Focus 355 - Maggio 2022

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1992 - 2022 TRENT’ANNI DI FOCUS GUARDANDO AVANTI

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IN QUESTO NUMERO. CHE COSA ABBIAMO IMPARATO SULLA BUONA ALIMENTAZIONE

BUC H I NE

RI

Sono ovunque e ormai se ne contano miliardi di miliardi. Divorano stelle e luce, deformano spazio e tempo. Viaggio tra le sorprese continue che ci offrono gli oggetti più enigmatici dell’universo

ANTROPOSMORFIE QUELLE ESPRESSIONI UGUALI ALLE NOSTRE

UCRAINA MEDICINA LA GUERRA COMBATTUTA STIMOLI E SENSORI CHE CON HI-TECH E DIGITALE RIMETTONO IN PIEDI

NUMERO DOPPIO CON

DOMANDE&RISPOSTE


355 MAGGIO 2022

www.focus.it

Scoprire e capire il mondo PRISMA

12 Facciamo spazio 15 Le allergie in numeri 16 La fisica del filo di lana 18 La proteina che ci ossigena 20 Enigma Long Covid 22 Prisma sonoro 26 Il treno che si autoricarica

24

La creatività? Si può imparare

11

Interpretati i grugniti dei maiali

dossier Buchi neri 28 VORAGINI CELESTI

Fino a 50 anni fa si dubitava della loro esistenza. Ora se ne contano miliardi di miliardi. Ecco tutto quello che sappiamo sui buchi neri.

34 IL NOSTRO VICINO 38 DOVE FINISCE QUELLO CHE INGHIOTTE?

Un secolo di caccia alla preda più ambita: SgrA*, il buco nero al centro della Via Lattea. Il celebre scienziato Stephen Hawking scommise che, quando un oggetto cade in un buco nero, anche l’informazione che contiene viene distrutta. Ma...

42 PROVE DI TECNOGUERRA Ucraina

MULTIMEDIA

Attorno a Kiev si sta combattendo un conflitto a metà tra tecnologia e tradizione. Che armi ci sono?

48 LA TRINCEA INVISIBILE Ucraina

Scopri video, audio, timelapse e tanti altri contenuti.

I combattimenti più moderni sono quelli che non si vedono. Le armi? Digitale, cyber, big data, satelliti...

54 SCHERZI DELLA MEMORIA scienza

I ricordi non sono fotografie fedeli di quel che è accaduto. Le emozioni li deformano, adattandoli.

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PER TORNARE A 58 ELETTRODI CAMMINARE medicina

Pagine animate Animazioni, video, audio... Potete fruire di tanti contenuti aggiuntivi grazie ai QR Code, nelle pagine dove troverete l’icona Focus+. Basta inquadrare il QR Code con la fotocamera attiva (se si usa un iPhone o un iPad), oppure usando Google Lens o una qualsiasi app per la scansione di QR Code (se si ha uno smartphone o un tablet Android). Se invece siete al computer, andate alla pagina del nostro sito, all’indirizzo web segnalato.

Una tecnica innovativa permette di riattivare i neuroni che muovono i muscoli, nelle persone paraplegiche.

In copertina: Foto portante: Nasa’s Goddard Space Flight Center/Jeremy Schnittman and Brian P. Powell; Sotto da sinistra: Illustrazioni di Fosca Mastrandrea; Shutterstock; Rolex/Audoin.

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D&R Speciale 124 ANIMALI 128 TECNOLOGIA 130 SCIENZA 132 AMORE E SESSO 134 STORIA 138 TE LO DICE...

140 NATURA 142 ECONOMIA 144 SALUTE 148 SOCIETÀ 150 ARTE E CULTURA 152 CIBO

58

La storia di Michel Roccato, tornato a camminare dopo anni sulla sedia a rotelle

64 SE SPARISSE IL GHIACCIO DEI POLI... ambiente

... gli habitat scomparirebbero, il livello del mare si alzerebbe ancora e aumenterebbe l’effetto serra.

70 ED È GIÀ CORSA AI TESORI NASCOSTI economia

La fusione dei ghiacci renderà accessibili giacimenti di gas, petrolio, minerali. Ma a chi appartengono?

154 SPORT 156 UNIVERSO 158 PSICHE

92 VIA COL VENTO tecnologia

In Formula 1 e MotoGp per vincere bisogna sfruttare al massimo l’aerodinamica. Piccole modifiche fanno la differenza, e sulle ultime ci si è accapigliati.

96 CHE SESSO FA comportamento

Il caldo non sempre fa bene alla riproduzione, alla fertilità, all’accoppiamento. E il cambiamento climatico complica le cose. Anche nelle altre specie.

102 SEGNALI DI FUMO scienza

In atmosfera si trovano tracce dell’ultima esplosione del Tonga. Poca cosa rispetto ad altre eruzioni. Ecco quanto i vulcani condizionano clima e ambiente.

76 ANTROPOSMORFIE

110 LA CATTIVERIA CHE È IN NOI

83 LEZIONI DI PIATTO

118 LA MONETA INVISIBILE

animali

Gli scimpanzé sono espressivi come noi. Scoprite in queste immagini il linguaggio del loro volto. focus next30/ieri, oggi, domani

Che cosa pensavamo sulla buona alimentazione, che cosa abbiamo imparato e dove stiamo andando.

83

Come è cambiato in 30 anni l’approccio al cibo

comportamento

Il sadismo è un tratto psicologico a sé, tipico della vera crudeltà. Ma anche narcisisti, machiavellici e “psicopatici” (più diffusi) possono fare danni agli altri. economia

Le criptovalute, Bitcoin in testa, sono una rivoluzione, ma con molti aspetti complicati. Scopriamole meglio.

RUBRICHE

7 L’oblò 116 Tipi italiani 161 Academy 167 MyFocus 172 Cartellone 176 Giochi 4 | Focus

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scienza

Scherzi della

Shutterstock/ra2 studio

O M E M


A I R I ricordi non sono fotografie fedeli di quel che è accaduto. Le emozioni passate e presenti li deformano, adattandoli alle nuove situazioni. di Elena Meli

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iamo continuamente bombardati da esperienze, stimoli e informazioni: profumi e colori, oggetti e presenze, ogni attimo è ricco di dati che il cervello assorbe. Tanti scivolano via, qualcuno resta: li chiamiamo ricordi e con essi possono succedere cose bizzarre. La memoria, infatti, non è affatto una macchina fotografica, ma un pentolone dove finiscono e vengono rimescolati molti ingredienti della nostra vita. Così ci capita di piangere alla vista di una sciarpa rossa perché la nonna ne aveva sempre una al collo, di rammentare eventi capitati quando eravamo piccolissimi perché ce li ha raccontati qualcun altro, di confondere i ricordi fra loro o di dimenticare qualcosa da un secondo all’altro. Tutti scherzi della memoria per cui c’è sempre una spiegazione. Anche nel caso del déjà vu, la sensazione di aver già vissuto ciò che sta capitando per la quale tanti pensano di avere doti di chiaroveggenza. Nessuna premonizione: si tratta di un bel cortocircuito della memoria. FOTOGRAFIE MODIFICATE Molte stranezze dipendono dalla natura stessa dei ricordi, che appunto sono tutt’altro che fotografie, come spiega Stefano Cappa, direttore del Centro ricerca demenze della Fondazione Irccs Mondino di Pavia e membro della Società italiana di neurologia: «Immagazziniamo tracce di quanto viviamo, che poi ricostruiamo formando il ricordo. C’è perciò sempre una rivisitazione dell’esperienza. La fedeltà delle memorie all’episodio reale varia sulla base di tanti elementi, fra cui per esempio le emozioni provate. Se sono state intense, nel bene o nel male, è più probabile che la traccia di quanto vissuto si rinforzi e resti a lungo. Il ricordo però non è un film preciso di quel che è stato, anzi: quando per esempio viviamo qualcosa di molto negativo, il cervello si aggrappa ad altro e sposta l’attenzione sui dettagli. Per questo è spesso difficile recuperare i ricordi precisi di eventi traumatici». I ricordi negativi peraltro persistono meno rispetto a quelli positivi, grazie a ciò che Daniel Gilbert, dell’Università di Harvard (Usa), ha chiamato il “sistema immunitario psicologico”: un meccanismo di rimozione con cui ci proteggiamo dalle brutte esperienze, così che smettano di farci male. DISTRAZIONI E ODORI In generale tuttavia la memoria non è una macchina da presa, ma un registratore soggetto a una miriade di interferenze, interne ed esterne. Se qualcosa ci incuriosisce, per esempio, è più probabile che lo ricorderemo. Se siamo distratti, invece il ricordo si fissa meno; per questo, se stiamo parlando al telefono mentre rientriamo a casa, è verosimile che scorderemo dove abbiamo appoggiato le chiavi. Infine, se viviamo un momento felice, e nell’aria c’è un profumo, è possibile che annusandolo di nuovo ci tornerà alla mente quell’attimo piacevole. Ciò peraltro accade anche perché, come hanno dimostrato gli studi della Harvard Brain Science Initiative (un programma di ricerca guidato dall’Università di Harvard), le aree cerebrali che elaborano gli odori sono vicinissime a quelle coinvolte nella memoria e nella gestione delle emozioni. L’olfatto, quindi, è il senso più capace di risvegliare memorie anche lontane. Focus | 55


Getty Images/Tetra images RF Getty Images Shutterstock/Dean Drobot

RINFORZI E DEBOLEZZE La realtà che viviamo influenza i ricordi. Un profumo può risvegliare memorie passate, mentre la distrazione ci impedisce di fissare nella mente ciò che accade.

DETTAGLI RIVELATORI Gli odori non sono tuttavia gli unici dettagli a riportarci alla mente i ricordi, anche in maniera apparentemente incongrua: una canzone, un vestito, qualsiasi cosa può rivangare memorie sepolte che non hanno nulla a che vedere con il momento presente. Succede perché «non ricordiamo mai un oggetto o un elemento dell’esperienza da solo, ma sempre in un contesto», specifica Cappa; «abbiamo cioè una memoria episodica, per cui un dettaglio anche minimo presente sulla scena funziona come gancio contestuale, da cui possiamo recuperare tutta l’informazione relativa all’evento». È vero anche il contrario: siamo capaci di ricordare un dato singolo da un’esperienza (anche se questa si ripete sempre in modo più o meno uguale), o anche un nostro oggetto fra tanti simili. È il caso di quando riconosciamo l’orologio che avevamo da bambini in un mucchio di altri, o ritroviamo la macchina nel parcheggio che usiamo tutti i giorni. «Questo a volte può risultare difficile», ammette il neurologo. «Spesso però non significa che la memoria si sta inceppando: se mentre lasciavamo l’auto pensavamo ad altro, il ricordo dell’ultimo parcheggio può non farcela a emergere in mezzo a tanti ricordi simili». LA NATURA DEI DÉJÀ VU Avere la testa altrove è una delle interferenze moleste che possono alterare la capacità di richiamare una memoria, come quando incontriamo qualcuno in un posto inusuale e stentia56 | Focus

mo a riconoscerlo perché tutto attorno ci dice che non dovrebbe essere lì. E può essere considerato una conseguenza di interferenze della memoria anche il déjà vu: Anne Cleary, psicologa della Ohio State University (Usa), ha dimostrato che nella sensazione per cui ci sembra di aver già vissuto qualcosa non c’è nessuna premonizione, ma semplicemente ci si viene a trovare in uno scenario simile a qualcosa che ci è già successo. A livello inconsapevole il ricordo c’è, ma non riesce a emergere alla coscienza, anche se il cervello riconosce la somiglianza. Questo meccanismo ci porta a pensare di essere già stati in un posto o aver già vissuto una circostanza, senza però poter stabilire quando o perché. Il déjà vu è perciò una “metamemoria”, che può essere anche indotta. Cleary lo ha fatto in alcuni volontari, e poi ha esaminato se il déjà vu fosse veramente associato alla capacità di prevedere quel che sarebbe accaduto di lì a poco, scoprendo che aiuta a predire il futuro quanto... lanciare una monetina. LA TRAPPOLA DELLE FALSE MEMORIE Se le interferenze della memoria possono portarci a credere di vedere nel futuro, possono però alterare anche lo sguardo sul passato formando ricordi che non esistono: le false memorie. Non si tratta solo della sensazione di ricordare bene un viaggio fatto da piccoli, che magari riusciamo a rammentare solo perché abbiamo visto le foto o sentito mille volte i racconti dei nostri genitori. In alcuni casi i ricordi possono essere creati dal nulla e a metà degli anni ’90 Henry Roediger e Kathleen McDermott, due psicologi dell’Università di Washington (Usa), misero a punto addirittura un protocollo per creare false memorie, tuttora utilizzato in molti esperimenti, che fa ricordare come già sentite parole mai ascoltate. «Ci riusciamo perché la memoria fa errori facilmente e lavora sul contesto: immagazzina non solo e non tanto il suono della parola, quanto il suo significato», osserva Cappa. «In altri termini se in una lista di parole ascoltate c’è “torta” ma poi si dice “biscotto”, la traccia mnemonica immagazzinata può portare ad avere la convinta illusione di aver sentito parlare di biscotti». Tutto questo è solo in apparenza un giochino innocente, perché la dimostrazione che sia possibile creare falsi ricordi ha portato a mettere in dubbio le testimonianze delle vittime di abusi in non pochi processi. Non a caso Harvey Weinstein, il produttore cinematografico hollywoodiano accusato di violenze sessuali, ha chiamato a testimoniare al suo processo una delle psicologhe più note per gli studi sui falsi ricordi, Elizabeth Loftus dell’Università della California. Secondo l’esperta la memoria umana è malleabile e manipolabile, può essere


DOVE SI TROVANO I RICORDI? I vari tipi di ricordi sono conservati in parti diverse del cervello. La memoria esplicita (relativa a fatti e informazioni) ha sede nell’ippocampo e nella corteccia, e può essere modificata in base alle emozioni dall’attività dell’amigdala. La memoria implicita (che concerne i movimenti appresi) si trova invece nel cervelletto e nei gangli della base. La memoria a breve termine, infine, si basa per lo più sull’attività della corteccia prefrontale. ippocampo

corteccia prefrontale gangli basali

Science Photo Library/AGF

cervelletto

amigdala

Il libro dei ricordi viene continuamente riscritto dalle esperienze che viviamo distorta a posteriori e non c’è neppure una reale possibilità di capire fino in fondo se un ricordo sia stato indotto o sia reale, a meno che di un fatto non esistano prove tangibili (e nel caso di Weinstein, viste le tante testimonianze concordi, è però difficile che si tratti di falsi ricordi collettivi). «I bambini sono particolarmente suggestionabili: è stato dimostrato che si possono portare a credere che una persona abbia detto o fatto qualcosa mai accaduto nella realtà», dice Cappa. «Succede perché il loro cervello è ancora in evoluzione: i sistemi della memoria non sono ancora stabilizzati e così le interferenze esterne, fra cui i racconti altrui, riescono a plasmare i ricordi. Un’analoga maggior sensibilità alle interferenze è stata ipotizzata anche per gli anziani, visto che la memoria inizia a perdere colpi». LA LENTE DEL PRESENTE Un recente esperimento di Mark Lowe, psicologo della City University of London, sembra invece indicare che gli anziani abbiano la stessa suscettibilità alle interferenze di chi è più giovane e mantengano una buona precisione nella memoria episodica; hanno però più esperienze che si sono stratificate

GLI SVANTAGGI DELLA SUPERMEMORIA Dimenticare fa bene. E se lo dice Scott Small, che dirige il Centro di ricerca sull’Alzheimer della Columbia University a New York, e ogni giorno lotta contro i buchi nella memoria dei suoi pazienti, dobbiamo crederci. Nel suo recente libro Forgetting: The benefits of not remembering (Dimenticare: i benefici del non ricordare, Penguin Random House 2021), Small spiega che per un cervello sano l’abilità di dimenticare è fondamentale quanto quella di ricordare. E che rimuovere i ricordi non è un processo passivo, bensì un’azione attiva indispensabile per ridurre il rumore di fondo delle informazioni inutili. Scordare per fare spazio. «La capacità di dimenticare ciò che non è essenziale aiuta il cervello a pensare meglio, a darsi priorità, a prendere decisioni e a essere più creativo. La normale dimenticanza, in equilibrio con un’adeguata memoria, ci regala una mente più flessibile». Certo non va confusa con la perdita di memoria patologica di chi sta scivolando in una demenza, ma non a caso pure la supermemoria, o ipertimesia, è considerata un problema. Chi ricorda nei minimi dettagli che cosa ha mangiato a pranzo trent’anni fa «non è capace più di chiunque altro di ricordare un numero di telefono o dove abbia messo le chiavi, perché la memoria di ferro è solo quella autobiografica, sui fatti della vita. E averla non è un vantaggio: ricordare ogni dolore, rimpianto, esperienza traumatica imprigiona in un’esistenza sofferente», conclude Small.

negli anni e che possono aver modificato i ricordi del passato. Quando infatti richiamiamo alla mente un fatto lontano, lo codifichiamo nuovamente, in base al momento in cui lo ricordiamo. Perciò possiamo plasmarlo nel tempo, cambiandone qualche dettaglio: i ricordi vengono consolidati quando li rammentiamo, ma nel farlo sono temporaneamente più malleabili e possono così essere rinforzati, indeboliti o anche distorti. Questo continuo rimescolamento dei ricordi con l’esperienza reale porta a qualche discrepanza fra i fatti concreti e ciò che rammentiamo. Per questo, per esempio, confondiamo i particolari di episodi che ci sono capitati da ragazzini. Non è per forza un male, perché la possibilità di riconsolidare le memorie in maniera un po’ diversa può aiutare quando si è vissuta un’esperienza traumatica che vorremmo cancellare. Infatti non sempre è bene ricordare tutto per filo e per segno, come dimostrano le vite di chi ha una memoria di ferro (vedi riquadro qui sopra): dimenticare qualcosa di spiacevole o che fa soffrire è una benedizione. E un po’ di sano oblio aiuta a non imbottirci troppo il cervello di informazioni poco utili, rischiando di dimenticare quelle essenziali. Focus | 57


Getty Images

tecnologia

DUE RUOTE L’aerodinamica è diventata un fattore centrale anche nella progettazione delle moto da gara da ormai due decenni.

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vento

In Formula 1 e MotoGp per vincere bisogna sfruttare al massimo l’aerodinamica. Piccole modifiche fanno la differenza, e sulle ultime ci si è accapigliati. di Simone Valtieri

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Shutterstock/Italyan

a velocità va ricercata nei dettagli, e nel motorismo sportivo questo è un dogma. Le stagioni 2022 di MotoGP e Formula 1 sono partite all’insegna della ricerca tecnologica estrema, con alcune soluzioni inedite. Nelle due ruote, i tecnici Ducati si sono inventati un abbassatore anteriore della forcella (“ride height device”) che sposta il baricentro della moto, consentendo una maggiore accelerazione, e ne limita l’impennata (dispositivo, peraltro, già bandito a partire dal 2023 anche per gli alti costi di sviluppo e realizzazione). Tra le auto, la Mercedes si è presentata al via della stagione con una monoposto praticamente senza “pance” laterali, una soluzione che però finora non ha dato i frutti sperati. Per capire perché si battono vie così estreme, dobbiamo parlare dell’aerodinamica, quella branca della fluidodinamica che studia l’interazione tra aria e corpi solidi e che produce la perfetta simbiosi tra uomo e macchina, che si fondono per sfidare (e domare) le leggi della fisica. NON SOLO CAVALLI La potenza del motore riveste da sempre un’importanza capitale in queste gare, ma se fino a qualche anno fa bastava aumentare i cavalli, oggi per vincere è fondamentale saper ridurre al minimo la resistenza dell’aria. Per le moto, l’aerodinamica ha influito sull’estetica in modo evidente nelle ultime decadi, ma nelle auto di Formula 1 tale processo è iniziato molto prima: basta dare una rapida scorsa all’evoluzione delle monoposto dagli anni ’50 a oggi. Agli albori della loro storia, infatti, quei bolidi da 300 km/h apparivano come grossi sigari, con la testa, il busto del pilota e le quattro ruote che spuntavano dalla carrozzeria e che costituivano un freno all’avanzamento. Tale forma comportava enormi pericoli, soprattutto in curva, dove questi razzi tendevano a ribaltarsi con conseguenze spesso nefaste. Focus | 93


COME RAZZI La Mercedes-AMG W13 E Performance del 2022. Il design rivoluzionario delle pance, molto poco pronunciate, sfrutta una tecnologia aeronautica mutuata da una azienda inglese specializzata in razzi. Ma non ha portato i risultati sperati.

Fu così che, verso la fine degli anni ’60, iniziarono a spuntare le prime ali anteriori e posteriori, con sezione a goccia. La loro funzione era quella di fendere l’aria in rettilineo e di sfruttarne la spinta per schiacciare le macchine a terra, aumentando l’aderenza e la velocità in curva. Si trattò di una rivoluzione, ma che non risolse i problemi di sicurezza: il fragile meccanismo che permetteva al pilota di regolare l’inclinazione dell’ala (con una levetta) si traduceva spesso in una perdita istantanea di aderenza, con incidenti talvolta letali. La Federazione impose allora che le appendici divenissero fisse, e così la ricerca aerodinamica poté proseguire. ALETTONI E GALLERIE Negli anni ’70, progettisti come il britannico Colin Chapman e l’italiano Mauro Forghieri iniziarono a studiare i fenomeni fluidodinamici ancora oggi alla base della progettazione delle auto di Formula 1. La Lotus 78, realizzata da Chapman, fu la prima auto, per esempio, a sfruttare il cosiddetto “effetto suolo” (o effetto “Venturi”), ossia l’insieme delle azioni generate dallo strato d’aria che corre sotto la vettura. In pratica, riducendo le turbolenze e scolpendo il fondo per incanalare i flussi, si riusciva a creare una forte deportanza con possibilità di scaricare a terra tutta la potenza del motore. Per via della sua pericolosità, però, l’effetto suolo fu bandito nel 1983, poiché bastava che la macchina si sollevasse di qualche centimetro (magari dopo un urto) per far cessare il “risucchio” verso terra (la troppa aria immessa avrebbe fatto letteralmente decollare l’auto). È proprio grazie al continuo equilibrio tra la ricerca delle velocità estreme e quella della massima sicurezza che le vetture di Formula 1 hanno continuato ad evolversi. Negli anni ’80 e ’90, bandito l’effetto suolo, si tornò a lavorare sulle ali (che divennero sempre più grandi ed elaborate) e sulla forma di musetti (più o meno alti), fianchi (sempre più stretti) e retrotreni delle vetture, cercando di ottimizzare i flussi aerodinamici. La continua importanza dei dettagli condusse all’utilizzo delle gallerie del

COME ALI Il campione del mondo Max Verstappen sulla Red Bull le cui pance assomigliano ad appendici alari. Sembrano funzionare meglio.

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vento (vedi Focus 341) nelle quali le monoposto (replicate in scala 1:4 o 1:2), invece di muoversi nell’aria, vengono ancorate all’interno di un cilindro in cui un enorme ventilatore spara il “vento” a intensità regolabile. Fu allora che le auto iniziarono a essere sempre più scolpite dai flussi d’aria, venendo “arricchite” delle varie appendici (un’ala, un deviatore di flusso, una presa d’aria) utili a portare un guadagno di decimi sul giro. TROPPO VELOCI Si è così arrivati a produrre automobili sempre più veloci, ma con un enorme problema, generato indirettamente dell’aerodinamica: la mancanza di sorpassi. Grazie all’enorme efficienza raggiunta, infatti, le auto avevano prestazioni troppo simili, con gomme che risentivano enormemente dei flussi di scarico delle vetture davanti, deteriorandosi in breve tempo senza permettere, per il disturbo generato dai vortici, di seguire da vicino l’avversario. I progettisti hanno deciso perciò di reintrodurre un’ala mobile, il cosiddetto DRS (Drag Reduction System, sistema di riduzione della resistenza aerodinamica), il cui utilizzo è consentito solo a chi deve sorpassare e che, una volta aperto, riduce la resistenza all’aria, permettendo un notevole aumento della velocità. Paradossalmente, quando le auto diventano troppo efficienti, si riducono sorpassi e spettacolo, e così i regolamenti vengono modificati ciclicamente per farle andare... più lente. È quanto accaduto quest’anno, con una serie di modifiche che hanno rivoluzionato la Formula 1: l’aerodinamica delle ali è stata semplificata, è stato reintrodotto l’effetto suolo (con standard di sicurezza ben più elevati che in passato), ma senza limitare l’estremizzazione di altre componenti, come le fiancate e i fondi.


Nell’ottica di una Formula 1 più economica si sta valutando l’ipotesi di bandire le gallerie del vento nel 2030, delegando soltanto alla simulazione al computer, peraltro già utilizzata, la progettazione degli elementi aerodinamici. La corrispondenza tra i dati teorici e quelli reali, in ogni caso, è fondamentale, e per questo quando si porta in pista una nuova monoposto, si utilizzano altri strumenti per verificare l’efficacia del lavoro progettuale. Durante i test vengono montate

enormi griglie nel posteriore o in prossimità delle prese d’aria anteriori e piccole torrette dette “tubi di Pitot” per rilevare la velocità dei flussi d’aria. Oppure si spruzza una vernice oleosa di colore fluo (flow-viz) su alcune componenti del telaio. La monoposto viene quindi mandata in pista: la vernice si asciuga, ma la sua parte oleosa si diffonde e si propaga, spinta dall’aria, lungo la vettura, disegnando letteralmente i flussi aerodinamici che si creano sulla superficie.

Daimler AG-Mercedes-Benz Grand Prix Ltd.

Alessio De Marco/LiveMedia/Sipa/Mondadori Portfolio

OLTRE LA GALLERIA DEL VENTO

Lo spettacolo, in termini di sorpassi per esempio, è aumentato, anche se sono riemersi alcuni problemi già noti in passato come il bottoming e il porpoising, due diversi tipi di “saltellamento” della vettura dovuti a una discontinuità dell’effetto suolo.

ANP/Getty Images

PROIETTILI CON LE ALI Passando alle due ruote, l’evoluzione aerodinamica è stata differente. Le moto sono leggere e hanno motori piccoli, capaci di generare grandi velocità (anche superiori a quelle di una Formula 1), ma la prestazione sul giro si trova soprattutto in curva, dove vanno molto più lente delle auto e l’aerodinamica influisce poco. Confrontando le moto da corsa degli anni ’50 con quelle di pochi anni fa, le differenze non sono così marcate. In particolare, le carene risultano più ampie per inglobare il motore (soprattutto per ragioni di sicurezza) e le forme sono più rastremate. Il telaio si è inoltre evoluto per permettere al pilota di “rannicchiarsi” sui rettilinei, con casco e gambe sporgenti il meno possibile, per non offrire più resistenza all’aria di quella della moto stessa. L’idea di introdurre appendici aerodinamiche

CAMPUS HI-TECH Il reparto progettazione del team Mercedes di Formula 1 a Brackley (Uk): vi lavorano oltre 250 persone. Hanno a disposizione algoritmi di intelligenza artificiale e una galleria del vento che permette di testare modelli di dimensione 60% rispetto al reale.

risale invece al 2015. Inizialmente, tale scelta fu bandita perché le alette sporgenti erano considerate pericolose in caso di sorpasso; ma l’idea era valida, e venne regolamentata (inglobandole nel cupolino, limitandone la sagoma e progettandole con forme arrotondate). In pratica, ciò ha permesso alle moto di aumentare il carico aerodinamico e di rendere più aderente e stabile soprattutto la ruota anteriore. SOLUZIONI GENIALI I bolidi della MotoGP hanno iniziato a cambiare sensibilmente aspetto solo negli ultimi anni. Gran parte del merito va alla Ducati, tra le Case più attive a introdurre novità tecniche poi copiate dalla concorrenza. Già detto dell’abbassatore anteriore, resta legale quello posteriore (il cosiddetto “holeshot”, che sfrutta il peso del pilota per abbassare il centro di gravità della moto e migliorarne l’aderenza), così come l’appendice a cucchiaio posta sotto al telaio, che incanala l’aria verso la gomma posteriore per raffreddarla. «L’aerodinamica negli anni è stata poco affrontata in MotoGP, in Ducati invece crediamo che sia un terreno che possa permettere grandi e significativi miglioramenti», ha affermato in proposito Gigi Dall’Igna, capo progettista Ducati. E se lo dice lui, ideatore di quasi tutte le diavolerie elencate, c’è da fidarsi.

Le nuove monoposto di Formula 1 sfruttano l’effetto suolo, grazie a fondi scanalati che agiscono come “ventose” sull’asfalto Focus | 95


Domande Risposte INSERTO SPECIALE !

LA SCIENZA IN PILLOLE

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ANIMALI CON CHI L’EVOLUZIONE SEMBRA ESSERE PIÙ INDECISA?

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ANIMALI

COME SAPERE QUANTI ANIMALI CI SONO IN UNA GIUNGLA? UN TEMPO ESISTEVA SOLO L’ANNOTAZIONE DIRETTA DI OGNI AVVISTAMENTO. ORA BASTA UN’ANALISI DELL’ARIA.

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l metodo classico è quello dei “transect”, l’attraversamento a piedi di luoghi selvaggi, annotando ogni avvistamento o traccia, e poi estrapolando il tutto all’intera area, ma il sistema è lento e impreciso. Oggi però si può fare la stessa cosa “annusando l’aria”. Lo ha annunciato su Current Biology Kristine Bohmann dell’Università di Copenaghen, dopo aver testato nello zoo della capitale danese un metodo ad alta sensibilità di analisi del Dna: «Abbiamo filtrato le particelle contenute nell’aria di appena tre punti dello zoo, identificando in essi il genoma di 49 specie diverse di animali», spiega Bohmann. «E non solo di quelli nelle gabbie, ma anche di quelli chiusi in edifici, di quelli che vivono intorno allo zoo e persino della carne data come cibo».

ANALISI. Gli animali emettono Dna in aria

perdendo pelo e scaglie di pelle o anche solo respirando: fino a poco tempo fa sarebbe stato impossibile riuscire a identificare tracce così minute, ma le nuove tecniche di amplificazione e analisi consentono, per esempio, di sapere quali uomini e animali preistorici abitassero una grotta analizzandone il terreno, o quali animali frequentino un tratto di mare o fiume, analizzandone l’acqua. «Poter fare ora la stessa cosa con l’aria ci permetterà di censire le specie in un’area selvatica con precisione e rapidamente, magari prelevando i campioni da aerei, predisponendo così misure di protezione più efficaci».

Alex Saragosa


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IL 5G È PIÙ SICURO DEL PROSCIUTTO?

Una pila carica pesa più di una scarica?

UN CONFRONTO TRA I RISCHI PER LA SALUTE DELLE CARNI LAVORATE E QUELLI DELL’ULTIMO STANDARD TELEFONICO.

A diversificare una pila carica da una scarica è la disposizione degli elettroni e non la massa, che rimane inalterata. Di conseguenza, in una pila tradizionale, allorché questa va scaricandosi, non si registrano variazioni di peso. Niente perdite (o quasi). Le pile funzionano in base a un processo chimico in cui una sostanza cede elettroni a un’altra (creando un flusso tra il polo negativo e quello positivo), fino al verificarsi di una situazione di equilibrio, che subentra quando una pila è scarica. In questo processo, essa non disperde la propria materia, mantenendo inalterato il numero degli elettroni, seppure con una nuova configurazione. Una teorica variazione esisterebbe, ma irrilevante. Stando alla celebre equazione di Einstein E=mc 2 – riguardante la relazione tra energia (E) e massa (m) di un sistema fisico (la “c” è la velocità della luce) – la massa di una pila carica supererebbe quella di una scarica di qualche milionesimo di grammo, non misurabile con alcuna bilancia. M.L.

S

ì: è la bizzarra comparazione usata in una guida dal titolo Capire il 5G, a cura dell’associazione di categoria Etno (European Telecommunications Network Operators), che rappresenta i principali operatori di telefonia europei, per dimostrare che la rete 5G non è pericolosa. Molti studi, infatti, hanno confermato che lo standard di quinta generazione della telefonia mobile non è dannoso per l’uomo. Tuttavia, la diffusa disinformazione ha portato molte persone a non crederci e a compiere azioni culminate in atti vandalici contro le antenne e ad attacchi contro operatori delle telecomunicazioni. RISCHI EFFETTIVI? Così, nella guida è riportato quanto stabilito dalla Iarc, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro: le carni lavorate hanno una classificazione più alta rispetto ai segnali radio perché ci sono prove più forti che mangiarle potrebbe causare il cancro negli esseri umani. Più in dettaglio, la Iarc colloca i segnali radio nella stessa categoria di rischio delle verdure in salamoia riguardo alle probabilità di causare la malattia, vista la mancanza di prove sufficienti sui rischi effettivi. Al di là delle tesi di complotto, dunque, il 5G non comporterebbe più pericoli di molti altri elementi o situazioni della nostra vita quotidiana.

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Roberto Mammì

Quanto può costare un elettrodomestico inutile? E sattamente 699 dollari. Era il prezzo di Juicero (nella foto), un piccolo elettrodomestico venduto sul mercato Usa come mezzo per


na grande quanto un grano di sale grosso, e che nonostante ciò produce immagini di ottima qualità. Miniaturizzare le fotocamere è uno sport a cui si dedicano da decenni gli ingegneri, allo scopo, per esempio, di dotarne gli smartphone. Adesso l’ingegnere elettronico Ethan Tseng, della Princeton University, ha annunciato su Nature Communications di aver raggiunto un nuovo record, costruendone una grande quanto un chicco di riso. La sua lente è costituita da una superficie trasparente piana di nitruro di silicio, che, grazie a una foresta di 1,6 milioni di cilindretti nanometrici scolpiti al laser, concentra la luce che arriva da un angolo molto ampio sul retrostante microchip, che la converte poi in una immagine a colori. Speciali hardware e software correggono la visione della fotocamera, ottenendo immagini molto più nitide di quelle dei micromodelli precedenti. Al buio. La tecnologia innovativa usata da Tseng offre interessanti prospettive: non solo potrà essere usata per costruire dispositivi ancora più piccoli, per esempio per ottenere immagini dall’interno del corpo o per dotare di occhi dei microrobot, ma anche per trasformare intere superfici piane in lenti: tutto il lato di uno smartphone, per esempio, potrebbe diventare un grande collettore di luce e così letteralmente permettere al dispositivo di “vedere nel buio”. A.S.

Princeton University

Qual è la più piccola fotocamera del mondo? U

Il wi-fi sa se sei felice?

Mondadori Portfolio

I

ottenere a casa fantastici succhi di frutta senza alcuna fatica. Insieme all’apparecchio, infatti, la startup californiana che l’ha ideato fornisce dei sacchetti contenenti pezzetti di frutta sottovuoto, in diverse combinazioni di sapori, che semplicemente vanno inseriti in un apposita fessura del Juicero per ricavarne una fresca e salutare bevanda. L’idea ha raccolto ben 120 milioni di dollari di finanziamenti.

n futuro sì. I ricercatori del Computers Science and Artificial Intelligence Laboratory (Csail) del Mit hanno creato un dispositivo, EQ-Radio, che via wireless identifica le emozioni di chi gli si avvicina, come felicità, tristezza e rabbia, con un’accuratezza dell’87%. Come funziona. Il dispositivo misura il battito cardiaco (con la precisione di un elettrocardiogramma, margine stimato: 0,3%) e il respiro (senza sensori o fotocamere), utilizzando segnali wireless che arrivano al corpo e tornano al dispositivo, dove specifici algoritmi analizzano le piccole variazioni negli intervalli dei battiti cardiaci per determinare l’umore. L’invenzione potrebbe essere utilizzata nelle smart TV per misurare con maggiore precisione la risposta degli spettatori, per offrire contenuti e suggerimenti di app, ma anche per aiutare a monitorare condizioni psicologiche critiche come ansia e depressione. I.P.

Con le mani. La macchinetta funziona perfettamente, il problema è emerso quando un articolo su Bloomberg ha rivelato che in realtà, per quanto stilosa, è del tutto inutile. Per ottenere lo stesso risultato, cioè un bicchiere di succo di frutta, basta schiacciare tra le mani i preziosi sacchetti. La risposta dell’azienda è stata rapidissima: ora il prezzo di Juicero è sceso a 399 $. I.C.

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AMORE E SESSO

Sono più soddisfatti del matrimonio i belli o i brutti? I brutti. Una ricerca pubblicata sul Journal of Family Psychology ha invitato 82 coppie a parlare di un problema personale col coniuge e quindi a compilare un questionario su come si era svolta la discussione. Risultato? Le coppie in cui entrambi i coniugi erano attraenti erano soddisfatte in modo analogo a quelle in cui nessuno dei due lo era. Tutto cambiava, però, se il livello di “perfezione estetica” nella coppia era sbilanciato: la moglie bella tendeva a comportarsi in modo più costruttivo con il marito bruttino, ma questo non accadeva se era lui a essere in modo evidente più bello di lei. Gli uomini piacenti si dichiaravano anche meno soddisfatti del matrimonio. Neppure le loro mogli, del resto, sembravano felici: spesso tendevano a comportarsi in modo ostile e negativo nei loro confronti. I.P.

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BACI PERICOLOSI Con un solo bacio di 10 secondi si trasmettono 80 milioni di batteri.

CI SONO PAESI IN CUI NON CI SI BACIA?

IN ALCUNE CULTURE LE COPPIE EVITANO DI BACIARSI. FORSE LA SPIEGAZIONE È BIOLOGICA.

S

ì. Anche se nella tradizione occidentale è uno dei simboli dell’erotismo, in alcune parti del mondo il bacio romantico è considerato addirittura “disgustoso”. A scoprirlo è stata una ricerca dell’Università dell’Indiana (Usa) che ha analizzato 168 culture sparse per il globo, rilevando che solo il 46% di esse utilizza il bacio (inteso come il contatto tra le labbra di due persone) a fini romantici o sessuali. RAGIONI BIOLOGICHE? Nel dettaglio, ci si bacia soprattutto in Medio Oriente, in Nord America, Europa e Asia, mentre tale effusione è assente in molte popolazioni indigene dell’America Centrale, dell’Africa Subsahariana, della Nuova Guinea e dell’Amazzonia. I ricercatori hanno dedotto che più una società è stratificata, maggiore è la frequenza dei baci romantici, ma non è chiaro perché alcune culture li ripudino. Alla base ci potrebbe essere una spiegazione biologica: baciare qualcuno può infatti comportare la trasmissione di agenti patogeni potenzialmente pericolosi in società con scarsa igiene orale. Massimo Manzo

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Guardare troppi porno fa male al sesso? Sembra di sì. Lo suggerisce uno studio condotto da ricercatori belgi e danesi su un campione di 3.267 uomini, eterosessuali e no, assidui utilizzatori di materiale pornografico. La ricerca ha messo in relazione il tempo medio di visualizzazione di video hot con il grado di disfunzione sessuale dei partecipanti e i risultati sono stati discussi al congresso dell’Associazione Europea di Urologia. È così emerso come un

intervistato su quattro abbia riscontrato livelli variabili di disfunzione erettile durante i rapporti e, sebbene il 65% del totale ritenesse che il sesso fosse più eccitante della visualizzazione di filmati espliciti, il 20% del campione ha dichiarato che, per portare a termine un rapporto soddisfacente, necessitava dell’aiuto di immagini spinte. Non bisogna semplificare però: la disfunzione erettile è un disturbo

le cui cause includono anche il fisiologico calo della libido, l’abuso di alcol e l’obesità. S.V.

Si può migliorare un rapporto in sette minuti? F

Chi si sente sexy ha meno freddo?

orse. Sette minuti è il tempo sufficiente per svolgere un esercizio che manterrebbe alta la soddisfazione coniugale: scrivere del più recente conflitto avuto con il partner assumendo il punto di vista di un’ipotetica terza persona che desidera il bene di entrambi. Per restare felici insieme basterebbe farlo tre volte l’anno, secondo uno studio della Northwestern University (Usa). Disaccordi. Per 2 anni, periodicamente, i partner di 120 coppie hanno riferito i loro disaccordi valutando il matrimonio secondo variabili quali soddisfazione, amore, intimità, fiducia, passione e impegno. Nell’arco del secondo anno, ogni 4 mesi, metà delle coppie ha svolto l’esercizio. Dopo il primo anno, entrambi i gruppi avevano riportato un minor livello di soddisfazione coniugale rispetto all’inizio della ricerca. Un declino annullato nel secondo anno dal compito dei 7 minuti: le coppie che lo avevano svolto erano tornate felici, pur litigando quanto le altre. Insomma: allenarsi a vedere i motivi di disaccordo dall’esterno migliora il rapporto e rende più felici. M.Z.

S

embra di sì. Secondo uno studio pubblicato sul British Journal of Social Psychology, la sensazione di freddo per una donna diminuisce se indossa vestiti succinti e scollati con la convinzione di dare un’immagine di sé più sexy. I ricercatori hanno intervistato 224 donne prima che entrassero in un locale per 5 fine settimana, con temperature tra i 4 °C e i 10 °C. Piacerò? Hanno chiesto loro se e quanto a lungo, quella sera prima di arrivare, avessero pensato alla propria sensualità e poi quanto freddo stessero provando in quel momento, davanti all’ingresso del locale. Risultato: chi si era sentita sexy era anche meno consapevole di quanto freddo stesse provando, al contrario di chi non aveva fatto particolari pensieri sulla propria immagine e che invece avvertiva di più il freddo. Secondo i ricercatori, si tratta dell’ennesima dimostrazione del fatto che chi dà la priorità a fattori esterni come lo sguardo degli altri su di sé è anche meno sensibile e attento ai propri bisogni, compresi quelli primari. F.S.

Focus | 133


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