FOCUS 345 - Luglio 2021

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345

22 GIUGNO 2021 LUGLIO 2021 € 3,90 IN ITALIA

IL LINGUAGGIO

SEGRETO

DELLE PIANTE COMPORTAMENTI, ORGANIZZAZIONE E REGOLE DEL PIANETA VERDE

UMANOIDI IL ROBOT CHE IMPARERÀ A DIVENTARE UNO DI NOI

SPAZIO REPORTAGE LO SCONTRO TRA GALASSIE IL LABORATORIO SUBACQUEO CHE HA CREATO LA TERRA NELLA PISCINA VERTICALE

SCARICA LA APP INQUADRA E ANIMA LA COPERTINA!

SOSTENIBILITÀ IL RISCALDAMENTO GLOBALE È COLPA NOSTRA, LE PROVE CI SONO


345 LUGLIO 2021

www.focus.it

Scoprire e capire il mondo PRISMA

10 Animali a tinte artificiali 12 Dal pensiero alla scrittura 14 Prisma sonoro 20 Piccola fisica 26 5 cose da sapere sulla birra 30 Prisma spazio 33 Lotta alle zanzare

10

Tutti i colori del pesce combattente

21

L’intelligenza artificiale contro il coronavirus

dossier green web 36 LA COMUNITÀ VERDE

Un’immensa rete nascosta sotto terra collega tutti gli alberi e i funghi di una foresta. Così, forse, gli organismi del bosco si “aiutano” a vicenda.

42 CHE COSA SI DICONO LE PIANTE

I vegetali si scambiano “messaggi” e sono capaci di percepire molti diversi segnali dall’ambiente.

48 LA GAIA SCIENZA

54 SE NON CI FOSSERO I VIRUS...

60 GLI STRASCICHI CHIAMATI LONG COVID

64 PARLO CON LUI

42

In alcune specie, gli alberi vicini non si toccano

universo

La missione dell’Esa per censire le stelle della nostra Galassia ne sta svelando dettagli inediti.

biologia

... la vita terrestre sarebbe tutt’altra cosa.

medicina

Una quota significativa dei pazienti colpiti dal virus sviluppa una malattia a lungo termine, debilitante e impegnativa, le cui cause non sono ancora chiare.

tecnologia

Alla scoperta di Abel, un androide dell’Università di Pisa nato per interagire con noi umani.

54

L’8% del Dna umano è formato dal genoma di antichi virus

In copertina: Foto portante: shutterstock; Sotto da sinistra: Marco Merola/Centro di Ricerca E. Piaggio dell’Università di Pisa; Esa; Y-40/Fabio Ferioli.

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74 IL CALORE UMANO

84 A COSA SERVE ABBRACCIARSI

90 COLORI NATURALI

98 L’ESTATE VIEN MANGIANDO

Non credete a chi parla di cicli naturali. Ecco perché il riscaldamento globale dipende dall’uomo.

comportamento

È la forma di comunicazione non verbale più potente. Significa “vengo in pace”. E non possiamo farne a meno, perché... fa bene alla salute.

arte

Come si classificavano le tinte dell’800, grazie ad animali, vegetali e minerali.

il gusto del sapere

La guida agli alimenti di stagione, realizzata in collaborazione con Fico, il parco tematico dedicato al cibo italiano.

universo

I neutrini sono particelle sfuggenti, che però celano importanti segreti sul cosmo. Ecco come la scienza sta imparando a ingabbiarli.

114 LA TERZA ETÀ DEGLI ANIMALI

animali

Le nonne delle orche e degli elefanti sono figure carismatiche nei loro gruppi. Ma anche in altre specie il ruolo degli anziani è importante.

122 C’È FOLLA SU MARTE

spazio

Il rover Perseverance e il suo (nutrito) team di tecnici e scienziati che lo guidano ogni giorno.

126 LE ALTRE MISSIONI

La testa di Abel, l’umanoide dell’Università di Pisa

Focus con gli obiettivi dell’Onu

100 CACCIA ALLA MATERIA FANTASMA

64

compito in classe

I ragazzi della Focus Academy raccontano la “sfida marziana” tra Stati Uniti e Cina.

RUBRICHE

8 L’oblò 109 Domande & Risposte 120 Academy 147 MyFocus 153 Cartellone 158 Giochi

122

Nel 2026, una missione andrà a prendere i campioni raccolti da Perseverance

130 IL MONDO DEI FARMACI IN NUMERI

cifrario economico

L’epidemia di Covid-19 ha riacceso i riflettori su un’industria multimiliardaria.

132 L’ABISSO SOTTO CASA

scienza

In provincia di Padova la prima piscina mondiale ad aver superato i 40 metri di profondità. Un impianto che ha fatto scuola nel mondo.

FARAONI CI DARANNO ALTRE 140 IGRANDI SORPRESE

intervista

Le nuove scoperte raccontate da un celebre egittologo, Zahi Hawass.

109 Ci riteniamo meglio di quel che siamo?

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Ci trovi anche su:


L’OBLÒ

DIETRO LE QUINTE I

l mese scorso, mentre le ciliegie nel mio piccolo giardino prendevano colore, ho fatto le due dosi del vaccino contro Covid-19. Se tutto andrà come spero, questa estate avrò un’arma potente contro il virus e un bel cesto di frutti rossi da assaporare. Immagino stiate pensando che su di me la puntura ha prodotto un insolito effetto collaterale: che c’entra il vaccino con le piante? In effetti c’entra poco se non per il fatto che mentre avevo qualche linea di febbre e mi chiedevo che cosa si stesse scatenando nel mio organismo, osservavo le radici dell’albero da frutto piantato quattro anni fa. Come le vene di una mano, le si intravede estendersi sotto la pelle del terreno e guadagnare spazio tra le vene del cipresso di Leyland che fa da siepe condominiale. Mi è quindi venuta voglia di curiosare dietro le quinte dei due accadimenti per capire che cosa succede in questi giorni al corpo di milioni di persone che come me si sono vaccinate e quello che avviene nel sotterraneo giardino invisibile. A quest’ultimo fenomeno ho pensato di dedicare la copertina affidando il compito a Marco Ferrari; per l’immunizzazione, ho chiesto invece agli amici dell’Airc (benemerita associazione che si occupa della ricerca contro il cancro) di indicarmi una guida che è risultata perfetta, la dottoressa Anna Mondino, che si occupa di immunoterapia dei tumori al San Raffaele di Milano e che fa parte del gruppo divulgativo Scienziate per la Società. Quel che ci voleva per un curioso come me che scienziato non è. Mentre lei pazientemente spiegava, io semplificavo

con metafore, come vedrete nelle prossime righe.

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uando l’infermiere mi ha punto il braccio con la siringa contenente il vaccino, si sono subito accese delle spie d’allarme per segnalare all’organismo che qualcosa di diverso stava succedendo e per chiedere al sistema immunitario di controllare. Tutto ciò ha fatto scattare i posti di blocco e richiamato l’arrivo di cellule (simili a poliziotti o carabinieri) con funzioni specializzate. Il primo intervento spetta alle cellule dendritiche (chiamate così – guarda un po’ – perché hanno la forma degli alberi) e ai macrofagi. Questi globuli bianchi fanno un lavoro continuo e quotidiano, di cui non ci accorgiamo neanche, contro possibili intrusi con cui veniamo in contatto. Immaginateveli come pattuglie di pronto intervento di fronte a un sospetto. Ne controllano l’identità (proteine o Rna, in base al tipo di patogeno o vaccino) e lo presentano a colleghi attrezzati per intervenire: i linfociti T e B. Proprio come la pattuglia identifica i soggetti pericolosi tramite il controllo dei documenti, così i linfociti T e i linfociti B sono capaci di “decifrare” l’identità dei possibili sospetti. Nel caso del vaccino anti Covid-19, i linfociti T e B riconoscono pezzetti della ormai famosa proteina Spike (S), la parte del virus contenuta nel vaccino e collaborano a produrre immunoglobuline specifiche (gli anticorpi anti-spike). Gli anticorpi rimangono poi nel nostro sangue e sono capaci di neutralizzare il virus in caso di nuovi incontri (come se avessero già subito disponibili le schede segnaletiche dei

SULLE QUINTE

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l 19 maggio abbiamo tenuto una conferenza stampa congiunta con l’Università Bicocca di Milano perché con l’ateneo e col Museo del cinema di Torino siamo media partner di una mostra bellissima che si terrà da ottobre nell’ateneo milanese: IllusiOcean (a pag. 155). Nata da un’idea del professor Paolo Galli, racconta il mare attraverso le illusioni ottiche che in esso si trovano. Quando ho conosciuto il docente e l’entusiasmo che mette nelle cose, ho detto “mi piace” senza neanche farlo finire di parlare. Ed è nato così il nostro sodalizio.

mostrato in diretta ai ragazzi delle Superiori come si fanno i giornali di divulgazione storica e scientifica, come scegliamo gli argomenti, come scriviamo gli articoli, come li impaginiamo. Per poi far cimentare gli studenti con loro articoli che pubblichiamo. Registrato subito il tutto esaurito, stiamo già accettando le prenotazioni per l’anno prossimo. È un’esperienza che intendiamo sviluppare e su cui la redazione si è buttata con convinzione, un’occasione che ci ha stimolato portandoci a contatto con una generazione che, diciamolo, frequenta poco i giornali.

I

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l 28 maggio si è invece chiuso l’ultimo round dell’Academy per l’anno scolastico 2020/2021. Con la didattica a distanza, dallo scorso febbraio abbiamo

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al 7 luglio, poi, sulla tavola di Fico che riapre i battenti a Bologna ci saranno degli “assaggi” di Focus. Al nuovo amministratore delegato, Stefano Cigarini, che mi


di Raffaele Leone sospetti). È così che normalmente parte il contrattacco del sistema immunitario contro batteri e virus con cui ogni giorno possiamo venire a contatto. Il vaccino anti Covid-19 contiene un pezzetto del coronavirus e insegna al nostro corpo a riconoscerlo e a neutralizzarlo molto rapidamente.

A

lla professoressa Mondino, che spero non mi bacchetti per questa sceneggiatura da guardie e ladri, ho poi chiesto: ma se abbiamo schedato il criminale e lo abbiamo messo nel nostro database, perché i vaccini non valgono per sempre? Sintetizzerei così quello che molti di voi potrebbero già sapere visto che da un anno e mezzo se ne parla tanto. La seconda dose serve ad aumentare il numero di gendarmi già capaci di riconoscere quei tipi sospetti e ad arrestarli velocemente. Con i richiami successivi, invece, rinfreschiamo loro la memoria, che è buona ma deve fare i conti con un numero di controlli sterminato (è come se facessimo un corso di aggiornamento per le squadre di linfociti T e B).

L’

ho scritto altre volte, ma non per questo smetto di ripeterlo: trovo prodigiose le tante cose invisibili che succedono ogni istante nel nostro corpo mentre siamo in varie faccende affaccendati (ricordate il microbiota di un paio di numeri fa?). Se poi penso a quante altre cose contemporaneamente succedono negli altri esseri viventi e nel Pianeta, mi prende un euforico stupore. Ed ecco

mostrava come vuol fare di quel luogo una Disneyland del cibo italiano, ho subito risposto “Ci sto” quando mi ha proposto di mettere in ogni area tematica contenuti divulgativi da noi curati (sulla buona alimentazione, sui nutrienti, sull’importanza del fuoco e della cottura nell’evoluzione dell’uomo, sulla storia del vino e dell’olio, sui pesci che popolano i mari italiani). E a ogni cambio di stagione, su queste pagine, raccontiamo insieme i cibi del periodo, proprietà e nutrienti della nostra salutare dieta mediterranea (a pag. 97).

Q

uando due anni e mezzo fa mi è stata affidata la direzione di Focus, ho subito pensato di esaltare ancor di più la multimedialità su cui il magazine era già ben avviato. Partendo dai capisaldi di credibilità e competenza che ci contraddistinguono, mi sono ripromesso di portare Focus ovunque. Ovunque ci sia divulgazione e con qualunque strumento di

perché, dopo aver ficcato il naso tra i linfociti, mi sono ritrovato sotto il manto erboso del mio prato. Ho così chiesto a Marco Ferrari di approfondire se le piante, che coprono la Terra da ben prima del nostro arrivo, hanno un’organizzazione “sociale”. Si aiutano a vicenda? Litigano? Affrontano problemi di vicinato e di convivenza? Comunicano? Anche tra loro ci sono prepotenti e altruisti? Che rapporti hanno con i piccoli animali che le frequentano o con i funghi? La risposta è che esistono canali di comunicazione vegetale. La scienza si appassiona nel cercare di decifrarne i codici, si divide anche, prova ad affinare sempre nuove tecniche di comprensione. Di tutto ciò, che è il tema di copertina, Marco scrive a pag. 36 raccontandoci le teorie e le scoperte più recenti. E mentre ne leggo, guardo fuori dalla finestra dove distinguo tigli, pioppi, pruni, mimose, platani, abeti, ippocastani. Vedo arrampicarsi edere, viti americane, glicini e poi, sotto, cespugli di ibiscus, azalee, rose, camelie, fino alle margherite e alle foglioline miste del prato. Oltre al potere straordinario con cui forniscono quell’ossigeno che ci permette di vivere, le piante hanno dovuto adattarsi a una caratteristica unica tra gli esseri viventi: non si spostano. Stanno tutta la vita dove mettono radici, accanto a chi come loro è capitato lì. Cosicché, guardandole, mi piace immaginarle mentre confabulano, rivaleggiano, borbottano, collaborano. E il naufragar è dolce in questo verde.

raffaele.leone@mondadori.it

comunicazione, oltre alla carta e al sito web: dai social agli incontri con le scuole; dalle collaborazioni con chi fa ricerca alle mostre; dai webinar ai podcast (stiamo costruendo una ricchissima audioteca di storia); dagli speciali tematici (come quelli che riguardano le auto e la loro epocale trasformazione ecologica) alle partnership con rassegne e musei; fino all’evento clou che è il FocusLive, il nostro festival di novembre al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano. Nel presentare questo scenario editoriale che adesso sta prendendo forma, dissi che avrei voluto trasformare il magazine in un mondo e i lettori in abitanti di quel mondo. Gli abitanti di Focus devono sentirsi parte di un luogo in cui possono osservare e capire i progressi della conoscenza, il cammino dell’uomo, le leggi che governano la vita terrestre e l’universo. Possono farlo con uno qualunque dei tanti mezzi di trasporto messi da noi a disposizione ma usando un unico propellente: la curiosità.

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universo

CACCIA

ALLA MATERIA

FANTASMA I neutrini sono particelle sfuggenti, che però celano importanti segreti sul cosmo. Ecco come la scienza sta imparando a ingabbiarli. di Andrea Parlangeli

N

on tutti i telescopi puntano lo sguardo verso il cielo. Ce ne sono alcuni che affondano le loro radici verso il basso e guardano quel che c’è dalla parte opposta, oltre il Pianeta. Il più grande di questi bastian contrari si chiama IceCube, perché occupa un chilometro cubo di ghiaccio in Antartide, mentre altri di concezione simile sono in costruzione in Russia e al largo delle coste sudorientali della Sicilia. Questi giganti di dimensioni sovrumane – la Torre Eiffel ha un’altezza almeno tre volte inferiore (vedi schema nelle prossime pagine) – servono a osservare le particelle più piccole ed evanescenti che si possano immaginare. Recentemente IceCube ne ha osservata una – una soltanto, tra le miriadi che attraversano l’apparato ogni secondo – con un’energia enorme, talmente elevata che nessun acceleratore sulla Terra sarebbe in grado di generarla, rivelando per la prima volta un fenomeno fisico nuovo, previsto nel 1959 e mai osservato prima. Per i fisici è un grande risultato; ma è solo un piccolo esempio dell’importanza di queste particelle che potrebbero rivoluzionare la nostra comprensione dell’universo, per non parlare delle ricadute tecnologiche, per esempio in geo­logia e nel campo delle telecomunicazioni.

La storia: dalle prime ipotesi ai grandi rivelatori moderni 1930 Il fisico

austriaco Wolfgang Pauli postula l’esistenza di una particella neutra, che chiama “neutrone”.

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1933 Enrico

Fermi sviluppa la “teoria elettrodebole” in grado di inquadrare la particella prevista da Pauli, a cui dà il nome definitivo “neutrino”.

1956 Clyde L. Cowan e Frederick Reines osservano il primo neutrino.

1960 Sheldon

Glashow prevede il fenomeno della “risonanza di Glashow”.

1962 Viene

scoperto un altro tipo di neutrino (oggi se ne conoscono tre tipi, detti “elettronico”, “muonico” e “tau”).

1967 L’italiano

Bruno Pontecorvo prevede che i vari tipi di neutrini possano trasformarsi gli uni negli altri. È il fenomeno dell’“oscillazione dei neutrini”, poi confermato.

1970 Osservati i neutrini provenienti dal Sole.


IceCube

AL POLO SUD La stazione Usa Amundsen-Scott, al Polo Sud. È sede di vari esperimenti, tra cui IceCube per la rivelazione dei neutrini (in basso, è visualizzato il passaggio di una particella).

1983 Entra in

funzione il rivelatore Kamiokande, costruito in una ex-miniera giapponese.

1987 Osservati

per la prima volta i neutrini prodotti da un’esplosione stellare di supernova.

1996 Primi

neutrini ad alta energia misurati nel lago Baikal (in Russia) e in Antartide.

1998 Prime evidenze sul fatto che i neutrini hanno una massa.

2000 Scoperto 2008 il terzo neutrino (neutrino tau).

Completato il rivelatore Antares nel Mar Mediterraneo.

2010 Entra in funzione IceCube in Antartide.

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I neutrini attraversano la materia. Per questo ci portano informazioni da molto lontano

IceCube e i suoi simili sono rivelatori di particelle leggerissime e misteriose, che En­ rico Fermi battezzò per la prima volta in una conferenza nel 1932 con il nome di “neutri­ ni”. Guido Tonelli, protagonista della sco­ perta del bosone di Higgs, li definisce “cam­ pioni di leggerezza” (v. riquadro nelle prossime pagine), in quanto la loro massa è talmente piccola che è stata misurata solo indirettamente ed è ancora poco com­ presa. I neutrini sono anche difficili da catturare: interagisco­ no con il resto della materia solo per mezzo di due forze molto tenui: la gravità (che nei rivelatori è del tutto trascurabile) e la cosiddetta “forza debole”, sulla cui intensità dice tutto il nome. Per questo di solito i neutrini attraversano la materia come fan­ tasmi e per studiarli occorrono rivelatori così grandi. Questa è anche la ragione per cui IceCube “guarda” verso il basso: le ra­ diazioni che arrivano dall’alto sono tante e disturbano le misu­ re: la maggior parte degli eventi che vale la pena di selezionare sono quelli che attraversano l’intero Pianeta. La Terra, insom­ ma, fa da filtro, bloccando molte delle particelle indesiderate.

DOPO 60 ANNI IceCube è progettato per rivelare i neutrini più energetici, che provengono da lontano, oltre il Sistema solare. L’osservatorio è composto da una griglia di fotorivelatori disposti su un volu­ me di un chilometro cubo. I fotorivelatori sono attaccati a stringhe che passano attraverso fori nel ghiaccio e sono distri­ buiti a intervalli regolari in profondità (v. schema a destra). «Quelli che osserviamo sono i neutrini che interagiscono con il ghiaccio e che producono particelle che si propagano a di­ stanza di meno di un centinaio di metri dai fotorivelatori», spiega Carla Distefano, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn): «Il neutrino infatti arriva, colpisce un atomo e genera altre particelle che emettono luce muovendosi nel ghiaccio. Dalla posizione dei sensori colpiti, e dalla sequen­ za temporale della loro attivazione, siamo in grado di ricostrui­ ­re l’energia e la direzione di provenienza del neutrino». Gli eventi registrati sono pochi, e quelli più significativi si contano sulle dita di una mano. «IceCube è stato completato 102 | Focus

nel 2010», racconta Distefano. «I primi risultati sono stati pub­ blicati nel 2013, e riguardavano 28 neutrini di origine cosmi­ ca». Erano così pochi che gli scienziati li chiamavano per nome, prendendo spunto dai personaggi della serie tv Sesame Street: Ernie, Bert ecc. Oggi se ne conoscono svariate decine (nei primi dieci anni erano 130), anche se soltanto di uno – osservato il 22 settembre 2017 – è stata identificata con ragionevole certezza l’origine astronomica: una galassia a 4,5 miliardi di anni luce da noi. Tutti gli altri, invece, non si sa da dove arrivino. L’ultimo evento che ha fatto parlare di sé è stato registrato l’8 dicembre 2016, ed è stato chiamato Hydrangea. È stato scoper­ to tra l’enorme mole di dati da un algoritmo di intelligenza ar­ tificiale (machine learning) e il risultato della sua lunga analisi è stato pubblicato lo scorso marzo sulla rivista scientifica Nature, con un commento di Carla Distefano. Con ogni probabili­ tà, questo evento è la traccia di un fenomeno raro – previsto 60 anni fa dal premio Nobel statunitense Sheldon Lee Glashow – che per svilupparsi richiede un’energia almeno mille volte su­ periore di quella disponibile nel più grande acceleratore esi­ stente, il Large Hadron Collider (Lhc) del Cern di Ginevra. «Questo raro evento conferma ancora una volta il Modello Standard, la teoria che descrive le particelle fondamentali e le loro interazioni», commenta Distefano. ANCHE IN SICILIA In realtà, trattandosi di un solo evento, un margine di incertez­ za resta: «Siamo certi di aver misurato un neutrino di origine astrofisica. Al 99% si tratta del fenomeno previsto da Glashow», conclude Distefano. Ora la sfida è trovarne altri, per conferma­ re il risultato. «Al momento, oltre ad IceCube, sono attivi solo rivelatori più piccoli come Antares, al largo di Tolone (in Fran­ cia), che si basa sullo stesso principio di rivelazione, ma usan­

Getty Images/Science Photo Library RF

MOSTRI COSMICI I nuclei galattici attivi, come quello qui raffigurato, sono tra le principali fonti di neutrini. Al loro centro c’è un enorme buco nero che emette violenti getti di particelle.


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Catturati nel ghiaccio antartico Il funzionamento dell’osservatorio IceCube in Antartide, evidenziato da uno schema per ingrandimenti successivi: un neutrino cosmico, proveniente da molti anni luce di distanza, raggiunge la nostra galassia (1), quindi la Terra (2), l’Antartide (3) e i rivelatori di IceCube (4) al Polo Sud. Qui, infine, colpisce un elettrone all’interno di una molecola d’acqua (5) e produce uno sciame di altre particelle, tra cui fotoni (cioè la luce) che vanno a colpire i rivelatori, rendendo possibile la misurazione.

SUPERFICIE DEL GHIACCIO

IceCube

QUARTIER GENERALE L’edificio dove convergono tutti i dati, e dove risiedono i ricercatori.

50 m CAVI Ci sono 86 cavi, con 60 sensori ciascuno.

IN PROFONDITÀ L’osservatorio IceCube è costituito da una griglia di sensori che rivelano la luce generata dal passaggio di un neutrino nel ghiaccio (v. anche schema sopra) a profondità comprese tra 1.450 e 2.450 metri sotto la superficie. La griglia è ottenuta per mezzo di 86 cavi calati dall’alto e ancorati al fondale roccioso. Ciascun cavo contiene 60 sensori, separati tra loro a intervalli regolari. Al centro c’è una maglia più fitta che permette misure più precise.

DEEP CORE Al centro c’è una maglia più fitta.

1.450 m

Torre Eiffel 324 m 2.450 m

IceCube

2.820 m

IN PROFONDITÀ I cavi sono stati calati attraverso altrettanti fori nel ghiaccio.

FONDO ROCCIOSO

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Credits KM3NeT

NEL MEDITERRANEO Nel disegno a destra: come apparirà l’osservatorio di neutrini in costruzione al largo di Capo Passero, in Sicilia. Nella foto qui sotto, l’immersione di un sensore.

do l’acqua del Mediterraneo invece del ghiaccio», spiega la ricercatrice. Sono però in costruzione altri rivelatori di un chilometro cubo, come KM3NeT, 80 km al largo di Capo Passero in Sicilia. «Nei mesi scorsi abbiamo messo in acqua cinque stringhe, che arrivano fino a 3.500 metri di profondità», dice Distefano, che coordina il gruppo responsabile delle simulazioni di questo strumento (le simulazioni sono necessarie alla progettazione e all’analisi dei risultati). E poi c’è un rivelatore russo in costruzione nel lago Baikal. «L’idea è di avere tanti rivelatori sparsi sul Pianeta, per osservare tutto il cielo. Quindi ce ne deve essere almeno uno in ogni emisfero, con qualche sovrapposizione, per poter fare confronti». Lo stesso IceCube è destinato a crescere: IceCube Gen-2, che lo ingloberà, avrà un volume 10 volte maggiore. MISTERI IRRISOLTI Tutti questi strumenti servono a osservare neutrini prodotti nei cosiddetti “acceleratori cosmici”. «Sono corpi celesti che producono getti di materia a velocità molto prossime a quella della luce», spiega Distefano. «Per esempio i “nuclei galattici attivi” (v. foto nelle pagine precedenti), particolari galassie la cui parte centrale è costituita da un buco nero di massa molto elevata. Ma ci sono anche altri tipi di sorgenti, come gli scontri tra stelle di neutroni o tra due buchi neri». Oltre ai neutrini più energetici, ce ne sono altri di origine diversa, come quelli emessi dal Sole, quelli che vengono prodotti da urti di particelle cosmiche con l’atmosfera terrestre, quelli creati nelle centrali nucleari o in strutture come il Cern. Questi neutrini hanno, però, energie più basse e per studiarli occorrono strumenti diversi, come i rivelatori dei Laboratori nazionali del Gran Sasso in Italia, Super-Kamiokande in Giappone (v. foto nella pagina a destra) e il futuro esperimento Juno in Cina (v. articolo a pag. 132). Una delle sfide più importanti di questo sforzo congiunto a livello mondiale è andare al di là del già citato Modello Standard, che rappresenta la nostra conoscenza attuale e che finora è stato confermato da innumerevoli esperimenti ed eventi come Hydrangea. Però il fatto stesso che i neutrini abbiano massa (v. riquadro a destra) richiede un’estensione, se non una completa

revisione del Modello Standard, e questo potrebbe portare a teorie nuove e rivoluzionarie. Infine, ci sarebbero gli ipotetici neutrini “fossili”, residuo del Big Bang. Questi ultimi sono l’equivalente della radiazione cosmica di fondo, oggi “fotografata” da molti strumenti come il satellite europeo Planck, che ci ha permesso di capire con sorprendente dettaglio molte fasi della nascita e dell’evoluzione dell’universo. La radiazione cosmica di fondo, però, è come un lampo di luce che si è liberato 380 mila anni dopo il Big Bang. L’analogo lampo di neutrini, invece, si sarebbe liberato dopo appena un secondo dal grande inizio di tutto, e porterebbe ancora con sé le tracce di quella fase lontanissima in cui ancora non si erano formati nemmeno i primi nuclei atomici, con conseguenze ancora una volta potenzialmente rivoluzionarie sulla nostra concezione del cosmo. Il problema è che questi neutrini “fossili” hanno un’energia molto bassa, e non è chiaro nemmeno come si possa fare a rivelarli. Nel frattempo, c’è chi immagina applicazioni più pratiche. I neutrini, infatti, potrebbero essere utilizzati per monitorare

I neutrini “fossili” ci potrebbero svelare alcuni misteri sulle primissime fasi del Big Bang

104 | Focus

l’attività delle centrali nucleari in tutto il mondo, e scoprire se qualcuno sta cercando di utilizzare gli impianti per costruire armi atomiche. Oppure si possono usare per fare una sorta di “radiografia” alla Terra, per studiarne l’interno ma anche per scoprire giacimenti, o cavità nascoste. Infine, c’è chi pensa di utilizzarli per le telecomunicazioni, in virtù del fatto che possono attraversare il Pianeta alla velocità della luce. Non mancano le ricadute più immediate e concrete, lega­te alle attività di ricerca in corso: «Un esperimento come KM3NeT richiede lo sviluppo di tecnologie avanzate per la trasmissione di dati su lunghe distanze nei fondali sottomarini», spiega Distefano. «Bisogna tener conto della pressione, della corrosione… è più complicato che andare nello spazio, e le ricadute sono enormi nel campo delle telecomunicazioni.


Copyright Edward Berbee/Nikhef-Credits KM3NeT

IL FASCINO DELLE ORIGINI

Per non parlare del fatto che, per fare solo un esempio, per l’esperimento abbiamo portato la fibra ad alta velocità a Capo Passero, nell’estremo Sud della Sicilia». L’UNIVERSO “MULTISENSORIALE” Tornando all’astronomia, la grande sfida è oggi quella di osservare il cosmo in modalità per così dire “multisensoriale”. Gli scienziati parlano più propriamente di astronomia “multimessaggera”, cioè che unisca le osservazioni tradizionali di onde elettromagnetiche (luce, onde radio, raggi X ecc.) alle nuove osservazioni di onde gravitazionali e ai neutrini. È come se finora avessimo osservato l’universo solo con la vista, mentre ora siamo pronti a esplorarlo anche con l’udito e con il tatto. «È importante, perché i diversi messaggeri (luce, neutrini e onde gravitazionali) ci danno informazioni solo parziali, che poi messe insieme ci danno il quadro complessivo», aggiunge Distefano. «L’era dell’astronomia multimessaggera si fa iniziare con un evento di onde gravitazionali (GW170817) che per la prima volta è stato osservato anche da molti telescopi. Mancavano all’appello i neutrini, perché quell’evento non era nel campo di vista ottimale di IceCube». Quando il quadro sarà completo – e ormai cominciamo ad avere gli strumenti per riuscirci – potremo finalmente esplorare il cosmo con ogni modalità a nostra disposizione.

Nel suo recente libro Genesi (Feltrinelli), il fisico Guido Tonelli, protagonista della scoperta del bosone di Higgs al Cern di Ginevra, parla anche di neutrini. Gli abbiamo chiesto di spiegarci queste particelle con parole semplici. I neutrini sono leggerissimi, velocissimi e attraversano la materia come fantasmi, senza interagire. Perché? «I neutrini sono tra le particelle più evanescenti che conosciamo, sono i campioni della leggerezza. Addirittura si pensava fino a qualche anno fa che fossero privi di massa. Poi si è scoperto che in realtà una massa ce l’hanno, per quanto minuscola. Un’altra loro caratteristica è di essere elettricamente neutri. Ed essendo così leggeri, e neutri, la loro interazione con la materia è delicatissima. L’insieme di queste circostanze rende i neutrini capaci di attraversare enormi quantità di materia praticamente senza lasciar traccia. E quindi sono estremamente utili, perché – arrivando a noi praticamente indisturbati – permettono di sondare fenomeni avvenuti a enorme distanza. Ma questa loro caratteristica li rende difficili da rilevare. Per poterli studiare, l’ingegno umano deve essere portato all’estremo (nella foto sotto, il rivelatore Super-Kamiokande in Giappone)». Quanti tipi di neutrini ci sono? E cosa sappiamo di loro? «Si conoscono 3 tipi di neutrini, appartenenti a 3 famiglie diverse. Si stanno facendo sforzi inenarrabili per misurare le masse dei neutrini e la loro gerarchia, cioè stabilire qual è il più pesante e qual è il più leggero, perché attualmente si riesce a misurare solamente la differenza di massa. E qui si apre una questione importante. Le masse dei neutrini sono così piccole che il meccanismo principe che definisce la massa delle particelle elementari (basato sul bosone di Higgs) non può funzionare. Ci deve essere un’altra spiegazione, e si pensa a un meccanismo primordiale». Cioè a qualcosa che ci proietti addirittura all’inizio dell’universo, il Big Bang? «Sì, un’interazione primordiale che però ancora non è nota ed è oggetto di speculazioni. Potrebbe voler dire che ci sono altre famiglie di neutrini. I neutrini conosciuti sono tutti sinistrorsi, cioè – mettiamola così – sono mancini. E ci sono buoni motivi per pensare che ci siano anche neutrini destrorsi, ma ancora non sono mai stati rivelati. Un’altra delle cose che si stanno cercando attivamente è il fondo di neutrini “fossili”, che si sono liberati nell’universo un secondo dopo il Big Bang. Quei neutrini, che portano informazioni preziosissime sull’origine nel nostro universo, hanno continuato a vagare nello spazio per 13,8 miliardi di anni e ancora oggi fluttuano intorno a noi, ma è difficilissimo osservarli. Il campo dei neutrini è pieno di misteri, di quesiti irrisolti, e quindi di potenziali sorprese.

Focus | 105


LA TERZA

natura

Le nonne delle orche e degli elefanti sono figure carismatiche nei loro gruppi. Ma anche in altre specie il ruolo degli anziani è importante. di Giovanna Camardo


ETÀ

IL RIPOSO DEL PRIMATE Un anziano scimpanzé sulla panchina: è un montaggio, ma l’atteggiamento di questi primati cambia con l’età, come il nostro. Focus | 115

Shutterstock/FooTToo

degli animali


L

e nonne sono il vero pilastro della società. Sono il punto di riferimento della famiglia, aiutano le loro figlie nel crescere i nipoti e fanno sì che ci sia da mangiare in abbondanza per tutti. Non stiamo parlando delle formidabili nonne umane (pur fondamentali, come ben sappiamo): le mature capofamiglia in questione sono orche. È uno dei casi in natura in cui gli individui più anziani – ricchi di esperienza – sono figure chiave. Ma che ruolo hanno gli animali arrivati alla loro “terza età”, nelle specie sociali? Come cambia la loro vita? E che cosa succede a quelli che vivono in casa con noi?

Studi di Milano. E non abbiamo parlato di nonne a caso. Le orche condividono con umani e pochi cetacei una caratteristica rara: le femmine vanno in menopausa. «In altri animali la fertilità può calare con l’età, ma non c’è un’interruzione», spiega Pirrone. Per esempio l’uccello selvatico più anziano oggi noto è una femmina di albatro di Laysan, Wisdom, che vive alle Hawaii: ad almeno 70 anni, ha avuto un altro pulcino. Le orche possono vivere oltre 90 anni, ma smettono di riprodursi a circa 40. Per loro, come per noi, varrebbe la cosiddetta “ipotesi della nonna”. «Piuttosto che trasmettere direttamente i propri geni ai figli, sarebbe più vantaggioso occuparsi dei nipoti, che comunque portano i propri geni», dice Pirrone. Uno studio della University of York (Uk) ha confermato che, se muore la nonna, i piccoli di orca hanno meno probabilità di sopravvivere.

UNA RISORSA PER I NIPOTI Cominciamo appunto dalle orche, che passano la vita in gruppi familiari, in cui restano femmine e maschi. Vari studi hanno confermato il ruolo delle femmine anziane: Lauren Brent della University of Exeter (Uk) ha visto per esempio che sono loro a guidare la famiglia in cerca di salmoni, soprattutto quando è più difficile trovarli. «Conoscono le zone ricche di cibo e sanno come muoversi nel mare», conferma Federica Pirrone, etologa del Dipartimento di medicina veterinaria dell’Università degli

Mondadori Portfolio

Jon Brack/Friends of Midway Atoll National Wildlife Refuge

PRIMA LE SIGNORE Qui sotto, elefanti africani in Botswana, con l’anziana matriarca. Sotto, a sinistra, Wisdom, femmina di albatro di Laysan di almeno 70 anni, con il suo pulcino, alle Hawaii.

LA LUNGA VITA DELLO SQUALO Quanto possono vivere gli animali? Nello schema, sono indicati alcuni esempi dell’età massima per varie specie: è l’età registrata (o stimata) degli esemplari che si sono mostrati più longevi. La speranza di vita, il numero medio di anni di vita, è invece in genere più bassa. 116 | Focus

SCIMPANZÉ È l’età attribuita a Little Mama, vissuta in un parco negli Usa, morta nel 2017.

TOPO Fritzy, un topo domestico, è arrivato a 7 anni e 7 mesi.

50

giorni

MOSCERINO DELLA FRUTTA Il ciclo vitale, dall’uovo alla morte, è di 40-50 giorni.

7

anni

38

anni

GATTO Creme Puff, micio domestico, è morto all’età record di 38 anni e tre giorni.

79

anni


GLI ANNI PASSANO Anche i cani anziani imbiancano: il pelo diventa grigio in particolare sul muso. Pure in altri animali domestici, come cavalli o conigli, si nota uno “scolorimento” con l’età.

Shutterstock

IL SAPERE DI UNA VITA Torniamo però a terra per incontrare altre grandi anziane: le elefantesse. Gli elefanti africani vivono in unità familiari matrilineari formate da più femmine con i piccoli e guidate dalla più anziana: la matriarca (le elefantesse vivono in media 70 anni; dopo i 55 la loro attività riproduttiva cala, pur non cessando). «La matriarca prende decisioni cruciali per il gruppo, per esempio negli spostamenti. E quelle con più esperienza si dimostrano leader migliori: si è visto per esempio che nei gruppi guidati dalle femmine più anziane i piccoli sopravvivono di più nei periodi di siccità. Ciò può essere dovuto alla conoscenza ecologica accumulata in decenni di vita, combinata con un’ottima memoria spaziale e a lungo termine: le femmine anziane possono ricordare molte informazioni sulle risorse sparse in un ampio territorio», spiega Connie Allen, della University of Exeter (Uk). Per esempio, Karen McComb (University of Sussex, Uk) ha visto che le leader più anziane hanno più esperienza nel valutare le minacce. McComb ha diffuso con altoparlanti i ruggiti di leonesse, di leoni maschi (più pericolosi per gli elefantini) e di più individui: più la matriarca era anziana, oltre i 60 anni di età, più reagiva al ruggito anche di un solo leone maschio, facendo compattare la famiglia. «Gli elefanti maschi invece lasciano la famiglia tra i 10 e i 20 anni e si uniscono in gruppi fluidi, spesso con altri della stessa età», dice Allen. E i più maturi? «Possono passare molto tempo da soli, ma li si osserva pure in compagnia. I maschi più anziani e grandi hanno un maggiore successo riproduttivo: le femmine preferiscono quelli di 40 e 50 anni». Un recente studio di Allen, nel Parco nazionale Makgadikgadi Pans in Botswana, ha dimostrato però che anche i maschi anziani hanno un ruolo guida per i giovani. «Abbiamo visto che gli adolescenti tendono a spostarsi in gruppo: per loro – più vulnerabili e con meno esperienza dell’ambiente – viaggiare soli è un rischio. E i maschi più anziani sono alla guida

Tra gli elefanti, l’esperienza delle matriarche è preziosa: sono abili a capire le minacce e a guidare il loro gruppo BALENA DELLA GROENLANDIA È l’età massima stimata per una di queste balene.

ELEFANTE INDIANO L’età stimata a cui arrivò un’elefantessa che viveva in un tempio indiano.

83

anni

CACATUA DEL MAGGIORE MITCHELL Cookie, esemplare vissuto in uno zoo americano, morì a 83 anni.

89

anni

90

anni

ORCA La longevità delle orche è considerata intorno ai 90 anni; per alcune stime, però, una femmina chiamata Granny morì a 105 anni.

212 anni

255 anni

TARTARUGA GIGANTE DI ALDABRA Adwaita, un maschio, morì in uno zoo indiano a 255 anni (età stimata). Focus | 117


dei gruppi, cioè vengono seguiti dai giovani: hanno una maggiore esperienza e conoscenza, per esempio dei percorsi che portano a cibo e acqua». Il sapere dato dall’età è spesso utile. «Nei branchi di cavalli in natura, la femmina più anziana è per esempio quella che guida gli spostamenti», aggiunge Pirrone.

AFP/Getty Images

PROTETTI IN CASA È il momento però di passare ai nostri cugini più prossimi, gli scimpanzé. «In natura vivono oltre i 50-60 anni: li consideriamo “anziani” dopo i 35. I maschi tendono a raggiungere il loro massimo rango nel gruppo tra i 20 e i 35 anni, poi è improbabile che un maschio “alfa” resti tale (viene sfidato dai maschi più giovani, ndr), anche se alcuni anziani mantengono ruoli medio-alti. Nella gerarchia delle femmine, invece, le più anziane hanno un rango più alto», spiega Zarin Machanda, della Tufts University (Usa), che ha pubblicato su Science uno studio basato su anni di osservazioni di 21 scimpanzé maschi dai 15 ai 58 anni. E ha trovato paralleli curiosi con noi Homo sapiens. Gli scimpanzé senior non si riposano sulle panchine come nel fotomontaggio delle pagine precedenti, ma cercano comunque di… stare con pochi buoni amici. «Abbiamo scoper-

to che ci sono similitudini con gli umani, nel comportamento sociale, con l’invecchiamento. Primo, gli scimpanzé maschi diventano meno aggressivi. Poi cercano di avere più legami significativi: hanno più amicizie reciproche, cioè con individui che ricambiano l’atteggiamento amichevole», spiega Machanda. I più giovani cercano invece di farsi molte amicizie, anche non ricambiate: per esempio vanno a sedersi vicini a un altro individuo (stare spesso vicini è un segno di amicizia, così come farsi grooming, cioè pulirsi), anche se l’altro non fa lo stesso. Finora abbiamo parlato del ruolo degli anziani in alcuni animali sociali. Ma che cosa succede a quelli che vivono con noi, ai nostri cani e gatti? «Hanno una fase di senescenza (termine più corretto di invecchiamento) caratterizzata da meno vitalità e maggiore vulnerabilità. In natura è un momento non facile: molti animali anziani corrono maggiori rischi di essere predati o di non riuscire più a cacciare», spiega Federica Pirrone. Per gli animali curati e nutriti da noi è diverso. «I cani vivono in media 13 anni: i più grandi sono considerati “senior” da 6/8 anni e “geriatrici” (anziani) dai 9, quelli di taglia piccola rispettivamente dai 7-10 e dagli 11 anni. I gatti arrivano a circa 20 anni: sono considerati senior tra 11 e 14 anni e anziani oltre i 15. Altre specie domestiche? I cavalli, con aspettativa di vita di 30 anni, sono anziani dai 20. I conigli vivono tra i 6 e i 12 anni: la soglia dell’anzianità è dai 5 anni». Nei cani e gatti anziani assistiamo dunque all’arrivo di acciacchi e cambi nel comportamento. «Ci possono essere variazioni del ritmo del sonno; un calo della memoria spaziale, per cui riescono a orientarsi di meno; un disorientamento anche in ambienti

Cani e gatti sperimentano l’arrivo degli acciacchi, come i problemi di artrosi, e cambiano comportamento: evitano folla e rumori SQUALO DELLA GROENLANDIA L’età di un esemplare è stata stimata a circa 400 anni (con un margine tra 272 e 512).

392 anni

CORALLO La “base” di un corallo nero, Leiopathes glaberrima, trovato alle Hawaii, è stata datata a oltre 4mila anni.

507 anni

VONGOLA ARTICA L’età di un esemplare trovato in Islanda, chiamato Hufrùn, è stata determinata dall’accrescimento della conchiglia: aveva 507 anni alla cattura. 118 | Focus

4.265 anni

15.000 anni

SPUGNE VITREE L’età di un esemplare di questi organismi marini, della specie Scolymastra joubini, è stata stimata in circa 15.000 anni.


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noti; la diminuzione delle funzioni cognitive, coinvolte nella risoluzione dei problemi e nell’attenzione; la perdita di nozioni apprese, per cui magari i cani iniziano a fare i bisogni in casa. Gli animali anziani inoltre sopportano meno gli ambienti rumorosi e affollati e ne stanno lontani. Il cane tende a riposarsi vicino al padrone, cosa che lo rassicura. Si è visto che i cani restano attenti agli stimoli positivi, ma tendono a “disinteressarsi” a quelli negativi: un modo per evitare l’esposizione agli stress», elenca Pirrone. L’etologa, ora, sta per esempio conducendo uno studio sui mici anziani. «Vogliamo capire se nel gatto si sviluppa un’infiammazione cronica, che può essere alla base dell’indebolimento del sistema immunitario, e capire se influenza il decadimento cognitivo e il comportamento». QUELLI CHE COL TEMPO... MIGLIORANO Inoltre ci sono problemi fisici come l’artrosi, che dà dolore e difficoltà di movimento. «Poi calano udito, vista, olfatto: il gatto per esempio usa molto l’olfatto per cercare e scegliere il cibo, se non sente gli odori ci sembra che diventi “capriccioso” nel mangiare», dice Pirrone. Anche agli animali possono poi venire… i peli bianchi. «I cani si ingrigiscono soprattutto sul muso. Il manto dei cavalli sbiadisce in alcuni punti, e così quello dei conigli. Il gatto anziano invece si pulisce di meno e ciò rende il suo pelo meno bello e lucido», conclude l’etologa. Non tutti gli animali però invecchiano in questo modo. «Questo è quello che ci è familiare, ma ci sono tre modelli di invecchiamento. Il primo è appunto quello di noi umani e di altri

MATUSALEMME DI MARE Sopra: una famiglia di orche e a sin. uno squalo della Groenlandia, il più longevo vertebrato. Nell’altra pagina: Jonathan, tartaruga gigante delle Seychelles di 189 anni.

mammiferi: c’è un deterioramento fisiologico, ciò che chiamiamo senescenza, e la mortalità aumenta con l’età. Lo sappiamo bene: a 20 anni la probabilità di morire nell’anno successivo è ben più bassa che a 90», spiega Owen Jones, dell’Università della Danimarca del Sud. Ma non per tutti è così. Ci sono infatti specie che non mostrano riduzioni funzionali con l’età o che addirittura diventano più resistenti. «C’è un modello di invecchiamento in cui la probabilità di morire diminuisce con l’età. Accade nelle specie in cui l’individuo continua a crescere e diventa quindi sempre meno vulnerabile, come alcuni pesci marini, coccodrilli o testuggini. Ma c’è anche un modello intermedio, in cui la probabilità di morire resta costante: significa che il rischio di morire (che comunque c’è sempre, per predazione o malattia) è uguale per giovani e vecchi», conclude Jones. «Ci sono vari esempi, come l’Hydra vulgaris (v. riquadro sotto) o l’eterocefalo glabro». Quest’ultimo è una sorta di talpa senza pelo: per noi, non proprio bellissimo. Ma è il roditore che vive di più (oltre 30 anni) e gli scienziati stanno studiando i segreti della sua longevità e della “mancanza di deterioramento”: decisamente, si prende la rivincita sui mammiferi più carini.

È una piccola medusa, dal diametro di 4,5 millimetri, diffusa nelle acque temperate e tropicali: Turritopsis dohrnii. Ed è immortale. «Non conosco altri animali immortali, nel senso in cui lo sono queste meduse», conferma Owen Jones. Se esposta a stress ambientale o attacco, può… tornare giovane: dalla forma adulta e sessualmente matura regredisce alla forma chiamata polipo. Nel loro ciclo vitale le meduse passano infatti da diversi stadi: dalla larva al polipo attaccato al fondale, fino all’adulto “a ombrello” che ci è familiare (foto). Turritopsis dohrnii è dunque “immortale”, anche se un individuo può ovviamente morire per malattia o finire predato. Sempre in ambiente acquatico, c’è il caso curioso di Hydra vulgaris, piccolo animale d’acqua dolce. «Una specie con una senescenza trascurabile, con probabilità di mortalità costante», ricorda Jones. È stato calcolato che in laboratorio, in condizioni protette, il 5% degli adulti sarebbe vivo dopo 1.400 anni.

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