Questo è un giorno speciale Rossella Kohler - Primo Maggio

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Festa dei

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Il lavoro è un bene prezioso Permette alle persone di mantenere se stesse e la propria famiglia, soddisfacendo le necessità e concedendosi anche qualche svago. Lavorando e pagando le tasse si contribuisce a far funzionare lo Stato, che può così fornire servizi indispensabili, come la scuola, la sanità, le strade e molto altro. Il lavoro è anche una meravigliosa occasione per seguire le proprie attitudini e le proprie passioni: certamente richiede studio e impegno, e magari anche un po’ di fatica, ma può dare grandi soddisfazioni. Nel mondo, però, sono purtroppo moltissimi gli adulti che, per motivi diversi, non hanno un’occupazione. In altri casi, poi, il lavoro c’è, ma è pagato troppo poco oppure viene svolto in condizioni di estrema fatica o pericolo. 93

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La lotta per le otto ore In genere nei Paesi più ricchi i lavoratori sono abbastanza tutelati dalle leggi, ma non è sempre stato così: in passato le condizioni di vita dei lavoratori delle fabbriche erano infatti molto difficili. Si lavorava dall’alba al tramonto, per sfruttare tutte le ore di luce: d’estate si lavorava perciò anche più che d’inverno. D’altra parte, non si facevano vacanze, si smetteva di lavorare solo la domenica e durante le feste religiose. Nessuno aveva diritto a un salario in caso di malattia: quasi sempre i malati venivano licenziati. Non esisteva la pensione e si continuava a lavorare anche da anziani, finché se ne avevano le forze. In ogni Paese e in moltissimi mestieri lavoravano anche i bambini. Nel 1855, in Australia, i lavoratori cominciarono a proclamare: “Otto ore per lavorare, otto ore per vivere, otto ore per dormire”. Voleva dire che, all’interno della giornata di ventiquattro ore, ogni persona aveva sì il dovere di lavorare, ma anche il diritto al riposo e al tempo per stare con la sua famiglia, per leggere, per studiare e anche per divertirsi. Iniziò così la lotta per le otto ore, che arrivò presto anche negli altri continenti. 94

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Evviva il Primo Maggio! A Ginevra, in Svizzera, nacque allora una proposta durante il primo grande congresso dell’Associazione internazionale dei lavoratori, nel 1866: in tutti i Paesi una legge avrebbe dovuto stabilire le otto ore come massimo per la giornata lavorativa. Il primo governo che accolse questa proposta fu l’Illinois, uno degli Stati Uniti d’America. La sua capitale, Chicago, era allora una delle più importanti città industriali del mondo. Il primo maggio del 1886 venne indicato come data ultima per applicare la legge e in quella occasione migliaia e migliaia di lavoratori manifestarono. Ma ci furono scontri per diversi giorni, e alcune persone furono uccise. Così, quando alcuni anni dopo a Parigi si riunì un’altra grande assemblea, i lavoratori decisero che proprio il Primo Maggio di ogni anno, in tutto il mondo, nessuno avrebbe dovuto lavorare. Ogni operaio, contadino e impiegato, donna o uomo, vecchio o giovane, tutti e tutte avrebbero invece manifestato per i propri diritti e per un lavoro libero e dignitoso.

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Un giorno di lotta per tutti e tutte Da allora, il Primo Maggio è stato sempre considerato la Festa dei lavoratori, senza confini geografici e senza differenze tra i diversi tipi di occupazione. È un giorno di vacanza ed è anche primavera: un’ottima giornata, perciò, da passare in famiglia e con gli amici. È però anche l’occasione per manifestare solidarietà con i lavoratori meno fortunati: con chi ha perso il lavoro, con chi è stato vittima di un incidente mentre svolgeva il proprio mestiere, con i lavoratori delle zone del mondo dove non ci sono regole, oppure ci sono, ma non vengono rispettate. Il Primo Maggio è anche un giorno di lotta contro il lavoro minorile (che però deve essere combattuto tutto l’anno). Oggi nella maggior parte del mondo il lavoro dei bambini e delle bambine è vietato per legge, ma spesso viene tollerato: sul pianeta sono infatti ancora oltre centocinquanta milioni i bambini e gli adolescenti che, invece di giocare e studiare, sono costretti a lavorare.

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Che cosa puoi fare tu? Rispetta sempre il lavoro degli altri: ogni mestiere è dignitoso e contribuisce al benessere della società. Quando è possibile acquista prodotti equi e solidali: significa che è stato rispettato chi ha lavorato per produrli. Se ti incuriosisce un mestiere informati per conoscere come funziona e quali sono le sue caratteristiche. Proponi alla tua famiglia di fare un’adozione a distanza, per permettere a un bambino o una bambina di un altro Paese di andare a scuola invece di lavorare. Proponi alla tua classe, o alla tua scuola, di organizzare momenti per parlare del lavoro minorile, se possibile aperti anche a tutta la cittadinanza.

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Approfondiamo un po’

Stagnino

Arrotino

Si metteva nella piazza di un paese con la sua fucina alimentata a carbone e aspettava pentole e padelle che avevano un buco da aggiustare.

Girava con una bicicletta su cui era montata una mola, cioè una ruota di pietra. Dalle case scendevano per portargli coltelli e forbici da affilare.

Ombrellaio

F ilatrice

Girava per le strade di città e villaggi, portando con sé tutta l’attrezzatura necessaria per riparare gli ombrelli: stecche di ricambio, pinze, pezzi di stoffa, aghi e filo.

Trasformava i batuffoli di lana in un filo da lavorare a maglia o a telaio. Oltre alla lana, filava anche fibre vegetali come il cotone, la canapa o il lino.

Mondina

Toglieva a mano le erbe infestanti che, in primavera, disturbavano le piantine nelle risaie. Faceva un lavoro molto faticoso, con le gambe nell’acqua, sempre china e punta dalle zanzare.

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I mestieri (quasi) scomparsi Materassaio

Cestaio

Apriva i materassi, lavava e metteva ad asciugare al sole la lana. Poi la cardava con una specie di pettine e, di nuovo gonfia, la metteva nella fodera pulita del materasso che veniva cucita con enormi aghi.

Era un contadino che d’inverno, quando aveva meno da fare nei campi, intrecciava giunchi per costruire cesti, canestri e gerle per il trasporto di pannocchie, fieno e legna.

Centralinista

Metteva in comunicazione manualmente due interlocutori telefonici. Fino a cinquant’anni fa è stata una figura indispensabile per fare chiamate su lunghe distanze.

Lavandaia

Quando non esistevano le lavatrici, c’erano donne che lavavano i panni delle famiglie. Il loro lavoro si svolgeva al lavatoio oppure sulle sponde di un torrente o di un lago.

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ADESSO TI RACCONTO...

Il lavoro non è una cosa da bambini

«R

agazzi, ho una notizia buona e una un po’ cattiva. Quale volete sentire prima?» Rakib è tornato a casa. Sentendo la voce del padre, i bambini alza-

no la testa dai compiti. Anan è la prima a rispondere: «Io quella cattiva proprio non la voglio sentire». «Sì, ma è solo un po’ cattiva…» Mustafiz sbuffa: «Dai, baba, non lasciarci sulle spine». «Va bene, allora vi annuncio che quel terreno al di là del canale di cui parlavamo ora è nostro!» A mamma Denali scende una lacrima. Era una notizia che aspettava da tanto: ora non saranno più costretti a lavorare per gli altri, ma avranno il loro raccolto. «Ma baba, qual è quella cattiva?» I bambini si sono alzati e sono tutti intorno al padre. «Quella cattiva è che per comprarlo ho fatto un grosso debito e per un po’ dovremo fare dei sacrifici.»

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I bambini più piccoli non capiscono: già adesso la loro vita non è facile, meno male che sono una famiglia unita. Mustafiz, però, ha capito. Lui è il più grande e ha deciso: dopo la scuola andrà a lavorare per portare a casa qualche soldo. Il giorno dopo, finite le lezioni, si mette in cammino verso il centro più vicino. All’albergo hanno bisogno di un fattorino: «Mi sembri sveglio, ragazzino: vieni domani, vediamo se ho qualche consegna da fare». Così, ogni giorno lancia uno sguardo ai suoi compagni che si fermano nel cortile della scuola a giocare a pallone e se ne va a lavorare. Negli anni Mustafiz fa le più varie esperienze di lavoro: bracciante agricolo, venditore di polli, anche addetto al controllo qualità in una fabbrica, grazie alla sua precisione e affidabilità. Non rinuncia però allo studio e ottiene il diploma di scuola secondaria. Mustafiz, instancabile studente

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lavoratore, è ormai famoso nella sua zona, e la sua famiglia riesce a ripagare il debito. Alcuni operatori di una

ong

che si occupa di adozione a

distanza gli offrono di lavorare con loro e incontrare i membri della sua comunità: il suo esempio è perfetto per far capire alle famiglie l’importanza della scuola per il futuro dei bambini. Proprio per questo la

ong

lo

sostiene nel suo desiderio di proseguire gli studi: in poco tempo Mustafiz ottiene la laurea in economia al Joypurhat Government College. «Un bambino lavoratore mette a rischio i suoi occhi, le ossa, i polmoni: perde insomma la possibilità di crescere sano. Ma, soprattutto, perde la propria identità e i propri sogni. Voglio impegnarmi perché i miei fratelli più piccoli e tutte le generazioni future non vedano calpestati i diritti della loro infanzia.»

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World Vision Una vita di lavoro è la realtà per quasi duecento milioni di ragazzi e ragazze nel mondo. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, il lavoro minorile è presente in diverse forme in tutti i continenti, ma in alcuni Paesi è un fenomeno particolarmente grave. È il caso del Bangladesh, dove vive Mustafiz e dove opera World Vision, una delle Organizzazioni Non Governative (ong) che si è impegnata per il sostegno delle famiglie a distanza. In particolare, lavora nell’area rurale di Rangpur, una provincia del nord-est del Paese dove la maggior parte della popolazione lavora nei campi e vive al di sotto della soglia di povertà. L’ong si impegna a garantire alle famiglie aiuto economico e istruzione, il modo migliore per combattere il lavoro minorile e anche i matrimoni delle bambine, due forme di sfruttamento molto diffuse. La povertà è la causa principale del lavoro minorile, ma se i bambini abbandonano la scuola non potranno mai uscire dalla povertà, creando un difficile circolo vizioso.

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