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COME FANNO

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GELATO A DIRE

GELATO A DIRE

I CANI A SAPERE QUANDO RIENTRIAMO?

ARRIVI O NO?

La sguardo preoccupato di un cagnolino in attesa del suo padrone.

Agli elefanti piacciono i visitatori degli zoo?

Sembra di sì: la loro attività sociale infatti aumenta durante i pasti consumati davanti agli umani, e anche i comportamenti ripetitivi, ritenuti un segno di noia, diminuiscono, specialmente in presenza di folle numerose vicino ai recinti. Dopo questi eventi “mondani” i pachidermi si mostrano in generale anche più attivi. Compagnie. Se ne sono accorti alcuni etologi delle Università di Nottingham Trent e Harper Adams (nel Regno Unito) dopo aver analizzato oltre 100 articoli scientifici riguardo all’impatto che l’accesso dell’uomo agli zoo ha sul comportamento di oltre 250 specie animali. Anche i cacatua, pappagalli di origine australiana, sembrano stimolati dalla presenza umana, che incoraggia i loro comportamenti sociali; mentre la corella beccolungo (Cacatua tenuirostris), un altro uccello della famiglia dei Cacatuidi, trascorre la maggior parte del tempo dei giorni “clou” delle visite ancora più vicino agli umani, come se ne amasse la compagnia. Un impatto positivo dell’uomo agli zoo si osserva anche su pinguini, giaguari e grizzly, mentre non amano le nostre intrusioni struzzi, ricci, molti ungulati e marsupiali, e il tuatara (Sphenodon punctatus). E.I.

Non hanno un “orologio interno” né il senso del tempo come lo intendiamo noi, ma hanno capacità che li rendono abilissimi ad accorgersi di elementi che noi trascuriamo e che consentono loro di sapere quando qualcuno sta rientrando a casa: per esempio, grazie al loro udito sopraffino possono riconoscere la nostra auto che si avvicina molto prima di quando siamo sotto il portone. PICCOLI RUMORI. Oppure, possono percepire suoni minimi che provengono da un vicino o da un oggetto come una sveglia e che si ripetono sempre allo stesso orario, oppure ancora possono accorgersi della diversa inclinazione della luce nell’arco della giornata e associarla all’ora del nostro rientro. Questi indizi, a cui noi non facciamo caso, servono ai cani per sapere che è l’ora della pappa, del rientro del padrone, della passeggiata e così via. E se quando siete stati via pochi minuti venite accolti da feste come se foste stati via ore, non è strano: pare che per i cani il tempo scorra più lento, a Fido un quarto d’ora è sembrato un’eternità.

Elena Meli

Gli scimpanzé possono imparare la lingua dei segni?

anche se il loro linguaggio non è articolato come quello umano. Negli anni ’60 e ’70, diversi ricercatori si sono occupati di instaurare una comunicazione con i primati. Il primo con cui si è riusciti a “dialogare” è stato lo scimpanzé Washoe, con l’aiuto di Beatrix e Allen Gardner dell’Università del Nevada. Quando aveva circa tre anni, era in grado di riprodurre più di cento parole, identificando oggetti (aeroplano, banana...). Riusciva anche a creare nuove parole per descrivere concetti per lui nuovi: definì “uccello acquatico” un cigno. Al momento della sua morte, nel 2007, Washoe usava 250 segni ed era in grado di avanzare richieste, anche se la grammatica non era sempre corretta. Maestro. Washoe “adottò” poi uno scimpanzé di 10 mesi, chiamato Loulis, che imparò da lui la lingua dei segni: lo aiutava a formare i termini toccandolo con la zampa oppure glieli mostrava più volte fino a che non li imparava. Soltanto il 5% dei segni che Washoe utilizzava riguardava il cibo, mentre l’88% avevano a che fare con interazioni sociali. La femmina di gorilla Koko (19712018) divenne invece la prima della sua specie a utilizzare il linguaggio dei segni grazie alla psicologa animale Francine Patterson. Secondo la studiosa Usa, Koko aveva addirittura ideato una sua propria “lingua dei segni dei gorilla”. I.P.

Come si riconosce l’età di un pesce?

In due modi: dagli “anelli” di crescita sulle sue squame o dalle strutture ad anello che si trovano negli otoliti (piccole ossa dell’orecchio interno). Il secondo metodo, per quanto si possa svolgere solo dopo la morte dell’animale, è più affidabile: le strutture calcificate o dure di un pesce ne mostrano la crescita attraverso anelli, costituiti da strati sottili, che si accumulano nel corso della vita e che contati indicano con approssimazione l’età del pesce, un po’ come accade per gli alberi. L’età può però essere valutata anche con il pesce ancora in vita, osservando le squame con un microscopio: si possono distinguere cerchi concentrici, che indicano l’età del pesce. Le squame, tuttavia, possono staccarsi e ricrescere, il che potrebbe causare stime imprecise. Inoltre, gli anelli sono difficili da distinguere in alcune specie e nei pesci più anziani. Longevità. Il metodo più preciso implica quindi l’osservazione degli otoliti: i cerchi concentrici qui presenti, chiari e scuri, rivelano le fasi di crescita. Quelli più chiari indicano uno svilluppo più veloce, che in genere si verifica nei mesi caldi; quelli scuri una crescita più lenta, tipica dei mesi invernali. Le informazioni sulla longevità delle creature acquatiche sono comunque ancora scarse, ma gli scienziati hanno appreso che, nelle acque temperate, la maggior parte delle specie vive da 10 a 20 anni circa. I.P.

Esiste un orinatoio che impedisce gli schizzi?

Sì. Ha un’apertura stretta e una superficie interna curva che annulla la fuoriuscita di goccioline. Per progettarlo, alcuni scienziati dell’Università di Waterloo (Canada) hanno studiato come i cani alzano la zampa per fare pipì, supponendo che sappiano istintivamente come non sporcarsi. In più, hanno sperimentato una serie di orinatoi, sparando getti di fluidi colorati a diverse velocità, altezze e angolazioni. Per determinare cosa producesse la maggior quantità di spruzzi, hanno raccolto e pesato il liquido sul pavimento. Zero gocce. Così hanno calcolato l’angolo tra il getto di pipì e la superficie d’impatto che provoca meno schizzi: deve essere uguale o inferiore ai 30 gradi. Infine, hanno pensato una superficie rispetto alla quale qualsiasi flusso di urina non superi mai questo angolo critico. Un vantaggio se si considera quanto sia facile “sbagliare”: per i ricercatori, circa la metà della popolazione mondiale maschile si sporca e inzacchera i bagni con schizzi accidentali da orinatoio. M.Z.

GLI OLOGRAMMI SI POTRANNO TOCCARE?

Èl’obiettivo dei ricercatori dell’Università di Glasgow, in Scozia, che hanno realizzato un dispositivo in grado di far toccare le riproduzioni olografiche. Il sistema, chiamato Aerohaptics, si basa sull’emissione di getti d’aria, le cui intensità e direzione possono essere regolate con precisione per simulare il contatto fisico sulla pelle degli utenti. Gli oggetti virtuali rispondono quindi ai movimenti della mano, con i piccoli getti d’aria opportunamente controllati per ricreare la sensazione tattile su dita, mani e polsi delle persone che interagiscono con l’ologramma. Con Unity Game Engine, un software di computer grafica generalmente impiegato per creare oggetti e ambientazioni 3D nei videogiochi, i ricercatori possono proiettare un’immagine bidimensionale all’interno di una piramide di vetri e specchi. IMMAGINI. L’utente inserisce quindi le mani all’interno dell’unico lato aperto della piramide, e interagisce con l’immagine che sembra sospesa nel vuoto. Sotto la piramide c’è invece un sensore che segue gli spostamenti di mani e dita, e un ugello regolato da un algoritmo che emette l’aria con le adeguate combinazioni di intensità e direzione.

Roberto Mammì

PER FINTA Toccare un ologramma è impossibile: è solo una proiezione.

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