è ancora palpabile nei movimenti del violoncello. Tocca allo Scherzo riportare l’ascoltatore alla concretezza della vita terrena, con tutta la sua vitalità impetuosa e genuina. Solo nella sezione centrale l’atmosfera torna a distendersi, adagiandosi su movimenti minimi e ben respirati. Il Finale sembra sancire la completa dissoluzione delle tensioni: si succedono una serie di episodi danzanti che potrebbero essere direttamente derivati dalle movimentate birrerie che animavano (e animano) i dintorni di Vienna. Tra le pieghe di un fantasioso rondò-sonata continuano però ad affiorare ombre evanescenti: un sottile gioco di specchi fra tonalità maggiori e minori che distende su tutto il finale un sottile velo di ambiguità. Andrea Malvano
Per gentile concessione del Teatro Regio
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