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ore 21

Torino Alfa Teatro

Quartetto Echos del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino Mozart Haydn Webern

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LA MUSICA È ASSICURATA


Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) Quartetto n. 19 in do maggiore KV 465 “Delle dissonanze” Adagio. Allegro Andante cantabile Minuetto e Trio. Allegro Allegro molto Franz Joseph Haydn (1732-1809) Quartetto in sol minore op. 74 n. 3 “Il cavaliere” Hob. III:74 Allegro Largo assai Minuetto e Trio. Allegretto Finale. Allegro con brio Anton Webern (1883-1945) Langsamer Satz WoO 6 Quartetto Echos del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino Andrea Maffolini, primo violino Ida Di Vita, secondo violino Giulia Bombonati, viola Martino Maina, violoncello Scuola di assieme per strumenti ad arco di Claudia Ravetto In collaborazione con Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino

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Una questione viennese La storia della musica potrebbe dirci di no, affermando che il genere del quartetto per archi fiorì anche in altri centri del continente europeo. Ma vi sono molti motivi che lo fanno ritenere una faccenda viennese. Di certo ad accrescere la forza magnetica che Vienna esercitò sulla letteratura cameristica vi furono alcuni fattori: in questa città Haydn soggiornò spesso, qui vennero pubblicate ed eseguite con successo le sue serie di sei quartetti (di quelli dell’op. 33 Haydn stesso aveva scritto che erano stati composti in quella “maniera speciale interamente nuova”); a Vienna poi si strinse la stima reciproca tra Haydn e Mozart, proprio sul terreno del quartetto per archi. Mozart infatti si trovava da qualche anno in città quando dedicò sei quartetti proprio a Haydn, intendendo i lavori di lui come modello e punto di partenza. Il KV 465, concluso all’inizio del 1785, è l’ultimo dei sei: la sovrapposizione di suoni stridenti in apertura, da cui il nome di Dissonanzen-Quartett, costituisce uno dei primi casi nella storia della musica in cui è legittimo usare la parola “sperimentale”. Nel secolo dei lumi tuttavia non era ammissibile che durasse molto l’inizio quasi singhiozzante dell’Adagio: ecco attaccare quindi un Allegro dei più luminosi, nonostante qualche singhiozzo che richiama quelli iniziali riaffiori nella sezione centrale, quella in cui le leggi della composizione classica vogliono lo sviluppo dei temi musicali esposti, vale a dire la metamorfosi e l’interazione tra essi. Vi è stato chi ha visto Mozart musicare qui la simbologia massonica del passaggio dal buio caotico e disarmonico verso la luce della conoscenza: e Haydn fu “padrino” di Mozart quando egli fu iniziato proprio nel 1785 in una loggia viennese. Il successivo e più tranquillo Andante cantabile ha comunque dei passaggi se non dissonanti, purtuttavia cromatici: sembra che Mozart voglia dimostrare che, pur introducendo anche qui moderate (ma inaspettate) dissonanze, egli sia in grado comunque di governare la tenuta dell’insieme. Nel Minuetto (il Minuetto in do maggiore e il Trio in do minore) e nel conclusivo Allegro molto (nuovamente in do maggiore) il clima ricorda invece molto il mondo del dedicatario, l’arguzia tutta haydiniana delle serenate e dei rondò in punta d’archetto. A proposito dei quartetti di Mozart, Haydn disse al padre di lui Leopold: «Votre fils est le plus grand compositeur que je connaisse». L’olimpico Haydn continuò a scrivere quartetti anche dopo il passaggio della meteora mozartiana nel cielo viennese, ma qualcosa dell’apporto del più giovane sarebbe comparso negli ultimi quartetti del più anziano, compreso il Quartetto op. 74 n. 3 in sol minore, composto nel 1793. I tre quartetti dell’op. 71 e i tre dell’op. 74 sono detti “Apponyi” in quanto dedicati al conte ungherese musicofilo Anton Apponyi: questo quartetto in particolare è poi soprannominato “Il cavaliere” perché all’inizio sembra di udire il galoppo di un personaggio a cavallo che non sfigurerebbe in una leggenda. Infatti l’Allegro ha il ritmo di un Ländler, la danza centroeuropea in ritmo ternario (un-due-tre, un-due-tre...), ma con accenti non certo bonari, anzi quasi stranianti. Il secondo tema è più grazioso, ma giri sempre vorticosi contraddistinguono le terzine di accompagnamento.

Haydn qui ci spiazza, perché nella struttura del quartetto classico il movimento in tempo di danza in ritmo ternario di solito è il terzo. Il Largo assai ci porta invece in un soffuso mi maggiore, in cui come in molti movimenti lenti di Haydn un pacato tema (una specie di corale strumentale) intonato a mezza voce è interessato da una serie di variazioni e di ritorni. Il Minuetto, in tempo ternario come l’Allegro iniziale, genera in effetti qualche rimembranza del primo movimento. Il Finale conferma il sol minore: le note scandite, caratteristiche di tutto il quartetto, ora nel tempo di quattro quarti, assumono l’aria di una quadriglia quasi zigana (forse un omaggio al dedicatario ungherese: del resto quel mondo musicale non distava poi molto da Vienna), senza tuttavia sminuire l’importanza della sezione centrale del movimento, lo sviluppo già citato, tipico dei protagonisti della cosiddetta prima scuola viennese: Mozart, Haydn e Beethoven. Proprio a Haydn si riallacciò idealmente Beethoven, accingendosi nel 1800 a scrivere il suo primo quartetto, il n. 1 dell’op. 18 (ancora una volta sei in tutto), arrivato da qualche anno a Vienna e nella scia dei suoi predecessori: forzando però il discorso musicale con maggiore dinamismo, contrasto, virtuosismo, inventiva. Spingendo la forma e il linguaggio più in là: girare l’ultima pagina del primo quartetto beethoveniano significa lasciarsi alle spalle l’equilibrio della forma e delle proporzioni dei quartetti di Haydn. Un altro viennese destinato a spingere la musica più in là, dedicatosi al quartetto cento anni dopo Beethoven, fu Anton Webern. Chi conosce i brani della sua maturità, in cui le note sono un distillato razionale, governato dal principio della dodecafonia, stenta a credere che sia lui l’autore di questo Langsamer Satz del 1905, una pagina lirica, cantabile, quasi sentimentale. In questo movimento in tempo lento, ispirato a una camminata in montagna, si sentono infatti gli echi struggenti del tardoromanticismo di Brahms o la nostalgia celestiale di Mahler, autori peraltro ammirati in una Vienna che stava diventando – per dirla con le parole di Stefan Zweig, altro grande viennese – il mondo di ieri: sarebbe bastato a Webern ricevere alcune lezioni da Arnold Schönberg per superare l’impiego della forma-sonata e della tonalità, qui ancora ben presenti (e che in questo concerto potrebbero apparire come una sorta di nostalgia del secolo inaugurato proprio da Haydn). Ancora poco, e l’eco delle beatitudini del Langsamer Satz sarebbe svanito per sempre. Stefano Baldi

Il Quartetto Echos nasce nel 2013 all’interno del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino. Nel settembre 2014 Ida Di Vita subentra nel ruolo di secondo violino. Nel marzo 2014 interpretano il Quintetto op. 111 di Brahms con Bruno Giuranna, al termine di una masterclass da lui tenuta al Conservatorio di Torino. Nel maggio 2014, presso il Salone del Libro di Torino, partecipano alla presentazione de I quartetti per archi di Beethoven di Quirino Principe, eseguendo il Quartetto op. 18 n. 1. Attualmente il Quartetto studia e approfondisce il repertorio sotto la guida di Claudia Ravetto.


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