Milano Piccolo Teatro Strehler
Sconcerto Musica di Giorgio Battistelli Testo di Franco Marcoaldi
Domenica 19.IX.10 ore 21
Orchestra del Teatro di San Carlo di Napoli Marco Lena direttore con Toni Servillo e la partecipazione di Peppe Servillo
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Torino Milano Festival Internazionale della Musica 03_24 settembre 2010 Quarta edizione
SettembreMusica
18.IX.2010 Piccolo Teatro Grassi ore 18 Edicational Musica e Teatro partecipano Giorgio Battistelli, Franco Marcoaldi Toni Servillo con Sergio Escobar e Francesca Colombo
19.IX.2010 Pioccolo Teatro Strehler ore 21 Sconcerto Teatro di musica per Direttore - Attore - Orchestra Musica di Giorgio Battistelli Testo di Franco Marcoaldi con Toni Servillo e la partecipazione di Peppe Servillo Orchestra del Teatro di San Carlo di Napoli Marco Lena, direttore Ortensia De Francesco, costumi Daghi Rondanini, suono Pasquale Mari, luci Toni Servillo, regia
Una produzione Teatri Uniti Fondazione Teatro di San Carlo Fondazione Ravello Fondazione Musica per Roma In collaborazione con MITO SettembreMusica Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa
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Sconcerto In scena compaiono un’orchestra e il suo direttore. Ma gli strumentisti suonano da soli, vanno per proprio conto. Il direttore non dirige alcunché. E’ preso da ben altri crucci e tormenti, a cominciare dal desiderio spasmodico di provare a mettere ordine nella propria testa, attraversata come un fiume in piena dai più diversi e contrastanti pensieri, sensazioni, emozioni, malumori e fantasie. Questo flusso verbale continuo, che ospita il caotico vorticare del mondo, dà voce nella sua totale nudità a quella perdita di senso e direzione in cui tutti ci sentiamo precipitati, perdita qui rimarcata dall’andamento acefalo dell’organico strumentale. Si succedono e si scontrano tra loro le parole spesso inservibili del passato con il linguaggio totalmente irrelato del presente. E da questo costante cortocircuito, da questo allucinato paesaggio di rovine a un tempo grottesco e doloroso, affiorano continui baluginii di commozione, coraggio, tenerezza, umorismo, indignazione, cui fanno immancabilmente seguito frustrazione, spaesamento, stallo, disillusione. La musica investe con la sua montante onda sonora questo doppio movimento della parola, a volte accompagnandola nel suo tragitto e indicandole una possibile via di uscita, altre contrapponendosi ad essa o addirittura negandola in toto. Quasi che soltanto la forma musicale possa ambire ad arrivare là dove non giunge un’espressione verbale in crescente affanno. Più che un personaggio, dotato di una sua precisa psicologia e di un’altrettanto precisa biografia, il direttore-attore risulta essere il pretestuoso ventriloquo dei nostri giorni. La sua voce e il suo corpo danno forma e sostanza a un gesto teatrale estremo, teso a collegare, per quanto ancora possibile, gli universi impersonali della poesia e della musica.
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Giorgio Battistelli. Appunti da una conversazione «Quand’ero bambino, mia nonna aveva due teatri di varietà in provincia. Nel fine settimana venivano a pranzo e a cena Achille Campanile o Aldo Fabrizi. E io ho trascorso la mia infanzia sempre lì, in prima fila, a guardare quelli che raccontavano storie, che facevano commedie, balletti, musical, varietà puro d’intrattenimento: sono cresciuto dentro una scena. Mi è venuto spontaneo scrivere un certo tipo di musica perché quello è il mio mondo: anche nell’organizzazione della scrittura musicale dei miei lavori sinfonici c’è sempre un riferimento inerente alla visione, e quando un musicista mi dice: “Ma questo è teatro!”, per me è una soddisfazione». Racconta così il suo approccio drammaturgico alla musica Giorgio Battistelli, 57 anni, compositore per il teatro tra i più creativi sulla scena europea, come il suo catalogo gremito di opere, lavori di teatro musicale e melologhi testimonia. Un catalogo che da qualche settimana annovera anche la partitura di Sconcerto, intorno alla quale Battistelli si è raccontato nella sua casa romana durante un’ampia conversazione, che qui restituiamo in un taccuino di piccoli focus. teatro musicale «Anche quando scriveva un’opera, Luciano Berio ricorreva ostinatamente ad altre definizioni. Ricordo una critica molto bella di Massimo Mila a proposito di Un re in ascolto, che esordiva con “Mi dispiace per te, caro Berio, questa volta hai proprio scritto un’opera”: c’erano tutti gli ingredienti dell’opera, ma Berio la rifuggiva. E, come lui, tanti altri autori dell’avanguardia del dopoguerra – da Kagel e Schnebel a Stockhausen – i quali, sentendo stretto il perimetro dell’opera, cominciarono a inserire elementi scenici, performativi, di azione e di movimento all’interno della forma melodrammatica. E così nacque la definizione di “teatro musicale”». teatro di musica «Definire Sconcerto “teatro di musica” non è una puntualizzazione irrilevante, perché coglie un aspetto formale diverso dal melodramma e dal teatro musicale, nonché dal melologo: una recitazione estremamente rigorosa all’interno di una partitura, con un rapporto molto stretto, attivo e dinamico tra musica e drammaturgia». forma «Poco prima della sua morte, a Venezia ho discusso con Kagel della forza e del peso storico che possono avere i materiali musicali. E ci siamo trovati d’accordo nel ritenere che oggi è la forma, l’organizzazione dei materiali, a determinare l’opera, e non la loro originalità. Una triade, inserita in un determinato momento, può essere più eclatante di un bicchiere che si rompe o di un legno che si spezza, se è la dimensione drammaturgica a fare da guida». materiali «Con i materiali non bisogna neanche avere un rapporto di indifferenziazione. Se un tempo gli edifici erano solo in legno e pietra, oggi sono in pietra, legno, cristallo, acciaio, ferro, plastica, plexiglas: abbiamo una tavolozza espressiva vastissima, e dobbiamo far convivere tutte queste tipologie con le loro peculiarità; l’importante è che siano assemblate all’interno di un’architettura ben precisa». scrivere «Accanto alla riflessione teorica, strutturale, che riguarda i criteri possibili di elaborazione del materiale, è necessario interrogarsi sui significati della teoria sul piano dell’esperienza umana. E non si tratta soltanto di dare un contenuto ideologico a una composizione contro i bombardamenti dei B52 4
americani in Vietnam o per gli operai di Pomigliano d’Arco, ma anche di riflettere sul nostro tempo e sul nostro ruolo di compositori, sull’incisività del nostro operato nella società contemporanea attraverso la forma di espressione che scegliamo: scrivere musica. Perché l’unica risposta che possiamo dare al presente, in quanto musicisti, è continuare a scrivere. Soltanto attraverso i mezzi espressivi che abbiamo a disposizione e che più conosciamo, cioè quelli della musica, possiamo confrontarci e contrapporci al presente affrontando, anche a livello politico, le sofferenze, le ingiustizie, le cose che non vanno e quelle che vorremmo cambiare. Parlare del presente attraverso ciò che avremmo potuto scrivere sarebbe una forma subdola di nichilismo». percezione «Viviamo un presente estremamente complesso anche negli aspetti strettamente percettivi del nostro rapporto con la realtà. Grazie alla tecnologia, alla multimedialità e ai sistemi di diffusione potenti e capillari di cui disponiamo, siamo sottoposti allo spostamento da un asse culturale diacronico orizzontale – costituito da un antecedente e un conseguente, sul quale ancora la mia generazione si era formata – a un asse verticale, che comporta una sincronia di eventi e di percezioni. Per la prima volta, l’orecchio ha la possibilità di ascoltare contemporaneamente il canto gregoriano e la musica dei dj». dubbio «Da tre anni tengo un corso di scrittura per l’opera alla scuola Britten di Aldeburgh. Un corso al quale partecipano librettisti, compositori e registi, in media tra i venti e i trent’anni, con provenienza dall’India, dall’Australia, dalla Nuova Zelanda, dal Nord America, oltre a moltissimi inglesi. Il tema su cui abbiamo lavorato l’anno scorso era il dubbio nella composizione. Secondo una ricerca fatta da un’agenzia francese, sembra che oltre l’80% dei compositori europei sia alle prese con un’opera. Ma non si può scrivere un’opera semplicemente per seguire una moda: il percorso di un compositore dev’essere sempre generato da un dubbio creativo. La certezza porta soltanto a una sicurezza di tipo artigianale: manufatti ben costruiti come una bella camicia, ma senza una storia dietro». pensiero «Guardiamo alla generazione di compositori precedente alla nostra: che cosa ci hanno trasmesso? Forse tecnicamente c’era una maggiore imperfezione rispetto a oggi, ma la musica di quei signori veicolava un pensiero. Oggi si può rimanere colpiti dall’abilità tecnica, ma è difficile trovare la stessa profondità presente nel Prometeo di Nono, in molte composizioni di Berio o nell’ultima produzione di Donatoni. Lì dentro c’è l’ironia, la sofferenza, c’è l’umano. Ed è straordinario che proprio in lavori nei quali si rifuggiva il sentimento perché considerato troppo retorico ed estraneo alla musica, il sentimento affiori». imperfezione «L’imperfezione non è dilettantismo, ma capacità di intercettare un’altra dimensione: è come trovarsi davanti a una cattedrale e avvicinarsi sempre di più fino a guardare a pochi centimetri di distanza la singola pietra, porosa, imperfetta, appunto. Ma se dall’imperfezione della singola pietra ci si allontana a qualche decina di metri, si coglie la bellezza di quella magnifica cattedrale». Francis Bacon «I ritrattisti che a Piazza Navona, con quindici euro, ti fanno un ritratto che sembra una fotografia hanno una capacità di riproduzione decisamente superiore a quella che poteva avere Francis Bacon da un punto di vista figurativo. 5
Eppure nessuno considera Bacon un pittore dilettante: attraverso la tecnica, lui sa esprimere una dimensione visionaria». occhio, orecchio «Il linguaggio contemporaneo della pittura è più accettato di quello musicale, perché l’occhio è molto più educato rispetto all’orecchio. Nei salotti bene di Milano capita di vedere un Pistoletto o un Kounellis: ci sono persone che convivono piacevolmente con un’opera di stracci messa in un angolo del loro elegantissimo appartamento. Ascoltare, negli stessi salotti, le Sonate e interludi di John Cage è molto più difficile». musiche «Sappiamo tutti che andare a vedere i fratelli Vanzina non è come andare al cinema per un film di Olmi. Eppure, abbiamo confuso la diffusione democratica e capillare della cultura musicale con l’annullamento delle distinzioni tra le musiche. Un pensiero devastante, perché non è vero che esista una sola musica: le musiche sono tante, infinite, e ognuna con una funzione diversa; una molteplicità cui oggi si richiede sempre la stessa cosa: essenzialmente, una funzione consolatoria. E allora, una musica che faccia tornare a casa con dei pensieri su cui interrogarsi diventa una musica scomoda». mecenatismo «La mia ultima opera a Londra, L’imbalsamatore, è stata prodotta da una signora di 82 anni, proprietaria di una casa di jeans e felicissima di finanziare questo lavoro. Nel mondo anglosassone, la consapevolezza del ruolo del mecenate – e non dello sponsor – all’interno della cultura è fortissima, e rafforza il ruolo che la cultura assume, a sua volta, all’interno della società. Non c’è una logica di investimento museale, rapportata alla quantità di afflusso del pubblico, bensì un pensiero capace di guardare le istituzioni in divenire». ministri «Alla fine dell’incarico di Gérard Mortier come direttore generale dell’Opéra di Parigi, mi è capitato un incontro davvero simbolico con il Ministro della Cultura francese. Quando gli ho chiesto: “Ma il dopo Mortier come sarà?”, lui mi ha risposto: «È proprio questo il problema. Perché l’Opéra non ha bisogno di un clone di Mortier né di un restauratore che torni indietro alla tradizione, così come non ha bisogno di un iconoclasta che rompa tutto. Serve una persona che sia capace di investire e allargare ulteriormente il perimetro tracciato da Mortier» (Chapeau). Non ha importanza la collocazione politica, ma la qualità della persona, perché è così che si affrontano i problemi: individuando coloro i quali abbiano gli strumenti culturali per far crescere un teatro o una città, e non vivendo alla giornata con politiche di galleggiamento. Soltanto in questo modo si può garantire una prospettiva alle generazioni che verranno». studiare «Un pianista deve studiare ogni giorno per poter fare concerti; un compositore deve tormentarsi ogni giorno per scrivere; esistono direttori artistici e sovrintendenti che, invece, non studiano mai, ma si limitano ad acquistare. E ciò che comprano, un po’ come nei centri commerciali, finisce per essere sempre lo stesso prodotto: non ci sono più il rischio e l’invenzione della produzione». incanto «Credo che la bellezza dell’arte stia anche nell’eludere un’aspettativa. Quello che spesso mi chiedo quando vado a vedere una mostra, un film o leggo un romanzo è di essere, in qualche modo, sorpreso. 6
E, a volte, mi capita di commuovermi: mentre calava il sipario del primo atto di Un re in ascolto, a Parigi, ho pianto. Questo emozionarsi di fronte a una musica, non per ciò che rappresenta dal punto di vista artigianale, bensì per i perimetri espressivi e di contenuto cui rimanda quell’ascolto, è una dimensione dell’incanto – come diceva Cacciari – che stiamo perdendo». a cura di Marilena Laterza*
*Nata nel 1982, ha conseguito un diploma in pianoforte con il massimo dei voti presso il Conservatorio di Monopoli e una laurea magistrale con lode in musicologia presso l’Università di Milano. Critico musicale de il manifesto dal 2006, cura attualmente per Amadeus un ciclo di conversazioni con compositori under 40. Ha scritto programmi e saggi di sala per varie istituzioni, tra cui il Teatro alla Scala e la Biennale Musica di Venezia. 7
Ripartire dal colore dell’erba. Un’intervista con Franco Marcoaldi Come nasce la sinergia Marcoaldi-Battistelli-Servillo? Alcuni anni fa avevo lavorato con Toni in Canti di Benjaminovo, una sorta di oratorio su testi miei e musiche del compositore Fabio Vacchi messo in scena in diversi teatri italiani; in seguito, abbiamo avuto occasione di leggere a due voci i miei libri di poesia. Per Giorgio, invece, sono stato – e sono tuttora – voce recitante in Experimentum mundi: un’esperienza che mi ha permesso di verificare in concreto come la voce possa diventare strumento affiancandosi ai ‘suoni’ del lavoro dei venti artigiani che, nell’operazione originalissima di Giorgio, grazie al suo talento, si trasformano in musica. Ma è con Sconcerto che abbiamo collaborato tutti e tre insieme per la prima volta, in una forma piuttosto inedita: pur senza voler rivendicare una paternità assoluta, infatti, ogni singolo passo di questo lavoro, un po’ come in una bottega artigianale, è stato compiuto a sei mani; il testo doveva essere costantemente rapportato alla musica che, a sua volta, doveva porsi in relazione con il gesto drammaturgico e vocale dell’attore; allo stesso modo, la parola detta e recitata di quest’ultimo doveva rimbalzare sul testo. Un lavoro faticoso anche nel suo aspetto di metamorfosi ininterrotta: a pochi giorni dalla prima il materiale originario, costantemente in fieri, continua a modificarsi lievemente. Quale scintilla di innesco per questa forma di poli-autorialità? «Tutto è cominciato con una prima stesura del mio testo, costruita intorno alla figura di un direttore d’orchestra, che intendevo come una sorta di imbuto vocale in cui precipitassero voci di ieri e di oggi, lacerti di tradizione accanto a una parola ormai definitivamente priva di senso. Intorno alla suggestione poetico-teatrale di un ingorgo linguistico, che determinasse l’empasse del concerto, abbiamo iniziato a lavorare, con un processo di aggiustamenti reciproci. Dal punto di vista ritmico-fonetico, retorico e formale, il testo di Sconcerto rivela la sua grande familiarità non solo con la parola poetica, ma anche con la parola messa in musica. Una familiarità maturata sul campo di un’esperienza decennale come librettista, mestiere antico e, certamente, problematico nel rapporto con la musica ‘contemporanea’. Quando, alla fine degli anni Novanta, iniziai la mia collaborazione con Fabio Vacchi per un ciclo di Lieder, interpretati a Salisburgo da Anna Caterina Antonacci, mi colpì la capacità della musica di moltiplicare l’aspetto significante della parola poetica. Nello stesso tempo, è altrettanto vero che nella contemporaneità si possa ravvisare una certa difficoltà nell’ascoltare una parola recitata e detta che venga poi cantata: il secondo Novecento ha riflettuto tantissimo su questo aspetto, e ne ha anche patito molto. Nel caso di Sconcerto, abbiamo cercato una strada nuova: la parola non viene più cantata, ma conserva e addirittura esalta – per quanto possibile – tutti gli aspetti ritmico-musicali di cui possa farsi portatrice, in un testo che, quindi, chiama e raccoglie gli effetti della musica. E non si tratta di un lavoro semplicemente poetico, bensì con un forte valore di natura teatrale: ci sono parole che non avrei utilizzato se avessi scritto un poemetto, e che qui invece hanno un senso perché saranno animate dalla voce di un personaggio. Una scelta stilistica che ripone una fiducia nella parola smentita, tuttavia, dal contenuto del testo. Elias Canetti diceva: «La parola introduce elementi di ambiguità, la parola è falsa, ma alla fine che cosa mi resta d’altro se non la parola?». Quindi, mi esprimo inevitabilmente attraverso la parola perché il mio mestiere è quello: lavorare con le parole. Ma è significativo che nella parte finale di Sconcerto, 8
a fronte dell’enorme difficoltà della parola di creare corrispondenza tra ciò che sentiamo e la nostra espressività, sia il linguaggio della musica – così asemantico, astratto e difficile da catturare con le definizioni – a fornirci infinite indicazioni: la musica dimostra, ad esempio, che per esprimersi bisogna saper ascoltare, e che il concetto di contrappunto è un elemento decisivo che non ha niente a che fare con l’imbarbarimento e con presunte idee di conflitto. E, soprattutto, la musica ci invita a ritornare – per quanto possibile – a un’assoluta semplicità. Tutto il catalogo finale, infatti, volutamente tautologico, dice proprio questo: che le cose sono davvero quelle che sono, anche se sembra ce ne siamo dimenticati. Ed è proprio da qui che dovremmo ripartire: ricominciando – come ricorda Parise nei Sillabari – dal dire che l’erba è verde, da un apparente grado zero che ci permetta finalmente di recuperare una corrispondenza tra sentimento ed espressione. Una corrispondenza che l’incrocio tra la parola, il teatro e la musica di Sconcerto vorrebbe provare a definire. «Ce ne stiamo stretti stretti, / però non ci vediamo. / Ci tocchiamo di continuo, / però non ci sentiamo», si legge nel testo di Sconcerto. Che cosa pensa un poeta dei radicali mutamenti in atto nella socialità contemporanea? Il paradosso inquietante di questi quattro versi non è un’idea mia, ma una parafrasi da Tocqueville: è straordinario constatare quanto la tradizione, quando è così straordinariamente profetica, possa ancora aiutarci a cogliere l’oggi. Fatta questa premessa, basta aprire un giornale o ascoltare un dibattito per avvertire la sensazione di un disperato bisogno di fare massa, che contemporaneamente si sposa a un senso di profonda solitudine: una solitudine negata, dalla quale si cerca perennemente di fuggire. Il frastuono in cui ciascuno di noi campa quando accende le televisioni, quando sta di continuo al telefono o su internet, quando in un ristorante ha l’assoluta impossibilità di mangiare senza quei terrificanti accompagnamenti musicali, mostra una situazione curiosa e un po’ straziante in cui l’atomizzazione dell’esistente non consente la relazione e – per citare ancora il mio adorato Canetti – si va tutti nel luogo in cui tutti stanno andando. Quest’estate, ad esempio, tutti andavano a vedere Caravaggio alle quattro della mattina a San Luigi dei Francesi; eppure Caravaggio, a San Luigi dei Francesi, c’è ogni giorno dell’anno. Abbiamo il terrore della solitudine, ma dimentichiamo un assunto: che la possibilità di avere relazioni sane con gli altri è profondamente legata alla capacità di stare da soli. a cura di Marilena Laterza
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Sconcerto secondo Servillo Mentre con Franco Marcoaldi, anche in virtù della nostra amicizia, avevo già avuto modo di collaborare in passato, con Giorgio Battistelli c’era una grande stima a distanza: oltre a essere uno straordinario musicista, infatti, Giorgio è un prolifico autore di musiche teatrali. E questo, naturalmente, raddoppiava in me l’interesse e la curiosità per il suo lavoro. Su questa base abbiamo concepito Sconcerto: un’opera in cui le tre parti – interpretazione, testo musicale e testo drammaturgico-poetico – non si antepongono l’una all’altra, ma viaggiano insieme in fase di composizione, così da trovare il massimo della comunicazione nel momento dell’esecuzione. Accanto al testo poetico e musicale, esiste una drammaturgia scenica che, più semplicemente, potremmo definire ‘regia’ o ‘messa in scena’, la cui creazione mi riguarda. Ho affiancato la scrittura di Marcoaldi e di Battistelli tenendo costantemente presente e comunicando loro ciò che ritenevo dovesse accadere in scena, con l’intento di salvaguardare un’equilibrata scansione drammaturgica rispetto ai contenuti testuali e musicali di questo concerto che non riesce ad impaginarsi, che conosce false partenze ma anche improvvisi entusiasmi. Sconcerto vuole esprimere l’inferno nel quale siamo precipitati. Un inferno non solo morale, ideologico, intellettuale, ma anche di senso e di linguaggio, perché non troviamo più le parole per tornare a un’espressione chiara, diretta e inequivocabile. Un inferno che nel direttore d’orchestra di Sconcerto si incarna. testo raccolto da Marilena Laterza
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Sconcerto Teatro di musica per direttore-attore e orchestra Orchestra orchestra orchestra… Dirigere un’orchestra… Bisognerebbe prima dirigersi la testa. Testa vuota, testa calda, testa quadra, testa tonda… Testa testina testicolo
testone.
Qui, dentro la mia testa, c’è un ribollio continuo che trascina dove crede, istante dopo istante in una nuova direzione. La scuotono fermenti agitazioni turbamenti rumori suoni grida silenzi voci gemiti di morte, di stupri, goduriosi impazzimenti. Che se ne stanno tutti qui: come spettri conficcati nella testa. …Testa
orchestra
orchestra
testa…
Ah, povera testa! Ci piace immaginare, sì, ci piace immaginare che sia uno spazio nostro, e invece no, è il letto di un fiume in piena, è il deposito del fango, della merda che viene giù dai monti. Merda… merda merda quanta merda ha finito, proprio dentro al cranio mio, e chissà poi perché, per ingorgarsi. Ma quando, quando è successo tutto questo? È successo nel corso di una notte lunga anni, inaffondabile iraconda, nella notte dei risentimenti che inebetiscono i pensieri, delle miserevoli vendette, dei mille gesti vani, dei furori malposti sterili insani. Che ribollono, gorgogliano, borbottano, farfugliano. Blublublu
clucluclu
gluglugu
E ora, cosa mi sento dire? Che la volete fare?!? Sicuri, sì? Va bene allora, facciamola, facciamola una bella sinfonia. Ma su cosa la facciamo? Io una proposta ce l’avrei. Facciamola sulla perpetua rapina della vita, che mica è chiaro quando è cominciata, mentre è perfettamente chiaro che mai sarà finita. Guardatevi un po’ intorno. Le montagne ingoiano le case, le parole ingoiano le leggi. La violenza ingoia il coraggio, 11
mani incendiano i boschi, il falso ingoia il vero, i ghiacci sciolti dalla nostra stoltezza le città, e la caciara, la caciara ingoia la pietà. Solo una cosa resta salda: il soldo, il dindolo, la grana. Che macina e tritura tutto: leggi, montagne, il coraggio, i boschi, la pietà. Gnam gnam gnam
cru cru cru
gnam gnam gnam.
No, non c’è problema: perfino la monnezza si può impacchettare con una bella carta colorata. Se ben confezionata, qualunque cosa può trasformarsi in un regalo di Natale. Certo, fare regali a tutti non si può. Certo, qui circola gente di ogni razza, sesso, colore, religione. Bisogna stare attenti sì, lo riconosco, ma non vi preoccupate: c’è chi ci vende… a un prezzo ragionevole angoscia che reclama sicurezza, una sicurezza che assomiglia molto alla vendetta. Pagheremo troppo caro questo bel programma? Che volete che vi dica? Un po’ lo pagheremo. Ma tutto costa, a questo mondo. Piuttosto, ricordiamoci l’impegno. Quale impegno? L’impegno… l’impegno di esibire tutto, in strada: l’impegno di esporsi, spogliarsi, denudarsi; così la gente, oggi, si diverte. E chi non si diverte? Chi lavora? Boh, e chi lo sa? magari schiatta: Mario schiacciato da una pressa, Sandro affogato dentro il mosto, Gigi cadendo da un pontile. E Anna, povera Anna, maciullata dall’esplosione di una mescola di gomma. Dicono che è bianco il colore delle loro morti. E il suono invece? Com’è il suono della loro fine? È bianco pure quello? Sentiamolo. Diamogli forma, movimento, sostanza, potenza, forza, commozione. No no no no no NO! No, professori, non ci siamo, il bianco della morte non si sente. C’è troppo e troppo poco sentimento. Troppo troppo troppo… Poco poco poco sentimento. Chi vuole un bianco fscscscsc? 12
Un semplice fruscio privo di timbro e quindi di colore? Ci vuole un nuovo ‘suono bianco’, dettato dai rapporti fra gli intervalli dell’ottava… Sistema ben temperato, lo si chiamava un tempo. Mhmm, ben temperato, bel temperamento… Ben temperato, bel temperamento! Ecco una questione di rilievo su cui vale la pena soffermarsi: conta il carattere, non conta più il talento. Per non parlare del pensiero, quello crea solo stalli, intoppi, impedimenti. Perché perché perché… Perché più si riflette e meno si decide, lasciando così completo campo aperto a chi non pensa e va diretto al punto. E poco importa se poi combina guasti, guai, calamità sociali. Non sarà questo il vero segreto dei potenti? Industriali finanzieri politicanti grossisti direttori di giornali malviventi? Pensare poco e avere convinzioni vacue e salde, non farsi troppi crucci: operare adoprarsi concretare. In breve: dirigere l’orchestra del mondo. CO-MAN-DA-RE! Se le cose girano così, be’, allora… allora tanto vale che sfoghiamo, che vomitiamo quel che abbiamo dentro. Avanti su, dimostriamo pure noi di avere del carattere, un gran temperamento! Tutto il contrario di chi, troppo rimuginando, sprofonda nella cieca prigione della mente. Perché, per forza: se uno se ne sta lì a lavarsi le mani tutto il santo giorno, finisce che quel sangue che credeva lo macchiasse, ora compare per davvero, non fosse altro che per strofinamento. Ma insomma dico, che sarà mai ’sto benedetto sangue? La colpa, il peccato, il male commesso, subìto? Sono vecchie storie, vecchissime manie. Al giorno d’oggi, di storie e di manie ce n’è di molto, molto meglio. Non c’è più niente che dobbiamo confessare, perché di niente ci dobbiamo vergognare. Se nulla è veramente nostro, e nulla veramente ci appartiene – comprese le parole – si può provare tutto, fare di tutto, senza il timore di patire pene. Eh sì, quel tale, quel polacco con un nome strano… Come si chiama? Ha un nome impronunciabile… 13
Come che sia, quel tale c’ha ragione quando dice più o meno che siamo come tubi che trasportano cibo senza digerirlo. Dentro questa carcassa, ormai, passa qualunque cosa. Qualunque sensazione, parvenza d’emozione, eccitazione. Chi lo controlla più, il traffico di merci? Chi decide: tu entri e tu non entri? Ormai c’è il libero mercato, anche nella cosiddetta intimità è un gran via vai, che fa dell’ospitante un anonimo signore che finisce per essere ospitato. Eh, certo, tanto pensa a tutto qualcun altro, i vari specialisti del settore. Il primo, prendendoti per mano, ti guida con fare da sciamano nell’universo della tecnologia. Un altro si infila subdolo nei sogni e li dirige a proprio piacimento. Un terzo applica sonde sul tuo corpo. Un quarto ti offrirà la credit card. E un quinto ti rifilerà la social card. Senza contare il grande coro che ti sommerge con la BCE, Wall Street, edge funds, PIL, bonus, mini-CIG, implosioni di mercato, techno-thriller, bancarotta, derivati. Generi di prima necessità e subprime, come pane e burro, saranno, per il bene collettivo, messi l’uno sopra all’altro e poi spalmati. BOC BOT BFT BTP CCT Attenti con le sigle, che i CIE ad esempio non sono buoni del tesoro, ma lager dove s’ammassano immigrati clandestini. Odori acri, un caldo atroce, volti smarriti e supplicanti, scarpe sfondate, parole ignote… Chi le capisce? Chi le capisce? Parole ignote?!? Perché invece sono note crack, tac, pack, snack, grunge, lunch, punch? Chi cazzo parla? Eh, dimmelo tu? Cazzo, chi parla? Qualcuno sì, ma chi? Un fantasma che ci è entrato nelle orecchie? Fosse un fantasma, a poco servirebbe replicare con parole sensate quanto vecchie. E allora sai cosa ti dico? “Marinava kulakàva, kasi kufa, stralamava.” Vedete come si agita e sorride e batte il tempo? Vedete come reagisce quello spettro? Secondo voi, prova un qualche, misterioso, godimento? 14
“Bic stick flick shock rock.” Ancora, dunque risponde! Risponde, sì. Ma come utilizzare questi suoni/segni appesi in aria? Questa insensata litania di nomi che non parlano di cose, ma rimandano a altri nomi? Suoni che fagocitano suoni? Eh, già, miei cari professori, mai come oggi è vero che l’uomo è vivo se, e quando fa rumore. Non vi pare? Le parole ci servono soltanto come accompagnamento, come una canzonetta in sottofondo, di commento. Bau Bau Bauuuuuuuuuuuuuuuuu… Tanto varrebbe parlare come i cani e con i cani. Bau Bau Bauuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu. Mi dica, professore. Non sarà che scomparsa la ragione tra gli umani, è venuto il momento di imparare qualcosa dai fratelli minori, gli animali? Mi ascolti: ha presente gli animali? No, non quelli di pezza e di peluche. No, gli animali veri. In carne e ossa. Non sarà che c’è qualcosa da imparare dalla loro immediatezza, dignità, dalla loro naturale assennatezza, bellezza, lealtà, essenzialità? E noi, invece, come li trattiamo? Prima ci inteneriamo, poi li minacciamo, e alla fine, quando è il caso, li ammazziamo. È la nostra smisurata presunzione, il delirio della fantasticheria, dell’illusione, che ci fa mettere la natura sotto i piedi. E ci impedisce di radicarci nella terra, la nostra amata-odiata terra. Pensare che sarebbe sufficiente sfogliare il dizionario. “Animale, anima, animella: parte interna di una pianta e di un bottone, seme di un frutto chiuso nel nocciolo, ripieno di una scarpa, legnetto di violino, tavoletta d’organo, intelaiatura di un’imposta”. Ah, quale impudenza guardar dall’alto in basso il resto del creato soltanto perché è privo di parola. Ma perché? Forse che noi, quando vestiamo i panni degli amanti, non parliamo solo con gli occhi dei nostri sentimenti? E con le mani, ma ci pensiamo mai cosa possiamo fare con le mani? Qualcuno l’ha spiegato bene… Ma chi era, Santiddio?
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Ah, questa benedetta testa… Mi ricordo quello che non voglio ricordare e quello che mi preme, si inabissa precipita scompare. … Montaigne! Ecco, chi era… L’ha detto chiaro e tondo: noi con le sole mani chiediamo imploriam rifiutiamo accusiamo condanniamo incitiamo incoraggiamo assolviamo disprezziamo compiangiamo. E lo facciamo meglio, con più forza, che con tanti giri di parole. Storia maestra di vita? Ma quale storia? Ma quale insegnamento? Stiamo freschi!?! Ah, Clio, Clio, tu ci hai promesso orientamento e invece ci hai gettato dentro neve, pioggia, nebbia, un vento da spavento. Intanto il tempo batte, batte sempre più forte. E col suo ritmo percussivo, divora la nostra personale sorte. Per ogni percussione, un colpo. Per ogni colpo, un segno. Ruga scavata dal timore, tic animato dal tremore: tic tac tic tac tic tac… la quiete si allontana e l’animale uomo non ritrova la strada per la tana. Per ogni percussione, un colpo. Per ogni colpo un segno. Macchie, macchie, macchie. Ci sono macchie dappertutto. Sulle facce della gente, nei quadri delle chiese. Sul selciato delle strade, negli androni dei palazzi. Negli uffici, nei negozi, nelle banche. Dentro le auto, dentro ai ministeri. Ma il male non è bello da vedere. E allora lo si butta giù in cantina, sommerso dalla pubblica parata di una coatta allegria sgrammaticata. Ah ah ah ah ah ah ah! Bravi, bravi, bravi! Così fanno i nuovi, solerti cittadini. Ridono a comando e si commuovono e stupiscono e si indignano a comando. Poi stanchi, esausti di così tanti rovelli, emozioni, sensazioni, informazioni, nuovamente ridono a comando, beninteso. Ah ah ah ah ah ah ah ah!
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Tre per due, quattro per tre, cinque per quattro. Compriamo, compriamo! Avanti, consumiamo! I consumi vanno a tutti i costi sostenuti: salmoni zamponi bretelle panettoni, camicie pandori borracce mascarponi, piccì suv guêpière mozzarelle maccheroni, merendine, medicine, ballerine, ceste cestini cestoni, torri torrette torroni. Quando non si consuma, insorgono subito penose ristrettezze. Come nei tribunali, dove le toghe devono portarsi appresso carta igienica e sapone. Aaah, andiamo bene. Andiamo proprio bene… A intervalli regolari, il corpo sociale si accascia, collassa, stramazza. E una dieci cento volte viene rianimato. Con cannule distribuite in tutto l’organismo, forzato giorno e notte al nutrimento. Mangia, su! Bevi, su, che ti fa bene! Del resto, del resto è il Vangelo che ci impone di guarire gli ammalati. Anche con un bel miracolo, se occorre. Un miracolo che sappia spazzar via, oltre a tristezza e povertà, tumori, ulcere, glaucomi, pandemie. E visto che lo spirito non è messo tanto meglio: si proceda con un miracolo ulteriore, che cancelli in un sol colpo anoressia bulimia nevrastenia, attacchi di panico e manifesta depressione. Evviva! Evviva il taumaturgo – quale che sia – che garantisce a tutti pronta e piena guarigione! Ecco lo specchio di un paese smanioso, torvo, sfiduciato, sempre disposto alla bagatella, alla favola, alla sovreccitazione. Confuso, frivolo, stordito, che barcolla al buio senza direzione, in un interminabile presente. Completamente smemorato. Un paese privo di un passato condiviso che affida il suo domani alle sgangheratezze futuriste di una similclasse dirigente, che mentre strilla e si lamenta, si autocomplimenta. È questo il tavolo da gioco: o ci si chiama fuori, stranieri al mondo circostante, o chi si siede si trasforma – suo malgrado – in commediante. Commediante è l’uomo d’onore ridotto a cortigiano, il soldato privo di ambizione, 17
è un commediante il giornalista in barricata, presunto militante preoccupato della propria convenienza, sempre anteposta con virtuosi ghirigori all’obsoleto concetto di decenza. Trallalalàllalà Trallalàlallalà Commediante è il prelato alfiere integerrimo della cristianità, salvo chiudere entrambi gli occhi – sulla propria e altrui coerenza, integrità. Trallalalallà Trallalàlallà Commedianti sono dirigenti banchieri ristoratori commercianti impiegati barbieri pallavolisti lumpen dei bassi e professionisti benestanti. Commedianti siamo diventati tutti quanti, un passo al giorno, senza rendercene conto. Sinceramente falsi, falsamente veri: in breve, inautentici e sinceri. Trallalalallà
Trallalalallà
Definitivamente frastornati da convincimenti esibiti e mai vissuti, da blablabla orecchiati e quotidianamente ripetuti. Stretti tra un appetito bulimico, smodato, la successiva frustrazione del banchetto vuoto, e il rinculo nelle macerie di una morale ridotta ormai a sbobba inacidita… sì che a rimetterci è sempre lei: la nostra libertà. Taratarataratà
taratarataratà
“Pathei mathos! Pathei mathos!” Io il greco non lo so, così traduco a modo mio: pazzo chi soffre, matto chi pena. Ormai sono cambiati personaggi e scena. Qui ci si muove a testa bassa, raggruppati in uno strano, solitario gregge, che vaga senza posa in caccia di piccoli piaceri da brucare, di erbette voluttuose e tutte uguali, capaci soltanto di saziare. Ce ne stiamo stretti stretti, però non ci vediamo. Ci tocchiamo di continuo, però non ci sentiamo.
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taratàrata
tàraratà
tà
Ci trascina un’energia che abbiamo messo in moto noi, ma che nessuno sa più governare. Si sanno cose, che nessuno sa. Si fanno cose, che nessuno fa. E così la nostra vita, a cosa si riduce? Come tenere insieme il vecchio che rimane e il nuovo che si impone? Quale strumento? Quale gesto, se ormai ci manca il legno per la croce? Che fatica, che fatica… Troppe voci nelle stanze, troppo mondo nella testa. Troppo tutto: troppi oggetti, troppe carte, troppi numeri segreti, opinioni, malintesi. Troppe voci nelle stanze, troppo mondo nella testa. Basta, basta, adesso basta!
Quale dolcezza struggimento tenerezza, che conforto, che sollievo, che ristoro… Orchestrazione, melodia, musica, armonia… Arte di esprimere emozioni con i suoni…. Anima che si fa soffio, spirito che si fa canto… Musica scorrevole, impacciata, soave, soavissima, infuriata, sobria, dissonante, fragorosa, complicata… Fastosa, aspra, severa, a cappella, concertata. Ascoltate, ascoltate, ascoltate… Che basso possente che acuto brillante… Che suono pulito staccato… Aprite l’orecchio… vi si apriranno interi mondi… Perché non c’è verso: là dove la parola inciampa e rovinosamente cade, la musica felice sgorga, danza e vola via. Ciascuna voce ascolta l’altra voce. Non la sovrasta, non l’annulla, non l’annichilisce. Il conflitto è la dinamo vitale, non un inestricabile groviglio di equivoci e di insulti che lascia stremati a terra… mentre l’uomo imbarbarisce. L’intensità non è sorella del volume, l’anima si sposa all’esattezza, il cuore batte nel cervello. Sì, la musica è una cosa una cosa misteriosa… che si genera dal nulla e al nulla torna… e poi, di nuovo, dal nulla rifiorisce. 19
Diffidate di chi non sa accoglierla, trattenerla, trasformarla. Chi non l’ascolta è pronto a tutto: a tagliare lingue e suoni. E allora su, musica, su… Tu che sai dare corpo alla massa sonora del mondo, vienici incontro. Per poco, magari per poco, però ti prego… fa’ che la nostra esistenza assuma il tempo dell’adagio… Sì, offrici un tempo musicale lento, che faccia silenzio tutt’intorno; che azzittisca la solita, insensata sarabanda, che ci trascina al guinzaglio di tutti e di nessuno. Donaci un movimento sostenuto, appassionato, che ci consenta di decidere da soli se e quando e come e dove camminare, per incrociare finalmente luci e umori della terra. Vi prego… suoniamo, suoniamo. Forse così ricomporremo il rapporto spezzato tra il sentimento e l’espressione. …Perché noi parliamo di gioia… mentre proviamo noia. Discorriamo del dolore… senza nessuna ferita dentro al cuore. Quando suoniamo invece, be’, quando suoniamo… la gravità di un bassotuba è chiara, evidente. E veramente grave! La delicatezza di una viola è proprio delicata! E quanto è allegra una tromba, quanto è spiritoso il suono di un fagotto! Adesso sì che avverto il senso più profondo di delicatezza e nostalgia, di gravità, dolore e allegria! E tutto si intreccia, tutto scorre insieme: tutto rimbalza, si diffonde, magari lacera e ferisce, ma chiama, corrisponde. …Ah, Signore, se veramente esisti, questo è il momento di uscire allo scoperto. Su, non vergognarti, piangi anche tu, come ogni umile creatura, di fronte a tanta bellezza! Non essere invidioso della grandezza musicale. 20
L’unica cosa che tu ti sia scordato e che l’uomo, da solo, si è inventato. … Ecco… vedete, appena la musica tace, il mondo, sullo sfondo, ammutolisce. Le camerette della mente si slegano tra loro, il pavimento del cervello cede, cede, marcisce. Sì, quando la musica svanisce si porta via con sé immagini e carezze, piaceri e pensieri – lacrime, sogni, tenerezze. …L’addio è addio per sempre… quando la nota muore. È questo il fascino fatale della concreta astrattezza del suono… immerso nell’istante, nel momento presente, nel mondo immanente… …Lo so, lo so… la musica è una lingua che le parole non riescono a afferrare, eppure è quella strana lingua che riesce a far parlare le creature mute, la quieta essenza del mondo, la vita segreta delle cose. A noi, ubriachi di discorsi, invece sfugge tutto, tutto tramuta in sortilegio, in inganno, chimera, in falsa suggestione. Tutto si sgrana e si sfarina in bocca. E pensare che il vero segreto, il vero mistero, è nell’evidenza. È nella semplice e pura presenza. Perché le cose… le cose… sono quelle che sono. Un’arancia è un’arancia. Una casa, una casa. La pioggia che cade è la pioggia che cade. Un cane è un cane che mangia un pezzo di pane. La luna è la luna, la fortuna, fortuna. E l’orchestra? Eh, l’orchestra… FINE
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Orchestra del Teatro di San Carlo La storia dell’Orchestra s’intreccia, in maniera avvincente, a quella del teatro più antico d’Europa. Non sappiamo chi fossero i musicisti chiamati ad eseguire, il 4 novembre del 1737, l’Achille in Sciro di Domenico Sarro, prima opera rappresentata al San Carlo. Sappiamo, però, che da quel giorno la musica in Teatro, più forte di guerre e di incendi, non si è mai fermata, e che un’Orchestra è sempre stata in pedana o in buca a dare forma ad emozioni e suggestioni dal sapore forte. Caratterizzata, per ovvi motivi di appartenenza, da una forte vocazione teatrale, l’Orchestra del San Carlo ha avuto l’onore, nell’Ottocento, di essere destinataria di opere scritte da Rossini, Bellini, Donizetti e Verdi. Quest’ultimo, in particolare, nel periodo in cui fu a Napoli per montare Aida, volle dedicare alle prime parti dell’Orchestra del San Carlo il suo unico Quartetto d’archi, il cui manoscritto è tuttora custodito presso il Conservatorio di San Pietro a Majella. Una vera e propria familiarità con il repertorio sinfonico l’Orchestra l’acquisirà soprattutto nel Novecento. Ma già il 18 aprile del 1884, il giovane Giuseppe Martucci saliva sul podio per dirigere l’ensemble sancarliano in un programma corposo, con musiche di Weber, Saint Saëns e Wagner. Fino a quel momento, si erano succeduti al San Carlo grandi solisti e complessi ospiti, spesso stranieri. Proprio Martucci avrebbe rappresentato una presenza assidua e formativa per la neonata Orchestra del Teatro, a lui affidata in più di un’occasione sul finire dell’Ottocento. Non si contano i nomi di grandi direttori propostisi alla guida del complesso napoletano: da Toscanini (nel 1909) a Victor de Sabata (1928), per non dire dei compositori Pizzetti e Mascagni. Una data da non dimenticare, poi è quella dell’8 gennaio 1934, giorno in cui Richard Strauss regala al pubblico ed all’ensemble del Teatro un concerto interamente formato da musiche proprie. Da segnalare poi, a testimonianza di un’assodata vivacità culturale, il coraggio con cui l’Orchestra darà forma alle prime assolute di Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai (15 gennaio 1921) e di Fedra di Ildebrando Pizzetti (16 aprile 1924). A cavallo del secondo conflitto mondiale e nel decennio che segue, Napoli ed il San Carlo accolgono in Teatro molte altre bacchette di lusso: Gui, Serafin, Santini, Gavazzeni fra gli italiani e Böhm, Fricsay, Scherchen, Cluytens, Knappertsbusch, Mitropoulos per quanto riguarda gli stranieri. Nell’ottobre del 1958, poi, è Igor Stravinskij a guidare l’ensemble napoletano. Gli anni Sessanta vedono avvicendarsi sul podio, invece, due giovanissimi emergenti: Claudio Abbado fa il suo esordio nel 1963, Riccardo Muti nel 1967. Intanto i complessi del Teatro si fanno apprezzare anche fuori dai confini nazionali, grazie ad una serie di prestigiose tournée: il San Carlo è il primo teatro italiano a recarsi all’estero, dopo la seconda guerra mondiale. Succede in occasione della trasferta al Covent Garden di Londra, nel 1946. Nel 1951, poi, è ospite del Festival di Strasburgo e prende parte, all’Opéra di Parigi, alle celebrazioni per i 50 anni dalla morte di Verdi. Dopo il Festival delle Nazioni a Parigi, nel 1956, e quello prestigioso di Edimburgo, nel 1963, il San Carlo si lancia in un lungo tour brasiliano, nel 1969. È a Budapest nel 1973, a Dortmund nel 1981, a Wiesbaden nel 1983, 1985 e 1987; infine, con Flaminio di Pergolesi, negli Stati Uniti, a Charleston e New York. Negli anni Ottanta, in cui si rivedono Muti e Gavazzeni, l’Orchestra trova in Daniel Oren un punto di riferimento assiduo, specie in ambito teatrale. Nella decade successiva, inaugurata dalla collaborazione intensa con Salvatore Accardo, si assiste ad un deciso rilancio dell’attività sinfonica, testimoniato dalle collaborazioni del gruppo con direttori illustri: per tutti citeremo Giuseppe Sinopoli (che dirige una Messa da Requiem verdiana nel 1998) e Lorin Maazel, sul podio nel dicembre 1999 per una Nona di Beethoven molto applaudita. Sulla scia di queste prestigiose gratificazioni, l’Orchestra Sinfonica del San Carlo - rinnovata e ringiovanita in molte parti - ritrova al proprio fianco 22
altre bacchette famose, come quelle di Georges Prêtre, Rafael Frühbeck de Burgos, Mstislav Rostropovicˇ, Gary Bertini, Djansug Khakidze, Jeffrey Tate (che dal maggio 2005 ha assunto la carica di direttore musicale del Teatro) ed approfondisce il grande ed impegnativo repertorio mahleriano e bruckneriano, fino ad allora meno frequentato, tuffandosi poi con maggiore convinzione nel Novecento musicale, sotto la guida – tra gli altri – di Gustav Kuhn, dello stesso Bertini (che con la stagione 2004 2005 ha assunto la direzione musicale del San Carlo e che, purtroppo, è scomparso il 18 marzo 2005) e, naturalmente, di Gabriele Ferro (dal 1999 fino al luglio 2004 alla guida dell’Orchestra). Con Ferro, nel settembre 2001, i complessi sancarliani hanno portato il dittico stravinskiano Perséphone Œdipus Rex nell’antico teatro di Epidauro, in Grecia, esibendo un cast di lusso, con Gérard Depardieu e Isabella Rossellini. Nel giugno 2005 è stata protagonista, nelle città giapponesi di Tokyo e Otsu, di due opere verdiane Luisa Miller e Il Trovatore, e nell’ottobre 2005 è stata a Pisa, con le Cantate per San Gennaro (revisione musicale di Roberto De Simone), ospite del Festival Internazionale di Musica Sacra Anima Mundi. L’Orchestra ha contribuito in modo significativo alla doppia conquista del prestigioso Premio Abbiati, assegnato dalla critica musicale italiana nel 2002 a Königskinder («...Jeffrey Tate – si legge nella motivazione – ha conseguito dall’Orchestra disciplina cameristica e slanci romantici») e, nel 2004, a Elektra.
Violini primi
Gabriele Pieranunzi* Daniele Colombo Gennaro Cappabianca Pasquale Murino Giovanna Maggio Antonietta Paternoster
Violini secondi
Luigi Buonomo* Giuseppe Carotenuto Alba Ovcinnicoff Roberto Roggia Leslaw Pankowski
Viole
Flauti
Silvia Bellio* Gianpiero Pannone
Oboi
Giuseppe Romito* Francesco Parisi
Clarinetti
Sisto Lino D’Onofrio* Mariano Lucci
Violoncelli
Trombe
*Carmine Laino Giovanni Stocco
Timpani/Percussioni Barbara Bavecchi* Marco Pezzenati *Prime parti °Prof. aggiunti
Mauro Russo* Giuseppe Settembrino
Corni
Contrabbassi
Federico Bruschi*
Fagotti
Luca Improta°* Hélèn Jean Angelo Iollo *Luca Signorini Marco Vitali Alida Dell’Acqua
Basso Tuba
Simone Baroncini* Salvatore Acierno Fabrizio Fabrizi* Alessandro Modesti
Trombone
Sergio Danini*
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Marco Lena, direttore Compie gli studi musicali a Parma in pianoforte, composizione, direzione d’orchestra e musica elettronica. Si perfeziona con Azio Corghi a Roma presso l’Accademia di Santa Cecilia e all’Accademia Chigiana di Siena. Segue i corsi di perfezionamento di direzione d’orchestra con Paolo Arrivabeni, Gilberto Serembe (Accademia Musicale Pescarese) e con Sandro Gorli per il repertorio novecentesco e contemporaneo; importanti per la sua formazione i corsi di musica da camera con il Trio di Parma. È direttore e fondatore del Farben Ensemble, con cui ha svolto un’intensa attività concertistica portando all’esecuzione numerose opere prime. Con il Farben Ensemble ottiene riconoscimenti in Italia e in Europa fra cui il primo premio al concorso Orpheus Prijs di Anversa e il primo premio al concorso Luigi Nono di Venaria Reale. Nel 2005 vince con Capriccio per 11 archi soli il concorso di composizione Musica Europa. Nel 2009 scrive su commissione della Fondazione Accademia Nazionale di Santa Cecilia Für H.K.G. eseguito dall’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia diretta da HK Gruber. In veste di direttore e compositore è stato presente alla Stephaniensaal di Graz. all’Auditorium di Roma Parco della musica, al Carlo Felice di Genova, all’auditorium dell’Orchestra Haydn di Bolzano, all’Accademia Chigiana di Siena, al Salone degli Affreschi dell’Università di Bari, al festival Traiettorie di Parma, Di Nuovo Musica di Reggio Emilia, Exitime ’01 di Bologna e Mantova Musica Contemporanea, alla stagione Polincontri Classica di Torino, ad Aosta, Damasco e Salonicco.
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Giorgio Battistelli Si diploma in composizione nel 1978 con Giancarlo Bizzi al Conservatorio ‘A. Casella’ de L’Aquila, studiando contemporaneamente storia della musica con Claudio Annibaldi e pianoforte con Antonello Neri. Nel 1975 frequenta a Colonia i seminari di composizione di Karlheinz Stockhausen e Mauricio Kagel; nel 1978-79 segue a Parigi i corsi di tecnica e interpretazione nel teatro musicale contemporaneo con Jean Pierre Drouet e Gaston Sylvestre. Negli anni ’80 si afferma come uno dei più interessanti compositori della sua generazione. Nel 1983 ottiene una borsa di studio presso gli studi radiofonici di Baden-Baden e dal 1985 per due anni risiede a Berlino su invito del Deutscher Akademischer Austauschdienst. Nel 1993 è chiamato da Hans Werner Henze quale suo successore alla guida del Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, dove è direttore artistico fino al 1996. Nello stesso anno riceve il Premio SIAE Cervo per la Nuova Musica. Dal 1996 al 2002 è Direttore Artistico dell’Orchestra della Toscana. Lavora al Centro Tempo Reale di Luciano Berio a Firenze e con il CSC (Centro di Sonologia Computazionale) dell’Università di Padova, in collaborazione con Alvise Vidolin. Nel 2003 è insignito del titolo di “Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres” dal Ministero della Cultura Francese. Dal 2004 è Accademico di Santa Cecilia. Dal 2000 al 2005 è Direttore Artistico della Società Aquilana dei Concerti, e dal 2005 al 2007 dell’Accademia Filarmonica Romana. È composer-in-residence all’Opera di Anversa negli anni 2005-2006 e alla Deutsche Oper am Rhein di Düsseldorf, nel biennio 2007-2008. Dal 2006 insegna alla Aldeburgh Music dove tiene un corso di teatro musicale per la Jerwood Opera Writing Fellowships. È direttore artistico della Biennale Musica di Venezia nel periodo 2004-2007 e della Fondazione Arena di Verona nella stagione 2006/2007. Da febbraio 2009 è Presidente della Società Aquilana dei Concerti. Il Teatro alla Scala gli ha commissionato per il 2013 una nuova opera. È pubblicato da Casa Ricordi dal 1986.
Franco Marcoaldi Poeta italiano tra i più conosciuti e apprezzati, è anche autore di libri di viaggio, saggi e romanzi. Collabora da molti anni al quotidiano La Repubblica. Da tempo è attivo nell’ambito del teatro e della musica: dopo aver scritto due libretti d’opera per il compositore Fabio Vacchi (Il letto della storia e Teneke), ha collaborato con lo stesso Vacchi e Toni Servillo per la messa in scena del suo poemetto teatrale a due voci, Benjaminowo: padre e figlio che è stato rappresentato nei più importanti teatri italiani. Con lo stesso Servillo ha partecipato a diversi recital delle proprie poesie (Il tempo ormai breve). Voce recitante nell’opera di Giorgio Battistelli Experimentum mundi, sempre con Battistelli sta lavorando a una nuova opera: L’ultima mano.
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Toni Servillo, regia Nel 1977 fonda il Teatro Studio di Caserta. Nel 1986 inizia a collaborare con il gruppo Falso Movimento e nel 1987 è tra i fondatori di Teatri Uniti e partecipa, da attore e regista, alla creazione di spettacoli di matrice napoletana come Partitura (1988) e Rasoi (1991) di Enzo Moscato, Ha da passà a nuttata (1989) dall’opera di Eduardo De Filippo, Zingari (1993) di Raffaele Viviani, fino a Sabato, domenica e lunedì (2002), pluripremiata rivisitazione del capolavoro eduardiano, in scena per quattro stagioni ed applaudito nei maggiori teatri europei. Con Il Misantropo (1995) e Tartufo (2000) di Molière, e con Le false confidenze (1998/2005) di Marivaux, tutti nelle mirabili traduzioni di Cesare Garboli, realizza un trittico sul grande teatro francese fra Sei e Settecento. Nel 2007 ha adattato, interpretato e diretto Trilogia della villeggiatura di Carlo Goldoni, ancora in tournée mondiale. Al 1999 risale il suo debutto da regista nel teatro musicale con La cosa rara di Martin y Soler per la Fenice di Venezia, cui fanno seguito Le nozze di Figaro di Mozart, Il marito disperato di Cimarosa, Boris Godunov di Mussorgskij, Arianna a Naxos di Richard Strauss, Fidelio di Beethoven (con cui, nel dicembre del 2005 ha inaugurato la stagione del San Carlo di Napoli) e L’Italiana in Algeri di Rossini per il festival di Aix en Provence. È stato diretto da registi teatrali come Memè Perlini, Mario Martone, Elio De Capitani ed ha interpretato film di Mario Martone, Antonio Capuano, Paolo Sorrentino, Elisabetta Sgarbi, Fabrizio Bentivoglio, Andrea Molaioli, Matteo Garrone, Stefano Incerti, Claudio Cupellini. Ha ricevuto il David di Donatello e il Nastro d’Argento nel 2005 per Le conseguenze dell’amore di Paolo Sorrentino, nel 2008 per La ragazza del lago di Andrea Molaioli, e nel 2009 per Il divo. Ha inoltre vinto come Best European Actor nel 2008 per Gomorra di Matteo Garrone e Il divo di Paolo Sorrentino, entrambi premiati al festival di Cannes.
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Peppe Servillo Debutta nella musica con gli Avion Travel nel 1980: la sua storia coincide in gran parte con quella del suo gruppo che, in circa trent’anni di lavoro, ha pubblicato numerosi album ed elaborato diverse colonne sonore per il cinema e per il teatro conquistando importanti riconoscimenti. Nel 1998 con gli Avion Travel partecipa per la prima volta al Festival di Sanremo con la canzone Dormi e sogna, vincendo il premio della critica e il premio della giuria di qualità “come miglior musica e miglior arrangiamento”. Nel 2000 il gruppo vince a Sanremo con il brano Sentimento oltre ad aggiudicarsi il premio della giuria di qualità per la musica e l’arrangiamento. Si contano numerose partecipazioni ad altri importanti appuntamenti musicali, in particolare diverse edizioni di Arezzo Wave, del Premio Tenco e del concerto romano del Primo Maggio. Per la prima volta va in scena come attore nel corto Tipota realizzato dagli Avion Travel con Fabrizio Bentivoglio; recita inoltre in Domenica di Wilma Labate, La felicità non costa niente di Mimmo Calopresti, Quijote di Mimmo Paladino e nella messa in scena de L’Opera del Mendicante per la regia di Lucio Dalla. Da non dimenticare l’incursione nel teatro musicale con l’operina La guerra vista dalla luna, scritta da Servillo e messa in scena con Fabrizio Bentivoglio. Collabora tra gli altri con Caterina Caselli, Ennio Morricone, Roberto Gatto, con Javier Girotto, Paolo Conte, Andrea Bocelli, Peppe Vessicchio. Arto Lindsay, Stefano Bollani, Elisa, Fiorella Mannoia, Patty Pravo, Fausto Mesolella, Nanni Balestrini, Marcello Rota.
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MITO SettembreMusica è un Festival a Impatto Zero® Il Festival MITO compensa le emissioni di CO2 con la creazione e tutela di foreste in crescita nel Parco Rio Vallone, in Provincia di Milano, e in Madagascar Una scelta in difesa dell’ambiente contraddistingue il Festival sin dall’inizio. Per la sua quarta edizione, MITO SettembreMusica ha scelto di sostenere due interventi dall’alto valore scientifico e sociale. Contribuire alla creazione e tutela di aree all’interno del Parco Rio Vallone, in Provincia di Milano, un territorio esteso su una superficie di 1181 ettari lungo il torrente Vallone che nel sistema delle aree protette funge da importante corridoio ecologico, significa conservare un polmone verde in un territorio fortemente urbanizzato, a nord-est della cintura metropolitana. In Madagascar, isola che dispone di una delle diversità biologiche più elevate del pianeta, l’intervento forestale è finalizzato a mantenere l’equilibrio ecologico tipico del luogo. Per saperne di più dei due progetti fotografa il quadrato in bianco e nero* e visualizza i contenuti multimediali racchiusi nel codice QR.
Visualizza il filmato sui due progetti sostenuti dal Festival *È necessario disporre di uno smartphone dotato di fotocamera e connessione internet. Una volta scaricato il software gratuito da www.i-nigma.com, basta lanciare l’applicazione e fotografare il quadrato qui sopra. Il costo del collegamento a internet varia a seconda dell’operatore telefonico e del tipo di contratto sottoscritto. In collaborazione con
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MITOFringe, tanti appuntamenti musicali che si aggiungono al programma ufficiale del Festival MITOFringe nel mese di settembre a Milano la trovi... … in metro Tutti i giovedì, venerdì e sabato MITOFringe arriva nella metropolitana milanese con tre concerti al giorno nelle stazioni Cordusio, alle ore 16, Cadorna, alle ore 17, e Duomo, alle ore 18. Fringe in Metro inaugura sabato 4 settembre alle ore 16.30 con tre ore di musica non stop nella stazione Duomo. In collaborazione con ATM. … in stazione Martedì 7 e martedì 21 settembre, alle ore 17.30, la nuova Stazione Garibaldi si presenta ai milanesi con due appuntamenti musicali. I concerti, il primo nel Passante di Porta Garibaldi e il secondo in Porta Garibaldi CentoStazioni, sono dedicati alla musica funky e jazz. In collaborazione con Ferrovie dello Stato e CentoStazioni. … nei parchi Tutte le domeniche del Festival, la festosa atmosfera delle bande musicali anima i parchi cittadini. Il 5 settembre alle 12 nei giardini pubblici Montanelli di Porta Venezia, il 12 settembre alle 12 al Parco Ravizza e il 19 settembre alle 11 al Parco Sempione. … nelle piazze e nelle strade della periferia milanese Nei weekend trovi MITOFringe nelle piazze e nelle strade della periferia milanese con concerti nelle zone Baggio (sabato 5 alle 20.45), San Siro (venerdì 10 alle 21), Casoretto (sabato 11 alle 21), Pratocentenaro (venerdì 17 ore 21) e Isola (domenica 19 ore 21). I cinque appuntamenti, realizzati in collaborazione con Unione del Commercio, sono riservati alla classica, al folk, al jazz e alla musica etnica. … nei chiostri, nelle strade e nelle piazze del centro Concerti nei chiostri e negli angoli più suggestivi di Milano guidano i cittadini alla scoperta di un patrimonio artistico e architettonico a molti sconosciuto. Lunedì 13 alle 17.30 nel chiostro di via Santo Spirito e lunedì 20 alle 18 nel chiostro della sede della Società Umanitaria. Tutti i lunedì inoltre eventi musicali nelle zone del centro: il 6 settembre alle 13 in Corso Vittorio Emanuele (ang. Via Passarella), il 13 alle ore 18.30 in via Fiori Chiari (ang. Via M. Formentini) e il 20 alle ore 13 in via Dante (ang. via Rovello). Il 7, 8 e 22 settembre, alle 18.30, MITOFringe dà appuntamento alle colonne di San Lorenzo per tre concerti dedicati alla musica classica ed etnica. … nelle Università Tre appuntamenti in un percorso musicale che invita i cittadini in tre luoghi storici della città. Martedì 14 alle 16.30 il tango nella sede dell’Università Statale, mercoledì 15 alle ore 17 all’Università Cattolica un appuntamento di musica classica e il 16 alle ore 12.30 al Politecnico di Milano un concerto di musica barocca. … in piazza Mercanti con artisti selezionati dal web Uno spazio ai nuovi talenti: musicisti ed ensemble selezionati tra quelli che hanno riposto all’invito sul sito internet del Festival inviando il loro curriculum e una proposta artistica, si alternano con set di 15-20 minuti sul palco per le libere interpretazioni allestito in Piazza Mercanti. Mercoledì 8 settembre, dalle 13 alle 15, il palco è riservato alle formazioni di musica corale, mercoledì 15 settembre, nello stesso orario, si esibiscono gli ensemble di musica da camera. Domenica 12 settembre, dalle ore 15, un pomeriggio dedicato ai bambini under 12 e alla gioia di suonare in famiglia. Il programma dettagliato è disponibile sul sito www.mitosettembremusica.it /programma/fringe.html 29
MITO SettembreMusica Promosso da Città di Milano Letizia Moratti Sindaco Massimiliano Finazzer Flory Assessore alla Cultura
Fiorenzo Alfieri Assessore alla Cultura e al 150° dell’Unità d’Italia
Comitato di coordinamento Presidente Francesco Micheli Presidente Associazione per il Festival Internazionale della Musica di Milano Massimo Accarisi Direttore Centrale Cultura Antonio Calbi Direttore Settore Spettacolo
Città di Torino Sergio Chiamparino Sindaco
Vicepresidente Angelo Chianale Presidente Fondazione per le Attività Musicali Torino Anna Martina Direttore Divisione Cultura, Comunicazione e promozione della Città Angela La Rotella Dirigente Settore Spettacolo, Manifestazione e Formazione Culturale
Enzo Restagno Direttore artistico Francesca Colombo Segretario generale Coordinatore artistico
Claudio Merlo Direttore generale
Realizzato da Associazione per il Festival Internazionale della Musica di Milano Fondatori Alberto Arbasino / Gae Aulenti / Giovanni Bazoli / Roberto Calasso Gillo Dorfles / Umberto Eco / Bruno Ermolli / Inge Feltrinelli / Stéphane Lissner Piergaetano Marchetti / Francesco Micheli / Ermanno Olmi / Sandro Parenzo Renzo Piano / Arnaldo Pomodoro / Davide Rampello / Massimo Vitta Zelman Comitato di Patronage Louis Andriessen / George Benjamin / Pierre Boulez / Luis Pereira Leal Franz Xaver Ohnesorg / Ilaria Borletti / Gianfranco Ravasi / Daria Rocca Umberto Veronesi Consiglio Direttivo Francesco Micheli Presidente / Marco Bassetti / Pierluigi Cerri Roberta Furcolo / Leo Nahon / Roberto Spada Collegio dei revisori Marco Guerreri / Marco Giulio Luigi Sabatini / Eugenio Romita Organizzazione Francesca Colombo Segretario generale, Coordinatore artistico Stefania Brucini Responsabile biglietteria Marta Carasso Vice-responsabile biglietteria Carlotta Colombo Responsabile produzione Federica Michelini Assistente Segretario generale Luisella Molina Responsabile organizzazione Letizia Monti Responsabile promozione Carmen Ohlmes Responsabile comunicazione 31
I concerti di domani e dopodomani Lunedì 20.IX
Martedì 21.IX
ore 15 incontri Centro Congressi, Fondazione Cariplo L’impatto economico e sociale di un investimento culturale sulla città: la ricaduta di MITO su Milano, alla luce delle tre edizioni precedenti Ne discutono Giovanni Bazoli Francesca Colombo Francesco Micheli Severino Salvemini Ingresso gratuito
ore 17 classica Museo Diocesano di Milano Musiche di Bach, Paganini, Schumann Sonig Tchakerian, violino Roberto Prosseda, pianoforte Ingresso gratuito
ore 18 antica Basilica di Sant’Eustorgio Giovanni Battista Pergolesi Salve Regina in fa minore, per contralto, archi e continuo Musiche di Pärt e Pergolesi ore 17 contemporanea Orchestra dell’Accademia del Teatro Piccolo Teatro Studio alla Scala Musiche di Rihm e Lachenmann Solisti dell’Accademia di Ensemble Modern Perfezionamento per cantanti lirici Helmut Lachenmann, voce recitante del Teatro alla Scala Daniele Rustioni, direttore Ingresso gratuito Ingresso libero classica ore 18 classica ore 18 Galleria d’Arte Moderna - Villa Reale, Galleria d’Arte Moderna - Villa Reale, Sala da Ballo Sala da Ballo Un’ora con Chopin e Schumann Un’ora con Chopin e Schumann Yesol Lee, pianoforte Federico Colli, pianoforte Ingressi € 5 Ingressi € 5 ore 21 antica ore 21 world music Piccolo Teatro Strehler Chiesa di Sant’Alessandro Istanbul 1710 Tradizioni musicali di Turchia Dmitrie Cantemir Da Bisanzio ad Istanbul. Canti liturgici “Le Livre de la Science de la Musique” e cristiano ortodossi e musulmani le tradizioni musicali sefardite e armene Coro Bizantino Hespérion XXI Lykourgos Angelopoulos, direttore Jordi Savall, direttore Coro di müezzin con Kudsi Erguner, flauto ney e altri Kudsi Erguner, direttore e flauto ney musicisti ospiti Derya Turkan, viella kemençe Posti numerati € 15, 25 Ingressi € 10 ore 22 performance ore 22 crossover Teatro Out Off Teatro Nuovo Cheval Samaritani Una pièce ludico-musicale Viaggio iconosonoro alla scoperta di una e tecnico-sportiva di Antoine Defoort cultura millenaria e Julien Fournet Opera di Yuval Avital Posto unico numerato V 10 Coro dei Samaritani Benny Tsedaka, direttore del coro Prima esecuzione assoluta Posto unico numerato € 10
www.mitosettembremusica.it Responsabile editoriale Livio Aragona Progetto grafico Studio Cerri & Associati con Francesca Ceccoli, Anne Lheritier, Ciro Toscano 32
MITO SettembreMusica
Quarta edizione
È un progetto di
Realizzato da
Con il sostegno di
I Partner del Festival
partner istituzionale
Sponsor
Media partner
Sponsor tecnici
Il Festival MITO a Milano è a Impatto Zero®. Aderendo al progetto di LifeGate, le emissioni di CO2 sono state compensate con la creazione e tutela di foreste in crescita nel Parco Rio Vallone in Provincia di Milano, e in Madagascar
Si ringrazia • per l’accoglienza degli artisti
Fonti Lurisia COM.AL.CO. Sas Guido Gobino Cioccolato
ICAM Cioccolato Galbusera S.p.A.
• per l’abbigliamento dello staff
• per il sostegno logistico allo staff
GF FERRÉ
BikeMi
-5 Milano Torino unite per l’Expo 2015