Le Favole Di Casa Monnalisa
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LA STORIA DI BABBO NATALE
A Nord del Circolo Polare Artico, nell'Europa settentrionale, esiste una regione: la Lapponia (nella lingua indigena, Same). E' una regione sterile, parte montuosa, parte piana, con boscaglie e cespugli. Vi sono alcune miniere di rame, d'argento, di piombo, ma sono poco sfruttate. Dai suoi monti scendono parecchi fiumi. Vi sono pure molti laghi, alcuni dei quali abbastanza vasti. Il clima è rigido. Prevale la tundra, ma ci sono anche boschi di conifere e betulle. Nelle parti meridionali la giornata più lunga è di 24 ore, e nelle settentrionali è di tre mesi. I Lapponi sono di razza finno-ungherese; tuttavia, nella forma e figura del corpo, differiscono assai dai Finni. 3
Gli uomini hanno la statura media di m. 1,53 e le donne di m. 1,47. Sono di color giallognolo Riguardo al modo di vivere, si distinguono in Lapponi dei monti, Lapponi. dei boschi e della costa o pescatori. I primi sono nomadi e allevano le renne che sono la loro unica ricchezza e dalle quali traggono tutto ciò che abbisogna alla loro vita. Alcuni vivono in capanne coniche smontabili per poter seguire le renne nei loro spostamenti. La religione predominante è il cristianesimo, ma sono ancora attaccati alle antiche usanze pagane degli antenati. In questa terra viveva un giorno un simpatico vecchietto da cui nasce la fiaba di BABBO NATALE In una capanna del bosco, tra boschi e ruscelli, Natale coltivava il suo orticello, curava le sue renne, viveva tranquillo. Vestiva sempre di rosso, il suo colore preferito. Era un vecchietto assai buono e generoso ed aiutava tutti i suoi vicini. Un giorno pensò che era troppo poco quello che stava facendo e decise di studiare come dare agli altri qualcosa di piÚ. Fece un sogno:
Nel sogno gli apparve un angioletto: era molto bello e grazioso 4
e, con voce soave, gli parlò del mondo lontano dove tanti bambini aspettavano un dono che però mai avrebbero potuto avere. L'angioletto gli disse che avrebbe dovuto partire e caricare la sua slitta con tanti regali: glieli avrebbe fatti trovare lui. Gesù Bambino l'avrebbe guidato e mai gli sarebbe mancato il suo aiuto. Fiducioso Natale rispose che avrebbe ubbidito. Al risveglio ricordò il sogno e decise subito di partire. Chiamò i suoi figlioli e li invitò ad accompagnarlo.
Il maggiore, Nat, fu felice della proposta e, con i tre fratellini più piccoli, aiutò il Babbo a prepararsi. Uscirono dalla loro casetta
Attaccarono alla slitta le renne più forti e così Natale divenne BABBO NATALE e cominciò la sua avventura. Attraversò boschi e colline, salì sulle montagne, passò ponti e superò valli, sempre alla ricerca di chi poter aiutare. Arrivò in una città bellissima, dove pensò che tutti fossero felici. 5
Ma non era così! Infatti, fermatosi davanti ad un grande edificio, gli parve di percepire dei pianti di bimbi. Si trovava di fronte ad un orfanotrofio dove molti bambini piangevano nella loro solitudine. Natale ritenne che quello doveva proprio essere il luogo dove portare un po' di gioia. Suonò alla porta e una donna gli aprì domandandogli che cosa volesse. "Sono venuto a fare visita ai bambini che si trovano qui. Ho portato dei doni per loro" "Bravo! - disse la signora - questo è proprio il giorno di Natale e questi poveri bimbi non hanno nessuno che si ricordi di loro." Natale entrò e, come lo videro così vestito di rosso e allegro, gli si fecero incontro festosi ed egli cominciò ad aprire un grosso sacco. Tutti gli occhi erano sgranati per vedere che cosa ci fosse.
Ecco la prima scatola! Come fu aperta saltò fuori un orsacchiotto e tutti si misero a ridere. Altre scatole contenevano giocattoli di ogni tipo, mai sognati da quei bimbi. Babbo Natale era più felice di loro e capì che quella era 6
proprio la sua missione: portare doni ai bambini il giorno di Natale.
Saltando e ballando per la gioia, proseguì il suo viaggio. Si trovò davanti ad un altro grande edificio e volle entrare per vedere se ci fossero bambini. Era un ospedale! I ricoverati erano tutti piccolini di pochi anni. Natale portò con sé i suoi figlioli e fece porgere da loro giocattoli e dolcetti. Come era bello vedere la felicità di quei bimbi. Natale però volle anche andare negli altri reparti. C'erano adulti malati e tristi. Anche a loro portò doni: non giocattoli, ma libri, riviste, leccornie. Tutti erano stupiti e il sorriso ritornò sui loro volti. Cammina, cammina, anzi galoppa, galoppa, si trovò vicino ad una casetta.
Bussò alla porta: sentiva che lì era atteso. C'era un grande albero addobbato, un abete e, ai piedi, un gattino assai grazioso che si divertiva con un giochino. 7
Depose sotto l'albero alcuni doni cercando di indovinare i gusti dei padroni di casa. Poi restò a guardare. Ad un tratto due bimbetti si affacciarono alla porta con un bel pigiamino a fiori. Di soppiatto scrutarono il locale e videro i pacchi ai piedi dell'albero. "Hai visto? Quanti regali, disse il maschietto alla bambina, chissà chi li ha portati!! " "Li apriremo domani mattina con babbo e papà" disse saggiamente la bimba. "Chissà se ci sarà qualcosa anche per Francuccio!" Francuccio era un bambino handicappato e per questo non si era unito ai fratellini per la perlustrazione, Babbo Natale rimase pensieroso quando capì di che si trattava. E pensò: "Che cosa potrà mai piacere ad un bimbo in carrozzella? Certo non una palla né un cerchio. Il poverino non può correre" Pensa e ripensa decise di procurargli un esserino vivo e docile. Il gattino c'era già. E allora? Allora decise per un uccellino. Un uccellino ammaestrato, che gli volasse in mano ad un suo richiamo per prendere il cibo e cinguettasse per rallegrare la sua infermità.
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Già! Ma Musetto, il gattino di casa, come si sarebbe comportato? Si sa che i gatti acchiappano gli uccelli oltreché i topi... e allora? Bisognava tenere Cip Cip in una gabbietta, non tanto piccola, perché potesse svolazzare e, quando lo si faceva uscire, stare attenti che Musetto si trovasse in un'altra camera. Di questo si preoccuparono i fratellini che, trovata la gabbietta accanto a Francuccio, capirono il da farsi anche perché nella gabbia c'erano le istruzioni lasciate da Babbo Natale e furono felici del dono che aveva ricevuto il fratello e con lui si rallegrarono. In un villaggio vicino c'era un raduno di giovani. Il nostro caro vecchietto li osservò e capì che tra di loro c'era qualcuno un po' birbantello. Si chiamava Marco. Sembrava il capo di quella banda e stava parlando. "Provate questa sigaretta, per una volta che male vi può fare?" Stava esortando gli amici a fumare uno spinello. Babbo Natale capì al volo il pericolo che quei ragazzi sprovveduti stavano correndo. Si avvicinò loro e cominciò a trattenerli con un simpatico discorso, come se niente fosse. Domandò loro di dove venissero e raccontò che lui stava facendo un lungo viaggio. 9
Parlò della sua terra, dei suoi figli, delle sue renne e del compito che si era prefisso. Quei giovani, che non erano cattivi, lo ascoltarono con interesse e gli rivolsero molte domande. Quando Natale parlò di Francuccio si commossero e dissero che avrebbero avuto piacere di seguirlo in uno dei suoi viaggi. Solo il birbantello rimase indifferente, anzi fu scocciato di aver dovuto interrompere la sua offerta precedente. Sperava di riuscire a vendere la droga per ricavarne un guadagno. Cominciò a canzonare Babbo Natale per il suo abbigliamento, a metterlo in ridicolo di fronte agli amici e cercò di distoglierli dall'ascoltarlo. Però ormai Babbo Natale aveva fatto presa sul loro cuore e tutti zittirono il briccone. Nat, il più grande dei figli di Natale, li invitò ad accompagnare lui e il babbo nel prossimo viaggio. Natale capì che questo era il dono più bello che avesse fatto fino ad ora: proteggere i giovani. Marco se ne andò deluso, mentre gli altri prepararono il loro viaggio al seguito di Babbo Natale. Chi voleva salire su un'auto, chi su una moto, ma Natale propose loro di utilizzare una slitta come la sua. "Ma dove la troviamo? Qui non ce ne sono e neppure le renne" 10
"Non preoccupatevi: ci penso io" Sapeva che l'angioletto del suo sogno non l'avrebbe abbandonato e si rivolse a lui con una preghiera.
Arrivò Anghel, suonatore di violino e, sentita l'esigenza dei giovani, usò l'archetto del suo violino come una bacchetta magica ed in un momento apparve una slitta nuova di zecca guidata da due renne. I giovani, sempre più meravigliati, non si fecero neppure invitare e vi salirono sopra. Erano quattro, ma ci stavano comodamente. Natale riprese il suo viaggio seguito da loro che si misero a cantare liete canzoni. Sorvolarono mari e montagne, città e villaggi. Già: le slitte avevano il potere fi alzarsi in volo! I giovani erano stupiti e più che mai felici. Avevano dimenticato Marco e lo spinello. Non avevano occhi e orecchie se non per ammirare ciò che potevano osservare. Arrivarono in una città sconosciuta con tanti grattacieli. "Qui sì che ci sarà da fare!" esclamò Babbo Natale. Infatti gli abitanti erano moltissimi ed i bambini assai numerosi. Scesero in una zona della città dove gli abitanti erano scuri 11
di carnagione e all'apparenza molto poveri. Non vivevano in belle casa, ma in catapecchie, che contrastavano con le sfarzose abitazioni vicine. Era un ghetto. Negri sfruttati dai bianchi e da loro isolati. Lavoravano nelle piantagioni pagati e trattati male. Non avevano quasi più desideri. Ma i bimbi, come tutti i bambini del mondo, sognavano. Sognavano giocattoli, dolci, felicità e sapevano che a Natale possono avvenire anche i miracoli. Conoscevano il Natale, ma temevano che sarebbe stato un giorno triste come tutti gli altri. Ma si sbagliavano: infatti Natale capì che proprio lì doveva fermarsi. Con i suoi figli ed il suo seguito si presentò loro ed offrì tante di quelle cose che neppure potevano sognarsele. Gli occhi sgranati, stupiti, ma pieni di felicità quei bimbi non sapevano dire altro che "Grazie, grazie, grazie!"
Il viaggio prosegue. Lungo la strada incontrano paesaggi nuovi e animali mai visti se non allo zoo od al Circo. I giovani, che seguivano Natale nei suoi spostamenti, erano raggianti di felicità e di stupore. 12
Ecco passare un grazioso cerbiatto. Sembrava intimorito, quasi spaventato dalla vista di qualcosa o di qualcuno che temeva alle sue spalle. Infatti ecco apparire una tigre Non era molto minacciosa, sembrava andare per i fatti suoi, ma, si sa, i cerbiatti sono facile preda dei grossi carnivori, così il nostro amico si impaurì e cominciò a scalciare per preparasi alla fuga. La tigre passò oltre e il cerbiatto, tranquillizzato, proseguì il suo cammino. Lungo la strada incontrarono un altro Babbo Natale.
Era il fratello di Natale. Come lo vide Natale primo (chiamiamolo così per non confonderci) fu felice. Era molto tempo che non si vedevano: abitavano in due case diverse e non sapevano l'uno dell'altro delle decisioni prese di portare doni. Stupiti dell'incontro si fermarono e si abbracciarono felici,
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mentre i tre piccolini saltavano di gioia. I ragazzi del seguito guardavano meravigliati. Non si aspettavano tante sorprese... I due fratelli si scambiarono notizie e ciascuno volle ammirare i doni portati dall'altro. C'erano bambole, orsacchiotti, altri animali di peluche, giochi elettronici, dolci, confetti, torte, caramelle di ogni forma. "Proseguiamo insieme per un tratto, cosĂŹ continuiamo le nostre confidenze" - propose Natale primo. Quante cose avevano da dirsi! Quante esperienze maturate nei loro viaggi! I ragazzi ascoltavano sempre piĂš meravigliati: non si aspettavano di venire a conoscere tante meraviglie e ben presto dimenticarono la loro vita fatta di tante sciocchezze e vanitĂ . Dopo aver scavalcato monti, superati fiumi e cittĂ , arrivarono in un bellissimo paesino di montagna. La neve era scesa in abbondanza e lungo le piste gli sciatori sembravano volare.
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"Ecco un modo per festeggiare l'inverno. E poi dicono che sia una stagione triste. Certo, non c'è sempre il bel tempo, ma la natura offre spettacoli sempre bellissimi e anche la neve ha il suo pregio" Così esclamò Nat, che avrebbe voluto scendere dalla slitta e fare capriole e scivolate sulla neve soffice. "Non è questo lo scopo del nostro viaggio - replicò saggiamente Natale -dobbiamo affrettarci perché abbiamo ancora tante case da visitare"
Un elfo, con le ali di farfalla, udì questi discorsi e si complimentò con Natale. Propose di accompagnarlo in una casetta dei dintorni dove qualcuno, nella sua solitudine temeva di essere stato dimenticato da tutti. "Dovrai calarti dalla cappa del camino per non farti scoprire, e lasciare lì i tuoi doni. Poi potrai osservare la gioia di chi li
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troverà con tanta sorpresa."
Babbo Natale sempre gioioso, non si fece ripeter l'invito e, allegramente, saltò dentro il camino anche se era un po' stretto per lui. Depose tanti doni quanti più poté e si fermò per osservare la scena del rinvenimento. Ben presto un vecchietto, che non riusciva a dormire, si avvicinò al camino per accendervi il fuoco (per fortuna era spento quando vi entrò Natale!). Al vedere tutti quei pacchi di ogni forma colore, pensò ad uno scherzo o di avere le traveggole. Prima di aprire i pacchi li rigirò tra le mani osservandoli da ogni parte. Natale aveva scritto il suo nome su ciascuno, quindi il vecchietto capì che erano stati messi proprio per lui. Credeva di sognare. Mai aveva ricevuto tanti regali. Quando li aprì non finiva di esclamare: OOOOOHHHHH!! Un cappotto, un paio di pantaloni, un paio di scarpe, un giaccone, una sciarpa e tante cose buone da mangiare. Non era mai stato così felice e dimenticò la sua solitudine e la sua povertà. Natale era più felice di lui e non si trattenne dal battere le 16
mani per la gioia. Così il vecchietto si accorse di lui e capì che anche i sogni, a volte, possono diventare realtà. Babbo Natale, con il suo seguito, proseguì la sua strada per tutta la notte, mentre la luna sembrava festosa pure lei.
Le stelle brillavano in cielo, tutto era un sorriso e ognuno si sentiva più buono. La notte trascorse così veloce che l'alba trovò ancora Natale e i suoi figli con i ragazzi in cammino. Presto però cercarono di scomparire per non lasciarsi scorgere dai mortali a cui tanto avevano dato con il loro amore. FINE
Nika
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“RUDY LA RENNA DAL NASO ROSSO”
C’era una volta al Polo Nord una giovane renna di nome RUDY. Mentre le altre renne avevano bellissime corna,sulla loro testa lei aveva due piccoli cornetti ed il suo naso era grosso e di un rosso molto acceso. Povero RUDY! Avrebbe tanto voluto avere un naso come tutti i compagni. Le altre renne lo prendevano in giro e grandi lacrimoni bagnavano quel nasone. A volte gli lanciavano palle di neve canticchiando:” Naso rosso,naso rosso,che visione ridicola! Grosso come una mela, ma molto più rosso!” Inoltre tutte le renne scivolavano sulla neve, non lo chiamavano mai con loro ed il piccolo, sempre solo,rimaneva dietro ad un albero a guardarli. Non giocava neanche più a nascondino con gli altri animaletti, perché per colpa del suo naso lo scoprivano subito. Poco prima di Natale le renne videro un cartello che diceva: “SELEZIONE PER LA CONSEGNA DEI REGALI AI BAMBINI BUONI DI TUTTO IL MONDO”. 18
Nessuno mancò all’appello:guidare la slitta di Babbo Natale la notte di natale era un grandissimo onore! RUDY però si nascose,perché si vergognava. Babbo Natale scelse gli animali più robusti e veloci,annotandone i nomi su di una lista. Le renne saltellarono dalla gioia strofinando le loro corna, perché ognuna aveva un compito: c’era chi portava i trenini elettrici e chi accudiva i cuccioli. L’unico a rimanere senza lavoro era RUDY: li avrebbe voluti aiutare, ma sapeva che lo avrebbero preso in giro. La vigilia di Natale mentre gli elfi caricavano i regali sulla slitta, RUDY si fece avanti,per dare un aiuto. La notte era molto fredda e cosi nebbiosa che i piccoli aiutanti di Babbo Natale si scontravano e cadevano in continuazione. Due renne poi litigavano per chi avrebbe dovuto guidare la slitta: “Io sono stato il primo” disse TOMMASO “Ma tu perdi sempre tempo. Ti metti a giocare con la luna o a calciare le stelle”rispose la renna LORENZO. Dato che erano già in ritardo e non potevano perdere altro tempo, Babbo Natale decise di controllare la lista, ma era cosi buio e scuro che non riusciva a trovarla. Ad un certo punto spuntò una debole luce:” Grazie a Dio! Chi ha portato questa bella lampada?” disse Babbo Natale “Non… non è una lanterna Babbo natale… ma, ma viene dal mio… mio naso” rispose la renna RUDY. 19
“Sono molto contento di vederti caro RUDY. La tua luce guiderà la mia slitta in questa nottataccia. Ti nomino “capo slitta”e numero uno di tutte le renne!” disse Babbo Natale. RUDY fu cosi contento e non immaginate le altre renne che gelosia che avevano… ma la renna TOMMASO per la felicità diede una corona di agrifoglio intorno alla testa di RUDY. Poi giù tra le nuvole e sui tetti delle case! Se la notte di Natale vi capita di vedere una tenue luce su nel cielo allora siete sicuri di aver visto la slitta di Babbo Natale guidata dal piccolo RUDY… BUON NATALE
Valeria Compagnone
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NINNI
Questa è la storia della piccola Ninni, dolce folletto dei sogni. Ninni è una creatura magica che vive in un bosco senza tempo, dove c’è un grande prato sempre verde ricco di fiori e pieno di frutta. La piccola folletta è molto curiosa come tutti i suoi simili,e un giorno decise d’intraprendere un viaggio e d’andare nel mondo degli umani. Salutò i suoi amici, prese una borsetta gialla (suo colore preferito!) la riempì di stelle argentate e partì. Il suo viaggio fu breve solo un battito d’ali e Ninni si trovò davanti una piccola casa, entrò usando i suoi magici poteri e iniziò a curiosare. Ogni cosa in quella casa era curata, ordinata ma priva di colore. Aprì una porta e vide un lettino dove dormiva una bimba ricciola e dai capelli rossi. IL sonno della bimba era scosso da forti singhiozzi, Ninni appoggiò una sua lunga gamba sulla mano della bimba per capire il 21
motivo di quel pianto, battè due volte le sue ali e capì cosa stava succedendo. I compagnetti di scuola deridevano la bimba per il colore dei suoi capelli e pochissimi giocavano con lei facendola sentire diversa e sola. Ninni aprì la sua borsetta prese una stellina e la depose nella mano della bimba che da quel giorno sorrise tutte le notti. La dolce Ninni folletta dei sogni tornò nel suo mondo fatato dove al suo arrivo gli amici felici di rivederla ,le organizzarono una festa di “Felicità”! Da quel viaggio la folletta capì che gli esseri umani sono spesso “strani” non riescono a curiosare dentro i loro” cuori “ e conoscono pochi “colori” e che invece basta un sorriso per far spuntare un arcobaleno. Così ogni notte, quando scende la quiete, Ninni corre a regalare una sua stellina argentata… Spero che presto raggiunga la tua casa,amica mia, e possa regalare un magico sorriso al tuo cuore!!!
Milena
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LE MAGICHE GOCCE DI ALICE
C'era una volta, e forse c'è ancora, un bellissimo angolo di terra sospeso fra la terra ed il cielo, lei viveva lÏ, era piccola, minuta, il suo nome era Alice, sÏ proprio come quella che viveva nel paese delle meraviglie... ed io la vedevo passare tutti i giorni, sorridente e leggera con i suoi passi che la portavano verso la sorgente dalle "chiare e fresche acque" tanto preziose per la vita di quel piccolo paese. In casa c'era bisogno anche delle sue piccole mani, per la mamma non era facile tirare avanti ed allora andare ad aiutare in cartiera era diventato un po' il suo gioco...chi la vedeva passare le regalava un sorriso e non solo ... "Alice un pan di zenzero per te, piccola", la mano di Gino il fornaio si allungava verso di lei che contenta rallentava ringraziandolo con il suo piÚ bel sorriso... "Una mela rossa e gustosa per la tua merenda" diceva Ilva la fruttivendola a quella bambina che nonostante avesse dovuto crescere in fretta trovava sempre il modo e la 23
maniera di scoprire un piccolo e nuovo gioco nelle cose che la circondavano. Salendo verso la cartiera Alice si fermava vicino alla grande ruota che con le sue pale rendeva l'acqua ancora più spumeggiante ed allegra. Raccoglieva un ciottolo tondo lo gettava giù e lo vedeva scomparire tra le bianche onde. Una farfalla le volteggiava vicino ed i suoi colori attiravano la sua attenzione : come sarebbe stato bello volare via con lei e vedere tutto dall'alto... alzarsi quel tanto da non aver paura e poi tornare alla sua casa, dalla sua mamma. In cartiera Alice correva su e giù aiutando e guardando le magiche macchine che rumoreggiando creavano mille pagine bianche, quello che riusciva a racimolare lo consegnava orgogliosa a mamma Lina che la sera l'aspettava a casa, pronta ad affidarle la sorellina che tante volte Alice trovava già addormentata. "Alice la tua cena è vicino al fuoco, chiudi tutto ed infila a letto, attenta a Stella, se piange abbracciala stretta e dormite, verrà presto mattina ed io sarò di nuovo qui con voi.." Mamma Lina ripeteva le solite parole, faceva i soliti gesti, la salutava abbracciandola e sfiorando la guancia con un bacio dato in punta di labbra le lasciava Stella dolcemente addormentata , non dimenticava mai di voltarsi verso di lei con un ultimo sorriso prima di chiudere il portoncino della loro semplice casa per andare verso la cartiera che l'aspettava per il turno di notte. 24
I primi tempi, dopo che il babbo le aveva lasciate, erano stati duri per Alice. Le notti sembravano non aver mai fine, ogni rumore, ogni scricchiolio faceva battere piÚ forte il suo cuore, ma adesso dopo diversi mesi, sapeva riconoscerli e le tenevano compagnia in attesa del giorno. Le giornate di Alice erano scandite da questi tempi e tante volte la mia piccola amica aveva desiderato di cambiare qualcosa. A volte si era fermata lungo la strada che portava alla cartiera,scendendo verso il torrente si sedeva e guardando la fresca acqua che arrivava a lei dopo il grande salto di una cascata, i suoi occhi andavano a fissare i ciottoli lucidi e chiari che ruzzolavano sul letto del torrente. Nella sua mente diventavano preziose pietre che cambiavano il loro colore appena erano toccati dai raggi del sole. "Che bello sarebbe se fossero veramente pietre preziose da regalare alla mia mamma...." CosÏ allungava la sua mano ne raccoglieva tanti da riempire il suo palmo e delicatamente li strofinava fra loro, ma il suo grande desiderio non aveva forza abbastanza da diventare la realtà e piano, piano i ciottoli tornavano ad essere grigi e spenti.... Ma in quel paese sospeso tra il verde ed il cielo, dove ogni desiderio buono è sempre ascoltato, un vento amico spinse i sospiri della piccola Alice fino alla grotta delle ninfe regine dell'acqua, che tante volte l'avevano vista specchiarsi e giocare lungo le rive del loro magico regno... 25
loro si servirono di me facendo per lei un incantesimo: "Durerà fino a quando vorrai....ti lascio questi segni, perchÊ la magia che le regine dell'acqua hanno fatto per te, diventi da ora e per sempre la tua realtà ... Prendi questo scrigno e come una piccola regina ecco, apri... e come questi siano i giorni della tua vita..." questo dissi alla mia piccola amica e come una dolce musica lei ascoltò le parole che le buone ninfe avevano per lei: "preziosi e brillanti come un diamante, con le sue piccole facce che specchieranno ogni tuo diverso lato... profumati di buono come una rosa o una fragola racchiuse in un delicato sapone... ricchi di memorie, di immagini, di ricordi tutti da incorniciare.. e poi, nonostante il tempo che passa, sempre ricchi di entusiasmo, di meraviglia, di sorpresa , mai l'anima ed il cuore di bimba lascino il posto alla durezza di chi ormai sente il peso dei trascorsi anni... La dolce musica si spense piano piano, Alice era davanti a me sorridente come sempre, adesso stringeva fra le sue mani quel piccolo tesoro ed era pronta ad affrontare i nuovi giorni, a tornare alla sua casa dalla mamma e da Stella con la buona forza che le regine di quell'acqua magica avevano messo in lei. Non aveva avuto in dono gioielli e ricchezza, ma la sicurezza che ogni anno che fosse passato sarebbe stato scandito da un orologio che nelle sue ore avrebbe racchiuso tanti attimi di vita che non avrebbero mai fatto sentire il loro peso.
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Ore piene di dolci ricordi, e se mai avessero portato con sè qualche amarezza, sarebbe restato in memoria solo la gioia che solo può dare l'aver dimenticato e perdonato...
Rò
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BRUNA, LA GATTINA SCANSAFATICHE
Bruna era una piccola gattina dal pelo rosso, che viveva con la sua mamma in una bellissima fattoria. Aveva una padroncina, Martina, che la viziava terribilmente. Contrariamente a tutti gli altri gatti/ presenti nella fattoria, Bruna aveva l’accesso in casa, dormiva sul divano, beveva latte tutte le mattine e trascorreva le sue giornate giocando e non pensando a niente altro! Una brutta mattina di pioggia, la mamma di Martina, spinta dalla preoccupazione per il marito, allergico al pelo del gatto, adottò una soluzione drastica. Prese la piccola Bruna, la mise in una scatola che sistemò sul sedile posteriore della sua automobile e partì. Arrivata in aperta campagna, depositò Bruna a terra e scomparve in un batter d’occhio! 28
Bruna, si guardò intorno un po’ allarmata, non riusciva a capire bene dove si trovasse e perché e comincio a gironzolare senza una meta. Il tempo passava e la notte si faceva sempre più vicina mentre la possibilità di trovare la strada di casa era sempre più remota! Bruna iniziò a sentire freddo, fame e cominciò ad avere paura, inoltre non sapeva dove andare a dormire. Comincio a guardarsi intorno con maggiore attenzione finché non vide un grande albero con una folta chioma e decise di riposarsi tre le sue fronde. Scovò all’interno del tronco un grande buco caldo e riparato e presa dallo sconforto si addormento. Il mattino dopo, uscendo dal suo nascondiglio si trovò davanti uno stranissimo animale, cautamente cercò di toccarlo ma una tremendo picco le fece ritrarre immediatamente la zampetta. Lo strano animale si girò di soprassalto e disse: ”tu chi sei?” – Sono Bruna e tu chi sei, così strano? – Sono Rita e sono un riccio! – E perché stavi raschiando la terra?, chiese Bruna. – Stavo cercando la mia colazione! – Ah, io sono affamata, avresti un po’ di latte per me? – Latte? Tesoro, qui siamo in aperta campagna, non c’e’ latte e soprattutto non c’e’ cibo se non te lo procuri? 29
Allora dimmi dove posso andare a prendere del latte!!!! – Forse non mi sono spiegata, qui il latte nessuno te lo può dare, qui puoi trovare, vermi, lucertole con le loro uova, bruchi e uccellini, ma devi essere furba e molto rapida se li vuoi catturare. – Che schifo, non posso mangiare certe cose?E poi non so’ come si fa’ a catturarli!!! – Te lo insegnerò io se vieni con me! – No, non mi voglio sporcare e poi a me piace il latte! – Bene, allora credo che morirai di fame! Rita se ne andò per la sua strada e quella fu per Bruna una giornata lunga e molto triste, senza poi contare che la fame cominciava ad essere insopportabile! Sconsolata, tornò nel suo riparo e dormì tutta la notte. Il mattino seguente aveva così tanta fame che decise di seguire l’esempio di Rita, cominciò a gironzolare tra i cespugli e scavare, trovò lucertole, uova e bruchi a volontà e dopo poco era così tanto sazia da non riuscire a muoversi. Si acciambellò ai piedi dell’albero mentre si leccava ancora i baffi pensando che la sua nuova colazione non era stata affatto male!!! Cominciò a cavarsela da sola e questo la riempì di soddisfazione, rivide Rita e diventarono buone amiche, –
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Un giorno Rita la portò in una fattoria che si trovava nelle vicinanze e la padrona diede ad entrambe una bella ciotola di latte. Bruna era felicissima ma ripensò a quando un po’ di tempo prima aveva supplicato Rita di procurarle un po’ di latte e lei si era rifiutata di aiutarla. Chiese spiegazioni e Rita rispose:” Se ti avessi procurato da mangiare, non saresti mai cresciuta!!! Ora invece era diventata capace ed autonoma e sapeva che poteva contare sull’aiuto e la vicinanza di tanti cari amici. Ad un tratto, le sembrò di sentire una voce familiare che pronunciava il suo nome, si girò e vide la sua padroncina Martina che le correva incontro con le lacrime agli occhi e le braccia spalancate! La felicità di vederla era così tanta che con un balzo fu tra le sue braccia. Scoprì che per tutto quel tempo Martina non aveva fatto altro che cercarla e decise di tornare a casa con lei ma da quel giorno non entrò mai più in casa; viveva nel granaio insieme alla sua mamma , gironzolava per tutto il giorno in mezzo alla campagna alla ricerca di cibo e la mattina e la sera tornava da Martina che le preparava la sua amata ciotola di latte!!!
Alessandra
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IL PUPAZZO DI NEVE Hans Christian Andersen
"Questo freddo mi fa proprio bene!", diceva un pupazzo di neve. "È proprio vero che un buon vento pungente fa risuscitare anche i morti! E guarda quel tipo!", diceva, rivolto al sole, che stava tramontando, "Cos'avrà da fissarmi? Beh, non riuscirà a farmi sbattere le palpebre! Continuerò a tenere le tegole aperte, io!" Diceva così perché i suoi occhi erano fatti con due pezzetti di tegola, mentre la bocca era un vecchio rastrello spuntato: per questo si poteva dire anche che avesse i denti. Era nato tra gli "Urrà!" di un gruppo di ragazzi: la sua nascita era stata salutata da squilli di campanelli e schiocchi dei frustini da slitta. Il sole intanto volgeva al tramonto e la luna sorgeva, grande e rotonda nel blu del cielo. "Eccolo lì che rispunta di nuovo", disse il pupazzo, credendo che si trattasse di nuovo del sole. 32
"Ma almeno gliel'ho fatta perdere, la sua abitudine di fissare! Adesso ha una luce che gli basta appena a guardarmi i piedi. Se soltanto potessi andarmene da un'altra parte! Se potessi muovermi, andrei a scivolare sul ghiaccio come quei ragazzi che ho visto! Ma non so come si fa". "Bah! Bah!", guaì il vecchio cane alla catena, rauco come al solito: da un pezzo non era più il cucciolo di casa, sempre nascosto sotto la stufa. "T'insegnerà il sole a correre! Come è successo a quello che c'era prima di te, e a quello prima ancora! Bah! Bah! Uno alla volta se ne sono andati tutti". "Non capisco, amico mio", disse l'uomo di neve. "Quello che sta lì sopra", e indicava la luna, "mi dovrebbe insegnare a correre? È vero che è scappato via quando l'ho guardato dritto negli occhi, ma adesso è spuntato fuori dall'altra parte..." "Non capisci un bel niente", rispose il cane alla catena. "Anche se bisogna ammettere che sei ancora nuovo nuovo! Quella che tu vedi adesso si chiama luna, quello che se n'è andato era il sole: lui tornerà domani, e vedrai se t'insegnerà a scivolare lungo il fossato. Tra un po' il tempo cambierà, lo so perché la mia zampa sinistra dietro mi dà dei dolori... "Mah, non capisco proprio", disse il pupazzo. "Non so perché, ma sembra quasi che mi voglia dire qualcosa di spiacevole. Neanche quello di prima, che mi fissava e che si chiama sole, neanche lui deve volermi bene, temo". 33
"Bah!", abbaiava il cane alla catena, e dopo essersi rigirato per tre volte, si addormentò nella sua cuccia. Il tempo doveva davvero cambiare. Una nebbia umida e densa arrivò nelle prime ore del mattino e coprì tutta la regione; poi sul far dell'alba cominciò a soffiare il vento: un vento così rigido che il ghiaccio fece subito presa. Ma poi sorse il sole, e, che spettacolo Tutti gli alberi e le piante erano pieni di brina: sembrava una foresta di perle bianche: tutti i rami sembravano carichi di candidi fiori. Quei piccoli rami sottili e tanto fitti che d'estate non si riescono a vedere, perché le foglie li rivestono interamente, ora si distinguevano tutti, uno ad uno. Era un grande ricamo, così candido e brillante che pareva che da ogni ramo spuntassero diamanti, oppure tante piccole, minuscole candele, ancora più bianche della neve. "Che spettacolo unico al mondo", disse una ragazza, scesa nel giardino insieme a un giovane: si fermarono proprio accanto al pupazzo di neve e si misero a guardare gli alberi luminosi. "D'estate non esiste uno spettacolo altrettanto bello", disse ancora, mentre gli occhi le brillavano. "Neanche un tipo come quello lo trovi in estate", disse il ragazzo, indicando il pupazzo: "È molto bello!" La ragazza sorrise e fece un inchino davanti all'uomo di neve: poi si mise a ballare col suo amico sulla neve che scricchiolava. 34
"Chi erano quei due?", chiese il pupazzo al cane tenuto alla catena. "Tu, che vivi qui da tanto, li conosci?" "Li conosco sì", rispose il cane. "Lei mi ha fatto una carezza una volta, e lui mi ha dato un osso: quelli lì non li mordo". "Ma che ci fanno qui?" "Sono innamorrrrati!", ringhiò il cane alla catena. "Andranno ad abitare in una cuccia in due, e rosicchieranno gli ossi assieme! Bah!" "Ma due così ...sono importanti come me e te?", chiese il pupazzo. "Loro sono due padroni!", disse il cane alla catena. "Cosa vuoi saperne tu, che sei nato ieri? Ma io sono anziano e ho un sacco di esperienza: li conosco bene, quelli di casa, dal tempo che non stavo qui al freddo e alla catena! Bah! Bah!" "Cosa c'è di meglio del freddo?", esclamò il pupazzo. "Ma raccontami, dai! Però non trascinare quella catena! Mi fai stridere dentro con quel rumore". "Bah!", abbaiava il cane. "Un tempo ero un cucciolo, piccolo e morbido, dicevano: e stavo sempre accovacciato su una poltrona di velluto, e il padrone più importante di tutti mi teneva in grembo; tutti mi davano bacetti sulla gola e mi strofinavano le zampine con un fazzoletto; mi chiamavano "amore" e "tesoro"... ma poi divenni troppo grande per queste cose, e loro mi diedero alla governante: così andai a finire al piano terra! 35
Lo puoi vedere anche tu, da lì. Vedi la stanzetta dove facevo da padrone (infatti, vivevo con una serva). Senz'altro avevo meno spazio che al piano di sopra, però stavo anche meglio: avevo un cuscino tutto per me, ma soprattutto c'era una bella stufa, che in una stagione come questa è davvero la cosa migliore del mondo! Mi raggomitolavo lì sotto e nessuno mi vedeva più. Ah, me la sogno ancora, quella stufa lì! Bah!". "Ma è così bella una stufa?", chiese il pupazzo. "Mi somiglia un po'?" ... È il tuo esatto contrario: è nera come il carbone, ha un collo allungato e uno sportello di ottone: è così ghiotta di pezzi di legno che il fumo le esce dalla bocca: ma se ci stai vicino, anche sotto, e sentiresti che delizia! Guarda un po' se riesci a vederla, attraverso la finestra. Il pupazzo si guardò attorno finché non vide un oggetto nero, lucido, con uno sportello di ottone; intorno a lui il pavimento sembrava illuminato. Il pupazzo si sentì strano: era una sensazione che non riusciva a spiegarsi: in cuore aveva come una nostalgia che non aveva mai provato, ma che tutti gli uomini conoscono bene, quando non sono fatti di neve. "Ma perché l'hai lasciata?", chiese l'uomo di neve, che aveva deciso che doveva trattarsi di una creatura femminile. "Come hai potuto abbandonare quel posto?" "Sono stato costretto!", disse il cane alla catena. "Mi hanno buttato fuori e mi hanno attaccato qui dopo che mi capitò di mordere il più giovane dei padroni, perché aveva dato 36
un calcio al mio osso: osso per osso... ma loro se la sono avuta a male, e da allora sono qui alla catena, e ho finito per perdere la voce: senti come sono rauco? Bah! E così è finita la mia bella vita d'un tempo". Ma il pupazzo non lo ascoltava più: da un pezzo guardava fisso nella stanza della serva, dove, piantata sulle sue quattro zampe, sorgeva la stufa: più o meno, sembravano avere la stessa altezza. "Che strana sensazione quella che provo! Mi riuscirà mai di incontrarla? È un desiderio innocente, il mio, e i desideri si avverano sempre, quando sono innocenti. È il mio solo desiderio: sarebbe ben ingiusto se non potesse avverarsi! Devo entrare a ogni costo, anche se dovessi spezzare i vetri!" "Bah! Tanto non ci arriverai mai!", disse il cane alla catena; "e poi, se ti ci avvicini sei finito, non lo sai? Bah!" "Già ora non mi sento affatto bene", rispose il pupazzo; "sento una gran voglia di vomitare". Per tutto il giorno il pupazzo rimase a guardare la finestra: alla luce del tramonto la stanza sembrò diventare ancora più accogliente: la stufa emanava un bagliore dolcissimo, più dolce di quello della luna, e anche di quello del sole: dolce come può esserlo soltanto il bagliore di una stufa, quando è piena. Se qualcuno apriva lo sportello, ne usciva una fiammella: era una sua abitudine: e una di quelle fiamme sembrò penetrare proprio il petto del pupazzo di neve. 37
"Non resisto", diceva lui. "Com'è carina, quando mette fuori la lingua". Quella notte fu lunghissima, ma non per il pupazzo: egli era assorto nei suoi pensieri, che congelandosi scricchiolavano. All'alba i vetri alle finestre erano coperti coi più splendidi fiori di ghiaccio che un pupazzo di neve potesse desiderare: ma essi gli nascondevano la vista della stufa! Non l'avrebbe potuta vedere, finché il ghiaccio alla finestra non si fosse sciolto. Tutt'intorno si sentiva crepitare e scricchiolare: che freddo rigido! Il tempo migliore per un pupazzo di neve: eppure lui non era contento. Gli mancava la stufa. "Che brutta malattia per un pupazzo!", diceva il cane alla catena. "L'ho avuta anch'io: ma ormai l'ho superata. Bah! Tra un po' cambierà il tempo!" E infatti in breve arrivò un vento tiepido, che iniziò a sciogliere la neve. Più il vento soffiava, più il pupazzo diventava piccolo. Lui non disse niente, non si lamentò nemmeno, e questo era proprio il segno della fine. Poco tempo dopo crollò.
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Al suo posto restò qualcosa che sembrava un manico di scopa dritto nell'aria: i ragazzi lo avevano piantato affinché si reggesse meglio in piedi. "Adesso capisco cos'era la sua nostalgia!", disse il cane alla catena; "quel pupazzo aveva in corpo uno spazzolone per stufe! Ecco cos'era che lo turbava tanto! Bah! Ma ora è tutto finito". Anche l'inverno ormai era agli sgoccioli. "Bah!", diceva il cane, ma intanto le bambine nel giardino cantavano: "Bel mughetto, da bravo, esci fuori, vedi che al salice spuntano già i fiori? Se non è marzo, qui è già primavera, Senti gli uccelli cantare alla sera! E insieme a loro io canto: Cucù, Fratello Sole, vien fuori anche tu!" E al pupazzo di neve, chi ci pensava più?
Liza
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I SARVANOT SLA LOBIO (SAMPEYRE)
C'era una volta una famiglia di Rore che, in autunno, aveva raccolto le noci. Gli uomini le avevano messe in un sacco sul balcone, davanti alla camera in cui dormivano. Una notte, però, cominciarono a sentire tic tic e tic tic e tic tic. Le noci battevano e saltellavano sul piano in legno del balcone. La prima volta rimasero molto spaventati da questo rumore. Non ebbero il coraggio di uscire a vedere che cosa stava succedendo e rimasero in ansia tutta la notte. Al mattino uscirono e trovarono tutto a posto. Le notti seguenti si ripetÊ il tic tie e fie tie e tic tie. La loro paura col tempo diminuiva, ma il rumore non diminuiva. Era fastidiosissimo dormire con questo rumore continuo! Allora andarono da un saggio per chiedere 40
consigli sul da farsi. Questi disse: "Togliete le noci dal sacco, mettete dell'avena nello stesso sacco e nello stesso posto". Così fecero. Voi avrete già capito che erano i sarvanot che di notte andavano a giocare con le noci su quel bel balcone. La notte seguente i sarvanot arrivarono, vuotarono il sacco e videro i chicchi d'avena. Il risultato fu imprevisto; i sarvanot si misero a piangere, piansero tutta la notte. Così, anziché sentire il tic tic delle noci, gli uomini sentirono il pianto dei sarvanot. I sarvanot ritenevano di avere il diritto di andare a giocare con quelle noci, ma sentivano il dovere di rimettere tutto a posto prima che spuntasse il sole. A raccogliere un sacco di noci si fa abbastanza in fretta, mentre a raccogliere un sacco di avena occorre molto più tempo, perché i chicchi sono piccoli. Ecco perché i sarvanot piansero tutta la notte: quella notte non poterono giocare, non ne ebbero il tempo, perché dovettero raccogliere l'avena. Al mattino il sacco di avena fu trovato al suo posto, con tutti i chicchi dentro. Da quella volta i sarvanot non tornarono più su quel balcone.
Eleonora
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CENERENTOLA
C'era una volta un gentiluomo vedovo che viveva con la sua unica figlia. Egli donava alla sua adorata bambina qualsiasi cosa desiderasse..tuttavia capiva che la piccola aveva bisogno delle cure di una madre. Così si risposò, scegliendo una donna che aveva due figlie giovani le quali, egli sperava, sarebbero diventate compagne di giochi della sua bambina. Sfortunatamente, il buon uomo morì poco tempo dopo e allora la matrigna mostrò la sua vera natura. Era dura e fredda e profondamente invidiosa della dolcezza e bontà della sua figliastra, perchè queste qualità facevano apparire per contrasto le sue due figlie, Anastasia e Genoveffa, ancora più meschine e brutte. Le sorellastre andavano riccamente vestite, mentre la povera ragazza era costretta ad indossare un vestito semplice e grossolano e un grembiule e a svolgere in casa tutti i lavori più pesanti. Quando aveva terminato tutti i 42
lavori, per scaldarsi era solita sedersi vicino al camino accanto al carbone a alla cenere. Perciò cominciarono a chiamarla Cenerentola. La matrigna e le sorellastre dormivano in belle stanze mentre la piccola camera di Cenerentola era in soffitta, proprio sotto il tetto della casa, dove vivevano dozzine di topi. Nonostante tutto questo Cenerentola rimase gentile e cortese, sognando che un bel giorno la felicità sarebbe arrivata. Fece amicizia con gli uccellini che la svegliavano al mattino ed anche con i topolini con cui divideva la soffitta, diede a ciascuno un nome e cucì per loro dei minuscoli vestiti e cappelli. I topi amavano Cenerentola e le erano grati perchè talvolta li liberava da una trappola o li salvava da Lucifero, il malizioso gatto della matrigna. Ogni mattina Cenerentola preparava la colazione per tutti gli abitanti della casa: una scodella di latte per il gatto, un osso per il cane, avena per il suo vecchio cavallo, granoturco e frumento per le galline, le oche e le anitre del cortile. Poi portava al piano di sopra i vassoi della colazione per la matrigna e per le sorellastre Anastasia e Genoveffa. “Prendi questa roba da stirare e riportala entro un'ora” ordinava Genoveffa “Non dimenticare il mio rammendo e non impiegare tutto il giorno a finirlo” la rimproverava Anastasia “Stendi il bucato , batti il tappeto della sala, lava le finestre 43
e pulisci la tappezzeria!” ordinava la matrigna “Si, Genoveffa. Si, Anastasia. Si, signora madre” rispondeva Cenerentola mettendosi al lavoro di buona lena. Dall'altra parte della città c'era il palazzo reale. Un giorno il re convocò il granduca Monocolao e gli disse: “E' tempo che il principe prenda moglie e si sistemi!” “Ma, vostra maestà” rispose il duca “deve prima trovare una ragazza ed innamorarsi” “Hai ragione” ammise il re. “Daremo un ballo ed inviteremo tutte le fanciulle del reame. Dovrà per forza innamorarsi di una di loro”. Furono spediti gli inviti ed il regale biglietto fu recapitato anche nella casa di Cenerentola: “Un ballo! Un ballo! Andremo ad un ballo!” gridarono Anastasia e Genoveffa. “Anch'io sono invitata” disse Cenerentola “C'è scritto:Per ordine del re,ogni fanciulla potrà partecipare” Le sorellastre risero all'idea di Cenerentola che andava ad un ballo indossando il grembiule e con la scopa in mano. Ma la matrigna, con un sorriso sornione, disse che Cenerentola sarebbe certamente potuta andare se avesse finito il suo lavoro e se si fosse procurata un vestito decente da indossare. “Se..” rise Anastasia “Se..” sghignazzò Genoveffa. E venne il gran giorno. Fin dall'alba le sorellastre furono indaffarate a scegliere abiti, sottovesti e ornamenti da 44
mettere nei capelli e non parlarono che del modo in cui si sarebbero vestite per il ballo. Nel frattempo Cenerentola fu tenuta più occupata del solito perchè dovette stirare ampie gonne, sistemare guarnizioni, annodare nastri. Quando venne la carrozza a prendere la matrigna e le sorellastre, Cenerentola non aveva neppure avuto il tempo di prepararsi. “Bene” disse la matrigna “allora non verrai. Che peccato! Ma ci saranno altri balli!” Cenentola salì tristemente le scale buie e si affacciò alla finestra della sua stanza illuminata dalla luna. Guardò mesta il palazzo reale in lontananza che risplendeva di luci. All'improvviso una candela venne accesa alle sue spalle. Cenerentola si voltò e vide un bellissimo abito che avevano cucito per lei i suoi amici uccelli e topolini decorandolo con perle nastri e guarnizioni scartate dalle sorellastre. In men che non si dica Cenerentola indossò il vestito e corse giù per le scale gridando: “Per favore, aspettate, vengo anch'io!” Anastasia e Genoveffa si voltarono: com'era bella! L'invidia le accecò e... “Le mie perle!” gridò una. “Il mio nastro!” urlò l'altra e strapparono il vestito a Cenerentola per riprenderseli. Poi soddisfatte, se ne andarono. Disperata, Cenerentola corse in giardino singhiozzando : “E' proprio inutile. Non c'è niente da fare!” Ma in quel momento, da una nuvola di polvere di stelle 45
uscì una donna dalla faccia tonda, avvolta in un mantello con cappuccio. “Sciocchezze figliola” disse con voce dolce “Asciuga quelle lacrime: non vorrai mica andare al ballo in questo stato!” Cenerentola smise di piangere e chiese: “Chi siete?” “Sono Smemorina , la tua fata madrina” rispose lo strano personaggio. “Non abbiamo molto tempo a disposizione. Penso che per prima cosa tu abbia bisogno di una zucca” Cenerentola non capì il motivo ma obbedì e raccolse una grande zucca dall'orto. La fata agitò la sua bacchetta magica verso di essa e cantò: “Salagadula, mencica bula, bibbidi-bobbidi-bu...” la zucca si alzò lentamente sul fusto, mentre i viticci arrotolandosi si trasformarono in ruote: in un attimo diventò una splendida carrozza. “Ora “ disse la fata “ abbiamo bisogno di alcuni topi” Quattro piccoli amici di Cenerentola si presentarono di corsa ed ancora una volta, la fata, cantando le parole magiche, toccò con la bacchetta i topolini che vennero trasformati in quattro cavalli grigi pomellati che furono subito attaccati alla carrozza. Poi la fata mutò il vecchio cavallo di Cenerentola in un superbo cocchiere ed il cane Tobia in un elegante valletto. “E ora tocca a te, mia cara” disse la fata Smemorina, sfiorando Cenerentola con la sua bachetta. Il vestito strappato diventò uno splendido abito di seta e da sotto la 46
gonna sputarono un paio di scarpette di cristallo, le più belle al mondo. Cenerentola non riusciva a parlare per l'emozione. La fata allora la spinse in carrozza e le raccomandò di non rimanere al ballo oltre la mezzanotte: se fosse rimasta un solo minuto di più, la carrozza sarebbe ridiventata una zucca, i cavalli topolini, il cocchiere un vacchio cavallo ed il valletto un cane e lei stessa sisarebbe ritrovata vestita di stracci: Cenerentola promise e partì felice verso il palazzo reale. Quando arrivò, il ballo era già iniziato e il principe, con aria un po' annoiata, stava facendo l'inchino alla 210ma e 211ma damigella: le brutte sorellastre Anastasia e Genoveffa. All'improvviso, alzò lo sguardo e scorse all'ingresso la più bella fanciulla che avesse mai visto. Come trasognato, piantò in asso le sorelle e si avvicinò a Cenerentola, la prese per mano e l'accompagnò nella grande sala, in mezzo a tutti. Per tutta la serata il principe non ballò con nessun'altra e non lasciò al sua mano un solo minuto. La matrigna e le sorellastre non riconobbero Cenerentola e si rodevano d'invidia chiedendosi chi potesse essere la bella sconosciuta. Il vecchio re rideva soddisfatto: il figlio aveva trovato al donna dei suoi sogni. Passarono le ore. Quando l'orologio del palazzo cominciò a battere la mezzanotte Cenerentola ricordò la promessa. “Devo andare” gridò spaventata e ,liberandosi la mano da quella del principe. Attraversò il palazzo e scese di corsa lo 47
scalone, inseguita dal principe e dal granduca. Una scarpetta di cristallo le si sfilò correndo ma lei non si fermò finchè non fu in carrozza. L'orologio stava ancora battendo l'ora quando la carrozza lasciò il palazzo a tutta velocità; mentre oltrepassavano il cancello, risuonò il dodicesimo rintocco: carrozza, cavalli, tutto sparì e al loro posto comparvero una zucca, alcuni topolini, un cane, un vecchio cavallo ed una fanciulla vestita di stracci. Tutto ciò che rimaneva di quella magnifica serata era la scarpetta di cristallo che brillava al piede di Cenerentola. Il mattino seguente, il principe comunicò al re che avrebbe sposato soltanto al fanciulla che aveva perso la scarpetta al ballo. Il granduca Monocolao fu incaricato di cercare la ragazza il cui piede entrasse perfettamente nella preziosa scarpetta. Il granduca provò la scarpetta a tutte le principesse, alle duchesse, alle marchese, a tute le dame del regno, ma inutilmente. Arrivò infine alla casa di Cenerentola. La matrigna tutta eccitata, corse a svegliare le sui pigre figlie. “Non abbiamo un minuto da perdere!” gridò “C'è la possibilità che una di voi diventi la sposa del principe se riuscirà a calzare la scarpetta di cristallo!” e le mandò giù di corsa dal duca Poi seguì Cenerentola che era andata nella sua stanza per rendersi presentabile al duca e ve la chiuse a chiave. Nessun'altra doveva poter approfittare di un'occasione 48
tanto fortunata. Quando Cenerentola udì lo scatto della serratura, capì, troppo tardi, cos'era accaduto. “Per favore, vi prego, fatemi uscire!” implorò girando inutilmente la maniglia. La matrigna si mise in tasca la chiave e se ne andò sogghignando. Non si accorse però che due topolini la seguivano, senza mai perdere di vista la tasca nella quale aveva messo la chiave. Nel frattempo Anastasia e Genoveffa stavano discutendo sulla scarpetta di cristallo e ciascuna affermava che fosse la sua. La matrigna le osservò con attenzione mentre tentavano inutilmente di far entrare i loro piedoni nella minuscola scarpetta. Non si accorse quindi che i dure topolini le sfilavano la chiave dalle tasca portandosela via. Il granduca riprese la scarpetta alle due sorellastre immusonite e si avviò alla porta quando Cenerentola chiamò dalle scale : “Per favore Vostra Grazia, aspettate! Posso provarla anch'io la scarpetta?” La matrigna tentò di sbarrarle il passo. “E' solo Cenerentola,la nostra sguattera” disse al duca, ma egli la spinse di lato. “Signora, i miei ordini sono : ogni fanciulla del regno!” La malvagia matrigna tentò un ultimo trucco. Fece lo sgambetto al servitore del duca che reggeva su un cuscino 49
la scarpetta di cristallo. La preziosa scarpina cadde a terra frantumandosi in mille pezzi. “Oh, è terribile!” gridò il duca “Cosa dirà il re?” Allora Cenerentola mise la mano nella tasca del grembiule. “Non preoccupatevi” disse “ho io l'altra scarpetta” Il duca gliela calzò e naturalmente il piede entrò senza alcuna fatica. In quel momento entrò la fata Smemorina che toccò Cenerentola con la bacchetta magica e tutti poterono constatare che era proprio lei la sconosciuta che aveva conquistato il cuore del principe al ballo. Cenerentola fu accompagnata al palazzo reale con la carrozza del re. Là, fra grandi feste e al suono delle campane del reame, Cenerentola sposò il suo principe. E da quel giorno vissero felici e contenti.
Roberta
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IL PICCOLO ALBERO DI NATALE Di Giulio Gavino
C’era una volta un piccolo albero di Natale che, quando parlava con mamma albero di Natale e papà albero di Natale, non vedeva l’ora di poter mettersi addosso le palline colorate, i festoni argentati e le lampadine. Sognava ogni notte il suo momento, entrare nel salotto buono, gustarsi i sorrisi gli auguri in famiglia, lasciarsi sfuggire una lacrima di resina dalla contentezza. E venne finalmente il giorno del piccolo albero di Natale. Venne scelto quasi per caso tra tanti amici alberi di Natale anche loro. Pensava: "Adesso è venuto il mio momento, adesso sono diventato grande". Il viaggio fu lungo, incappucciato di stoffa bagnata per non perdere il verde luminoso dei rami ancora giovani. Tornata la luce, il piccolo albero di Natale si trovò nella casa di una famiglia povera. Niente palline, niente festoni, solo il suo verde scintillante faceva la felicità dei bambini che lo stavano a guardare con 51
gli occhi all’insù, affascinati. Era il loro primo albero di Natale. Subito fu deluso, sperava di poter dominare una sala ricca di regali e di addobbi eleganti. Ma passarono i giorni e si abituò a quella casa povera ma ricca di amore. Nessuno aveva l’ardire di toccarlo. Venne la sera di natale e furono pochi i regali ai suoi piedi ma tanti i sorrisi di gioia dei bambini che per giorni erano rimasti a guardarli sotto il suo sguardo severo per cercare di indovinare che cosa ci fosse dentro. Venne il pranzo di Natale, niente di speciale. Venne Capodanno, con un brindisi discreto, ma auguri sinceri. E venne anche l’Epifania e il momento di andare via. Questa volta non lo incappucciarono. Lo tolsero dal vaso, gli bagnarono le radici e tutta la famiglia lo accompagnò verso il bosco. Era felice di ritornare con mamma albero di Natale e papà albero di Natale. Passando per la strada vide tanti suoi amici, ancora con le palline colorate e i fili d’oro e d’argento, che lo salutavano. Ma c’era qualcosa di strano, erano tutti nei cassonetti della spazzatura, ricchi e sventurati, piangevano anche loro resina, ma non per la contentezza. Chissà dove sarebbero finiti! Ora il piccolo albero di Natale è diventato un abete grande e possente, ha visto tanti figli andare in vacanza per le feste. Qualcuno è ritornato, sano o con un ramo spezzato. Lui guarda da lontano la città dove i bambini del suo Natale lo hanno amato e rispettato. Perché è un albero di Natale, albero di Natale tutto l’anno, perché Natale non vuol dire 52
essere buoni e bravi solo il 25 dicembre, perché Natale può essere ogni giorno. Basta volerlo come quel piccolo albero di Natale che ci tiene compagnia sulla montagna, anche se lontano, anche se non lo vediamo. E c’era una volta e c’è ancora oggi, un albero di Natale. Sempre diverso e sempre uguale, quasi un caro amico di famiglia che si presenta ogni anno per le vacanze, le sue vacanze, da Santa Lucia all’Epifania. Grande, piccolo, verde o dorato, testimone di ogni Natale, un amico con il quale aspettare l’apertura dei regali e l’occasione buona per scambiarsi gli auguri, per fare la pace, per dirsi anche una parola d’amore. E tutti vogliamo bene all’albero di Natale, ogni anno disposti ad arricchire il suo abbigliamento con nuove palline colorate, un puntale illuminato e addobbi d’oro e d’argento. È cresciuto con noi, cambiato ogni anno, sempre più bello agli occhi di chi guarda, occhi di bambino, ma anche occhi di adulto che vuole tornare bambino. Per quei giorni di festa è lui a fare la guardia al focolare, a salutare quando si rientra a casa, a tenere compagnia a chi è solo. Una presenza che conforta, non solo nell’anima. È meglio se l’albero è di quelli con le radici, pronto a dismettere l’albero della festa e a compiere il suo dovere in mezzo ai boschi, a diventare grande, libero e felice.
Elena
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QUELLA VOLTA CHE BABBO NATALE NON SI SVEGLIO’ IN TEMPO di Thomas Matthaeus Muller
Hubert, l'anziano Babbo Natale, saltò giù dal letto: accipicchia, non si era svegliato in tempo! Era già la vigilia di Natale, e non c'era ancora nulla di pronto, nemmeno un pacchettino! Dappertutto sul pavimento erano sparse in disordine le molte letterine di Natale che il postino aveva fatto passare attraverso una fessura della porta. Quasi contemporaneamente qualcuno busso alla porta e la renna Max, fedele assi stente di Hubert, entro puntuale come ogni anno. "E che cosa faccio adesso?" si lamento Hubert. "La sveglia non ha suonato!" "Chiedi a Otto, il mago, se può fermare il tempo, cosi tu potresti procurarti ancora tutti i regali", suggerì la renna Max." Otto sa soltanto far apparire conigli dal cilindro!" 54
brontolo arrabbiato Hubert. "E per di piĂš soltanto bianchi!" "Allora portiamoci dietro la cassa dei travestimenti", disse la renna Max. La cassa dei travestimenti era un baule enorme e pesante, piena di vecchi costumi, fazzoletti colorati, cappelli, scarpe e scialli che Hubert, anni prima, aveva ricevuto in regalo da una compagnia teatrale. Quando la caricarono sulla slitta questa si ruppe nel mezzo. "E adesso che faccio?" si lamento Hubert. "Portiamola a mano." sbuffo la renna Max, si sfrego gli zoccoli prima di mettersi al lavoro e trasportarono la cassa cosi per tutta la strada fino in cittĂ ... per fortuna era in discesa. Tutti i bambini stavano giĂ aspettando con ansia i regali di Natale. Ma quell'anno Hubert e Max, al posto dei regali, fecero una divertente rappresentazione teatrale. E non ebbero niente in contrario quando, uno dopo l'altro, i bambini si misero anch'essi a recitare. Si narrava di un Babbo Natale stanco e arruffato... e l'inizio faceva cosi: Hubert, l'anziano Babbo Natale, salto giĂš dal letto ... accipicchia, non si era svegliato in tempo!
Barbara S.
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LA GABBIA D’ORO‌
Un uccellino trovato ferito durante una passeggiata in un bosco, trovò dimora in una gabbietta nella stanza di una bambina. Ogni giorno la bambina con l’aiuto della mamma, curava le ferite del passerotto, e poi lo rimetteva nella gabbietta, tutta ripulita, con acqua fresca e mangime. I giorni passavano, e la bambine era felice di vedere che il passerotto si stava riprendendo, ma il passerotto pensava, al tempo stesso, quando volava felice per i boschi, a guardare le nuvole e correre al riparo quando iniziava la pioggia, il tramonto del sole appoggiato su di un ramo o il sorgere, appoggiato su di un davanzale pieno di bricioline! Passarono mesi, e la bambina continuava a vedere miglioramenti, ed ogni giorno lo curava, puliva la gabbietta, acqua fresca e cibo sempre pronto, e poi metteva la gabbietta sul davanzale con la finestra aperta per farlo sentire nel suo ambiente, per quanto le era possibile.
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Erano ormai passati vari mesi, e il passerotto era guarito, ma la bambina si era affezionata, invece il passerotto da parte sua non vedeva l’ora di tornare in libertà. Ogni giorno la mamma diceva alla bambina che era ora di rimettere l’uccellino in libertà, ed ogni giorno la bambina, rispondeva; domani!!! Una bella mattina di sole, la mamma chiamò la bambina, le fece un discorsetto, le disse che i passerotti sono animali del cielo, sono animali liberi, e che tenerli nella gabbietta, rischiava di trovarlo morto, la bambina con le lacrime agli occhi, prese la gabbietta la mise sul davanzale, aprì la porticina della gabbietta e… Il passerotto guardava quei lacrimoni scendere dal viso della bambina, e così si accorse che quella bambina era stata una “mamma” per lui, lo aveva accudito, curato, dato da mangiare, ed ora che poteva essere di nuovo libero, non sapeva cosa fare… Certo erano stati mesi difficili, ma era stato molto bene, non si doveva preoccupare né di cibo, nè di acqua, di dove trovare un riparo dalla pioggia e dai rapaci che piombavano frequentemente su di lui, e quante volte era riuscito a scappare, ma quella era la sua natura! La bimba lo guardò e a malincuore, capì!! Lo preso nelle sua mani, gli diede un grosso bacio sulla testolina e con le mani giunte ma aperte gli fece capire che poteva andare, e che lei sarebbe stata felice. 57
Così il passerotto fece, spiccò il volo, girandosi una volta sola guardando la sua gabbietta d’oro, e volando verso il sole che tramontava cinguettò per ringraziare la bambina, e piano piano il passerotto non si vide più, era tornato a vivere!! Fine
Marzia
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LA FOCA CELESTINA
C’èra una volta non molto tempo fa , Una piccola foca di nome Celestina lei èra bella intelligente simpatica ,aveva un solo difetto invece di essere nera o marrone èra di un bel celestino cielo ,da qui il suo nome . Lei si distingueva sempre oltre che per il suo colore anche per la sua bontà èra sempre pronta ad aiutare chi èra in difficoltà …. un bel giorno mentre passeggiava sulla spiaggia trovò una piccola tartaruga acquatica che piangeva ,Celestina le disse :”Tesoro perché piangi una bella tartaruga come te … che cos’è che ti rende così triste ?”, la tartarughina rispose :”Sono nata da poche ore ma non trovo la mia mamma ,ho visto tutti i miei fratelli e sorelle dirigersi di corsa verso il mare …” e perché allora non sei andata con loro ? disse Celestina , “ma perché io non ho visto la mia mamma e senza di lei io non mi muovo!!” rispose la tartarughina ,a quel punto Celestina scoppiò in una sonora risata e disse : “Come ti chiami tesoro?” “ Mi chiamo Stella !” rispose la tartarughina e aggiunse :” Ma cosa hai da ridere ? “ “ Rido perché sei una sciocca, le tartarughjne dopo che sono nate provvedono da sole al loro 59
sostentamento perché nascono già autonome e quindi non hanno bisogno della mamma !!” rispose Celestina . “Ma io ho bisogno di una mamma !!” rispose Stella e poi aggiunse :”Ti posso adottare ?!!...Vuoi essere tu la mia mamma ?! “Celestina rispose :” ma io sono una foca e te sei una tartaruga capisci da sola che non è possibile !!” “Dai Celestina ti prego.. ti prego.. ti prego !!!” “ E va bene Stella sei troppo dolce e indifesa per dirti di no ,io ti adotterò come figlia però ad una condizione quando sarai grande e sentirai il bisogno di andartene ed io sarò vecchia , non dovrai preoccuparti di me e fare quello che è più giusto per te , d’accordo?” “D’accordo d’accordo … o grazie mammina Celestina !!” E così fecero rimasero mamma e figlia fin quando Stella non se ne andò per formare una nuova famiglia , e Celestina continuò a fare del bene al prossimo anche se èra diventata vecchia !!!
Annalisa
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LA SCATOLA BLU
Mancavano pochi giorni a Natale, dalla vetrina di quel mobile lei vedeva, giorno dopo giorno, il salone colorarsi di luci ed addobbi scintillanti. Gli abitanti di quella casa le passavano davanti, poggiavano qualche pacco sotto il grande albero verde, che aveva indossato l'abito della festa ricco di fiocchi rossi e splendenti palline dorate che riflettevano il via vai di quei giorni di festa. Da sempre era cosĂŹ....l'aria era come se cambiasse, il fermento per quei giorni, i piĂš belli dell'anno ogni volta era uguale, ma per quella casa ed i suoi abitanti era come fosse sempre nuovo.... Solo per lei poco cambiava : il piumino le passava vicino, l'accarezzava, portava via quella poca polvere che le si era posata sopra, perchĂŠ tutto doveva essere in ordine, tutto doveva splendere e profumare di Natale, l'odore buono di abete si mescolava a quello aggrumato di qualche candela accesa.... e tutti aspettavano ...il momento di un regalo, di un abbraccio,di un sorriso che era mancato. Anche lei era stata un regalo di quella festa, qualche Natale fa era arrivata chiusa in una bellissima scatola blu', avvolta in una carta colorata, ed era stata la gioia di 61
qualche giorno per la piccola Anna, come non ricordare il suo sorriso e la sua voglia di vederla "girare" al suono di quella musica che da sempre era parte di lei.... piccola ballerina di un carillon. "Brava Anna, fai ruotare con attenzione la piccola chiave... e guarda cosa succede..." le dicevano i nonni, che avevano pensato a lei come regalo per la piccola,da sempre appassionata di tutù e di scarpette di raso... In un attimo salì a lei l'energia magica della sua musica che l'accompagno' nei suoi mille giri sulla punta del minuscolo piedino, e sentì gli occhi azzurri di Anna puntati su di lei, che guardavano con meraviglia i suoi movimenti pieni di grazia. Anna aveva tenuto quella scatola magica nella sua camera e per giorni e giorni il gioco e la sua meraviglia si erano ripetuti : la poggiava sul piccolo scrittoio, girava la chiavetta dorata e guardandola la imitava alzando la sua gamba ed il suo braccio in un perfetto arabesque, era come se fossero un piccolo corpo di ballo, con i loro passi sincronizzati, con movimenti e pose perfettamente all'unisono. Fino a quella mattina...Anna non capiva chi avesse messo così in alto la sua piccola scatola magica, prese una sedia e salita sopra si allungò fino a cercare di prenderla...la mano che stringe un po' indecisa...e poi solo il rumore sordo e stonato della sua musica, il pianto della piccola, la chiave che con gira ....e lei piccola ballerina di quel carillon... immobile, ormai ferma ...per sempre. 62
La bambina dopo le lacrime si era ben presto consolata con nuovi giochi ed altre musiche su cui ballare. Invece lei, adesso, era chiusa in quella vetrina e vedeva una volta ancora un nuovo Natale arrivare.... Avrebbe voluto poter scrivere una di quelle lettera che i piccoli di casa avevano messo sotto il grande albero, con espressi i tanti loro desideri, che solo in quella notte magica potevano prendere forma... Su quella pagina avrebbe chiesto di poter tornare a danzare, anche una volta sola, avrebbe messo il suo sogno lì, insieme a quegli degli altri ed avrebbe aspettato...immobile... nel silenzio.... quella notte... E quella piccola ballerina di carillon, nel buio del salone, vide ad un tratto aprirsi la sua vetrina, come sipario vellutato di un grande teatro, le cui luci erano quelle del grande albero, che come per magia si abbassarono facendo salire a lei la musica che le aveva sempre dato la vita… quel calore che magicamente le arrivava da dentro la sua scatola blù, per una volta, in quella notte….., la trasformò nell’etoile di quel palcoscenico, e le sue piroette ed i sui plié, in quella notte……, furono superbi, in quella notte… e tutto questo per me e per chi, come me, crede ancora che possano esserci notti tanto magiche da realizzare i sogni ed i desideri buoni di ognuno.
Anna Proietti
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IL RE LEONE E LA FARFALLA
Anche nelle savane africane può accadere che il leone si riposi. All'ombra di un Baobab dopo una giornata di caccia il leone, re della savana osservava distratto il suo regno. Nessuno osava avvicinarsi, nessuno pensava di disturbare, nessuno si permetteva di sfiorare la folta criniera. Le zebre con incedere elegante fiutavano il pericolo, le iene pensavano ai resti del pranzo del re, le formiche procedevano in fila indiana aggirando il baobab. Solo una farfalla, una grande farfalla dalle ali rosa chiazzare di azzurro, decise di posarsi proprio sulla criniera del re leone, attratta dal suo lento ondeggiare prodotto dalla brezza pomeridiana. Il re leone scosse la testa, aprì la bocca, frustò la sua criniera con l' enorme coda. Ma niente: lei, la farfalla, rimase li e continuò imperterrita il suo lento dondolio. - Togliti, mi infastidisci, togliti perché con un colpo di coda posso ucciderti. - Ma che fastidio ti do! Mi piace dondolarmi. 64
Si, lo so, tutti ti temono, tutti hanno paura della tua forza, ma in fondo anche tu potresti avere bisogno di aiuto. - Cosa dici! io non ho bisogno di nessuno. Sono il re della foresta. E i sudditi siete tutti voi. La mia pazienza è al limite. Quindi ora vattene...anzi, facciamo un patto: potrai tornare a dondolarti, visto che ti piace così tanto, il giorno che io avrò bisogno di te. La farfalla allora si alzò in volo, svolazzò attorno al leone e poi sparì nel tramonto sempre più infuocato. Passarono i giorni e la vita, nella savana, continuava con i soliti ritmi. Fu solo dopo settimane che il leone si accorse, mentre riposava, che nella savana qualcosa non funzionava secondo le regole. Le zebre correvano troppo forte, le gazzelle cercavano riparo dove la foresta incontrava la savana, nessun uccello cantava, e le formiche, si, anche le formiche, acceleravano il passo per rientrane nei loro pertugi. Il leone però non si mosse. Aveva corso troppo per inseguire le gazzelle e il lauto pasto lo aveva affaticato. Scosse la criniera e pensò - sono impazziti, meglio riposarsi, tanto cosa può succedere, io sono il re -. E si addormentò. Fu allora che gli uomini si mossero. I piedi nudi non producevano alcun rumore e il vento soffiava contro di loro disperdeva gli odori. Il re leone non si accorse di nulla se non quando una pesante rete lo avvolse impedendogli di muoversi e di fuggire. Arrivo la gabbia. 65
Un recinto di possenti tronchi legati tra di loro con le liane raccolte nella foresta. Impossibile per il Leone fuggire, perché la gabbia era troppo alta per poterla superare. Disperato, preoccupato per un destino che non conosceva, il re leone continuava ad agitarsi, la sua voce usciva possente ma inutile. Gli uomini pensarono di riposarsi sotto il baobab. Tanto il leone non poteva fuggire. - Ehi, ehi leone, cosa ti è successo? – La voce arrivava dall' alto, e in un primo momento il re leone non capiva chi potesse interessarsi della sua sorte. Poi, dopo due svolazzi vicino al suo naso, il leone si accorse che era la farfalla rosa. - Mi hanno catturato. Dormivo. Vattene tu non puoi fare nulla. - Ma io devo fare qualcosa, ho una sfida, e poi ho bisogno della tua criniera. Mi piace dondolarmi. - Non farmi ridere! una farfalla quando servirebbe un elefante, una mandria di zebre, un intero branco di gazzelle. Una farfalla, una farfalla, ....... cosa può fare una farfalla!! - Faròòòòòòò! - e la voce si dissolse come un eco e la farfalla volo via nell' aria. Passarono pochi minuti e accade il miracolo. Milioni, milioni, milioni di farfalle scesero silenziose dal cielo, e invasero la gabbia, come ventose possenti si legarono al suo corpo e a un tacito comando iniziarono a 66
muovere in completa sintonia le loro ali. Milioni di ali, un fruscio che stordiva e poi, lentamente ma senza sosta il re leone si sentì sollevare, più su, sempre più su, fino a superare la gabbia e a spostarsi verso la libertà. Il volo durò solo pochi minuti e gli uomini non capirono neppure cosa stava accadendo. Vedevano solo una enorme massa di ali colorate che si spostava verso il sole calante. Poi, lentamente, il re leone si trovò a terra, scrollo la criniera, ruggì con una dolcezza che nessuno aveva mai sentito e tutte le farfalle ruotarono attorno al suo corpo, rispettose, fiere, leggere, possenti. Poi, nel silenzio, milioni di ali ripresero la strada del cielo e il re leone capì. Capì che lui era il più forte ma, nello stesso tempo, il più solo. Capì che se quelli che appaiono deboli riescono a mettersi insieme sono in grado di travolgere qualsiasi barriera, superare qualsiasi ostacolo.
Federica
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LA STORIA DEL PRESEPE
Papà, quest'anno il nostro presepe sarà bellissimo! La capanna è grande come una chiesa e la pecorella arrivata per prima aspetta di sentir suonare lo zampognaro. - Io vorrei che assieme al bue e all'asinello ci fossero anche i leoni, le tigri e gli aquilotti. Noi non li abbiamo, ma ci potrebbero anche stare, si farebbero buona compagnia: nel presepe non c’è violenza e vicino al pettirosso si può mettere il gatto, accanto all'agnellino il lupo: il mondo del presepe è un mondo di pace. - Papà, ci manca anche «l'angelo della gloria»: l'anno scorso si è rotto... e senz'angelo chi lo dice ai pastori che è nato Gesù? - L'angelo lo porterà il nonno assieme al cielo 68
stellato, che metteremo dietro alla capanna; porterà anche la cometa, che fa strada ai re Magi che vengono dall'Oriente. - Io vorrei fare un laghetto piccolo piccolo, e
metterci dentro i pesciolini rossi che ho in camera. - I pesci rossi non stanno bene nel presepe, perché hanno bisogno di cure e poi si muovono, essendo vivi, mentre il presepe e fisso come una fotografia: vuole richiamare quell’attimo in cui, secondo la tradizione, il tempo si è fermato per lo stupore. E fu un grande silenzio su tutta la terra, perché a Betlemme era nato Gesù: un Dio bambino - Papà, questo è scritto nel Vangelo? - No, questo lo dice un'antica tradizione. Il Vangelo di Luca dice solo che Maria - la mamma di Gesù - e Giuseppe suo sposo erano a Betlemme quando «giunse per lei il tempo di partorire e diede alla luce il suo figlio primogenito. Lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'albergo. In quella stessa regione si trovavano dei pastori: vegliavano all'aperto e di notte facevano la guardia al loro gregge». Un angelo si presentò loro avvolto di luce e 69
annunciò che era nato un bambino straordinario, che chiamò Messia e Signore. Altri angeli, volando in cielo, cantavano: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» L'asinello e il bue ci sono nel Vangelo? Sono nominati, ma non nel racconto degli avvenimenti di Betlemme: un’antica profezia di Isaia aveva parlato di questi due animali domestici, così laboriosi e pacifici. La tradizione dei primi cristiani li vuole vicino alla grotta assieme alle pecorelle e ai pastori. – Papà, è arrivato il nonno, ha portato “l’angelo della gloria”. Ma la mamma ci sta chiamando a tavola: il pranzo è pronto! Nonno, dopo pranzo ci racconti la storia del presepe? Ci parli dei re Magi?… - Va bene, va bene, ma solo più tardi. Tanti e tanti anni fa i cristiani, per sentire più intensamente la festa del Natale e viverla con maggiore religiosità, presero a sceneggiare quelle pagine di Vangelo dove si raccontano i fatti riguardanti la nascita di Gesù. Dalla semplice lettura del Vangelo si passò così alla sacra rappresentazione, con personaggi veri e talvolta anche 70
animali veri; i costumi indossati erano simili a quelli illustrati nei mosaici delle chiese e nei bassorilievi dei sarcofagi; il testo sacro veniva recitato e cantato come a teatro, anche se con uno spirito diverso. Il risultato in qualche caso fu così eccezionale, che molta gente proveniente da altri paesi o rioni della stessa città vollero vederlo. Ci furono molte repliche e se ne parlò a lungo. Qualcuno pensò di perpetuare il Natale per tutto l'anno e scolpì in legno o in marmo i personaggi di Betlemme: a Roma, nella basilica di Santa Maria Maggiore, ancor oggi si può ammirare un prezioso esempio di presepe in marmo del Milleduecento. Le statue, ad altezza naturale, sono di Arnolfo di Cambio: vi troviamo la Madonna col Bambino sulle ginocchia, san Giuseppe, il bue e l'asinello; davanti alla Madonna c'è uno dei re 71
Magi prostrato in adorazione, mentre gli altri due, in piedi, offrono i loro doni. Ma il presepe cosÏ come lo conosciamo noi, con la grotta al centro e tutti gli uomini che vanno verso il Bambino, fu inventato da Francesco di Assisi, il santo ottimista amante della natura, che predicava alle rondini e salutava cortesemente le pecore e gli agnelli. Francesco ci ha lasciato nel presepe un mondo piccolo e ideale, che l'uomo può costruire con le sue mani ma deve inventare ogni anno, senza venir meno alle piccole leggi del ricordo e del simbolo: altrimenti il presepe non porta piÚ un messaggio e diventa solo un gioco. Leggiamo nelle cronache del tempo che Francesco – qualche tempo prima di intonare il suo Cantico delle creature in cui, prestando voce agli 72
elementi, loda Dio per fratello Sole e fratello Vento, per sorella Acqua e sorella luna, per fratello Fuoco e sorella morte – inventò a Greccio, vicino a Rieti, il primo presepe.
Francesco era famoso in tutta la cristianità per la vita che conduceva: da quando si era spogliato dei suoi abiti davanti al vescovo per ridarli al genitore, molti giovani avevano lasciato beni e professione per seguirlo nel suo ideale di povertà. Egli parlava del Vangelo con tale entusiasmo che la gente e persino gli uccelli lo ascoltavano attenti. Nell’anno 1210 era stato a Roma da papa Onorio III e gli aveva chiesto l’approvazione della sua Regola di vita con i fratelli, in povertà assoluta, predicando il Vangelo nella semplicità, Il papa aveva elogiato il suo nuovo modo di essere cristiano e gli aveva permesso di costituire una famiglia religiosa. Mentre tutti pensavano alla guerra e a 73
vendicare torti veri o presunti egli, “armato” del perdono e della parola di Gesù, nel 1219 partì crociato in oriente: fu ricevuto dal sultano al-Malik- al-Kamil e potè visitare i pace i luoghi santi della vita del Signore. Il ricordo più intenso di questo viaggio fu la visita alla grotta di Betlemme ove il Signore volle nascere nella povertà.
Un giorno un nobiluomo di nome Giovanni, incontrando Francesco, gli chiese cosa doveva fare per seguire le vie del Signore. Francesco gli disse di prepararsi e preparare il Natale. Allora quel tale fece costruire una stalla, vi fece portare del fieno e condurre un bove e un asino. Poi arrivò dicembre… La notte di Natale del 1223 molti pastori e contadini, artigiani e povera gente si avviarono verso la grotta che Giovanni da Greccio aveva preparato per Francesco. Alcuni avevano portato doni per farne omaggio al Bambino e dividerli con i più poveri. Francesco disse di volere celebrare un rito nuovo, più intenso e 74
partecipato; per questo aveva chiesto il permesso al papa. Inviò un sacerdote, che su un altare improvvisato celebrò la Messa. Francesco, attorniato dai suoi frati, cantò il Vangelo. Francesco stava davanti alla mangiatoia ricolmo di pietà, cosparso di lacrime, traboccante di gioia. Dopo il canto del Vangelo, “Fratelli – dice Francesco – questa è la festa delle feste. Oggi Dio si fa piccolo infante e succhia un seno di donna”. La commozione è tale che Francesco stesso si sente egli stesso un bambino e comincia a balbettare, come fanno appunto i bambini.
Allora fu visto «dentro la mangiatoia un bellissimo bambino addormentato che il beato Francesco, stringendo con ambedue le braccia, sembrava destare dal sonno». Fra i testimoni del miracolo molti erano personaggi degni di fede e questo contribuì a divulgare la notizia in tutto il Lazio, 75
l'Umbria e la Toscana fino a Genova e Napoli: ovunque ci fosse un convento e ovunque si festeggiasse il Natale. Da quel miracolo molti trassero benefici spirituali e corporali: alcuni si convertirono e diventarono piÚ buoni, altri presero il fieno della mangiatoia di Greccio e lo usarono come medicina contro i malanni degli uomini e delle bestie; una donna, travagliata da un parto difficile, trovò forza e pace... Nacque felicemente un bambino e fu festa per tutta la casa. Tutto il paese sapeva di questi prodigi e teneva memoria di quella notte santa, quando un Bambino era apparso a Francesco, che aveva voluto ricostruire l'ambiente del primo Natale in un bosco dell'Appennino. La vita riprese serenamente nei conventi dove abitavano gli amici di Francesco, nei casolari dei contadini e nelle città dove Francesco andava
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predicando la pace fra le fazioni avverse e le famiglie ostili. Un giorno di dicembre un frate molto timorato di Dio chiese a Francesco «se anche a Natale rimaneva l'obbligo di non mangiare carne, dato che quell'anno cadeva di venerdì». Francesco, con ferma dolcezza, lo apostrofò: “Tu pecchi, fratello, a chiamare venerdì il giorno in cui è nato per noi il Bambinello”. Questa è festa grande, diceva, e raccomandava che anche agli amici animali quel giorno fosse dato cibo in abbondanza e che il bue e l’asinello avessero una doppia razione di biada. Il suo insegnamento venne poi raccolto dai valligiani e dai contadini: spesso le fanciulle delle contrade dove Francesco era passato spargevano al vento e per le strade granaglie e frumento, perché le allodole e i pettirossi, gli scriccioli e le tortore selvatiche non avessero a soffrire per mancanza di cibo. Questa è la storia vera del presepe, e adesso andiamo a stendere il cielo con la stella cometa, a mettere la neve sugli alberi e le montagne, a imbiancare la città,
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a far volare l’angelo della gloria tra le stelle lucenti. – Nonno, ma perché quest’anno l’angelo reca una scritta strana? E’ la solita scritta: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”; solo che è in inglese, in russo, in arabo e in cinese. - Ma tu, nonno, sai leggere il ci-nese? - No, e nemmeno il russo e l'arabo. Ma Gesù è amico di tutti i bambini del mondo e parla di pace in ogni lingua e paese.
Paola
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LA FARFALLA E LA COCCINELLA
Il cielo divenne tutto nero, si mise a tuonare e scoppiò un temporale,ma per le due amiche finì tutto bene. In un grande campo pieno di fiorellini color oro, viveva una farfallina rossa e azzurra. Leggera come una bolla di sapone, volava tutto il giorno sul campo e oramai era diventata la messaggera dei fiori: di tanto in tanto si riposava su qualche fiorellino del campo che ormai conosceva bene e portava loro notizie degli altri fiori. Un bel giorno d’estate mentre volteggiava nell’aria, la farfalla si scontrò con una coccinella rossa con tanti puntini neri sulle ali,che non si era accorta di lei;” Che cosa succede?”domandò la bella farfalla rossa e azzurra.:”Scusami” rispose la coccinella “ Sono andata a domandare al sole se brillerà tutta l’estate, ma lui, si è arrabbiato perché l’ho disturbato ed è andato a nascondersi dietro ad un grosso nuvolose nero. Allora mi sono spaventata e sono scappata più in fretta che potevo e sono arrivata fin qua “. 79
Come finì di parlare,si alzò un forte vento che si portò via la farfalla e la coccinella . Il cielo divenne tutto nero, si mise a tuonare e scoppiò un temporale. Quando diminuì la pioggia le due poverine si guardarono intorno e cercarono di trovare la strada per tornare al campo, ma dato che avevano entrambe le ali bagnate, non riuscirono a muoversi. Spaventate iniziarono a piangere. Il sole sentendo i loro singhiozzi,si calmò e mandò un timido raggio che in breve asciugò le ali dei due insetti . Poi ritornò definitivamente di buon umore e disegnò in cielo un arcobaleno. Le due amiche rassicurate, volarono via . Dopo un po’ furono abbagliate da mille piccole stelle che brillavano lontano: la farfalla riconobbe i suoi amici fiori, cominciò a chiamarli per nome e tutti alzarono la testa, aprendo i loro petali bagnati al sole e salutando la loro amica. Con pochi battiti d’ali i due insetti si ritrovarono tra i fiori color oro e la farfalla, più felice del solito,iniziò a volare da un fiore all’altro, abbracciandoli e baciandoli. Poi per tutta l’estate si prese cura della piccola coccinella che non andò più ad importunare il sole, che rimase in cielo felice e sempre sorridente.
Patrizia 80
Il Lino
di Hans Crhistian Andersen
Il lino era fiorito: si era coperto di corolle celesti leggere come le ali di una farfalla. Il sole lo accarezzava: ogni tanto una pioggerella leggera lo rinfrescava, ma gli faceva bene, come fa bene il bagno ai bambini che, dopo, sembrano ancora più belli. " Tutti coloro che passano dicono che è un piacere guardarmi " sussurrava " sono molto cresciuto, e un giorno diventerò una tela altrettanto bella. Come sono contento! " I pali dello steccato scricchiolavano in tono ammonitore: - Tu non sai che cosa sia la vita. La tua sta per terminare! "Terminare già?" pensava il lino "Ah no! Il giorno sorgerà anche domani, e sole e pioggia mi faranno sempre tanto bene!". Ma la vita stava per cambiare davvero, perché vennero nel campo certi uomini che strapparono brutalmente il lino dalla terra con le radici e tutto, poi lo immersero nell'acqua come se volessero affogarlo, quindi lo passarono sul fuoco come per abbrustolirlo: 81
sembrava che tutti lo odiassero a morte! "Non può sempre andare bene" pensava il lino" per acquistare un po' d'esperienza, bisogna pur patire qualche cosa!". Ma sembrava che le sofferenza non dovessero finire più: il lino venne battuto, sfilacciato, messo sul filatoio, e in quel vorticoso turbinare non riusciva più nemmeno a raccapezzarsi. "Sono stato troppo contento in passato " diceva a sé stesso per consolarsi "bisogna essere riconoscenti del bene che si è goduto, anche se non esiste più.". E ripeté queste parole fino a quando non fu messo sul telaio e si trasformò in una bianca, magnifica pezza di tela. "E' strano: sono diventato meraviglioso!" pensò " I pali dello steccato sbagliavano quando dicevano: la tua vita sta per terminare! Sembrava, invece, che incominci appena. Adesso tutti si preoccuperanno per me: le donne di servizio mi espongono al sole, mi rimuovono e mi voltano ogni mattino quando fanno il letto; e perfino la moglie del sindaco ha parlato di me in pubblico affermando che non c'è in tutto il paese, una tela che mi somigli." Un bel giorno la tela di lino fu messa sulla tavola di casa, e a forza di forbici e di aghi divenne una bella dozzina di capi di biancheria. "Anche se siamo dodici, possiamo considerarci uno solo" pensò il lino "ci sono tante cose importanti, al mondo, che si contano a dozzine! Almeno serviamo a qualcosa. 82
E' il destino più bello che avessi mai potuto sperare! Ah, che consolazione!" Il tempo passò, e a lungo andare i dodici capi si logorarono. "Avrei potuto durare un po' più a lungo" pensava ciascuno di loro "ma non si deve pretendere l'impossibile! Più che vecchi non si campa." E infatti furono stracciati e ridotti in brandelli; conclusero, rassegnati, che per loro era finita. E invece no: furono portati al macero, sfilacciati, triturati, impastati… e divennero una splendida carta di lusso, bianca e levigata. - Che meravigliosa sorpresa! - disse la carta - Ora sono diventata proprio una cosa nuova e qualcuno scriverà su di me. E infatti sulla carta furono scritte tante novelle che la gente aspettava con ansia perché quelle storie rendevano gli uomini migliori; e questa era davvero una benedizione. "Non avrei mai immaginato" pensava il lino "che un giorno avrei potuto diffondere fra gli uomini saggezza e consolazione. Quando ero una povera pianticella del campo credevo che la mia vita fosse giunta al suo termine, come dicevano i pali dello steccato: e invece ogni mio fiorellino azzurro è diventato un pensiero gentile e duraturo: ora mi manderanno in giro per il mondo. Chi può essere più contento di me?".
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Invece la carta di lino non fu mandata per il mondo, ma portata in tipografia, dove le parole furono stampate su tanti fogli, riuniti, poi, in libri. "Meglio così" si consolò la carta "io resto tranquillamente a casa, rispettata come una vecchia nonna, e per il mondo vanno le parole che furono scritte sopra di me. Innumerevoli persone, così, le leggeranno". La carta di lino fu riunita in un pacco messa in uno scaffale. "Dopo tanta attività, è dolce il riposo" pensava "posso meditare in pace. E adesso, che cosa mi capiterà?". Un giorno quella carta preziosa fu gettata nel camino. Non si poteva assolutamente permettere che finisse dal droghiere per avvolgere il riso o gli spaghetti! Tutti i bambini di casa sedettero intorno al focolare per vedere la bella fiammata. Le lingue di fuoco erano alte, più alte della pianticella di lino e la loro luce era bianca e abbagliante, più bianca della candita tela. In un momento tutte le parole dello scritto bruciarono e diventarono incandescenti. - Adesso salirò dritta fino al cielo - disse una voce in mezzo a quella vampata. E mille piccole creature invisibili corrispondenti ai fiori del lino, danzarono sulla carta che si trasformava in cenere. Le impronte infuocate restavano dove esse avevano posato i loro piedini. 84
I bimbi di casa erano felici di guardarle e cantavano: - La canzone è finita… - No - rispondevano le creaturine invisibili - la canzone, come la vita, non finisce mai, e la storia è bella appunto per questo! I bambini ascoltavano attenti, senza però riuscire a capire il vero significato di quelle parole. Ma che cosa importava? I bambini non possono capire tutto.
Sabrina
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SOL, IL GIRASOLE COL TORCICOLLO
C'era una volta, in un grandissimo campo di girasoli, un girasole di nome SOL, Insieme ai suoi amici girasoli seguiva il sole da est a ovest tutto il giorno ed era felice! Ma un brutto giorno si svegliò con il torcicollo e rimase fermo mentre i suoi compagni giravano! Allora il suo amico spaventapasseri gli disse: “non preoccuparti, ti darò un po’ della mia paglia per fare una bella sciarpa calda così il torcicollo ti passerà!” Sol mise la sciarpetta e il giorno dopo potè di nuovo seguire il movimento del sole da est a ovest! Grazie alla sciarpetta di paglia il torcicollo era passato!!!
Mariaelena e Matteo
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C’era una volta‌ Un gruppo di ragazze che hanno creato un libricino di favole‌ Queste sono le nostre favole, alcune inventate, alcune scaricate da internet e alcune classiche!!!! Non vogliamo offendere nessuno nel copiare la favola, vogliamo solo ricordare che esistono delle storie meravigliose, da leggere ai nostri figli, nipoti o altro!!!!
Con affetto le favolose creative di Casa Monnalisa
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