Grazia 45 - Reinventiamo le nostre città

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settimanale n. 45 21/10/2021 Ottobre 2021

N U M E R O S T R A O R D I N A R I O

REINVENTIAMO LE NOSTRE CITTÀ PER VIVERE INSIEME NUOVI SPAZI Direttori ospiti Patricia Viel e Antonio Citterio CON:

Mario Calderini Roberto Cingolani Marilisa D'Amico Pietro Del Soldà Giorgio Ferrero Edith Gabrielli Luciano Galimberti Matilde Gioli Mateo Kries Nicola Lagioia Dacia Maraini Sarah Mazzetti Luca Molinari Rkomi Marco Sammicheli Carla Sozzani Deyan Sudjic Sara Valaguzza Kathryn Weir Anna Zegna

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G R A Z I A 4 5 SOMMARIO

28 EDITORIALI di Silvia Grilli, Antonio Citterio e Patricia Viel

30 LA POSTA DI GRAZIA 36 GLI INDISPENSABILI DELLA SETTIMANA 42 OLTRE IL PROGETTO Antonio Citterio e Patricia Viel: «Noi realizziamo il vostro sogno di felicità»

50 STAR DI COPERTINA Matilde Gioli: «Certi luoghi ti cambiano per sempre»

67 IL TEMPIO DEI CREATIVI Luciano Galimberti: «Qui ogni oggetto racconta un’emozione»

70 ALLEANZE La bellezza ci salverà

77 IL TRAGHETTATORE Roberto Cingolani: «In casa nasce il nostro domani»

102 SCENARI Dacia Maraini: «Ogni tua scelta cambia il mondo»

118 PROSPETTIVE La mia città ama le donne

125 BUONI PROFITTI Mario Calderini: «La vera ricchezza è far star bene tutti»

128 VISIONI Giorgio Ferrero: «La forza dell’immaginazione»

135 UNA NATURA DA SCOPRIRE 136 PUNTI DI VISTA I mondi del mio quartiere

140 TESORI Anna Zegna: «L’oasi verde» Foto WIN.TAM

144 NOTE PERSONALI Rkomi: «La musica della mia periferia»

157 A VIVA VOCE Pietro Del Soldà: «L’Italia è un sogno» 20

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G R A Z I A 4 5 SOMMARIO

161 NEL SEGNO DELLA CULTURA Nicola Lagioia: «E adesso voltiamo pagina»

164 ITINERARI C’è magia in questi luoghi

171 ORIZZONTI Luca Molinari: «Istanbul è un esempio da copiare»

174 LA PIONIERA Carla Sozzani: «Quando le città saranno piazze in cui incontrarsi»

179 SPAZI APERTI Deyan Sudjic e Mateo Kries, rivoluzione al museo

MODA 84 NUOVI EQUILIBRI 184 LA CITTÀ È MIA 202 TENDENZE I desideri prendono forma

213 LOVE Geometrie preziose 215 LOVE Cuori splendenti 217 LOVE Divisa da città 219 FASHION NEWS 223 MODA Rivoluzione in camicia 225 MODA È ora di uscire

BEAUT Y 239 IL SENSO DELLA FORMA 246 LOVE Il sole in una stanza 248 BEAUTY CONFIDENZE Esprimi la tua gioia con il trucco

LIFEST YLE 226 IN CASA Protagonisti assoluti 251 CULTURA •Mostre •Spice Girls 256 INFINE 258 INDIRIZZI 261 OROSCOPO di Melissa P.

262 UN POSTO NEL CUORE di Alessia Marcuzzi 22

Foto SONIA MARIN

•Eleonora Gaggero •Arte



G R A Z I A STRILLI 28

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28 Silvia Grili direttrice di Grazia.

Patricia Viel, architetto, è direttrice ospite con Antonio Citterio di questo numero straordinario di Grazia.

Antonio Citterio, architetto, è direttore ospite con Patricia Viel di questo numero straordinario di Grazia.

Luciano Galimberti, presidente dell’ADI Design Museum di Milano, ci guida alla scoperta di oggetti straordinari.

Edith Gabrielli dirige il nuovo museo che a Roma unisce il Vittoriano e Palazzo Venezia.

77

70 Marco Sammicheli dirige il museo del Design italiano di Triennale Milano, che raccoglie i pezzi storici più belli.

70 Kathryn Weir, nata a Oxford, dirige il MADRE, museo d’arte contemporanea Donnaregina di Napoli.

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102 Roberto Cingolani ministro della Transizione Ecologica, guida la rivoluzione verde che porterà l’Italia nel futuro.

La scrittrice Dacia Maraini firma in esclusiva per Grazia un racconto sul dilemma di scegliere tra bene e male.

La costituzionalista Marilisa D’Amico racconta come costruire una città che ami davvero le donne.

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118 Sara Valaguzza, avvocata, spiega con quali servizi le città possono migliorare le pari opportunità.

125 Mario Calderini, docente al Politecnico di Milano, spiega la finanza d’impatto, quella che ci fa guadagnare la felicità.

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140 Sarah Mazzetti, illustratrice, ha dedicato a Grazia un fumetto, immaginando una città fantastica.

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161 Pietro Del Soldà conduce Tutta la città ne parla e risponde ogni giorno su Rai Radio 3 ai dubbi degli italiani.

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128 Giorgio Ferrero, regista, ha filmato i mondi e le architetture progettate da Antonio Citterio e Patricia Viel.

Nicola Lagioia, scrittore e vincitore di un Premio Strega, parla di come la cultura e i libri fanno rinascere le città.

Il cantautore Rkomi è la voce di tanti ragazzi. Lo abbiamo seguito nella periferia milanese dove è nata la sua musica.

L’imprenditrice Anna Zegna ci ha portati nella sua Oasi, dove convivono arte e sostenibilità. 179

174 L’architetto Luca Molinari cura il museo che Istanbul inaugurerà nel 2024. E spiega perché è un modello da copiare.

L’attrice Matilde Gioli indossa un trench in cotone termosaldato su blazer e pantaloni in lana gessata (tutto Victoria Beckham). Collana Clash de Cartier (Cartier). TRUCCO: Raffaele Schioppo@Simone Belli Agency using Teint Idole Ultra Wear di Lancôme. PETTINATURE: Alessandro Rocchi@Simone Belli Agency using SteamPod3.0 di L’Oréal Professionnel Paris. STYLING: Nicolò Milella. FOTO: Sonia Marin.

Carla Sozzani ha inventato un nuovo modo di fare shopping e racconta perché la Rete non ci allontanerà dai negozi.

179 Deyan Sudjic ha guidato il Design Museum di Londra e illustra il potere di questi luoghi d’arte sull’immaginazione.

Mateo Kries dirige il Vitra Museum, in Germania, e ci parla di quale impatto ha il design sulle nostre vite di ogni giorno.



G R A Z I A TABLET

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HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Martina Barboni, Elsa Bonfiglio, Enrica Brocardo, Francesco Canino, Franco Capacchione, Claudia Catalli, Martina D’Amico, Valentina Debernardi, Giovanni Ferrari, Dean Isidro, Dacia Maraini, Alessia Marcuzzi, Sonia Marin, Aleksandra Markovic, Sarah Mazzetti, Nicolò Milella, Marzia Nicolini, Melissa P., Diego Perugini, Belle Shao, Florian Sommet, Silvia Ugolotti, Enzo Truoccolo, Valeria Vignale, Mattia Zoppellaro, Win.Tam.

graziella.brambilla@mondadori.it

Fashion contributor Nike Antignani Production contributor Flavia

Antonella Bigotto

antonella.bigotto@mondadori.it BELLEZZA

caporedattrice Stefania Bellinazzo

SE SEI AB B ONATA AL L A V ERS IONE C A RTAC EA , QUEL L A DI GI TAL E È GIÁ I NC LUSA! — Accedi all’app co n US ER e PA S S WO R D e s f og l ia le cop ie inclu se ne l tu o a bbo na me n to! S e h a i solo cod ice cli e nte e pro v i nci a s e gu i l a proce d ur a che tro v i a ll’i nte r no d el l ’ a p p p e r cre a re US E R e PA S S WORD.

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Lucia Valerio

— Sfog li a o g ni nu me ro d e lla rivis ta — S ele z iona e a rchi v i a le pa g i ne p re f e r it e di ogni nume ro d i Gr a z i a e s f r u tta l e n u ove funz iona li tà d i r i ce rca e a rch ivio. — Acq uis ta la co pi a s i ng o la a l prezzo d i 9 9 cente s imi, o sce g li d i a bbo na r ti pe r u n m e s e al prez zo d i €1,9 9, pe r 3 me s i a €4,9 9 o p e r u n a nno a so lo €14,9 9.

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PATRICIA VIEL

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Grazia è un marchio registrato e di proprietà di Mondadori Media S.p.A., gestito internazionalmente da Mondadori International Business MONDADORI INTERNATIONAL BUSINESS Chairman & CEO Carlo Mandelli; Managing Director Daniela Sola; International Marketing Manager Fashion&Design Francesca Brambilla; International Advertising Manager Daniella Angheben; Photos & Rights Manager Melania Landini

GRAZIA INTERNATIONAL NETWORK Vice President & Artistic Director Carla Vanni Art Director Giacomo Pasqualini

Per informazioni: graziainternational@mondadori.com

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G R A Z I A EDITORIALI

LA REINVENZIONE del nostro mondo

V

ogliamo riprenderci le nostre città, uscire, stare in mezzo agli altri, ritrovare gli amici, gli affetti, fare il pieno di vita dopo quasi due anni d’isolamento. È intensa l’euforia che si respira in questi giorni. È struggente finalmente riabbracciarsi. Sì, siamo noi. Noi in carne e ossa, non nel quadratino di un computer. Tanto ci sono mancati i cinema, i teatri, gli stadi, i musei, le palestre, gli aeroporti, i luoghi di lavoro, dove condividere sguardi, passioni, umori, amicizie, fatica, competizione. Per molte persone sta finendo lo smart working, e i mesi di pandemia che hanno segnato una rivoluzione nelle nostre giornate hanno portato cambiamenti duraturi nel tempo. La gente ha scoperto che lavorando da remoto avrebbe potuto vivere ovunque, ha cambiato prospettive, trovato un nuovo equilibrio tra lavoro e vita privata, e non vuole più rinunciarci. Abbiamo capito che desideriamo vivere di più i posti in cui abbiamo scelto di abitare, vogliamo essere parte di una comunità. Abbiamo ritrovato il verde e le campagne, un nuovo modo di stare con la famiglia o da soli. È cresciuta la responsabilità che sentiamo per l’ambiente dopo aver appreso in modo deflagrante di essere fragili: lo è il pianeta e lo siamo noi. Così un giorno ho chiesto a due grandi architetti e designer di fama internazionale, Patricia Viel e Antonio Citterio, di curare con la loro geniale visione questo numero di Grazia. Questa edizione è dedicata alla reinvenzione delle nostre città, della nostra natura, dei nostri spazi esterni e interni. È una Grazia piena di sorprese, di inediti emozionanti, come il racconto che una straordinaria scrittrice come Dacia Maraini ha creato per noi, e di suggestioni che spero vi accompagneranno anche dopo aver chiuso l’ultima pagina. Grazie, Patricia e Antonio, di aver condiviso questa avventura con Grazia. Grazie a voi, care lettrici e cari lettori, che date un senso al nostro lavoro.

I

n qualità di direttori ospiti, abbiamo voluto raccontare in questo numero – attraverso le voci di figure e professionisti appartenenti a mondi diversi, dal giornalismo alla musica, alla politica, alla fumettistica, alla cultura e moda - una realtà che ci è molto vicina e che ognuno di noi vive quotidianamente: la città. La città è un organismo per noi sempre affascinante, laboratorio di idee, luogo di scambio e incontro di vite diverse. Mai come in questi due anni si è mostrata nella sua fragilità, ma anche nella sua capacità di resilienza. Ed è proprio la capacità di adattarsi e reagire agli eventi anche sconvolgenti che segnano la sua storia ciò che guida il numero: la città, comunque, si risveglia ed è capace di ripensarsi. Si ritrova più consapevole e pronta verso una transizione ecologica, verso una realtà più paritaria nei diritti, più affamata di cultura, arte, design, musei, natura e bellezza. Infine, ci piace pensare che questo numero ci ha messi di fronte anche alla responsabilità che noi, architetti e urbanisti che progettiamo la città, abbiamo verso di essa: un ruolo, ma anche un privilegio, che ci sprona a cogliere le sfide dell’oggi come opportunità per il domani. Sfide su cui ci interroghiamo anche in un film al Milano Design Film Festival proprio in questi giorni, The Importance of Being an Architect. Non ci resta che augurarvi buona lettura. Patricia Viel e Antonio Citterio

Silvia Grilli

LA DIRETTRICE DI GRAZIA, SILVIA GRILLI

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I DIRETTORI OSPITI, GLI ARCHITETTI E DESIGNER PATRICIA VIEL E ANTONIO CITTERIO


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G R A Z I A POSTA

#io leggo Grazia Scrivi alla direttrice all’indirizzo grazia.direttrice@mondadori.it

Scrivi a GRAZIA: palazzo Mondadori, 20090 Segrate (MI) - EMAIL: lapostadigrazia@mondadori.it SOCIAL: facebook.com/grazia - twitter.com/grazia - instagram.com/grazia_it - WEB: grazia.it

LETTERE ALLA DIRETTRICE

bambini che non vengono vaccinati dai genitori. Sappiamo infatti che per le madri e i padri che non vaccinano i figli sono previste sanzioni economiche e i più piccoli non potranno frequentare gli asili. Potranno, però, andare alle scuole elementari, medie e superiori. Quindi, sia l’obbligo del Green Pass entrato in vigore dal 15 ottobre sia un’ipotetica legge vaccinale consentono alle persone una via di uscita: quella di non vaccinarsi pagando la propria scelta con multe o la privazione di forme di vita comune, come andare al ristorante o addirittura a lavorare. Di fatto, quindi, con il Green Pass l’obbligo vaccinale, così com’è concepito in Italia, esiste già».

Commento di Antonietta Catalano È grazie ai vaccinati che tutto inizia a migliorare. Però, evidentemente, non entra in testa a questa gente. Concordo pienamente con il suo editoriale e non riesco a capire tutta questa cattiveria, adesso con gli scioperi, eccetera. Ma si rendono conto che l’economia si blocca così? Grazie, direttrice.

Email di Vilma Mariotti Buongiorno, leggo il trafiletto su Rizzoli Education e mi chiedo se per “parità di genere” si intende presentare ai nostri bambini come normale il sesso fra donne o fra uomini. Forse bisogna ripensare un attimo a quali messaggi vogliamo dare alle loro menti ancora in fase di sviluppo e sì aiutarli a capire che ci sono delle diversità, ma non propagandarle come la nuova dottrina dello stile di vita. E ancora: perché usare termini come “glitter” e “sparkling” (a pagina 68) che in pratica vogliono dire la stessa cosa, quando esiste il termine italiano altrettanto chiaro (forse per essere più considerati dobbiamo infarcire la nostra lingua di parole inglesi in qualsiasi contesto). Mi chiedo anche il perché la moda dei pantaloncini inguinali, delle nudità o di abbigliamento strizzante, si risparmia tessuto, tempo? E allora facciamo una linea anche per i maschi, così anche loro potranno esibirsi. Penso che per sentirsi liberi e realizzati non sia necessario svestirsi e giocare al gatto col topo: metto tutto in vetrina ma tu, che sei considerato un predatore, non provare ad allungare le mani perché diventi un violentatore. Ragazze (mi piace considerarmi tale anche se ho visto la luce più di settant’anni fa), pubblicità, moda e quant’altro presentano spesso immagini a sfondo sessuale anche solo per lanciare un nuovo profumo: penso che siano messaggi sbagliati anche nei confronti dei più piccoli. A mio parere il cambiamento iniziato dalle suffragette non partiva da una distorta forma di

Post di Ale Gallia Scrivo a proposito del suo editoriale La rabbia dei No Green Pass. Questo è il Paese che ha un Governo che non si assume il rischio dell’obbligo vaccinale. Proteste e manifestazioni sono da proteggere per definizione, perché primo segnale di un Paese democratico, quindi eviterei di condannare in toto il concetto di manifestazione. Detto questo, chiediamoci perché il Governo non imponga l’obbligo vaccinale. Se a questa domanda arrivasse una risposta sensata, sono certa che molti cambierebbero idea. E invece la risposta non arriva. Mettiamo l’obbligo vaccinale e stop.

Email di Nicole Gulessich Gentile direttrice, le faccio i complimenti per il suo editoriale La rabbia dei No Green Pass. La semplicità e la cura con cui scrive di Green Pass e di vaccini è impeccabile! È un piacere leggere il suo giornale. «Care Ale, Antonietta, Nicole, grazie dei vostri interventi relativi al mio editoriale dello scorso numero: La rabbia dei No Green Pass. Rispondo alle osservazioni di Ale. In Italia esiste un solo trattamento sanitario obbligatorio, il TSO per i casi psichiatrici, e richiede la convalida dell’autorità giudiziaria. Siccome il nostro non è uno Stato di polizia, che una tale ipotesi venga applicata anche ai vaccini contro il Covid non è neanche lontanamente da prendere in considerazione. Nessuno può venirti a stanare a casa con un ago in mano. È possibile, però, introdurre per legge un obbligo vaccinale a tutta la popolazione. A questo è anche possibile sottrarsi, andando incontro a sanzioni o privazioni della socialità, come nel caso dei 30



G R A Z I A POSTA

libertà sessuale. La vostra rivista mi accompagna con piacere da più di cinquant’anni, buon lavoro e buona vita. «Cara Vilma, il manifesto della casa editrice Rizzoli vuole sensibilizzare sulla parità di genere tra donne e uomini, senza entrare nello specifico del diritto di dichiararsi lesbica o gay che non è il tema della campagna. Vivere con libertà la propria inclinazione sessuale senza sentirsi discriminati è una conquista recentissima della civiltà. Siamo in piena rivoluzione culturale dell’accettazione della diversità e, come ogni rivoluzione che provoca uno sconvolgimento dei costumi, all’inizio l’insistenza su questi temi è clamorosa. Io credo che quello che a lei sembra esagerato (e posso capirla) sia necessaria per favorire l’inclusione contro ogni discriminazione. Quando il razzismo finirà e la diversità sarà considerata normalità, non ci sarà più bisogno di insistere così tanto su certi temi. Rispondo sull’utilizzo eccessivo di termini stranieri: l’uso cambia la lingua e parole come “sparkling” o “glitter” sono entrate nel nostro vocabolario. Quanto al vestirsi per giocare al gatto con il topo non sono d’accordo: non cada nell’equivoco che ci si vesta sempre per attirare l’altro sesso. Ci si veste prima di tutto per piacere a se stessi, altrimenti daremmo ragione a chi, nei processi per stupro, considera una provocazione un certo abbigliamento della vittima. La saluto con affetto e grazie della sua passione per il nostro settimanale».

UN VACCINO PER DIVENTARE GRANDI Email di Nicola Ballelli La ringrazio per l’articolo di Letizia Magnani pubblicato nel n. 42 di Grazia. Mai avrei pensato che il numero di bambini in terapia intensiva fosse così alto. Dando un’occhiata ai letti di terapia intensiva attivati per Covid alla data dell’articolo, direi che la quasi totalità di quei letti è occupata da bambini sotto i 12 anni. Questo deve fare riflettere. Questo vostro articolo farà cambiare idea a molti scettici. Non capisco come molte persone possano scusare il loro comportamento no-vax dopo le parole del vostro articolo. Siamo sicuri del dato? Trecentocinquanta bambini in terapia intensiva per Covid su un totale di 450 attivati e lo dite solo voi? Risponde Letizia Magnani, autrice dell’articolo: «Gentile Nicola, grazie per la sua attenta lettura. La variante Delta, e la copertura vaccinale dai 12 anni di età in su (oggi 8 italiani su 10 sono vaccinati a 32

doppia dose) espone i più piccoli all’infezione e, soprattutto in caso di patologie pregresse o aggravanti, alla sua recrudescenza. Il dato riportato dei bambini in terapia intensiva è corretto e desumibile dai rapporti di sorveglianza integrata dell’Istituto superiore di sanità. L’Organizzazione mondiale della Sanità, inoltre, ha reso pubblici nuovi studi, da cui emerge che un rischio maggiore per i bambini e per le bambine risulta associato a patologie preesistenti. Rispetto al totale dei malati Covid gravi, l’1,8 per cento sono i bambini sotto i 12 anni. I posti letto in terapia intensiva in Italia sono attualmente 8.414. Attualmente la situazione di questi reparti è decisamente migliorata, tanto che tutte le regioni sono in zona bianca, a dimostrazione che tracciamento e vaccini funzionano». CARE LETTRICI, dalle vostre lettere può nascere l’idea di un’inchiesta o di nuove storie da raccontare. Firmate con nome e cognome: sarà più facile contattarvi. E… scriveteci! Con l’invio del vostro contributo dichiarate di accettare le condizioni del servizio consultabili nelle ultime pagine della rivista.

A cura di Lucia Valerio

Bella e Ben su Grazia Edizioni & Label Musicale @senza.dubbi Nella copertina di @grazia_it la coppia da sogno, @bellathorne e @b3nm, @timeisup_movie Bella Thorne Spagna @bellathorne_spain Sesion de fotos de @bellathorne y @b3nm para la nueva revista italiana @grazia_it Benjamin Mascolo @b3nm Thank you Grazia for the beautiful Cover and Interview about @ timeisup_movie @Grazia_it Celebs Style Daily @celebs_style_daily Bella Thorne and Benjamin Mascolo for Grazia Magazine, Italy October 2021 #bellathorne #benjaminmascolo





GRAZIA

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G R A Z I A OLTRE IL PROGETTO

Noi realizziamo il vostro sogno di FELICITÀ Si sono conosciuti negli Anni 80, quando lui era un creativo controcorrente e lei una studentessa che andava a lavorare in moto. Insieme hanno realizzato grandi progetti in tutto il mondo. Gli architetti e designer Antonio Citterio e Patricia Viel sono i direttori ospiti di questo numero straordinario di Grazia. E qui raccontano la responsabilità che sentono nell’immaginare ogni giorno i luoghi e gli oggetti che accompagnano le nostre vite di LUCIA VALERIO

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Foto STUDIO MILLSPACE, FILIPPO ROMANO, COURTESY OF CUSTOM LINE - FERRETTI GROUP, MYBOSSWAS

IN QUESTA PAGINA, UN PARTICOLARE DI LA BELLA VITA, IL GRATTACIELO RESIDENZIALE A TAICHUNG, TAIWAN. NELLA PAGINA ACCANTO, DALL’ALTO: GLI ARCHITETTI E DESIGNER PATRICIA VIEL E ANTONIO CITTERIO NEL LORO STUDIO DI MILANO; UN PARTICOLARE DELLA SCALA A CHIOCCIOLA DI NAVETTA 30 YACHT. SONO TUTTI PROGETTI DELLO STUDIO ANTONIO CITTERIO PATRICIA VIEL. I

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G R A Z I A ANTONIO CITTERIO E PATRICIA VIEL

DALL’ALTO: IL DIVANO SITY PER B&B ITALIA, UN INSIEME DI MODULI COMPONIBILI CON CUI CITTERIO HA VINTO IL COMPASSO D’ORO NEL 1987; PARTICOLARE DELLA VETRATA DEL NUOVO HQ DI FASTWEB IN MILANO, REALIZZATO NELL’AMBITO DELLO SVILUPPO DELL’AREA SYMBIOSIS, A MILANO; VIEL E CITTERIO NEL CANTIERE DEL BUILDING D, SYMBIOSIS, MILANO.

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Foto MYBOSSWAS

L’

ascensore è una scatola di cristallo, il resto è luce. Quando entro nello studio di Antonio Citterio e Patricia Viel, cerco dettagli che mi svelino l’anima dei due progettisti che sto per intervistare. La trasparenza è un buon indizio. Antonio Citterio è uno degli architetti-designer più importanti al mondo, alcune sue creazioni sono presenti nella collezione permanente del museo MoMA di New York, e ha vinto due volte il Compasso d’Oro, il premio più prestigioso di disegno industriale. Con Patricia Viel, francese ma nata e cresciuta a Milano, ha fondato nel 2000 un nuovo studio: Antonio Citterio Patricia Viel. Ed è grazie al loro incontro che progettano con successo superfici urbane e paesaggi complessi, ma anche dettagli di più piccole dimensioni, dagli arredi alle grandi opere internazionali, dagli alberghi ai complessi residenziali e commerciali. Seduti intorno alla grande scrivania, quella di Citterio, tra sculture, pitture moderne e pezzi storici di design, i due architetti appaiono molto diversi tra loro. Sono il reagente chimico l’uno dell’altro e la loro forza sta proprio nell’essere lontani ma vicini. La vita di un architetto è fatta di misure, dello spazio e delle relazioni. Immagina e disegna come vogliamo stare al mondo. E non sarà un caso che The Importance of Being an Architect (vedi pagina 128), l’importanza di essere un architetto, sia il titolo dell’opera più recente di Citterio e Viel: un docufilm sulla responsabilità dell’architetto nel progettare la società del futuro. Come vi siete conosciuti? PATRICIA VIEL: «Secondo me lui non se lo ricorda più come ci siamo conosciuti». ANTONIO CITTERIO: «Faccio un po’ di conti. Ho aperto lo studio nel 1970, ero davvero giovane e dovevo ancora laurearmi: allora era piuttosto piccolo. Poi a metà degli Anni 80 diventò più grande, grazie a un lavoro che mi aveva passato Ettore Sottsass, e avevo bisogno di nuove persone. E nel 1984 è arrivata Patricia insieme con la mia futura moglie, l’architetto Terry Dwan. Lo studio era a Monza e lei veniva a lavorare su una grossa moto, una Kawasaki 200 enduro, pericolosissima. Stava ancora studiando». PATRICIA: «Gli Anni 80 a Milano sono stati molto



G R A Z I A ANTONIO CITTERIO E PATRICIA VIEL

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PATRICIA VIEL E ANTONIO CITTERIO NEL LORO STUDIO DI MILANO.

Quando avete capito che l’architettura e il design sarebbero diventati il vostro lavoro? ANTONIO: «Per me era ovvio da sempre. Mio padre aveva una bottega dove disegnava e realizzava mobili. A 7 anni avevo lì il mio banchetto dove costruivo i miei giocattoli. A 13 anni ho iniziato a frequentare una scuola d’arte a Cantù». PATRICIA: «Ho sempre pensato di diventare architetto. Costruivo qualsiasi cosa con qualsiasi materiale, ho persino realizzato una stanza tutta mia nel garage di casa dei miei genitori. Vengo da una famiglia di commercianti, ho vissuto in Francia da bambina ma sono cresciuta a Milano. Mio padre aveva una sensibilità particolare per l’arte e disegnava molto bene, mio nonno era pittore e amico di Fernand Léger. Era contento che io avessi questa passione per l’architettura. Mia madre, invece, era una designer d’interni mancata e ci faceva cambiare casa ogni tre o quattro anni solo per il piacere di avere una nuova abitazione. Sparpagliava riviste d’arredamento e architettura ovunque». Che rapporto avevate in famiglia? ANTONIO: «Conflittuale. Io e mio padre discutevamo su tutto, lui aveva uno stile molto classico mentre io negli Anni 60 volevo fare cose rivoluzionarie. Non ha mai creduto che potessi guadagnare facendo il designer e l’architetto, mi vedeva come l’artista che viveva in soffitta e che mai avrebbe potuto mantenere una famiglia». PATRICIA: «Mai ribelle, sono sempre stata quella brava, quella buona e generosa, sempre allegra e che portava a casa i voti migliori. Con quattro fratelli ero sempre felice di usare le loro biciclette di seconda mano». Quale incontro vi ha ispirato in modo particolare? ANTONIO: «Patricia è stata un incontro fondamentale: quando le cose finivano sul suo tavolo poi si realizzavano sempre».

Foto MYBOSSWAS

particolari, tutti i creativi tra cui designer, architetti, giornalisti, editori, vivevano nei bar. Era la famosa Milano da bere. Noi ci siamo conosciuti perché frequentavamo gli stessi bar e Antonio era già famoso in quegli anni. Appariva sulle copertine delle riviste di design perché era un giovane progettista che faceva cose molto diverse dagli altri. Arrivai in studio, che allora era nel cuore del Parco di Monza, grazie a un’amica che lavorava da lui. Era il 2 gennaio ma Antonio non c’era. Trovai invece sette designer tutti di nazionalità diversa e una segretaria, Luisella, che veniva una volta alla settimana». E poi? ANTONIO: «Quando è arrivata Patricia lo studio iniziò a trasformarsi. Fino al 1984 l’attività si concentrava soprattutto sul design, poi anche grazie a lei diventò sempre più uno studio di architettura. Patricia era ed è talmente organizzata che le ho affidato moltissimo lavoro». Che coppia siete? Litigate qualche volta o andate sempre d’accordo? ANTONIO: «I primi anni era parte del team, poi le cose sono cambiate. Fino a quando lo studio era solo mio comandavo io». E poi? ANTONIO: «E poi non più». E come sono cambiate le cose? PATRICIA: «Antonio è stato sempre molto assorbito dal design, oltre che dai progetti di architettura, mentre la struttura organizzativa di oggi è così perché...». ANTONIO: «Perché ci hai messo del tuo». Non avevate la stessa idea? PATRICIA: «Ho sempre pensato lo studio non come una bottega, che è il modo di Antonio, ma come un’azienda, che deve avere un’organizzazione, un’identità, un linguaggio, una struttura organizzata secondo le competenze. Non legata a me come persona, ma a un certo modo di fare il lavoro». ANTONIO: «Io invece ho sempre pensato lo studio proprio come una bottega. Dove si fanno arte, mobili, artigianato e tanto altro, e dove vige un rapporto diretto con le persone. In studio mi piace stare accanto ai miei collaboratori, avvicinarmi ai monitor dei loro computer per vedere che cosa stanno facendo, non per controllarli ma perché amo partecipare a ciò che fanno. Mentre Patricia risponde ai collaboratori via email, io desidero il confronto fisico. Non so se sia caratteriale o generazionale, i miei coetanei sono cresciuti senza computer, con gli altri professionisti ci si vedeva, ci si incontrava spesso e si scherzava. Ho iniziato a usare il computer solo nel 1986».



Patricia, lei lo sapeva? PATRICIA: «No assolutamente. Lo scopro adesso». ANTONIO: «Con mia moglie Terry, quando era mia partner di studio, avevo un rapporto intellettuale, viaggiavamo molto e passavamo un sacco di tempo a guardare le cose e a disegnarle discutendo. Terry mi assomigliava troppo da un certo punto di vista ed era difficile fare le cose. Patricia è una persona molto pragmatica e sono stato fortunato a incontrarla. Avrebbe aperto uno studio da sola se non fosse diventata mia partner». PATRICIA: «Antonio è stato un incontro determinante. Ma ancor prima di lui, devo molto al docente con il quale mi sono laureata, Sergio Crotti, architetto bergamasco, che mi ha insegnato a vedere l’architettura non solo sotto l’aspetto tecnico, ma sotto il profilo sociale, culturale e filosofico. Una visione che per quell’epoca era rivoluzionaria». Vi occupate spesso di dare un nuovo volto ai quartieri. Qual è la vostra città ideale? ANTONIO: «Vivo a Milano che rispecchia la mia idea di città, che posso girare a piedi e dove molti quartieri sono diventati isole pedonali. Ha musei bellissimi, teatri come la Scala e hub culturali come la Triennale. È una città che nel tempo è diventata molto più sensibile e permeabile a tanti temi. Negli Anni 70, ad esempio, andare a New York era uno shock, lì tutto era straordinario. Oggi quando torno a New York mi sembra che non sia cambiato nulla da allora. Mentre Milano, adesso, ha una qualità urbana che era inimmaginabile negli Anni 70». PATRICIA: «Milano vive un momento speciale, è una città che riesce ad essere locale ma anche internazionale. Però le manca essere crocevia di movimenti artistici internazionali. E anche se attrae moltissimi studenti perché è diventata un polo

IL NUOVO QUARTIER GENERALE DI FASTWEB, REALIZZATO NELL’AMBITO DELLO SVILUPPO DELL’AREA SYMBIOSIS A MILANO.

universitario di eccellenza, non ha abbastanza tensione verso le novità. Produce troppo poco in ambito artistico e culturale, limitandosi a digerire e divulgare ciò che viene ideato e prodotto altrove. Forse perché non è accogliente come Berlino, che è più aperta e meno costosa». Qual è la responsabilità più importante per un architetto e un designer? ANTONIO: «Siamo diventati fragili, l’abbiamo capito con la pandemia. La natura si prende la sua rivincita e questa consapevolezza ci sta cambiando. Siamo più attenti e come progettisti pensiamo al prodotto nel suo intero ciclo di vita o a come riutilizzare le architetture o modificarle». PATRICIA: «Siamo stati chiamati spesso in causa noi architetti in questi mesi. Lavoriamo con materiali che non sono rigenerabili e consumiamo tutto. La nostra responsabilità sta nel farci portavoce di un modello sociale positivo. Dobbiamo ascoltare, essere partecipi del sogno di felicità del mondo in cui viviamo. Se progetti un quartiere per 3.000 persone, stai facendo un sogno per tanta gente e questa responsabilità si è fatta più evidente durante la pandemia. A Milano si è sentita una coscienza collettiva piena di paura e di incertezza, che va intercettata e compresa». Quanto tempo dedicate al lavoro? ANTONIO: «Anche se non sto più fino a tardi in ufficio, la mia creatività non ha un tempo. Sei sempre acceso e questa è la cosa più bella della mia professione». PATRICIA: «Non è sano lavorare fino a tardi, vuol dire che c’è qualcosa che non va nell’organizzazione». Che cosa vi è mancato di più durante la pandemia? PATRICIA: «Onestamente non molto, solo le persone». ANTONIO: «Gli amici». Vi affezionate alle case e agli oggetti? PATRICIA: «Ho cambiato tante case. Amo l’energia che mi trasmettono dopo ogni trasloco. Quest’anno finalmente me ne sono costruita una, che di fatto è semplicemente uno spazio con vista sull’acqua, pieno di luce e paesaggio, mentre degli oggetti non mi importa molto». ANTONIO: «Ho case molto diverse tra loro, legate al luogo. Ma amo gli oggetti che mi rappresentano perché mi raccontano, e mi affeziono alle cose e allo spazio che occupano. Sono un collezionista d’arte e amo accumulare non per il gusto del possesso, ma per l’emozione che mi procura. Questo studio è anche un po’ la mia galleria d’arte». ■ © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Foto FILIPPO ROMANO

G R A Z I A ANTONIO CITTERIO E PATRICIA VIEL



G R A Z I A STAR DI COPERTINA

CERTI LUOGHI TI CAMBIANO PER SEMPRE

di MARINA SPEICH foto di SONIA MARIN styling di NICOLÒ MILELLA

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Foto FOTOGRAFO FOTOGRAFO

Matilde Gioli, protagonista della serie Doc - Nelle tue mani, accompagna Grazia tra le sale del nuovo ADI Design Museum Milano. E, mentre posa accanto agli oggetti che hanno fatto la storia della creatività italiana, ripercorre i posti che hanno segnato la sua vita: la casa senza più suo padre, l’incidente avuto da ragazza in Inghilterra, il primo set dove ha conosciuto il successo. E poi Roma, dove la passione per i cavalli le ha fatto incontrare una persona speciale che le ha fatto provare il desiderio di essere madre


Foto FOTOGRAFO FOTOGRAFO

G R A Z I A XXXXXXXXXXX

PER L’ATTRICE MATILDE GIOLI, 32 ANNI, TUTA IN SABLÉ CON INSERTI IN LANA JACQUARD (PRADA).

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TRENCH IN LANA, CAMICIA A STAMPA MONOGRAM, SHORTS E COLLANA (TUTTO FENDI). STIVALETTI (ROGER VIVIER). PAGINA ACCANTO: GIACCA BICOLORE SU TOP IN TULLE RICAMATO E JEANS, CINTURA (TUTTO SAINT LAURENT BY ANTHONY VACCARELLO). ORECCHINI E COLLIER CLASH DE CARTIER (TUTTO CARTIER).

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GIACCA IN TWEED CON BOTTONI GIOIELLO E PANTALONI IN DENIM E ORGANZA, CINTURA CON FIBBIA-LOGO DI CRISTALLI (TUTTO CHANEL). COLLIER CLASH DE CARTIER (TUTTO CARTIER).

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CAPPOTTO IN CASHMERE A TRE COLORI E PANTALONI (TUTTO DIOR). SCARPE STRINGATE (CHURCH’S). PAGINA ACCANTO: BOMBER IN MAGLIA E PANTALONI, CINTURA CON TASCHE (TUTTO MAX MARA).

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CAMICIA AMPIA IN POPELINE SU GONNA DI PELLE (TUTTO ALEXANDER MCQUEEN). DÉCOLLETÉES (ROGER VIVER). PAGINA ACCANTO: GIACCA IN GABARDINE ELASTICIZZATO SU CAMICIA, PANTALONI (TUTTO PHILOSOPHY DI LORENZO SERAFINI). TRUCCO: RAFFAELE SCHIOPPO@ SIMONE BELLI AGENCY USING TEINT IDOLE ULTRA WEAR DI LANCÔME. PETTINATURE: ALESSANDRO ROCCHI@SIMONE BELLI AGENCY USING LA PIASTRA STEAMPOD3.0 DI L’ORÉAL PROFESSIONNEL PARIS.

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G R A Z I A MATILDE GIOLI

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G R A Z I A MATILDE GIOLI

innamoratissima, Matilde. Ieri sera, quando pensavo come iniziare questo articolo, ho capito che non potevo cominciare se non da qui, perché l’amore si respira in ogni suo sguardo, parola, racconto, perfino quando parla di dolore o posa nel servizio di moda che le abbiamo scattato nel nuovo Adi Design Museum di Milano. «Sono talmente innamorata che mi addormento con il sorriso», dice. Ride, quando parla di Alessandro, il suo nuovo fidanzato. «Lo so, mi sembra di essere un po’ cretina. Avevo tanto bisogno che arrivasse l’amore». È una Matilde Gioli molto diversa da quella che ho conosciuto sette anni fa, quando Grazia le aveva dedicato la sua prima copertina. Allora era una ragazza distante, un po’ circospetta, diventata attrice per caso, rispondendo a un annuncio trovato appeso a un semaforo. Era stata travolta dal successo del suo primo film, Il capitale umano di Paolo Virzì: doveva prendere ancora le misure con un mondo sconosciuto. Sette anni e 14 film dopo, incontro una donna che apre il suo cuore e contagia con la sua voglia di vivere. Stamattina ha una pausa dal set. Di solito vengono a prenderla presto, alle 5, per andare a girare la seconda serie di Doc – Nelle tue mani. «Uscirà a metà gennaio», racconta. Ma prima di parlare del ruolo che le ha dato così tanta popolarità e del suo impegno nella campagna a favore del congelamento degli ovociti per preservare la fertilità nelle giovani donne, voglio raccontarvi la sua storia. Fin dall’inizio. Mi racconti lei da piccola. «Ero una bambina entusiasta. Conservo tanti video che il mio papà ha fatto con la cinepresa dell’epoca. Mi ritraggono con mio fratello maggiore Filippo e mamma, tutti a giocare per terra. Cantavamo e facevamo balletti improvvisati. I miei fratelli Francesco ed Eugenia sono arrivati una decina di anni dopo. Ogni tanto ancora adesso mamma, anche al

È

La famiglia

ristorante, attacca con una delle canzoni dello Zecchino d’Oro che amavamo, Aggiungi un posto a tavola, e io e Filippo ci mettiamo a battere le mani e a cantare. Gli altri due si vergognano da morire: “Zitti, zitti”». Che lavoro facevano i suoi genitori? «Papà era dentista, passava tutto il giorno in studio, ma quando arrivava a casa la sera cucinava: gli piaceva. Mamma si è laureata in lingue, poi era andata a vivere a New York per frequentare la scuola interpreti ed è tornata insegnante. I miei si sono conosciuti a una festa: dopo sei mesi le nozze, dopo altri sei è nato Filippo. Volevano una famiglia e mia madre ha scelto di stare con noi. Ha ripreso a insegnare quando i miei fratelli piccoli avevano 3 o 4 anni e lo fa ancora al liceo». Il legame con la sua famiglia è molto forte: sette anni fa, quando l’ho intervistata, sul set del servizio fotografico aveva portato sua sorella Eugenia. Allora aveva 15 anni, ma era lei a insegnarle a truccarsi. È ancora la sua consulente d’immagine? «Sì, ma ogni tanto mi fa impazzire. Adesso sto molto a Roma e spesso lei va nella mia piccola casa di Milano per innaffiare l’olivo a cui tengo tantissimo. Si occupa della gatta, se la lascio lì. In cambio può prendere tutti i vestiti e le scarpe che vuole, ma io sono molto disordinata. Ogni tanto mi chiama: “Non sai quello che hai. Potresti creare bellissimi look”. Così mette in ordine e mi prepara degli outfit». Lei si è sentita un po’ il capofamiglia, dopo la perdita del suo papà. È ancora così? «Era un uomo responsabile, ma anche grande dispensatore di amore e tranquillità. Si è sentita molto la sua mancanza. I primi anni sono stati difficili, sentivo il compito di tenere tutti uniti. Poi la confusione e la rabbia si sono placate. Da qualche anno c’è solo la volontà di ritrovare la pace. Ora mi sento sostenuta da tutti». Quando se n’è accorta? «Anche un anno fa. Era il primo giorno di ripresa della prima stagione di Doc. La mia mamma ha

«Quando è mancato mio padre è stato difficile, ho sentito il compito di tenere uniti tutti. Poi la mia rabbia si è placata e ora ho trovato la pace» 60



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rischiato la vita per una banale colica renale, diventata shock settico: è finita in rianimazione. Ci siamo ritrovati ad affrontare un nuovo dramma, ma dalla perdita di papà era passato del tempo e noi fratelli ci siamo intanto ridistribuiti i ruoli: ognuno aiuta con ciò che sa fare meglio, dando una mano agli altri». Era gà sul set di Doc. Insomma il ruolo dei medici ce l’ha ben presente. «A casa ci siamo scontrati più volte con gli ospedali. Prima della malattia di papà, c’è stato il mio incidente alla schiena e l’infortunio di mio fratello Filippo». Il suo incidente alla schiena? «Avevo quasi 16 anni, era estate. Ero in Inghilterra per una vacanza studio, in un parco acquatico. Mi sono tuffata dal trampolino di 5 metri e mentre riemergevo un ragazzo di 95 chili si è buttato atterrando sulla mia schiena. In quell’incidente ho rischiato la paraplegia: cinque vertebre devastate, trauma facciale». Poi che cosa è successo? «Un mese e mezzo a Londra, immobilizzata: all’inizio non sentivo neppure le gambe. Per riuscire ad arrivare in Italia mi hanno messo in una barella sospesa nella cabina dell’aereo. Per altri quattro mesi sono stata a casa, a letto. E ho portato per un anno e mezzo, di giorno e di notte, un busto di ferro: bucavamo i materassi e le magliette per vestirmi. Ma adesso sorrido: è andato tutto bene». Che effetto le fa indossare il camice da medico nella serie tv Doc? «Mi sento a mio agio: ho sempre sognato di fare il medico. Dopo il liceo ho fatto il test di medicina. Non l’ho passato: c’ero rimasta male, ero molto motivata. Ma è andata così e mi sono laureata in filosofia, con una tesi in neuroscienze». Poi è arrivato il cinema. Una volta lei ha detto che un’attrice, recitando in ruoli sempre diversi, rischia di perdere la propria identità. Lo pensa ancora? «Il mio rapporto con il cinema è passato

L’amore

attraverso diverse fasi. All’inizio prendevo grande distanza nei confronti di questo lavoro: una forma d’immaturità. Se qualche provino non andava bene, mi nascondevo dietro la scusa che ero un’attrice per caso. Negli ultimi anni, invece, mi sono presa le mie responsabilità: è il mio lavoro, lo faccio seriamente. Sto iniziando a sbloccarmi, anche se talvolta mi fa ancora paura, perché lasciarsi andare ha un prezzo: a volte mi sento toccata in punti che non vorrei scoprire». Insomma, anche sul set sta cercando di non avere più un atteggiamento difensivo. «Sì, sono più rilassata e ci metto più impegno». Lei, milanese, adesso sta spesso a Roma, anche per lavoro. Ha una casa sua? «Sì, ma quando finirò di girare non rinnoverò il contratto. Il lavoro mi porterà altrove e poi qui, ho un appoggio un po’ più...». Affettuoso? Emotivo? Parliamo di Alessandro, allora, il suo fidanzato le regala questo sorriso. Mi racconti com’è nata la vostra storia. «Ho sempre avuto un grande amore per gli animali, ma i cavalli li ho scoperti girando Moschettieri del re di Giovanni Veronesi. Li ho talmente amati che ne ho comprato uno, Fuego: è in una cascina fuori Milano. Lo scorso aprile stavo girando Doc ma ero troppo stanca per tornare. Un sabato mattina mi sono detta: “Ho bisogno di andare a cavallo”. Ho digitato su Google: “Passeggiate a cavallo Roma” e ho trovato il numero di telefono di Alessandro. Mi ha messo subito in riga: “Niente trotto o galoppo. Se vuoi venire, devo conoscere il tuo rapporto con i cavalli: oggi solo passeggiata tranquilla”. Lui si occupa spesso di cavalli impegnativi e ha il dono di domarli: è un po’ quello che ha fatto con me. In passato nessun uomo c’era riuscito. Ogni volta scappavo, lui riesce invece a tenermi». È l’uomo che aspettava? «Sono stata single per due anni. In passato avevo invece sempre un fidanzato, per paura di stare sola. Questi due anni sono stati

«Il mio fidanzato si occupa di cavalli impegnativi e ha il dono di domarli: è un po’ quello che ha fatto con me. In passato nessun uomo c’era riuscito. Ogni volta scappavo, lui riesce a tenermi» 62



G R A Z I A MATILDE GIOLI

importantissimi per me, per trovare i miei spazi. Ora so che non sto con lui per riempire un vuoto. È una relazione matura: Alessandro è un uomo che mi tiene agganciata alla realtà». Su Instagram ho visto che per il suo compleanno, a fine agosto, l’ha portata sui Monti Sibillini: la montagna è la grande passione che condivideva con il suo papà. «In realtà il regalo è stato un lancio con il paracadute, una follia, ma poi abbiamo fatto anche un picnic in quota: uno dei compleanni più belli degli ultimi anni». Il sabato pomeriggio in cui l’ha incontrato, l’ha riconosciuta? «No. Ma i ragazzi che fanno equitazione con lui poi gli hanno detto: “Sai chi è? È l’attrice. Non mi aveva mai visto. È molto lontano dal mondo del cinema: orgoglioso di quello che faccio, contento di avere una donna indipendente, ma se facessi altro per lui sarebbe lo stesso». Farebbe subito un figlio con lui? «Sì». Ma lui lo sa? (Ride). «Ci scherziamo su, ma siamo insieme solo da quattro mesi. Stare con un’attrice non è facile, non sono una che perde la testa per successo e fama, ma chi non conosce questo mondo ne ha un po’ paura. È fatto di orari strani, progetti imprevedibili, promiscuità con chi lavora con te, tutti a dormire nello stesso hotel. È un po’ come salire in sella a un cavallo che non si conosce: si rimane in tensione all’inizio, ci vuole tempo per abituarsi». A proposito di figli, lei ha aderito alla campagna sulla preservazione della fertilità con il congelamento degli ovociti lanciata dal Gruppo GeneraLife. Perché? «Non conoscevo la pratica della crioconservazione degli ovociti e non mi era mai venuto in mente che tante giovani donne devono tutelare la propria fertilità per riuscire magari ad avere un figlio dopo un tumore e una chemioterapia. Per queste pazienti il

La scelta

congelamento degli ovuli è una vera speranza. Ma è importante anche per chi non ha mai avuto problemi di salute: basta guardare la curva della diminuzione delle nascite in Italia. Le ragazze tra i 18 e i 28 dovrebbero pensare già alla salute riproduttiva, invece non ne parla nessuno, neppure i ginecologi». La fertilità delle donne diminuisce con gli anni e posticipando il momento della maternità è sempre più difficile rimanere incinta. Congelando i propri ovociti, invece, si può avere un’opzione in più se si è meno fertili. Ha pensato seriamente di farlo? «Intanto ho preso appuntamento per un test di fertilità. Ma ho la volontà di farlo». A proposito di bambini, c’è un suo film che uscirà all’inizio dell’anno che li coinvolge. «Sì, la commedia Bla Bla Baby di Fausto Brizzi con Alessandro Preziosi e un gruppo di bambini sotto l’anno. Un progetto stupendo». Se dovesse pensare alla sua città, Milano, magari quando diventerà mamma, come la vorrebbe trasformare? «Vorrei una città più amica delle donne e delle mamme, con luoghi di aggregazione dove le persone possono rilassarsi con i propri figli e con i propri animali ritrovando una socialità diversa. Non solo quindi le chiacchiere veloci, fuori da scuola, nella calca o su WhatsApp, ma luoghi dove condividere racconti. Più spazi all’aperto, sicuramente, ma anche al chiuso, creati con materiali ecosostenibili, dove la gente si senta bene». Per un anno e mezzo siamo stati ostaggio della pandemia. Ha realizzato questo servizio nel nuovo museo del design di Milano. Che effetto le ha fatto? «Sono un’appassionata di arte. Visitare i musei mi rilassa e mi arricchisce. E scattare all’interno del Museo dell’ADI è stato suggestivo: dopo la chiusura per la pandemia tornare alla normalità è stato meraviglioso». ■ © RIPRODUZIONE RISERVATA

«Ho aderito alla campagna di congelamento degli ovociti. Ogni donna tra i 18 e i 28 anni dovrebbe tutelare la propria fertilità. Eppure pochissimi ginecologi ne parlano» 64


MAXI PANNELLI SCORREVOLI, SELF BOLD CONTENITORE. DESIGN GIUSEPPE BAVUSO



G R A Z I A IL TEMPIO DEI CREATIVI

QUI OGNI OGGETTO racconta un’emozione

L’ADI Design Museum di Milano, dove abbiamo scattato il nostro servizio di copertina, è il luogo che raccoglie gli oggetti di uso quotidiano diventati icone. «Abbiamo creato», dice il presidente Luciano Galimberti, «un posto dove conoscere le storie delle cose che rendono migliore la nostra vita» di LUCIA VALERIO

Foto MARTINA BONETTI Illustrazione DANIELE COSTA

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L’ADI DESIGN MUSEUM DI MILANO. NELLA FOTO, UN’IMMAGINE DELLA MOSTRA TEMPORANEA UNO A UNO. LA SPECIE DEGLI OGGETTI. IN ALTO: UNA SALA DEL MUSEO; IL PRESIDENTE DI ADI, LUCIANO GALIMBERTI.

i si va per fare un tuffo nella memoria all’ADI Design Museum, tante sono le emozioni che generano gli oggetti che custodisce. Fanno parte della collezione storica del Compasso d’Oro dal 1954, il premio più importante del mondo a opere di design, riconosciuto dal Ministero dei Beni Culturali come “bene di eccezionale interesse artistico e storico”. I ricordi rimbalzano sulle pareti in cui sono esposti i pezzi e in pochi secondi ricostruiscono un paesaggio familiare, in un gioco della mente che ti fa esclamare quasi ad alta voce:«Ce l’avevo anche io». ADI, l’Associazione per il Disegno Industriale, è stata fondata nel 1956 e oggi riunisce oltre mille soci tra progettisti, imprese, ricercatori, editori, giornalisti, scuole. Da qualche mese la sua casa è il bellissimo museo nato dal recupero di un’architettura milanese degli Anni 30, utilizzata come deposito di tram a cavallo e poi come impianto di distribuzione di energia elettrica, firmato dagli architetti Ico Migliore, Mara Servetto e Italo Lupi. In mostra, oltre agli oggetti, ci sono disegni e scritti realizzati oltre che dai progettisti e dai produttori, anche da disegnatori tecnici, ingegneri, modellisti, fotografi, critici. «Abbiamo cercato di rendere comprensibile il 67


G R A Z I A LUCIANO GALIMBERTI

sistema del design che sta dentro a un oggetto, le imprese le storie delle persone i progettisti», dice a Grazia Luciano Galimberti, presidente di ADI. «Volevamo evitare che la gente si domandasse: perché devo pagare un biglietto per vedere una Tratto Pen, visto che, se vado in cartoleria a comprarla, mi costa meno?». Comprare quella penna, però, non è la stessa cosa che capire da dove arriva. «Ecco perché abbiamo scelto una narrazione per addetti ai lavori e una per il grande pubblico». Il design ha una storia conosciuta solo dagli addetti ai lavori? «È una storia straordinaria fatta di persone che noi volevamo raccontare a modo nostro. Il museo nasce da un premio che ha un’idea precisa della qualità. Il nostro logo parte dal compasso d’oro che misura le proporzioni, ma indica anche un processo articolato di responsabilità. E noi abbiamo il dovere di conservare il nostro patrimonio e di valorizzarlo». Come avete fatto a renderlo un luogo adatto a tutti? «Il museo è concepito come uno spazio fluido, mostra permanente e mostre temporanee sono in relazione perenne. Qui ognuno trova i propri percorsi. È come quella bella metafora dell’arcipelago del filosofo Massimo Cacciari: non hai una rotta tracciata, puoi andare da un punto all’altro, la cosa fondamentale è il mare che connette le varie isole. Ecco, noi vogliamo essere il mare». I racconti dei designer e dei tecnici fanno venire voglia di saperne di più? «Vogliamo condividere le emozioni dei vari progettisti, il loro percorso formativo, l’esperienza di vita, la musica che ascoltano, i loro gusti, che poi si sintetizzano in un prodotto. Su Spotify c’è un mio podcast dal titolo 33 piccole storie di design, dove ho raccontato 33 oggetti diventati iconici. Rappresenta lo stile narrativo che useremo nel museo (33 piccole storie di design è anche il titolo del suo libro pubblicato da Electa, ndr). Non vogliamo un museo celebrativo, ma che aiuti a capire il futuro. La mostra attualmente in corso, la

prima al mondo, su Renata Bonfanti, tra i primi textile designer in Italia, che negli Anni 50 è riuscita a unire artigianato e industria è attualissima. I cosiddetti “maker” di oggi sono l’evoluzione di quello che lei cominciò allora». Che cosa rappresenta il design nella quotidianità di ognuno di noi? «Nell’ultima edizione del Compasso d’Oro c’erano nove maxi schermi che rappresentavano altrettanti momenti della giornata quotidiana. La domanda che ci eravamo posti era: “Il design permea le 24 ore, ma quanto è percepito nelle cose che facciamo, da quando ci alziamo a quando andiamo a letto?”. Abbiamo messo in relazione gli oggetti della ritualità quotidiana con le grandi icone del design storico italiano e abbiamo visto che alcuni pezzi hanno travalicato il tempo e funzionano ancora, mentre altri stanno avendo un’evoluzione». E nel futuro? «La prossima edizione del Compasso d’Oro avrà queste parole chiave: sviluppo, sostenibile e responsabile. Perché il pianeta è uno e dobbiamo avere crescente responsabilità verso che cos’è bene e che cos’è male in ciò che acquistiamo. Significa prodotti più giusti e ovviamente anche belli. Il design deve uscire dalla dimensione puramente estetica. La parodia del comico Maurizio Crozza è illuminante: “Se non si capisce è di design; se si capisce, è una sedia”. Questo franitendimento è alimentato da molti addetti ai lavori e un’autocritica va fatta. Inoltre dobbiamo uscire da considerazioni ideologiche e radicali. Sulla plastica, per esempio, è lecito farsi la domanda: quanto sacrifica il pianeta e quanto garantisce un alto livello d’igiene?». E per chi non è a Milano, che cosa farete? «ADI è un’associazione nazionale che ha 13 delegazioni territoriali e con il museo abbiamo ideato un programma che si chiama 1300 chilometri di design made in Italy, partendo dalla Sicilia per arrivare al Trentino e alla Valle D’Aosta. Portare le riflessioni dal museo di Milano in giro per l’Italia è una priorità». ■ © RIPRODUZIONE RISERVATA

La responsabilità dei designer «Il pianeta è uno e dobbiamo capire che cos’è bene e che cos’è male in ciò che acquistiamo. Significa pensare prodotti più giusti e ovviamente anche belli» 68



G R A Z I A LOREMIPSUM

LA BELLEZZA CI SALVERÀ

UNA SALA DEL MUSEO NAZIONALE DI PALAZZO VENEZIA, A ROMA.

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G R A Z I A ALLEANZE

Nei secoli scorsi artisti e intellettuali soggiornavano a lungo in Italia per conoscere i suoi tesori: era il Grand Tour. Oggi tre direttori di importanti musei del nostro Paese rilanciano quel modello. Solo così, dicono a Grazia, la cultura tornerà a essere un bene diffuso e renderà migliore la vita di tutti

Foto IPA

di LUCIA VALERIO

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G R A Z I A ALLEANZE

DA SINISTRA: EDITH GABRIELLI, DIRETTRICE DEL NUOVO ISTITUTO VITTORIANO E PALAZZO VENEZIA A ROMA; MARCO SAMMICHELI, DIRETTORE DEL MUSEO DEL DESIGN ITALIANO DI TRIENNALE MILANO; KATHRYN WEIR, DIRETTRICE DEL MADRE, IL MUSEO DI ARTE CONTEMPORANEA DONNAREGINA DI NAPOLI. SOPRA, DA SINISTRA: UNA SALA DEL MUSEO DI DESIGN DI MILANO; IL MUSEO DEL RISORGIMENTO A ROMA.

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e nuove collaborazioni, come nel caso del progetto promosso dalla Phillips Collection, il cui proposito era l’inclusione dei musei italiani in una rete virtuale di didattica e public programs, e il sostegno ai musei nel connettersi a un pubblico diversificato. Oggi ci si interroga molto su quale sia la funzione di un museo di arte contemporanea e come deve rispondere al suo tempo e alle nuove pratiche artistiche. Molti artisti, ben prima dell’emergenza sanitaria, hanno intrapreso pratiche collaborative, in particolar modo nel Sud Italia, laddove la presenza istituzionale è risultata maggiormente carente. Pratiche che sono al centro del dibattito internazionale sul ruolo dell’arte oggi. Il Madre ha deciso di andare oltre l’identità canonica del museo per cercare di diventare una cassa di risonanza: una piattaforma in cui artisti, pubblico, associazioni, realtà del territorio possano avere, attraverso l’arte, l’opportunità di accedere a idee, forme e saperi che mettono in dialogo ambiti culturali, linguistici, storici, geografici, sociali e perfino politici. Per questo il futuro che immaginiamo, e che stiamo già sperimentando, è fatto di relazioni, di reti in cui ognuno trova il suo spazio e si sente coinvolto, sviluppando la dimensione civica dell’istituzione di arte». Un futuro nel quale un palinsesto culturale condiviso giocherebbe un ruolo determinante. «Cè un significato duplice in questa necessità di avere una programmazione culturale condivisa», dice Marco Sammicheli, direttore del museo del

Foto IPA. Illustrazione DANIELE COSTA

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e vi è mancata quella meravigliosa presa in ostaggio della mente che solo alcune opere d’arte sanno praticare, e se volete che tra vita e arte la distanza si accorci sempre di più, tre direttori di musei hanno molto da dirvi. In special modo sulla necessità di un maggiore collegamento tra gli eventi culturali delle varie città al fine di goderne meglio e di più. «La pandemia e gli eventi che ne sono derivati hanno stravolto sotto quasi tutti gli aspetti le abitudini delle persone, portandole a ripensare le loro priorità, i ritmi, le aspettative, le percezioni dello spazio e la relazione con il futuro», dice a Grazia Kathryn Weir, direttrice del Madre, il museo di arte contemporanea Donnaregina di Napoli. «La lunga preclusione degli spazi culturali ha evidenziato quanto siano importanti per alimentare una vita ricca di idee, scambi ed esperienze condivise, e nell’immaginarsi altrimenti e altrove. Ne è testimonianza la grande affluenza che, in concomitanza con ogni riapertura, anche se temporanea, è stata registrata da musei, fondazioni e gallerie in tutta Italia». Nessun beneficio è arrivato dall’esperienza virtuale dell’arte? «L’arena digitale è stata protagonista di trasformazioni significative, che hanno portato a ripensarla non come surrogato dell’esperienza dal vivo, ma come luogo in cui mettere in contatto e far dialogare attori locali, nazionali e internazionali. Senza tralasciare occasioni di formazione interdisciplinari



G R A Z I A ALLEANZE Design Italiano di Triennale Milano. «Il primo è quello di fare rete, perché archivi, patrimoni e offerte culturali delle diverse istituzioni se si integrano possono offrire percorsi narrativi trasversali che avvicinano il pubblico ancora di più alla cultura. E l’altro è la logistica di calendario che ci darebbe la possibilità di creare un palinsesto in cui non si sovrappongono le iniziative. Con un grande calendario nel corso dell’anno in cui città, distretti e grandi istituzioni offrono ogni volta nei luoghi e attraverso i luoghi possibilità di lavorare insieme. Design è soprattutto cultura materiale: spiegare che il ritrovato tecnologico, l’esito di un processo industriale sono qualcosa che racconta la nostra quotidianità. Lavorerò affinché un museo parli a tutti senza essere banale». I calendari condivisi per Triennale sono già realtà consolidata. Su diverse scale, sia cittadina, sia nazionale e internazionale, l’istituzione collabora con varie fondazioni e con case-museo coproducendo diverse mostre. «Abbiamo recentemente inaugurato una mostra con l’archivio Pietro Lingeri per dare una risonanza maggiore al lavoro di un grande architetto, e collaboriamo frequentemente con il Maxxi di Roma e il Madre di Napoli, dove recentemente c’è stata la mostra su Alessandro Mendini, mentre su scala internazionale abbiamo un progetto a lungo termine con la Fondation Cartier pour l’art contemporain di Parigi». Unire le forze. Lo sa bene Edith Gabrielli, direttrice del nuovo istituto Vittoriano e Palazzo Venezia a Roma. «Nella mia passata esperienza ho gestito 46 musei del Lazio, alcuni celebri in tutto il mondo, come Castel Sant’Angelo, l’Abbazia di Montecassino o il Pantheon, altri invece meno noti, ma non per questo meno importanti. Una delle più grandi soddisfazioni era far scoprire questi ultimi

a chi abitava nelle loro vicinanze, un fenomeno che rientra nella sfera del cosiddetto turismo di prossimità. Dal 2016 al 2019 ho dato vita ad ArtCity, una serie di iniziative per far conoscere tutti i musei della regione, con oltre 150 iniziative di arte, architettura, letteratura, musica, teatro, danza e audiovisivo. Complessivamente abbiamo coinvolto un milione di spettatori. “Che bello abitare accanto a un capolavoro: sa che non lo sapevo? Grazie!”, mi sono sentita dire una volta da una ragazzina. Al di là dei numeri, dei risultati, dei grafici, alle volte bastano queste parole a dare senso al mio lavoro. Ciò detto, possiamo, dobbiamo fare di più e meglio per il nostro patrimonio culturale. Capita spesso che in una grande città ci siano iniziative importanti senza che le istituzioni coinvolte sappiano niente l’una dell’altra. E questo non va bene. Abbiamo insegnato il restauro a tutto il mondo ma non abbiamo ancora imparato a programmare. Attenzione, fare rete non vuol dire rinunciare alla propria specificità: la vera sfida è allearsi per richiamare più pubblico. La pluralità di proposte è una ricchezza, perché fare cultura vuol dire proporre una propria visione critica della realtà. Viva perciò la dissonanza tra le voci. Avere un calendario condiviso significa innanzitutto fare una buona programmazione, che serve per spendere meglio le risorse pubbliche e per coordinarsi con le altre istituzioni nazionali e internazionali. E aggiungo che evita il rischio della stagionalità. Le nostre città sono la meta preferita dei turisti internazionali che vengono principalmente in Italia d’estate o durante le feste. Questo significa avere una grande affluenza nei nostri musei solo in alcuni periodi dell’anno. Un palinsesto coordinato contribuirebbe a rendere più attrattive le nostre città nell’arco di 12 mesi». ■ © RIPRODUZIONE RISERVATA

DA SINISTRA: IL CHIOSTRO DI PALAZZETTO VENEZIA, DI FIANCO AL MUSEO DI PALAZZO VENEZIA A ROMA; UNA SALA DEL MADRE, IL MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA DONNAREGINA, A NAPOLI.

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G R A Z I A IL TRAGHETTATORE

Foto CONTRASTO. Illustrazione DANIELE COSTA

IN CASA NASCE IL NOSTRO DOMANI Le metropoli sono tra le maggiori responsabili dell’inquinamento ambientale. Per questo, dice a Grazia il ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani, la rivoluzione verde partirà dalle nostre città e dalle nostre strade: con energia pulita, minori sprechi e 12 milioni di vecchie automobili in meno di MONICA BOGLIARDI

IL BOSCO VERTICALE, COMPLESSO DI DUE PALAZZI RESIDENZIALI A TORRE PROGETTATO DA BOERI STUDIO, COMPOSTO DA STEFANO BOERI, GIANANDREA BARRECA E GIOVANNI LA VARRA, A MILANO. A SINISTRA, ROBERTO CINGOLANI, MINISTRO DELLA TRANSIZIONE ECOLOGICA, 59 ANNI.

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Il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani ha accettato subito di parlare con Grazia del futuro delle città. E quando appare su Zoom dal suo ufficio romano, camicia azzurra e, alle spalle, le bandiere italiana ed europea, capisco perché: la transizione verso economie non inquinanti, in linea con gli impegni presi nel 2015 dall’Italia con l’accordo sul clima di Parigi, quella transizione da cui dipende la nostra sopravvivenza, è legata a filo doppio ai grandi agglomerati urbani, dove si concentrano gran parte dei problemi legati alla catastrofe climatica. Ecco perché le “ricette” per le città sostenibili non sono più sufficienti: urge passare alle azioni. E proprio da questo inizia l’intervista. Le città possono diventare laboratori strategici della transizione ecologica? «Devono diventarlo: ormai ci vive più del 60 per cento della popolazione mondiale e vi si 77


G R A Z I A ROBERTO CINGOLANI

produce una parte enorme del Prodotto Interno Lordo planetario. E poi perché l’inquinamento è legato alla produzione di anidride carbonica, prodotta per il 30 per cento dalle manifatture, per il 25 dalla mobilità, per oltre il 20 dalla dispersione energetica delle case. I tre grandi emettitori di anidride carbonica sono fenomeni in prevalenza cittadini: perciò i cambiamenti, tecnologici e di stili di vita, avverranno là dove c’è maggiore concentrazione di persone. La transizione ecologica non ha scelta: deve partire dalle città». Quali sono le più significative politiche urbane del Piano di Ripresa e Resilienza? «Quelle che vanno verso la transizione energetica, puntando a una rete elettrica smart, verde, che gestisca in modo intelligente i flussi di energia, e creando infrastrutture che la sostengano, per esempio le colonnine per ricaricare le auto elettriche. Ciò riguarda le città, che sono i centri energivori per eccellenza, e su questo obiettivo il PNRR ha stanziato 27 miliardi di euro. Ce ne sono anche 18 sull’efficientamento energetico: più del 20 per cento della Co2 è prodotta da dispersione energetica, attraverso finestre e infissi, tetti e pareti, coibentazioni inefficienti. Il grosso di questo spreco avviene negli agglomerati urbani. Per elettrificare il riscaldamento, poi, si dovrà usare elettricità verde, la stessa che servirà per le macchine elettriche. Infine, gli investimenti

sull’economia circolare, che punta a dare una nuova vita ai materiali riciclandoli, e a strutturare in modo intelligente la raccolta differenziata, utile soprattutto in città, grande produttrice di rifiuti». La pandemia ha evidenziato nuovi bisogni in materia di servizi cittadini? «Uno per tutti: la digitalizzazione avanzata. Abbiamo dovuto farla in fretta, l’alternativa era l’isolamento. Le racconto la mia esperienza: prima del Covid, a casa avevo una rete non molto efficace, ma bastava alle mie esigenze. All’inizio del lockdown ho dovuto chiedere di averne una in fibra molto veloce. E l’ho ottenuta in poco tempo. Se non ci fosse stata l’urgenza di lavorare da remoto a quei ritmi, mi sarei accontentato della rete che avevo. E ciò è successo a molti cittadini e ancor più alle aziende e ha dato forte spinta alla digitalizzazione». Che cosa dovranno fare i cittadini per impattare meno sull’ambiente urbano? «Allungare la vita dei nostri prodotti, non cambiandoli se funzionano ancora. Non sprecare l’acqua, con docce lunghe o piccoli gesti, come sciacquare i piatti prima di lavarli, ancora con l’acqua, nella lavastoviglie. Fare bene la raccolta dei rifiuti, cosa che favorisce il riciclo; e usare il più possibile i mezzi pubblici urbani. Ha presente quando in famiglia si riflette, prima di comprare un oggetto, sul fatto che sia più o

Foto IPA

LA NORVEGIA STA TESTANDO LA PRIMA STRADA DI RICARICA A INDUZIONE SULL’ISOLA DI GOTLAND. UNA TECNOLOGIA CHE CONSENTE DI CARICARE LE BATTERIE DEI VEICOLI ELETTRICI MENTRE L’AUTO È IN PIENO MOVIMENTO.

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G R A Z I A ROBERTO CINGOLANI

meno conveniente in questo o quel negozio, e se davvero serva acquistarlo? Quell’approccio va riversato sulle risorse naturali. Ogni volta che le usiamo chiediamoci se ne abbiamo davvero bisogno. Pure l’ambiente va risparmiato». Che ruolo avrà la cosiddetta sobrietà digitale? «I numeri sono importanti per capire la questione. Il digitale produce il 4 per cento dell’anidride carbonica. Non è tanto. Eppure quando mando un’email da un megabite produco la Co2 di una lampadina da 60 watt accesa per 30 minuti. Spedire un sacco di email è come percorrere ogni giorno 100 chilometri in macchina. Vedere i film sulle piattaforme, accedere agli streaming consuma energia. Ma anche se prendo l’auto e vado al cinema impatto sull’ambiente. Che fare? Le tecnologie non devono essere una contro l’altra, i numeri dei consumi energetici non devono servire per dire “faccio questo” o “non faccio quello”, ma per trovare il miglior compromesso tra il nostro stile di vita, la qualità di vita e l’impatto sull’ambiente. Per fortuna ci sono sempre più ricerche per fare luce su questi compromessi». Il suo ministero ha finanziato i progetti verdi di 14 città italiane. Quali trova più interessanti? «La città deve diventare più verde perché così assorbe più Co2; e poi la città “green”, a parità di architettura, è più bella. Il verde è sano, fa ombra, attira bambini e adulti per giocare e fare sport, aggrega di più. Mi piace l’esperimento dei boschi verticali in città, penso ai palazzi milanesi dell’architetto Stefano Boeri: la città futura non è certo quella con grattacieli da mille piani, ma è biomimetica, ha case in cui il verde è associato al legno. Il verde è il mio colore preferito, più del blu del mare: abito a Genova ma sto in collina, quasi in un bosco. Senza entrare nel merito di ciò che ha proposto l’una o l’altra città italiana, tengo molto ai progetti dei “porti verdi”, che puntano a mitigare l’impatto dei porti sulle città marine, alla

Inquinamento elettronico «Il digitale produce il 4 per cento dell’anidride carbonica. Quando invio un’email consumo come se tenessi accesa una lampadina per 30 minuti»

digitalizzazione dei parchi naturali che può facilitare il turismo delle scuole, ai lavori per recuperare l’ambiente costiero, là dove ci sono biodiversità particolari, ma anche i 5 miliardi che si investiranno sull’acqua per recuperare reti idriche. Insomma, è allo studio un’azione combinata che interessa il verde, l’acqua, la costa, il dissesto idrogeologico. Inciderà su tutto il territorio, non solo sulle città». Una metropoli che ha puntato sul verde? «Sembra paradossale, ma Tokyo, che non è una città “green”, ha creato, nella sua foresta di cemento, delle piccole oasi verdi. Io, che ci ho vissuto, le ho trovate molto fruibili». Come ci si muoverà in città tra qualche anno? «Usando molto il trasporto urbano, che per questo è la priorità immediata negli investimenti. Per quanto riguarda la mobilità alternativa, va favorita la penetrazione di mezzi elettrici e ibridi. Togliere dalla circolazione i 12 milioni di auto altamente inquinanti sarebbe un buon servizio all’ambiente, ma non risolve il problema del traffico. Per il quale servirebbero misure per potenziare “car pooling”, e “car sharing”, l’auto condivisa, e la circolazione sulle due ruote, di cui sono un fan, e sulle due ruote elettriche. Ma nelle città del 2060, dove ci saranno i satelliti, tutto, scuole, ospedali, municipio, sarà a portata di 15 minuti, e avere l’auto sarà meno importante: e quando proprio se ne avrà bisogno magari la si affitterà. La mobilità sarà plasmata da chi abiterà le città del futuro: già oggi le nuove generazioni, vedo i miei figli, sono meno appassionate alle auto di quanto lo fosse la mia. Oggi la libertà non è più spostarsi in auto ma parlare sulla Rete con migliaia di persone. Domani sarà avere un telefonino, che magari consiste in un tatuaggio sul polso, e che mentre sei per strada potrà collegarsi a una rete che permette di fare tutto». Ha detto che le città costiere, da Trieste a Palermo, sono a rischio per l’innalzamento dei mari. Che cosa si può fare per metterle in sicurezza? «Non ci sono soluzioni negoziabili. Le rispondo: tutto ciò che serve per contenere l’aumento della temperatura entro il grado e mezzo, in modo da non farle sommergere». Se non vivesse a Genova, dove abiterebbe? «Se fossi single, starei a Tokyo: ci ho vissuto molto bene da ragazzo. Altrimenti in Canada, in qualche città silvana nella regione dell’Alberta, o a Vancouver. Ho sempre amato i posti in cui posso sparire nel verde sulla mia mountain bike». ■ © RIPRODUZIONE RISERVATA

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G R A Z I A MODA

Nuovi equilibri Gli abiti sembrano sculture, gli accessori lasciano il segno e i cappelli hanno linee grafiche fortissime foto di WIN.TAM styling di BELLE SHAO

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MAXIABITO IN JERSEY DI SETA, GIROCOLLO G CHAIN, ZEPPE MONUMENTAL MALLOW (TUTTO GIVENCHY).

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MINIABITO IN RASO A VITA ALTA, CALZE CON MOTIVO LOGO E SANDALI CON MAXIPLATEAU, COLLANA E BRACCIALE (TUTTO VERSACE). ORECCHINO (MOSCHINO).

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ABITO CON MANICHE A SBUFFO E PAPILLON, ORECCHINI (TUTTO GUCCI). CAPPELLO CON PIUME (KUMI DING).

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ABITO A RUOTA SU CAMICIA, COLLANA CINTURA, (TUTTO DIOR). L’IDEA BELLEZZA: LO SPIRITO COUTURE DELLA NUOVA MISS DIOR EAU DE PARFUM, CON UN BOUQUET MILLEFIORI CHE CELEBRA LE TANTE SFACCETTATURE DELLA FEMMINILITÀ (DIOR).

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BLUSA E GONNA IN TWEED DI LANA CON PIUME E PAILLETTES, BIJOUX (TUTTO CHANEL).

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TOP CON FIOCCO SU GONNA, BIJOUX, CALZE, DÉCOLLETÉES (TUTTO SAINT LAURENT BY ANTHONY VACCARELLO). GUANTI (LANVIN).

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CAPPA CON PETALI IN RILIEVO SU PANTALONI DRITTI (TUTTO GIORGIO ARMANI). CAPPELLO A TESA MOLTO AMPIA (KUMI DING).

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BLUSA ASIMMETRICA IN RASO STAMPATO CON FIBBIE SU PANTALONI IN NAPPA (TUTTO LOEWE). CAPPELLO (KUMI DING).

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COMPLETO CON APPLICAZIONI DI PIUME (BOTTEGA VENETA).

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MAXI CAPPOTTO IN ASPEN, BODY NERO, GUANTI E STIVALI IN MAGLIA JACQUARD CON PLATEAU (TUTTO PRADA).

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BLUSON BICOLORE SU MINIABITO E LEGGINGS CON MOTIVO DI CRISTALLI (TUTTO LOUIS VUITTON).

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ABITO CON MAXI MANICHE A SBUFFO E ARRICCIATURE, BIJOUX (TUTTO ALEXANDER MCQUEEN).

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ABITO IN DUCHESSE CON FENICOTTERO DECORATO DI PAILLETTES (MOSCHINO). MULES CON CINTURINO DI CRISTALLI (JIMMY CHOO).

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GILET IN NAPPA CON FRANGE SU CAMICIA A QUADRI E PULL, PANTALONI, SCARPE (TUTTO HERMÈS).

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GIACCA AMPIA IN ASPEN SU ABITO CON CORPINO CROCHET, CUFFIA IN MAGLIA (TUTTO MIU MIU).

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GIACCA DOPPIOPETTO SU SHORTS, CAMICIA DI PIZZO (TUTTO VALENTINO). CAPPELLO (KUMI DING). TRUCCO: LU. PETTINATURE: XIAO TIAN.

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ABITO A BUSTIER (LANVIN). COLLANA (SAINT LAURENT BY ANTHONY VACCARELLO), DÉCOLLETÉES (JIMMY CHOO). PRODUZIONE: C.SIDE.


G R A Z I A SCENARI

OGNI TUA SCELTA CAMBIA IL MONDO

Vivere in una realtà migliore, o peggiore, dipende dalle nostre decisioni quotidiane. E in queste pagine, scritte appositamente per Grazia, la grande autrice Dacia Maraini parte dalla sua esperienza di cittadina per regalarci un racconto su un impiegato onesto che si lascia corrompere in un momento di debolezza. Una storia che manda un potente messaggio: ogni volta che cediamo al male, finiamo per compromettere il futuro delle persone che più amiamo

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LA SCRITTRICE DACIA MARAINI.

a pandemia, con le sue unghie che hanno graffiato a sangue le nostre giornate e i nostri progetti per il futuro, ci ha messo nella condizione di ripensare a molti aspetti della nostra vita. Alcuni ritengono che abbiamo solo imparato a diffidare, a chiuderci, a odiare e lagnarci. Altri, come me, forse troppo ottimisti, pensano che non tutti i mali vengono per nuocere e che dal dolore e dalle pene a volte possono sgorgare nuove idee e nuove prospettive. Come sarà la mia vita dopo questa pandemia? In che città vivrò? Come si svolgerà il mio lavoro? Come cambieranno i miei

rapporti con gli altri? Mi soffermo sul tema che mi è stato proposto: la città del dopo pandemia. C’è la possibilità che il nostro rapporto con la città cambi? È credibile che ci affideremo meno al cemento e più al verde? Che penseremo in termini di risparmio di energia? Che terremo conto dei cambiamenti atmosferici e faremo delle città luoghi vivibili e non solo prigioni tossiche? Per me la città dovrebbe essere un luogo prima di tutto verde, sapendo quanto le piante e gli alberi aiutino a ricambiare l’ossigeno dell’aria inquinata. Non è facile naturalmente, perché prima degli architetti e degli ingegneri, bisogna convincere i cittadini che

Illustrazione DANIELE COSTA

di DACIA MARAINI


devono cominciare a considerare gli alberi, non solo per l’ombra che fanno o per i fiori o i frutti che danno, ma per l’importantissima funzione di produrre ossigeno e frenare il riscaldamento del Pianeta. Dovremmo piantare alberi in tutte le strade, mettere vasi in tutti i balconi e le terrazze. Se penso che un mio vicino di casa del piccolo paese montano di Pescasseroli, appena acquistata la proprietà, per prima cosa ha segato a zero dieci pini centenari, mi piange il cuore. Pensavo che fosse proibito decapitare gli alberi. E credo che una legge ci sia, ma chi ne tiene conto, e chi controlla? Facevano ombra alla casa e portavano umidità; questo l’argomento dei ghigliottinato-

ri. E hanno preferito il sole e le mosche. In effetti una legge che proibisce di tagliare gli alberi esiste, ma non c’è nessuno che controlli, e in certe zone del paese ciascuno può fare come vuole. «È casa mia e faccio quello che mi pare». Questa l’idea semplice della libertà che hanno molti italiani. Una libertà che non tiene conto degli interessi della comunità (che alla fine sono anche i suoi), e soprattutto che non tiene conto del futuro del genere umano. Se penso che a Firenze una volta mio nonno stava tagliando nel suo giardino un abete morto e sono arrivati immediatamente i vigili che l’hanno fermato e, solo dopo l’esame di un esperto paga-

to dal comune che ha constatato la morte della pianta, gli è stato dato il permesso di segarlo. Ma le città sono fatte anche d’altro. E secondo me vanno riviste tutte le nostre abitudini. Per esempio quella di andare il più vicino possibile al luogo dove si lavora con l’automobile. Ma naturalmente è molto difficile impedire la voglia di muoversi in auto dove vogliamo se non ci sono le alternative fatte di autobus comodi, puliti, frequenti e puntuali. Ricordo l’anno che ho tenuto un corso al Politecnico di Zurigo ed ero piacevolmente sorpresa di potere andare dovunque, in qualsiasi angolo della città utilizzando una rete di mezzi pubblici, tram e autobus che pas103


G R A Z I A DACIA MARAINI

savano ogni pochi minuti e conducevano davvero velocemente in tutte le strade della città. La gente a Zurigo non usa quasi per niente la macchina. Per questo l’ho ammirata: per la sua aria pulita e la sua precisione. Non potremmo fare lo stesso anche noi nelle nostre grandi città, moltiplicando i mezzi pubblici, multando chi non paga i biglietti? Altra buona abitudine che ho avuto modo di constatare nel mio soggiorno di sei mesi a Zurigo è stata la consegna dei rifiuti, regolata alla perfezione. Alcuni scarti, come la carta, come il vetro, che sono riciclabili vengono pagati un tanto al chilo, in modo da incentivare i cittadini. Ogni giorno della settimana è dedicato a una materia: e ciascuno risponde di quello che getta via. Non si può fare i furbetti. I rifiuti vengono controllati e ritirati calcolando quante persone vivono nella stessa casa e regolandosi sul consumo quotidiano. Se penso che, pur stando al centro di Roma, io non dispongo di una differenziata controllata, ma davanti casa ho solo dei contenitori anonimi in cui la gente butta tutto a caso, mi viene l’angoscia. I rifiuti personalizzati permettono il controllo da parte del Comune. I rifiuti generalizzati invece si prestano agli abusi e ne approfittano i furbetti. In realtà ogni rifiuto dovrebbe essere riciclato o trasformato in gas. Una città a misura di essere

umano dovrebbe puntare sull’equilibrio ecologico e su una forte attività culturale. Sono le uniche pratiche che possono fermare la speculazione, la violenza, la sopraffazione, soprattutto delle periferie. È sempre l’ignoranza che porta alla scontentezza senza parole per esprimersi che finisce ogni volta nella violenza. Ho scritto un racconto a questo proposito che casca a fagiolo su questo discorso della vivibilità delle città. Si tratta della storia di un impiegato onesto e ligio al suo dovere che si lascia ricattare e corrompere per debolezza. Il suo cedere al ricatto sul lavoro corrisponde nella vita al cedimento di fronte alla tentazione di un abuso erotico.

Sta in piedi appoggiata contro un muro, tenendo una gamba ritta e l’altra piegata, come una gru. Ha i capelli ricci, nerissimi che le incorniciano la faccia tonda e infantile. Porta scarpe dalle zeppe di sughero e i lacci che salgono lungo i polpacci magrissimi. Ha la pelle scura, di un profondo colore notturno. Si direbbe una bambina di dieci anni, anche se si guarda intorno con fare adulto e spavaldo. Come se avesse paura, ma nello stesso tempo sfidasse la propria paura con modi sicuri, fumando una sigaretta dietro l’altra. Per terra, intorno a lei, tante cicche e qualche pacchetto vuoto, sgualcito e pestato.

L’illecito Questa storia racconta di un ingegnere che firma per autorizzare il trasporto via mare di un carico sospetto. Lui sa che c’è qualcosa di sospetto, ma non obietta nulla 104

Questo il ritratto che fa l’impiegato, un bravo ingegnere da poco assunto in una grande industria, di fronte a una ragazzina che si vende per strada e da cui il suo sguardo di padre affettuoso è attratto con un misto di pietà e voglia di protezione.

L’ingegnere D.B. la incontra tutte le mattine mentre si dirige verso l’ufficio. Quasi senza volerlo rallenta per osservarla meglio. Ma che cosa fa? Aspetta qualcuno? Ma chi, alle otto di mattina? L’uomo supera la ragazzina che non lo nota affatto presa com’è dalla sua attesa distratta e temeraria. Senza voltarsi, l’ingegnere solleva gli occhi sullo specchietto retrovisivo. La vede allontanarsi come la ballerinetta africana di porcellana che, da quando ha memoria, si trova sul trumò di casa. Ha qualcosa di fisso e di soave, di spettrale e di gioioso che attira lo sguardo. Poi, svoltato l’angolo, abbassa un poco lo specchietto per guardare la propria faccia. Gli occhi sono pesti, come ogni mattina. E le due rughe attorno alla bocca sembrano più profonde del solito. Prova a sorridersi. Gli viene fuori una smorfia buffa, come se facesse il verso a se stesso. Scuote il capo scontento. È sempre stato così con quell’uomo che gli sta di faccia e con cui ha avuto la sfortuna di condividere la vita. Così facciamo la conoscenza del bravo ingegnere di buon cuore. Ma continuo il racconto.

Appena si siede alla sua scrivania l’impiegato, sente il cicalino del telefono interno: «D.B. dal direttore!». Che cosa vorrà? Avrà visto che era in ritardo di dieci minuti? In realtà non è il tipo che badi a questi particolari.



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Capro espiatorio Un capo prepotente e determinato sta usando il suo dipendente per addossargli tutte le responsabilità nel caso si verifichi un grave danno ambientale

schiare? Abbiamo tutte le carte in regola». «Ma allora perché non firmate voi?». «Per i mie gusti fai troppe domande. Fìdati. Non avrai niente da temere». D.B. dà una occhiata alle carte che l’altro gli ha messo davanti. È scritto tutto minuscolo. Non si capisce un granché. «E se non firmo?». «Fai come vuoi. Nessuno ti obbliga, s’intende». «Allora non firmo». «Le conseguenze sono ovvie, talmente ovvie, mio caro ingegner D.B che non te le sto neanche a dire». Ride, come solo lui sa fare, con un’aria insolente e monellesca. Cerca complicità. E di solito la trova». È chiaro che a questo punto l’impiegato della grande industria firmerà, intimidito, impaurito, ma forse anche fiducioso che si tratti solo di una formalità. Quando ha firmato solleva gli occhi e... «vede il sorriso soddisfatto del giovane dirigente dai capelli castani, le labbra sensuali. “Com’è possibile che costui, di due anni più vecchio, sia così giovanile mentre lui perde i ca-

pelli e ha la tendenza a mettere su pancia?”, pensa tormentato. Ecco come si fa mettere nel sacco un impiegato che, per quanto ingegnere e quindi dotato di una certa autonomia professionale, non riesce a imporsi a un capo prepotente e determinato che chiaramente lo usa per addossargli tutte le responsabilità nel caso che l’imbroglio e la grave colpa del danno procurato venga fuori. Ciononostante l’uomo ha qualche dubbio, e con una energia inaspettata decide di andare a vedere al porto quale è la nave del cui carico ha preso la responsabilità. Per strada non può fare a meno di osservare la ragazzina bruna appoggiata al solito muro con una gamba piegata e una ritta, tanto che sembra una gru .

La piccola africana dai ricci neri e la faccia tonda, misteriosa, se ne sta in piedi, una gamba tesa, una piegata, col piede puntato contro la parete di una casa. Dietro di lei una scritta: “VIA GLI STRANIERI DALLITALIA!”. Ma lei non sembra nemmeno averla vista. Se ne sta un po’ curva, la faccia serissima, a fumare

Foto GETTY IMAGES

Avrà notato la sua aria trasognata, poco efficiente e fattiva? Entra. Il giovane direttore in completo di lino azzurrino gli lancia uno sguardo affettuoso. Bene, cominciamo bene, si dice D.B. e si siede sulla sedia che gli indica il superiore. «Questo è il nuovo carico per la Libia. Devi solo firmare». «Io? E perché?». «Non c’è perché. Se l’azienda ti chiede di firmare, tu firmi,tutto qui». «Ma di che si tratta?». «Un carico di bidoni. Carbonato di sodio». «E perché tanti segreti per del carbonato di sodio?». «In mezzo ci sono altre merci. Ma ufficialmente non ci sono». «Che merci?». «Frègatene. Ufficialmente non ci sono… Sai cos’è il carbonato di sodio? Stessa materia dell’idrogenocarbonato di sodio, un sale di sodio dell’acido carbonico. E sai perché sul mercato si chiama Soda Solvay?». «No, ma...». «È stato il chimico belga Ernst Solvay nel 1861 a convertire il cloruro di sodio in carbonato di sodio usando carbonato di calcio e ammoniaca, lo sapevi?». «No, ma...». «Da non confondere con la soda caustica, che è idrossido di sodio, la cui formula chimica è NaOH. Viene adoperato per pulire le cisterne, per lo sviluppo delle pellicole di nitrocellulosa LR 115 che si usano per la misurazione della concentrazione di gas radon. Chiaro?». «Sì, sì, ho capito, ma io che c’entro con tutto questo?». «Devi solo firmare. Il resto non conta». «Vorrei sapere per lo meno che cosa rischio». «Niente, che cosa vuoi ri-


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G R A Z I A DACIA MARAINI

una sigaretta dietro l’altra. L’ingegnere avrebbe voglia di chiederle chi aspetta. Ma poi si dà dell’ingenuo. Aspetta clienti, è talmente chiaro. A quell’età? Chissà da dove viene. Dalla Nigeria probabilmente, o dal Mali. Ne arrivano tante da quei Paesi poverissimi. D.B. scuote la testa perplesso. È proibito prostituirsi prima dei 18 anni, possibile che nessuno controlli? Ora accelera e prosegue per via Maqueda. Ma non può fare a meno di seguire sullo specchietto retrovisivo la figurina esile, scura, dai capelli talmente neri che sembrano azzurri. Ha qualcosa di fragile e nello stesso tempo di potente che gli suscita curiosità. Ma eccolo arrivare al porto. E qui le sue mosse sembrano farsi più agili e sicure rispetto a quando si trovava di fronte al suo capo.

Al porto, l’ingegner D.B. passa mostrando il foglio della ditta e la sua carta di identità. Ma deve scendere dall’auto, non si può entrare che a piedi. Davanti a lui si apre il grande porto di Palermo in tutta la sua efficienza e bellezza mattutina. Tira un ampio respiro e sente l’aria salsa che sale su per il naso assieme a un sentore di pece e di cordame. Le panchine sono formicolanti

di imbarcazioni. Enormi gru in movimento, falciano l’aria a venti metri di altezza. Alla parola “gru” sente che la bocca si apre in un sorriso di tenerezza. Anche qui si trova a che fare con le gru. Solo che queste sono di ferro, mentre l’altra è di carne; queste sono tante mentre l’altra è una sola. Davanti a lui piroscafi, motonavi, pescherecci, aliscafi, battelli. Uno sventolio di bandiere di Paesi diversi. La sua dovrebbe battere bandiera venezuelana. E dovrebbe chiamarsi DELTA. Ma non la vede. Quasi sopra la sua testa si alza la prua possente di una nave da crociera tutta dipinta di bianco. Si chiama “Lady Diana”, batte bandiera inglese. Attraccata alla banchina vicina una petroliera dai fianchi rugginosi. Ma eccola, deve essere questa. Un battello goffo, panciuto, con due fumaioli e una scritta in nero su bianco mezza cancellata: DELKTA. Chissà che vorrà dire! Il fumo esce da una ciminiera che sovrasta una cabina scrostata piantata in mezzo al ponte. Una scaletta dall’aria instabile pende dal bordo lungo la fiancata, ma intorno alla nave e sopra non si vede un’anima.» D.B. si arrampica sulla scaletta traballante e urla: «C’è nessuno?». La nave sembra disabitata, Ma quando sta per tornare sui suoi passi, ecco che gli appare

Il carico L’ingegnere cerca una nave battente bandiera venezuelana. È un battello goffo, panciuto, con due fumaioli e una scritta in nero su bianco mezza cancellata: DELKTA. 108

davanti un uomo tarchiato con un sigaro che gli pende dalle labbra. «Chi è? Che cosa vuole?». «Sono della Panormus. Ho firmato la responsabilità del carico che state per portare in Libia. Vengo a vedere». L’altro lo osserva seccato, ma accondiscendente. «Che cosa vuole vedere? È stato già tutto caricato». « I bidoni di soda. Quanti sono?». «Sì, soda e controsoda», dice il tarchiato ridendo. «Perché ride?». «Se ha firmato deve sapere che trasportiamo materiale pericoloso. Scorie radioattive. Deve saperlo altrimenti è una testa di cazzo». «Sono una testa di cazzo infatti». «Non gliel’hanno detto delle scorie?». «Era meglio sapere che si tratta solo di soda. «L’hanno presa in giro.» «E dove va il carico?». «A Tripoli, come nel programma». «E se non l’accettano?». «Abbiamo già pagato». «E se non l’accettano comunque?». «Scarichiamo in mare. Con tutta la nave». «Tutta la nave?». «Per forza... Lei mi sembra un poco inesperto ingegnere. Ma lo vuole un caffè? Rino, portaci due caffè!». D.B. risponde che non vuole caffè. Deve tornare in ufficio. Ma già Rino, un anziano marinaio dalla faccia mangiata dal sole, è partito verso la cucina. «Mi scusi ma io volevo sapere... se… diciamo, se firmo la responsabilità di questo carico, che cosa rischio?». «Niente, se tutto va bene. Questi carichi sono talmente



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ben pagati che tutti li vogliono: li seppelliscono in qualche deserto e buonanotte. Se proprio fanno storie le guardie di frontiera, come qualche volta è accaduto, mandiamo per aria la nave con tutto il carico. Non lontano da una costa tranquilla. Abbiamo le barche di salvataggio pronte. Poi ci penserà l’assicurazione a pagare le spese. È saltata la caldaia, è bruciato tutto. C’è poco da discutere». «E le scorie radioattive?». «Sepolte. Nessuno se ne accorge». «Ma inquineranno le acque». «Non subito. Fra vent’anni quando i bidoni cederanno. Ma che ci importa di quello che succede fra vent’anni. Se la vedranno i nostri figli». «Appunto!» «I miei sono al sicuro, in Australia». «I miei sono qui». «Li tenga lontani dalle coste del Mediterraneo. Ce ne sono parecchie di queste navi fantasma col loro carico radioattivo. È roba che procura leucemia. Non a caso in certe città della costa il numero di bambini leucemici è raddoppiato in questi anni». «Le sembra morale?». «Da quando in qua l’economia è morale? Vuole una sigaretta?». D.B. si accorge che sono le stesse che fuma la piccola gru in via Maqueda. Ha visto il pacchetto accanto ai suoi piedi una mattina: Muratti rosse, con filtro. Ecco, a questo punto i lettori ma anche il personaggio cominciano a capire in quale baratro sia caduto il povero ingegnere. Ha firmato per la responsabilità di una nave carica di scorie radioattive che nessuno sa dove mettere e che, se tutto va bene, saranno sepolte, dietro ampio pagamento, in Libia, altrimenti, verranno fatte calare in mare 110

L’inganno «E le scorie radioattive?», chiede l’ingegnere. «Inquineranno le acque», gli rispondono, «ma non subito. Fra vent’anni, quando i bidoni cederanno. Ma che cosa ci importa di ciò che succederà fra vent’anni. Ci penseranno i nostri figli»

assieme alla malandata imbarcazione». Da qui comincia il calvario morale del giovane e incerto ingegnere. Potrebbe andare alla polizia e denunciare i fatti, dichiarando che è stato raggirato, ma è troppo impaurito delle conseguenze per farlo. Che cosa direbbe il suo capo e che cosa direbbero i suoi collaboratori? Certamente perderebbe il lavoro. Ma sarebbe pronto ad affrontare una tempesta sociale, etica e professionale come quella? Il suo animo gracile lo porta a temporeggiare, ma proprio nel momento in cui si lascia andare verso il cedimento alla complicità, prende a sottovalutare le sue giuste osservazioni sulla ragazzina che in cuor suo chiama gru, e per la quale prova pietà e comprensione, e vorrebbe aiutare ma si rende conto oscuramente che è anche preso da un inquietante e imbarazzante desiderio sessuale.

Sono quasi le otto. Piove. I marciapiedi di Palermo emanano un odore insistente di pesce secco e arance amare. Le palme hanno le foglie lucide. Gli ombrelli corrono, ruotano su se stessi come in una coreografia teatrale. Le vetrine dei negozi sono rigate d’acqua. I lunotti delle automobili si coprono di perluzze luccicanti. D.B. rallenta . Si vede poco o

niente in mezzo a quell’acquazzone. Scansa all’ultimo momento un venditore di cavoli e pomodori che sta trasportando il carretto verso il centro della strada affrontando a testa nuda la pioggia. I pomodori sembrano veramente dei pomi d’oro in quella luce di crepuscolo primaverile. Eccola lì la piccola gru. “O la chiamerò trampoliere?”, si chiede D.B. puntando lo sguardo sulla ragazzina nera che se ne sta addossata al solito muro, con una gamba per terra e l’altra piegata. Non ha ombrello e si ripara dalla pioggia sotto un balcone che sporge sulla sua testa. Le braccia nude, il collo esile, le gambe esili e magre sembrano risplendere in quella penombra piovosa. Il nero a volte è più luminoso del bianco, si dice l’ingegnere ammirando il piccolo corpo compatto, come se nascondesse una lampada sotto la pelle. Gli viene da ridere a vedere la smorfia infreddolita su quella faccia di bambina. Ma nello stesso tempo prova pena per lei. Cosa fa sempre su quella strada, da sola? Non ha una famiglia? Qualcuno che le badi? La voglia di rivolgerle la parola è talmente forte che il suo piede si appoggia inconsapevolmente sul freno e si trova a sbattere la fronte sul vetro. L’ingegnere è ancora lì



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sull’orlo che divide il lecito dall’illecito, la comprensione, il rispetto verso il più debole, e la voglia di passare su tutto per ceder al suo privato e immediato piacere. La ragazzina ride, ritta su una gamba sola, proprio come una gru che dorme. A D.B. viene voglia di prenderla per la gola. Ma poi si mette a ridere pure lui. Accosta l’auto. Scende aprendo l’ombrello grande, nero e si accosta a lei. «Se vuoi te lo regalo», dice porgendole l’ombrello. «No, non bisogno io», risponde divertita. «Come ti chiami»? «Tu pagarebbe me?». «Non sono qui per comprarti. Mi hai fatto pena sotto la pioggia e ti volevo regalare l’ombrello. Io mi chiamo…». Ma prima di pronunciare il nome si morde le labbra. Un istinto di segretezza lo trattiene.

«Che fai qui sempre sola?». «Io non capiscere». «Come ti chiami»?» «Ma che voli tu?». «Niente. Solo aiutarti». «Non bisogno aiuto». «Lo so, lo immagino. Sei una ragazzina orgogliosa… si vede.. Posso chiederti per lo meno. quanti anni hai?». «Tu dai soldi e io con te . Let’s go! Dove auto?». D.B. ha un sussulto. Nemmeno per un momento ha pensato di approfittare di quella bambina che potrebbe essere sua figlia! «Posso offrirti un caffè?». Una spinta lo manda quasi per terra. D.B si aggiusta la giacca stupendosi della forza di quelle braccine magre che sbucano da una maglietta rossa coperta di stelline nere. «Aspetta, dai, volevo solo parlare con te. Io non ci vado con le prostitute. Sono sposato e ho figli». La ragazzina lo considera dalla testa ai piedi con un’aria divertita. Ma questo da dove esce? «Lo vuoi l’ombrello?», insiste lui. «No». « Hai bisogno di soldi? Non ti chiedo niente in cambio. Solo il nome». « Tu polizia?». «Noooo, che dici? Tieni, prendi questi 10 euro. Dimmi

solo il nome e me ne vado». «Chi faccio con tue 10 euri? Vai via! Non qui, io lavoro, vai!». Di fronte alla innocente arroganza della bambina, l’ingegnere si tira indietro. Non intende forzare. Dopotutto vorrebbe aiutarla, che male c’è? Anche se sa benissimo, in fondo al cuore, che quella ragazzina lo attira sessualmente. E vorrebbe approfittare di lei, anche se è minorenne, pagandola s’intende, e lo dice sottovoce come per tacitare la coscienza, tanto è già corrotta, non sono io che la porto sulla mala strada, chissà quanti ne fa al giorno, si tratta solo di pagare il giusto e non maltrattarla. Ma per quella sera vince il buon senso. L’ingegnere rientra a casa, recita la parte del buon padre di famiglia. E senza confidarsi con sua moglie, se ne va a letto e presto e casca in un sonno senza sogni.

Qualche mattina dopo, mentre beve un caffè leggendo il giornale, i suoi occhi cadono sulla notizia in neretto. Una nave è affondata al largo della Calabria, con il suo carico di Soda. L’ingegnere D.B. tiene il giornale aperto davanti al viso. Ha appena bevuto un caffè e gli sono rimasti due baffetti neri agli angoli della bocca. Scorrendo i titoli viene preso da un tremito

In un momento l’ingegnere ragiona separando lecito dall’illecito, il rispetto verso il più debole e la voglia di passare sopra a tutto per cedere al suo privato e immediato piacere 112

Foto GETTY IMAGES

Il dilemma



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che gli fa ballare il giornale fra le dita. Come è possibile? Come è possibile? Si chiede mentre divora i caratteri neri che danno la notizia di una nave bruciata vicino alle coste della Calabria, fra Roccella Ionica e Siderno. Il capitano e i suoi marinai si sono salvati con due canotti che sono approdati sulle spiagge di Bovalino Marino. Quindi la nave è affondata. Ora si tratta di capire se faranno ricerche, se scopriranno che non trasportava soda ma rifiuti tossici e materiale radioattivo. L’ingegnere accende la radio cercando notizie fresche e capita proprio sul giornalista che sta intervistando il capitano della DELKTA.

«Abbiamo raggiunto il capitano della nave che batte bandiera venezuelana», dice la voce flemmatica e metallica della radio. Ecco la sua testimonianza: Scusi capitano, so che è ancora sofferente per la fuga dalla nave in fiamme, so che ha rischiato di morire soffocato, so che ha affrontato un mare in tempesta che con le sue correnti vi ha portato fino a Bovalino Marina, ma ci potrebbe dire che cosa è successo?». «È scoppiato un incendio nella stiva», dice la voce resa grassa e pastosa dal fumo dei sigari che riconosce immediatamente. «Una combustione naturale. Qualcosa ha preso fuoco nella stiva. Non ce ne siamo accorti subito. Solo quando il fumo ha cominciato a uscire prepotente dal boccaporto e ha invaso il ponte abbiamo capito che la cosa era grave. Abbiamo messo in moto l’impianto antincendio ma era troppo tardi». «Qualcuno da riva ha parlato di una esplosione». «No, nessuna esplosione. Sa, sono navi vecchie, e qualcosa 114

Vigliaccheria Il protagonista vorrebbe dire un “No” ben preciso, ma la lingua non obbedisce ai suoi ordini. La voce esce senza che lui la guidi

non ha funzionato a dovere». «Che cosa portava la nave»? « Carbonato di sodio comprato a Rosignano da rivendere in Libia». «Niente altro?». «Niente altro». L’ingegnere, che nel frattempo è salito in macchina e ha preso a guidare rapido e con rabbia, si dirige verso l’ufficio della sua azienda. Ha deciso di affrontare il dirigente. Già si vede in prigione, denunciato per frode e come giustificare quella firma? «Debbo parlarle!», sbotta entrando nella camera del superiore. «Che c’è D.B. Accomodati ». Lui si siede in punta di sedia. Tiene strette le mani perché non tremino, con le dita intrecciate. «Volevo dirle che ho letto… Ho letto della nave affondata sulle coste calabresi… Non sarebbe il caso di avvertire la polizia di quel carico di materiale radioattivo? Potrebbe provocare una catastrofe ecologica e io». «Ancora! Quindi non ti fidi»? Vorrebbe dire un “No” ben preciso, ma la lingua non obbedisce ai suoi ordini. La voce lenta gli esce dalla bocca senza che lui la guidi. «È una cosa estremamente pericolosa». «Chi l’ha detto? Eh, chi l’ha detto? I soliti ecologisti che ci rompono sempre il cazzo! È da loro che ha sentito queste baggianate? I bidoni sono blindati. Non c’è nessun pericolo».

«Sì ma...». «Allora non ci siamo capiti ingegner D.B. Quella nave è a posto. Non c’è niente che non vada. Il materiale è a posto. Sono bidoni di soda, solo soda Solvay, comprata a Rosignano e pronta a essere rivenduta in Libia. Ma il destino o un Dio malvagio ha voluto che scoppiasse un incendio a bordo. La nave è bruciata. Affondata con il suo carico. Ma non c’è niente di oscuro. Niente, capito?». Vorrebbe ribattere ma sente che dall’altra parte l’uomo si sta facendo sempre più minaccioso e impaziente. «Come ti è venuta l’idea della polizia?». «Beh, io…». «Ti voglio parlare chiaramente: se vai alla polizia, nei guai ti ci metti da solo, perché sei tu che hai firmato quelle carte e noi non ne sappiamo niente. Guardami in faccia, che cosa intendi fare?». «No... Niente… Non andrò alla polizia, può stare tranquillo». Ma capisce che l’altro non sta tranquillo affatto. «Va bene, ora vai. Vai, vai che devo parlare con il presidente». D.B. si chiude la porta alle spalle con la sensazione bruciante che la sua vita non valga più una cicca». Ecco che, con la seconda resa di fronte alla voce del potente, si sente scivolare nell’abisso. Accetterà l’inganno e la perdita



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della integrità o avrà la forza di reagire? La sua prossima azione sembra contradittoria, ma rivela come un uomo giusto e onesto possa perdere la propria stima di sé per paura, debolezza, poca capacità di reagire. Si potrà mai perdonare della sua irrisolutezza? Ma rivediamolo subito dopo, in giro per la città.

«Sono due ore che corre, sotto la pioggia battente, senza sapere dove andare. A casa non ci vuole tornare. L’idea di affrontare le domande della moglie lo sgomenta. Che cosa potrebbe risponderle? Niente. Niente di niente. Palermo sembra più bella sotto questa pioggia che lava le strade, lava i tetti, lava le macchine e dà pace al respiro. La macchina, come d’incanto si ferma all’angolo dei Quattro canti. D.B. posteggia in un posto dove non potrebbe stare, ma chi se ne frega! Non si vede un vigile sotto questa acqua. Chiude a chiave e si avvia a piedi verso via Maqueda. La vede di lontano. È appoggiata come al solito contro il muro, con una gamba per terra e una appoggiata al ginocchio, al riparo di un balcone che sporge. Ecco la gru, si dice, ecco la piccola misteriosa gru che lo ossessiona anche di notte. Si ferma accanto a lei, che

tiene le spalle curve per difendersi dall’acqua. La ragazzina lo guarda stupita. «Che c’è?». «Niente. Oggi non posso neanche offrirti l’ombrello. L’ho lasciato a casa». «Tu soldi?». «Io soldi sì. Dove andiamo?». «Vieni». Lo dice con voce divertita, allegra. E prende a correre. Lei avanti, sulle lunghe gambe magre da uccello e lui dietro che arranca, soffia, suda. Dopo una cinquantina di metri lei si ferma. Lo aspetta. Lui arriva trafelato. Lei apre un portone di legno pesante e si trovano nel buio di un androne. La bambina richiude il portone e prende a salire quasi saltando sui larghi gradoni di pietra grigia. «Qui», dice fermandosi davanti a una porta su cui spicca una targa: PENSIONE SOLE. Spinge l’uscio che tintinna. Lo lascia entrare. Si avvia per un corridoio buio che puzza di cavolo. Si ferma davanti a un’altra porta. Gli fa cenno di non fiatare mettendosi un dito sulla bocca. Lui inghiotte la saliva che gli sale in bocca. «Pensione sole», si ripete piano mentre osserva i poveri mobili logori che occupano il corridoio. La bambina si chiude la porta

La metamorfosi Un uomo dabbene si è trasformato in profittatore di bambini che tornerà a casa sconfitto. Quanti onesti cittadini ogni giorno cedono ai ricatti per timore, per debolezza, per sfiducia in se stessi?

alle spalle. Accende la luce. Agli occhi dell’ingegner D.B si rivela una piccola stanza tappezzata da una carta da parati a rose gialle e rosse. Un letto da una piazza e mezza occupa quasi interamente la stanza e si appoggia con una testiera di legno scuro contro una delle pareti. Sopra la testiera un enorme crocifisso con un rametto di olivo infilato fra la schiena e la croce di legno. La bambina, con poche mosse, si sfila la giacchina di maglia rossa. Poi, con aria professionale, serissima, prende a slacciargli la cintura. Lui la lascia fare. Non saprebbe fare un gesto. È paralizzato. La bambina gli sfila la cintura. Lascia che i pantaloni cadano per terra. Con un gesto rapido gli cala le mutande. Lo afferra per il membro come fosse una maniglia e lo tira verso il letto. Quindi si butta, con un salto frettoloso e repentino sopra le coperte, con tutte le scarpe, e lui vede che sotto il gonnellino è nuda». Ecco che si è compiuta la metamorfosi. Un uomo dabbene si è trasformato in profittatore di bambini, si dice, già assalito dai sensi di colpa. Tornerà a casa sconfitto, e piangerà abbracciato a sua moglie, a cui non racconterà niente ma cercherà in lei quella consolazione che non trova in se stesso. Ho raccontato un caso di degrado dello spirito, un caso che accade nelle città del mondo, chissà quante volte al giorno. E coincide molto spesso col degrado dell’ambiente, della cultura che respiriamo. Di queste metamorfosi lente e quasi inavvertite sono piene le giornate. Quanti onesti cittadini cedono ai ricatti per timore, per debolezza, per sfiducia in se stessi? È questa la banalità del male? ■ © RIPRODUZIONE RISERVATA

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G R A Z I A PROSPETTIVE

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LA MIA CITTÀ AMA LE DONNE Più asili vicino agli uffici, una mappa di mezzi pubblici più efficienti, scuole che insegnino alle ragazze a diventare le leader di domani. È nelle metropoli che si gioca la vera partita per conquistare la parità di genere. Grazia ne ha parlato con la costituzionalista Marilisa D’Amico e l’avvocata Sara Valaguzza, che studiano per capire quali regole e servizi ci aiuteranno davvero a vincere la sfida d i LdUi CL IUACVI AA LVEARLIEOR I O

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G R A Z I A MARILISA D’AMICO E SARA VALAGUZZA

MARILISA D’AMICO, PROFESSORESSA ORDINARIA DI DIRITTO COSTITUZIONALE E PRORETTRICE ALL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO, E SARA VALAGUZZA, PROFESSORESSA ORDINARIA DI DIRITTO AMMINISTRATIVO ALL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO.

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tra i 30 e i 40 anni, decidono di mettere su famiglia. In questa decisione si attua la più grande discriminazione femminile dei nostri anni. Serve cambiare prospettiva, fare in modo che i talenti femminili vengano valorizzati in un sistema di totale parità». SARA VALAGUZZA: «Abbiamo bisogno di puntare su più concretezza e meno ideologia. È un momento straordinario di opportunità, ma urge un metodo pratico in cui ci sia un ascolto attento alle esigenze e ai bisogni, prima di tutto da parte delle istituzioni. La gestione delle città è di per sé la forma di governo più vicina alle persone e sostenere le donne, che corrono da quando nascono, con servizi pubblici personalizzati efficienti e interconnessi è indispensabile. L’Unione europea ci sta dando una mano nel sollecitare un sistema imprenditoriale che valorizzi le donne». I fondi europei per la pandemia serviranno anche a questo? D’AMICO: «Il Pnrr, il Piano nazionale ripresa e resilienza, è una grande opportunità per le donne. Le faccio un esempio. La ministra per le pari opportunità e la famiglia dell’attuale governo, Elena Bonetti, ha disposto una serie di iniziative per riqualificare e formare molte professioniste nel settore informatico. Le donne sono meno presenti nel mondo dell’intelligenza artificiale che di fatto è abitato prevalentemente da uomini. E per evitare che lo siano sempre di più è necessario dare quelle stesse competenze alle donne, in modo che, se lo vorranno, potranno accedere a pieno titolo ai fondi che il Pnrr mette a disposizone per le imprese che si occupano di intelligenza artificiale».

Sostegno «Gestire una città significa stare davvero vicino alle persone», dice Valaguzza. «È indispensabile sostenere le donne, che da quando nascono non fanno che correre»

Illustrazione DANIELE COSTA

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ilano come città modello per la ripartenza. Soprattutto delle donne che hanno pagato il prezzo più alto nei mesi più duri della pandemia, che hanno sperimentato quanto sia complicato vivere in città pensate dagli uomini, disegnate senza “una mappa femminile”, senza servizi che favoriscano una vera parità di genere. Ma le politiche europee stanno restituendo ai temi della parità più di quanto stiano facendo i singoli Paesi, proponendo un modello di sviluppo e di progresso equo, basato sulla sostenibilità, sulla coesione sociale e sulla solidarietà, sul lavoro per tutti, sull’uguaglianza e sulla giustizia, sulla parità. Milano può essere un modello di città della parità? E che cosa serve alle donne per raggiungere questo obiettivo? Grazia ne ha parlato con Marilisa D’Amico, professoressa ordinaria in Diritto costituzionale e prorettrice all’Università degli Studi di Milano dove insegna Diritto costituzionale, giustizia costituzionale e diritti delle donne (cattedra Jean-Monnet) e Sara Valaguzza, professoressa ordinaria di Diritto amministrativo all’Università degli Studi di Milano e avvocata amministrativista. Di che cosa hanno bisogno le donne? MARILISA D’AMICO: «Di uscire dalla logica del gruppo discriminato e da proteggere. Milano può essere un modello per la ripartenza e dare vita a energie rigenerative in cui la parità di genere diventi realtà in città, dove le donne hanno fatto molto strada. Nelle università milanesi si laureano prima e meglio degli uomini, ma poi perdono terreno, fino a quando



G R A Z I A MARILISA D’AMICO E SARA VALAGUZZA

A Milano le donne sono al 70 per cento più occupate rispetto alle altre città italiane. Tra famiglia e professione sono diventate abilissime in una corsa a ostacoli senza fine. D’AMICO: «Proprio perché le città non sono pensate per le donne. Mentre adesso si fa largo l’idea della “città a 15 minuti” con tutti i servizi di prossimità. All’interno delle università italiane mancano gli asili nido quindi mi aspetto che l’amministrazione li organizzi a 15 minuti dalle sedi universitarie. Anche lì c’è una forbice con una percentuale di 70 a 30 a favore degli uomini, quando si concorre alla cariche più importanti. Il motivo? Conciliare lavoro e famiglia. Durante i mesi più critici della pandemia, le donne si sono licenziate anche a Milano perché non ce la facevano a reggere i carichi familiari e di lavoro». Riusciremo a raggiungere la parità di genere nel 2030, come indica l’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile, o questo obiettivo diventerà un’ennesima sfida sovrumana? D’AMICO: «Se si sfruttano bene i talenti femminili è più che realizzabile». VALAGUZZA: «Le fatiche delle donne sono un eccezionale valore aggiunto che le rende anche professioniste eccellenti. Ma spesso la loro carriera dipende da tutt’altro. Una donna che sacrifica la famiglia fa l’avvocata, una che non sacrifica la famiglia non fa l’avvocata. E questo non deve più accadere. In dieci anni si possono fare davvero tante cose, purché si stia tutte con i piedi ben piantati a terra». D’AMICO: «Ci vuole una conoscenza concreta e precisa della realtà che si vuole trasformare. Le nostre studentesse universitarie si trovano spesso in condizione di sudditanza anche a dieci anni dalla laurea. Questa è la sfida da intraprendere» L’Italia è un Paese con grandi differenze. Le donne non sono ugualmente consapevoli del valore del loro eccezionale lavoro aggiunto. E

spesso non sono in grado di darsi valore. Che serve, invece, per essere parte attiva e dare concretezza alla parità. D’AMICO: «Autostima e consapevolezza si imparano. Essere leader e far valere i propri talenti anche. Ci sono corsi che aiutano il cambiamento. Mi piacerebbe, per esempio, riprendere un percorso che insegnasse alle donne come candidarsi nei consigli di amministrazione delle società». VALAGUZZA: «Sono d’accordo. Purché non si imponga un modello che valga per tutte. È importante poter scegliere. Se voglio correre corro, se voglio stare sul divano a leggere libri va bene lo stesso. Purtroppo l’ideologia femminista ha un po’ “modellizzato” le donne. In tal senso il governo locale può studiare il territorio, dove tutto ciò che definiamo contesto ha una rilevanza estrema». Attraversare la città in sicurezza è un tema da città femminista? D’AMICO: «Assolutamente sì. E per sentirsi sicure l’illuminazione è fondamentale, è un deterrente e insieme un contrasto alla violenza sulle donne». VALAGUZZA: «Le città vengono disegnate senza aver raccolto i dati, una parola che caratterizza la nostra epoca, eppure sconosciuta a chi governa il territorio urbano. Il piano dei servizi pubblici viene fatto senza alcun metodo. Eppure si tratterebbe di mettere a sistema la domanda: di che cosa ha bisogno chi abita questo quartiere? Con l’approccio scientifico della raccolta dati, con una mappatura che vada dal bisogno di sicurezza al decoro urbano dell’ambiente in cui viviamo. Ambiente significa relazione delle persone con la natura, con gli animali, con gli altri. E non è un caso che L’Agenda 2030 unisca sostenibilità, ecologia e parità femminile. Perché è lì che abbiamo sempre dimenticato di guardare». ■

Ai posti di comando «Autostima e consapevolezza si imparano», dice D’Amico. «Mi piacerebbe un percorso che insegnasse alle donne come candidarsi nei consigli di amministrazione delle società». 122

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G R A Z I A BUONI PROFITTI

LA VERA RICCHEZZA è far star bene tutti

Si chiama “finanza d’impatto” e investe denaro su progetti che migliorano il benessere delle persone e la qualità di vita. Mario Calderini, docente al Politecnico di Milano, spiega come funziona e perché le città di domani hanno tutto da guadagnare da questa nuova economia

di ENRICA BROCARDO

Foto © AGF

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ocente di management al Politecnico di Milano, e anche divulgatore, Mario Calderini è uno dei massimi esperti italiani di finanza d’impatto: un modo di investire denaro che ha come obiettivo principale non l’ottimizzazione dei guadagni, ma il miglioramento delle condizioni di vita delle persone. Nei prossimi decenni la finanza d’impatto potrebbe avere ricadute importanti sul benessere soprattutto di chi vive nei grandi centri urbani. «Perché le città sono concentrati di opportunità, ma anche di problemi sociali che derivano dal fatto che sono aree densamente abitate», dice. «In passato, la gestione di queste criticità veniva affidata all’intervento pubblico, non sempre con risultati incoraggianti, oppure alla

volontà filantropica di privati disposti a devolvere denaro a fondo perduto». La finanza d’impatto, invece, come funziona? «Riempie un vuoto: quella terra di nessuno che si trova tra finanza speculativa, mirata al guadagno, e filantropia. In pratica, si tratta di investire il denaro di persone che sono interessate, da un lato, a mantenere il capitale intatto e, possibilmente, guadagnare anche un po’, dall’altro ad avere anche un “rendimento sociale”. Sono disposti a rendimenti a volte più bassi, perché il loro obiettivo primario è risolvere un problema che riguarda la società, la collettività. Non a caso gli interessi sono legati ai risultati positivi che vengono raggiunti». Può fare un esempio? «Si può investire sulla riduzione della dispersione 125


G R A Z I A MARIO CALDERINI

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MARIO CALDERINI, DOCENTE DI MANAGEMENT AL POLITECNICO DI MILANO.

sull’emergenza abitativa, e Brindisi che, invece, ha messo a punto un progetto per favorire l’educazione scolastica. Ci sono molti privati disposti a investire capitali, quello che manca sono le iniziative a impatto sociale nelle quali investire». Com’è possibile? «Colpa, in parte, di un grande equivoco: pensare che le tecnologie avrebbero reso i centri urbani più intelligenti e vivibili. Si è puntato molto sulle cosiddette smart city, peccato che un’ampia fetta di popolazione non ne abbia tratto vantaggio. Le tecnologie creano una segmentazione elitaria, sono spesso poco inclusive». Perché? «Prendiamo il car sharing, che abbiamo celebrato come una grande innovazione perché riduce il traffico e le emissioni di CO2. Tutto vero, ma non risolve i problemi di chi vive nelle periferie, dei disabili e di chi non ha accesso alla tecnologia che rende possibili servizi di questo tipo». La finanza d’impatto dovrebbe puntare alle questioni sociali più che ambientali delle città? «Assolutamente no. Il punto, semmai, è che sappiamo come rendere i centri urbani più “ecologici” e i grandi capitali investono già nell’ambito dell’economia circolare o delle fonti energetiche alternative perché i margini di guadagno sono ragionevolmente alti. Siamo invece molto indietro rispetto alle questioni sociali e in generale all’inclusione». In questa sfida che ruolo ha il Recovery Fund? «Sulla carta sarebbe uno strumento perfetto perché “paga” sulla base dell’impatto sociale e ambientale ottenuto dall’investimento. Ma le amministrazioni non sono pronte a ragionare così». È utopistico pensare di poter calcolare la felicità dei cittadini e investire per accrescerla? «Al concetto di PIL, il prodotto interno lordo, è stato affiancato quello di BES: benessere equo e sostenibile. Questo nuovo indice include anche indicatori legati al benessere immateriale, lo considero un passo nella direzione giusta». ■ © RIPRODUZIONE RISERVATA

Illustrazione DANIELE COSTA

scolastica, un problema molto attuale purtroppo, dopo la pandemia. Il denaro viene investito in imprese e iniziative sociali che combattono questo fenomeno e il rendimento dipende, per esempio, da quanti giovani riprendono a studiare». Ci sono città in cui è stato fatto e ha funzionato? «Per esempio, a Liverpool, in Gran Bretagna, dove i figli delle famiglie meno abbienti faticavano a continuare gli studi e, di conseguenza, a trovare un posto di lavoro. Per anni lo Stato aveva cercato di rimediare con corsi di formazione, agenzie interinali, ma senza ottenere buoni risultati. La soluzione è stata investire in una cooperativa sociale, che ha organizzato corsi per insegnare ai giovani a parlare in modo assertivo, con lo stesso meccanismo usato per ridurre la dispersione scolastica: il rendimento dipendeva dal risultato raggiunto». Sono risultati difficili da misurare. «Il nodo centrale sta nella disponibilità di dati. In effetti, quando parliamo di investimenti in ambito sociale, il problema è proprio che mancano le informazioni, i numeri. Oggi, la finanza d’impatto sta funzionando bene nel settore ambientale, come per la raccolta differenziata dei rifiuti o per il miglioramento della qualità dell’aria delle città, proprio perché i dati sono disponibili e misurabili più facilmente. Inoltre, gli effetti degli interventi messi in atto sono visibili immediatamente. In una città degli Stati Uniti, per esempio, si è tentato di investire sulla prevenzione delle gravidanze indesiderate delle minorenni, ma l’esperimento è fallito perché le ricadute sociali di un intervento di questo tipo si manifestano dopo troppi anni». Qual è il ruolo delle amministrazioni pubbliche, dello Stato e delle città? «Creare sistemi per la raccolta e la diffusione di dati per ovviare al problema della misurabilità dell’impatto sociale degli investimenti. E mettere a disposizione una parte del denaro necessario, che sarà recuperato in forma di risparmio sulla spesa pubblica negli anni a venire. In Israele, per ridurre la diffusione del diabete, gli investitori d’impatto hanno finanziato imprese sociali impegnate nel promuovere una corretta alimentazione, attività sportiva e così via. In seguito ai risultati ottenuti, la diminuzione dei ricoveri, sono stati remunerati con denaro pubblico». In Italia si è già fatto qualcosa di simile? «Il governo ha messo a disposizione un fondo da 30 milioni di euro per progetti sociali nei capoluoghi di provincia. Si sono candidate 150 città e ne sono state scelte circa una ventina, tra cui Torino, che ha presentato un piano



DALL’ALTO A SINISTRA IN SENSO ORARIO: L’ARCHITETTO ANTONIO CITTERIO SUL SET DI THE IMPORTANCE OF BEING AN ARCHITECT; DAL FILM THE IMPORTANCE OF BEING AN ARCHITECT, LA CHIESA DI SAN BERNARDINO, L’AQUILA; ARTE SURFSIDE, MIAMI, EDIFICIO RESIDENZIALE FIRMATO ACPV ANTONIO CITTERIO PATRICIA VIEL; HEADQUARTERS ZEGNA A MILANO. EDIFICIO FIRMATO ACPV ANTONIO CITTERIO PATRICIA VIEL; TECHNOGYM VILLAGE, PARTICOLARE DELLA SCALA, CESENA. PROGETTO DI ACPV ANTONIO CITTERIO PATRICIA VIEL.

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G R A Z I A VISIONI


G R A Z I A LOREMIPSUM

LA FORZA DELL’IMMAGINAZIONE Con le immagini del documentario The Importance Of Being An Architect il regista Giorgio Ferrero ci porta nei mondi progettati dai designer Patricia Viel e Antonio Citterio: spazi creati perché le persone stiano bene e riscoprano il piacere di provare nuove emozioni positive

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di VALERIA VIGNALE

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G R A Z I A GIORGIO FERRERO

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Foto MYBOSSWAY Illustrazione DANIELE COSTA

SOPRA, IL REGISTA GIORGIO FERRERO, 41 ANNI. SOTTO, UNA SCENA DAL FILM THE IMPORTANCE OF BEING AN ARCHITECT, BVLGARI HOTEL, MILANO. IL FILM È NOLEGGIABILE SULLA PIATTAFORMA STREAMING ON DEMAND NEXO+ DA QUESTO LINK: NEXOPLUS.IT/THEIMPORTANCEOFBEINGANARCHITECT. FINO AL 24 OTTOBRE, SARÀ VISIBILE SUL SITO DEL MILANO DESIGN FILM FESTIVAL.

reare luoghi dove le persone stiano bene e abbiano emozioni positive: questo è il fine ultimo dell’architettura». Se la filosofia di Antonio Citterio fosse il primo mattone di ogni costruzione umana, le città del mondo sarebbero posti più felici. Così sembra dirci The Importance Of Being An Architect, il documentario di Giorgio Ferrero (noleggiabile sulla piattaforma streaming on demand Nexo+) che non solo racconta i progetti internazionali dell’architetto milanese e della partner Patricia Viel ma si interroga sulle sfide future di un mondo assillato da crescita demografica e crisi climatica, per non parlare della pandemia. Come si trasformeranno le metropoli nel secolo in cui l’uomo deve riconciliarsi con la natura? «Di sicuro gli architetti saranno i primi artefici di un cambiamento urgente», dice Ferrero, regista oltre che fotografo, sound artist e autore di colonne sonore per il cinema e il teatro. Torinese, 41 anni, Ferrero è un globetrotter che usa le immagini per coltivare la sua (e altrui) sensibilità per le architetture e gli ambienti. Con il suo primo film, Beautiful Things, premiato nel 2016

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G R A Z I A GIORGIO FERRERO

alla Biennale College della Mostra del cinema di Venezia, ha raccontato storie di uomini che vivono in luoghi remoti eppure cruciali per la collettività, dall’operaio che lavora tra le gigantesche pompe petrolifere del Texas all’ingegnere meccanico delle navi cargo che trasportano prodotti in tutto il mondo. Per questo Antonio Citterio lo ha scelto per raccontare quell’”architettura della felicità” che sta alla base del suo lavoro. Il film mostra vari progetti dello studio ACPV di Citterio e Viel. Con quale criterio li ha scelti e cosa ci raccontano dell’architettura? «Abbiamo scelto progetti grandi e piccoli per capire l’impatto dell’architettura sulla vita delle persone. Perché è questo l’approccio che più mi ha colpito dei due architetti: pensano a migliorare la qualità della vita più che a lasciare un’impronta stilistica personale. Si mettono totalmente al servizio delle persone». Quale esempio l’ha particolarmente colpita? «Il Technogym Village di Cesena, un centro aziendale dove dipendenti e clienti vivono un’esperienza ispirata al benessere, lontanissima dal lavoro inteso come catena di montaggio. E poi la Chiesa di San Bernardino a L’Aquila, ricostruita dopo il terremoto in legno e lamiera, materiali poverissimi ma riutilizzabili: anche se sembra quasi un hangar nella sua transitorietà, esprime lo spirito dei frati francescani e ha tutto quello che una chiesa deve evocare, l’energia necessaria alla gente in un momento difficile. E comunque, non è più tempo di costruire cattedrali che dureranno per sempre». Vale a dire? «Tra pandemia e cambiamenti globali che ci affascinano e impauriscono al tempo stesso, ci rendiamo conto che dobbiamo integrarci nella natura e creare spazi sostenibili ma non abbiamo più maestri: quelli del passato possono essere solo fonte d’ispirazione, nessuno ci può dire che cosa ne sarà di noi. Solo gli architetti possono essere registi del cambiamento, gli unici in grado di inventare soluzioni nuove con una visione d’insieme e una responsabilità che altri, i politici per primi, non hanno».

Il cinema può avere un ruolo nell’immaginare il futuro delle città e del Pianeta? «È un’arte che smuove l’interesse e può costruire una coscienza collettiva. Raccontare storie serve. Io sono sempre stato affascinato dai luoghi, quando scrivo un film o una musica parto dalle sensazioni che gli ambienti, prima dei personaggi, mi trasmettono. Oggi mi chiedo quale sia il futuro delle città, da quelle siberiane che vanno a fuoco d’estate a quelle antiche come Roma e Firenze: difficile dire, stiamo vivendo una rivoluzione sulla nostra pelle. Mentre nel mio prossimo film vorrei raccontare luoghi lontani che hanno un impatto su tutti noi, ma per ora non posso dire di più». Da regista quali città racconterebbe come modello per il futuro? «Quelle dove l’energia umana è in equilibrio con la natura. Trovo bella e potente Cape Town, in Sud Africa, con la sua grande montagna e l’oceano, e la contaminazione tra persone e quartieri diversi. Sarajevo, nella Bosnia-Erzegovina, che, rasa al suolo dalla guerra, vive un’onda di innovazione grazie alla generazione dei quarantenni. Copenhagen, in Danimarca, è vivacissima. Vienna, in Austria, dove ho scoperto un esperimento di cohousing da esportare: un condominio dove le famiglie non solo dividono cucina o palestra ma ospitano creativi e stranieri per ascoltare, e far scoprire ai loro figli, storie di altri mondi. Le megalopoli invece devono cambiare: città come Los Angeles, con un traffico tale che nessuno cammina per strada, non è un esempio. Ma in un mondo in crescita è impossibile che si riducano. Spero in un’espansione virtuosa fatta di spazi multifunzionali». E la sua Torino? «È un’isola felice per i costi bassi e la qualità della vita, anche culturale. Da alcune fabbriche smantellate sono nati luoghi di aggregazione. C’è la bellezza delle piazze storiche e il fermento di Porta Palazzo, il mercato multietnico. In provincia ci si sente sempre laterali rispetto a Roma o a Milano, ma è anche un vantaggio: si esce dai binari, si resta più indipendenti». ■ © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Foto MYBOSSWAY

L’HEADQUARTERS ZEGNA, A MILANO, IN UNA SCENA DAL FILM THE IMPORTANCE OF BEING AN ARCHITECT.




Foto GETTY IMAGES

UNA NATURA DA SCOPRIRE Un fumetto sulle forme di vita invisibili che abitano le metropoli. Il sogno di una famiglia che ha fatto nascere un bosco. In queste pagine, realizzate con una carta preziosa ottenuta da fonti sostenibili, raccontiamo due modi diversi di amare l’ambiente 135


G R A Z I A PUNTI DI VISTA

I MONDI DEL MIO QUARTIERE


Ogni nuovo edificio che sorge in città ha il potere di cambiare la vita degli abitanti. Ma questa rivoluzione non riguarda solo le persone. In questo fumetto creato per Grazia lo racconta Sarah Mazzetti, illustratrice bolognese famosa per il suo tratto personale, grazie al quale personaggi fantastici e umani prendono vita di SARAH MAZZETTI SARAH MAZZETTI, 33 ANNI, È UN’ILLUSTRATRICE E FUMETTISTA BOLOGNESE. LAVORA PER GIORNALI COME THE NEW YORK TIMES, THE NEW YORKER, DIE ZEIT, THE GUARDIAN. HA RICEVUTO NUMEROSI PREMI IN ITALIA E ALL’ESTERO. INSEGNA ILLUSTRAZIONE ALL’ISIA, L’ISTITUTO SUPERIORE PER LE INDUSTRIE ARTISTICHE DI URBINO.

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G R A Z I A LA GRAPHIC NOVEL

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G R A Z I A TESORI

L’OASI VERDE d i S I LV I A U G O LO T T I

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è un parco naturale sulle Alpi biellesi dove convivono impresa, arte e natura. Sono 100 chilometri quadrati di alberi e fiori, una superficie che è 30 volte quella di Central Park a New York. Si chiama Oasi Zegna ed è un microcosmo di purezza. Giardini in quota, zone selvagge, scenari modellati dall’acqua, borghi e rocce: la riserva fondata nel 1993 sul “pensiero verde” dell’imprenditore Ermenegildo Zegna e patrocinata dal Fondo italiano per l’ambiente è il primo esempio di mecenatismo ambientale in Italia. «Era il 1929 quando mio nonno piantò il primo abete nelle montagne brulle e disboscate delle Alpi Biellesi. Il primo di 500 mila conifere. Amante del bello, orgoglioso delle proprie radici, per tutta la vita ha seguito questi ideali: curare l’ambiente per il benessere di tutti e ripopolare la foresta per tenere viva la montagna», dice Anna Zegna, presidente della Fondazione Zegna. È lei a raccontare come Ermenegildo Zegna abbia trasformato pur conservando. IMPRENDITORE E FILANTROPO, Zegna ha vissuto quando ecologia e biodiversità non erano concetti diffusi come oggi. A Trivero Valdilana, in provincia di Biella, quartier generale del suo lanificio oggi punto di riferimento dell’eleganza maschile, si è dedicato alla valorizzazione del territorio montano. Ne ha recuperato tradizioni e cultura, ha ridato alberi alla foresta, ha attivato servizi per la comunità e costruito la Panoramica Zegna, la strada che unisce le Alpi biellesi orientali alla valle Cervo. Intorno alla strada si sviluppa l’Oasi, dove passeggiare, fare sport, respirare il silenzio. Un luogo naturale che negli anni è diventato parco protetto. «CON LA COCCIUTAGGINE DI CHI È NATO IN MONTAGNA voleva che tutto accadesse lì. Per farlo si è attorniato di artisti, architetti, paesaggisti, maestranze: li ha travolti nella sua visione. Credeva

Foto courtesy OASI ZEGNA, disegno DANIELE COSTA

Sulle Alpi biellesi c’è un parco di 100 chilometri quadrati dove convivono natura selvaggia e opere di artisti e creativi. È il sogno realizzato dell’imprenditore Ermenegildo Zegna. Qui sua nipote Anna racconta l’idea che ha dato vita a questo luogo: la volontà di tenere viva la montagna


L’OASI ZEGNA, PARCO NATURALE SULLE ALPI BIELLESI. A SINISTRA, ANNA ZEGNA, PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE ZEGNA.


G R A Z I A L’OASI VERDE

nello scambio e nelle contaminazioni. Un’alchimia», dice Anna. E ha chiamato a raccolta il meglio che potesse trovare sul mercato: Pietro Porcinai per il paesaggio, Luigi Vietti per le architetture, poi Otto Maraini e Ettore Pistoletto Olivero, per citarne alcuni. «Così si rivitalizza un territorio, trasformandolo in fucina d’idee catalizzatrice di turismo e buona economia. Persone dai talenti diversi, unite in un progetto, possono innescare occasioni di confronto e di crescita», aggiunge Anna Zegna. ACCANTO AL FOCUS SU VERDE E NATURA nell’Oasi Zegna si trova anche l’arte con All’Aperto, progetto voluto dalla Fondazione e curato da Andrea Zegna e Barbara Casa: si è cercato di facilitare l’approccio e poi la conoscenza dell’arte contemporanea. «Dal padiglione di Dan Harry Graham alle panchine di Alberto Garutti, alla multi-installazione di Laura Pugno, opere permanenti di artisti contemporanei sono state diffuse nell’Oasi per offrire alla comunità montana una nuova e diversa visione dei luoghi in cui si svolge la vita quotidiana». ■

IN QUESTA PAGINA, ALCUNI PAESAGGI DELL’OASI ZEGNA. LA RISERVA, 100 CHILOMETRI QUADRATI DI ALBERI E FIORI, È STATA FONDATA NEL 1993 SUL “PENSIERO VERDE” DELL’IMPRENDITORE ERMENEGILDO ZEGNA. È PATROCINATA DAL FAI, FONDO ITALIANO PER L’AMBIENTE.

Foto courtesy OASI ZEGNA

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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G R A Z I A NOTE PERSONALI

LA MUSICA DELLA MIA PERIFERIA La madre che lavorava per mantenere lui e suo fratello. Le rinunce di bambino. La scelta di lasciare la scuola e il sogno realizzato di scrivere canzoni. Tutto per RKOMI è partito da Calvairate, quartiere popolare di Milano. Per Grazia il cantautore è tornato in quelle strade dove tutto è cominciato

d i G I O VA N N I F E R R A R I f o t o d i M AT T I A ZO P P E L L A R O styling di NIKE ANTIGNANI

IL CANTAUTORE RKOMI, PSEUDONIMO DI MIRKO MANUELE MARTORANA, 27 ANNI, RITRATTO A MILANO, IN VIA CESARE LOMBROSO, NEL QUARTIERE CALVAIRATE. QUI INDOSSA UNA GIACCA-CAMICIA IN LANA CON TASCHE (FENDI), CANOTTIERA IN COTONE (INTIMISSIMI).


Foto CONTRASTO

G R A Z I A RKOMI

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RKOMI, QUI ALLA TRATTORIA VICTOIRE IN VIALE MOLISE, INDOSSA POLO A MANICHE CORTE IN COTONE DOPPIO RICAMATO SU DUE MAGLIE DI COTONE SOVRAPPOSTE A MANICHE LUNGHE (TUTTO DIOR).PAGINA ACCANTO, DALL’ALTO: CASE DI EDILIZIA POPOLARE IN PIAZZALE CUOCO, NEL QUARTIERE CALVAIRATE DI MILANO; IL MERCATO ORTOFRUTTICOLO.


G R A Z I A RKOMI

«A 17 anni sono andato a vivere da solo. Mia madre mi disse: “Mi sposto io. Tu rimani qui, che c’è l’affitto più basso”. E così è stato» 148

Foto CONTRASTO

Crescere


DALL’ALTO: RKOMI AL CENTRO SOCIALE MACAO CON BOMBER IN TESSUTO JACQUARD (ETRO) SU PANTALONI PERSONALI; VIA AZZURRI D’ITALIA CON LE VEDUTE DEL PALAZZO DEL GHIACCIO E DEL POLO CULTURALE DI VIA PIRANESI. NELLA PAGINA ACCANTO: IL CANTAUTORE, IN VIALE MOLISE, INDOSSA CAMICIA E PANTALONI IN LANA BORDEAUX COORDINATI (BALLY).


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avigli, Milano. Poco dopo le 19. Rkomi è seduto al mio fianco su un divanetto di Thaurus, l’agenzia che si occupa del suo management, mentre alcune persone vanno verso casa. Rkomi è lì e, allo stesso tempo, è in molte altre parti. Ma non a causa della stanchezza di queste frenetiche settimane, soprattutto dopo il successo del suo ultimo disco Taxi Driver, ora fuori anche in versione live per MTV Unplugged. Rifuggendo l’idea di sentirsi “comodo” e appagato, Mirko Martorana (questo il suo vero nome) è abituato a vivere il quotidiano come spunto per una sua evoluzione. È allenato al cambiamento. È per questo che i suoi occhi, mentre mi racconta del suo passato nelle case popolari di Milano, mi parlano inevitabilmente anche di futuro. Che bambino è stato? «Sono stato tanti bambini. Ero introspettivo e avevo bisogno di tempo per fidarmi di chi avevo intorno. Ma poi, diventavo un’altra persona e davo tutto per gli altri». È cresciuto a Calvairate, un quartiere popolare a Est di Milano. Come ha vissuto? «Bene. Spesso e volentieri si perdeva tempo. Da piccoli è bello farlo. Facebook è arrivato quando avevo 15 anni, ma noi preferivamo stare fuori. Giocavamo a calcetto in cortile a tutte le ore». È una socialità che si è persa? «Non riesco a capirlo perché non ci sono più dentro. Ma ora non vedo le piazze colme come una volta. Non c’è più l’idea di condivisione di uno spazio come potevamo averla noi. Se si fa, ora è in modalità digitale. Magari è altrettanto bello, ma non lo capisco. Allora c’era il mito della piazza, piena di persone e di motorini. Il venerdì si andava sui Navigli e il sabato in Duomo». Come si cresce nelle case popolari? 150

«Il mio quartiere non è troppo distante dal centro, quindi ho sempre avuto la fortuna di poter vedere entrambe le parti della città. Il quartiere popolare, però, ha una faccia decisamente più familiare. Come se in un palazzo si fosse tutti una cosa sola». Sua madre ha cresciuto lei e suo fratello maggiore da sola. «Sì, è stata papà e mamma. Io non ho mai conosciuto mio padre. Mio fratello è più grande di me di nove anni e ha avuto molte attenzioni “da papà” nei miei confronti quando era giusto farlo. Ma mia madre era tutto in casa. Aveva più lavori, cosciente del fatto che qualcuno doveva portare i soldi in casa, ma cercava di stare il più tempo possibile con noi. Io stavo molto con mio fratello quando lei non c’era». Lui la accettava nella sua compagnia? «Siamo sempre stati molto affiatati: non c’era nemmeno bisogno che gli chiedessi di portarmi con lui. Uscivamo insieme, giocavamo in cortile o stavamo in casa davanti alla PlayStation». È vero che lei e suo fratello eravate molto gelosi di vostra madre? «Sì, soprattutto io. Mi ricordo che ero molto geloso degli unici due compagni che ha avuto nei 27 anni della mia vita. Ma forse il luogo in cui emergeva di più la mia gelosia era la strada». Ossia? «Lei è sempre stata una bella signora e, quando camminavamo per il quartiere, molti la guardavano. Mi ricordo che mi mettevo dietro di lei, per coprirla e nasconderla da sguardi indesiderati». I ricordi più belli della sua adolescenza? «Le rimpatriate a Natale e a Pasqua con tutti i nostri parenti. La mia famiglia è napoletana e, in quelle occasioni, ci si rivede tutti». E quelli più dolorosi?

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G R A Z I A RKOMI


RKOMI, QUI IN PIAZZALE MARTINI, HA UNA CAMICIA IN SETA DOPPIA A RIGHE (DROME). NELLA PAGINA ACCANTO, DA SINISTRA: PIAZZALE CUOCO, IN ZONA CALVAIRATE; VIA CALVAIRATE.


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La gente e la città

DALL’ALTO: RKOMI RITRATTO ALL’OFFICINA DI PIAZZALE MARTINI CON CAPPOTTO MONOPETTO IN PELLE (PAUL SMITH) SU COMPLETO TUTA IN ACETATO BICOLORE (LACOSTE); SCARPE (PERSONALI); PIAZZALE CUOCO. TRUCCO:ELENA PIVETTA PER GREEN APPLE. ASSISTENTI FOTOGRAFO: STEFANO MATTIOCCO ED ELIA FRANCESCHETTI.

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«Capitava che per motivi economici non potessi partecipare alle varie attività che venivano organizzate a scuola. Allora non andavo. Non mi faceva piacere, chiaramente, ma non la vivevo nemmeno troppo male perché avevo capito come andavano le cose». Si è iscritto in un istituto alberghiero, ma ha abbandonato prima del termine. Come mai? «Ho mollato tutto a 17 anni. Il ristorante dove feci lo stage mi propose di lavorare lì dal settembre successivo, ma io dissi: “Perché non iniziamo subito?”. In quegli anni ho lavorato come cameriere, barista, lavapiatti». Le piacerebbe riprendere gli studi? «Sì, ci penso frequentemente. È probabile che lo farò». A quale facoltà si iscriverebbe? «Psicologia o Lettere. Mi interessa tutto ciò che è inerente alla scrittura e alla conoscenza di sé e del passato». E l’incontro con la musica quando è arrivato? «Quando avevo 16 anni andavo in studio con i miei amici che già rappavano. Metà della scena di oggi nasce da lì. Avevo tante compagnie e, in quel momento, ho capito che questa era la mia preferita. Così iniziai a scrivere le mie prime cose». Come ricorda gli anni del suo esordio? «Un gran bel momento, nonostante le fatiche. A 17 anni sono anche andato a vivere da solo. Mia madre mi disse: “Mi sposto io. Tu rimani qui, che c’è l’affitto più basso”. E così è stato. Dopo sei mesi è venuto a vivere da me il rapper Tedua e poi ci siamo spostati noi, accogliendo anche altri due ragazzi. Lavoravamo anche dieci ore al giorno, ma non ci facevamo mancare feste, serate e jam in studio. Avevamo una grande energia per affrontare tutto». Da dove arrivava? «Eravamo “pischelli”. Anche se si stava sudando, era una cosa nuova. E se dormivi cinque ore, amen. L’importante era avere la faccia buona per il capo il giorno dopo (ride, ndr)». La svolta arrivò grazie all’incontro con il produttore Shablo.

Foto CONTRASTO

«Non vedo le piazze colme come una volta. Non c’è più l’idea di condivisione di uno spazio comune»



G R A Z I A RKOMI

«Esatto. Grazie a lui e all’altro mio manager ho iniziato a vivere il dietro le quinte. Poi ho pubblicato i miei primi singoli ed è arrivata subito una forte attenzione». Sognava la popolarità? «Le dico la verità: quando ho iniziato a fare musica, per me era tutto ma allo stesso tempo non me ne importava nulla». Cioè? «Mi sono avvicinato al mondo del rap perché mi faceva stare bene. Non ho mai pensato che potesse diventare il mio lavoro, che potesse portarmi celebrità. Ho sempre odiato avere gli occhi puntati addosso». Come ha vissuto i momenti di lockdown? «Sono stato costretto a fermarmi. Per me una benedizione. Ho iniziato a studiare pianoforte. Mi sono reso conto che non basta il talento per creare belle canzoni. Avevo bisogno di colmare alcune lacune teoriche. Ma oltre a ciò mi sono anche riavvicinato al cinema, che è da sempre una mia grande passione». Una pellicola che ha riscoperto? «Blow-Up di Michelangelo Antonioni. Ma anche 154

tutta la produzione di Jean-Luc Godard». Nel settembre 2019 ha partecipato al maxi concerto di Lorenzo Jovanotti all’aeroporto di Linate. «È stato un momento forte. Quella data conclusiva del Jova Beach Party mi ha fatto capire che volevo lavorare in modo diverso ai miei show». Come è stato tornare dal vivo quest’estate? «Avevamo troppa voglia di esibirci. È stato bello avere una band. Mi sono reso conto della forza che possono avere tante persone messe insieme, se coese. Eravamo davvero una cosa sola». In aprile e maggio 2022 si esibirà nei club. «Speriamo sia una ripresa concreta e definitiva. Lo dobbiamo soprattutto all’intero circuito che c’è dietro all’artista e che è molto più grosso di quanto si possa pensare». Una cosa che ha vissuto e che non vuole dimenticare? «Le mancanze. Mi hanno sempre fatto dare valore a tutto quello che ora sto ricevendo. Oggi non posso fare altro che ringraziarle». ■ © RIPRODUZIONE RISERVATA

Foto CONTRASTO

DALL’ALTO, IN SENSO ORARIO: IL CENTRO SOCIALE MACAO IN VIALE MOLISE; UNO SCORCIO DI VIALE MOLISE; EDIFICI DI NUOVA COSTRUZIONE IN VIA CERVIGNANO FOTOGRAFATI DA VIA MONTE ORTIGARA; UN PALAZZO IN VIALE MOLISE.




G R A Z I A A VIVA VOCE

L’ITALIA È UN SOGNO

Pietro Del Soldà conduce in radio il programma Tutta la città ne parla. E a Grazia racconta quale futuro desiderano le persone con cui dialoga ogni giorno

Foto RICCARDO VENTURI/CONTRASTO, CONTRASTO

di MONICA BOGLIARDI

VENEZIA, LE FONDAMENTA DELLE ZATTERE. SOPRA, DA SINISTRA: LA BASILICA DI SAN FRANCESCO DI PAOLA SU PIAZZA PLEBISCITO E L’INTERNO DEL CAFFÈ GAMBRINUS, A NAPOLI.

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IL CONDUTTORE PIETRO DEL SOLDÀ, 48 ANNI. È IN LIBRERIA CON SULLE ALI DEGLI AMICI. UNA FILOSOFIA DELL’INCONTRO (MARSILIO).

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hiedono se lo smart working manderà in crisi le città, vogliono capire se il vaccino anti-Covid diventerà obbligatorio. Sono oltre 200 mila le persone che dal lunedì al venerdì, alle 10 del mattino, seguono il programma di approfondimento Tutta la città ne parla, su Rai Radio 3, che prende spunto dai temi di attualità sollevati dalle telefonate degli ascoltatori e chiede a esperti e ospiti di chiarirli e discuterli. Grazia ha intervistato il conduttore, Pietro Del Soldà, giornalista, filosofo, per capire che cosa gli italiani vogliono dalle loro città e come le immaginano in futuro. Nella sua trasmissione molti abitanti delle città fanno sentire la loro voce. Nelle metropoli del futuro avranno anche spazi di dialogo con le istituzioni? «Vedo due tendenze opposte. Da un lato potranno contare di più, grazie ai social network, che danno loro l’idea di essere vicini al potere decisionale. Dall’altro i cittadini potrebbero accorgersi, invece, che si tratta di un’intimità finta e che non solo sono sempre più lontani dai centri decisionali, ma sono anche oggetto delle contese delle grandi piattaforme del web. Le città italiane potranno decidere di sfruttare il loro assetto ricco di piazze, che favorisce il muoversi a piedi e una vita di prossimità, e la tradizione dei Comuni. Bisognerà moltiplicare gli spazi per gli incontri fisici: sei parte di una comunità se la incontri e la conosci, se c’è un’interazione diretta tra cittadini e tra cittadini e istituzioni». In che modo i cittadini possono contribuire a rendere le città poli di innovazione? «Organizzando movimenti di pressione. Nella stessa Roma, che secondo molti ha scarso senso civico, ci sono invece quartieri in cui ci si riunisce per organizzare iniziative, faccio un esempio, a tutela degli alberi. Ma si dovrà partecipare non solo per dire “no”. Bisogna avere anche la forza di proporre parole d’ordine positive». Esisterà ancora, in tempi di globalizzazione, 158

il campanilismo? «Sì. Uno dei fenomeni nuovi, che si muove dentro la globalizzazione, è la tendenza a chiudersi nel proprio piccolo spazio dove ti senti protetto. Nell’età dell’incertezza ti aggrappi al tuo territorio, alla tua città. Il campanilismo è, sarà una forma ridotta del sovranismo. Premesso questo, gli italiani più orgogliosi della loro città sono i napoletani. Abbiamo dedicato tante puntate a Napoli e ai suoi problemi e i cittadini che intervenivano dimostravano un attaccamento unico alla loro città, di cui amano anche i difetti, insieme con le tradizioni, i sapori, perfino gli odori». Quali bisogni segnalano i cittadini nell’Italia che ha attraversato la pandemia? «Quello di un’assistenza sanitaria di prossimità efficace. Nelle città del futuro ci dovranno essere centri medici di quartiere, la pandemia ne ha fatto sentire la mancanza. E invece, temo, ci saranno sempre meno medici di base». Che conseguenze avrà lo smart working, nei prossimi anni, sulle nostre città? «Non credo che nelle aziende si tornerà a lavorare tutti i giorni in presenza. Diminuirà il flusso di pendolari e le città saranno meno sovraffollate. Ci saranno però anche danni economici a quelle attività, bar e ristoranti, che sui pendolari vivono e che dovranno essere riconvertite. Ma io sono fiducioso: questi problemi saranno risolti nel breve periodo». Le piace l’esperimento delle social street e degli orti sociali, che mettono in contatto anche categorie fragili come gli anziani? «Ne penso tutto il bene possibile, ai cittadini piacciono molto. Ma non basta parlarne: andrebbero stanziati più fondi per farli crescere, altrimenti restano casi isolati e virtuosi». Lei è nato e cresciuto a Venezia e da 20 anni vive a Roma. Ci dica un problema che nei prossimi anni lì si dovrà affrontare con urgenza. «A Venezia c’è un’emorragia di abitanti: andrà ripopolata. Bisogna riportarci la gente a vivere, non solo a lavorare. La Roma del futuro dovrà governare meglio l’afflusso turistico ma soprattutto potenziare il trasporto pubblico». Fuori dall’Italia, quale città vede più avanti nel percorso verso la città sostenibile e inclusiva? «Barcellona. Ha puntato molto sugli spazi verdi; ha una sindaca, Ada Colau, che ha fatto scelte intelligenti sul turismo. È riuscita a integrare il mare nella città». ■ © RIPRODUZIONE RISERVATA

Disegno DANIELE COSTA

G R A Z I A PIETRO DEL SOLDÀ


T H E N E W WA L L PA P E R C O L L E C T I O N

Showroom | Piazza San Marco 4 | Milano | Italy | info@londonart.it | londonartwallpaper.com

Navajo Dream | Designer: Joel Rubin

Ph. Davide Lovatti

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G R A Z I A NEL SEGNO DELLA CULTURA

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E adesso

Foto GETTY IMAGES. Disegno DANIELE COSTA

VOLTIAMO PAGINA Il Salone Internazionale del libro di Torino ha portato al Lingotto grandi autori, scienziati, ma anche tanti ragazzi. E qui lo scrittore Nicola Lagioia, direttore dell’evento, spiega perché ora più che mai questi appuntamenti possono trasformare la città in un laboratorio di idee per il futuro del mondo di ANNA SANTINI LO SCRITTORE NICOLA LAGIOIA, 48 ANNI, DIRETTORE DEL SALONE INTERNAZIONALE DEL LIBRO DI TORINO.

rendete una città prudente e riservata per carattere e vocazione. E per cinque giorni apritela, travolgetela di scrittori, romanzieri, ma anche di filosofi, registi e artisti da tutto il mondo. Succede a Torino da 33 anni, ma questa volta è stato diverso. Dopo che, per tanti mesi, la pandemia ha frenato ogni iniziativa, congelato ogni dialogo faccia faccia, ogni assembramento di progetti, cuori e menti, il Salone Internazionale del Libro che si è concluso in questi giorni al Lingotto ha vinto molte sfide. «Non ci siamo rattrappiti e impauriti, ma abbiamo rilanciato», spiega il suo direttore, lo scrittore Nicola Lagioia. «Eravamo partiti convinti che questa edizione sarebbe stato un guscio solo italiano, e invece la risposta internazionale è stata decisa ed entusiasta. Ci siamo organizzati bene per rispettare le norme anti-Covid. Uno sforzo che dimostra come la cultura dal vivo si può e si deve fare». L’evento ha avuto come titolo Vita Supernova, con riferimento al poema di Dante, ma anche all’energia sprigionata da una stella. I libri possono far rinascere le città? «I saloni come quello di Torino sono una linfa a cascata su altri settori, dagli alberghi, ai ristoranti, ai tassisti. E questo non è mai da sottovalutare. Ma il vero punto è che quando puoi disporre di autori che sono la voce di temi e argomenti del nostro tempo, subito l’evento si trasforma in un laboratorio per idee e nuove dinamiche. Ecco allora che anche una città piccola diventa un polo culturale sotto gli occhi del mondo. E in questo senso la pandemia ci ha offerto una straordinaria opportunità di crescita, che in futuro segnerà molti eventi simili al Salone». In che modo? «Il virus ci ha costretti per la prima volta, a ogni latitudine, ad affrontare le identiche emergenze ed esperienze sociali e politiche. Ogni 161


G R A Z I A NICOLA LAGIOIA

punto di vista serve per costruire nuove strategie. A Torino abbiamo invitato le menti più brillanti del mondo per chiedere loro che cosa sta succedendo, come stanno reagendo al presente e leggendo il futuro. Un tempo lo scrittore che veniva dalla Nuova Zelanda portava i suoi contenuti, differenti da chi parlava dal Brasile. Questa volta abbiamo avuto personaggi con idee e formazioni molto diverse, penso per esempio a Jessica Bruder, l’autrice di Nomadland, o a un provocatore come Michel Houellebecq, ma per tutti la pandemia è il centro di gravità delle loro vite, una rivoluzione che li ha colpiti, trasformati e uniti. Ci sono stati anche incontri con movimenti come Fridays for future, molti autori e giovanissimi talenti si sono confrontati con la crisi climatica, l’altro tema urgente legato anche all’emergenza sanitaria. Sono letture comuni del presente che prima erano impossibili». Il mondo è cambiato, l’Italia pure. Torino che voce ha? «Per decenni questa città è stata sinonimo solo di Fiat, il motore dell’economia italiana. È stata dormitorio di operai, ha risolto conflitti spaventosi come quello con il terrorismo. Poi l’industria mondiale si è evoluta e c’è stata la necessità di trovare altre

La sfida italiana «Ho fiducia nei ragazzi di oggi che avranno in mano le città di domani. Peccato che la scuola non abbia abbastanza tempo di guidarli al piacere di leggere» 162

economie a nuove anime. Torino le ha individuate nell’editoria colta, nelle start up, nell’enogastronomia, in realtà come i musei del cinema o egizio. Ma questa transizione, iniziata con le Olimpiadi invernali del 2006, è ancora lenta e la pandemia ha colpito Torino in mezzo a un guado. Qui c’è una borghesia solida che però gioca da sempre in difesa. C’è una battuta divertente a riguardo: Torino vuole essere una piccola Parigi o una grande Cuneo?». Il Salone può aiutarla a decidere? «Certo, creando connessioni virtuose. L’ambiente è uno dei temi dominanti del nostro tempo? Non dimentichiamo che a Torino ci sono Carlo Petrini, l’anima dei presidi di Slow Food, attivista e portavoce della cultura dell’eccellenza del cibo buono e sano. Ci sono aziende come Lavazza in prima linea nella cultura. La città si identifica nel Salone Internazionale del Libro e noi sentiamo la responsabilità di stimolare l’intelligenza collettiva. Il mio sogno è un Salone che avrà la forza della Biennale di Venezia, che in 110 anni ha fatto sistema con la Regione e il Ministero dei beni culturali». Lei è legato a Torino, ma vive a Roma ed è nato a Bari. Dove sono rimaste le città del Sud di cui nei suoi romanzi ha fatto ritratti anche spietati? «Temo siano uscite anche dall’agenda politica. Il Sud si spopola, i ragazzi se ne vanno all’estero e chi resta, anche con un’idea, parte svantaggiato. Non amo chi dice che il Sud deve risollevarsi da solo. Come può farlo se qui mancano le infrastrutture, se le ferrovie sono indecenti, il wifi una scommessa?». Ci sarà una via d’uscita. «Ci faccia caso. Se dici Italia, nel

mondo pensano a tre città: Roma, Napoli, Palermo e la Sicilia. Il Sud è l’identità del nostro Paese. Questi tre luoghi producono un immaginario ed emozioni che però stentano a trasformarsi in un vero strumento di emancipazione, di forza. L’Italia non vende microchip, potrebbe vivere solo con l’immaginario che produce: la moda, il cibo, il turismo, lo stile di vita, le esperienze. Guardo con fiducia Napoli, però, l’unica città del Sud che ha scommesso nonostante le contraddizioni e ha un’offerta culturale nuova e alta». Gli adolescenti di oggi avranno in mano le città di domani. Però hanno un rapporto complicato con la lettura. I social sono nemici dei libri? «Non lo credo. Lo sono invece banalmente gli ormoni e la scuola, che non ha tempo di guidare i ragazzi al piacere della lettura. In tutti i Paesi d’Europa esiste la figura del bibliotecario scolastico, spesso anche più preparato dei professori. Sono questi gli investimenti che andrebbero fatti. Mi sento però di sfatare il mito dei ragazzi cattivi lettori. Il Salone di Torino ha dimostrato che la pandemia, il lavoro da remoto e una gestione differente delle giornate hanno rafforzato il rapporto con i libri. A volte con l’aiuto dei social». Nicola Lagioia e la città del futuro. Dove si vede, per esempio, tra cinque anni? «A Roma, all’Esquilino, nel mio quartiere. Lo immagino però con un carattere nuovo, perché ha molte potenzialità. Siamo vicini al centro e le case hanno prezzi ancora accettabili. E infatti qui abitano attori, scrittori, registi. Un comunità creativa da non sottovalutare che forse, se unisce le forze e le teste, potrebbe inventarsi qualcosa di speciale». ■ © RIPRODUZIONE RISERVATA



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G R A Z I A ITINERARI

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C’È MAGIA IN QUESTI LUOGHI Un monte sacro e una Via Crucis rinascimentale. Un museo lungo una fiumara e la colata di cemento più bella del mondo. Grazia mostra dove l’arte è protagonista d i S I LV I A U G O LO T T I

IL SACRARIO MILITARE DI CIMA GRAPPA, A 1.776 METRI, TRA LE PROVINCE DI TREVISO E DI VICENZA.

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iumara d’Arte, lungo il fiume della bellezza, è il parco di sculture più grande d’Europa, un museo d’arte contemporanea a cielo aperto. In Sicilia, a Tusa, sulla costa tirrenica messinese, l’ha realizzato l’artista e mecenate Antonio Presti. Il suo intento: rigenerare un luogo innescando un circolo virtuoso di buone pratiche culturali. Con questo obiettivo, Presti ha creato un percorso turistico e culturale all’interno di un territorio che è stato per anni tormentato dall’abusivismo edilizio. Le sue armi: forme e colori. Nel 1982 commissiona la prima opera in memoria del padre a Pietro Consagra, dal titolo La materia poteva non esserci. Un primo seme a gettare le basi per un dialogo artistico e sociale con il territorio, dove il linguaggio contemporaneo potesse unirsi all’aspra bellezza del paesaggio. Ecco nascere un po’ alla volta enormi sculture, piramidi di ferro, labirinti dove perdersi per ritrovarsi, finestre giganti affacciate su valli e monti firmata da artisti come Tano Festa, Mauro Staccioli, Hidetoshi Nagasawa e da giovani creatori emergenti. Ogni opera racchiude un valore simbolico; insieme disegnano un tracciato che ripercorre idealmente il corso del fiume Tusa (ora un torrente) in un continuo ampliarsi e rinnovarsi. All’interno c’è anche un hotel, il museo Albergo Atelier sul Mare (ateliersulmare.com), 20 stanze disegnate da 20 artisti per vivere la loro opera dall’interno. Ogni sabato e domenica è prevista l’apertura al pubblico dell’hotel che può essere visitato con una guida. Fattore Gibellina, la storia di terremoto che è diventato arte. Dal terremoto del 1968 che scosse la Valle del Belice, fra Trapani e Palermo, Gibellina è risorta in nuova forma, un’araba fenice. Era un borgo di montagna, che oggi non esiste più e sul suo “ground zero” Alberto Burri ha realizzato il Cretto. È

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Foto IPA

LA SCULTURA LA MATERIA POTEVA NON ESSERCI DI PIETRO CONSAGRA A FIUMARA D’ARTE A SUSA, MESSINA, E, SOPRA, IL CRETTO DI ALBERTO BURRI A GIBELLINA, NELLA VALLE DEL BELICE, TRAPANI. SOTTO, LA BASILICA AL SACRO MONTE DI VARALLO, NELL’ALTO PIEMONTE.



G R A Z I A ITINERARI

un’opera di Land Art tra le più grandi al mondo, concepita come un monumento funebre in forma di scultura. In tutto sono 80 mila metri quadrati di cemento bianco distesi sulle rovine di Gibellina vecchia. L’opera si può percorrere a piedi in vicoli fessura che riproducono quelli del centro storico del paese prima del terremoto. A pochi chilometri sorge Gibellina Nuova, dove la vita “superstite” ha ripreso il suo corso. Qui, artisti e architetti, sostenuti dagli artigiani del paese e da imprese locali, hanno disegnato il progetto di una città nuova. Fu il sindaco Ludovico Quaroni a chiamare all’appello nomi come Andrea Cascella, Alessandro Mendini, Arnaldo Pomodoro, Mario Schifano. Risposero tutti. Ci sono cinque piazze di Laura Thermes e Franco Purini, il Municipio di Vittorio Gregotti, il Giardino Segreto di Francesco Venezia; Meeting, la scultura-edificio di Pietro Consagra e molto ancora. Meno conosciuta di quanto dovrebbe, Gibellina è l’esempio di un luogo, una città, che nell’arte ha cercato il proprio riscatto: neutralizzare la morte, innalzando nuove forme in mezzo ai detriti. La “Gerusalemme” di Varallo È il più antico dei Sacri Monti italiani, un complesso monumentale nato nel 1491 su uno sperone roccioso sopra alla città di Varallo. Fu il frate francescano Bernardino Caimi a immaginarlo. Di ritorno da un viaggio in Palestina, pensò di creare nel cuore della Valsesia un luogo che potesse rievocare una piccola Gerusalemme. Ed ecco il Sacro Monte di Varallo, 44 cappelle affrescate con oltre 4.000 figure e sculture che raccontano la vita di Gesù Cristo, dal peccato originale alla crocifissione, e una basilica. Si cammina a piedi verso l’imponente Basilica del Sacro Monte, fermandosi in ognuna delle cappelle, come in una grande Via Crucis nel verde. L’itinerario tra le cappelle è all’interno di una Riserva Naturale Speciale e si divide in due parti: la prima più impervia penetra i boschi, la seconda porta alla

sommità del monte organizzata come una città dalle architetture urbane rinascimentali. Ad abitarla però non ci sono persone ma statue e sculture. Per chi arriva, sono state create strutture di servizi, caffè, negozi, un hotel e il ristorante. Dopo la progettazione del Sacro Monte di Varallo ne furono realizzati altri sei, tutti nell’arco alpino compreso tra Piemonte e Lombardia. Un processo “educativo” religioso dove l’arte, in questo caso sacra, ha definito l’identità del luogo. Cima Grappa, il monte sacro alla patria Il massiccio del Grappa divide l’Altopiano di Asiago dalle Dolomiti bellunesi e, per la sua posizione strategica tra il Brenta e il Piave, fu un punto di riferimento importante durante la Grande Guerra. Opere militari, trincee, camminamenti, musei e l’imponente sacrario costruito per celebrare la storia delle decina di migliaia di soldati morti in battaglia hanno trasformato questa cima nel “monte sacro alla patria”. Il Sacrario militare è tra i più visitati con circa 900 mila persone all’anno. È stato oggetto del restauro conservativo firmato dallo studio Antonio Citterio e Patricia Viel & Partner con un percorso multimediale che narra la storia dei caduti e dell’eroismo. L’obiettivo del progetto è di perpetuare nel tempo il significato della memoria attraverso la conservazione del monumento, valorizzando il suo contesto naturale, in una compenetrazione tra architettura e paesaggio. Intorno ci sono 66 mila ettari di natura entrati ufficialmente nella rete internazionale delle Riserve della Biosfera MAB Unesco il 15 settembre 2021. Un riconoscimento che premia le qualità del territorio nella relazione tra uomo e natura, confermando come il rispetto dell’ambiente e dell’ecosistema vada di pari passo con lo sviluppo dell’attività umana. ■ © RIPRODUZIONE RISERVATA

Il significato della memoria Il Sacrario Militare del Monte Grappa celebra la storia delle decine di migliaia soldati morti in battaglia. Il suo restauro mette d’accordo architettura e paesaggio. 168




G R A Z I A ORIZZONTI

ISTANBUL

è un esempio da copiare La megalopoli da 18 milioni di abitanti è come tante città in una. L’architetto italiano Luca Molinari è il curatore del museo che inaugurerà nella città turca nel 2024. E qui spiega perché questo luogo, a cavallo tra Occidente e Oriente, è un modello anche per il nostro Paese

Foto CONTRASTO

di ENRICA BROCARDO

QUI E IN ALTO A SINISTRA, PIAZZA ORTAKÖY A ISTANBUL. IN ALTO A DESTRA, RENDERING DEL MUSEO DELLA CITTÀ DI ISTANBUL, NEL QUARTIERE TOPKAPI.

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G R A Z I A LUCA MOLINARI

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Disegno DANIELE COSTA

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rchitetto, direttore dalle capitali europee». scientifico di M9, il E dal punto di vista urbanistico? Museo del Novecento «È tante città in una. In alcune zone di Venezia, dal 2017, sembra di essere in centro a Milano. Luca Molinari è anche Ti sposti di pochi chilometri e hai curatore del Museo l’impressione di essere a Teheran. E della città di Istanbul. Un progetto di poi c’è la periferia, immensa, fatta L’ARCHITETTO LUCA cui si parla da una ventina di anni e di palazzoni anonimi, dove vivono MOLINARI, 55 ANNI. una grande sfida, perché si tratta di i migranti, per lo più ex contadini raccontare «una città-mondo, da sempre provenienti dall’Anatolia». sospesa tra Oriente e Occidente», spiega. «Una delle Gli aspetti più interessanti? metropoli più dense e universali di sempre, con una «Prima di tutto, c’è una forte vivacità intellettuale. È storia di oltre duemila anni e un valore simbolico e un centro di grande fermento per quanto riguarda strategico enorme. E che, oggi, rappresenta anche l’arte, i movimenti underground, il design. Come tutte un laboratorio metropolitano tra i più interessanti al le città piene di contraddizioni è un luogo stimolante. mondo» La Biennale di architettura di Istanbul, per esempio, A che punto è il museo? è bellissima. E ci sono numerose fondazioni che «L’edificio, progettato da Salon Architects, uno studio investono in cultura». di architetti turco, è praticamente pronto. Occupa lo Quelli negativi? spazio dove sorgeva la vecchia società degli autobus «La forte migrazione interna sta mettendo a rischio il di fronte alle mura bizantine. Nell’ultimo anno e patrimonio storico e architettonico. Molti edifici del mezzo c’è stato un rallentamento dovuto, oltre che passato sono stati demoliti. C’è una grande fame di alla pandemia, a fattori economici e politici, ma il cemento, la voglia di crescere ha significato anche la museo dovrebbe aprire entro il 2024. Il sindaco di creazione di enormi infrastrutture che, in alcuni casi, Istanbul ha ribadito più volte che, nell’ambito dei hanno avuto un impatto pesante sull’ambiente». progetti culturali della città, è in cima alla lista delle A proposito, si discute molto del progetto di priorità della sua amministrazione». doppiare il Bosforo, realizzando un nuovo canale Come si racconta una metropoli così complessa? navigabile. Una follia, per gli ambientalisti. «Con un comitato di studiosi e docenti turchi «Il presidente Recep Tayyip Erdoğan lo considera abbiamo messo a punto i contenuti. Il museo sarà strategico. Ma già il nuovo aeroporto, costruito a un’introduzione alla città, con un taglio molto nord della città, e la nascita di periferie molto estese sociale, antropologico. Partendo dal passato e hanno “eroso” un territorio che, un tempo, era ricco guardando al futuro, l’idea è mostrare come la di foreste, di acqua. Un altro aspetto che ritengo ricchezza di Istanbul stia nella sua diversità, nel suo critico è la diminuzione del turismo internazionale e essere una realtà internazionale, cosmopolita e la riduzione del numero di occidentali che vivevano inclusiva. E per riaffermarne la funzione di luogo di stabilmente a Istanbul dopo gli attentati terroristici confronto e di dialogo inter religioso anche per gli del 2016 e 2017. Per tutti questi motivi l’apertura del anni a venire. Vogliamo creare un rapporto osmotico museo è importante: servirà a far capire e conoscere con gli abitanti. I musei devono essere sempre la città. Ovunque nel mondo, perché sarà visitabile più laboratori sociali, luoghi di formazione delle virtualmente da remoto». coscienze, contribuire a creare nuovi sguardi sul In che senso Istanbul è un laboratorio mondo». metropolitano interessante a livello globale? In che modo ci riuscirete? «La sua crescita è simile a quella delle altre «Coinvolgendo direttamente i cittadini, le diverse megalopoli dei Paesi in via di sviluppo. Che, poi, su comunità. Il museo diventerà uno spazio aperto scala più grande, ricorda ciò che abbiamo vissuto in a tutti, di inclusione sociale e di sensibilizzazione Italia negli Anni 60 con la speculazione edilizia. Da verso le donne, gli immigrati, verso tutte le comunità questo punto di vista, può aiutarci a capire in che presenti in città». modo mitigare i danni di un’urbanizzazione violenta Come descriverebbe la Istanbul di oggi? in Asia, in Africa. L’espansione di Istanbul è avvenuta «Ho cominciato a conoscerla nei primi Anni 80 e soprattutto negli ultimi dieci anni. Ora la sfida è mi ha sempre affascinato. In 40 anni è cambiata rendere il tessuto urbano più vivibile, migliorarne le moltissimo. Parliamo di una megalopoli che ha condizioni ambientali, sociali. Non a caso in questi raggiunto quasi 18 milioni di abitanti, per lo più ultimi due anni è partita le progettazione di numerosi giovani perché l’età media della popolazione turca è spazi pubblici aperti: parchi e piazze». ■ inferiore ai 20 anni. In questo senso, è molto diversa © RIPRODUZIONE RISERVATA


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G R A Z I A LA PIONIERA

Foto FOTOGRAFO FOTOGRAFO

QUI SOPRA, LA QUINTA STRADA A NEW YORK: È LA VIA DELLO SHOPPING PIÙ ELEGANTE DELLA CITTÀ. SOTTO, L’INTERNO DEI GRANDI MAGAZZINI DI LUSSO LA SAMARITAINE, A PARIGI: IN UN PALAZZO ART DÉCO, SONO STATI RIAPERTI DA POCO, DOPO MOLTI ANNI DI RESTAURO. A DESTRA, L’INTERNO DELLA BOUTIQUE 10 CORSO COMO, A MILANO, FONDATA 30 ANNI FA DA CARLA SOZZANI. LO SPAZIO COMPRENDE ANCHE UNA GALLERIA D’ARTE, UNA LIBRERIA, UN CAFFÈ, UN RISTORANTE E UN PICCOLO HOTEL.

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QUANDO LE CITTÀ

saranno piazze in cui incontrarsi È stata la prima a riunire, in un unico spazio, una galleria d’arte, una libreria, una boutique, poi un caffè e un piccolo hotel. Carla Sozzani ha inventato un nuovo modo di vivere lo shopping. E adesso, dopo la pandemia, spera che tutti torneremo ad apprezzare la voglia di scoprire dal vivo oggetti e piaceri

Foto AGNESE FOTOGRAFO BEDINI, FOTOGRAFO CONTRASTO, GETTY IMAGES. Disegno DANIELE COSTA

di LAURA INCARDONA

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G R A Z I A CARLA SOZZANI

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arla Sozzani è una donna dai molti interessi e dalle intuizioni che anticipano i tempi: lo dimostra da più di 30 anni. Dopo quasi due decenni passati a lavorare come giornalista, negli Anni 80 ha aperto 10 Corso Como, a Milano: una galleria d’arte, ma anche una boutique, una libreria, e poi un caffè, un ristorante e un mini hotel. In breve 10 Corso Como è diventato un indirizzo conosciuto in tutto il mondo, meta di viaggiatori curiosi, e che è stato replicato con sedi a New York, Tokyo, Seoul e Shanghai. La boutique 10 Corso Como compie 30 anni: com’è nata? «Abbastanza casualmente. Nel 1985 ero al ristorante in Corso Como, che era considerata quasi fuori porta, e la zona mi è piaciuta. Al 10 c’era il garage della Renault: all’inizio ho preso il primo piano, dove oggi c’è la libreria, e ho aperto la mia galleria. Poi lentamente, pezzo per pezzo, ci siamo allargati. Non è stato un progetto pensato, è nato giorno per giorno. È stata un’esperienza innovativa: c’è stata prima la galleria, poi nel 1991 la boutique, nel 1998 il caffè, nel 2003 l’hotel». E così il garage della Renault si è trasformato in un “concept store”, un luogo che offre un’esperienza di accoglienza oltre che di shopping. Come le è venuta l’idea? «Avevo passato quasi due decenni nei giornali. Negli Anni 90 non c’era comunicazione via web e io ho avuto voglia di creare un giornale vivente: invece di girare le pagine, si gira tra le stanze. Volevo comunicare le mie passioni attraverso libri, candele, fotografie, profumi, vestiti. Avevo il desiderio di mettere la gente insieme per condividere idee e scoperte». Oggi quanto influiscono i social nell’esperienza dell’acquisto? «Molto. Però negli acquisti online non usiamo tutti i sensi, utilizziamo solo la vista. Toccare un oggetto, sentirne l’odore è importante. Comprare qualcosa per te o per fare un regalo deve essere un piacere. Oggi ci sono due maniere di acquistare: online, che è un modo per avere rapidamente ciò che ti serve. Nei negozi fisici vai invece per un’esperienza più completa, lenta. Da 10 Corso Como abbiamo sempre avuto le poltrone, dove le persone si possono sedere. Il momento dello shopping dovrebbe essere un modo per viziarsi un po’». Torneremo ad apprezzare questo piacere da dedicare a se stessi in modo più lento? 176

«Io credo di sì. Mi piace immaginare una città dove si cammina: solo così hai il privilegio della lentezza, di poter vedere qualcosa che ti incuriosisce e magari entrare per scoprire qualcosa. Se pensa ai piccoli centri, come Padova e Mantova, tutto avviene nella piazza. Ecco, io vorrei che anche le grandi città diventassero grandi piazze, in cui la gente si incontra, si parla». Come ha detto lei, Corso Como negli Anni 80 era considerato periferia. Ancora oggi i luoghi non centrali della città sono spesso abbandonati o poco considerati. «È un problema che studiano architetti e urbanisti. Ma le città sono entità vive, che cambiano. Io ho da poco scoperto la Bovisa, che fino a qualche tempo fa era considerata periferia. Oggi sta cambiando ed è un fiorire di piccoli ristoranti, locali, bar: è una zona da scoprire, con molto verde e molta energia». Come immagina la nuova città da qui a cinque anni? «Io immagino Milano come la nuova capitale d’Europa, e forse lo diventerà davvero: Londra è stata tagliata fuori dai giochi a causa della Brexit. Milano già da qualche anno si è trasformata: anche gli stranieri hanno scoperto la sua bellezza e ci vedono con occhi diversi. La città dà qualcosa che prima non dava. L’Expo del 2015 è stata una vetrina fondamentale: è da lì che tutto è cambiato. Per molte metropoli che hanno ospitato l’Esposizione universale l’esperienza si è trasformata in un disastro, anche economico. Per Milano no: ha permesso alla città di farsi vedere per quello che è. Prima bisognava spiegarla agli stranieri. Ora la guardano con occhi diversi». L’anno scorso, in piena pandemia, in un’intervista aveva detto di essere molto ottimista sul futuro. Conferma? «Avevo detto che avremmo assistito a un’esplosione della creatività. L’edizione straordinaria del Salone del mobile e la Settimana della moda, che si sono appena concluse, hanno confermato la mia previsione. In settembre, durante questi due eventi internazionali, Milano è tornata a vivere, sono stati giorni bellissimi. E anche la fashion week, dopo alcuni anni, ha dimostrato una straordinaria effervescenza. Mi sembra anche che ci sia più gentilezza: forse abbiamo avuto tempo di riflettere, durante la pandemia. L’anno scorso l’ottimismo era un sogno, oggi è tangibile. Soprattutto a Milano». ■ © RIPRODUZIONE RISERVATA




G R A Z I A SPAZI UNICI

RIVOLUZIONE AL MUSEO Deyan Sudjic ha guidato un luogo di culto come il Design Museum di Londra. Per Grazia intervista Mateo Kries, direttore del Vitra di Weil am Rhein, in Germania, sul vero potere di questi luoghi d’arte: aprire la mente della gente e trasformare le città

Foto GARETH GARDNER, LOHELAND-ARCHIV, KÜNZELL, GABRIELE BASILICO, COURTESY BY ARCHIVIO NANDA VIGO, MILANO. Diseni DANIELE COSTA

a cura di LUCIA VALERIO

QUI SOPRA, DALL’ALTO, IN SENSO ORARIO: L’OPERA JUMP, AL VITRA MUSEUM, IN GERMANIA; IL DESIGN MUSEUM DI LONDRA; UN’IMMAGINE DELLA MOSTRA HERE WE ARE! WOMEN IN DESIGN 1900 – TODAY AL VITRA MUSEUM. A DESTRA, DEYAN SUDJIC E MATEO KRIES, PROTAGONISTI DI QUESTO DIALOGO.

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G R A Z I A DEYAN SUDJIC E MATEO KRIES

Mateo, come è iniziato il tuo amore per il museo? «A scuola organizzavo diverse mostre per i miei amici artisti e su di me, che in quegli anni dipingevo. Subito dopo ho trascorso un anno in Marocco, dove mio zio dirigeva un museo privato e lì ho fatto la mia prima esperienza. In quell’occasione ho conosciuto un collega che lavorava al Vitra, che mi ha offerto di lavorare con lui. Era il 1995 e sono ancora lì». A che cosa servono i musei?

«A raccogliere memorie, materiali e immateriali, con uno sguardo al passato e al futuro, da usare per influenzare il presente. Devono essere spazi di dibattito». Si parla molto dell’idea della “bella forma” implicita nel design, ma credo che sia il Vitra sia il Design Museum dovrebbero andare oltre. «I criteri sono in continua evoluzione, vale per ogni museo nel mondo. Solo per fare un esempio, pensa alla totale mancanza di rappresentatività delle donne nell’arte, o alla prevalenza di opere provenienti da Paesi occidentali e industrializzati. Sono criteri selettivi che orientano anche il design, che per sua natura è legato all’industria, all’artigianato e alla natura». C’è il rischio che chi si dedica alla sperimentazione della forma, penso agli italiani Forma Fantasma, possa essere percepito come reazionario? «Non credo. La forma degli oggetti sarà sempre materia del design. E la bellezza è un tema eterno in ogni discussione che riguarda la creazione, perché è il riflesso della verità». Che differenza c’è tra il ruolo di direttore e quello di curatore? «Sono stato curatore per molti anni, ma ora il mio compito è cambiato. Mi occupo di assicurare al museo una programmazione costante e i finanziamenti, che richiedono tantissimo tempo». Ogni museo non dovrebbe essere influenzato troppo dalla personalità del suo direttore, ma accogliere punti di vista differenti. Un tema che si lega anche a come i

QUI, IL VITRA DESIGN MUSEUM, CHE SI TROVA A WEIL AM RHEIN, IN GERMANIA. È STATO PROGETTATO DALL’ARCHITETTO CANADESE FRANK GEHRY.

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Foto NORBERT MIGULETZ

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l Vitra Design Museum e The Design Museum sono stati aperti nello stesso anno, il 1989. Il primo è a Weil am Rhein, in Germania, l’altro a Londra. Sono stati i primi dedicati interamente alle opere di design e non per accontentare appassionati e addetti ai lavori, ma per tradurne il linguaggio a un pubblico più vasto. Il Vitra Design Museum ha più di 430 pezzi di storia del design dal 1800 ai giorni nostri e un parco di architetture che nel corso dei decenni è diventato sempre più ricco, con opere di Zaha Hadid, Tadao Ando, Frank Gehry, Herzog & de Meuron, Renzo Piano e Carsten Höller. Il Design Museum londinese ha una vocazione più interdisciplinare. Entrambi nascono dall’idea che il design riguardi la vita di ognuno di noi. Mateo Kries, direttore del Vitra, e Deyan Sudjic, direttore uscente del Design Museum di Londra, sono altresì convinti che i due musei siano un motore fondamentale della società e qui Sudjic intervista Kries per Grazia.


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G R A Z I A DEYAN SUDJIC E MATEO KRIES

UN’IMMAGINE DELLA MARCIA DELLE DONNE DEL 21 GENNAIO 2017 A WASHINGTON, NEGLI STATI UNITI, ESPOSTA AL MUSEO VITRA NELLA MOSTRA HERE WE ARE! WOMEN IN DESIGN 1900 – TODAY.

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un linguaggio specifico per renderlo comprensibile a tutti. Questo significa che abbiamo un sacco di lavoro da fare. Nel museo che dirigo vorrei spiegare perché il design è così rilevante nella vita di ognuno di noi. E per raggiungere questo obiettivo è necessario realizzare mostre popolari, che non significa banali, con ingredienti di sorpresa che facciano dire al visitatore: “Non immaginavo che design significasse questo”». Un museo può salvare le sorti di una città? «Certo. Penso al Guggenheim di Bilbao, al Luma di Arles, ma anche alla Fondazione Prada che sta cambiando la vita di un quartiere popolare a Milano. A volte sono il risultato di una pianificazione, altre volte sorgono perché qualcuno decide da solo e gli effetti si scoprono solo dopo. I musei sono un motore per lo sviluppo urbano, cambiano il modo in cui vengono percepiti certi quartieri». L’antropologa canadese Jane Jacobs sosteneva che una città è un continuo “work in progress”. La sua conclusione significa che una città muore. Vale anche per un museo? «Verissimo. Ogni museo oggi è considerato sempre di più un luogo pubblico». La storia dei musei ci dice che sono luoghi rivoluzionari perché hanno permesso al vasto pubblico di espandere la propria conoscenza. Oggi sono tra i pochi luoghi che ci consentono di spegnere il computer e vivere un’esperienza diretta. O almeno così è stato fino a prima della pandemia. «Dirigere un museo e non poterlo aprire è stato terribile. Ma adesso, per fortuna, le persone sono tornate. ■ © RIPRODUZIONE RISERVATA

Foto PICTURE ALLIANCE / REUTERS | SHANNON STAPLETON

musei debbano essere finanziati. «Il Vitra è in parte finanziato dal suo fondatore, Rolf Fehlbaum, che non ha personalizzato il suo museo. Allo stesso tempo ricerchiamo fondi per la programmazione. È una formula che mi consente di avere una grande libertà e di non occuparmi solo della storia di Vitra. Essere indipendenti è anche un requisito fondamentale per cercare nuovi fondi». Per visitare il museo Vitra bisogna decidere di venire appositamente da voi. «Può sembrare uno svantaggio che noi abbiamo trasformato in vantaggio. Siamo nel cuore dell’Europa, facilmente raggiungibili da molte capitali europee, vicino a un’azienda manifatturiera, a dieci minuti dall’aeroporto, a cinque minuti da Basilea, in Svizzera. È proprio questa nostra posizione che ci rende speciali. Per esempio, stiamo lavorando a una mostra sul ruolo dei giardini nell’architettura e nell’industria e su come il paesaggio in cui siamo inserti, la natura che ci circonda, stanno influenzando questa esposizione». Un museo è una sfida: quanti lo frequenteranno? Quanti saranno interessati e quanti incuriositi? Quanti ancora dovremo attirare con un programma seducente, quasi fosse un night club? «Un museo deve essere popolare e raggiungere un’audience più vasta possibile. Ma è anche vero che ci sono musei che preferiscono parlare a un pubblico più ristretto. Penso che le idee sperimentali vadano fatte in ambiti piccoli, mentre un’istituzione più grande dovrebbe parlare a pubblici più vasti e che si debba fare di tutto per ampliare l’audience. Nel caso dei musei dedicati al design, è necessario tradurre



CAPPOTTO LEGGERO IN SHEARLING (SIMONETTA RAVIZZA), ABITO FANTASIA, BORSA A CESTA EFFETTO PELLE E STIVALI CON TACCHI A SPILLO (TUTTO BALENCIAGA). COLLANA (SIMPLICITÉ).

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G R A Z I A MODA

LA CITTÀ È MIA PER LE STRADE DI NEW YORK ABBIAMO FOTOGRAFATO CAPPOTTI SCOZZESI E CAPPE SQUADRATE, SOPRABITI E CABAN. I PROTAGONISTI DELL’INVERNO SONO LORO foto di DEAN ISIDRO@ATELIER MANAGEMENT styling di ALEKSANDRA MARKOVIC

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GIACCA IMBOTTITA IN PATCHWORK DI TESSUTI SU CAMICIA E MINIGONNA IN FANTASIA PAISLEY, CUISSARDES (TUTTO ETRO). PAGINA ACCANTO, DA SINISTRA: CAPPA DOPPIOPETTO A QUADRI SU MAGLIA E CAMICIA, GONNA (TUTTO VALENTINO), STIVALI (VALENTINO GARAVANI), BORSA (GIVENCHY). GIACCA E PANTALONI MORBIDI CON MONOGRAMMA, CINTURA E DÉCOLLETÉES (TUTTO BALMAIN); GIROCOLLO (SIMPLICITÉ).

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GIACCA LUNGA IN TWEED E DOLCEVITA IN LUREX (TUTTO SAINT LAURENT BY ANTHONY VACCARELLO), PANTALONI A VITA BASSA (RRD ROBERTO RICCI DESIGNS). GIROCOLLO (SIMPLICITÉ) PAGINA ACCANTO, DA SINISTRA: CAPPOTTO A QUADRI SU PANTALONI COORDINATI, CAMICIA (TUTTO DIOR). CAPPOTTO IN TWEED SU MAGLIA IN LANA E PANTALONI IN DENIM (TUTTO CHANEL).

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CAPPOTTO IN LANA PRINCIPE DI GALLES (DIEGO M) SU GIACCA E PANTALONI A QUADRI (TUTTO ZIMMERMANN). STIVALI CON PLATEAU (ALBERTA FERRETTI). IL SERVIZIO È STATO REALIZZATO A NEW YORK, NEGLI STATI UNITI.

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TRENCH IN TESSUTO MISTO LANA A MICRO QUADRI (TAGLIATORE 0205) SU COMPLETO PANTALONI E BODY IN MAGLIA (TUTTO TOD’S). ORECCHINI E ANELLI (TUTTI SIMPLICITÉ). PAGINA ACCANTO: GIACCA SAGOMATA (RRD ROBERTO RICCI DESIGNS) SU DOLCEVITA E MAXIGONNA DRAPPEGGIATA (TUTTO ALBERTA FERRETTI). ORECCHINI (SIMPLICITÉ), STIVALI (ISABEL MARANT).

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CAPPOTTO CON REVERS E TASCHE A PATTINA (YES ZEE) SU DOLCEVITA (RRD ROBERTO RICCI DESIGNS) E PANTALONI (SPORTMAX ). ORECCHINI (SIMPLICITÉ).

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DA SINISTRA: CAPPOTTO DI PELLE (SPORTMAX) SU ABITO IN MAGLIA (CHLOÉ); CAPPELLO (ALBERTA FERRETTI), COLLANA (SIMPLICITÉ), BORSA E STIVALI (BY FAR). CAPPOTTO AMPIO (MARINA RINALDI) SU GIACCA E PANTALONI (TUTTO LANVIN); ORECCHINI (SIMPLICITÉ), SANDALI (BY FAR). PAGINA ACCANTO: CAPPOTTO EFFETTO ORSETTO (HERNO) SU DOLCEVITA, CAMICIA E GONNA (TUTTO BRUNELLO CUCINELLI).

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CAPPOTTO IN TARTAN (GAËLLE PARIS) SU BLUSA CON PIEGHE CENTRALI E PANTALONI (TUTTO MARINA RINALDI). PAGINA ACCANTO: CAPPOTTO CON CAPPUCCIO E CHIUSURA A ZIP (BLAUER USA) SU TOP RIMOVIBILE (TIBI). L’IDEA BELLEZZA: PER IDRATARE E DEFINIRE I RICCI, LA SCHIUMA MODELLANTE FRUCTIS STYLE HYDRA RICCI MOUSSE (GARNIER).

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GIACCA IMBOTTITA (GEOX RESPIRA) SU GIACCA, MAGLIA E PANTALONI (TUTTO ZIMMERMANN). HA COLLABORATO MARTINA BARBONI. LA MODELLA: MAIA HANNEMANN@ THE INDUSTRY, NOUR GARAY@ THE INDUSTRY. TRUCCO: ANGEL DAVIS DEACON@ ATELIER MANAGEMENT USING GLOSSIER. PETTINATURE: GIANLUCA MANDELLI @CREATIVE MANAGEMENT USING LEONOR. PRODUZIONE: ELIZABETH RUNDLETT@A+ PRODUCTIONS.

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G R A Z I A TENDENZE

I DESIDERI prendono forma La mini e il capo sportivo, il total black e la maglia, i fiori e i dettagli argento: Grazia ha scelto sei stili che cambieranno il tuo autunno

COURRÈGES

di NIKE ANTIGNANI

A SINISTRA, DALL’ALTO: MAGLIA A COLLO ALTO IN COTONE, CON STRISCE E LOGO (ELLESSE); OROLOGIO CALATRAVA IN ORO BIANCO

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A CARICA MANUALE E CINTURINO IN ALLIGATORE (PATEK PHILIPPE); MINIGONNA EFFETTO

PELLE CON COULISSE (KIABI, € 18); A DESTRA, DALL’ALTO: GIACCA IN PELLE (LONGCHAMP); BORSA IN TELA WOOLY

WOOLY E PELLE (HERMÈS); CUISSARDES IN CAMOSCIO CON PUNTA E TACCHI SQUADRATI (STEVE MADDEN, € 148).

Foto IMAXTREE

Il gioco dei volumi


SCHIAPARELLI Foto IMAXTREE

Nero ad alto impatto A SINISTRA, DALL’ALTO: GILET LUNGO IN RASO TECNICO TRAPUNTATO (TORY BURCH, € 990); COLLANA A MAXI CATENA GRUMETTA A

SCALARE IN BRONZO DORATO (UNOAERRE, € 179); ABITO IN POPELINE DI COTONE A PORTAFOGLIO CON CINTURA (MAX MARA, € 430). A DESTRA,

DALL’ALTO: CAPPOTTO DOPPIOPETTO IN LANA E MOHAIR CON BOTTONI DORATI (TAGLIATORE 0205, € 630); STIVALETTI IN PELLE

CON TACCHI E PLATEAU ALTO (VERSACE); BORSA IN PELLE EFFETTO DORATO CON TRACOLLA A CATENA A INTRECCIO (CHANEL).


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SALVATORE FERRAGAMO

G R A Z I A TENDENZE

Foto IMAXTREE

Come una notte stellata A SINISTRA, DALL’ALTO: PANTALONI A VITA ALTA IN VELLUTO DI SETA (JUDY ZHANG, € 630); ABITO ASIMMETRICO IN RASO

(3.1 PHILLIP LIM@ZALANDO. IT, € 760). A DESTRA, DALL’ALTO: SOTTOVESTE LUNGA CON INTARSIO DI PIZZO (YAMAMAY,

€ 49,95); STIVALI CAPRI RISE IN GLITTER E PELLE (VICTORIA BECKHAM, € 795); BORSA VERTIGINE A SACCHETTO IN TESSUTO

METALLIZZATO (FURLA, € 65); SANDALI IN NAPPA E PVC TRASPARENTE CON TACCHI A SFERA (AQUAZZURA, € 950).

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Nostalgia, design Marcante-Testa

Extraordinary bathroom design

FIRENZE Via Maragliano, 155 - 50144

MILANO Via Tortona, 34 - 20144

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ETRO

G R A Z I A TENDENZE

Foto IMAXTREE

Trame di tenerezza A SINISTRA, DALL’ALTO: BLAZER IN VISCOSA STRETCH A MOTIVO TIGRATO (PINKO, € 350); DÉCOLLETÉES

A PUNTA SFILATA CON TACCHI A STILETTO (PRIMADONNA COLLECTION, € 49,99); PANTALONI IN COTONE

(L’AUTRE CHOSE, € 280). A DESTRA, DALL’ALTO: MAGLIA IN MOHAIR CON SPALLINE E MANICHE A SBUFFO (MVP WARDROBE, € 179);

GIACCA DOPPIOPETTO IN VELLUTO STAMPATO (BLAZÉ MILANO); MAGLIA GIROCOLLO IN MISTO MOHAIR (STEFANEL, € 120).

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ULLA JOHNSON

G R A Z I A TENDENZE

Foto IMAXTREE

Linee sofisticate A SINISTRA, DALL’ALTO: ORECCHINI PENDENTI CON PERLE E GOCCIA (SODINI, € 59); ABITO IN MAGLIA DI LANA A COSTE

CON BOTTONI CON LOGO (LUISA SPAGNOLI, € 350); MAXI PULL IN LANA A TRECCE (GUESS JEANS € 139,90). A DESTRA,

DALL’ALTO: ABITO IN RASO DI VISCOSA CON GONNA A PANNELLO (PESERICO, € 375); STIVALETTI IN PELLE CON INSERTI STRETCH

(HOGAN, € 450); BORSA BAGUETTE IN PELLE CON IMPUNTURE METALLICHE E CHIUSURA LOGO (FENDI, € 2.600).

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JACQUEMUS

G R A Z I A TENDENZE

Foto IMAXTREE

Rosso tecnico A SINISTRA, DAL’ALTO: BORSA PYRAMID IN PELLE SPAZZOLATA A INTRECCIO (BOTTEGA VENETA, € 1.450); TRONCHETTI EIKO

IN NAPPA CON IMPUNTURE E TACCHI SCULTURA (GIANVITO ROSSI, € 1.250); TOP CORTO IN LANA CON ARRICCIATURA

(KOCCA,€ 70); PIUMINO CON POLSINO A COSTE RIMOVIBILE (ADD, € 430). A DESTRA, DALL’ALTO: PIUMINO LUNGO IN LANA

TECNICA E RASO CON COLLO A CRATERE (DUNO, € 569); PANTALONI DRITTI IN GABARDINE (KOCCA, € 85).

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LOVE DI Carlotta Marioni

Geometrie preziose RAFFINATI E DI TENDENZA, GLI ANELLI A FASCIA SONO RESI ATTUALI DAL MOTIVO GEOMETRICO TEMPESTATO DA UN PAVÉ DI BRILLANTI. NELLA FOTO, LE VERSIONI IN ORO GIALLO E IN ORO ROSA (CRIVELLI).

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ATMOSFERE DI STAGIONE

PORTA NELLA TUA CASA LE SFUMATURE DELLA COLLEZIONE INDIAN SUMMER

L'

autunno è da sempre stagione di passaggio, dove la nostalgia dell'estate cede dolcemente il posto al desiderio di uno stile confortevole e accogliente. Viene spontaneo dedicare un piccolo spazio, in balcone o all’interno, per serate che ricordino il calore dei falò estivi. Complici della trasformazione qualche plaid, luci calde, sedie e lanterne in vimini. Per ricreare uno stile Indian Summer tutto l’anno, ecco le basi chiare che esaltano complementi e accessori in materiali naturali, dai colori accesi e mediterranei. Chi adora l’autunno gioca invece con le sue tonalità: verde muschiato, grigio e beige in testa, magari scaldando l’ambiente con cuscini in velluto a coste. E per abbracciare con affetto il rigore dell’inverno, pulizia e pace sono il tocco scandinavo che si esprime attraverso tonalità di bianco, sabbia e nude declinate in morbidi tessuti. Scegli la collezione Indian Summer su casashops.com

ACAPULCO sedia lounge nero € 59

MANDIOLI cesto di foglia di cocco (fatto a mano) Ø50x H43cm € 51,95

LINUS armadio H 90cm € 399


LOV E DI Carlotta Marioni

Cuori splendenti IL GIROCOLLO DELLA LINEA CONTRARIÉ, CHE FA PARTE DELLA COLLEZIONE ANNIVERSARY LOVE, È CARATTERIZZATO DA UNA LUMINOSA GHIRLANDA DI DIAMANTI A SCALARE TAGLIATI A CUORE. ANNIVERSARY LOVE È UNA SERIE COMPLETA DI ROMANTICI GIOIELLI CHE ESPRIMONO LO STILE DELLA MAISON E TUTTA LA SAPIENZA DEI SUOI ARTIGIANI (RECARLO).

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SAFETY

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LOVE DI Carlotta Marioni

Divisa da città LA TUTA INTERA DIVENTA UN CAPO DA INDOSSARE ANCHE IN UFFICIO: QUESTA È IN MORBIDA FLANELLA ELASTICIZZATA, CON COLLETTO E POLSI A CAMICIA, TASCHINI APPLICATI CON PATTINA E ABBOTTONATURA NASCOSTA. IL PUNTO VITA È SOTTOLINEATO DA UNA CINTURA ALTA, CON FIBBIA LUCIDA IN METALLO (PESERICO, € 485).

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A. D. Angelo Sganzerla

Un sentiero profumato da esplorare, tra frutti succosi, petali profumati e cortecce aromatiche

C

i piace immaginare di aver raccolto, durante una passeggiata nella natura, tanti piccoli tesori di bellezza per la nostra pelle: bacche, fiori e legni, elementi così semplici eppure così ricchi di proprietà benefiche, sono al centro della nuova linea per lei e per lui. Un Profumo aromatico e boschivo, eccellenti prodotti per il viso e per il corpo, fragranze dedicate all’ambiente: un irresistibile percorso sensoriale in cui perdersi e rigenerarsi.

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L’ E R B O L A R I O


NEWS

FA SHION

LA FAMIGLIA IN JEANS Guess torna alle radici e racconta la sua passione per i blue jeans. Il denim del marchio americano è fatto di silhouette contemporanee e di modelli dalle linee rétro, aggiornati

con le ultime finiture, i dettagli e i materiali più all’avanguardia ed ecosostenibili. A racchiuderlo in uno scatto di famiglia è la fotografa Nima Benati (guess.eu).

CHIC CON UNA GONNA

di ELSA BONFIGLIO

DALL’ARCHIVIO

Stile urbano

Si chiama Archive Series 01 la prima collezione di Furla ispirata ai modelli d’archivio degli Anni 90. È un omaggio a tutte quelle donne che già 30 anni fa avevano scelto il marchio. La capsule collection, in edizione limitata, è composta da una borsa a mano e da una con doppio manico in pelle. I 500 esemplari, nei colori perla, cognac e nero, uniscono artigianalità e tecnologia. All’interno di ognuna c’è un tag invisibile attivabile tramite smartphone, con una serie di contenuti esclusivi legati al prodotto (furla.com).

K-Way e RetroSuperFuture hanno realizzato un modello da sole che combina ispirazione sportiva e stile. Gli occhiali da sole Racer, i più amati del marchio e caratterizzati dal frontale dritto con ponte molto curvo e lenti ampie arrotondate, sono realizzati in acetato bio blu elettrico con lenti a specchio tono su tono (k-way.com; retrosuperfuture.com).

Lunga, in tartan e lana stretch abbottonata sul lato (nella foto a destra) oppure a tubino in pelle, a portafoglio in velluto o lunga al ginocchio con aperture asimmetriche: Woman in Berwich ha creato una gonna per ogni donna. Per la collezione invernale si concentra sullo stile “utility chic”, pratico e funzionale in ogni occasione (berwich.com).

TOCCHI DI LUCE

I cristalli sono i protagonisti della nuova linea Dafne di Sodini. I bijoux della collezione Autunno-Inverno 2021/22 s’ispirano alla ninfa della mitologia greca amata dal dio Apollo e brillano come l’acqua al chiaro di luna. Gli orecchini, nella foto, sono impreziositi da tre fili luminosi e cristalli viola e blu (sodinibijoux.it). 219


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NEWS

FA SHION

di ELSA BONFIGLIO

CAPI VINCENTI

Il maglione ampio Lancelot, l’abito con le frange, passepartout dal mattino alla sera, il caban morbido e caldo. La prima collezione dall’influencer milanese Virginia Varinelli è composta da sette capi da mescolare e intepretare come se fossero in una valigia. La collezione è disponibile online e da Tessabit, a Como (a.b.) (virginiavarinelli.com). 221

DENIM DA AMARE CafèNoir ha creato una capsule collection in denim per l’autunno-inverno 2021/22. Ci sono capispalla, gonne, camicie, abiti e pantaloni dai tagli sartoriali e vestibilità adatte a ogni stile. E anche i tessuti vanno dalla tela super stretch, la tela chambray, alla bull denim. I lavaggi, da quelli bleach ad altri con toni delicati, sono scelti in base ai modelli. Non mancano elementi decorativi come strass e bottoni gioielli, strappi dallo stile rock e pizzi seducenti (cafenoir.it).

CAMBIO DI STAGIONE SOSTENIBILE

UN FUTURO BRILLANTE Le nuove creazioni degli atelier Swarovski per la prossima stagione invernale 2022/23, avranno uno stile opulento e prezioso. I colori saranno caldi, con tre nuove tonalità ispirate all’ambra, ed enfatizzati da un trattamento che esalta la brillantezza dei cristalli. I tagli inediti avranno il fondo piatto per poter essere applicati su superfici riflettenti e amplificare l’effetto luminoso o saranno sfaccettati come le pietre più preziose. La rete, un classico, diventa più morbida, punteggiata di cristalli trasparenti o colorati nei toni più profondi, dal grafite al burgundy al blu notte (swarovski.com).

La fine dell’estate e l’inizio dell’autunno rappresentano il momento ideale per il guardaroba in modo consapevole. E tanti consigli per farlo arrivano da Vinted, la piattaforma online dove vendere e acquistare capi di seconda mano e trovare pezzi vintage davvero unici (vinted.it).

Nuovi talenti Ha 25 anni lo stilista Andrea Grossi, diplomato al Polimoda di Firenze nel 2019, e unico partecipante italiano al prestigioso Festival di Hyères, in Francia, dedicato alla scoperta di nuovi talenti. Lo scorso giugno il rapper Lil Nas X ha indossato una delle sue creazioni per il tappeto rosso dei Bet Award, a Los Angeles. Grossi punta su produzione italiana, sostenibilità e sperimentazione tessile, come olive e rabarbaro sulla pelle riciclata. La sua estetica futurista si esprime attraverso stampe 3D e stampe effetto tatuaggio, unendo artigianalità e tecnologia (Mabel Mckey Casalini).



G R A Z I A MODA

Rivoluzione in CAMICIA Abiti e pantaloni arricchiscono l’offerta di NaraCamicie. E il marchio ora punta a crescere rinnovando le sue boutique di ANTONELLA BIGOTTO

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a camicia bianca è un caposaldo del guardaroba e quella di NaraCamicie, in cotone pregiato e con dettagli curatissimi, è apprezzata da decenni. Oggi il marchio vive una nuova giovinezza. Acquisito dal gruppo Fenicia, specialista del mondo della camiceria, sta mettendo in atto un’evoluzione che non lo allontana dalla tradizione, ma lo proietta in una dimensione più attuale. Fabio Candido, amministratore delegato di NaraCamicie, racconta a Grazia questa sfida. Qual è lo stile di NaraCamicie? «La camicia bianca resta il caposaldo del marchio e da questo modello siamo partiti, adattandolo alle esigenze di oggi, con tagli più nuovi e una gamma più ampia di taglie, partendo dalla 38, per dare spazio a un pubblico giovane. Accanto, abbiamo allargato l’offerta di bluse e top in fantasie e colori diversi e aggiunto le proposte per completare il look con abiti, pantaloni e gonne». Avete rinnovato anche i negozi? «Sì, dopo quella in piazza Cavour a Milano, avremo 30 aperture nei prossimi due anni. L’esposizione ora è fatta di emozione, con manichini di concezione contemporanea, spazi ampi e luminosi, pensati per offrire un’esperienza di acquisto di valore. I camerini sono riservati e confortevoli, con moquette, specchi, luci adeguate e personale di vendita molto preparato». Quali altri cambiamenti sono in programma? «Per crescere punteremo sull’e-commerce, che per NaraCamicie è una novità: siamo in fase di attivazione. Stiamo lavorando a un outlet di proprietà e abbiamo allo studio alcune collaborazioni. Pensiamo a capsule collection mirate, destinate a punti vendita strategici». Quale commento vorrebbe sentire su NaraCamicie? «Che ho avviato una bella evoluzione, che ho rispettato la tradizione e che sto andando nella direzione giusta». ■ © RIPRODUZIONE RISERVATA

QUI A SINISTRA, FABIO CANDIDO, AMMINISTRATORE DELEGATO DI NARACAMICIE. IN QUESTA PAGINA, ALCUNE PROPOSTE DALLA COLLEZIONE PER L’AUTUNNO-INVERNO 2021/22.

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G R A Z I A MODA

A SINISTRA, ELENA GANDOLFO, RESPONSABILE MARKETING E COMUNICAZIONE DI MANILA GRACE. IN QUESTA PAGINA, ALCUNE PROPOSTE DALLA COLLEZIONE AUTUNNO-INVERNO 2021/22 DEL MARCHIO.

È ORA DI USCIRE Manila Grace celebra il ritorno alla socialità con una collezione molto femminile, ambientata in un teatro milanese di ANTONELLA BIGOTTO

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ilano e alcuni dei luoghi simbolo della sua vita culturale sono i protagonisti della campagna autunno-inverno 2021/22 di Manila Grace. Come spiega a Grazia Elena Gandolfo, responsabile marketing e comunicazione del marchio, il desiderio è quello di celebrare il ritorno alla vita, alla socialità, al piacere della cultura, rappresentata nelle immagini dal Teatro Arcimboldi, realizzato dal grande architetto Vittorio Gregotti, in collaborazione con Mario Botta ed Elisabetta Fabbri. Che cosa vi lega al Teatro Arcimboldi? «Ci piace coinvolgere le clienti nelle nostre attività, per noi sono una grande famiglia. Con questo teatro abbiamo realizzato la campagna fotografica ed elaborato un concorso online, che sarà comunicato attraverso uno spot nel mese di novembre. Sul nostro sito sarà possibile partecipare a un gioco virtuale e vincere biglietti per gli spettacoli, incontrare le troupe, accedere al

backstage, vivere un’esperienza completa». Questo progetto come riflette la collezione? «Con capi morbidi e versatili, tagli destrutturati perfetti dal mattino alla sera e poi con i nostri abiti simbolo, fluidi e femminili, in fantasie colorate». Che cosa cambia nella moda questa stagione? «La nostra moda è femminile ed elegante, immagine di uno stile sofisticato, ricco di passione, come lo sono le donne che la indossano. Adesso si torna a uscire, a vedere gli amici e ad andare a teatro o al cinema. I luoghi che erano rimasti silenziosi per tanti mesi, a causa della pandemia, tornano a vivere. Manila Grace vuole vestire anche questi momenti speciali». Che cosa c’è nel futuro di Manila Grace? «Un grande evento a Milano in novembre; poi pensiamo a Natale, con attività nei negozi e sul web, sempre sostenute da una comunicazione più tradizionale e da spot televisivi». ■ © RIPRODUZIONE RISERVATA

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G R A Z I A IN CASA

Protagonisti

ASSOLUTI Icone, riedizioni e novità d’autore. Anche uno solo di questi pezzi di design può trasformare lo stile e il carattere di una stanza di MARINA JONNA

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3 1. DISEGNATO NEL 1930 DA LUDWIG MIES VAN DER ROHE, IL BARCELONA DAY BED HA IL MATERASSO RIVESTITO DA QUADRATI DI PELLE CUCITI A MANO (KNOLL INT.).

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4 2. IL TAVOLINO CUMANO, DESIGN ACHILLE CASTIGLIONI, ESISTE IN NERO, BIANCO, AMARANTO, ANTRACITE, CORALLO, MOSTARDA, AZZURRO ACQUA (ZANOTTA, € 409).

3. NELLA POLTRONA TESSA DI ANTONIO CITTERIO IL CUOIO SI ABBINA ALLA STRUTTURA IN LEGNO MASSELLO DI FRASSINO, NOCE CANALETTO E MOGANO (FLEXFORM).

5 4. COMPIE 50 ANNI L’INTRAMONTABILE PARENTESI DI ACHILLE CASTIGLIONI & PIO MANZÙ, PROPOSTA NELLE VERSIONI TURCHESE E ORANGE SIGNAL (FLOS, € 450).

5. PORTA LA FIRMA DI GINO SARFATTI IL MODELLO 2065, LA LAMPADA A SOSPENSIONE DISEGNATA NEL 1950, COMPOSTA DA DUE DISCHI OPALESCENTI UNITI (ASTEP).


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9 6. LA MAESTRIA NELLA LAVORAZIONE DEL LEGNO SI ESPRIME TUTTA IN RIVE DROITE, DESIGN CHRISTOPHE PILLET, IN MASSELLO DI NOCE AMERICANO (CECCOTTI).

10 7. MODULI ASSEMBLATI A FORMA ROMBOIDALE CREANO IL SISTEMA SECRET CUBIC SHELVES, DELL’ARTISTA OLAFUR ELIASSON (MOROSO). 8. FUNZIONALI E

SOSTENIBILI: RUBELLI ACOUSTICS BY SLALOM SONO I PANNELLI ACUSTICI TERMOFORMATI RIVESTITI CON RAFFINATI TESSUTI AD ALTE PRESTAZIONI (RUBELLI).

9. IL DIVANO KA, DESIGN KENGO KUMA, RICORDA UNA SCULTURA CON UNA PIRAMIDE TRIGONALE ROVESCIATA CHE GALLEGGIA NELL’ARIA (TIME & STYLE).

10. VANITY FAIR, PRODOTTA A PARTIRE DAL 1930, È LA POLTRONA CHE RACCHIUDE TUTTO IL FASCINO DI UN DESIGN SENZA TEMPO. IN PELLE O TESSUTO (POLTRONA FRAU).

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G R A Z I A IN CASA

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11. MINIMALISMO E RICERCA TECNOLOGICA SI UNISCONO NEI TAVOLI LONG ISLAND DI GIUSEPPE BAVUSO (RIMADESIO). 12. LA LIBRERIA NUAGE À PLOTS, A PARETE O

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DA TERRA, DISEGNATA DA CHARLOTTE PERRIAND, FA PARTE DELLA COLLEZIONE I MAESTRI (CASSINA). 13. UN GIOCO RAFFINATO DI TEXTURE PER LA MANIGLIA H379 DI ANTONIO CITTERIO

(FUSITAL, DA € 180 LA COPPIA). 14. UNA SILHOUETTE DELICATA DEFINISCE LA SEDIA SLIM IN CUOIO (FEBAL CASA, DA € 423). 15. È RIVESTITA IN UNA VASTA GAMMA

DI TESSUTI E PELLI L’AVVOLGENTE POLTRONA EGG DI ARNE JACOBSEN (FRITZ HANSEN). 16. UN SOTTILE GIROLETTO UNITO A UN’AMPIA TESTIERA CARATTERIZZA IL

LETTO LANDA DI STEFANO SPESSOTTO (CALLIGARIS). 17. IL LETTO IN PIÙ SI ESTRAE FACILMENTE E LO SPAZIO SOTTO HA DUE CASSETTONI (SPAZIOBED BY CINIUS).

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G R A Z I A IN CASA

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18. È TRA I PEZZI PIÙ CELEBRI DELL’ARCHITETTO LUIGI CACCIA DOMINIONI LA SEDUTA CATILINA, PRESENTATA NEL 1957. IL CUSCINO È RIVESTITO IN PELLE O

TESSUTO (AZUCENA). 19. NOONU, DESIGN ANTONIO CITTERIO, È UN SISTEMA DI IMBOTTITI DOVE LA STRUTTURA SCOMPARE ALLA VISTA CREANDO SEDUTE CHE APPAIONO QUASI

SOSPESE NELLO SPAZIO (B&B ITALIA). 20. CROGIOLO RICE REINTERPRETA IN GRÈS LA BELLEZZA DEI MATTONCINI MAIOLICATI FATTI A MANO (MARAZZI). 21. RASO DI COTONE

PER LA COLLEZIONE BOTTICELLI (DONDI HOME, COMPLETO COPRIPIUMINO MATRIMONIALE € 212). 22. IL DIVANO FENG È DOTATO DI SCHIENALI BASCULANTI CHE ACCOMPAGNANO

OGNI POSIZIONE (EGOITALIANO). 23. PORTA LA FIRMA DI MARCIO KOGAN/ STUDIO MK27, IL DIVANO BRASILIA CARATTERIZZATO DA UN MIX DI MATERIALI (MINOTTI).

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G R A Z I A IN CASA

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29 24. LINEE NETTE E FORME GEOMETRICHE PER GRAND SOFÀ, DISEGNATO DA ANTONIO CITTERIO (VITRA). 25. UNA DELICATA GRAFICA A RIGHE PER LA CARTA DA

PARATI SENSUJI, DESIGN AQUILIALBERG (LONDONART). 26. RAFFINATE LENZUOLA IN RASO DI COTONE RIFINITE CON UNA CODINA IN LINO COLORATO (FAZZINI, COMPLETO LENZUOLA

MATRIMONIALE, DA € 189). 27. CONCA DI GIO PONTI È UNA COLLEZIONE DI POSATE CARATTERIZZATA DA UN’INEDITA ASIMMETRIA

(SAMBONET). 28. LETTO DELLA GENTLEMAN NIGHT COLLECTION DESIGN MARCEL WANDERS STUDIO (POLIFORM). 29. LUSSUOSI RIVESTIMENTI

IN PERGAMENA O IN LEGNO E IMPIALLACCIATURA IN LEGNO DI ROVERE O TINEO CILENO PER LA COLLEZIONE TESAURUS DISEGNATA DA ANTONIO CITTERIO (MAXALTO).

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G R A Z I A IN CASA

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34 30. CREA UN CONO DI LUCE AMPIO E OMOGENEO, PRIVO DI ABBAGLIAMENTO, LA LAMPADA KOINÈ, DESIGN MANDALAKI (LUCEPLAN, DA € 510). 31. NUANCE DELICATE PER LO SCRITTOIO

35 RITO CREATO DA MATTEO THUN E ANTONIO RODRIGUEZ (DÉSIRÉE). 32. RIEDIZIONE ELEGANTE DELLA CELEBRE POLTRONA ROUND (D.154.5),

DISEGNATA DA GIO PONTI (MOLTENI&C). 33. VIDÙN HA LA BASE IN FAGGIO NATURALE BIANCO, NERO O COLORATO E IL PIANO IN CRISTALLO. DESIGN VICO MAGISTRETTI

(DEPADOVA). 34. È REALIZZATA IN MATERIALE RICICLATO LA SEDIA RE-CHAIR DI ANTONIO CITTERIO. PER INTERNI ED ESTERNI (KARTELL). 35. CROSS

PERSONAL, DESIGN ANTONIO CITTERIO, È L’ELLITTICO ERGONOMICO E SOFISTICATO PER UN ALLENAMENTO COMPLETO (TECHNOGYM).

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F

atti della stessa pasta.

Quando arriva qualcuno di nuovo in famiglia, come fai a capire se siete fatti della stessa pasta? Prova con la sfoglia fresca: un rituale che unisce tutti... e se alle ricette dei tuoi ricordi lascerai che aggiunga il suo tocco personale, chissà che non sia l’inizio di una nuova tradizione. Le storie più belle le scrivete voi, ogni giorno, nelle vostre case. Noi di Tescoma siamo felici di sapere che, alcuni dei ricordi più belli, li avremo creati insieme. (E se vi è venuta voglia di mettere le mani in pasta: tescoma.it)


G R A Z I A IN CASA

Come una SPA

Colori base bianco, nero e grigio e arredi che sembrano sculture. Il bagno è la stanza dove il design dà forma al relax di MARINA JONNA

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3 1. ESCLUSIVO RIVESTIMENTO IN MARMO FIOR DI PESCO, CHE PRESENTA VARIE SFUMATURE: DAL GRIGIO AL ROSA, DAL BIANCO ALL’AVORIO (MARGRAF).

4 2. NATO SOTTO LA DIREZIONE ARTISTICA DELL’ARCHITETTO ALBERTO COLLOVATI, IL BOX DOCCIA KORE SI CARATTERIZZA PER LA CURA DEI DETTAGLI E IL DESIGN ESSENZIALE (ARBLU)

3. IL RADIATORE FACE AIR, DI ANTONIO CITTERIO, HA IL SISTEMA INTEGRATO DI VENTILAZIONE CHE CONSENTE ALTI RENDIMENTI E UN’ALTA EFFICIENZA ENERGETICA (IRSAP).

5 4. TIPO-Z È UNA MODERNA LETTURA DELL’INTRAMONTABILE LAVABO ZETA DI GIO PONTI, DI CUI PRESERVA ELEGANZA E CARATTERE. DI LUDOVICA+ROBERTO

PALOMBA (IDEAL STANDARD). 5. NOCE CANALETTO E MARMO DI CARRARA PER IL LAVABO ROTONDO DELLA COLLEZIONE PROGETTO BAGNO ELLISSE (ITLAS)

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TERRA E OCEANO PER UNA PELLE LUMINOSA E FORTIFICATA INNOVAZIONE NELLA BIOSCIENZA

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ANNI DI RICERCA NELLA SCIENZA DEL VEGETALE & IN BIOTECNOLOGIA MARINA NEL CUORE DELLA LINEA ELIXIR BOTANIQUE

TEXTURE MICRO-PERLATA

NOVITÀ

Dopo 1 mese, le rughe e i segni d’espressione appaiono ridotti; la pelle è fortificata e appare radiosa.

LA FORZA DI 2 PRINCIPI ATTIVI PROVENIENTI DALLA BRETAGNA NASTURZIO OSSIGENANTE(1)

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Foto TRUNK ARCHIVE

G R A Z I A BELLEZZA

IL SENSO DELLA FORMA

Tappi scultura, flaconi poetici, materiali sperimentali. Il beauty case riscopre nuovi codici di design che coniugano piacere visivo, funzione e sostenibilità di VALENTINA DEBERNARDI foto di FLORIAN SOMMET


G R A Z I A BELLEZZA

PRESTIGIO E VALORE «Quando i marchi di bellezza coinvolgono un designer, un artista o uno scultore, è per portare freschezza e un plus creativo al prodotto», spiega Michael Nolte, Direttore creativo di Beautystreams, piattaforma di ispirazione e ricerca dedicata alle tendenze beauty. «I pionieri furono la stilista Elsa Schiapparelli e il surrealista Salvador Dalì, nel 1946: lei commissionò a lui la boccetta della fragranza Le Roy Soleil, che venne realizzata dalla cristalleria francese Baccarat per poi diventare un oggetto molto ambito». L’obiettivo non era guadagnare più denaro vendendo molti prodotti, ma rendere più desiderabili quei pochi pezzi esistenti. Era una questione di prestigio e potere, non di business. E ancora oggi, se ci riferiamo a edizioni firmate da scultori o pittori, si tratta di esemplari numerati o limitati difficili da reperire e, proprio per questo, ancora più ricercati. Ed è lì il cuore della questione: come in amore, ciò che è più difficile da avere, diventa più attraente. «Il nostro ruolo è creare un’emozione che provocherà un desiderio irrazionale, ed essere desiderabili nel mondo della bellezza è la chiave per creare un’identità unica e forte», spiega Thierry De Baschmakoff, autore di molti flaconi per grandi maison come Guerlain, Jimmy Choo e Dior. Ma quanto incide tutto questo sui costi? «L’impatto progettuale è ultra positivo. Il design non è una spesa, ma un investimento persino più redditizio delle criptovalute. Gli si può attribuire un incremento di valore che va dal 10 al 30 per cento a seconda della categoria di prodotto, e così il rapporto tra il budget speso per un progetto artistico e ciò che riporta è incredibile: il guadagno si moltiplica fino a 12,5 volte la cifra investita», dice De Baschmakoff.

ARTE E COLORI Qualche volta succede addirittura che, avendo fatto dell’artigianalità la sua cifra, una fragranza cambi la sua scatola gialla iconica per vestirne una speciale e rappresentare così una Nazione intera all’Expo 2020 di Dubai: è il caso di Colonia Futura di Acqua di Parma, diffusa nel padiglione Italia per suggellare il rapporto stretto tra arte e profumeria. Altre volte, invece, gli incontri tra un artista e il suo cosmetico sono del tutto casuali: è successo in un piccolo atelier di New York quando Niki de Saint Phalle, pittrice e scultrice eccentrica, incontrò il team de La Prairie suggerendogli di rivestire quella crema miracolosa al caviale di blu cobalto perché secondo lei era il colore “della gioia e della fortuna”. Il colore ha giocato spesso un ruolo chiave nel design di un vasetto o di un flacone: «La Beautystreams in passato ha unito due potenze intersettoriali, incorporando l’esperienza cromatica di Pantone nelle collezioni cosmetiche di Sephora. L’obiettivo era ampliare la base di consumatori estendendosi verso territori sconosciuti, giocando anche con la psicologia del colore. La collaborazione ebbe molto successo», racconta Michael Nolte. «Ora sono i giovani consumatori cinesi a ridefinire il concetto di design: per loro sono quei prodotti ultracreativi come la palette di ombretti del brand China Perfect Diary in partnership con il British Museum e ispirata al Rinascimento italiano, o la collezione di rossetti dedicata ai dipinti reali esposti al Metropolitan Museum di New York. La campagna ha generato 110 milioni di reazioni su Weibo e venduto più di 800.000 pezzi». ZERO ASSOLUTO In futuro non si parlerà più di contenitori per cosmetici, perché quello su cui stanno lavorando i più grandi studi di architettura e d’intelligenza artificiale sono le tecnologie di liofilizzazione, e collane o chaise longue che vaporizzano idratanti e profumi sulla pelle (seymourpowell.com). Ma già oggi l’industria della bellezza sta riciclando sempre più materiali e producendo formule biodegradabili per non impattare sull’ambiente. «In Danimarca, la Sprout World ha creato un eyeliner piantabile: nel suo cappuccio c’è una capsula ricca di semi di timo, basilico e chia pronti da interrare», conclude Nolte. «Ma forse il packaging più futurista di tutti è proprio quello che non esiste».■ © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Foto ENZO TRUOCCOLO

C

he cos’hanno in comune un museo d’arte, un profumo, una poltrona e una candela? La firma di un designer. Pensiamo per esempio alla nuovissima collezione di fragranze Les Extraits di Louis Vuitton progettate da Frank Gehry, l’archistar canadese autore del Guggheneim di Abu Dhabi, oppure alle sculture con cere profumate di Ginori firmate da Luca Nichetto. Ma qualcuno ricorderà anche le eau de toilette di Philippe Starck per Paul Smith o le boccette di Karim Rashid per Kenzo.


IL PROFUMO che guarda al futuro

DOPO 100 ANNI DI CELEBRITÀ, CHANEL N°5 TROVA NUOVI MODI PER INCANTARE. QUESTA VOLTA LO FA PRESENTANDO IL PRIMO FLACONE IN VETRO RICICLATO E CON ETICHETTA BIODEGRADABILE, CHE PUR PRESERVANDO LA BELLEZZA DI UN’EAU DE PARFUM ICONICA, RISPONDE AI CRITERI DI ECONOMIA CIRCOLARE CHE CI PORTERANNO VERSO UN FUTURO PIÙ PULITO. SI TRATTA DI UN MATERIALE PURISSIMO E DALLA TRASPARENZA INCOMPARABILE, REALIZZATO IN PARTNERSHIP CON LA MAISON POCHET DE COURVAL, PRESTIGIOSO MARCHIO FRANCESE. QUESTA INNOVATIVA TECNOLOGIA DI RICICLO PERMETTE DI RISPARMIARE IN MEDIA 25 TONNELLATE DI MATERIE PRIME VERGINI PER UN MILIONE DI FRAGRANZE PRODOTTE. UN VALORE AGGIUNTO CHE PORTA IL LUSSO VERSO NUOVI E MIGLIORI ORIZZONTI (145 EURO PER 100 ML, IN EDIZIONE LIMITATA).


IL SIERO dal cuore ricaricabile

UNA SILHOUETTE SINUOSA NASCONDE IL NUOVO ABSOLUE THE SERUM DI LANCÔME, UN CONCENTRATO CON 10 ANNI DI RICERCA ALLE SPALLE CHE ACCELERA IL RINNOVAMENTO NATURALE DELL’EPIDERMIDE RENDENDOLA PIÙ SODA E RIMPOLPATA, PIÙ LISCIA E LUMINOSA. E TUTTO GRAZIE A SPECIALI BIOTECNOLOGIE TRA CUI INGREDIENTI UNICI ESTRATTI DA ROSE BIANCHE ORGANICHE, CREATE APPOSITAMENTE PER LA MAISON FRANCESE. UN PRODOTTO CONCEPITO PER CATTURARE L’ETERNA GIOVINEZZA, ANCHE DELL’AMBIENTE. IL SUO INVOLUCRO INFATTI È STUDIATO SIA PER ESSERE RIUTILIZZATO CON LA RICARICA DI SOLO COSMETICO, SIA CON PLASTICA RIDOTTA DEL 63 PER CENTO E VETRO RICICLATO AL 40, SCATOLA CERTIFICATA FSC (PER LA CORRETTA GESTIONE DELLE FORESTE NELLA PRODUZIONE DELLA CARTA) E CON IL 37 PER CENTO IN MENO DI EMISSIONI DI CO2 DURANTE LA PRODUZIONE (317 EURO, SOLO IL REFILL 271 EURO).


G R A Z I A BELLEZZA

IN UNO STICK l’arte del colore

Foto ENZO TRUOCCOLO

SONO STATI CONCEPITI DA PIERRE HARDY, DIRETTORE CREATIVO DELLA MAISON, COME FOSSERO DEI TOTEM DA ADORARE: BLOCCHI MONOCROMATICI SOVRAPPOSTI L’UNO ALL’ALTRO E ASSEMBLATI A MANO. I ROSSETTI ROUGE HERMÈS CONTINUANO A SORPRENDERE NEI LORO COLORI PURI IN EDIZIONE LIMITATA E RICARICABILI, CHE PER QUEST’INVERNO SEDUCONO NELLE NUANCE ROSÉ TAMISÉ, ORANGE BRÛLÉ E ROSE MAGENTA. TRE TONALITÀ DAL FINISH OPACO INTENSO PER LABBRA VELLUTATE D’AVANGUARDIA (IL ROSSETTO 69 EURO, LA RICARICA 39 EURO).

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G R A Z I A BELLEZZA

SAGOME INEDITE e design esclusivi realizzati da grandi creativi.

Il nuovo lusso ha un’estetica all’avanguardia con un’attenzione all’ambiente

1 1. «NON È UNA FORMA GEOMETRICA FINITA, È SOLO MOVIMENTO», DICE FRANK GEHRY, ARCHISTAR DELLA FONDAZIONE LOUIS VUITTON E MASSIMO ESPONENTE DEL DECOSTRUTTIVISMO. DESCRIVE COSÌ IL SUO ULTIMO LAVORO PER LA MAISON FRANCESE: CINQUE FLACONI INEDITI PER ALTRETTANTI ESTRATTI DI PROFUMO DEDICATI AL RESPIRO DELLA VITA E AL MOVIMENTO ASSOLUTO. È LA COLLEZIONE LES EXTRAITS: LINEE RETTE DEI VETRI ORIGINALI TRASFORMATE IN CURVE E I SUOI CABOCHON ANIMATI COME FOULARD AL VENTO (€ 450 CAD.).

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2. DALLA COLLABORAZIONE TRA ACQUA DI PARMA E POLTRONA FRAU, È NATO AIROUND: IL PRIMO DIFFUSORE PER AMBIENTI CHE INCLUDE ARTIGIANALITA, DOMOTICA E DESIGN (€ 706). 3. UNA LINEA DI SETTE FRAGRANZE POETICHE SORMONTATE DA SCULTURE IN LEGNO ECOSOSTENIBILI: ORMAIE PARIS (DA € 130). 4. LA SUA FORMA RIECHEGGIA IL BAMBÙ: LIPSTICK SHIMMER, NUANCE AMBER IN FURS, BYREDO (€ 39). 5. SUL FLACONE DELLA FORMULA VISO IDRATANTE, UN OMAGGIO FLOREALE AI GIARDINI ASIATICI FIRMATO DALL’ARTISTA POLACCA ELZBIETA RADZIWILL: EMULSION ECOLOGIQUE DI SISLEY PARIS (€ 207,50). 6. DIFFUSORE IN CEMENTO GREZZO CON ROCCIA DI LAVA DA PROFUMARE: CONCRETE DOME DIFFUSER, PHOTO/GENICS+CO (€ 180, RELEASEDISTRIBUTION.IT). 7. ISPIRATO ALLE ILLUSTRAZIONI DI JEAN PAUL GOUDE, IL DIFFUSORE D’AMBIENTE BY LUCA NICHETTI: L’AMAZZONE, GINORI 1735 (€ 340). 8. PROFUMO DELL’ARTISTA KENTARO YAMADA IN GRES CON MICROCHIP: NEANDERTAL LIGHT (€ 300, RELEASEDISTRIBUTION.IT). 9. COFANETTO IN LEGNO E FORMULA NATURALE PER UN RISPARMIO IDRICO DEL 90 PER CENTO: CHINOTTO GOURMAND BALSAMO SOLIDO, ABATON (€ 22).

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PER SHISEIDO

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Microcircolazione:

IL SEGRETO PER UNA PELLE PIÙ FORTE E GIOVANE Il nuovo siero Ultimune attiva le difese interne per una pelle rinnovata

L 100% APPROVA LA SUA EFFICACIA ANTI-AGE 1 Con Shiseido Ultimune, i primi segni di una pelle più forte sono visibili in 3 giorni. In 1 giorno, la pelle è idratata più a fondo2, in 2 giorni è più levigata ed elastica2, in 3 giorni più luminosa3. Dopo 4 settimane la pelle è più compatta ed elastica4, dopo un flacone le rughe sono visibilmente ridotte5.

Test clinico su 32 donne - 2 Test consumatori su 105 donne Test consumatori su 104 donne - 4 Test consumatori su 115 donne - 5 Test clinico su 90 donne

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a ricerca cosmetica ha compiuto un nuovo passo avanti. Il siero anti-age N.1 di Shiseido migliora il flusso di ingredienti di bellezza essenziali e attiva le difese interne che pulsano sotto pelle. Per una pelle dall’aspetto più sano e più giovane. I risultati sorprendono dai primi giorni e nel tempo. Nella formula di Ultimune, la tecnologia ImuGenerationRED™ rinvigorisce il sistema di auto-difesa della pelle grazie a potenti ingredienti botanici anti invecchiamento come l’Estratto Fermentato di Rosella e di Houttuynia Cordata, che promuove l’apporto di nutrienti essenziali per preservare la giovinezza. La nuova edizione è potenziata dalla tecnologia Lifeblood Research™, che sfrutta il potere della microcircolazione sanguigna per migliorare i livelli di elasticità e resilienza della pelle ed elevarla alla sua condizione ideale. Shiseido ha a cuore anche la sostenibilità: la ricarica è disponibile con tappo e dispenser riutilizzabili, studiati per ridurre lo scarto in plastica. Il cappuccio interno bianco della ricarica è realizzato in plastica di origine vegetale. Il flacone è in vetro riciclabile.


LOV E Il sole in una stanza CHIUDETE GLI OCCHI E IMMAGINATE UN PAESAGGIO ASSOLATO, DOVE L’ARIA PROFUMA DI FRUTTI APPENA MATURI E FIORI PRONTI A SBOCCIARE. CON NOTE LUMINOSE DI PERA E FRESIA BIANCA, RISCALDATE DA AMBRA, PATCHOULI E LEGNI, ENGLISH PEAR & FREESIA, COLONIA BESTSELLER DI JO MALONE LONDON, DIVENTA ORA UNA MINI-LINEA COMPOSTA DA UN DETERGENTE CORPO E DA UNA CANDELA. PER SENTIRE IL CONTATTO RASSERENANTE DELLA NATURA ANCHE TRA LE PARETI DELLA STANZA DA BAGNO (DA 50 EURO, EDIZIONE SPECIALE, NELLE BOUTIQUE DEL MARCHIO E SU JOMALONE.EU/IT).

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Foto ENZO TRUOCCOLO

DI Paola Spezi



G R A Z I A BEAUTY CONFIDENZE

Esprimi la tua gioia con il

TRUCCO Questa è la filosofia di Diane Kendal, direttrice creativa di Zara Beauty, che celebra la bellezza inclusiva rivolta a ogni razza, genere ed età. E qui racconta a Grazia il suo progetto di MARZIA NICOLINI

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ruccarsi nel post-pandemia diventa un gesto quasi rivoluzionario. Un ritorno alla vita e alla creatività». Così la pensa Diane Kendal, mitica make up artist britannica, artefice di tanti look memorabili sulle passerelle e sulle riviste patinate di tutto il mondo. Oggi Kendal è anche la direttrice creativa della prima collezione trucco completa firmata Zara Beauty: più di 175 colori per viso, occhi, labbra e unghie a cui via via se ne aggiungeranno altri. Nata in oltre un anno di contatti virtuali tra il quartier generale di Zara in Spagna e Diane, che vive ormai da tempo a New York, la linea si propone di aggiungere un tassello importante al concetto di inclusività, offrendo prodotti che tutti possono davvero usare. Democratici nei prezzi e rivolti a ogni etnia, genere ed età. Perché, come recita lo slogan “There is no beauty, only beauties”, ci sono tanti tipi di bellezza. Di qui anche la scelta di affidare la campagna a nove artisti della fotografia (Steven Meisel, David Sims, Marilyn Minter, Oliver Hadlee Pearch, Zoë Ghertner, Craig McDean, 248

Nadine Ijewere, Mario Sorrenti e Fabien Baron), ognuno con il suo stile e la sua personalità. Dove ha trovato l’ispirazione? «Dalla vita, che per me è sempre piena di avventure. Ma anche i nove fotografi che hanno collaborato al progetto mi hanno aiutato molto con la loro visione assolutamente personale della bellezza». Qual è l’idea da cui è partita? «Zara si è dimostrato da subito un marchio di grande apertura mentale che non ha posto alcun limite alla mia creatività, come a quella dei fotografi coinvolti nella campagna. A livello di immagini volevamo che i look di ogni tipo, da quello avant-garde a quello supernaturale, comunicassero la massima libertà di espressione. Mentre a livello di prodotti, fin dall’inizio tutti eravamo d’accordo sull’importanza di creare una gamma superinclusiva». Parliamo delle formule. «Abbiamo lavorato circa 18 mesi per svilupparle esclusivamente con ingredienti vegani e “puliti”, performanti nella resa ma anche capaci di offrire effetti colore altamente sensoriali. Il tutto racchiuso in pack riciclabili e ricaricabili progettati

Foto GREGORY HARRIS - HADLEE PEARCH E FABIEN BARON PER ZARA BEAUTY

IN ALTO: LA MAKE UP ARTIST DIANE KENDAL, DIRETTRICE CREATIVA DELLA LINEA TRUCCO ZARA BEAUTY


A SINISTRA E IN ALTO: DUE SCATTI DALLA CAMPAGNA ZARA BEAUTY. A DESTRA, IN SENSO ORARIO: LA PALETTE DI OMBRETTI RICARICABILI EYE COLOR IN 6 CLASH OUT, LO SMALTO NAIL POLISH ORIGINAL E IL ROSSETTO STILETTO LA JOURNÉE, ANCH’ESSO RICARICABILE (DA € 5,95).

dall’agenzia creativa Baron & Baron per migliorare l’esperienza d’uso di ogni singolo prodotto. Il design dalle linee inclinate, poi, è un richiamo alla Z del logo Zara». La linea continuerà ad ampliarsi, giusto? «Sì. Presto arriveranno anche i primi fondotinta e i mascara. Lavorare su formule di qualità richiede sempre tempo e tante prove». I suoi prodotti preferiti? «Mi piacciono tutti, ma amo in particolare il rossetto Stiletto e le palette occhi per i colori sorprendenti». Ci racconta qualcosa del dietro le quinte della campagna? «Con Marilyn Minter ci siamo divertite a creare dei finish speciali, con scatti a effetto vetro, gel e acqua. Con Zoë Ghertner abbiamo puntato invece sul concetto di bellezza naturale. Mentre Mario Sorrenti ha assecondato la personalità delle modelle con un’impronta street style, Craig McDean ha scelto un’estetica punk e Steven Meisel più Anni 60». I trucchi si declinano in oltre 175 colori: davvero tanti. C’è una ragione? «Sì , lo spettro cromatico è vastissimo. Si passa dall’intensità vellutata del verde scuro e del

prugna burgundy alle sfumature più luminose di rosa, azzurro, arancione per dare a tutti la possibilità di sbizzarrirsi». Fra tutti i look creati nella sua carriera, quali ama di più? «Mi definirei un’eclettica, che disinvoltamente passa dal no make up agli effetti più teatrali e creativi. Unico punto fermo: cerco sempre di entrare in sintonia con la personalità della modella». Causa pandemia e l’uso della mascherina, la pelle è diventata oggetto di attenzioni quasi maniacali. Consigli per la base perfetta? «Mai senza una crema idratante leggermente colorata. Ne basta una minima quantità, ben distribuita sul viso, per uniformare e illuminare l’incarnato. In attesa dei nostri fondotinta di prossima uscita, di cui sono entusiasta ». Previsioni sul make up del prossimo futuro? «Dopo quello che abbiamo passato, sono convinta che il desiderio di sperimentare, giocare e divertirsi sarà più forte che mai. Perciò si lascerà la propria “comfort zone” per osare colori diversi dal solito. E il trucco diventerà un modo per esprimere anche la nostra gioia di vivere». ■

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Si ringrazia Remo Girone per la sua testimonianza

Foto: Raffaello Balzo

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CI SONO GESTI CHE LASCIANO UN SEGNO, PERCHÉ RENDONO IL CANCRO SEMPRE PIÙ CURABILE. COME UN LASCITO A FAVORE DELLA FONDAZIONE AIRC. Un lascito testamentario a Fondazione AIRC è una scelta concreta che cambia le cose, facendo progredire la ricerca sul cancro. Finora la scienza ha fatto enormi passi avanti, ma il tuo gesto porterà a nuove scoperte. Così lascerai un segno incancellabile, perché i futuri traguardi della ricerca saranno anche merito tuo.

Per sapere come fare il tuo lascito, contattaci subito: 02 794707 - airc.it/lasciti


Cultura GRAZIA

DUE OPERE DI GUSTAV KLIMT IN MOSTRA A ROMA. SOPRA, RITRATTO DI SIGNORA, 1916-17. A SINISTRA, LA SPOSA, 1917-18.

MOSTRE

L’AMORE DI KLIMT PER L’ITALIA

A Roma una grande esposizione celebra il genio viennese Gustav Klimt, che nei mosaici delle chiese del nostro Paese trovò spunti per la sua arte ribelle

Foto KLIMT FOUNDATION/ VIENNA, GALLERIA D’ARTE MODERNA RICCI ODDI

di

FRANCO CAPACCHIONE

S

ul portale che introduce al Palazzo della Secessione di Vienna è scritto: “Al tempo la sua arte, all’arte la sua libertà”. Joseph Maria Olbrich, l’architetto che realizzò il progetto costruito tra il 1897 e il 1898, prese spunto da un disegno di Gustav Klimt, fondatore nel 1897 con altri 19 artisti del movimento teso a scardinare i rigidi canoni accademici del tempo, noto come Secessione Viennese. Per celebrare l’arte del caposcuola che 110 anni fa, nel 1911, partecipò all’Esposizione Internazionale d’Arte a Roma, nasce un progetto che parte dalla Capitale e si conclude il prossimo anno a Piacenza. Si comincia il 27 ottobre al Museo di Roma a Palazzo Braschi dove, fino al 27 marzo, inaugura Klimt. La Secessione e l’Italia. In mostra è l’intero percorso artistico del pittore affiancato da lavori di colleghi del movimento. Una particolare attenzione è dedicata ai numerosi viaggi di Klimt in Italia dove si innamorò dei mosaici ravennati riprendendone lo stile sfarzoso. Lo testimonia una delle prime opere del Maestro, la Giuditta I del 1901, anticipatrice di quello che verrà definito il suo “periodo aureo”. Le oltre 200 opere sono per la maggior parte prestiti di due musei viennesi, il Belvedere e la Klimt Foundation. Da quest’ultima arriva La Sposa (1917-1918) mentre la Galleria Moderna Ricci Oddi di Piacenza ha concesso Ritratto di Signora (1916-1917) trafugato nel 1997 e recuperato nel 2019. Proprio la galleria piacentina accoglierà la seconda parte del progetto: il 5 aprile inaugurerà Klimt intimo, uno sguardo sulla dimensione personale dell’artista. KLIMT. LA SECESSIONE E L’ITALIA AL MUSEO DI ROMA A PALAZZO BRASCHI DAL 27 OTTOBRE AL 27 MARZO (MUSEODIROMA.IT). © RIPRODUZIONE RISERVATA

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GRAZIA

Cult LE SPICE GIRLS NEGLI ANNI 90, QUANDO È USCITO IL LORO ALBUM SPICE 25 CHE HA VENDUTO 31 MIILONI DI COPIE.

MUSICA

Cantiamo per darvi più forza LE SPICE GIRLS FESTEGGIANO CON UN ALBUM I 25 ANNI DELLA BAND. E CON LA LORO MUSICA MANDANO UN MESSAGGIO A TUTTE LE DONNE di DIEGO PERUGINI

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ono passati già 25 anni dall’esordio delle Spice Girls. E la girl-band più famosa del pianeta è pronta per ritornare alla grande. Il primo passo sarà l’uscita di una nuova e ampliata edizione del loro disco di esordio, Spice 25, che all’epoca aveva venduto oltre 31 milioni di copie diventando l’album best-seller di sempre per un gruppo femminile. Sarà l’occasione per riascoltare e ballare hit come Wannabe, Say You’ll Be There e Who Do You Think You Are. Esempi di stile e di moda per milioni di teenager, le Spice Girls sono famose per il loro messaggio femminista, quel “girl power” che anche nei nuovi brani celebra l’emancipazione, la fiducia e la forza delle donne. La band tornerà in tour nel 2023. Quasi di certo non ci sarà Victoria “Posh” Beckham, che si sta dedicando anima e corpo alle sue linee di moda e bellezza.

A PARIGI

IL MITO DI UN OROLOGIO Si terrà a Parigi dal 21 Ottobre al 24 Dicembre la mostra Reverso: Intemporelle depuis 1931. L’occasione sono i 90 anni dell’orologio Reverso e la maison di alta orologeria JaegerLeCoultre, che lo ha creato, gli rende omaggio nella città che ospitò, nel 1925, l’Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes, da cui l’Art Déco ebbe origine. In mostra al 15 di rue du Faubourg Saint-Honoré ci saranno installazioni che racconteranno il modello. Jaeger-LeCoultre festeggia presentando anche il Reverso Tribute Minute Repeater, disponibile in un’edizione limitata di soli dieci esemplari.

SPICE 25 DELLE SPICE GIRLS, UNIVERSAL. DAL 29 OTTOBRE.

LO SPOT

UN CAFFÈ CON LUCA ARGENTERO he tipo è il vicino di casa che tutti vorremmo? Secondo un’indagine di Bialetti, marchio famoso con le sue moka nel mondo del caffè, è una persona su cui poter contare (63 per cento degli intervistati), gentile (34 per cento) e generoso (13 per cento). Tutte doti che sono riconosciute all’attore Luca Argentero, protagonista del nuovo spot di Perfetto Moka, la miscela di caffè macinato, messa a punto da Bialetti, appositamente per la moka. Luca è l’inaspettato vicino di casa di una ragazza alla quale l’attore prepara nella sua cucina un caffè speciale. Un rito italiano che profuma di amicizia. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Foto WAYNE ZHOU, CARMINE CONTE

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GRAZIA

Cult

ELEONORA GAGGERO, 19 ANNI.

A REGGIO EMILIA

SI BALLA NEL MUSEO In uno spazio museale, figure umane si relazionano con opere che, a loro volta, sembrano prendere nuova vita e acquistare significati diversi. È l’idea alla base di La visita, progetto site-specific realizzato dalla compagnia di teatro-danza Peeping Tom per gli spazi della Collezione Maramotti di Reggio Emilia. Prodotta da Fondazione I Teatri in collaborazione con la stessa Collezione Maramotti e sostenuta da Max Mara, la performance si tiene dal 4 al 7 novembre. La coreografa Gabriela Carrizo riprende elementi di suoi spettacoli precedenti e coinvolge nell’azione anche lavoratori in pianta stabile alla Collezione Maramotti, come gli addetti alle pulizie e alla sicurezza. Allo spettatore il compito di distinguere la finzione dalla realtà, l’arte dalla quotidianità. Il progetto ha vinto il Fedora - Van Cleef & Arpels Prize for Ballet 2021, premio che sostiene le eccellenze nelle produzioni di danza internazionale. Biglietti su iteatri.re.it (F.C.)

IL PERSONAGGIO

Tutti i dubbi di noi ventenni

ELEONORA GAGGERO INTERPRETA IL PERSONAGGIO DI MERCOLEDÌ IN LA FAMIGLIA ADDAMS 2. QUI RACCONTA PERCHÉ GLI ADOLESCENTI NON SONO ANCORA USCITI DALLA PANDEMIA

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tudia Scienze delle Comunicazione, vive a Milano e quando non è sul set a recitare si tuffa a capofitto nell’altra sua attività preferita, la scrittura. L’attrice Eleonora Gaggero, 19 anni e oltre un milione di followers solo su Instagram, ha già pubblicato quattro libri e con Grazia parla in anteprima del nuovo che sta scrivendo. Nel frattempo presta la voce al personaggio di Mercoledì di La Famiglia Addams 2, al cinema dal 28 ottobre. In questo nuovo film Mercoledì ha molto più spazio. Com’è cresciuta? «Quando ho letto il copione in sala montaggio mi sono spaventata. Mercoledì è nell’adolescenza: cerca di trovare se stessa, capisce di essere diversa dalla sua famiglia e si pone mille domande». Lei quali domande si poneva alla sua età? «Lavoro da quando avevo 12 anni, allora recitavo in Alex & Co. e mi sentivo diversa dagli altri. Un giorno facevo un concerto davanti a 300 persone, il giorno dopo in classe nessuno mi guardava».

Sta per arrivare il suo quinto libro. «È la storia di due fratelli, figli di Ade, cacciati dal padre per paura che diventino più forti di lui. Sulla Terra incontrano una ragazza. È un libro diverso dai miei precedenti, resta solo l’elemento di love story e i triangoli amorosi». A proposito di amore, è felice? «Felicissima. Sono fidanzata da un anno con Nicholas Baldini, un regista di video musicali conosciuto sul set di Sul più bello. A dicembre andrò a Los Angeles e passeremo il Natale lì». Il 20 novembre compie 20 anni. «È il primo compleanno che non sono entusiasta di festeggiare: dire addio al periodo teenager mi dispiace. Sono stati 20 anni pienissimi, ho lavorato e sono cresciuta tanto e ho imparato che gli amici e gli amori vanno e vengono. Poi, con la pandemia, ho anche imparato che viaggiare non è scontato e che stare soli in casa non è così male». LA FAMIGLIA ADDAMS 2 NELLE SALE DAL 28 OTTOBRE. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Foto ANDREA CICCALÈ/LAPRESSE, OLEG DEGTIAROV/HEADER PICTURE

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INFINE... PIERRE È L’UOMO DIOR C’è un nuovo volto di stile a Montecarlo. Pierre Casiraghi, 34 anni, è il nuovo brand ambassador della linea uomo sartoriale di Dior, creata dallo stilista Kim Jones. Nelle foto di presentazione interpreta tre look indossando uno smoking, un doppiopetto blu e un abito stampa check. Anche la moglie di Pierre, Beatrice Borromeo, 36, è brand ambassador delle linee donna di Dior, disegnate da Maria Grazia Chiuri. Lo charme è nel dna di famiglia.

Pierre Casiraghi

Julia Roberts e George Clooney

Julia e George in PARADISO Julia Roberts, 53 anni, e George Clooney, 60, si preparano a sbancare i botteghini con una nuova commedia romantica e per realizzare Ticket to Paradise si trasferiranno in Australia, famiglie comprese. Il nuovo film sarà girato nel Queensland. Le due star interpreteranno una coppia divorziata che vola a Bali per impedire le nozze della figlia, interpretata da Kaitlyn Dever, 24.

SU e GIÙ Ambra Angiolini

Beyoncé

Madonna

Tutti schierati con Ambra Angiolini, 44 anni. La consegna del “Tapiro d’oro” di Striscia la notizia per la fine della relazione con l’allenatore Massimiliano Allegri, 54, ha sollevato un moto di indignazione. L’attrice, vittima a quanto pare di un tradimento, è stata messa in imbarazzo davanti alla telecamera. Anche Jolanda Renga, 17, la figlia di Ambra, ha difeso la madre e il suo messaggio solidale è stato rilanciato da migliaia di persone.

Il messaggio femminista di Beyoncé, 40 anni, è stato ancora una volta tra i più condivisi sui social per il Day of the Girls, la Giornata della bambina voluta dall’Onu. «Insegniamo alle nostre ragazze a sognare e ad arrivare il più in alto possibile», ha detto la popstar.

Che Madonna, 63 anni, sia sempre stata una provocatrice è certo, ma al Tonight Show è apparsa fuori luogo. Durante l’intervista, prima si è lanciata sulla scrivania del conduttore, poi ha alzato il vestito mostrando l’intimo. Più malinconica che sopra le righe.

Timothée Chalamet

CIOCCOLATA PER TIMOTHÉE Cilindro in testa, cappotto vinaccia e l’immancabile sciarpa al collo. È impeccabile Timothée Chalamet, 25 anni, nelle prime foto dal set dello spin-off di La fabbrica di cioccolato, la cui uscita è prevista nel 2023. Sedici anni dopo l’ex suocero Johnny Depp, 58 (Timothée è stato fidanzato con la figlia Lily-Rose, 22), Willy Wonka sta per tornare al cinema. Questa volta racconterà la storia del burbero cioccolataio prima dell’apertura della fabbrica. 256

Foto GETTY IMAGES, BRETT LLOYD/COURTESY DIOR, INSTAGRAM

Ambra e il Tapiro



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Dior: 02/38595959 Dondi Home: dondi.it Duno: 0571/500578 Ego Italiano: egoitaliano.com Ellesse: 0185/1759421 Etro: 02/57931 Fazzini: fazzinihome.com Febal Casa: febalcasa.com Fendi: 06/334501 Flexform: flexform.it Flos: flos.com Fritz Hansen: fritzhansen.com Furla: 051/6202711 Fusital: vallievalli.com Gaëlle Paris: 02/87166773 Geox Respira: 0423/2822 Gianvito Rossi: 02/76317941 Giorgio Armani: 02/723181 Givenchy: +331/44315000 Gucci: 055/75923333 Guess: 055/32081 Hermès: 02/76398517 Herno: 0322/77091 Hogan: 02/77225700 Ideal Standard: idealstandard.it Irsap: www.irsap.com Isabel Marant: +331/49237540

Itlas: itlas.com Jimmy Choo: 02/36599800 Judy Zhang: +1212/7044100 Kartell: kartell.com Kiabi: 02/4587991 Knoll Int.: knoll-int.com Kocca: 081/8268201 K-Way: 011/26171 Lanvin: +331/44713173 L’Autre Chose: 0734/878011 Loewe: +442/074991284 Londonart: londonart.it Longchamp: 02/84932705 Louis Vuitton: 02/006608888 Luceplan: luceplan.com Luisa Spagnoli: 075/4591 Manila Grace: 051/861108 Marazzi: marazzi.it Margraf: margraf.it Maxalto: maxalto.com Max Mara: 0522/3581 Minotti: minotti.com Miu Miu: 02/3498121 Molteni&C: molteni.it Moroso: moroso.it Moschino: 02/6787731 MVP: 06/6784403 Nara Camicie: 02/86461806

Patek Philippe: 02/76390034 Peserico: 0445/450200 Phillip Lim@Zalando.it: 800/175015 Philosophy di Lorenzo Serafini: 02/760591 Pinko: 02/23345210 Poliform: poliform.it Poltrona Frau: poltronafrau.com Prada: 02/546701 Primadonna Collection: 080/3718195 Recarlo: 0131/941303 Retrosuperfuture: +1302/2004833 Rimadesio: rimadesio.it Roger Vivier: 02/76025614 RRD Roberto Ricci Designs: 0564/462269 Rubelli: rubelli.com Saint Laurent: 02/76000573 Salvatore Ferragamo: 02/7711141 Sambonet: sambonet.com Schiaparelli: +331/55352092 Simonetta Ravizza: 02/76012921 Sodini: 0583/927839 Spazio Bed by Cinius: spaziobed.it

Sportmax: 0522/3991 Stefanel: 0422/8191 Steve Madden: 02/776021764 Swarovski: 02/722601 Tagliatore 0205: 080/4857175 Technogym: technogym.com Thom Browne: +1212/6331197 Time&Style: timeandstyle.com Tod’s: 02/772251 Tory Burch: 02/60063044 Ulla Johnson +646/7410735 Unoaerre: 0575/9251 Valentino, Valentino Garavani: 02/624921 Versace: 02/760931 Victoria Beckham: +44207/5011122 Vitra: vitra.com Yamamay: 800/286858 Yes Zee: 0346/640111 Woman in Berwich: 02/36639401 Zanotta: zanotta.it Zimmermann: +44808/1780108


COMUNICATO SINDACALE L’assemblea generale dei giornalisti di Mondadori Media esprime sconcerto e viva preoccupazione per lo scenario disegnato da recenti indiscrezioni giornalistiche, secondo cui sarebbe alle porte una nuova massiccia cessione di testate del Gruppo, tra cui alcune storiche come GRAZIA e DONNA MODERNA, nonché CASAFACILE e INTERNI. Interpellata immediatamente dal CdR, l’Azienda non ha confermato. Ma nemmeno smentito. Ovviamente l’auspicio è che si tratti solo di fantasie, ma francamente sarebbe la prima volta: già in passato articoli simili hanno prefigurato operazioni poi puntualmente realizzate, come la cessione di Panorama nel 2018 e quella di Tu Style, Starbene, Confidenze e Sistema Cucine nel 2019. Mentre la leadership del comparto dei Libri viene scandita da nuove acquisizioni (ultima in ordine di tempo De Agostini Scuola), PER IL SETTORE DEI PERIODICI L’INPUT È SOLO VENDERE!!! Una dismissione che sta mettendo a rischio tutti i nostri 117 posti di lavoro e che mortifica il patrimonio umano e professionale dei giornalisti, che hanno contribuito in questi anni a fare della Mondadori la prima e più importante casa editrice d’Italia. L’assemblea dei giornalisti di Mondadori Media Segrate, 13 ottobre 2021

REGOLAMENTO PER L’INVIO SPONTANEO DI LETTERE E FOTOGRAFIE Con l’invio spontaneo di lettere o fotografie (nel seguito il “Contributo”) al direttore e/o alle redazioni di una o più riviste edite da Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., con sede legale in Via Bianca di Savoia 12, 20122 Milano (MI) (nel seguito l’“Editore”), l’autore del Contributo dichiara (i) di essere maggiorenne ed esclusivo e legittimo titolare di tutti i diritti d’autore e di sfruttamento, anche economico, del Contributo, (ii) di essere l’esclusivo responsabile del Contributo manlevando e tenendo indenne l’Editore da qualsiasi pretesa e/o azione di terzi connessa al Contributo, (iii) di cedere all’Editore i diritti di sfruttamento del Contributo autorizzandone espressamente la pubblicazione, congiuntamente ai dati personali dell’autore stesso, all’interno della rivista per la quale è stato inviato il Contributo. L’autore del Contributo dichiara altresì di essere pienamente consapevole che l’Editore potrà, a proprio insindacabile giudizio, decidere di pubblicare o meno il Contributo valutando anche eventuali modifiche e/o adattamenti nel caso di pubblicazione. Il Contributo e i dati personali conferiti spontaneamente dall’autore saranno trattati nel rispetto della normativa applicabile in materia di protezione dei dati personali e, in particolare, del Regolamento UE 2016/679 (nel seguito il “Regolamento Privacy”). Ai sensi dell’art. 13 del Regolamento Privacy, i dati personali conferiti all’Editore, titolare del trattamento, saranno trattati al fine di valutare il Contributo ricevuto e, eventualmente, la sua pubblicazione all’interno della rivista nell’apposita sezione congiuntamente al nome e cognome dell’autore. Il trattamento si baserà giuridicamente sul rapporto contrattuale che verrà a crearsi tra l’autore del Contributo e l’Editore con l’accettazione delle presenti condizioni e la conseguente cessione del Contributo allo stesso e sarà condotto per l’intera durata prevista dalla normativa applicabile. Il Data Protection Officer dell’Editore è contattabile all’indirizzo e-mail: dpo@mondadori.it. L’autore del Contributo potrà sempre contattare l’Editore all’indirizzo e-mail privacy@mondadori.it e reperire, all’interno della sezione Privacy del sito www.mondadori.it, tutte le informazioni sull’utilizzo dei dati personali, i canali di contatto del titolare del trattamento nonché tutte le ulteriori informazioni previste dal Regolamento Privacy ivi inclusi i propri diritti, il tempo di conservazione dei dati e le modalità per l’esercizio dei diritti.

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Grazia 21 ottobre 2021



G R A Z I A OROSCOPO DAL 25 AL 31 OTTOBRE d i M E L I S S A P.

ARIETE 21 MARZO • 20 APRILE Amore: dopo una

delusione che non vi aspettavate, tornate sui vostri passi e cercate di rimettervi in contatto con qualcuno del vostro passato. Ma tornare da dove si è partiti non è sempre una buona idea. Eros: siete pronte a ricominciare. Improvvisate.

TORO 21 APRILE • 20 MAGGIO Amore: vivete una fase

un po’ difficile. Ormai sono mesi che non vi togliete dalla testa dubbi, paure e vedete la persona amata come nemica. Le nuove relazioni non promettono, ahimé, di essere migliori. Eros: sarete tentatissime ma anche timorose. Insicure.

GEMELLI 21 MAGGIO • 21 GIUGNO Amore: poco

vi importa se avete già promesso il vostro cuore a qualcuno, la voglia di trasgredire e fare come pare a voi è forte. Chi è da sola si diverte moltissimo ad andare di qua e di là, giurando fedeltà impensabili. Eros: tutto questo girovagare vi stanca. Ingestibili.

CANCRO 22 GIUGNO • 22 LUGLIO Amore: siete in deciso recupero. Torna innanzitutto il buonumore, che era andato un po’ perso, e sul lavoro potreste imbattervi in qualcuno che vi affascina. Il pensiero di uscirci fuori a cena non vi terrorizza. Eros: ritorna anche la voglia di rotolarsi insieme. Modeste.

OGNI GIORNO IL VOSTRO OROSCOPO SU GRAZIA.IT

LEONE 23 LUGLIO • 23 AGOSTO Amore: cominciano

SAGITTARIO 23 NOVEMBRE • 21 DICEMBRE Amore: con Venere ancora positiva è un bel periodo, anche se non siete festaiole come qualche giorno fa. Vi chiudete in casa con la persona amata e vi aiutate a vicenda a risolvere una questione. Eros: il sesso al momento è un po’ più apatico. Buone.

VERGINE 24 AGOSTO • 22 SETTEMBRE Amore: in

famiglia vi sentite più a vostro agio, riuscite a ricucire i rapporti con fratelli e sorelle, ritrovate l’armonia perduta per stare dietro agli impegni di lavoro. Incontri possibili per chi osa mettere il naso fuori. Eros: manderete un messaggio audace. Spavalde.

CAPRICORNO 22 DICEMBRE • 20 GENNAIO Amore: basta soffrire, ora alzate la testa e andate avanti lasciandovi alle spalle una brutta esperienza. Molti incontri, non sempre folgoranti, ma abbastanza divertenti da darvi sollievo. Eros: ritorna anche la voglia di fare pazzie a letto. Orgogliose.

BILANCIA 23 SETTEMBRE • 22 OTTOBRE Amore:

ACQUARIO 21 GENNAIO • 19 FEBBRAIO Amore: qualcosa

SCORPIONE 23 OTTOBRE • 22 NOVEMBRE Amore: con

PESCI 2O FEBBRAIO • 20 MARZO Amore: ritrovate una

giornate più tese. Anche se Venere è ancora positiva e trascina al largo le nuove storie d’amore, Marte e Sole rendono nervosi i rapporti con gli uomini e in famiglia si respira a fatica. Eros: l’idea di farlo vi piace, ma solo l’idea. Sfibrate.

frequentate una persona che vi piace, ma non siete convinte. È un rapporto che può rimanere superficiale, almeno per il momento. Per farvi perdonare un’indelicatezza farete un regalo. Eros: riscoprite una strana e irrefrenabile voglia. Dubbiose.

Sole e Marte nel segno siete carichissime e chiunque osi intralciare il vostro cammino verrà accompagnato alla porta. In coppia risolverete una questione spinosa. Eros: captate la preda e non la fate fuggire. Atomiche.

vi disturba e quasi sicuramente è la gelosia del partner che potrebbe mettervi in subbuglio. Non amate i guinzagli. Se frequentate qualcuno da poco preferite impegnarvi poco. Eros: vi risentite per qualcosa e vi chiudete. Strane.

persona cara al vostro cuore e la raggiungerete in un’altra città o sarà lei a raggiungere voi. Se siete in coppia non è esclusa una gita che rimetterà a posto i nervi. Eros: il sesso è fantasioso e di grande complicità. Sensuali. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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G R A Z I A UN POSTO NEL CUORE

Tua figlia giudicherà sempre le tue RELAZIONI di ALESSIA MARCUZZI

Maurilio

Cara Alessia, sono un papà separato e ho un rapporto difficile con la mia ex. Nonostante questo, seguo molto nostra figlia, avendo un lavoro più flessibile rispettto a quello della madre. Da poco ho iniziato una relazione con la mamma della migliore amica di nostra figlia, ma non so se renderlo pubblico. Temo il giudizio di mia figlia e le conseguenze nel rapporto con la mia ex. Maurilio, ciao,

ci sono tante domande per te: quanti anni ha vostra figlia? Soffre per la vostra separazione? È generalmente solidale con la sua mamma piuttosto che con te? Avete tra voi un rapporto vero oppure no? Con la madre ha un rapporto vero oppure no? La madre della sua amica, nonché tua compagna, è sposata, ragazza madre oppure separata? Con la tua compagna hai un progetto oppure no? Il padre dell’amica di tua figlia è presente? Ha un rapporto facile con la figlia e la moglie/compagna? L’ambiente scolastico delle due migliori amiche è evoluto oppure bigotto e giudicante? Avrei tante domande ancora da farti, ma mi fermo qui per dirti che certe decisioni non si possono prendere con leggerezza e che le valutazioni da fare sono tante. In ogni caso mi sembra illusorio credere che su di te e sulla tua nuova compagna non verrebbe a pesare un giudizio da parte della tua ex e di tua figlia, forse della sua migliore amica, delle rispettive famiglie allargate, degli amici e della gente del paese in cui vivete (c’è chi non aspetta altro!). Per me è sempre meglio dire la verità ma, nel tuo caso, credo possiate palesare il vostro segreto nel momento in cui il vostro progetto di vita sia costruito

in modo da non far male a nessuna delle persone che amate. Farlo prima significherebbe creare il caos e aprire i pettegolezzi.

Un’amica come coinquilina DoMenica

Cara Alessia, frequento il primo anno di università e divido la casa con la mia amica del liceo. Lo avevamo deciso un anno fa. Ora ho scoperto lati di lei che non conoscevo. Ha manie di persecuzione, abitudini ossessive e io mi sento soffocare. Che cosa faccio?

cara DoMenica, mi dispiace sapere che stai vivendo

un disagio così grande in un periodo così delicato della tua vita. Iniziare l’università e trasferirsi in una casa nuova con un’amica del liceo dovrebbero essere le premesse perfette per un nuovo e meraviglioso capitolo della tua vita, non di un incubo. Purtroppo, lasciati dire, non sempre è facile condividere gli usi e le abitudini con le altre persone, anche se sentiamo di avere con loro una certa confidenza o comunque sono a noi molto vicine. Quello che ti posso consigliare è di ritagliarti un momento con lei e di affrontare in tutta serenità l’argomento. Devi pensare che, come per te, anche per lei questa è una fase nuova della vita, che magari sta semplicemente affrontando in maniera diversa da te. Se la situazione non dovesse migliorare, e ritieni che la convivenza sia diventata insostenibile, ti consiglio di parlare con i tuoi genitori affinché ti possano aiutare a trovare una soluzione. Sarebbe un peccato non riuscire a godersi a pieno gli anni dell’università, che, fidati, sono gli anni più belli della nostra vita. In bocca al lupo per tutto. ■ © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCRIVI A unpostonelcuore@mondadori.it oppure ad Alessia Marcuzzi - Grazia - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (Mi) 262

Foto DANIELE SCHIAVELLO

Temo il giudizio della mia bambina


giannichiarini.com

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