LA FORMULA PER RIMANERE INSIEME
Quali sono gli ingredienti delle relazioni che resistono alla prova del tempo?
Dai litigi alla genetica: come la scienza studia le coppie felici.
Test: scoprite i punti di forza del vostro rapporto
PRISMA
dossier
rimanere insieme
28
FELICI E CONTENTI
Hanno passato da tempo l’innamoramento iniziale (i primi 2-3 anni), eppure restano insieme. Che cosa sa la scienza degli amori che durano.
La scienza
delle
coppie che durano
Scoprire e capire il mondo
34
L’AMORE AI RAGGI X
Misurando i livelli ormonali e altri parametri fisiologici è possibile capire se il rapporto “funziona” (e se continuerà anche in futuro).
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CHE TIPO DI COPPIA SIETE?
Ormai state insieme da un po’, ma esistono molti tipi di intesa. Scoprite qual è la vostra con questo test (che si può fare in coppia o anche da soli).
Sono sposato da 17 anni. Un bel traguardo, mi viene da pensare. Ma se guardo ai miei genitori, che sono rimasti uniti per 55 anni prima che una malattia li dividesse, o a Maria Teresa e Ottorino, i miei zii che in tema di amore mi hanno insegnato molto, il mio record scompare. Al di là dell’aneddotica personale, di cui ciascuno ha i suoi esempi da raccontare, mi sono sempre chiesto che cosa faccia durare un amore così a lungo, una volta finita quella fase (bellissima) dell’innamoramento. Ho chiesto a Raffaella Procenzano di indagare la cosa alla luce degli studi scientifici più recenti (pag. 28) e ho scoperto che non sono i grandi gesti a fare la differenza, ma le piccole attenzioni quotidiane, la profonda conoscenza reciproca e l’impegno condiviso nel mantenere viva la relazione. Sorprendentemente, la qualità dell’amicizia tra i partner è un fattore cruciale: permette di superare i conflitti, di perdonarsi e di guardare con tenerezza i difetti dell’altro. Anche la genetica gioca un ruolo importante: alcune combinazioni di geni sembrano infatti favorire un legame più forte e duraturo. Non solo, il lavoro di Raffaella mi ha permesso di capire come si studiano i rapporti di coppia con un approccio serio e scientifico, così da valutare meglio le decine di studi che vengono pubblicati su questo tema (pag. 34) e che non sempre sono rigorosi o definitivi. Insomma, il tema di copertina può sembrare leggero, ma è molto profondo e complesso: un cocktail di emozioni e ormoni che la scienza sta iniziando a decifrare, offrendoci preziosi spunti per discuterne con il nostro partner, magari al mare, sotto l’ombrellone. Peraltro, il test di coppia a pag. 40 può essere un buon punto di partenza.
Gian Mattia Bazzoli (gianmattia.bazzoli@mondadori.it)
42 astronomia
100 ANNI DI CIELI IN UNA STANZA I planetari festeggiano il loro centenario. Storia, curiosità e tecnologie di questi luoghi affascinanti.
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La nostra lingua discende da un idioma parlato 5mila anni fa nelle steppe tra Europa e Asia.
psicologia GLI ESTREMI DELLA FANTASIA
La capacità di immaginare non è uguale per tutti, c’è chi sa “vedere” i propri pensieri.
64 scienza
VERSO UNA INTERNET QUANTISTICA
In Italia e nel mondo una nuova ondata di tecnologie basate sulla luce promette di rivoluzionare la sicurezza delle nostre comunicazioni.
68 scienza DALL’ELETTRONICA ALL’ATOMTRONICA
Manipolando i gas con la luce laser, è possibile creare circuiti in cui gli atomi scorrono seguendo le strane leggi della meccanica quantistica.
74 sport LE DUE FACCE DELLA MEDAGLIA
Dal maratoneta che si addormenta agli atleti-amici che si dividono l’oro. Il lato poco noto delle Olimpiadi.
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Così il clima sta cambiando il turismo, che dovrà diventare sostenibile.
88 alpinismo
K2 IERI E OGGI
Settanta anni fa la conquista della seconda vetta del Pianeta. Tecnologie di allora e odierne a confronto.
94 storia
GLI ACQUANAUTI E LA CONQUISTA DEGLI ABISSI
Pagine
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Un migliaio di pionieri ha vissuto in un habitat sotto il mare, affrontando sfide sempre più audaci. 104 animali I SIGNORI DELLA NOTTE
Sono gli unici mammiferi in grado di volare e hanno un supersistema immunitario. Viaggio tra i pipistrelli.
112 astronomia
SE CI FOSSE UNA TEMPESTA SOLARE
Rischieremmo un black-out totale di energia e satelliti, con conseguenze molto serie su tutti gli aspetti della nostra vita. 118 botanica IL GIARDINO DEI CLONI
Alcune piante hanno semi senza fecondazione. E se sfruttassimo questo sistema in agricoltura?
cinghiale: in Italia ce ne sono 1,5 milioni di esemplari
trovi anche su:
100 anni di CIELI IN
Sono i teatri delle stelle, in cui molti di noi sono andati almeno una volta, magari ai tempi della scuola. Parliamo dei planetari, luoghi dove la divulgazione scientifica si combina con l’intrattenimento. Tra l’ottobre del 2023 e il maggio del 2025, che coincidono con i centenari di date significative (v. scheda 1), i planetari moderni festeggiano il primo secolo della loro storia. «Il centenario celebra il loro grande valore didattico e comunicativo», spiega Dario Tiveron, presidente di PLANit, l’Associazione dei Planetari Italiani. Nel nostro Paese sono presenti oltre 130 planetari, di varie dimensioni, coordinati proprio da
PLANit, che ogni anno ospitano complessivamente oltre 400.000 appassionati e curiosi di tutte le età. «Sono luoghi di cultura che introducono grandi e piccoli alle meraviglie del cielo stellato».
LA MAPPA DI QUELLI ITALIANI
Nei planetari si può viaggiare tra stelle e galassie, simulare tutti i movimenti celesti, vedere da vicino pianeti e lune, far scorrere il tempo in modo accelerato per vedere cosa accade... Se quest’estate volete visitare un planetario, potete individuare il più vicino a voi nella mappa che si trova alla pagina www. planetari.org/centenario. Sarà un’esperienza emozionante!
I planetari festeggiano il loro centenario. Ecco storia, curiosità e tecnologie di questi luoghi affascinanti che in Italia attirano oltre 400.000 visitatori l’anno.
UNA STANZA
SUGGESTIVO
Il planetario di Valencia (Spagna), noto come Hemisfèric, si trova alla Città delle Arti e delle Scienze. Il complesso è stato progettato da Santiago Calatrava e Félix Candela.
4 PLANETARI ANTICHI
Già nell’antichità sono stati molti i tentativi di riprodurre il cielo stellato e i suoi movimenti. Si dice, per esempio, che Archimede (III sec. a.C.) avesse realizzato un dispositivo che mostrava il movimento del Sole, della Luna e dei pianeti. Il Globo di Gottorf, costruito intorno al 1650, consentiva invece di entrare in una sfera di 3,1 metri di diametro, con le stelle dipinte sulla superficie interna, che ruotava attorno a un asse riproducendo il moto di rotazione terrestre. Nel XVIII secolo videro la luce i planetari meccanici, realizzati in Inghilterra per i nobili dai più famosi orologiai. Un caso a parte è il planetario costruito tra il 1774 e il 1781 a Franeker (Paesi Bassi) da Eise Eisinga, un cardatore di lana appassionato di astronomia. Installato sul soffitto della sua casa (foto), mostra il moto dei pianeti e le fasi della Luna, ed è ancora funzionante.
1 IL PRIMO PLANETARIO
L’idea di una macchina a proiezione che rappresentasse gli oggetti del cielo notturno e ne riproducesse i movimenti venne a Oskar von Miller, fondatore del Deutsches Museum di Monaco di Baviera agli inizi del Novecento. Von Miller si rivolse alla ditta Zeiss di Jena (Germania), esperta in apparecchi ottici, il cui ingegnere Walther Bauersfeld risolse il problema.
Il primo planetario moderno fu testato sotto una cupola di 16 metri di diametro sul tetto della Zeiss stessa (foto 1), e poi presentato a una platea ristretta il 19 ottobre del 1923 al Deutsches Museum. Qui, dopo alcuni perfezionamenti in fabbrica, aprì
Si dice che già
Archimede avesse
costruito una sorta di planetario nel III
secolo avanti Cristo
stabilmente al pubblico il 7 maggio del 1925. Nel 1928 aprì il planetario di Roma, il primo in Italia e uno dei primi al di fuori della Germania. Nel 1930 fu poi inaugurato quello di Milano, ancora oggi in funzione nella sua sede originaria.
2 IL PRIMO DIGITALE
Nel 1983, l’azienda americana Evans & Sutherland installò a Salt Lake City (Usa) il primo planetario digitale. Fu una rivoluzione: invece che dalla tradizionale macchina opto-meccanica, il cielo stellato era generato da computer (in base ai dati reali) e inviato sulla cupola con videoproiettori. All’inizio, questi sistemi
subivano la modesta risoluzione dei videoproiettori esistenti (le stelle erano “quadrate” come i pixel) e il loro costo era elevato, ma oggi questi dispositivi sono più economici e in grado di arrivare a risoluzioni di 12K e più.
A partire dal 2000 circa, i planetari digitali si sono molto diffusi, e oggi rappresentano la quasi totalità delle nuove installazioni. Hanno due vantaggi principali: il primo è che ci si può muovere nello spazio in tre dimensioni, viaggiando tra stelle e galassie. Il secondo è che si può proiettare qualsiasi tipo di contenuto: non solo il cielo stellato, ma anche immagini, filmati e animazioni.
3 PLANETARI E... ANIMALI
Vari ricercatori hanno usato i planetari per studiare il comportamento degli animali (insetti, uccelli e altri) nel cielo notturno in un ambiente controllato. Già negli anni Sessanta e Settanta, Stephen Emlen, biologo comportamentale della Cornell University (Usa), portò in un planetario del Michigan alcuni esemplari di zigolo indaco (Passerina cyanea), un uccellino passeriforme. Constatando che si orientavano con la zona di cielo attorno al polo nord celeste, l’unica quasi ferma nel corso della notte. Più di recente, uno studio dell’Università di Lund svolto in un planetario ha mostrato che gli scarabei
Le tecnologie digitali hanno rivoluzionato il mondo dei planetari, ma la tradizionale cupola c’è sempre
stercorari sono guidati dalla Via Lattea. Mentre Guido Dehnhardt, biologo marino dell’Università di Rostock (Germania), ha mostrato, in una sorta di planetario creato nella piscina dello zoo di Colonia, che la foca comune (foto 3) può utilizzare le stelle brillanti per orientarsi.
6 PER GLI ASTRONAUTI
Negli anni Sessanta, gli equipaggi delle missioni Mercury, Gemini e Apollo si addestrarono sotto la cupola di un planetario per essere in grado di orientarsi con le stelle in caso di emergenza. In particolare andarono al Morehead Planetarium, nel campus dell’Università
della Carolina del Nord a Chapel Hill, e alcuni anche al planetario del Griffith Observatory, a Los Angeles. Per mantenere il riserbo, quando c’era una loro sessione, si diceva che era “cookie time”, cioè “l’ora dei biscotti”. Quasi nessuno, allora, era infatti al corrente di questo programma di addestramento. Ancora oggi, negli istituti tecnici navali e aeronautici spesso c’è un planetario: se gli strumenti vanno in avaria, i piloti devono sapersi orientare con il cielo.
7 IL PIÙ GRANDE
Il planetario con la cupola di diametro maggiore (ben 37 metri) è quello di San
Pietroburgo (Russia). Per la proiezione (digitale) del cielo servono addirittura 40 videoproiettori. Il Planetarium 1, così si chiama, è stato inaugurato nel 2018 sfruttando l’edificio di un ex gasometro. La struttura comprende anche un museo dello spazio e aree con esperienze interattive di realtà virtuale.
Di dimensioni molto oltre la media (in genere i grandi planetari hanno cupole intorno ai 20 metri) è anche quello del Nagoya City Science Museum (Giappone): 35 metri. In Italia, i più grandi sono all’interno del parco a tema MagicLand di Valmontone (23 m) e a Milano (poco meno di 20 metri).
5 LE CUPOLE A LED
La grande novità degli ultimi anni nel mondo dei planetari sono le cupole a Led. La tradizionale cupola bianca, che di norma serve come schermo di proiezione ed è fatta in alluminio (traforato, per ragioni acustiche), in questo caso si trasforma in proiettore. Le cupole a Led sono quindi formate da una serie di spicchi grandi circa 30x20 cm sui quali sono collocati i Led. Complessivamente sono decine di milioni i pixel che contribuiscono a formare l’immagine. Nel mondo le cupole a Led sono ancora poche, anche a causa del loro costo molto elevato, e in Italia non ve ne è nessuna; la più vicina è a Praga, in corso di installazione, altre sono in Giappone e negli Usa. Ma, come capita con tutte le tecnologie, si diffonderanno quando il costo sarà minore.
8 PLANETARI ITINERANTI
Volete un planetario direttamente da voi, in una scuola o per qualche evento commerciale? Si può fare, grazie ai planetari itineranti, o portatili. In questo caso, lo strumento di proiezione digitale viene collocato sotto una cupola gonfiabile, che si può trasportare con una certa facilità. In pratica, è possibile affittare un planetario itinerante per qualche giorno o qualche settimana: l’operatore verrà nel luogo indicato, per esempio la palestra di una scuola, con tutto ciò che serve per installarlo. In Italia, ci sono diverse realtà che forniscono questo servizio.
botanica
Nel 1828 ai Kew Gardens di Londra arrivarono tre piante dall’Australia, tre cespugli di una specie sconosciuta somiglianti all’agrifoglio. E che producevano semi “impossibili”. Che cosa c’era di strano? Le piantine australiane erano tre “femmine”. Erano tra le piante in cui i sessi sono separati, con individui femmina e individui maschio (la maggior parte delle piante hanno invece fiori con organi riproduttivi sia femminili sia maschili, che producono sia ovuli sia polline). John Smith, curatore del giardino botanico, aveva verificato che non avevano “strutture riconducibili a un apparato riproduttivo maschile” e sapeva che ai Kew Gardens non c’erano piante imparentate da cui potesse arrivare il polline. Niente polline, niente fecondazione, niente semi. Eppure le tre piante continuavano a produrli e da essi nascevano piantine identiche alle “madri”. Dei cloni. La specie fu chiamata Caelebogyne – che si traduce come “donna celibe” – ilicifolia.
UNA RIVOLUZIONE NEI CAMPI?
Il meccanismo fu identificato circa mezzo secolo dopo: era l’apomissia, la riproduzione asessuale per seme. «La capacità di alcune piante di produrre il seme senza che avvenga la fecondazione: oggi conosciamo circa 400 specie che lo fanno», spiega Emidio Albertini, docente di genetica all’Università degli Studi di Perugia. Alcune le vediamo spesso, come il tarassaco o l’erba dei campi da calcio, Poa pratensis. L’apomissia è più di una curiosità botanica: potrebbe essere la chiave della prossima rivoluzione agricola. «Non è presente in piante di interesse agrario, tranne che in qualche agrume. Ma da anni si cerca di introdurla nelle piante più coltivate. I vantaggi? Dall’abbassare i costi per le sementi, soprattutto per i Paesi poveri, all’ottenere facilmente nuove varietà», dice Albertini. Il primo risultato è arrivato: è stata introdotta nel cereale più consumato al mondo, il riso. Per capire i vantaggi, chiariamo come funziona l’apomissia. Lo rivela l’etimologia del termine, dal greco apo, lontano, e mixis,
mescolanza. «Tendenzialmente in piante e animali c’è una cellula uovo che viene fecondata da una cellula spermatica: queste cellule sessuali (i gameti) hanno metà del corredo cromosomico delle altre cellule, dimezzato in un processo chiamato meiosi», spiega Albertini. Le nostre cellule hanno 46 cromosomi “appaiati” in 23 coppie, ovuli e spermatozoi ne hanno solo 23. E con la fecondazione si ricostituisce il giusto numero. «Nell’apomissia non avviene la meiosi e la pianta produce cellule uovo con lo stesso numero cromosomico delle cellule materne (v. disegno alle pagg. seguenti)», dice Albertini. Con una implicazione. «Nella meiosi c’è anche uno scambio di materiale genetico tra i cromosomi: è per questo rimescolamento che tutti i gameti e i figli di due stessi individui sono diversi», aggiunge Lucia Colombo, docente di botanica generale all’Università degli Studi di Milano. Con l’apomissia invece tutte le cellule uovo della pianta sono uguali e hanno il Dna della madre. «C’è poi il secondo passo: la cellula uovo non ha bisogno della fecondazione ma comincia a dividersi e inizia lo sviluppo dell’embrione. È la partenogenesi», spiega Albertini. La “nascita virginale” avviene anche negli animali: in alcuni insetti e in qualche caso in vertebrati come pesci o rettili (v. a pag. 127).
NIENTE SESSO, SIAMO APOMITTICHE
Le piante apomittiche quindi fanno a meno del sesso. Eppure, sottolinea Colombo, «la riproduzione sessuale è importantissima perché introduce variabilità, con la ricombinazione genetica e la fecondazione. Garantisce che nascano individui con caratteristiche diverse, che potrebbero rispondere meglio a cambiamenti dell’ambiente. Molte piante hanno organi sessuali maschili e femminili e potrebbero autofecondarsi, ma ci sono meccanismi che promuovono l’incrocio tra gameti di individui diversi. Grazie al trasporto del polline, che contiene i gameti maschili, da parte di insetti o vento». Perché allora usare l’apomissia? «Pensiamo sia stata utile per esempio nelle ricolonizzazioni dopo i periodi glaciali: una pianta isolata
Il giardino
Con un sistema chiamato apomissia alcune piante hanno semi senza fecondazione. E una discendenza identica a loro. E se lo facessimo in agricoltura...
di Giovanna Camardo
PRIMO PASSO
Campo di riso: è la prima specie di grande interesse per l’agricoltura in cui è stata ottenuta l’apomissia, la capacità di produrre semi senza la fecondazione.
CLONI dei
LE SPECIE
Da destra, in senso orario, specie apomittiche:
Hieracium pilosella, piantina eurasiatica; Hieracium australe, pianta endemica del centro di Milano; Caelebogyne (o Alchornea) ilicifolia, pianta australiana; tarassaco, il comune “soffione”.
Con tecniche di editing genetico, è stato creato il riso apomittico
non aveva bisogno di partner, perché poteva clonare se stessa. E produrre semi è un vantaggio enorme: possono essere trasportati dal vento in zone lontane che i cloni colonizzano. Altri sistemi, come allungare un ramo che mette radici e genera una pianta-clone, funzionano solo vicino alla pianta madre», dice Albertini. E, aggiunge Colombo, «spesso le piante apomittiche non si possono autofecondare o sono unisessuali (come quelle dei Kew Gardens, ndr), ma così sono comunque “indipendenti” anche se non trovano un partner o impollinatori».
Comunque queste specie non rinunciano del tutto al sesso. «Molte passano da un sistema all’altro. Noi per esempio studiamo il tarassaco, in cui alcuni individui sono obbligati a riprodursi solo con apomissia, altri no», dice Colombo. E Albertini cita un altro esempio: «In Poa pratensis sessualità e apomissia coesistono: la stessa pianta fa semi in entrambi i modi. Conservare la riproduzione sessuale dà la possibilità di generare individui diversi, per adattarsi a nuove condizioni». Tra chi si riproduce esclusivamente autoclonandosi c’è una piantina che cresce solo nel centro di Milano. «Si chiama Hieracium australe ed è stata ritrovata vicino alle mura del Castello Sforzesco, nel fossato», dice Martin Kater, docente di genetica all’Università degli Studi di Milano e presidente del Centro funzionale MOBE - Museo Orto Botanico di Brera ed Erbario. «È un’interessante specie endemica di Milano e fa semi solo per apomissia».
L’IMPORTANZA DI ESSERE UNIFORMI
È il momento di tornare all’utilità in agricoltura. «Pensiamo a specie come pesco o ciliegio. Oggi si usa la propagazione vegetativa: da un “pezzo” della pianta otteniamo un “clone” che darà frutti uguali a quelli dell’albero originario. Se usiamo i semi, presi dai noccioli, nascono invece piante con caratteristiche diverse a causa di ricombinazione genetica e fecondazione», dice Albertini. Ciò non accadrebbe con semi da apomissia. E poi c’è l’applicazione agli ibridi, molto usati in agricoltura, per esempio per peperoni o pomodori. Cosa sono? «Le aziende sementiere mantengono due linee parentali, con caratteristiche fisse: queste vengono incrociate ottenendo semi ibridi che danno piante uguali fra loro e molto produttive», spiega Colombo. Ma questo vale solo per la prima generazione. «Se semino i semi ottenuti dalle piante ibride, otterrò piante meno produttive e con caratteristiche diverse, senza l’uniformità che serve nei campi moderni. Quindi si devono produrre e comprare sempre nuovi semi ibridi», aggiunge Kater. Con l’apomissia, invece, una volta che hai una pianta con le caratteristiche volute, ottieni semi e cloni che rimarranno identici per generazioni. «I coltivatori dei Paesi poveri potrebbero comprare solo una volta i semi clonali, riseminare parte del raccolto e avere piante molto produttive», dice Kater. Per le industrie sementiere, aggiunge Colombo, «il sistema permetterebbe di produrre nuove varietà più veloce-
CON E SENZA
Il disegno, realizzato da Emidio Albertini dell’Università di Perugia, mostra il ciclo riproduttivo di una pianta da fiore: le frecce rosse indicano i passaggi della riproduzione sessuale, le frecce blu “saltano” gli stadi omessi con l’apomissia. «Nella riproduzione sessuale sono prodotte le spore, maschili e femminili, che sono i precursori dei gameti (le cellule sessuali)», spiega Albertini. Vengono prodotte attraverso la meiosi, il processo in cui il corredo cromosomico viene dimezzato e ricombinato. «Nell’apomissia la meiosi non c’è: il corredo cromosomico della spora femminile resta quello intero della madre, in un processo chiamato apomeiosi», dice Albertini. E non c’è nemmeno la fecondazione. «Nella riproduzione sessuale, i granuli pollinici si posano sullo stigma dei fiori e creano il tubetto pollinico: è un prolungamento in cui “scendono” due gameti maschili», continua Albertini. «Dal lato femminile, la spora si è divisa per mitosi
Granulo pollinico
Impollinazione
Apomeiosi
Granuli pollinici (spore maschili)
Cellule da cui si forma il polline
Apparato riproduttivo maschile (stami)
(il processo di moltiplicazione cellulare) formando il sacco embrionale in cui ci sono l’ovocellula (gamete femminile) e altre cellule. A questo punto, nelle piante
mente, migliorando la produttività o la resistenza a patogeni». Ma cloni uguali non rischiano di essere vulnerabili? «Già ora le varietà coltivate sono uniformi e un virus può far strage: a quel punto bisogna ottenere nuove varietà resistenti e ciò con l’apomissia sarebbe in realtà più veloce», risponde Albertini.
BABY BOOM
I ricercatori hanno provato diverse strade per trasferire l’apomissia, ma «i meccanismi classici, come incroci e selezione, sono stati fallimentari. Con l’editing genetico si è però riusciti a intervenire sui geni creando riso apomittico, in Cina e negli Usa», dice Albertini. All’Università della California a Davis, Imtiyaz Khanday e Venkatesan Sundaresan hanno ottenuto l’apomissia nel riso, partendo da una varietà ibrida (sementi ibride di riso, che danno maggiori raccolti, sono costose e fuori portata per molti coltivatori nel mondo). Hanno modificato un pacchetto di tre geni, chiamato MiMe, per evitare la meiosi. L’attivazione nella ovocellula di un gene chiamato Baby Boom invece fa sì che questa inizi a replicarsi e formare un embrione. L’obiettivo è un riso resistente alle malattie e produttivo, per i coltivatori più poveri. Siamo all’inizio e si fa ricerca anche in Italia. Come conclude Emidio Albertini, «noi stiamo cercando geni coinvolti nell’apomissia in natura per usarli in altre specie: stiamo verificando un possibile candidato, Apostart».
Tubetto pollinico
Mitosi
Spora femminile
Meiosi
Cellule da cui si originano le spore femminili
Sacco embrionale
Ovocellula
Doppia fecondazione
Endosperma
Zigote
Apparato riproduttivo femminile (pistillo)
Seme
Piantina
c’è una doppia fecondazione: uno dei due gameti maschili si unisce all’ovocellula e crea lo zigote (la cellula da cui inizia a formarsi l’embrione), l’altro si unisce ad altre cellule creando
il tessuto di riserva (endosperma) che nutrirà l’embrione. L’apomissia salta questi passaggi grazie alla partenogenesi: l’ovocellula si sviluppa e si arriva al seme».
RISAIA SPERIMENTALE
Imtiyaz Khanday (sinistra) e Venkatesan Sundaresan dell’Università della California a Davis con piante clonate di riso. Negli anni, stanno migliorando l’efficienza del sistema.
Domande Risposte
LE DOMANDE DEI LETTORI
Gli organi trapiantati possono cambiare il carattere?
Scrivete a: focusdr@mondadori.it
QUANDO
FU INVENTATO
IL SALVAGENTE?
TECNOLOGIA UN ROBOT PUÒ PRENDERSI CURA DI UN GATTO?
SPORT QUAL È LO SPORT PIÙ PERICOLOSO?
ANIMALI I CAVALLI DA CORSA SANNO DI ESSERE IN GARA?
UNIVERSO SULLA LUNA CI SONO TERREMOTI?
CIBO COSA INDICANO I MILLESIMI DELLO CHAMPAGNE?
In quale aeroporto ci sono wc per cani?
Una spaziosa toilette dedicata ai quattrozampe è stata installata all’interno dell’aeroporto Humberto Delgado di Lisbona.
L’area wc è divisa in spazi di circa 7 metri quadri, sufficienti per ospitare anche più di un cane alla volta. Il pavimento è composto da torba artificiale ed erba sintetica, e ci sono anche due idranti rossi decorativi per ricreare un ambiente “familiare” in cui i cani, prima o dopo il volo in cabina con i loro padroni,
possano espletare i propri bisogni. Sono disponibili sacchetti per raccogliere le deiezioni e una pompa per sciacquare via i residui. Zone erbose. Le aree per animali domestici sono presenti in diversi aeroporti in tutto il mondo, ma generalmente si tratta di piccoli spazi o zone erbose poste all’esterno. Il principale scalo aereo portoghese intende invece offrire un maggiore comfort ai compagni di viaggio degli umani. R M
QUALI SONO GLI ANIMALI
PIÙ DORMIGLIONI?
I BRADIPI, CERTAMENTE. MA ANCHE PIPISTRELLI, PITONI, ARMADILLI E, PIÙ PIGRO DI TUTTI, UN MAMMIFERO AUSTRALE CHE PROFUMA DI MENTINA. A cura di Matteo Liberti
Tutti conosciamo l’attitudine al riposo dei gatti (che dedicano alla “pennichella” almeno 12 ore al giorno), ma ci sono specie ancora più dormiglione, il cui sonno varia peraltro in base alle stagioni e alle condizioni fisiche dei singoli esemplari. Escludendo i neonati umani (che arrivano a ben 16 ore al giorno di sonno), in base ai dati ricavati dalle osservazioni degli etologi (elaborati sotto forma di “top ten” in numerosi studi, tra cui spicca una ricerca pubblicata nel 2022 su WorldAtlas) i dieci animali che trascorrono più tempo a sonnecchiare sono
SCOIATTOLI
(Sciurus): 14-15 ore Attivissimi nel pomeriggio, che trascorrono raccogliendo provviste (ma non d’inverno, quando si limitano a consumare la “dispensa”), al calar del sole si accovacciano e fino al mezzodì non mostrano alcuna intenzione di tornare in attività.
SCIMMIE NOTTURNE
(Aotus): 17 ore
Attive prevalentemente di notte, grazie ai grandi occhi che si adattano ottimamente all’oscurità, permettendo loro di muoversi con agilità tra i rami degli alberi, passano il resto della giornata a recuperare energie.
BRADIPO (Bradypus): 15-20 ore Campione di lentezza e di sonno, trascorre la maggior parte della giornata appeso ai rami degli alberi (senza compiere quindi grandi movimenti), digerendo le foglie di cui si nutre con un metabolismo incredibilmente lento.
ARMADILLO GIGANTE
TOPORAGNO COMUNE
(Sorex araneus): 15,8 ore
Ha minuscole dimensioni e brucia energia a un ritmo molto elevato, conducendo, quando è sveglio, una vita frenetica. Per questo, nonostante un metabolismo accelerato, ha bisogno di lunghissimi periodi di riposo.
(Priodontes maximus): 18 ½ ore circa
La sua dieta a base d’insetti e vegetali richiede un metabolismo lento e lunghe fasi di riposo. Pur dotato di una grande armatura ossea, ama poltrire nascosto nella sua tana per evitare i predatori.
PITONI (Python): 18 ore
Si dedicano a lunghi riposi soprattutto durante la digestione, considerando che si nutrono, non tutti i giorni, di prede spesso enormi. Hanno inoltre necessità di dormire a lungo prima di mutare pelle.
TIGRE (Panthera tigris): 15-16 ore
Predatore per eccellenza, sfrutta i prolungati periodi di riposo (che si concede in genere dopo i pasti) per mantenere in salute il grande corpo e conservare l’energia necessaria a svolgere lunghe battute di caccia.
VESPERTILIO BRUNO
(Myotis lucifugus): 19 ½ ore circa Passa quasi l’intera giornata appeso a testa in giù, intervallando riposo e caccia agli insetti, che insegue grazie a uno speciale organo a ultrasuoni che sottrae al suo organismo parecchia energia (da recuperare dormendo).
10 CURIOSITÀ SU FEDERICO II DI SVEVIA
Che fine fece il cane del Führer?
Adolf Hitler era molto legato a Blondi (nella foto), una femmina di pastore tedesco che gli venne regalata, ancora cucciola, dal suo segretario personale Martin Bormann nel 1941. Secondo varie fonti, le era talmente affezionato da suscitare la gelosia di Eva Braun: pare, infatti, che i due trascorressero molto tempo insieme, anche durante le riunioni militari, e che a detta di Hitler Blondi fosse in grado di infondergli uno stato d’animo positivo, rendendolo più efficiente e ricettivo.
Morte tragica. Nel gennaio 1945, il dittatore si rinchiuse nel proprio bunker berlinese e portò con sé anche Blondi, che poco tempo dopo diede alla luce cinque cuccioli. Nonostante il “grande amore” per il suo cane, quando le truppe sovietiche si avvicinarono a Berlino, Hitler ordinò al veterinario di somministrare a Blondi del cianuro per sopprimerla, quindi si suicidò il giorno successivo, il 30 aprile. Quattro dei cinque cuccioli furono uccisi poco dopo per mano dal sottufficiale Fritz Tornow. Il quinto venne dato alla sorella di Eva Braun. F.C.
FIGLIO DI ENRICO VI HOHENSTAUFEN E COSTANZA D’ALTAVILLA,
FEDERICO II È CONSIDERATO UNO DEI SOVRANI PIÙ GENIALI (E DISCUSSI) DELLA STORIA MEDIEVALE. AD APPENA QUATTRO ANNI, NEL 1198, EREDITÒ IL RICCO E FIORENTE REGNO DI SICILIA, CINGENDO ANCHE LA CORONA DEL SACRO ROMANO IMPERO DAL 1211 E MANTENENDO IL POTERE FINO ALLA MORTE, AVVENUTA A PALERMO NEL 1250. DI SEGUITO, ALCUNE CURIOSITÀ SUL SUO CONTO. A cura di Massimo Manzo
1
STUPOR MUNDI... POSTUMO
A coniare l’appellativo di Stupor Mundi (Stupore del mondo) con cui è noto ancora oggi Federico, fu il cronista inglese Mattew Paris (1200-1259), che lo utilizzò per commentare la sua morte. Ma in vita, e fin da giovane, l’imperatore fu conosciuto come Puer Apuliae (fanciullo di Puglia).
2
BESTIA DELL’APOCALISSE
In un’enciclica del 1239, papa Gregorio IX, acerrimo nemico di Federico, lo paragonò al mostro dell’Apocalisse, definendolo “una bestia […] coi piedi dell’orso, la bocca feroce del leone [...] che apre la bocca per bestemmiare il nome di Dio”.
3 PUPILLO DEL PAPA
I rapporti tra Federico e la Chiesa non furono però sempre burrascosi, anzi. Da bambino, fu affidato alla tutela di papa Innocenzo III, il quale lo utilizzò come pedina politica, appoggiandolo poi nella lotta per il trono imperiale. E il suo successore al soglio di Pietro, Onorio III, lo incoronò addirittura imperatore nel 1220.
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CROCIATO RILUTTANTE...
A scatenare le ire dei papi contro Federico fu, tra le altre cose, la sua titubanza a partecipare alla crociata in Terra Santa, rimandata due volte nonostante le promesse fatte ai pontefici. Tale atteggiamento gli costò una scomunica nel 1227 (in tutto, l’imperatore ne collezionò ben tre).
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STUDIOSO APPASSIONATO
Oltre a essere un sovrano potentissimo, lo svevo è noto anche per essere stato un brillante studioso, interessato sia alla poesia e alla letteratura sia alle materie scientifiche. Federico fu inoltre un generoso mecenate, accogliendo e proteggendo nella corte di Palermo le maggiori intelligenze dell’epoca.
7OPERA UNICA
L’unica opera scritta da Federico giunta sino a noi è il De arte venandi cum avibus, un trattato di falconeria e un manuale di ornitologia dedicato a un grandissimo numero di specie di uccelli, raggruppate in categorie a seconda delle loro caratteristiche e del loro habitat.
8 SADICO
La macchina propagandistica pontificia non esitò a colpire la personalità del sovrano. Secondo il frate francescano Salimbene da Parma (1221-1290), la curiosità scientifica dello svevo l’avrebbe spinto a promuovere sadici esperimenti (in uno di questi, avrebbe ordinato il sezionamento di uomini per studiarne la digestione).
9 GUARDIA DEL CORPO ISLAMICA
Dopo averli sconfitti e deportati in massa a Lucera (Foggia), Federico permise ai musulmani siciliani che si erano rivoltati contro di lui di professare liberamente la loro religione, arruolando addirittura una guardia del corpo formata da fedelissimi soldati islamici.
IN PUGLIA
Castel del Monte fu fatto costruire da Federico II, per molti su un suo stesso disegno.
Cosa fu la “rivolta del sette e mezzo”?
5 … MA EFFICIENTE
Dopo la scomunica, nel 1228 Federico si decise a salpare per Gerusalemme, guidando lui stesso la sesta crociata e riuscendo a ottenere per i cristiani l’amministrazione della Città Santa in seguito ad amichevoli trattative con il sultano al-Komil. Il tutto senza versare una goccia di sangue.
10 TOLLERANTE
Come avvenuto con i sovrani normanni che l’avevano preceduto, la corte siciliana in cui risiedeva Federico si distinse, unica in Europa, per il suo clima aperto e multireligioso. In essa, scienziati, poeti e artisti cristiani discutevano apertamente con colleghi ebraici e arabi.
C on questa espressione viene ricordata una ribellione scoppiata a Palermo e dintorni dal 16 al 22 settembre 1866. Tale insurrezione, durata appunto sette giorni e mezzo, fu figlia dell’insoddisfazione generale nei riguardi del nuovo governo unitario italiano, che aveva da qualche anno sostituito il dominio borbonico, e portò alla creazione di una giunta comunale nel capoluogo siciliano. Repressione. A guidare i ribelli c’era un insieme di persone di varie estrazioni politiche e sociali: membri della nobiltà, sacerdoti, braccianti, ex militari, nostalgici dei Borboni, fino a socialisti e simpatizzanti di Mazzini e Garibaldi. La scintilla si accese per protestare contro i limiti imposti alla celebrazione della patrona Santa Rosalia, ma le motivazioni più profonde erano legate alle riforme non gradite dalla popolazione, come la leva obbligatoria e le gravose imposte. Si trattò tuttavia di un fuoco di paglia, represso nel sangue dalle truppe del generale piemontese Raffaele Cadorna. M.M.