Focus Storia 171 - Gennaio 2021

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Storia SCOPRIRE IL PASSATO, CAPIRE IL PRESENTE

n°171

MENSILE – Austria � 9,20 - Belgio, Francia, Lussemburgo, Portogallo, Spagna � 8 - MC, Côte d’Azur € 8,10 - Germania � 12,00 - Svizzera CHF 10,80 - Svizzera Canton Ticino CHF 10,40 - USA $ 11,50

gennaio

IL SOMMO POETA FU FORGIATO DAL MEDIOEVO E I SUOI FURONO GIORNI MOVIMENTATI. COSÌ NE VENNE FUORI UN REPORTAGE SPIETATO: LA DIVINA COMMEDIA

Dante

una vita da fuggiasco

22 DICEMBRE 2020 – MENSILE � 4,90 IN ITALIA

Sped. in A.P. - D.L. 353/03 art.1, comma 1, DCB Verona

NORD E SUD

SUI CAMPI DI BATTAGLIA DELLA GUERRA CIVILE AMERICANA

IL RE DI NAPOLI

COME GIOACCHINO MURAT DIVENTÒ RE E SI FECE AMARE DAL POPOLO

TUTTI A CASA

TRA GUERRE E GOLPE IL VERO COPRIFUOCO ERA UN’ALTRA COSA


Gennaio 2021

focusstoria.it

Storia

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tai fresco!”, “Sono solo quisquilie”. Anche nelle espressioni più colloquiali c’è la mano di Dante, il Sommo Poeta considerato fra i padri della nostra lingua. Prese il dialetto toscofiorentino, lo adottò per comporre la sua Commedia e fece una rivoluzione. Nell’anno in cui l’Italia (il Bel Paese, avrebbe detto lui) celebra il 700esimo anniversario della sua morte, anche noi vogliamo ricordarlo, per calarci negli anni in cui visse e scoprire un Medioevo irrequieto e fazioso di cui ancora oggi conserviamo le tracce. E poi per conoscere l’aspetto più intimo e umano di questo mostro sacro, col suo fardello di amarezze e umiliazioni: non ultima, quella di essere costretto a girovagare di corte in corte in cerca di ospitalità, lontano dalla sua Firenze. L’esilio fu il prezzo che pagò per avere preso posizione ed essersi esposto per i suoi ideali. Non era insomma un uomo Sanza ’nfamia e sanza lodo, per dirla un’altra volta con le sue parole: le stesse che usò per etichettare gli ignavi gettati nel suo Inferno. Buona lettura. Emanuela Cruciano caporedattore

RUBRICHE 4 LA PAGINA DEI LETTORI

6 NOVITÀ & SCOPERTE

8 TRAPASSATI ALLA STORIA 9 TECNOVINTAGE 10 UNA GIORNATA DA... 12 MICROSTORIA 14 CHI L’HA INVENTATO? 68 DOMANDE E RISPOSTE 70 GANGSTER STORY 97 AGENDA

MONDADORI PORTFOLIO/DE AGOSTINI PICTURE LIBRARY

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Ritratto di Dante Alighieri (Attilio Runcaldier, 1801-1884).

CI TROVI ANCHE SU:

In copertina: Ritratto di Dante Alighieri (1532-1533) di Agnolo Bronzino.

IN PIÙ... SOCIETÀ 16 Perché fa paura

il coprifuoco? Da dove arriva la parola e quando è stato usato nei secoli.

SCOPERTE 20 Questione

SULLE ORME DI DANTE

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Il suo tempo

Alessandro Barbero ci accompagna nel mondo di Dante, in un Medioevo travagliato, dove l’avventura dei Comuni si stava chiudendo.

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Professione Dante Alighieri

Dalle origini alla formazione, fino alla discesa nell’agone politico. Ecco chi era e cosa sappiamo del Sommo Poeta.

46 Una vita in esilio

Visse gli ultimi vent’anni lontano dalla sua Firenze, da cui fu cacciato il 10 marzo 1302.

50 Il divino reporter

Leggere la Commedia è come mettere sotto la lente d’ingrandimento l’Italia del Trecento. Tra politici corrotti e papi “troppo terreni”.

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Il padre della lingua

La Commedia di Dante promosse il volgare fiorentino a lingua letteraria. Ma è diventato l’italiano di tutti solo sei secoli dopo.

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Un giorno in Comune

In una città al tempo di Dante. Dove mercanti, artigiani, nobili e poveri vivevano gomito a gomito.

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Tra mostre e libri

Così l’Italia celebra il suo Sommo Poeta, a 700 anni dalla morte: mostre, eventi e libri per approfondire.

di carattere Che cos’è un font, chi l’ha inventato e quello che comunica oltre le parole.

GUERRA DI SECESSIONE 26 L’America divisa

La guerra civile che dal 1861 al 1865 vide nordisti e sudisti su due fronti opposti.

PERSONAGGI 72 Madame Claude

Ascesa e caduta della maîtresse più famosa di Francia.

INVENTORI 78 L’uomo di gomma

Sfortunato e caparbio, Charles Goodyear non si arrese mai e portò fino in fondo la sua ricerca sulla gomma.

TEMA 84 ’OGRANDE re francese

A Napoli, durante il regno di Gioacchino Murat.

92 LaNOVECENTO Grande Guerra

Gli aspetti meno noti della vita di trincea durante la Prima guerra mondiale. 3


SPECIALE

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n una nuova puntata del podcast il giornalista del Corriere della Sera Maurizio Caprara ricostruisce le sue scoperte sull’attentato di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 e racconta di alcuni stralci recentemente desecretati presenti in documenti dell’archivio

LA VOCE DELLA

STORIA

storico del Senato. Ci furono degli agenti americani immischiati nella preparazione dell’attentato? La strage di piazza Fontana fu compiuta alle ore 16:37 di quel venerdì 12 dicembre, quando un’esplosione devastò la Banca Nazionale dell’Agricoltura.

Il patrimonio degli armeni A proposito dell’articolo “La guerra dei trent’anni”, pubblicato su Focus Storia n° 170, vorrei aggiungere alcuni elementi utili ad approfondire la drammatica situazione. In seguito all’intesa per la cessazione delle ostilità, il governo dell’Armenia ha concordato il ritiro delle proprie forze dislocate a difesa delle popolazioni armene dalla regione dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh e la consegna di diversi distretti all’Azerbaigian. In mezzo ai boschi, però, inerpicati sulle montagne vi sono secoli, millenni di Storia. I conventi e le chiese di pietra dell’Artsakh testimoniano la millenaria presenza armena nella regione e fanno parte del patrimonio culturale di questo popolo [...]. La loro esistenza è

In ascolto. Per seguire il nostro podcast – curato dal giornalista Francesco De Leo – basta visitare la pagina www.focus.it/ speciali/podcast-focusstoria-la-voce-della-storia, ma cercateci anche su Spotify (spoti.fi/32Ni34E), su Apple Podcasts e sulle principali piattaforme di podcast.

sufficiente a smontare, senza alcun dubbio, l’indifendibile versione del governo dell’Azerbaigian, secondo cui gli armeni sono presenti nella regione solo da 200 anni [...]. La paura che vengano distrutti, non è infondata, ma trae origine dallo spaventoso precedente di Djulfa, nel 2005: un crimine, rimasto inspiegabilmente impunito, che ha comportato la distruzione di migliaia di khachkar medievali presenti nella zona. I khackhar non sono solo croci scolpite nella roccia, ma testimonianza della presenza millenaria degli armeni [...]. L’Unesco deve fare il possibile per garantire la protezione e la salvaguardia del ricchissimo patrimonio culturale armeno, sparso per le montagne

dell’Artsakh, prima che arrivino i bulldozer e la dinamite, perché la salvaguardia di tutti i beni culturali che fanno parte del secolare patrimonio culturale armeno è una condizione necessaria per la loro sopravvivenza come comunità. Guido Colantonio

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SOCIETÀ

Perché fa paura Da dove deriva la parola e quando è stato applicato nei secoli? Ecco la storia di una misura restrittiva che sa di dittatura, anche quando è a fin di bene. di Lidia Di Simone

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lle 21, puntuale come ogni sera, attacca il suono delle sirene. I ragazzi che si sono attardati nelle strade del centro si disperdono velocemente sperando di sfuggire alla gendarmerie. Una voce esce dall’altoparlante posto sull’auto delle forze dell’ordine parigine per richiamare alle regole del couvre-feu. Sembra la scena di un film, è una serata d’autunno del 2020. Per Parigi è il terzo coprifuoco. Prima di questo provvedimento, preso dal presidente Macron il 17 ottobre, la città ne aveva subìto uno durante la Guerra d’Algeria (1954-1962). Ma il primo pesantissimo coprifuoco risale all’occupazione nazista (1940-1944), quando molte città furono disseminate

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di sirene da guerra, mantenute perfettamente efficienti anche oggi: per testarne il funzionamento, la Rna (Réseau Nationale d’Alerte), la rete di sirene d’allarme risuona infatti ogni primo mercoledì del mese, per un minuto a mezzogiorno, con il suo segnale inconfondibile; che ora torna utile sotto il coronavirus. I parigini hanno un modo di dire, “se faire appeler (farsi chiamare) Arthur”, che significa “farsi rimproverare”, perché durante la guerra i nazisti urlavano ossessivamente, in direzione delle finestre con le luci ancora accese, l’espressione “acht Uhr, acht Uhr!”, ore otto. Il coprifuoco dalle venti alle sei del mattino era stato instaurato

nel giugno 1940, fin dall’inizio dell’occupazione tedesca della capitale: nelle strade venivano spenti i lampioni e si schermavano le finestre con panni scuri per non dare all’aviazione alleata punti di riferimento. Il 25 agosto 1944, ormai circondati, i tedeschi ribadirono il divieto con nuovi volantini. Non durò che poche ore: dopo oltre 1.500 giorni sotto il giogo nazista, era arrivato il giorno della liberazione di Parigi. Si capisce quindi come i francesi abbiano sviluppato una certa allergia a questa misura, che pure fu adottata nuovamente negli Anni ’60, sotto la presidenza De Gaulle, nell’ambito della “guerra contro-insurrezionale”  al Fronte di liberazione nazionale


BRIDGEMAN IMAGES/MONDADORI PORTFOLIO

il coprifuoco?

HERITAGE IMAGES/MONDADORI PORTFOLIO

Sopra, i tedeschi a Parigi nel 1940: con l’occupazione la città si “spegneva” dalle 20. A destra, nell’Inghilterra medievale il coprifuoco imposto da un soldato e la Curfew Tower dell’Abbazia di Barking.

THE STAPLETON COLLECTION/BRIDGEMAN IMAGES/MONDADORI PORTFOLIO

Ore otto


Le notti dell’ultima guerra mondiale erano buie e deserte: per sicurezza e per non sprecare elettricità algerino: faceva parte, cioè, di quei provvedimenti messi in atto dall’esercito d’Oltralpe per controllare i sostenitori dell’indipendenza algerina, allora colonia francese governata dai pieds-noirs, i francesi del Maghreb. Così, mentre ad Algeri gli abitanti sperimentavano la durezza del Dpu, il Dispositivo di protezione urbana che consentiva ai soldati di controllare la popolazione quartiere per quartiere, perquisendo le case della Casbah senza tanti complimenti, un provvedimento analogo veniva adottato a Parigi nei confronti dei “francesi musulmani d’Algeria”. Era stato imposto una prima volta nel 1958, e poi di nuovo in modo discriminatorio il 5 ottobre del 1961, dal prefetto della Senna Maurice Papon, per cercare di contenere il pericolo di attentati e il clima di violenza generato dal conflitto. La sera del 17 di quel mese, in migliaia marciarono dalle banlieue della capitale per convergere verso il centro: protestavano contro questa forma di segregazione al grido di “Viva l’Algeria algerina”. Sorpresa dall’ampiezza del corteo, la polizia represse la manifestazione in un massacro. Il coprifuoco fu tolto solo il 19 marzo 1962, data in cui la colonia raggiunse l’indipendenza.

COPRIRE I FUOCHI. Notizie sul coprifuoco in Europa se ne hanno già dal Trecento. Le case erano di legno e il fuoco, che veniva acceso in genere al centro delle abitazioni, in un buco nel pavimento, richiedeva ogni cautela. È per questo che nel Medioevo le città si erano riempite di torri campanarie (in latino, ignitegium o peritegium),

dall’alto delle quali a sera si dava il segnale di “coprire i fuochi” con placche di metallo, per evitare lo scoppio di incendi notturni. Secondo alcune fonti, gli inglesi importarono il termine curfew direttamente dal francese couvre-feu o cerre-feu (chiudi-fuoco) già con Guglielmo il Conquistatore, che dopo la battaglia di Hastings (1066) si prese l’Inghilterra e impose lo spegnimento di tutti i fuochi dalle otto di sera. Metodo quanto meno efficace per tenere la popolazione negli alloggi e reprimere così la nascita di movimenti sediziosi da parte degli Angli. Secondo lo storico Walter Hutchinson (1887-1950), sempre in funzione anti-cospiratoria Guglielmo aveva proibito anche l’uso delle candele. Altre fonti fanno risalire la legge sul coprifuoco per prevenire i roghi all’anno 872, quando il re Alfredo il Grande l’aveva introdotta nella città di Oxford, o addirittura dall’occupazione romana delle isole britanniche. Il divieto di tenere accesa qualsiasi luce fu poi abolito da Enrico I nel 1100, ma rimase la consuetudine di suonare una campana alle otto della sera. E il termine divenne abituale per suddividere temporalmente la giornata. Comunque, ancora oggi ci sono curfew towers di epoca Tudor nel castello di Windsor, come nel complesso della Torre di Londra. Enrico VIII ne aveva infatti ribadito l’uso in un’ordinanza. L’ufficio del commercio britannico ripristinò questa misura nel 1918, chiudendo locali e ristoranti e spegnendo le luci per far fronte alla crisi del carbone e risparmiare il gas dell’illuminazione.

L’ultimo drink

Da destra, in senso orario, tre immagini nei night club di New York soggetta al coprifuoco nel 1945: il Diamond Horseshoe, l’ultima bevuta al Latin Quarter, festeggiamenti sotto l’orologio dello Zanzibar; infine arresto ed espulsione di algerini dopo la manifestazione del 17 ottobre 1961 per protestare contro il coprifuoco a Parigi. Sotto a destra, l’annuncio delle misure adottate in Italia nel 1943.

L’ITALIA AL BUIO. Da noi l’ultimo coprifuoco prima del 2020 fu istituito insieme con lo stato d’assedio il 26 luglio 1943, all’indomani della caduta di Mussolini, attraverso un proclama del maresciallo Badoglio. Con lo scioglimento del partito fascista, vennero chiusi locali pubblici e centri sportivi, teatri di varietà e cinematografi: dalle 21 alle 5 del mattino, se sprovvisti di lasciapassare, fatti salvi i sacerdoti, le levatrici e i medici in servizio, non si poteva circolare né a piedi né in bici o con mezzi motorizzati. Furono messe fuori legge le riunioni pubbliche con più di tre persone: “Sono vietati gli assembramenti”, ordinava il maresciallo d’Italia, ora a capo del nuovo governo (anche se limiti agli assembramenti erano previsti già dalle leggi “fascistissime” del 1926). Se si veniva scoperti per strada bisognava

C’era già tutto nella Peste di Camus

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nche se la peste di Orano, in Algeria, per l’autore era una metafora del nazismo, le pagine di Albert Camus (19131960) sembrano scritte da un cronista dei giorni nostri: “La sola misura che sembrò impressionare tutti gli abitanti fu l’istituzione del coprifuoco”, scriveva l’autore de La peste. “Dopo le undici, immersa nella

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notte completa, la città era di pietra. Sotto i cieli di luna, la città allineava i muri biancastri e le strade rettilinee, mai macchiate dalla massa nera d’un albero, mai turbate dal passo d’un uomo né dall’urlo d’un cane. La grande città silenziosa non era più, allora, che un complesso di cubi massicci e inerti”. E il brano più inquietante arriva poche

righe dopo: “I malati morivano lontani dalle loro famiglie, le veglie rituali erano state proibite, di modo che chi era morto in serata passava la notte da solo, e chi moriva durante il giorno era sepolto senza indugio”. Coraggio. Il profondo messaggio che l’autore francese ci ha consegnato

sta in un appello ai medici pubblicato durante la stesura di questo romanzo del 1947. Un appello al coraggio: “La prima cosa è che non abbiate mai paura”. Camus incita i sanitari allo stoicismo, l’unica dottrina “in grado di dominare i flagelli”, e rendere capaci gli uomini di “diventare padroni” di se stessi.


BETTMANN ARCHIVE/GETTY IMAGES

A LETTO PRESTO. Gli Stati Uniti hanno sperimentato negli ultimi cento anni svariate tipologie di coprifuoco. Il più recente è stato deciso per New York, travolta dall’onda del Covid: chiusura anticipata per bar, locali e ristoranti, come accadde anche durante la Seconda guerra mondiale per risparmiare elettricità e dare sostegno morale ai soldati impegnati in Europa. Ma più spesso è stato imposto dopo episodi di disordini. Come a Washington nel 1989 contro la violenza delle gang, a Los Angeles durante la “rivolta del ghetto nero” nel 1992 e, recentemente, dopo le proteste del movimento Black lives matter in seguito alla morte dell’afroamericano George Floyd a Minneapolis, il 20 maggio del 2020, per un intervento brutale della polizia. L’episodio più importante, ma non l’unico, di questi mesi, che hanno visto scendere in strada la guardia nazionale.

L’ECO DEI CAUDILLOS. In America Latina il coprifuoco, o toque de queda, essendo essenzialmente un provvedimento militare fa ancora più paura perché risuona di echi dittatoriali. Il Messico lo ha adottato la scorsa estate per contenere la mobilità e fermare la diffusione del coronavirus, ma secondo gli storici ha precedenti all’epoca delle invasioni francesi e statunitensi ottocentesche. Durante la guerra dichiarata dagli Stati Uniti al Messico nel 1846-48, e la successiva campagna di invasione dei gringos, chi non rispondeva al “¿Quién vive?” si beccava un proiettile in corpo. In Perù venne imposto contro il terrorismo tra gli Anni ’80 e ’90. In Guatemala durante il colpo di Stato del generale Osorio (1970), che prima di diventare presidente del Paese aveva fatto assassinare dai suoi squadroni della morte migliaia di contadini e sindacalisti. Fu dichiarato il coprifuoco anche durante il colera del 1991 per far fronte ai gravi disordini scoppiati in quel periodo. Ma il binomio epidemiemisure restrittive era un classico nel Paese già da decenni.

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rispondere subito al “Chi va là?” ed esibire un documento. Altrimenti si rischiava l’arresto, il tribunale militare e persino la morte. D’altra parte il provvedimento non era “consigliato”, era imposto: “Primo indiscutibile dovere, nel momento attuale è l’obbedienza. Si tratta di un periodo transitorio, per superare il quale occorre appunto la più scrupolosa osservanza delle disposizioni impartite dall’autorità militare”.

Alle calamità naturali fanno spesso seguito i disordini, così un coprifuoco sanitario anti-colera, ma anche per il controllo del territorio, è stato promulgato nella Repubblica di Santo Domingo nel 1962. Poi di nuovo nel 1979, dopo il passaggio dell’uragano David, e oggi per il Covid. Ma la notte più lunga e dura resta quella del Cile, dove la dittatura militare di Pinochet cancellò con la legge marziale ogni diritto civile dal 1973 al 1987. Per i primi due anni, dalle 21 alle sei del mattino i cileni furono costretti a chiudersi in casa. Hanno sperimentato un nuovo coprifuoco in seguito allo spaventoso terremoto del 2010 e poi nella primavera di quest’anno. E ogni volta un brivido • corre lungo la schiena.


PRIMO PIANO Simbolo italiano

ALAMY/IPA

La statua in marmo (Ugo Zannoni, 1865) di Dante in Piazza dei Signori, a Verona. Nell’altra pagina, lo storico Alessandro Barbero.


Alessandro Barbero ci accompagna nel mondo di Dante, in un Medioevo travagliato, fazioso e sul punto di dire addio alla gloriosa avventura dei Comuni.

DANTE E IL SUO TEMPO di Matteo Liberti

È

Per sommi capi, qual era la situazione politica e sociale dell’Italia, e più in particolare di Firenze, ai tempi di Dante? Rispondere a una domanda talmente complessa “per sommi capi” è impossibile, poiché servirebbero interi saggi, ma in generale possiamo dire che, ai tempi di Dante, a Firenze come nel resto d’Italia si viveva un momento di transizione. Ci si muoveva infatti da una lunga stagione di crescita demografica

ed economica per andare incontro alla cosiddetta “crisi del Trecento”, che attendeva in agguato; e si passava inoltre dallo sviluppo trionfale delle democrazie comunali al loro fallimento, dovuto a un’eccessiva violenza e faziosità della lotta politica, di cui fu tra l’altro vittima anche Dante. Tutto ciò, in quel di Firenze così come in molte altre città della Penisola, portò, tra le altre cose, alla sostituzione del regime comunale con la Signoria, ossia con la dittatura dell’uomo forte. GETTY IMAGES

ormai prossimo il 700esimo anniversario della morte di Dante Alighieri (maggio o giugno 1265-settembre 1321), il “sommo poeta” che tanto ha dato alla lingua, alla letteratura e alla cultura italiane. Ovviamente con la Divina Commedia, tra le opere più rilevanti di tutta la storia della letteratura, ma anche per avere incarnato appieno lo spirito del suo tempo, in un’Italia drammaticamente divisa e faziosa impegnata in lotte fratricide all’interno degli stessi Comuni (basti pensare alla Firenze tanto amata da Dante, che tuttavia lo esiliò). Per cogliere gli aspetti salienti della sua biografia, per analizzare i valori, la mentalità, le abitudini e il contesto storico in cui si mosse, ci siamo fatti aiutare dallo storico Alessandro Barbero, autore del nuovo saggio biografico Dante (Laterza).

Alessandro Barbero

Storico, accademico e scrittore italiano, Alessandro Barbero è docente di Storia medievale all’Università degli studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro (Vercelli). Alle lezioni in aula alterna conferenze a festival, convegni e seminari. I suoi interventi riscuotono grande successo dal vivo e in Rete: sono infatti molto diffusi online su YouTube, Facebook e Spotify.

Dante si fece un curriculum da combattente, da politico e da “sommo” poeta: questa poliedrica carriera fu un’eccezione, un’anomalia, o egli è invece da considerarsi come un tipico uomo del suo tempo? Be’, la vera eccezione sta proprio nell’aggettivo “sommo”: Dante è un grandissimo poeta ai nostri occhi, settecento anni dopo la sua scomparsa, ma a ben vedere era famoso già prima della morte e tutti parlavano della sua Commedia, anche se scrivere testi poetici non era così insolito a quell’epoca, almeno per chi apparteneva a una élite sociale e intellettuale. Ma è soprattutto in qualità di politico e di combattente, pronto ad andare alla guerra, che Dante fu un tipico uomo del suo tempo, o meglio un tipico cittadino di un Comune italiano. In questo, la sua esperienza fu infatti simile a quella di innumerevoli altri personaggi che segnarono la sua epoca.  37

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Rimanendo in tema guelfi e ghibellini: è nello scontro tra queste due parti – e più in generale nelle dinamiche dell’Italia dei Comuni – che vanno rintracciate le radici del campanilismo italiano? In verità ci sono alcune radici che vanno ancora più indietro, a quando l’Italia venne modellata dai Romani come una “terra di città”, caratterizzandosi così, fin dall’antichità, per una fittissima rete di centri urbani, senza paragoni con gli altri Paesi europei. Detto ciò, è innegabile che fu la stagione dei Comuni ad alimentare in tantissimi centri italiani l’abitudine a considerarsi alla stregua di “potenze indipendenti”, una sorta di riedizione delle città-Stato, additando nel contempo tutte le città vicine quali rivali. La stagione delle Signorie e degli Stati regionali, fra tardo Medioevo ed Età moderna, ha poi consolidato in molti centri – che in altri Paesi sarebbero considerati “di provincia” – l’attitudine a considerarsi come “capitali”, con una vivacità politica e intellettuale che in effetti fu tutto meno che provinciale, e che ha appunto poche analogie nelle altre nazioni europee. Tornando a Dante, che impatto ebbe la vicenda dell’esilio? È vero, come afferma qualcuno, che se non avesse vissuto tale esperienza, probabilmente non avrebbe composto la sua Commedia? Dopo la morte di Dante circolava la leggenda secondo cui, in mezzo alle carte che aveva lasciato a Firenze quando nel 1302 fu condannato all’esilio, la moglie e gli 38

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L’amarezza dell’esilio e la volontà di riscatto gli diedero forza creatrice amici avrebbero un giorno ritrovato i primi sette canti della Commedia, facendoglieli poi pervenire. Sarebbe stato allora che Dante avrebbe deciso di riprendere in mano quel progetto abbandonato. Tuttavia, si tratta appunto di una leggenda. Nella realtà, anche se non si può escludere che già prima dell’esilio Dante avesse cominciato a pensare alla stesura di un grande poema in italiano, furono sicuramente le amarezze della lontananza e la volontà di riscatto cresciuta dentro di lui che gli diedero la potenza creatrice da cui poté nascere la Commedia come oggi la conosciamo.

MONDADORI PORTFOLIO/FOTOTECA GILARDI

A proposito di guerra: che particolare significato assunse per Dante la partecipazione alla Battaglia di Campaldino sotto l’egida guelfa? Dante, nella sua Commedia, ricorda in qualità di testimone oculare diversi episodi legati alla guerra tra i guelfi fiorentini e i ghibellini aretini, con riferimento appunto alla Battaglia di Campaldino del giugno 1289 (vinta dai guelfi), alla devastazione del territorio di Arezzo seguita alla vittoria e alla resa finale nel castello di Caprona, giunta due mesi dopo. Tutto ciò è un segno di quanto le esperienze fatte in quei mesi gli fossero rimaste impresse, tanto che egli ne parlò ancor più diffusamente in una serie di lettere che oggi purtroppo non abbiamo più, ma che furono viste e commentate dall’umanista Leonardo Bruni nel Quattrocento. Ebbene, quel che emerge da tali lettere è che Dante fosse particolarmente orgoglioso di aver combattuto in battaglia, considerando la cosa come una delle prove della sua maturità, del suo essere diventato, finalmente, un uomo adulto e un cittadino responsabile.


ulteriormente a mettere fine ai lunghi e floridi secoli della crescita medievale. Per concludere: la lingua italiana è davvero così tanto debitrice nei confronti di Dante? Assolutamente sì! Innanzitutto, Dante ha donato alla letteratura, e alla lingua italiana, il suo più grande capolavoro, tre secoli prima – giusto per fare un esempio – che Shakespeare facesse la stessa cosa con la lingua inglese. In questo modo egli ha fissato per sempre il fiorentino usato nella Commedia come “lingua letteraria” di tutta l’Italia. Dopodiché è davvero impressionante riscontrare quanti modi di dire che usiamo ancora oggi siano già lì testimoniati. A me piace particolarmente quel passo del Canto XXXII dell’Inferno in cui Dante, descrivendo i dannati imprigionati nel lago ghiacciato, scrive: “là dove i peccatori stanno freschi” (coniando così l’espressione, tuttora diffusa, “stai fresco”)». •

Vita quotidiana

Sotto, lavoro contadino in un’illustrazione tratta dal manuale medievale Tacuinum Sanitatis.

AKG_IMAGES/MONDADORI PORTFOLIO

L’arrivo del XIV secolo, oltre alla nascita della Divina Commedia, fu segnato, in Italia e non solo, dalla cosiddetta “crisi del Trecento”: quali furono le ragioni di tale crisi, oltre alla peste che flagellò l’Europa a metà secolo? Quando la peste fece la sua comparsa, Dante era ormai morto da quasi trent’anni, ma già prima, ossia quand’egli era ancora in vita, si erano manifestati molteplici e allarmanti segnali di crisi. L’Europa era sovrappopolata e non si riusciva più a garantire a tutti un tenore di vita decente: c’erano sempre più poveri, non sufficientemente nutriti e il cui stato di salute si fece rapidamente preoccupante, e c’erano carestie sempre più frequenti, che creavano allarme in tutta la società. Oltre a ciò, si fa spesso riferimento – anche se non si hanno ancora prove sicure – a un mutamento climatico che avrebbe condotto a un consistente abbassamento delle temperature e a un aumento della piovosità, contribuendo

Decisiva

A sinistra, la Battaglia di Campaldino (11 giugno 1289) con la morte di Corso Donati (dalla Cronica di Giovanni Villani, storico fiorentino coevo di Dante). Da questa battaglia, cui prese parte anche Dante, si data l’inizio dell’egemonia fiorentina sugli altri Comuni della Toscana. 39

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