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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino
RUSH TO THE WHITE HOUSE Sei approfondimenti per capire le elezioni americane
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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Elisabetta Botta, Segretario M.S.O.I. Torino
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RUSH TO THE WHITE HOUSE Sei approfondimenti per capire le elezioni americane
TRUMP E CLINTON: STRATEGIE COMUNICATIVE A CONFRONTO Intervista al professor Conoscenti per capire le strategie comunicative dei candidati
per la Commissione Europea e Co-editor, insieme al Prof. Shi-Xu della Zheijiang University di Hangzhou, del Journal of Multicultural Discourses, pubblicato nel Regno Unito da Routhledge. Membro del Comitato Scientifico del Giornale Elettronico Corriere Asia, fa parte del Comitato Scientifico della Rivista Recherches Cognitives, edito dal ‘Laboratoire des sciences cognitives’ dell’Università sidi Mohamed ben Abdella di Fès, e del Comitato Scientifico Editoriale dell’Enciclopedia del Mediterraneo. Torino, 12 ottobre 2016
Michelangelo Conoscenti è professore Ordinario di Linguistica Inglese all’Università di Torino e docente di Comunicazione Interculturale e Negoziazione in Lingua Inglese presso l’Istituto Diplomatico, MAE, Roma. È, inoltre, Valutatore Esperto
Dopo mesi di frecciatine a distanza, abbiamo finalmente visto Trump e Clinton faccia a faccia. Crede che i loro discorsi durante il primo e il secondo dibattito abbiano rispecchiato fedelmente la linea comunicativa che entrambi portano avanti dall’inizio della campagna o ha notato dei cambiamenti negli atteggiamenti dei due candidati?
Innanzitutto, il cambiamento c’è stato: c’è stato soprattutto tra il primo e il secondo dibattito. Diciamo che nel primo dibattito, anche da un punto di vista puramente linguistico, i due candidati erano se stessi fino in fondo. Da una parte si osserva una Clinton che ha utilizzato un linguaggio molto inclusivo, tipico dei democratici – quindi tra le prime parole, come frequenza, c’erano “noi”, “voi”, “speranza” e tutte quelle che sono parole chiave che riflettono il modello cognitivo democratico. Dall’altra, Trump è stato Trump. Questo è incredibile, abbiamo notato che la frequenza con cui dice “io”, con cui usa questo pronome personale, è più alta di quanto si sia mai osservato in qualsiasi indice statistico. Normalmente nelle frequenze più alte ci sono gli articoli e le preposizioni: in realtà, nel suo caso, “io” domina sovrano, insieme a “tremendous” – che ormai è diventata la sua signature. Se Crozza dovesse fare un’imitazione di Trump, basterebbe mettere “tremendous” qui è là MSOI the Post • 3
in qualsiasi frase e avremmo capito che è lui. Ancora una cosa: il linguaggio di Trump è negativo, cioè paradossalmente è un linguaggio che traccia sempre scenari molto oscuri di paura, semanticamente contigui alla sfera dell’odio. Nel secondo dibattito le cose sono cambiate un po’: in primo luogo per gli attacchi che sono stati molto forti tra i due candidati, e bisogna dire che da questo punto di vista è stato un disastro. Questo almeno per chi li dovrebbe eleggere, perché non sente parlare di temi politici, non sente parlare di economia, di politica interna o estera ma semplicemente di scandali. “Tu hai fatto questo”, “Tu hai fatto quest’altro” e via dicendo. Trump è rimasto se stesso, anche se ha dovuto giocare di riserva, tant’è vero che se dobbiamo comparare le parole chiave del candidato tra il primo e il secondo dibattito, è venuta molto fuori la parola “donne”, che prima non era mai stata pronunciata: questo perché ovviamente doveva scusarsi. La Clinton si è spostata un po’ di più dalla parte “egocentrica”, ma è normale, visto il formato del secondo dibattito –che è come se fosse un consiglio comunale in cui si risponde a dei veri potenziali elettori, è logico che una persona risponda con “io cercherò di fare…”, “io farò…”, perché sta cercando di dare una risposta precisa ad una persona specifica. Last but not least, il discorso è che ora anche la Clinton nel secondo dibattito, rispetto al primo, ha usato molto di più le parole “sociali”, quelle che contraddistinguono il discorso democratico: dall’Obamacare alla salute, alla sicurezza sociale delle persone. C’è una frase in particolare, pronunciata da Clinton durante il primo dibattito, che è interessante. “I think Donald just criticized me for preparing for this debate. And yes, I did. And you know what else I prepared for? 4 • MSOI the Post
I prepared to be President. And that is a good thing”. Crede che, in questa particolare corsa alla presidenza, la preparazione di Clinton sia un’arma a doppio taglio di fronte a un competitor così poco preparato ma così abile dal punto di vista comunicativo? Beh, il rischio c’è. Diciamo che, mentre lei leggeva il testo della domanda mi è venuto in mente il confronto fatto a livello italiano, per tutta un’altra cosa, tra un noto professore universitario e il presidente del consiglio, in cui a un certo punto il professore ha affermato “Ma lei si è preparato, io no”. È logico che chi va ad un dibattito del genere debba essere preparato, ed anzi studia per giorni e giorni insieme al suo team quali possano essere le eventuali trappole. Diciamo che la Clinton ha un vantaggio oggettivo, come è stato detto da Obama è la donna più preparata che ci sia mai stata, e non solo la donna – in questo frangente è il candidato più preparato: ha comunque alle spalle la presidenza del marito, due mandati con Obama ed è una donna che conosce l’ambiente. Questa è però anche una debolezza, nel senso che la forza di Trump, è che si propone non tanto come l’uomo che abbia un piano – anzi, c’è la battuta che il suo piano sia avere un piano, ma questo forse lo scopriremo solo prima delle elezioni – ma piuttosto come l’antipolitico, e di conseguenza, in questo senso, la Clinton invece rappresenta l’establishment, una continuità del potere che si perpetua da molto tempo. In questo senso, il discorso populista di Trump ha buon gioco: ecco perché potrebbe essere un’arma a doppio taglio. Certamente come commander in chief è una donna – a prescindere dai suoi epic fail legati alla Libia e al dipartimento di stato – preparata per quello che potrebbe essere il ruolo di presidente degli Stati Uniti. Ovviamente, la valutazione politica di una lunga carriera con molti
scheletri nel proprio armadio è poi da rimettere al singolo individuo che va a votare. Clinton ha accusato Trump di “vivere in una realtà propria”, e sono diversi gli articoli di factchecking che fanno notare come il candidato repubblicano tenda a smentire spesso le proprie stesse parole. Eppure la sua popolarità non accenna a diminuire. Agli elettori americani interessa davvero così poco dei fatti? Diciamo che l’ossessione per il dato e la sua certezza è tipica dei progressisti: per esempio, sia per i grossi think tank americani ed europei il fact checking è fondamentale. Un certo tipo di conservatorismo, specialmente quello populista, è meno interessato alla bontà dei dati che vengono propinati ma è più sensibile invece a quelli che sono i concetti chiave del messaggio. Questo aspetto unito alla capacità di Trump di generare un linguaggio particolarmente frammentario - Trump è l’incubo di qualsiasi sbobinatore di discorsi, è oggettivamente difficile da seguire che però termina sempre la frase con parole chiave negative che vengono ricordate. C’è poi il fatto che la maggior parte dell’elettorato non è composto da persone che per lavoro fanno gli intellettuali o il controllore di dati, e di conseguenza sa confezionare un messaggio adatto anche alle persone che hanno, questo lo dicono gl’indici di complessità, una quarta elementare. Sono persone che tendenzialmente non hanno alcun interesse per i dati, ma sono colpite dalle varie idee che vengono espresse, se queste riflettono il loro modo di sentire a livello di pancia. Questo è Trump. Rimanendo in tema di gradimento: entrambi i candidati hanno un rapporto d’amore e odio con la stampa ed i media in generale. Trump è spesso descritto come un possibile ditta-
tore, Clinton come una bugiarda guerrafondaia. Quanto conta, allora, l’immagine che danno i media dei candidati per l’elettorato americano? Quanto sposta – o costruisce – le preferenze elettorali? La campagna di quest’anno è veramente anomala, nel senso che è povera di contenuti e quindi tendono a prevalere le antipatie o simpatie personali. Su questo stanno lavorando entrambi: la Clinton cerca di essere un po’ più amichevole e simpatica dato che, come ha detto lei, non è così gradita – tant’è vero che i primi commenti che
ci del linguaggio: si muove in modo molto articolato, è molto autorevole e presidenziale, cosa che non è vera per Trump, che invece alcune volte è oggettivamente ridicolo nei suoi movimenti ed espressioni. Una cosa che mi ha colpito tantissimo, in questo periodo in cui si fanno tantissime conferenze, è che ogni volta in cui si mostra un video con Trump la gente si mette a ridere. Ovviamente non fa ridere negli Stati Uniti. È stato sottolineato dal Washington Post che nell’ultimo dibattito questa volta girava in circolo, interpretandolo come “il
ha avuto un suo effetto in passato e lo sta avendo in questo momento. Diciamo che ogni elettore risuona con specifici codici. Evidentemente questi funzionano per fasce di popolazione in cui alcuni analisti non riescono ad identificarsi, ma che gli elettori riconoscono in lui.
sono usciti ai dibattiti sono stati “Ha anche sorriso questa volta!”, senza entrare nel merito delle cose che erano state dette. Certo è che, come hanno dimostrato i cognitivisti, molto del ragionamento e delle scelte politiche vengono fatte a livello emozionale e inconscio: quella sensazione che viene detta “di pancia” è in realtà il cervello, legato alla pancia. Di conseguenza certamente la propria apparenza è importante. Da osservatore esterno devo dire che, per quanto non provi simpatia verso nessuno dei due candidati, la Clinton sta gestendo molto bene gli aspetti prossemi-
leone nell’arena”, mentre io l’ho percepito piuttosto come un leone in gabbia, perché quello non era certamente il suo ambiente, mentre la Clinton si muove bene con elettori che ha già conosciuto: per lui è la prima volta, è abituato ad essere il comandante in campo dei suoi consigli d’amministrazione. Ha già fatto campagna, certo, ma non a questi livelli e non dovendo cercare consensi così ampi. Ciononostante, alcuni hanno notato che la prossemica di Trump e le sue espressioni facciali ricordano vagamente quelle di Mussolini: la storia ci insegna che quel genere di espressione particolare
riesce a catalizzare la rabbia, il senso di impotenza e la paura – tutte quelle negatività che ha l’elettorato che in lui si identifica, ad esempio l’elettorato bianco che si sente svantaggiato. In realtà ha usato tutto quello che secondo gli esperti non andrebbe fatto: l’attacco personale, l’attacco in negativo. La Clinton invece ha come elemento di paragone Obama: dopo di lui, riuscire a fare dei discorsi che riescano a muovere ad emozione non è così facile. Fa parte anche del suo modo di essere: è una donna tendenzialmente algida, la gente la percepisce come una calcolatrice, e questo potrebbe
Nell’attuale situazione socioeconomica statunitense, quale delle due strategie comunicative utilizzate dai candidati pensa faccia più presa sul cuore – e sulla pancia – della gente? Paradossalmente quello che è più efficace è Trump, perché
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portarla ad essere un buon presidente, ma certo non è una persona che suscita grandi simpatie. Una cosa che colpisce è però il fatto che abbia sempre avuto riscontro positivo nell’elettorato dei latinos: apparentemente è strano, perché solitamente è un genere di elettorato che ama molto il contatto personale. Devo dire che i due linguaggi corporei in questo caso hanno i loro punti di forza e di debolezza. Quello che risulta dalla Clinton è che è un personaggio molto costruito
so – come ha avuto successo nel nostro Paese una persona che ai raduni internazionali faceva le corna, era screditato a livello internazionale ma in patria otteneva grossi consensi.
e un po’ falsato, lei stessa – e questo io l’ho trovato di una grande scorrettezza – dopo uno dei primi dibattiti ha fatto un post dicendo “so di non essere né come mio marito né come Obama: loro passano un sacco di tempo a prepararsi…questo non vuol dire che non siano sinceri, ma…”. Per un certo verso questa è un’escusatio non petita, dall’altra è un attacco molto diretto. Dice “io sono così, se vi piaccio bene, altrimenti…fate un po’ voi”. Torno a ripetere, mi sembra che per quanto uno non riesca a identificarsi, il linguaggio corporeo di Trump sia più efficace nei termini del suo elettorato. Poi lui è molto più rigido, teatrale, a volte buffonesco, però evidentemente ha succes-
italiani stanno dicendo “adesso vedremo se gli americani ci prenderanno ancora in giro”. Paradossalmente però Trump è molto più simile ad altri politici presenti al momento in Italia e in Europa a livello populistico. In comune con Berlusconi ha il fatto che entrambi si sono presentati come l’antipolitico – non a caso sono entrambi imprenditori, Trump dice di essere “la voce di chi è stato dimenticato” rinvangando un po’ il presidente lavoratore d’italiana memoria – però in realtà ha più caratteristiche di tipo populista. Oltre il discorso dell’antipolitico, tende a voler dar voce alla volontà popolare e ha un senso di quello che è necessario fare subito: se ricordate, nel discorso di accet-
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Immagino lei stia citando il nostro ex premier Silvio Berlusconi. Crede che lui e Trump siano simili anche dal punto di vista della comunicazione? In effetti il paragone più facile è proprio quello con Berlusconi, tant’è vero che molti
tazione ha detto “Con effetto da Gennaio tutta la sicurezza sarà ristabilita” e via dicendo. Ci sono delle sovrapposizioni con Berlusconi, che di tratti populisti ne aveva, ma diciamo che è una versione 2.0 del populista. Nella semplicità, nell’essere diretto ma anche nell’essere frequentemente indelicato. Fino a qua il profilo si sovrappone con il profilo del nostro ex primo ministro. C’è però anche la diffidenza verso gli esperti, il cospirazionismo e un certo tipo
di nazionalismo che sono invece più tipici di altri leader politici di questo momento. Diciamo che Trump è una buona sintesi di tutto ciò che è il populismo in comunicazione politica. Rimaniamo in Italia per citare un nostro giornalista: Enrico Mentana ha affermato, parlando del secondo dibattito, “la prima mezz’ora del dibattito di questa notte tra Trump e Hillary Clinton è la peggior pagina politica che io ricordi”. Eppure, tra il primo e il secondo non sono passate che poche settimane. L’imbarbarimento c’è stato? E se c’è stato, come andrebbe interpretato questo climax di aggressività? In un’altra intervista mi è stato chiesto chi ha vinto il
secondo dibattito e la mia risposta è stata che ha perso la democrazia. In realtà il problema vero è che l’imbarbarimento c’è stato, perché in realtà è Trump che sta dettando l’agenda: la Clinton non è in grado di poter parlare di cose che potrebbero essere interessanti perché deve rispondere agli attacchi. Questo è stato un errore fondamentale dei democratici, che hanno permesso che la prima convention fosse quella dei repubblicani. In realtà, il discorso di accettazione fatto da Trump ha dettato l’agenda, che già era stata determinata sul piano personale dagli attacchi. In questo modo la Clinton è una follower e il suo vero problema è che non è in grado di assestare il colpo finale perché lei stessa è molto scoperta dal punto di vista di possibili amicizie non propriamente raccomandabili, affari e fondi ricevuti poco chiari. Come dicevo prima, ognuno ha i suoi scheletri nell’armadio: la Clinton lo sa e quindi il discorso si è spostato sull’antifemminismo – o se vogliamo possiamo chiamarlo maschilismo becero – di Trump a cui lei ovviamente può contrapporre la correttezza. I tre peccati fondamentali nella politica americana – il sesso, le tasse e il patriottismo – sono già stati toccati tutti, per entrambi. La Clinton ovviamente non può essere accusata di tradimento per quello che è successo col marito. Sulle tasse a quanto pare una riceve fondi di dubbia provenienza, l’altro le tasse non le paga. Da ultimo, il patriottismo: da una parte, la Clinton con le e-mail ha messo in difficoltà il sistema di sicurezza nazionale e questo è un atto estremamente antipatriottico; dall’altra, abbiamo un candidato che trova simpatico il peggior nemico degli Stati Uniti, ovvero l’ex Unione Sovietica, l’attuale Russia di Putin. Anzi, invita pure a fare dell’hackeraggio contro la propria avversaria. Il fatto che tutti abbiano dei propri peccati sta portando
la corsa al ribasso. Parliamo del grande escluso: Bernie Sanders. È stato detto che era il candidato populista dei democratici, altri ne apprezzavano uno stile meno “establishment”… Perché crede sia risultato meno convincente di lei alle primarie del partito democratico? Quali sono le caratteristiche del suo metodo comunicativo e in cosa è diverso da quello di Clinton? In realtà, l’etichetta che era più frequente per Sanders era “socialista”, e questa è una parola che negli Stati Uniti fa paura, dato che il salto dal socialismo al comunismo è relativamente breve. Penso che Sanders abbia veramente scontato questo. Il Partito Democratico, per quanto democratico, è un partito che ovviamente è di governo, che deve mantenere certi equilibri, garantirsi flussi finanziari da certi possibili grandi elettori che hanno influenza economica. Di conseguenza, posizioni troppo estreme sono difficili da sostenere. In questo senso Sanders era socialista. Non dimentichiamo che Obama con l’Obamacare – che in teoria era una riforma non soltanto socialmente necessaria, ma anche giusta – ha avuto tutte le sue difficoltà. Si dice che in America i candidati che portano avanti issues di tipo puramente sociale, di assistenza completa o molto marcata facciano fatica ad affermarsi. Anche il più democratico degli elettori democratici ha sempre un indice di individualità, è la cifra americana che ha fatto fallire l’Obamacare: un’idea di welfare che sia simile a quello delle socialdemocrazie stona. In ogni caso, che piaccia o meno, la Clinton le carte in regola le ha: riesce a spostare consensi e ha a disposizione una macchina elettorale molto più potente. Quanto è stato sfruttato il genere della Clinton, il suo essere donna? Quanto le ha giovato in
termini di voti e di immagine? E quali influenze ha avuto sul linguaggio? Devo dire che nel linguaggio non è che si noti molto: non è un linguaggio così marcatamente femminile. Lei ricorda spessissimo il suo essere una candidata donna e il fatto che è stato un historical moment l’avere una donna candidata alla presidenza. Secondo me la Clinton ha in questo momento la paura che qualcuno possa tirar fuori i pianti che si è fatta mentre era in campagna contro Obama nel 2008. Una delle cose che giocavano a sfavore della Clinton era che era scoppiata a piangere in pubblico: si era fatta molta leva sul fatto che la Clinton, essendo donna, era emotivamente instabile. D’altronde, al contempo, si stava aspettando che Obama avesse qualche reazione emotivamente scomposta per poter dire che, essendo nero, era naturalmente una persona irosa che perde il controllo. Detto questo, l’aspetto di genere ha importanza. Rispetto a tante altre donne in politica, la Clinton non fa la “uoma”: il problema di molte donne in politica è quello che per potersi far accettare devono dimostrare di essere simile agli uomini. Lei è una donna molto determinata, ha la sua grande esperienza alle spalle e di conseguenza gioca la carta del femminile perché sa di poter avere un elettorato che si identifica in lei in quanto donna a prescindere dall’appartenenza politica, quindi è un candidato di genere. Per il resto però mi sembra che sia stata molto equilibrata: nel suo linguaggio emerge molto la capacità di parlare di tematiche che sono tipicamente democratiche e progressiste, ma non certamente femministe. Invece, ci sono stati dei cambiamenti, dal punto di vista meramente tecnico, nella comunicazione dei due candidati prima e dopo le primarie? No, in realtà no perché chiunque si candidi sa che non sarà facile
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poi modificare il proprio messaggio. Certo, lo adatti a chi hai di fronte – come dicevo prima ad esempio ora la Clinton è tirata verso il basso dagli espedienti scandalistici che utilizza Trump – però entrambi sono sé stessi. In questo, più che un’evoluzione sono stati coerenti con quello che è stato il loro modo di porsi fin dall’inizio. Ci sono dei piccoli aggiustamenti: ad esempio Trump in alcuni casi ha provato ad essere meno aggressivo, ha notato che ciò non gli frutta molto ed è tornato sul suo vecchio terreno. La Clinton sa di poter giocare in modo molto sornione: ad esempio è interessante vedere l’uso che fa dell’ironia e della battuta. Logico, ha alle spalle un grandissimo team di speachwriters che le preparano le battute giuste. Al momento sono stati sempre molto lineari nel loro messaggio, anche perché la Clinton ha uno stile comunicativo che – tolto il fatto di cercare di sorridere un po’ di più ed essere
confermato da una delle sue assistenti, che è stata ingaggiata per migliorare la percezione di Trump presso le donne: lei dice che è un tipo di carattere molto particolare e volitivo. Da questo punto entrambi possono essere soggetti a migliorie grazie all’aiuto di specialisti che diano loro consigli. Tra i due però il più impermeabile è sicuramente Trump: Clinton ha avuto dei miglioramenti. Certo, talvolta a livello fisico la gestualità di Clinton comunica l’idea di uno sforzo un po’ costruito, non tanto nel movimento rispetto al pubblico quanto nel momento in cui abbraccia le persone: lì si vede molto che fatica ad avere un contatto fisico con alcune persone. Poi se uno fa un’analisi dei loro movimenti oculari, si vede che la Clinton ha costruito molto bene il proprio discorso perché accede a parti della memoria dove viene esercitata la capacità di ricordare i dati e di analizzarli, mentre Trump dimostra di cercare di costruire dalle
Basandoci su quello che abbiamo visto fin ora e sulle conoscenze teoriche e accademiche…una previsione è fattibile? Prima si parlava di un testa a testa, di un vantaggio 60%-40% per la Clinton. In che situazione ci troviamo e qual è la sua previsione sulla base dei dati tecnici che abbiamo adesso? Il modo migliore per non sbagliare una previsione è non farla. Non sono convinto che tutto sia già stato deciso: vedo la partita molto aperta, tante cose potrebbero succedere sia a livello interno agli Stati Uniti – qualcosa di serio a livello economico, politico o di sicurezza e anche a livello “scandalistico” potrebbe ancora uscire fuori qualcosa. Certo, vedere così tanti repubblicani che ritirano l’endorsement a Trump potrebbe far pensare che ha passato la misura. Addirittura si è detto che lui si potrebbe ritirare – improbabile, perché sarebbe un suicidio politico cambiare candidato a 30
più simpatica – è il frutto di anni e anni di battaglie politiche. Trump dal canto suo – e in questo sì che è davvero simile a Berlusconi – ha un’opinione talmente alta di sé che ritiene che quello che dicono i consulenti va bene solo se gli dà ragione. Oltretutto questo è stato
conoscenze che ha un discorso improvvisato su argomenti che non conosce. Questo è emerso anche nei due dibattiti, e paradossalmente Trump non sembrava essere stato preparato dal suo team per quanto riguarda possibili domande ricevute e risposte da dare.
giorni dalle elezioni e in alcuni stati si sta già votando anticipatamente. Detto questo, si potrebbe pensare che Clinton ora sia in vantaggio, ma l’elettorato americano è molto imprevedibile e bisogna vedere chi andrà a votare. Per Obama
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il vantaggio fu che andarono a votare i giovani e questi avevano capito il suo messaggio. In questo caso pare che nessuno dei due candidati si sia curato di quelli che saranno gli elettori decisivi, cioè gli swing voters e gli indecisi. In questo mi pare che Trump potrebbe essere più efficace, perché è talmente svantaggiato che potrebbe inventarsi qualcosa che alla fine potrebbe far pendere la bilancia dalla sua parte. Può puntare ancora sulle debolezze legate ai problemi della Clinton rispetto ad alcune cose poco chiare del suo passato: i fondi piuttosto che certi tipi di affari - non a caso ultimamente è uscito il suo discorso fatto a Wall Street, dove in sintesi il messaggio che passa è “a me della classe media importa abbastanza poco”. È difficile da immaginare cosa potrebbe essere perché, se qualcosa dovesse spostare il voto sarebbe qualcosa di molto scorretto, non sicuramente sul dibattito politico, che fino ad ora non c’è stato. Fino ad ora non si è sentita un’idea forte nel dibattito, non c’è stato un indice di leadership se non il fatto che la Clinton ha oggettivamente più esperienza. Nessuno
dei due ha quel carisma o quella visione che ad esempio un Obama ha saputo trasmettere al suo elettorato. Comunque vada, chiunque vinca sarà una lame duck, un’”anatra zoppa”: mi pare che entrambi partano piuttosto azzoppati. Chiunque perda avrà comunque un peso forte nell’opposizione, e soprattutto, con le parole che sono state dette in questa campagna elettorale, ci saranno degli strascichi non da poco. Non a caso il direttore di Dissent ha dichiarato ieri a Repubblica che lui vede comunque un imbarbarimento molto pericoloso del dibattito politico americano. Oggi, in America, qual è la middle class? E quali sono le parole, le tecniche, le strategie che più hanno presa su quella che è oggi la middle class americana? Penso che siamo in un momento storico il cui problema è che la classe media è stata compressa, soprattutto verso il basso, molto poco verso l’alto. C’è una tendenza a far scomparire la classe media. Detto questo, direi che visto quel che sta succedendo, chi sa parlare a quella che era la classe
media è Trump, che sa parlare a quegli americani che si sono visti impoveriti e hanno nostalgia per certa supremazia bianca. Il discorso del nemico, il discorso dell’altro è quello che dà voce a questo risentimento. In questo caso, i democratici non sono riusciti a rassicurare la classe media – che era uno dei grandi obiettivi di Obama dal 2008, ma evidentemente non ci sono state soluzioni. Se ci pensa, questo è il tema che accomuna tutti i grandi conservatorismi del mondo: farsi voce, con istanze più o meno populiste, di chi ha perso la capacità di acquisto, la tranquillità economica, il lavoro. Le cosiddette democrazie progressiste non sono state capace di dar loro voce. C’è una compattezza superiore tra i conservatori a livello di discorso politico, che sanno sfruttare quello che dovrebbe essere un tipo di insoddisfazione che dovrebbe essere “canalizzata”, almeno in teoria, da altre forze politiche. A cura di Viola Serena Stefanello
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EUROPA 7 Giorni in 300 Parole
AUSTRIA 10 ottobre. Il cancelliere socialdemocratico Kern ha dichiarato che la frontiera con l’Italia rimane “aperta e senza grandi controlli”. La possibile chiusura del Brennero era stata al centro di forti polemiche durante la primavera scorsa a causa dell’emergenza migranti. GERMANIA 13 ottobre. Trovato impiccato nella sua cella nel carcere di Lipsia l’eversore siriano, quasi certamente legato al gruppo IS, colpevole dell’allarme terrorismo scoppiato giorni prima nella cittadina di Chemnitz. L’uomo era stato catturato in seguito al ritrovamento di esplosivo simile a quello usato negli attentati di Parigi e Bruxelles. GRAN BRETAGNA 8 ottobre. Scoppia la polemica dopo la decisione del governo di Sua Maestà di non servirsi più delle consulenze di accademici di nazionalità estera in merito alle trattative con l’UE sulla Brexit. Lo stop all’assistenza dei migliori studiosi specializzati in affari e europei al Foreign Offic sarebbe stato dettato dal pericolo di conoscenza e diffusione di materiale sensibile. ITALIA 12 ottobre. Il premier Renzi, riferendo alla Camera sul Consiglio europeo del 20 ottobre, ha definito l’azione dell’Europa come caratterizzata da “un frenetico immobilismo”, aggiungendo che il Paese si farà promotore di una dura posizione contro quei Paesi che “si stanno smarcando dai propri impegni sulla ricollo-
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JOINT WAY FORWARD
Luci e ombre sull’accordo tra UE e Afghanistan per il rimpatrio dei migranti
Di Matteo Candelari Lo scorso 3 ottobre il Guardian, primo quotidiano a darne notizia, riportava di un accordo siglato da UE e governo afghano che consente agli Stati membri dell’Unione di rimpatriare un numero illimitato di migranti afghani, obbligando Kabul a farsene carico. L’accordo stabilisce che il governo afghano si impegna a ricevere ogni cittadino afghano a cui non è stato garantito asilo in Europa e che si rifiuta di tornare in Aghanistan volontariamente. Il Guardian riporta come, in una nota trapelata precedentemente alla firma dell’accordo, l’Unione Europea avrebbe ventilato la possibilità di interrompere gli aiuti verso l’Afghanistan nel caso in cui Kabul non si fosse impegnata a collaborare sul fronte migratorio. Nonostante diversi rappresentanti della Commissione si siano affrettati a ribadire come non vi fosse nessun collegamento tra la concessione di aiuti e la cooperazione sulla questione migratoria, pare che qualche screzio durante la negoziazione ci sia stato. Prova ne è il fatto che il Ministro per i Rifugiati e i Rimpatri afghano si è rifiutato di firmare il documento, lasciando questo compito a un deputato. Kabul, da un punto di vista economico, si trova con ben poco margine di manovra; dal momento che le entrate do-
mestiche costituiscono il 10,4% del PIL, la dipendenza dagli aiuti stranieri è vitale e per tale motivo non può permettersi di fare a meno del sostegno dell’UE. D’altro canto è bene ricordare che gli afghani costituiscono il secondo maggior gruppo di richiedenti asilo in Europa, con circa 196.000 richieste lo scorso anno. Pertanto questo accordo va nella direzione di uno smaltimento del flusso migratorio che ha interessato l’Europa questi ultimi anni. Ad ogni modo tale accordo ha sollevato diversi dubbi e numerose sono state le reazioni di coloro che lo ritengono un pessimo accordo per Kabul e incompatibile con i valori fondanti dell’UE. Oltre all’accusa di poca trasparenza durante il processo negoziale, viene fatto notare come non tutti i richiedenti asilo afghani che arrivano in Europa provengono dall’Afghanistan. Parecchi sono nati o cresciuti in Iran o in Pakistan. Inviare persone che non hanno alcun tipo di network familiare in Afghanistan può rendere loro la vita molto e difficil . Dal momento che il governo non è in grado di garantire sufficiente protezione per tali cittadini vi è il forte rischio che questi possano diventare un facile obiettivo per la campagna di reclutamento dei Talebani, andando così a provocare una ulteriore instabilità nel Paese.
EUROPA cazione dei migranti”. REPUBBLICA CECA 8 ottobre. Il movimento popu-
lista di Andrej Babis, ministro delle Finanze, vince le elezioni di rinnovo dei consigli regionali e di un terzo del Senato. L’intensa ed euroscettica campagna elettorale ha consegnato all’Alleanza dei cittadini scontenti, alla sua prima partecipazione alle elezioni regionali, 9 regioni su un totale di 13. UNGHERIA 9 ottobre. Chiusura improvvisa del quotidiano Nepszabadsag, autorevole voce liberale e apertamente critica verso governo Orban. La società Mediaworks, suo editore, ha annunciato la sospensione delle pubblicazioni fino “all’elaborazione un nuovo modello economico” che ne consenta il risanamento dei conti. Nonostante le smentite, numerose voci parlano della vendita del giornale ad un oligarca vicino al Premier. UNIONE EUROPEA 12 ottobre. Depositata alle istituzioni europee la petizione firmata da oltre 150.000 persone, tra cittadini e funzionari dell’UE, richiedente misure esemplari nei confronti dell’ex Presidente della Commissione Europea, José Barroso, in seguito all’assunzione di un incarico presso Goldman Sachs. A cura di Giulia Marzinotto
L’UE RAFFORZA LE FRONTIERE ESTERNE Creata la nuova agenzia di guardia costiera e di frontiera europea
Di Giulia Ficuciello
Schengen.
Il 14 settembre il Consiglio dell’Unione Europea ha dato la sua approvazione definitiva al regolamento che prevede la creazione della nuova agenzia di guardia costiera e di frontiera europea, in sostituzione di Frontex. “Da ora in poi, la frontiera esterna di un Paese membro è la frontiera di tutti, legalmente e operativamente”. Con questa dichiarazione il commissario dell’Unione Europea Dimitri Avramopoulos ha commentato, il 6 ottobre, l’inizio dell’attività della nuova squadra speciale. Tale squadra è composta da 1.500 agenti di frontiera provenienti dagli Stati membri, di cui 125 italiani. La gestione efficiente del flusso migratorio e la garanzia di un maggiore livello di sicurezza all’interno dell’UE sono i suoi principali obiettivi.
È prevista anche una più stretta collaborazione con i Paesi terzi il cui territorio è oggetto delle rotte dei migranti. In questo modo potrà svilupparsi, è vero, una stretta rete di operazioni congiunte, ma, secondo Amnesty International, si metterà in pericolo il rispetto del diritto internazionale e dei rifugiati.
L’agenzia dovrà intervenire in tutti i casi d’urgenza e di cattiva gestione dei confini da parte di uno Stato membro. Qualora quest’ultimo si rifiutasse di cooperare con essa, gli altri Stati membri possono decidere di reintrodurre i controlli sulle frontiere interne per un massimo di 2 anni, compromettendo però le garanzie dell’accordo di
Se, da un lato, alcuni Stati ritengono che il ruolo dell’agenzia invada l’esercizio della loro sovranità, dall’altro lato si ribatte che questo è il giusto incentivo affinché alcuni Stati membri cambino il loro atteggiamento egoistico di non collaborazione. Nonostante queste critiche, un’alternativa a Frontex era voluta da molti. D’altronde, solo tra gennaio e novembre del 2015 un milione e mezzo di persone ha attraversato illegalmente i confini esterni dell’UE. 413.800 persone, inoltre, hanno presentato domanda di protezione internazionale agli Stati membri. Nell’ultimo anno, infine, il numero di trafficanti di persone turchi condannati dalle polizieeuropeeèaumentatoda127a 423 e più di 50 operazioni sono ancora in corso. MSOI the Post • 11
NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 7 ottobre. L’uragano Matthew, declassato a ciclone posttropicale, ha raggiunto le coste degli Stati Uniti, dirigendosi verso Florida, Georgia, North e South Carolina. 34 le vittime del suo passaggio e migliaia le abitazioni rimaste senza fornitura elettrica. Decretato lo stato d’emergenza negli Stati coinvolti. 8 ottobre. Il Consiglio di Sicurezza ONU si è riunito a New York per discutere della devastazione in cui versa la città di Aleppo. La bozza di risoluzione, presentata dalla Francia e volta al raggiungimento di un cessate il fuoco sulla città siriana, è stata tempestivamente bloccata dal veto russo. Il segretario di Stato americano John Kerry, a margine della riunione ha dichiarato: “Russia e governo siriano dovrebbero essere indagati per crimini di guerra”.
9 ottobre. Secondo dibattito presidenziale a Saint Louis, Missouri. Hillary Clinton e Donald Trump si sono sfidati per la seconda volta in un faccia a faccia mondiale all’ombra di scandali e polemiche. La candidata democratica, secondo il sondaggio CNN, si è aggiudicata la seconda vittoria con il 57% dei consensi. 12 • MSOI the Post
OUT OF THE GAME
L’impossibile corsa dei partiti minori alla Casa Bianca
Di Alessandro Dalpasso Le elezioni per la presidenza statunitense 2016 stanno facendo parlare il mondo intero, la cui attenzione è catalizzata sui candidati di punta Clinton e Trump. Tuttavia, pochi sanno che il puzzle della corsa alla Casa Bianca è ben più complesso, perché costellato di candidati di partiti minori o indipendenti, molti dei quali correranno solo in un numero limitato di Stati. Tra questi, due nomi spiccano in particolare. Si tratta, da una parte, di Jill Ellen Stein, medico, ambientalista e leader del Partito Verde, e, dall’altra, di Gary Johnson, exgovernatore del New Mexico e frontman del Partito Libertario. Hanno avuto pochissimo spazio sui media durante gli ultimi mesi, poiché l’organo addetto all’organizzazione dei dibattiti, la Commission on Presidential Debates, li ha puntualmente esclusi per regole di procedura. Analizzando le campagne che hanno portato avanti, risulta evidente come entrambi i candidati propugnino l’idea di una “terza via” rispetto ai partiti tradizionali, che considerano semplicemente “due mali”, come ha dichiarato la Stein in una recente intervista e come ha sottolineato Johnson la settimana scorsa. Tutti e due sono contrari alle guerre portate avanti dall’attuale amministrazione,
sebbene per motivi diversi. La candidata dei Verdi, attenta alle tematiche ambientali, le reputa futili, in quanto spinte solo da una ricerca di nuove fonti di idrocarburi; il libertario Johnson vi si oppone invece per sua intrinseca formazione pacifista. Durante il corso della campagna, poi, la Stein si è concentrata su tematiche come il mutamento climatico (scagliandosi contro le affermazioni irreali di Trump) e un reale supporto alle donne lavoratrici e alla famiglia (contrastando le affermazioni della Clinton, che lei ritiene solo di facciata). L’ex governatore ha invece puntato, in linea con le idee che animano il suo partito, su una maggiore libertà degli individui rispetto allo Stato Federale (soprattutto in tema di tassazione) e su argomenti di carattere civile, dichiarandosi a più riprese favorevole al matrimonio per le coppie omosessuali e a quella che lui vorrebbe fosse una massiccia liberalizzazione delle droghe leggere. I due hanno limitatissime possibilità di vittoria: il sistema elettorale, infatti, è fortemente condizionato dalla capillare diffusione degli apparati dei due partiti tradizionali, che quindi risultano vincitori, a fortune alterne, in tutti gli Stati, impedendo ad aspiranti terzi candidati di ottenere anche solo uno dei grandi elettori necessari alla vittoria finale.
NORD AMERICA 11 ottobre. Il presidente Barack Obama ha annunciato, in un editoriale CNN, i nuovi obiettivi del programma spaziale NASA, ricordando gli sforzi effettuati nei propri anni di lavoro per incrementare le attività statunitensi nel settore scientifico e vincere la battaglia con il rivale russo sul campo della politica spaziale.“Grazie a nuove collaborazioni commerciali con partner privati abbiamo stabilito un obiettivo concreto: mandare gli uomini su Marte entro il 2030”. 13 ottobre. Gli Stati Uniti hanno colpito tre postazioni radar dislocate in una regione costiera yemenita posta sotto il controllo del gruppo Houthi. L’attacco è giunto in risposta ad alcuni lanci missilistici effettuati nei giorni precedenti dalle forze ribelli contro un cacciatorpediniere statunitense in navigazione verso lo stretto di Bab el-Mandeb. CANADA 10 ottobre. Il primo ministro canadese Justin Trudeau si è rivolto alla nazione in occasione del Thanksgiving Day. Immancabili i riferimenti al fenomeno migratorio che ha investito il Canada nell’ultimo anno. “I canadesi hanno accolto più di 30.000 profughi siriani. Festeggiano con noi il loro primo Ringraziamento in Canada. 11 ottobre. Raggiunto l’accordo preliminare tra FCA Canada ed il sindacato dei lavoratori canadese Unifor. Secondo quanto pattuito, FCA assicurerebbe investimenti sugli stabilimenti locali del valore di 300.000 USD. L’accordo dovrà essere ratificato dai lavoratori nel fine settimana.
LA LEGGE CHE DIVIDE GLI ALLEATI
Quale relazione tra USA e Arabia Saudita dopo il Jasta Act? Di Sofia Ercolessi Il Jasta Act (Justice Against Sponsors of Terrorism Act), chiamato anche “Legge dell’11 settembre”, potrebbe porre seriamente in questione il futuro delle relazioni tra Stati Uniti e Arabia Saudita. La legge, approvata quasi all’unanimità dal Congresso scavalcando il veto di Obama, permette ai familiari delle vittime di attentati di citare in giudizio governi stranieri per supporto al terrorismo. Dopo anni di pressioni da parte delle famiglie, sono in molti a considerarlo come un trionfo del principio di giustizia. La possibilità che un governo si trovi davanti a un tribunale federale per iniziativa di privati cittadini solleva, però, inevitabili questioni di legittimità. Secondo alcuni pareri (compreso quello del Regno Saudita) la legge violerebbe il principio dell’immunità di giurisdizione, solitamente riconosciuto nel diritto internazionale. Per il presidente Obama, invece, sarebbe un precedente pericoloso, che in futuro potrebbe esporre gli USA agli effetti di provvedimenti simili da parte di altri Stati. Per evitare eccessivi contrasti, il Jasta Act prevede che un procedimento possa essere bloccato se il Segretario di Stato dichiara che con il Paese citato è in corso un negoziato in buona fede, cioè con buone probabilità di giungere a un accordo.
è Ma l’impatto politico comunque enorme. Anche se l’Arabia Saudita non è nominata direttamente nel testo, appare chiaro che sarà lo Stato più coinvolto. 15 dei 19 attentatori delle Torri Gemelle erano sauditi e i risultati delle indagini, rivelati integralmente solo qualche mese fa, fanno emergere sospetti su un coinvolgimento del governo. Se prima potevano esservi speranze che i due Paesi recuperassero le buone relazioni di un tempo, ora ciò appare molto difficil . e L’intesa sul nucleare tra Stati Uniti e Iran è stata accolta con malumore dai sauditi. Ci sono motivi di contrasto anche circa la guerra in Siria. Da una parte, la potenza americana supporta la fazione dei Curdi. Dall’altra, il Regno Saudita sostiene invece la Turchia contro i Curdi, ma chiede agli USA maggior impegno contro Assad, minacciando, in caso contrario, un intervento autonomo nel conflitto. Si aggiunge la questione dello Yemen, con il recente ritiro dei funzionari americani che supportavano la coalizione saudita. Sul piano economico c’è poi l’eterno fattore petrolio, da qualche mese motivo di aperta concorrenza fra i due Stati per via dell’aumento della produzione del Regno. Il Jasta Act è, perciò, solo l’ultimo tassello di un complesso mosaico che rende sempre più incerta quest’alleanza.
A cura di Erica Ambroggio MSOI the Post • 13
MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole ARABIA SAUDITA 10 ottobre. Dopo il raid dell’8 ottobre, un missile è stato lanciato dallo Yemen contro Taif, vicino Mecca, sede della base militare King Fahad. IRAQ 11 ottobre. Nadia Murad è stata insignita del Premio per i Diritti Umani Vaclav Havel dal Consiglio d’Europa. Nadia Murad era stata detenuta con altre 5.000 donne yazide per 3 mesi, prima di riuscire a scappare. ISRAELE 8 ottobre. Prevista per venerdì 13 ottobre una seduta del Consiglio di Sicurezza ONU per discutere gli insediamenti israeliani in Cisgiordania. 9 ottobre. Attentato palestinese a Gerusalemme. 2 morti. Ucciso l’attentatore, Misbah Abu Sbeih, legato al gruppo islamico Morabitun. LIBIA 8 ottobre. Ucciso il leader del Daesh Abu el Baraa el Masri durante un blitz delle forze di Misurata a Sirte. MAROCCO 10 ottobre. Nominato il nuovo premier, Abdelilah Benkirane, leader del partito islamista Giustizia e Sviluppo. SIRIA 7 ottobre. Richiesta da John Kerry, segretario di Stato USA, un’indagine per crimini di guerra contro Russia e Siria per le stragi di Aleppo. Intanto, il gruppo jihadista Fatah al-Sham rifiuta la proposta ONU di lasciare Aleppo. 8-10 ottobre. Risoluzione ONU per un cessate il fuoco su Aleppo bocciata, Russia contraria. 10 ottobre. La Russia dichiara 14 • MSOI the Post
QUANDO IL MEDICO HA IL VOLTO DELL’OPPRESSIONE
Retrospettiva sui test di verginità obbligatori proposti in Egitto
Di Clarissa Rossetti “Se una donna araba perde un occhio, la sua famiglia non piange tanto quanto farebbe se perdesse la sua verginità.” Così la femminista egiziana Nawal El Sadaawi riassumeva la condizione della donna araba negli anni ‘70, in una società che descrive come conservatrice e oppressiva, che metteva il corpo femminile al centro di una discussione in cui l’unica a non avere voce in capitolo sarebbe stata proprio la donna. Quasi 50 anni dopo, sembra che non molto sia cambiato, tanto che il parlamentare egiziano Elhamy Agena ha avanzato la proposta di istituire test di verginità obbligatori per ogni aspirante studentessa universitaria. La pratica del test di verginità aveva già fatto discutere nel 2011, quando alcune manifestanti erano state arrestate in Piazza Tahrir e costrette a sottoporsi all’esame. Amnesty International aveva denunciato l’atto come talmente invasivo e lesivo della dignità personale da poter essere considerato alla stregua di qualsiasi altra forma di violenza sessuale o tortura, se eseguito sotto coercizione. Una delle manifestanti che si erano opposte all’esame, Samira Ibrahim, aveva intrapreso una battaglia legale contro il
medico militare incaricato di svolgere i test, poi conclusasi con il proscioglimento dell’imputato. Tuttavia, gli sforzi della Ibrahim avevano portato una corte amministrativa del Cairo a pronunciarsi contro tale pratica e bandire i test di verginità sulle detenute nelle carceri militari. Oggi, però, tornano le stesse pretese sul corpo femminile. Agena, membro anche della Commissione Parlamentare per i Diritti Umani, vorrebbe contrastare la tendenza dei matrimoni informali con i test di verginità. Tali unioni, dette ‘urfī, non sono registrate da un notaio e vengono celebrate alla presenza anche di solo due testimoni. Questo tipo di vincolo, comunque legale, viene scelto da coppie che, per ragioni culturali o economiche, si trovano a escludere l’unione formale e può certamente favorire il rapporto sessuale prima del matrimonio, pratica condannata dall’Islam. La proposta, così motivata, non può non ricordare gli abusi di Piazza Tahrir e il test di verginità per le aspiranti studentesse. Come i primi miravano a scoraggiare le donne dal prendere parte alle proteste per far sentire la propria voce, così il secondo poneva un prezzo, la dignità personale e il rispetto della famiglia, per le giovani donne che aspirano a un’educazione.
MEDIO ORIENTE di voler ampliare la base navale di Tartus, l’unica sul Mediterraneo. 12 ottobre. Putin ha annullato la visita a Parigi. L’annuncio giunge pochi giorni dopo le accuse mosse da Hollande alla Russia di perpetrare crimini di guerra ad Aleppo. TURCHIA 10 ottobre, Accordo Russia-Turchia per la costruzione del gasdotto Turkish Stream, che porterà in Turchia ed Europa il gas russo, passando dal Mar Nero. 10 ottobre. Respinti con lacrimogeni e cannoni ad acqua i manifestanti riunitisi nelle vicinanze della stazione ferroviaria di Ankara per commemorare la strage dello scorso anno attribuita al gruppo IS. 11 ottobre. La Turchia parteciperà all’operazione della Coalizione Internazionale per riconquistare Mosul. Critche dal Primo Ministro iracheno, Haider al Abadi, che ha definito il coinvolgimento diretto della Turchia come un’aggressione. YEMEN 8 ottobre. Raid aereo saudita su Sanaa durante un funerale, al quale partecipavano esponenti di Houthi, il fronte di ribelli sciiti sostenuto dall’Iran. Oltre 140 morti. In seguito all’attacco, la Casa Bianca minaccia una “significativa riduzione del sostegno alla coalizione araba”. 13 ottobre. Missili USA contro postazioni Houthi, in risposta a un attacco a un cacciatorpediniere USA al largo delle coste yemenite. A cura di Martina Terraglia
CHE COS’È IL FRONTE DI LIBERAZIONE POPOLARE
Breve analisi dei paramilitari che mettono in pericolo l’equilibrio iracheno
Di Samantha Scarpa Il premier iracheno Haider al-Abadi, in carica dopo pochi mesi dalla conquista di Mosul da parte del Daesh, ha dovuto, con difficoltà, far valere la propria autorità all’interno del Paese. L’esercito regolare iracheno, infatti, è uscito sconfitto e indebolito dal conflitto con il cosiddetto califfato. La pessima immagine dell’esercito e la sua effettiva decadenza hanno fatto sì che il governo - a maggioranza sciita - dovesse cercare valide alternative per il contrattacco militare: gli accordi con organismi paramilitari sono il risultato naturale di tale processo. Tra questi, il Fronte di Liberazione Popolare (“al-Hashd al-Shaabi”) è quello che più ha influenzato, e tutt’ora influenza, gli equilibri della regione. L’FLP, o Hashd, è una cosiddetta umbrella organization¸ che riunisce sotto il proprio nome una serie di gruppi non statali con longevità e tecnologie estremamente diversificate tra loro. I tre gruppi più importanti, Asaib Ahl al-Haq, Kataib Hizbollah e l’Organizzazione Badr (attiva dal 1982), compongono lo zoccolo duro dell’Hashd e contano oltre 80.000 unità. Dopo la fatwa dell’ayatollah Al-Sistani nel 2014, che incitava i giovani iracheni a prendere parte alla resistenza armata, questi gruppi si riuniscono ufficialmente sotto il
concetto di Hashd e hanno un numero altissimo di proseliti. Il dilemma politico che si erge attorno al Fronte, tuttavia, è che esso, seppur non legato direttamente ad Al-Sistani, sia supportato e finanziato dall’Iran. La sua presenza e le sue vittorie sul campo, oltre ad avere un’indiscutibile appeal sulle giovani reclute, minacciano l’autorità del governo. Un altro problema riguardante l’FTP è la presenza di alcuni leader all’interno dello stesso governo iracheno. Il Ministero degli Interni è in mano alla Tanzimat Badr, l’ex Primo Ministro è a sua volta molto vicino agli Asaib Ahl al-Haq e il Ministro della Difesa, sunnita, è de facto escluso da ogni decisione di rilievo. Di fronte a questa costante minaccia, al-Abadi ha tentato di porre rimedio tramite una sorta di “istituzionalizzazione” dell’Hashd, legittimando le sue operazioni come forza statale nel 2015. All’interno dell’organizzazione, inoltre, il Premier ha tentato di integrare le forze militari sunnite per stemperare il settarismo creatosi. Ciò che più ha legato l’Hashd ad Abadi, tuttavia, è la risorsa economica: togliendo sostentamenti all’esercito regolare, il Premier ha messo a disposizione dei paramilitari 1 miliardo di dollari per l’addestramento e l’equipaggiamento. MSOI the Post • 15
RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole
IL VETO DI MOSCA
La Russia rifiuta di firmare una risoluzione per fermare i bombardamenti su Aleppo
Di Daniele Baldo GEORGIA 8 ottobre. I cittadini georgiani sono chiamati ad eleggere un nuovo Parlamento e dai risultati usciti dalle urne la coalizione di governo del “Sogno Georgiano” esce vincitrice riuscendo ad accaparrarsi il 48,67% dei seggi. Bisognerà tuttavia aspettare la prossima tornata per capire come sarà costituito il Parlamento: il sistema elettorale georgiano prevede che una parte dei seggi venga spartita ai ballottaggi tra le due forze maggioritarie.
Il 7 ottobre Francia e Spagna hanno abbozzato una risoluzione per cercare di giungere a un accordo sulla cessazione delle ostilità nel conflitto siriano e l’hanno messa al voto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Sabato 8, il giorno successivo, la Russia ha posto il veto a tale risoluzione, la quale prevedeva la fine di tutti i bombardamenti aerei su Aleppo, nonché il cessate il fuoco e la consegna di rifornimenti umanitari alla popolazione assediata.
9 ottobre. Alcuni membri dell’opposizione hanno contestato delle irregolarità nello svolgimento delle operazioni di voto del giorno precedente. Gli osservatori internazionali hanno affermato che le elezioni si sono svolte in un clima sereno e privo di forti irregolarità, le quali sono state riscontrate in sede di scrutinio più per negligenza che per reale volontà.
È così apparsa con evidenza la paralisi generale del Consiglio di Sicurezza sul disastro umanitario siriano. La Russia è appoggiata solamente dal Venezuela e isolata dall’astensione della Cina. Una contro-risoluzione da parte di Mosca, che non includeva la cessazione dei bombardamenti aerei, è stata bocciata con 9 voti contro 4.
RUSSIA 8 ottobre. L’esercito russo ha spostato nell’exclave di 16 • MSOI the Post
Quasi 300.000 persone si trovano assediate nella parte est della città di Aleppo e, senza una cessazione delle ostilità, le poche provviste calano giorno dopo giorno, portando molti a morire di fame, tra i bombardamenti e in mezzo alle rovine. Gli aiuti umanitari sono inevitabilmente bloccati e il segretario di Stato americano John Kerry ha chiesto che la Russia e il regime di Assad
vengano indagati per crimini di guerra per i loro attacchi alla città. Mosca ha risposto alle accuse internazionali sostenendo che la risoluzione proposta al consiglio da Parigi e Madrid “distorcerebbe” lo stato attuale delle cose: uno stop ai bombardamenti, quindi, fornirebbe protezione ai terroristi del gruppo al-Nusra. L’inviato speciale dell’ONU in Siria, Staffan de Mistura, ha dichiarato durante il Consiglio che la presenza di 1000 combattenti di al-Nusra sarebbe un mero pretesto per poter bombardare 275 mila persone. Secondo De Mistura poi, se si dovesse continuare con questo ritmo, la città di Aleppo sarebbe completamente rasa al suolo entro dicembre. In 6 anni di conflitto in Siria, la Russia ha usato ora per la quinta volta il suo diritto di veto. Secondo Human Rights Watch, Mosca ha sabotato deliberatamente il Consiglio, ostacolando i tentativi di porre fine alla tragedia siriana. La nota ONG sostiene, attraverso le parole di Louis Charbonneau, che questa situazione dovrebbe far capire quanto sia necessario dare ai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza il potere di accantonare il veto di uno di loro, nei casi di atrocità nei confronti di civili.
RUSSIA E BALCANI Kaliningrad una serie di missili Iskander, in grado di ospitare testate nucleari. Gli ordigni hanno una gittata di lancio di 500 chilometri e da quella posizione potrebbero colpire Berlino o Stoccolma, e allo stesso modo il territorio di tutta la Polonia e delle repubbliche baltiche. Mosca afferma che si tratta solo di esercitazioni militari, allo scopo di verificare la velocità di reazione dei sistemi di sorveglianza NATO. L’episodio ha allarmato gli USA e alcuni Paesi europei, inasprendo le relazioni diplomatiche.
WASHINGTON CONSOLIDA LA SUA POSIZIONE IN UCRAINA
Gli Stati Uniti danno il via libera al rifornimento di armi in favore di Kiev
Di Giulia Bazzano
12 ottobre. La portavoce del ministro degli esteri russo Maria Zakharova ha commentato le parole di Boris Johnson, sostenendo che sia un’azione irresponsabile invitare i cittadini a protestare davanti all’ambasciata di un altro Paese. Ha inoltre ricordato che, secondo la convenzione di Ginevra, ogni nazione ha l’obbligo di garantire la sicurezza delle ambasciate di altri Paesi sul proprio territorio. SERBIA. 12 ottobre. Un gruppo di 14 migranti nascosti su 5 camion diretti in diversi paesi dell’Unione Europea è stato fermato al valico di Sid dalla polizia di frontiera. I militari hanno condotto il gruppo, composto da afghani e pakistani in un centro di accoglienza in territorio serbo. A cura di Leonardo Scanavino
Gli Stati Uniti hanno recentemente dato il via libera a una serie di massicci finanziamenti per le forze governative ucraine. Da febbraio si discuteva sulla possibilità di un intervento più marcato da parte di Washington nella questione “Donbass”, ma finora senza risultati concreti. Il Support of stability and democracy in Ukraine è un passo avanti in questa direzione e va a toccare un argomento piuttosto spinoso, ovvero il rifornimento di armi difensive. Il rifornimento di armi definite da molti “letali” rappresenta un passo irreversibile nel coinvolgimento statunitense. Inoltre, gli aiuti arrivano in un momento particolarmente delicato: l’1 settembre, infatti, è iniziata una nuova fase di tregua che comporta la creazione di una buffer zone lungo il confine tra separatisti e forze governative. Questa svolta potrebbe andare a minacciare l’ennesimo tentativo di mantenere un seppur precario equilibrio. Il rafforzamento delle collabo-
razioni tra Kiev e Washington avrebbe ovviamente ripercussioni nelle relazioni tra gli Stati Uniti e la Russia (che sostiene militarmente i separatisti), già piuttosto fragili a causa di posizioni opposte in altri scenari geopolitici, per esempio in Siria. Questa decisione apre un altro interrogativo: quale sia l’effettivo utilizzo dei fondi da parte del governo ucraino. Lo stesso Poroshenko ha, infatti, recentemente dichiarato che le maggiori insicurezze da parte dei leader occidentali riguardo a possibili finanziamenti erano dovute all’alto tasso di corruzione presente nelle istituzioni ucraine, in particolar modo nel Ministero della Difesa. L’apparato militare, per esempio, è stato fortemente destabilizzato da scandali e corruzione. La forte collusione tra governo e soggetti esterni, come gli oligarchi, ha largamente compromesso l’affidabilità del primo, che è però riuscito ugualmente a ottenere la fiducia di una delle più grandi potenze mondiali. MSOI the Post • 17
ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole
RE, CORROTTI E SOLDATI Il potere in Siam a due anni e mezzo dal golpe. Di Giusto Amedeo Boccheni Con l’ennesimo coup in Thailandia, nel 2014 Prayut Chan-ochan, a capo della giunta militare, promise che in 20 anni avrebbe liberato il Paese dallo strisciante flagello della corruzione.
M Y A N M A R 8 ottobre. Sono state revocate le sanzioni che da oltre 20 anni opprimevano la Birmania: l’annuncio è stato fatto dal presidente americano Barack Obama, che con un decreto presidenziale ha attuato quanto promesso alla leader Aung San Suu Kyi lo scorso settembre. Le pensanti sanzioni economiche erano state imposte dagli Stati Uniti a causa a causa del regime militare instaurato nel 1988, e col trascorrere degli anni avevano tagliato fuori il paese da molte tratte commerciali. Obama ha deciso la revoca grazie ai “sostanziali progressi sulla strada della democrazia” compiuti dal paese nell’ultimo anno. C I N A 11 ottobre. Un migliaio di soldati in divisa ha preso parte ad un sit-in di protesta davanti al Bayi, dove il ministro della difesa Chang Wanquan stava tenendo un ricevimento per i partecipanti al Xiangshan, forum sulla sicurezza tenutosi nei giorni scorsi. Secondo alcuni giornalisti presenti sul posto, i manifestanti sarebbero soldati in congedo o in attesa della pensione. Circa un anno fa, il presidente Xi Jinping aveva preannunciato un gran numero di esuberi a cui porre rimedio nell’ esercito popolare; da allora non sono seguite notizie più precise a riguardo. 18 • MSOI the Post
Yingluck Shinawatra, sorella dell’ex presidente Thaksin, era salita al potere nel 2011, proponendo l’acquisto da parte del governo del riso thailandese a prezzi maggiorati. La misura, pensata per ridurre la disuguaglianza, si sarebbe però risolta in gravissime perdite per lo Stato, incentivando perlatro pratiche illegali da parte dell’amministrazione e degli agrimensori. La giunta ha quindi emesso un ordine amministrativo, in forza della sezione 44 della Costituzione temporanea del 2014, per richiedere a Yingluck una compensazione del 20% ($1,4 miliardi) per i danni causati da politiche governative negligenti. Il caso di Yingluck, giunto a settembre alla quarta udienza, è solo un esempio di come il fenomeno della corruzione confonda le acque che lambiscono l’arena politica thailandese, già di per sé caotica e polverosa. Un’ ombra salda nella coltrice è stata, negli ultimi 70 anni, quella del re, Bhumibol Adulyadej, ma giovedì 13 ottobre il monarca si è spento. Sebbene formalmente regnante simbolico, il sovrano è a lungo rimasto perno de facto della c.d. “rete monarchica”, che,
tramite il Consiglio Privato e altre istituzioni, detiene grandi poteri e controlla le alte cariche dell’esercito. La popolazione lo adorava, le elite burocratiche e giudiziarie gli sono devote e la legittimazione del golpe è tutta dipesa dal suo benestare. La famiglia reale è protetta da leggi severissime e vaghe di lese majestè, che ostacolano, tra l’altro, ogni pubblica speculazione in tema di successione. La questione, in sordina, è comunque tornata a galla il 10 ottobre, quando un comunicato dei medici del re ha messo in allarme la nazione. Il principe ereditario ha chiesto un periodo di lutto per il padre. Il delfino è inviso agli ultramonarchici guidati da Prem Tinsulanonda, presidente del Consiglio Privato, poiché essi temono che possa concedere l’amnistia a Thaksin Shinawatra, in esilio volontario dal golpe del 2006. Per impedire l’incoronazione di Vajiralongkorn, assai meno popolare del padre, potrebbero ricorrere alla sezione 19 della Costituzione, che permetterebbe al Consiglio Privato di nominare un reggente, qualora il successore non sia stato espressamente o chiaramente designato. Sembra che la Giunta darà il proprio appoggio al principe, forse perchè considerato facilmente manovrabile. In ogni caso, la figura del sovrano ne uscirà indebolita. Burocrazia, magistratura, esercito e la corona stessa vedono la democrazia maggioritaria come una minaccia: che sia un’opportunità per il popolo thailandese?
ORIENTE 11 ottobre. Si è aperto a Beijing il VII Forum di Xiangshan, quest’anno incentrato sui nuovi modelli di relazioni internazionali; vi prenderanno parte circa 500 delegati, provenienti da quasi 60 Paesi. Nella due giorni verranno dibattute questioni quali il ruolo delle forze armate nella governance mondiale, la risposta in termini di sicurezza alle nuove minacce nella regione Asia-Pacifico, la collaborazione nel campo della sicurezza marittima e gli sforzi internazionali contro il terrorismo.
COREA DEL NORD 12 ottobre. Il leader Kim Jong-un ha allontanato il viceministro degli Esteri Kung Sok Ung, relegato al confine insieme alla sua famiglia; l’ex funzionario statale è accusato di aver mal gestito le ambasciate nordcoreane in Europa. Il suo predecessore Thae Yong-Ho aveva dato le dimissioni la scorsa estate. A cura di Carolina Quaranta
ALTA TENSIONE FRA GIAPPONE E COREA DEL NORD
Si complicano i rapporti di mera “coesistenza” fra Tokyo e Pyongyang
Di Gennaro Intoccia, Sezione MSOI Napoli Il Giappone si prepara a subire l’ennesima provocazione da parte della Corea del Nord, dal momento che è previsto un nuovo test nucleare. Nonostante le dure dichiarazioni della rappresentante degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, Samantha Power, nel corso della visita ufficiale in Corea del Sud, non cessano le intimidazioni di Kim Jong Un. La tensione sale, dopo che sul sito 38 North della School of Advanced International Studies della Johns Hopkins University sono state pubblicate immagini satellitari che registrano un’insolita attività nei pressi di Punggye-ri, il luogo in cui si svolgono i test nucleari. Shinzo Abe si trova a fronteggiare la minaccia di Pyongyang su un campo minato, reso ancora più instabile da un intricato caso diplomatico. Due alti funzionari dell’amministrazione nordcoreana, infatti, avrebbero chiesto asilo politico alla rappresentanza diplomatica nipponica in Cina. Secondo i media giapponesi, vi sarebbero trattative in corso di svolgimento fra le due potenze. “I resoconti sui contatti tra la nostra ambasciata e i disertori nordcoreani non sono veri”, ha invece smentito il portavoce del governo giapponese. Nel caso in cui tutto ciò fosse
confermato, il Primo Ministro dovrebbe affrontare un serio dilemma strategico: concedere o meno l’asilo politico ai disertori. Se esso verrà accordato, la decisione potrebbe sortire effetti negativi, minando di fatto il consenso politico dei conservatori. Si è inoltre ipotizzato che l’instabilità interna al Giappone sia fomentata ad hoc da Abe, con lo scopo di orientare l’opinione pubblica a favore della modifica dell’articolo 9 della Costituzione, a lungo auspicata dal Premier. La revisione metterebbe tra parentesi il principio pacifista alla base dell’ordinamento nipponico. Un indirizzo più marcatamente bellicista potrebbe indurre Tokyo a reazioni più decise nei confronti di Pyongyang, nella cornice della Grand Strategy. Questa tattica, promossa dagli Stati Uniti, prevede la tutela della sicurezza degli alleati degli americani e mira a isolare il regime di Kim Jong Un. Come ha riportato l’agenzia di stampa Reuters, Power ha dichiarato che gli Stati Uniti hanno preso la decisione di “impiegare tutti i mezzi a disposizione per affrontare questa minaccia, includendo la pressione diplomatica che stiamo mettendo in atto a livello mondiale”. Lo scopo, ha aggiunto, è quello di convincere altre nazioni a isolare il regime.
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AFRICA 7 Giorni in 300 Parole BURUNDI 12 ottobre. Il governo ha votato in parlamento la proposta di uscire dalla Corte Penale Internazionale. La proposta arriva dopo che le Nazioni Unite hanno condannato le violenze e le sistematiche violazione dei diritti dell’ uomo iniziate con alcune proteste nel 2015. COSTA D’AVORIO 7 ottobre. Il presidente Ouattara annuncia in Parlamento il progetto per la nuova costituzione che eliminerebbe il limite dei due mandati per la sua carica. 11 ottobre. Il progetto è stato approvato con una maggioranza di circa il 90% dei seggi. A breve verrà chiamato il popolo ad esprimersi sulla questione con un referendum.
ETIOPIA 9 ottobre. Addis Abeba. Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza con effetto immediato. La causa sarebbero le proteste antigovernative che dilagano nel Paese, in particolare nella regione di Oromia. Un gruppo di poliziotti ha aperto il fuoco ad un raduno religioso causando una fuga precipitosa che ha causato decine di vittime. 11 ottobre. Dopo le violenza al raduno è accorsa Angela Merkel per offrire aiuto al governo etiope e garantire il dialogo tra le parti. Inoltre l’offerta 20 • MSOI the Post
AFRICA,UNA NUOVA VIA PER GLI INVESTIMENTI CINESI
Gli interscambi tra Cina e Africa aumentano del 30% annuo e non sembrano arrestarsi Di Arianna Papalia La penetrazione economica cinese nel continente africano aumenta a un ritmo esponenziale. Recentemente, il Forum per gli Investimenti verso l’Africa (IAF), tenutosi a Guangzhou, ha confermato questa tendenza. Leader africani di 38 Paesi, tra cui il presidente del Sudafrica Jacob Zuma, il presidente del Benin Patrice Talon e vari ministri di Madagascar, Nigeria e Costa d’Avorio, in accordo con le imprese cinesi, hanno concluso piani di investimento per un valore di 2,5 miliardi di dollari. Stime della Banca Mondiale riportano che negli ultimi anni la crescita dei rapporti commerciali fra Cina e Africa si attesta intorno al 30% annuo; in particolare, tali scambi hanno raggiunto nel 2014 la cifra di 222 miliardi di dollari. Per farsi un’idea della reale espansione del coinvolgimento economico cinese verso il continente africano basti pensare che, secondo i dati esposti al Wharton Africa Business Forum, nel 2008 gli investimenti ammontavano intorno ai 7 miliardi e hanno raggiunto nel 2013 i 26 miliardi Tale interesse per l’Africa da parte di Pechino ha permesso la costruzione di numerose infrastrutture. Il 5 ottobre scorso, per esempio, è stata inaugurata la rete ferroviaria lunga 760 km che collega Addis Abeba a Gibuti e che permette all’Etiopia di raggiungere
il mare. Inoltre, è stata recentemente portata a termine la costruzione delle dighe di Bui in Ghana o di Merowe in Sudan, pur con diversi disagi per la popolazione, la quale durante i lavori è stata trasferita in aree desertiche. Nonostante gli evidenti benefici strutturali e la facilità con cui soprattutto la regione subsahariana ottiene prestiti a basso tasso d’interesse, una questione fondamentale sorge intorno allo sfruttamento cinese delle risorse africane e ai profitti che la Cina sta riscuotendo a scapito delle popolazioni locali. L’analista ciadiano Evariste Ngarlem Tolde identifica, infatti, la Cina come principale investitore nell’industria petrolifera in Sud Sudan, ruolo che le ha permesso di fare da mediatore nel conflitto in corso dal 2013 nella regione. Tolde sottolinea, inoltre, come spesso Pechino sia l’unico partner economico per l’acquisto di armi da parte di Paesi come la Repubblica democratica del Congo o la Repubblica Centrafricana. Considerato tutto ciò, resta un interrogativo: quanto, nel prossimo futuro, possa essere positiva l’imposizione cinese di “un dominio politico ed economico che torna utile ai suoi interessi” e l’imposizione di un modello che sembra tralasciare una componente fondamentale per lo sviluppo ottimale della popolazione: la tutela dei diritti umani.
AFRICA del Cancelliere di addestrare le truppe di polizia.
L’ETIOPIA IN STATO DI EMERGENZA
Si aggrava la situazione dopo le violenze del 2 ottobre
NIGER 6 ottobre. Tazalit. Jihadisti attaccano un campo di profughi maliani. Il commando avrebbe aperto il fuoco sui militari di guardia uccidendone 22 e ferendone 5. Poi, dopo aver razziato viveri e rifornimenti, sarebbero fuggiti.
Di Francesca Schellino
NIGERIA 12 ottobre. Maiduguri. Attacco terroristico nel centro del Paese dove una donna imbottita di esplosivo si è fatta esplodere in un taxi provocando circa 8 vittime. REPUBBICA DEMOCRATICA DEL CONGO 10 ottobre. Beni. Circa 8 civili sono rimasti uccisi nel fuoco incrociato tra l’esercito ed i ribelli che avevano assalito la città. SUDAFRICA 11 ottobre. Johannesburg. Nel campus universitario di Witwatersrand sono avvenuti violenti scontri tra agenti di polizia in assetto antisommossa e studenti. Le rivolte sono state causate dalla decisione del governo di non mantenere l’università gratuita per tutti. A cura di Francesco Tosco
Domenica 2 ottobre almeno 50 persone sono morte schiacciate e soffocate dalla folla a Bishoftu, a sud della capitale, in occasione del festival Irreecha con il quale l’etnia Oromo segna la fine della stagione delle piogge. L’opposizione parla di un bilancio di circa 150 vittime e accusa le forze di sicurezza di aver utilizzato gas lacrimogeni e proiettili di gomma, provocando così panico fra la folla. La festività si è svolta in un clima di agitazione dovuto alle tensioni fra gli Oromo e il governo, iniziate nel novembre 2015 in seguito ad una manifestazione contro l’estensione del potere centrale, durante la quale i partecipanti furono dispersi con la forza. Il primo ministro etiope Hailemariam Desalegn ha declinato ogni responsabilità riguardante l’accaduto e ha accusato i presenti di aver provocato i disordini. All’origine delle violenze c’è la forte frustrazione degli Oromo. Questa etnia vive nella parte centroccidentale del Paese e nonostante rappresenti il 35% della popolazione si sente emarginata e sfavorita nei confronti delle istituzioni.
Gli Oromo sono in rivolta da mesi contro il piano del governo che prevede l’espropriazione delle loro terre; l’Oromia è infatti una delle aree più ricche nel nord est dell’Africa per le sue risorse agricole e naturali. L’etnia si è da subito schierata contro il land grab: un piano governativo prevede che gli agricoltori locali perdano la loro terra a favore di multinazionali straniere. A dimostrazione del clima di tensione, la contestazione degli oromo ha coinvolto anche gli Amhara, il secondo gruppo etnico più numeroso del Paese. Le principali rimostranze, oltre al land grab, sono la diffusa corruzione dei politici locali, la mancanza di democrazia e soprattutto l’eccessivo potere dei Tigrini, che pur rappresentando appena il 6% della popolazione detengono quasi esclusivamente tutto il potere politico. In seguito ai disordini e alle vittime del 2 ottobre il governo ha dichiarato lo stato di emergenza, che si è tradotto nel blocco di internet e in un coprifuoco in vigore nel territorio dell’Oromia e nella capitale Addis Abeba. Lo stato di emergenza, come aveva paventato l’opposizione, ha ulteriormente aggravato lo stato di crisi del Paese, che si trova ora in una situazione più che mai delicata.
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SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole BRASILE 10 ottobre. Ordinata la sospensione di Facebook per 24 ore in tutta la nazione da parte di un giudice di Santa Catarina. In base alla decisione del magistrato Renato Roberge, Facebook si sarebbe rifiutato di rimuovere un profilo falso che prendeva in giro un candidato sindaco nel comune di Joinville. COLOMBIA 5 ottobre. Dopo la bocciatura dell’accordo con le FARC, nel referendum del 2 ottobre, il presidente Juan Manuel Santos si riunisce con gli oppositori, tra i quali Alvaro Uribe, a Bogotà, al fine di rilanciare il processo di pace, ritenuto necessario. Lo stesso Uribe, ha dichiarato l’intenzione di contribuire per creare un consenso, convinto della necessità di una pace accettata da tutti. 7 ottobre . Riavviati i negoziati di pace con il fronte del “no” a L’Avana, in cui sono state stabilite l’apertura a nuove trattative e il cessate il fuoco. Il governo di Bogotà avvierà nuovi colloqui di pace con il secondo più grande gruppo ribelle del paese, il National Liberation Army (ELN), i quali saranno inaugurati formalmente il 27 ottobre. 8 ottobre. Il presidente Juan Manuel Santos riceve il premio Nobel per la Pace 2016, per la dedizione nel promuovere l’accordo di pace con le FARC, dopo 52 anni di guerriglia interna. Santos dichiara di accettare il premio in nome delle vittime del conflitto e delle sofferenze subite dal popolo colombiano, riconoscendolo come “grande stimolo” per ricostruire la pace in Colombia. Afferma, inoltre, di donare gli 8 milioni di corone del premio per il risarcimento delle famiglie delle vittime, al fine di promuovere la pace e la riconciliazione. Immediata la reazione del leader guerrigliero delle FARC, Rodrigo 22 • MSOI the Post
LE STIME DEL FMI SULL’AMERICA LATINA E I CARAIBI
Il World Economic Outlookabbassa le precedenti stime sulla regione. Sarà migliore il 2017 Di Daniele Pennavaria “L’attività economica in America Latina e Caraibi continua a rallentare” segnala il Fondo Monetario Internazionale nel suo rapporto annuale (World Economic Outlook) sulle previsioni del PIL mondiale. Dalla sede di Washington arriva la notizia che nella regione è prevista una contrazione dello 0,6% per il 2016. Il dato, oltre a essere in controtendenza con la crescita mondiale, fissata al 3,1%, è ancora peggiore delle previsioni fatte a luglio, che individuavano un calo dello 0,4% nel PIL dei Paesi latinoamericani e caraibici. La valutazione riassume il pessimismo dell’FMI, ma anche di molte altre organizzazioni del panorama internazionale, rispetto alla ripresa dell’economia dell’America Latina e registra il primo negativo, dopo lo 0% dello scorso anno. Le principali ragioni di questo calo sono la situazione critica in Venezuela e la fase di recessione che sta attraversando il Brasile, fino ad ora la vera locomotiva della crescita sudamericana. In Brasile alla crisi economica si affianca quella politica, che ha portato al cambio ai vertici di quest’estate. Le prospettive, qui, continuano a essere negative, come mostra la contrazione del 3,3% del reddito nazionale. Il fanalino di coda resta il
Venezuela, in ginocchio per il crollo del prezzo del petrolio e con sempre minori prospettive di rialzarsi. Con una contrazione del PIL del 10% e un’inflazione stimata al 700%, la Repubblica Bolivariana ha, secondo il Fondo, “la peggior evoluzione della crescita ed inflazione del mondo”. Anche l’Argentina ha visto peggiorare le stime relative al suo PIL. Benché queste siano calate progressivamente – dal negativo dell’1% pronosticato ad aprile all’1,5% di luglio, fino a un finale 1,8% – è da segnalare che i rinati rapporti tra il Paese e l’FMI, fermi per 10 anni prima del settembre scorso, lasciano sperare in una ripresa forse lenta, ma costante. L’impulso di Macri è comunque parso finora fondamentale, ma troppo costoso. Contro la tendenza del Sud America, la cui recessione ha affossato il complesso della macro regione, crescono il Cile, il Perù e la Colombia, sebbene moderatamente. Le previsioni per il 2017, tuttavia, sembrano ben più positive, tanto per la regione (stima di un +1,6%) quanto per i singoli Stati. Le più importante progressioni saranno quelle di Brasile e Argentina, che torneranno a trainare l’economia regionale, mentre l’unico Paese che si troverà ancora in difficoltà sarà, senza sorprese, il Venezuela.
SUD AMERICA Londono, alla notizia del Nobel per la Pace a Santos: “L’unico premio al quale aspiriamo è quello della pace con giustizia sociale, senza paramilitarismo, senza rappresaglie e senza menzogne”. HAITI 8 ottobre. L’uragano Matthew devasta i Caraibi, il bilancio delle vittime sale a oltre 260 morti. Le maggiori devastazioni sono avvenute nella città meridionale di Roche-a-Bateau, a Jeremie, dove l’80% degli edifici sono stati distrutti. Urgente è la necessità di assistenza umanitaria per più di 350 000 persone, secondo le dichiarazioni di Douglas Reimes, Regional Emergency Advisor dell’Unicef per l’America Latina e i Caraibi. Gravi sono le condizioni in cui si trova il paese: città inondate, case distrutte, urgente bisogno di acqua, servizi igienico-sanitari, rifugi, assistenza medica, anche a fronte della rapida diffusione del colera, rifugi. Per i primi interventi di soccorso e assistenza, Unicef ha aperto una di raccolta fondi per aiutare i bambini di Haiti, per la quale sono necessari 6 milioni di dollari. VENEZUELA 12 ottobre. Henrique Capriles, leader d’opposizione al Presidente Maduro, dichiara di volerlo costringere alle dimissioni, sostenendo di riuscire a raccogliere 4 milioni di firme per indire un referendum revocatorio contro il governo, ritenuto dall’opposizione responsabile della crisi economica. Il mandato di Maduro dovrebbe concludersi nel 2019, ma se fosse sfiduciato con il referendum, previsto dalla costituzione, subentrerebbe il Vicepresidente al governo per i restanti due anni. A cura di Giulia Botta
HAITI IN GINOCCHIO
La risposta internazionale all’uragano Matthew
Di Daniele Ruffino Per il piccolo Stato dei Caraibi pare non esserci pace: dopo il devastante terremoto del 2010, che uccise più di 220.000 persone e i cui danni non sono tutt’ora stati riparati, pochi giorni fa la forza della natura si è nuovamente scagliata sull’isola. Il tornado Matthew ha ucciso oltre 1000 persone e generato danni per 5 miliardi di dollari. Oltre ad aver causato danni fisici ed economici, il tornado ha gettato il Paese in un’emergenza socio-sanitaria gravissima: più di 350.000 persone necessitano immediatamente di assistenza e il 70% della popolazione non ha più un lavoro dopo il terremoto del 2010. Inoltre, un bambino su due muore per malattie facilmente curabili, come riporta Douglas Reimes, Regional Emergency Advisor dell’UNICEF per l’America Latina e i Caraibi. L’UNICEF ha già stabilito un piano provvisorio che stanzia 6 milioni di dollari per garantire a un’ampia fascia di bambini le prime cure sanitarie necessarie. L’ o r g a n i z z a z i o n e intergovernativa non è la sola ad essere attiva sul fronte caraibico. Anche l’organizzazione Nuestro Pequenos Hermanos, che aiuta bambini orfani, abbandonati e poveri, si sta adoperando per sostenere gli sfollati. In particolar modo la sua sezione italiana, Fondazione Francesca Rava, la quale opera nelle parte
sud-ovest dell’isola da oltre 30 anni, ha ideato un progetto per la messa in sicurezza di 3.000 famiglie. Oltre alla NPH, diverse altre organizzazioni sono scese in campo per aiutare Haiti: MSF (Medici Senza Frontiere) e GCU (Gruppo Chirurgia d’Urgenza), per esempio, si sono immediatamente adoperate per soccorrere i feriti e per arginare la diffusione endemica del colera, che ha già ucciso 4 persone. Ma sono ancora molte le ONG che si trovano sull’isola per prestare soccorso: l’onnipresente CRI (Croce Rossa Italiana), Save the Children, AGIRE (Agenzia Italiana Risposta Emergenze), SOS villaggi dei bambini, Rainbow for Africa, Caritas, la Protezione Civile Italiana e la task force dei Camilliani (CTF), che opera nell’ospedale di Port au Prince. Lunga è quindi la lista delle organizzazioni non governative. L’ONU, poi, ha organizzato un vero e proprio contingente capitanato dal Brasile - per far fronte a quello che è uno dei disastri naturali più gravi degli ultimi anni. Tutti gli uffici competenti si sono mobilitati per organizzare missioni umanitarie, inviare pacchi alimentari e sanitari e soprattutto raccogliere i soldi necessari per la messa in sicurezza degli sfollati e dei feriti. MSOI the Post • 23
ECONOMIA WikiNomics 2 MILIONI DI CONTI INVENTATI PER WELLS FARGO Stumpf lascia Wells Fargo
IL FILO ROSSO TRA WASHINGTON E PECHINO La reazione dei mercati alla trasformazione cinese e alla politica della Fed
Di Luca Bolzanin
Di Efrem Moiso Vi è mai stato attribuito il pagamento di un servizio che non avete mai richiesto? È successo ad alcuni clienti della banca Wells Fargo. Ecco cosa c’è da sapere a proposito dell’ultimo scandalo di Wall Street. Attività bancaria. La principale funzione economica svolta dalla banca consiste nel trasferire risorse finanziarie dai soggetti che ne dispongono a quelli che ne difettano, ponendosi come controparte di ciascuno di essi. Questa funzione di intermediazione è esercitata attraverso la raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito tramite operazioni di prestito. Tuttavia, una banca può svolgere una serie di altre operazioni che rappresentano servizi verso la clientela e danno luogo all’incasso di ricavi da commissioni. Cross-selling. È la pratica di vendere un prodotto o un servizio aggiuntivi rispetto a quelli richiesti dal cliente dopo aver confermato la vendita di un primo prodotto. Si tratta di una strategia aggressiva che punta al raggiungimento di grossi target di vendita. 24 • MSOI the Post
Nuove avvisaglie della ristrutturazione dell’economia cinese arrivano dai dati comunicati ieri mattina da Pechino: esportazioni in calo del 10% su base annua. L’annuncio ha generato, com’era prevedibile, una leggera turbolenza, prima sulle Borse asiatiche e poi su quelle europee. A ciò si aggiunge anche la svalutazione del 5% del Renminbi rispetto al Dollaro, causata sia da un generale rafforzamento del dollaro su tutte le valute, sia al sempre più probabile e imminente rialzo dei tassi di interesse da parte della Fed. Il tasso di cambio Renminbi/Dollaro, infatti, è fortemente influenzato dalle decisioni di politica monetaria statunitense, dal momento che il gigante asiatico intrattiene ingenti rapporti commerciali con gli USA e ne detiene la quota maggiore di debito pubblico, avendo da poco superato il Giappone. La decisione della Fed di aumentare i tassi di interesse per la seconda volta dal 2009, quando avevano raggiunto il minimo storico, è dovuta principalmente alla necessità di contenere l’inflazione, che potrebbe superare la soglia di sicurezza del 2%. Questa mossa potrebbe avere ricadute notevoli sull’intera economia globale, inducendo le altre
principali banche centrali a fare altrettanto e penalizzando i mercati e settori più esposti ai Paesi emergenti. La Fed, d’altronde, è consapevole di non poter attuare una politica monetaria aggressiva. In tal caso, infatti, con il Dollaro forte e l’aumento dei tassi, finirebbe per legittimare una ulteriore svalutazione del Renminbi, che, secondo Marco Aboav, head of asset allocation di Moneyfarm, “potrebbe far sprofondare i mercati sviluppati in una spirale di deflazione e incertezza”. Ad ogni modo, non sembrano profilarsi rischi per la tenuta del sistema, se si considera che i mercati stanno già ampiamente scontando l’incremento dei tassi nelle proprie valutazioni e che la Fed continua a fornire ampie rassicurazioni sulla gradualità del processo di rialzo, come dimostra il fatto che si sia astenuta da nuovi rialzi nel corso degli scorsi mesi. Inoltre, i segnali di stabilizzazione della crescita cinese - dovuti in gran parte alla concessione di debito alle SOE - e il rialzo del prezzo del petrolio hanno contribuito a ridurre i rischi sistemici percepiti dai mercati. Rischi che, però, permangono a causa di fattori di instabilità provenienti dall’ambito economico (la sempre minore efficacia delle misure di Quantitative easing) e da quello politico (Brexit, elezioni negli Stati Uniti e referendum in Italia).
ECONOMIA Lo scandalo. A settembre, Wells Fargo è stata condannata a pagare sanzioni per 185 milioni di dollari e ha licenziato 5300 dipendenti, tra dirigenti e impiegati, per aver utilizzato pratiche aggressive e illegali. La banca è sotto indagine e la questione è tutt’altro che risolta, ma quel che è certo è che i funzionari di Wells Fargo hanno aperto, grazie al cross-selling, 2 milioni di conti correnti senza autorizzazione, creato email fittizie di registrazione ai servizi bancari online e attivato 565000 carte di credito mai richieste. I frutti di queste operazioni, di cui Wells Fargo e il suo AD non si sono - per il momento - presi la colpa, sono le commissioni che gli ignari clienti hanno pagato senza ricevere nulla in cambio: circa 1.5 milioni di dollari. John Stumpf. La sua carriera iniziò nel 1982 presso la Northwestern National Bank, divenuta poi Norwest Corporation. Nel 1998, dopo la fusione tra Norwest e Wells Fargo, Stumpf divenne capo del Southwestern Banking Group. Due anni più tardi ricoprì la carica di capo del Western Banking Group che gestiva dieci Stati federali. Nel 2007 divenne Amministratore Delegato di Wells Fargo e nel 2010 anche suo Presidente. L’anno successivo gestì una delle più grandi acquisizioni della storia con l’acquisto della banca Wachovia. Il 12 ottobre, dopo aver rinunciato a 41 milioni di dollari in compensi e subito pressioni da più parti in seguito allo scandalo, ha abbandonato ogni posizione da lui ricoperta nella Banca.
LE RICCHEZZE NASCOSTE DEGLI INDIANI Uno Stato non capace di riscuotere le tasse
Di Ivana Pesic L’evasione fiscale è un fenomeno che attanaglia le economie di tutto il mondo. Ogni Stato adotta le proprie manovre correttive. Il Governo di Nuova Delhi ha proceduto, a partire da giugno, concedendo l’amnistia fiscale, provvedimento che permette ai dichiaranti, per quanto riguarda i loro redditi in nero, di non doverne più rispondere davanti alla legge, in seguito all’esborso di una penale. Il 30 settembre, il Ministero delle Finanze ha dichiarato che quasi 65 mila persone avevano risposto al programma di amnistia fiscale lanciata a giugno, regolarizzando i loro redditi in nero. È stato dichiarato che il totale dei redditi venuti alla luce ammonta a 653 miliardi di rupie (9.8 miliardi di dollari). Per le casse dello Stato questo significa un inatteso guadagno miliardario, ma si tratta ancora, tuttavia, di una goccia nel mare per un Paese, come l’India, in cui solo il 2,7% dei cittadini paga le tasse. Il grosso della forza lavoro indiana è, infatti, impiegata nell’economia informale e, quindi, rimane fuori dalla portata del fisco. Si tratta di operai, venditori ambulanti, idraulici, ecc. È difficile stimare a quanto ammontino i loro guadagni e di quanto questi
sfuggano al Governo. Molti di questi lavoratori sono poveri e, probabilmente, sarebbero al di sotto della soglia del reddito imponibile. Tuttavia, la loro attività pare rappresentare la metà del PIL indiano. Se Nuova Delhi avesse una maggiore capacità di riscuotere le tasse, disporrebbe di circa 120 miliardi di dollari in più da spendere ogni anno. Una delle ragioni per la mancata riscossione delle tasse è che in India è necessario un lasso di tempo molto lungo per risolvere le controversie fiscali. Il revisore dei conti ha rilevato come tra il 2010 e il 2015 le autorità fiscali abbiano affrontato in media 78600 casi all’anno, lasciandone in sospeso oltre 200 mila. Tra il 2014 e il 2015, un gettito di 3800 miliardi di rupie è rimasto bloccato in cause fiscali al primo giudizio. Altri 1900 miliardi sono rimasti bloccati in cause presso le corti di grado superiore. L’Agenzia delle Entrate dell’India ha usato perfino YouTube per diffondere l’idea che dichiarare le imposte non pagate sia una quesitone di onore personale. Nonostante ciò, programmi come l’amnistia di quest’estate si limitano semplicemente a compensare l’incapacità del governo di riscuotere le tasse e, di solito, fanno emergere solo una piccola parte dei redditi nascosti.
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