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RUSH TO THE WHITE HOUSE Sei approfondimenti per capire le elezioni americane Il Settimanale di M.S.O.I. Torino
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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Elisabetta Botta, Segretario M.S.O.I. Torino
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N u m e r o
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RUSH TO THE WHITE HOUSE Sei approfondimenti per capire le elezioni americane
FINE DI UN’ERA? Democratici e Repubblicani cambiano pelle: cosa resterà della campagna elettorale del 2016 Di Federico Palmieri Sezione MSOI Roma La campagna elettorale per le presidenziali statunitensi del 2016 si avvia verso la conclusione: gli Stati Uniti si apprestano ad eleggere il loro nuovo Presidente il prossimo 8 novembre. Giunti alle ultime battute di una stagione così accesa, in molti iniziano a domandarsi quale sarà l’eredità della campagna elettorale del 2016. È già possibile individuare una risposta: le due principali forze politiche americane, il Partito Democratico e il Partito Repubblicano, hanno cambiato pelle. Indipendentemente da chi si assicurerà la Casa Bianca per i prossimi quattro anni, gli effetti della campagna 2016 sono qui per restare. È la fine di un’era della politica americana?
Fra i Democratici, la vittoria di Hillary Clinton alle primarie ha sancito, almeno per ora, la supremazia dell’ala centrista del partito: la fuga a sinistra guidata da Bernie Sanders è stata fermata. L’ostacolo è stato proprio quello che oggi è il punto di maggiore forza dei Democratici nella corsa alla Casa Bianca, ovvero l’appoggio delle minoranze: il messaggio di Sanders non ha fatto presa su afroamericani e ispanici, che hanno scelto Hillary Clinton. Superato lo scoglio delle primarie, con la Convention di Philadelphia il partito ha dimostrato di voler orientare il proprio messaggio politico verso il centro, concedendo all’ala sinistra solo pochi premi di consolazione. Forte dell’appoggio di afroamericani e ispanici (eredità dell’era Obama), a Philadelphia il Partito Democratico ha potuto ripensare la propria identità e il proprio messaggio politico. Ne è nata una forza politica ben radicata a livello di consensi, relativamente coesa a livello di establishment e unita nel sostegno al suo nuovo leader, Hillary Clinton.
È stato, in primis, lavoro di squadra: tutti i grandi nomi Dem hanno superato le rispettive inclinazioni politiche e, forse, anche le reciproche antipatie per offrire al grande pubblico un’immagine positiva di Hillary Clinton tale da far breccia nel cuore degli elettori. Ma, in maniera ancora più decisiva, i discorsi di Barack e Michelle Obama, di Joe Biden e l’intervento della stessa Clinton sono stati un’aperta invasione di campo nei confronti dei Repubblicani. Nel 2016 pare giungere a compimento il percorso iniziato dal partito negli anni ‘90: Bill e Hillary Clinton, alfieri di un progressismo pragmatico e post-ideologico, sono riusciti nell’impresa di lanciare i Democratici alla conquista dei voti repubblicani. Trascinati da una retorica e un ottimismo tutti obamiani, alla Convention di Philadelphia i Democratici hanno “rubato” i grandi temi tradizionalmente patrimonio dei Repubblicani: sicurezza nazionale, religione, famiglia, patriottismo. È emblematico che, dopo anni di esitazioni, i Democratici abbiano finalmente fatto proprio
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l’eccezionalismo americano, integrandolo a tutti gli effetti nel proprio arsenale politico e retorico: ora permea non solo la loro linea di politica estera, ma tutto il loro discorso politico. Il risultato di questa operazione potrebbe avere conseguenze sorprendenti. Alla vigilia delle elezioni, molti sondaggi danno come “contesi” Stati tradizionalmente repubblicani come il Texas: comunque vada, è già un successo. A ciò si somma che l’approccio “clintoniano” ha riscontrato nella leadership e nell’establishment del partito un grande consenso: potrebbe resistere, probabilmente, anche se la corsa della Clinton fallisse. Il complice tanto inconsapevole quanto fondamentale della mossa dei Democratici è stato senza dubbio Donald Trump. L’ascesa del candidato repubblicano è stata strumentale per l’operazione messa in atto dai Clinton Democrats: l’asinello ha potuto lanciarsi verso il centro proprio perché questo era stato lasciato scoperto dall’elefantino. Il magnate newyorkese è stato infatti accusato di aver alienato, con una retorica aggressiva e proposte populiste, la tradizionale base elettorale del suo partito: i moderati. Che il candidato repubblicano vinca o meno, l’ascesa di Trump ha riacceso il mai sopito dibattito interno al Partito Repubblicano. Già all’indomani della sconfitta del 2012 era chiaro che il partito avrebbe dovuto cambiare per tornare a vincere. 4 • MSOI the Post
Candidati come Rubio e Bush avrebbero puntato a rafforzare la presa sui moderati e a spingersi alla conquista delle minoranze, primi fra tutti gli ispanici. Trump ha adottato un’altra strategia e ha convinto la base del partito, vincendo le primarie stracciando gli avversari. All’indomani di questa piccola impresa e alla vigilia delle elezioni, Donald Trump ha trascinato il partito dell’elefantino (o ciò che ne rimane) a un bivio. In un primo scenario, i Repubblicani vincono le elezioni: in questo caso, Trump è riuscito nell’impresa di rimodellare il Partito Repubblicano a sua immagine e somiglianza. Si tratta di una ridefinizione completa di cosa significa essere repubblicani: il partito di Reagan diviene il partito di Trump, fondato sulle sue idee e sui suoi valori. Questo porta, necessariamente, all’azzeramento non solo della leadership, ma di tutto l’establishment del Partito Repubblicano. Tanto i pesi massimi quanto gli astri nascenti del GOP si ritrovano stranieri in casa propria, estromessi dal Partito che li ha cresciuti. In questo scenario, diviene fondamentale l’emergere di una nuova leva di leader allineati sulle posizioni di Trump: al momento, tuttavia, di questi “uomini nuovi” pare non esservi traccia. Al di là di facili entusiasmi iniziali, rifondare il Partito Repubblicano potrebbe rivelarsi un’impresa non semplice. In un secondo scenario, sono i Democratici a vincere le presidenziali: in questo caso, secondo molti osservatori (inclusi molti repubblicani) il GOP non potrebbe che precipitare in una caotica guerra civile. Ipotizzando l’uscita di scena di Trump e dei suoi sostenitori, vecchi e nuovi giocatori si ritrovano a misurarsi con vecchie e nuove esigenze. Il terreno di scontro è triplice. In primo luogo, il GOP ha bisogno di delineare una strategia per tornare a vincere. La
sconfitta è, con ogni probabilità, la conferma che la strada per la Casa Bianca passa necessariamente dalla conquista delle minoranze e questo comporta un radicale ripensamento di alcuni cavalli di battaglia repubblicani. Il terreno di sfida sarà cosa sacrificare: ad esempio, privilegiare responsabilità fiscale o conservatorismo sociale? In secondo luogo, emerge prepotentemente un’altra questione spinosa, ovvero cosa fare dell’eredità di Trump. Ci si scontrerà, necessariamente, su cosa salvare e cosa buttar via, in uno confronto che si prospetta aspro. In terzo luogo, infine, il partito deve occuparsi di identificare da subito un nuovo leader in grado di guidare questo reboot e di incarnarne i valori. In sintesi, chi sarà l’Obama repubblicano? I candidati non mancano, ma la ricerca sarà complessa: il nuovo leader dovrà essere capace di compattare il Partito dopo una stagione di violente contrapposizioni e di grandi insuccessi – un’operazione non scontata. Comunque vada la sfida del 2016, il messaggio politico dei Partiti americani è cambiato. Da un lato, è il segno dei tempi: forti spinte al rinnovamento stanno animando il dibattito interno dei principali partiti di molte democrazie occidentali. Al contempo, Democratici e Repubblicani confermano in questo la tendenza tutta americana di giocare la partita di oggi guardando già a quella di domani. La campagna elettorale 2016 pare aver segnato una profonda evoluzione nei due principali partiti degli Stati Uniti: è l’inizio di una nuova stagione per la politica americana.
EUROPA 7 Giorni in 300 Parole FRANCIA 1° novembre. Il presidente Hollande ha proposto di accogliere i patrimoni artistici iracheni e siriani minacciati dalla guerra a Liévin, il centro di conservazione dei reperti archeologici provenienti dal Louvre che sarà inaugurato nel 2019. 2 novembre. Si è conclusa l’evacuazione dei 1.500 bambini e ragazzi orfani provvisoriamente rimasti nei container navali a Calais dopo lo smantellamento della “giungla”. Per ognuno di loro le autorità londinesi dovranno verificare le domande di trasferimento anche alla luce del rifiuto che il premier Theresa May ha opposto al presidente francese Hollande in merito alla possibilità di incrementare il numero dei minori da accogliere. ITALIA 1° novembre. Dopo la violenta scossa del 30 ottobre che ha distrutto la cattedrale di San Benedetto (Norcia), la terra tra le Marche e l’Umbria ha ripreso a tremare. Sale a 22.000 il numero delle persone assistite dalla Protezione Civile a partire dal 24 agosto, giorno del sisma di Accumuli e Amatrice. REGNO UNITO 28 ottobre. Jeremy Corbyn, leader del Partito Laburista, ha dichiarato di voler promuovere la modifica dei programmi scolastici britannici per combattere l’omofobia anche attraverso l’introduzione nelle scuole dello studio della storia dei diritti LGBT. SPAGNA 31 ottobre. Dopo 10 mesi di instabilità politica, in seguito al
BARROSO-GOLDMAN SACHS: CODICE DI CONDOTTA NON VIOLATO Mediatore europeo: danno alla reputazione della Commissione UE
Di Giulia Marzinotto Il Comitato etico, costituito da esperti legali e consulenti politici, che si è occupato di analizzare da vicino il passaggio dell’ex presidente della Commissione Europea, Josè Manuel Barroso, alla Goldman Sachs, in cerca eventuali conflitti di interessi, ha sentenziato che “non ci sono motivi sufficienti per stabilire una vio lazione del dovere di integrità e discrezione” da parte dell’ex premier portoghese. Ma la questione potrebbe non essersi conclusa. Lo scorso 12 ottobre, dopo l’assunzione da parte di Barroso dell’incarico di presidente non esecutivo della più grande banca d’investimenti americana, veniva depositata alle istituzioni europee la petizione firmata da oltre 150.000 cittadini richiedente misure esemplari nei suoi confronti. Tale caso di “revolving doors”, inteso come passaggio da un ruolo politico nel settore pubblico ad un ruolo consultivo in quello privato, mobilitava gli stessi funzionari europei che intravedevano della problematicità, in termini di compatibilità etica e morale, nel passaggio di Barroso da tale carica istituzionale a quella di lobbista. Sin dall’accettazione dell’incarico da parte del politico por-
toghese, l’attuale presidente della Commissione UE, Jean Claude Juncker, aveva espresso preoccupazione, adottando provvedimenti inediti nei suoi confronti, quali il declassamento a “semplice lobbista” e la sospensione dei benefici del protocollo derivanti dalla sua duplice esperienza a capo della Commissione, a partire dall’utilizzo del tappeto rosso. Nonostante l’ex numero uno della Commissione UE abbia rispettato il periodo di stop di 18 mesi tra un incarico e l’altro, come previsto dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, il Comitato ad hoc ha evidenziato una “mancanza di buon senso”. Il mediatore europeo, Emily O’Reilly, ha affermato che se “legalmente Barroso non ha infranto il Codice di condotta, […] un danno alla reputazione della Commissione UE e più ampiamente all›Unione è stato fatto”. Il riferimento è all’articolo 245 del TFUE che sancisce il dovere al rispetto di un comportamento integro e discreto da parte degli ex commissari, dopo la fine dell’incarico, nell’accettare nuove assegnazioni o benefici. La O’Reilly non esclude la possibilità di “un’indagine in relazione a questa importante questione, data la preoccupazione che continua ad essere espressa sull’incarico di Barroso”.
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EUROPA giuramento dinnanzi a re Felipe VI Mariano Rajoy è tornato eufficialmente al poter con un governo di minoranza. UNGHERIA 29 ottobre. Prosegue lo scontro diplomatico fra Italia e Ungheria; alle dichiarazioni del primo ministro Orban, che ha accusato il suo omologo italiano di essere nervoso per le difficoltà di bilancio e per i problemi legati all’accoglienza dei migranti, sottolineando come l’Italia non rispetti gli accordi di Schengen, ha fatto seguito la replica del premier Renzi, che dopo aver negato le affermazioni provocatorie, ha annunciato la volontà di porre il veto sul bilancio europeo in caso di mancata equità nel rispetto di diritti e doveri. UNIONE EUROPEA, 30 ottobre. Vinte le recenti ritrosie della Vallonia, dopo una lunga trattativa durata 7 anni si è giunti alla firma del CETA, il trattato commerciale tra UE e Canada. Il documento entrerà in vigore soltanto dopo esser stato ratificato dal Parlamento Europeo e dai Parlamenti nazionali degli Stati membri dell’UE, sebbene sia presumibile un’applicazione provvisoria dello stesso, conseguente all’assenso dei Ventotto e della Plenaria del Parlamento Europeo prevista a gennaio 1° novembre. Marine Le Pen dovrà pagare al Parlamento Europeo 339.000 euro in seguito all’accusa di aver utilizzato impropriamente le risorse parlamentari. La leader del Front National avrebbe infatti assunto due assistenti stipendiati dall’UE per svolgere lavori per il partito. A cura di Federica Allasia
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USO IMPROPRIO DI FONDI: ATTRITI TRA LE PEN E PARLAMENTO UE
L’eurodeputata francese deve restituire al Parlamento europeo 339.000 euro
Di Michele Rosso Lunedì 31 ottobre il Parlamento Europeo ha reso nota la sua richiesta a Marine Le Pen, eurodeputata e leader del partito euroscettico francese Front National, di restituire 339.000 euro concessi per l’assunzione di due collaboratori, Thierry Legier e Cathérine Griset. Secondo i controlli effettuati dall’OLAF, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode, i due assistenti non avrebbero prestato servizio presso il Parlamento Europeo bensì in Francia, a Nanterre, presso la sede del partito. Si tratterebbe dunque di un uso illecito delle risorse concesse dall’istituzione. A denunciare Le Pen sono stati il settimanale Marianne e il sito d’informazione Mediapart.fr. Sulla scorta delle informazioni fornite dai due media, l’OLAF aveva richiesto al Parlamento Europeo, nel mese di agosto, di recuperare il finanziamento. Il segretario generale Klaus Welle aveva scritto il 30 settembre alla Le Pen di presentare eventuali chiarimenti entro un mese, senza però ottenere alcuna risposta. Da qui la decisione di ufficializzare la richiesta di rimborso. Gli avvocati del Front National, hanno, tuttavia, manifestato l’intenzione di presentare un ricorso presso la Corte di giustizia dell’UE. Essi, infatti, ritengono
impossibile porre distinzioni di carattere nazionale o europeo per quel che concerne il lavoro svolto per un eurodeputato. Tematiche europee quali la gestione dei migranti o lo spazio Schengen sono, ai loro occhi, strettamente legate a questioni di carattere nazionale. Il vicepresidente del partito, Florian Philippot, ritiene che l’azione del Parlamento Europeo sia un’operazione di natura politica, volta a screditare il partito perché euroscettico. Le istituzioni europee applicherebbero, secondo le sue parole, le regole in modo arbitrario (vi è un esplicito riferimento alla recente vicenda Barroso-Goldman Sachs). L’azione del Parlamento Europeo potrebbe avere un effetto destabilizzante sulla campagna del Front National per le elezioni presidenziali francesi del 2017 poiché danneggerebbe l’immagine di un partito che, nelle sue dichiarazioni, si vuole trasparente e in lotta contro la corruzione. Ma vi sarebbero anche alcune implicazioni di carattere economico: il partito ha riscontrato, in effetti, notevoli difficoltà per il finanziamento della campagna. Il taglio allo stipendio del suo leader, volto al recupero della somma, di certo non gioverebbe.
NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 1° novembre. Nel mese di ottobre l’indice che misura la produzione manifatturiera degli Stati Uniti si attesta in leggero rialzo rispetto alle previsioni degli analisti.
LE ALLEANZE DEL FUTURO
Come potrebbe cambiare il sistema di alleanze dopo le presidenziali?
Di Sofia Ercolessi
2 novembre. Due poliziotti sono stati uccisi nella notte, in due diversi attacchi, a Des Moines in Iowa. Sembrerebbe fossero due “imboscate”, realizzate a pochi minuti l’una dall’altra. Poco dopo il ritrovamento del secondo corpo è stato annunciato che il sospetto, il 46enne Scott Michael Greene, è stato rintracciato ed arrestato. 2 novembre. Mentre continua l’offensiva su Mosul, gli Stati Uniti, attraverso il segretario alla Difesa Ash Carter, hanno fatto sapere che “continueranno a parlare con l’alleato Turchia per decidere il ruolo che le rispettive forze avranno nell’operazione per prendere Raqqa”, altra roccaforte del sedicente Stato Islamico. 3 novembre. Secondo un sondaggio realizzato da ABC e Washington Post Donald Trump avrebbe superato, per la prima volta da mesi, Hillary Clinton nei sondaggi su base nazionale. Il tycoon newyorkese sarebbe infatti al 46%, mentre l’ex First Lady seguirebbe con il 45% dei voti. Secondo il New York Times, invece, Trump sarebbe al 42%, mentre Clinton al 45%. Il calo delle preferenze verso la candidata democratica sembra
La scelta tra Hillary Clinton o Donald Trump determinerà, fra le altre cose, il sistema mondiale di alleanze degli Stati Uniti, sul quale i due candidati hanno idee piuttosto diverse. Primo terreno di scontro è l’Europa. Trump, infatti, a differenza di Clinton, ha accolto con approvazione la Brexit e ha il sostegno di alcuni leader che con l’Unione Europea sono ai ferri corti, come il primo ministro ungherese Viktor Orbán, mentre il presidente francese Hollande l’ha accusato di “eccessi”. Sul piano della sicurezza, The Donald ha addirittura ventilato un’uscita degli Stati Uniti dalla NATO se gli alleati non impegneranno in spese maggiori, mentre Clinton ha sempre ribadito il ruolo fondamentale dell’alleanza atlantica come mezzo di cooperazione e sicurezza. Proprio attraverso la NATO la candidata democratica vorrebbe, infatti, rafforzare la difesa missilistica degli Stati dell’Est Europa, per contenere quella che è percepita come una crescente volontà espansionistica del Cremlino. In generale, tra Clinton e Putin notoriamente non corre buon sangue, come dimostrano le recenti accuse di aver tentato di influenzare illegalmente le
elezioni a favore dei repubblicani. Di tutt’altro avviso il candidato avversario, che in più occasioni ha invece espresso simpatia nei confronti del Presidente Russo. In Medio Oriente, Trump vorrebbe probabilmente stabilizzare le relazioni con la Turchia di Erdogan e l’Egitto dell’ufficiale al-Sisi, al quale ha assicurato il proprio “forte supporto” contro il terrorismo. Non altrettanto Clinton, in rapporti tesi con i due leader soprattutto aver dichiarato di voler fornire armi ai curdi contro il Daesh e dopo aver condannato la situazione critica dei diritti umani in Egitto. Una maggior convergenza tra i due candidati si registra su Israele ed Iran: il primo da riavvicinare stabilmente secondo la tradizionale alleanza che lo lega agli USA, il secondo da contenere nell’espansione della propria influenza sull’area. C’è, infine, la questione della Cina, nei confronti della quale solo la candidata democratica sembra volere qualche forma di cooperazione strategica o economica, pur fra critiche frequenti riguardo alla situazione dei diritti umani. Trump si è invece riferito spesso alla Cina in termini negativi, con riguardo all’impatto del paese asiatico sull’economia degli USA. MSOI the Post • 7
NORD AMERICA dovuto alle ulteriori indagini che l’FBI starebbe conducendo sullo scandalo, che sembrava oramai superato, delle e-mail della Clinton.
CANADA 29 ottobre. Secondo alcune indiscrezioni pubblicate da un report di Bloomberg, Apple starebbe sviluppando il suo software per un’automobile a guida autonoma in Canada. L’azienda di Cupertino avrebbe infatti assunto numerosi ingegneri a Kanata, vicino ad Ottawa, che è la città dove ha sede la QNX, società che produce software per automobili per numerosissime marche. 30 ottobre. Dopo alcune giornate concitate iniziate con il veto della Vallonia, a Bruxelles è stato finalmente firmato il CETA, l’accordo di libero scambio che lega il Canada e l’Unione Europea. Il premier Trudeau, nella conferenza stampa successiva alla firma ha rassicurato gli scettici dicendo che il trattato “aiuterà la crescita, creerà cooperazione e favorirà l’innovazione” aggiungendo poi che il CETA “sarà un modello per il futuro”. 1° novembre. Il governo canadese a messo a punto un piano di investimenti a lungo termine per aiutare l’economia del Paese a prendere lo slancio che sembra aver perso. Questo piano sarà realizzato grazie ad una Banca delle Infrastrutture del Canada, come ha annunciato il ministro delle Finanze Bill Morneau. A cura di Alessandro Dalpasso 8 • MSOI the Post
ELEZIONI AL FEMMINILE
A vincere queste elezioni è stata la voce delle donne? Di Silvia Perino Vaiga Che si sia trattato di una campagna elettorale atipica è chiaro a tutti. Ricorderemo questa stagione elettorale per i toni polarizzati e per gli accesissimi confronti. Ma le presidenziali USA 2016 passeranno alla storia inevitabilmente anche come le elezioni delle donne. Indipendentemente da come andrà a finire, l’America ha visto quest’anno per la prima volta la nomination di una donna a candidato di uno dei suoi due maggiori partiti. Non solo: gli scandali sul maschilismo manifesto di Trump hanno indirettamente portato l’attenzione pubblica sul tema della condizione femminile. A schierarsi in prima linea come mai prima nella storia è stata anche la First Lady uscente Michelle Obama, pedina fondamentale per la Clinton, soprattutto nella fase finale di questa campagna. Insomma, è fuor di dubbio che il rosa sia stato uno dei colori predominanti nella tavolozza di queste elezioni. A testimonianza di questo passaggio storico c’è anche un dato estremamente innovativo: il 2016 è stato il primo anno nella storia elettorale americana in cui molti periodici femminili hanno espresso un aperto endorsement per un candidato. Inutile sottolineare che il candidato in questione fosse Hillary Clinton. Il primo è stato Vogue, a metà ottobre: “In passato il settima-
nale si era limitato a profilare i candidati presidenziali, ma quest’anno i nostri editori hanno riconosciuto che fosse necessario un approccio diverso” ha dichiarato un portavoce del magazine. L’esempio è stato seguito a ruota da Glamour, il cui capo redattore Cindi Leive ha manifestato il suo supporto alla Clinton in un recente editoriale: “Ho percepito che in questo ciclo elettorale gli interessi delle donne fossero molto chiari ha scritto la Leive - vediamo che uno dei candidati ha dimostrato attenzione per le donne e per le loro esigenze, mentre l’altro ha all’attivo decenni di mancanza di rispetto nei loro confronti”. Una posizione simile è stata manifestata anche da Cosmopolitan e da altri grandi magazine, che hanno contribuito a sensibilizzare la parte femminile dell’elettorato americano. Viene da chiedersi quanto il merito di ciò vada alla candidatura di Hillary Clinton, e quanto invece questa campagna sia andata nel senso di un maggiore coinvolgimento del pubblico femminile in risposta a un processo che sta portando l’uguaglianza di genere sempre più al centro del dibattito politico, nazionale e non solo. Il messaggio positivo della candidata democratica ha giocato un ruolo, ma se queste verranno ricordate come le presidenziali delle donne è (anche) perché questa volta la posta in palio è altissima, in termini di diritti ed empowerment femminile.
MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole
L’AMARA CRISI EGIZIANA
L’esercito sequestra lo zucchero, ma ora Al-Sisi teme le rivolte
Di Martina Scarnato IRAQ 29 ottobre. Milizie sciite-irachene hanno iniziato l’offensiva a ovest di Mosul. Secondo il portavoce dell’esercito Hashd al-Shaabi, l’iniziativa ha come obiettivo la riconquista di Tall Afar, zona a maggioranza sciita presa d’assedio dal Daesh nel 2014. 30 ottobre. Si contano 17 morti ed una trentina di feriti nei 5 attacchi avvenuti a Baghdad, in quartieri sciiti. Gli attacchi sono avvenuti in zone affollate, soprattutto mercati, e sono stati rivendicati dal gruppo Stato Islamico. 31 ottobre. Dopo due settimane di combattimenti inizia la prima avanzata dell’esercito iracheno a Mosul. Lo riporta l’emittente televisiva Rudaw, che riferisce l’entrata delle forze militari nel quartiere di al-Karamah (zona orientale della città). EGITTO 29 ottobre. Una forte esplosione a nord-est del Sinai ha causato la morte di due soldati egiziani e altri 4 feriti. A riferirlo i funzionari del servizio di sicurezza egiziana, che riportano anche le gravi condizioni in cui riversano i feriti, colpiti da un ordigno durante il tragitto verso Sheikh Zuwaid (nei pressi di El-Arish).
“Prendere in prestito una tazza di zucchero dal proprio vicino non . è mai stato così difficile ” Così esordisce l’agenzia di informazione Reuters, riportando l’ultima decisione del governo di al-Sisi per far fronte alla crisi economica e valutaria che ormai dura dal 2011: la requisizione di circa 9.000 tonnellate di zucchero dalle fabbriche e nei depositi dei distributori alimentari. Tra questi, figurano anche gli stabilimenti della Pepsi Cola e della Edita, il principale produttore di dolciumi del paese. Non sono mancate le proteste dei commercianti, come quella di Hani Berzi, il presidente della Edita, che ha affermato in un’intervista che “questo modo di sequestrare stock e trattarci [i commercianti, nda] come contrabbandieri è vergognoso”. Il Governo, infatti, ha accusato i produttori di contrabbandare e accumulare scorte di zucchero. Tuttavia, il motivo di queste misure va ricercato nel fatto che lo zucchero, uno degli alimenti sovvenzionati dal governo, cominci a scarseggiare, mentre la costante svalutazione della moneta egiziana, a causa dell’inflazione salita ormai al 14%, non permette allo Stato di acquistare rapidamente i quan-
titativi di beni necessari al fabbisogno della popolazione. Per far fronte alla difficile congiuntura economica, al-Sisi avrebbechiestoall’FMIunprestito di 12 miliardi di dollari, promettendo, in cambio, di attuare un piano di riforme “dure ma inevitabili”, così come egli stesso le ha definite, in modo da aumentare le entrate e ridurre i sussidi dello Stato sui beni alimentari, come lo zucchero. La crisi valutaria non è l’unica sfida che deve affrontare l’Egitto di al-Sisi. La crisi economica, infatti, dipende da diversi fattori, innanzitutto dal crollo del settore turistico, influenzato dagli attacchi terroristici verificatisi sul territorio e dalla presenza di gruppi armati affiliati al Daesh nella penisola del Sinai. Inoltre, l’Arabia Saudita avrebbedecisodiridurreirifornimenti di petrolio al Paese, a causa di tensioni a livello diplomatico. Per paura di possibili sommosse a seguito della drammatica situazione, il presidente al-Sisi avrebbe esplicitamente invitato a non scendere in piazza a manifestare. Tuttavia, per l’11 novembre è stata organizzata una giornata nazionale di mobilitazione, che, secondo il governo, godrebbe dell’appoggio dei Fratelli Musulmani, dichiarati fuorilegge dal 2013. MSOI the Post • 9
MEDIO ORIENTE LIBANO 31 ottobre. Eletto il nuovo presidente libanese, Michel Aoun. L’ex Primo Ministro e Comandante dell’esercito ha ottenuto 83 voti su 127, grazie anche all’appoggio del partito sciita Hezbollah e del leader dei sunniti Saad Hariri. La nuova elezione sblocca una situazione di stallo che durava dal 2014. SIRIA 30 ottobre. Attacco gas nel quartiere di Hamdaniya, nella zona ovest di Aleppo. Secondo l’agenzia siriana Sanaa, sono 35 i feriti che hanno mostrato evidenti segni di soffocamento, dovuti ai gas sparati a colpi di artiglieria. I feriti sono stati poi ricoverati in ospedale. 1° novembre. Il presidente siriano Bashar al-Assad ha affermato, in un’intervista al New York Times, di voler rimanere in carica fino al 2021, anno in cui scadrà il suo terzo mandato. Nel frattempo l’ONU accusa il governo di Damasco di crimini di guerra, soprattutto nella zona di Aleppo. 2 novembre. Annunciata pausa umanitaria ad Aleppo, prevista per venerdì 4 novembre. A riferirlo da Mosca è il capo di Stato Maggiore Valeri Gherasimov, che precisa che tale decisione è stata presa in accordo con le autorità della Repubblica Araba Siriana. YEMEN 30 ottobre. Tre attacchi aerei della coalizione saudita hanno colpito il carcere della città di Hodeida, controllata dai ribelli sciiti houthi. Si contano circa 60 morti e 38 feriti. La struttura deteneva circa 80 persone, tra queste anche ribelli. A cura di Maria Francesca Bottura 10 • MSOI the Post
AL-SISI E I SUOI FRATELLI
Una possibile apertura politica in Egitto
Di Martina Terraglia “Il ritorno dei Fratelli musulmani alla vita politica non è una decisione che posso prendere da solo, ma spetta al popolo e allo Stato”. Così il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi si è espresso lo scorso 23 ottobre in merito alla possibilità del ritorno della Fratellanza nell’agone politico. Una posizione molto piú morbida rispetto al passato, o, quantomeno, rispetto al 2013, quando la gli Ikhwan al-Muslimun (questo il nome in arabo del movimento) erano stati dichiarati dal governo egiziano un gruppo terroristico. Sin dal 1928, anno di nascita del movimento, la storia dei Fratelli Musulmani è sempre stata caratterizzata da relazioni altalenanti col governo, passando da alleanze, arresti a tappeto e messa al bando. Durante la Primavera Araba, il movimento aveva sostanzialmente mantenuto un profilo basso e cavalcato l’onda del dissenso, riuscendo ad ottenere l’elezione di Mohamed Morsi alla presidenza nel 2011. Tuttavia, Morsi viene deposto nel 2013, a causa dell’incapacità del movimento di coltivare alleanze con gli altri attori politici. Dal 2014, Presidente dell’Egitto è al-Sisi, esponente dell’esercito e sostenitore della messa al bando della Fratellanza. L’ope-
rato del nuovo Presidente è stato molto contestato, a livello sia nazionale che internazionale. Volendo trascurare le violazioni dei diritti umani da regiatrarsi sotto il suo mandato, molto criticate sono state alcune sue scelte legate alla politica interna, tra cui la cessione delle isole di Tiran e Sanafir all’Arabia Saudita e i provvedimenti presi per fronteggiare la crisi economica che affligge attualmente il Paese. Il malcontento del popolo egiziano verrà incanalato nella rivolta organizzata per il prossimo 11 Novembre. Serpeggia online il sospetto che la rivolta sia ordita proprio dalla Fratellanza, e che abbia tra i principali scopi quello di ottenere la sospensione della condanna a morte di Mohamed Morsi. La possibile partecipazione dell’Ikhwaniyya alle proteste potrebbe da sola bastare a spiegare l’apertura di al-Sisi: come già avvenuto in passato, i Fratelli Musulmani potrebbero cavalcare l’onda del dissesnso e acquisire maggiore presa sulla popolazione, rappresentando un sempre piú pericoloso potere per la presidenza. Eppure, in un mondo ormai completamente connesso, di fronte a una protesta organizzata in rete, dovremmo fermarci un attimo e ricordare che nel 2011 il governo sudanese aveva utilizzato i social media per stanare gli attivisti e riunirli in una fake revolt.
RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole
MONTENEGRO 31 ottobre. A partire dall’ultimo lunedì di ottobre si è svolta sul territorio del Montenegro la più grande esercitazione della NATO che lo Stato abbia mai ospitato, durata 4 giorni. Oltre ai 32 Paesi appartenenti alla NATO hanno preso parte all’esercitazione anche Azerbaijan, Israele e Kosovo. L’esercitazione ha attirato anche l’attenzione della Russia, preoccupata dei sempre più stretti legami fra il Montenegro e l’Occidente. In risposta, allora, la Russia ha organizzato una “contro-esercitazione” in Serbia, la Slavic Brotherhood 2016. RUSSIA 31 ottobre. Il presidente Putin ha firmato una legge federale prevede la sospensione dell’accordo con gli USA relativi allo smaltimento del plutonio delle testate nucleari che verranno eliminate nel corso del programma di disarmo. Le possibili condizioni per il ripristino dell’accordo prevedono la riduzione delle infrastrutture americane nei paesi NATO, la cancellazione negli States della “lista Magnitsky” e la revoca delle sanzioni economiche contro Mosca. 1° novembre. Ildar Dadin, noto attivista russo, ha denunciato la madrepatria. Secondo Dadin, egli sarebbe stato sottoposto a torture durante la detenzione in carcere. Dato che Dadin ha presentato formalmente le accuse è stata aperta un’inchiesta; inoltre, il caso ha avuto così tan-
LA RUSSIA FUORI DAL TAVOLO
Le elezioni annuali del UNHRC lasciano Mosca a bocca asciutta e sollevano proteste
Di Daniele Baldo Per la prima volta dalla sua istituzione nel 2006, il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite vede la mancata vittoria di uno dei 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Nelle elezioni tenutesi il 28 ottobre, infatti, con il voto segreto dei 193 membri dell’Assemblea Generale, la Russia ha perso la corsa alla rielezione. Ogni anno lo UNHRC si rinnova, eleggendo 14 nuovi membri per un mandato di 3 anni. Il Consiglio è suddiviso in 5 gruppi regionali. La Croazia e l’Ungheria, con rispettivamente 114 e 144 voti a favore, sono riuscite ad ottenere i due seggi in palio per i Paesi dell’est Europa, escludendo la Russia. L’ambasciatore russo presso l’ONU, Vitaly Churkin, si era adoperato fortemente per la riconferma nel Consiglio e ha affermato che i Paesi che hanno battuto la Russia “non hanno a che fare con i venti della diplomazia internazionale” ai quali Mosca sarebbe fortemente esposta. Churkin crede che il suo Paese riuscirà a rientrare nel Consiglio il prossimo anno. La candidatura della Russia era stata aspramente criticata da un gruppo di 87 ONG, che avevano denunciato le continue violazioni dei diritti umani, sia nel conflitto siriano sia all’interno del Paese. In una dichiarazione congiunta,
le organizzazioni hanno voluto ricordare, richiamando una risoluzione dell’Assemblea Generale, che nell’elezione di nuovi membri per il Consiglio per i Diritti Umani è doveroso tenere conto del contributo dei candidati nella promozione e protezione degli stessi. Il Cremlino non ha agito in questo senso, andando per esempio ad intensificare le persecuzioni nei confronti dei dissidenti interni. Le ONG avevano anche chiesto ai Paesi di respingere le candidature di Arabia Saudita e Cina, che alla fine si sono però assicurate un posto a testa nel Consiglio. L’Arabia Saudita è nota per non riconoscere parità di diritti fra uomo e donna e per l’alto numero di condanne a morte eseguite ogni anno. Riad, accusata dell’uccisione di 4.000 civili in una campagna militare in Yemen, si è trovata ad essere l’unica candidata del Medio Oriente e non ha dunque incontrato opposizioni nella sua elezione. La Cina ha recentemente aumentato le misure contro i dissidenti, tramite presunti rapimenti di difensori dei diritti umani o di altre voci contrarie al governo. Le elezioni hanno dunque visto la riconferma con un secondo mandato per Regno Unito, Cina, Arabia Saudita e Sud Africa e l’elezione di Stati Uniti, Giappone, Iraq, Tunisia, Ruanda ed Egitto.
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RUSSIA E BALCANI ta risonanza da essere riportato anche ne; telegiornale controllato dal Cremlino.
UN RITORNO VERSO EST?
Dopo le ultime elezioni, Chişinău sempre più vicina a Mosca
2 novembre. Durante la notte il governo russo ha messo i sigilli alla sede di Amnesty International di Mosca. Lamentando lentezza nei pagamenti da parte dell’associazione, che invece si difende, ora nessuno può entrare nella sede senza essere accompagnato da un ufficiale Di Leonardo Scanavino
SERBIA 29 ottobre. Un arsenale di armi pesanti, fra cui bombe a mano e munizioni per un fucile da cecchino, sono state ritrovate nei pressi dell’abitazione dei genitori del primo ministro serbo Aleksandar Vucic, dove il Premier si reca regolarmente. Dato anche l’esacerbarsi della tensione nel paese, Vucic e la sua famiglia sono stati trasferiti in un luogo sicuro. UCRAINA 27 ottobre. Alcuni consiglieri regionali della Regione Veneto sono finiti sulla black list dell’Ucraina. I loro nomi appaiono, infatti, sul sito Mirotvorez, dove sono raccolti i dati di tutti gli indesiderati, coloro che l’Ucraina ritiene acerrimi nemici, criminali, terroristi. I politici italiani avrebbero attraversato senza autorizzazione il confine ucraino durante una visita in Crimea, nonostante l’iniziativa fosse stata sconsigliata dal Ministero degli Esteri italiano. A cura di Elisa Todesco 12 • MSOI the Post
Il risultato del voto presidenziale in Moldavia di domenica 30 ottobre non ha permesso di evitare il ballottaggio, previsto infatti per il prossimo 13 novembre. Il 48,7% dei voti ottenuti dal leader del partito socialista, Igor Dodon, non risulta sufficiente ad evitare il confronto con la sua principale rivale del partito Azione e Solidarietà, Maia Sandu, che si è fermata al 37,7%. Per la prima volta da 16 anni a questa parte, il popolo moldavo è stato chiamato ad eleggere il proprio presidente. La Corte costituzionale aveva dichiarato la non ammissibilità della norma che prevedeva l’elezione del Presidente da parte del Parlamento, ma la successiva abrogazione ha reintrodotto l’elezione diretta del Capo dello Stato. Dopo una lunga campagna elettorale, i sondaggi avevano già previsto che sarebbero stati Dodon e Sandu a ottenere la maggior parte dei voti. Si tratta di due personalità con profili incompatibili dal momento che incarnano ideali contrapposti e hanno progetti differenti per il futuro della Moldavia. Dodon non ha mai nascosto la sua vicinanza al Cremlino, tanto da farsi ritrarre nei manifesti elettorali del 2014 in com-
pagnia dello stesso Putin. La sua abilità è stata quella di sfruttare il malcontento popolare conseguente agli ultimi anni di disastroso governo della coalizione europeista. Si è fatto portatore dei valori tradizionali, è contrario a quella che definisce la “propaganda gay”; auspica un riavvicinamento a Mosca, ignorando l’accordo di associazione all’Unione Europea ed auspicando l’ingresso della Moldavia nell’Unione Economica Euroasiatica. Sandu risulta avere un background differente: dopo aver ricoperto la carica di Ministro dell’Istruzione dal 2012 al 2015, a dicembre dello scorso anno ha fondato un movimento indipendente che successivamente è divenuto il partito Azione e Solidarietà. Il suo gradimento è pesantemente condizionato dalla collaborazione con la coalizione europeista. Tuttavia, la candidata sembra essere riuscita a crearsi una nuova immagine, rendendo ancora una volta appetibile il progetto di avvicinamento a Bruxelles. Queste elezioni in ogni caso hanno lanciato un messaggio chiaro: qualsiasi sia la decisione presa dalla popolazione il giorno del ballottaggio, essa rappresenterà un punto di svolta rispetto agli ultimi anni di immobilismo istituzionale.
ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole AUSTRALIA 1° novembre. Continuano le discussioni sui profughi. Il governo di Malcom Turnbull ha annunciato la proposta di una legge anti immigrazione che prevedrebbe il divieto a vita di soggiorno e permanenza in terra australiana, anche per lavoro o turismo, per chiunque tenti di entrare nel Paese illegalmente. La decisione è in contrasto con diverse convenzioni internazionali per la tutela dei diritti umani e ci sono state numerose proteste da parte dell’opinione pubblica e della società civile. CINA 2 novembre. Il presidente Xi Jinping ha incontrato il leader del partito nazionalista di Taiwan. Hung Hsiuchu capo del KMT, è stata accolta con cordialità, ma il Presidente cinese ha ribadito con freddezza che non ci potranno essere aperture con Taiwan fino a quando il premier Tsai Ingwen non sarà disposto a cedere riguardo l’indipendentismo per tornare a far parte di un’unica grande nazione.
COREA DEL SUD 2 novembre. Crisi di governo per le accuse mosse nei giorni scorsi contro la presidente Park Geun-hye, che avrebbe avuto legami con Choi Soon-sil, figura controversa legata ad una setta religiosa. La donna, utilizzando il proprio ascendente sulla Presidente, sarebbe riuscita a dirot-
FUOCO, SANGUE E TERRE DESOLATE
Continua l’escalation nel disputato territorio del Kashmir
Di Giusto Amedeo Boccheni La Linea di Controllo (LoC) non è un confine internazionalmente riconosciuto ed è privo di status legale, eppure divide il Kashmir indiano da quello pakistano. Il fronte esiste dal 1948 ed è stato formalmente riconosciuto dai rispettivi governi nel1972. Negli ultimi anni i rapporti tra le vicine potenze nucleari sono andati peggiorando e il premier indiano Narendra Modi, da sempre avverso ai separatisti, sembra deciso ad assumere un atteggiamento di sfida. A settembre, l’assalto alla base militare di Uri, in cui sono morti 19 soldati indiani, ha segnato un punto di svolta nei rapporti indo-pakistani. Islamabad ha ritualmente negato ogni coinvolgimento, ma Deli ha preso posizione: il 27 ottobre, con dei c.d. “colpi chirurgici”, l’esercito indiano ha ufficialmente attaccato delle piattaforme di lancio dei militanti separatisti oltre la LoC. Modi ha così potuto mettere a tacere le accuse di inerzia dell’opposizione e affrontare apertamente lo Stato pakistano. L’india ha colpito anche sul fronte diplomatico, con il boicottaggio del summit dell’Associazione sud-asiatica per la cooperazione regionale (SAARC), con le accuse di violazione dei diritti umani in Balochistan ed infine con l’espulsione di un funzionario
pakistano spionaggio.
sospettato
di
Vengono inoltre contestati gli ambigui rapporti di Islamabad con i gruppi separatisti: il Governo, ad esempio, non discute il carattere terroristico di Lashkar e Taiba (LeT), che rivendica l’attacco di Uri, ma consente che Jamaat ud Dawah, una sua branca che fornisce servizi sociali, operi indisturbata. La morte di Burhan Wani, uno dei leader di un’altro gruppo legato a LeT, Hizb ul Mujahedeen, ha portato a luglio a violenti scontri tra polizia indiana e abitanti del Kashmir, in cui sono morte 90 persone; il Primo Ministro pakistano Nawaz Sharif ha definito Wani un”martire”. Da allora è stata un’escalation di violenza, consumatasi tra accuse di terrorismo, lanci di pietre da parte dei civili ed un indiscriminato utilizzo di fucili a piombini da parte delle forze di sicurezza indiane. Il 29 ottobre l’esercito indiano ha distrutto quattro postazioni pakistane nel settore di Keran. In Nakyal e Tatta Pani, 6 persone sono morte e 10 ferite. Il 31 un fuoco incrociato iniziato alle 8 di mattina nei settori di Nakyal, Poonch e Rajouri ha causato oltre 60 violazioni del cessate il fuoco. Al primo di novembre si contano 19 morti e oltre 50 feriti tra militari e civili su entrambi i fronti. Il conflitto continua.
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ORIENTE tare 69 milioni di dollari (denaro pubblico) nelle casse delle fondazioni da lei presiedute. Dopo aver tentato di arginare lo scandalo, la Park ha deciso di nominare un nuovo Primo Ministro, Kim Byong-joon, politico progressista e aperto le cui posizioni sono sostanzialmente differenti da quelle conservatrici dell’ormai ex Presidente.
GIAPPONE 2 novembre. Il premier Shinzo Abe ha dichiarato che il Giappone aiuterà economicamente il Myanmar e che il governo di Tokio ha già preparato un pacchetto da 8 miliardi di dollari. Aung San Suu Kyi, nell’esprimere il proprio ringraziamento, ha manifestato la speranza di vedere maturare i frutti della della pace e dello sviluppo. A cura di Tiziano Traversa
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LO SCANDALO PARK
Cresce il malcontento nei confronti del governo di Park Geun-hye
La Redazione Il controverso rapporto di amicizia che lega Park Geunhye – presidente della Corea del Sud – e Choi Soon-sil, leader di una ricca ed influente setta religiosa, ha assunto i contorni e le sfumature di un intrigo politico. Lo scandalo rischia di pregiudicare irreversibilmente le fondamenta del potere e minaccia la sopravvivenza dell’esecutivo. Sabato 29 ottobre, migliaia di persone sono scese in piazza a Seul per chiedere le dimissioni di Park, manifestando la propria indignazione per via delle rivelazioni che confermerebbero il fosco legame tra la Park e Choi Soon-sil. Quest’ultima il 31 ottobre scorso è stata arrestata perché si sarebbe servita di questo legame preferenziale per beneficiarne in prima persona; alcuni quotidiani avrebbero divulgato informazioni che provano l’esistenza di pressioni su lobby e grandi multinazionali come la Hyundai, per ottenere finanziamenti a favore di fondazioni molto vicine alla Park e al suo establishment politico. Choi Soon Sil è figlia di Choi Tae-Min, fondatore della setta religiosa “Chiesa della vita eterna”, grazie alla quale era riuscito negli anni a cementificare rapporti con le più alte sfere del potere pubblico e privato. Divenuto Presidente della Corea del Sud negli anni ’70, Park Chung-hee, padre dell’attuale Capo dello Stato, conobbe Choi
Tae-min e fu da lui costantemente assistito nelle sue scelte politiche. La loro intima amicizia e la stretta collaborazione generarono disappunto nell’opinione pubblica. Si riteneva che Choi Tae-Min, soprannominato “il Rasputin coreano”, avesse sul Presidente un’influenza così intensa da manipolarlo anche nelle decisioni più delicate. Un analogo rapporto pare intercorrere ora tra il Presidente e l’attuale capo della setta, tanto che giovedì 27 ottobre Park ha presentato le proprie scuse ufficiali per aver consultato Choi in merito ad alcuni documenti di Stato durante gli anni passati. Voci non confermate svelerebbero anche l’imminente presentazione di una mozione di impeachment contro Park, mentre TPI segnala che la Costituzione sudcoreana non consenta inchieste penali che coinvolgano il Capo di Stato. A complicare il fragile quadro politico, è intervenuta il 28 ottobre la contestata scelta di Park di ordinare le dimissioni di dieci suoi Segretari di Governo. Il 3 novembre, dopo aver tentato di arginare lo scandalo, la Park ha deciso di nominare un nuovo Primo Ministro, nominando Kim Byong-joon, politico progressista le cui posizioni sono sostanzialmente differenti da quelle conservatrici della Presidente, la cui popolarità ha raggiunto il minimo dall’ascesa al potere nel 2013.
AFRICA 7 Giorni in 300 Parole COSTA D’AVORIO 30 ottobre. Vince nettamente il sì alla nuova Costituzione, voluta dal 94% degli ivoriani votanti. Dall’esito del referendum nasce dunque la Terza Repubblica, che prevede la creazione di un Senato, la frequenza obbligatoria a scuola e l’introduzione di un Vice-Presidente. GAMBIA 30 ottobre. È stato scelto il candidato che si opporrà al dittatore Yahya Jammeh mediante le elezioni democratiche di dicembre. Il suo nome è Adama Barrow, è l’attuale tesoriere dello Stato, e fa parte del Partito per l’Unità Democratica (UDP). KENYA 27 ottobre. Un uomo armato di coltello ha aggredito un poliziotto di guardia all’ambasciata americana di Nairobi. L’uomo è stato immediatamente ucciso dallo stesso agente, rimasto ferito. Il gruppo IS ha in seguito rivendicato l’attentato.
REPUBBLICA CENTRAFRICANA 30 ottobre. Le forze armate francesi si ritirano dal Centrafrica dopo 3 anni nel Paese dove continua la guerra civile. La RCA si trova ora sotto la protezione dei soldati dell’ONU e si teme un tentativo di insediamento dei ribelli al governo. SUD AFRICA 2 novembre. La pubblicazione del documento “The State of capture” rivela i reati commessi dal presidente Jacob Zuma, facendo incrementare ulteriormente le
REPUBBLICA CENTROAFICANA: SCONTRI TRA CASCI BLU E CIVILI
Le forti accuse mosse alle forze della comunità internazionale
Di Francesco Tosco Il 24 ottobre scorso, nella capitale della Repubblica Centroafricana, Bangui, si è svolta una protesta che ha portato alla morte ed al ferimento di diversi civili. Gli scontri più violenti si sarebbero svolti nei pressi del quartier generale delle Nazione Unite. Secondo quanto riportato da un giornalista della BBC, i Caschi Blu avrebbero aperto il fuoco sulla folla nel momento in cui i manifestanti hanno tentato di rompere un posto di blocco. Le autorità dell’ONU, però, smentiscono l’accaduto: i peacekeepers avrebbero sparato alcuni colpi in aria e avrebbero poi usato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti. La manifestazione è stata organizzata dal GTSC, il Gruppo di Lavoro della Società Civile, per protestare contro la presenza dei Caschi Blu nel Paese. Già qualche giorno avevano chiesto ai cittadini della capitale di restare a casa paralizzando così qualsiasi attività. Nella notte tra il 23 ed il 24 sono sorte barricate sulle principali arterie della città e nella mattinata di lunedì una grande quantità di copertoni incendiati ha riempito le strade di fumo.
Anche la scelta della data del 24 ottobre era strumentale alla protesta, infatti lo stesso giorno si festeggiava il 71° anniversario dell’ONU. MINUSCA, la missione UN fortemente voluta da Ban Ki-Moon e dalla comunità internazionale, dal 2013 cerca di riportare la stabilità nel Paese, che recentemente è ripiombato in una spirale di violenza, facendo sì che il Consiglio di Sicurezza prolungasse la missione fino a novembre 2017. Attualmente il contingente internazionale schierato consta di 12.870 uomini tra militari e forze di polizia. Le accuse mosse alla missione ONU dal coordinatore del GTSC, Gervais Lakosso, sono molto gravi. Oltre al riferimento alle violenze sessuali compiute da alcuni esponenti delle forze internazionali presenti nel Paese l’anno scorso, le nuove accuse spaziano dalla menzione di “traffici di ogni tipo” ai crimini di guerra. La popolazione, a quanto sostiene Lakosso, si sentirebbe meno sicura con la presenza dei Caschi Blu e, sicuramente, non protetta. Infatti, sempre secondo Lakosso, non intervenendo quando ce ne sarebbe la necessità, le forze UN si renderebbero anche colpevoli di inerzia. MSOI the Post • 15
AFRICA proteste da parte dell’opposizione, che vorrebbe le sue dimissioni immediate. Il comunicato ha suscitato grande sgomento poiché in esso viene accusato il capo dello Stato di corruzione e frode.
IL VALORE DELLA CULTURA
Una sentenza storica della Corte Penale Internazionale
Di Fabio Tumminello
SUD SUDAN 1° novembre. L’ONU ha affermato che l’intervento dei Caschi Blu a Juba ha fallito nel garantire la sicurezza dei cittadini. Si provvederà presto al congedo del comandante dei peacekeepers sud sudanesi, accusato di non essere intervenuto mentre una dozzina di donne venivano stuprate da soldati locali in una zona poco distante dal campus delle Nazioni Unite. SUDAN 31 ottobre. Obama prolunga di un anno le sanzioni applicate al Sudan. Iniziate il 1997 per il sostegno che i governanti sudanesi davano ai terroristi, sono state ora prolungate per la guerra contro la minoranza che abita il Darfur. In tale regione il presidente Omar Al-Bashir, sta attuando un vero e proprio genocidio, ragion per cui è ricercato dalla Corte Penale Istituzionale. A cura di Sabrina Di Dio
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Lo scorso 27 settembre la Corte Penale Internazionale ha condannato a 9 anni di carcere Ahmad Al-Faqi Al-Mahdi, un ex-miliziano estremista jihadista, colpevole di aver distrutto una decina di templi e luoghi sacri, tra cui la moschea di Sidi Yaha, nei pressi di Timbuctù. Al-Mahdi era al comando del movimento Ansar Dine (letteralmente “Ausiliari della Religione Islamica”), un manipolo di ribelli estremisti affiliati ad Al-Qaeda e collegata all’AQMI, il gruppo terrorista di Al-Qaeda nel Maghreb. Il gruppo, che si è macchiato di gravi crimini tra cui torture sulla popolazione civile, stupri ed esecuzioni sommarie, era noto alle Nazioni Unite per la sua partecipazione al conflitto del Mali del 2012: insieme ad altre organizzazioni islamiste e al Movimento di Liberazione Azawad, occupò i territori sahariani settentrionali, tra Mali, Algeria e Mauritiana. Durante il conflitto, il gruppo di Al-Mahdi compì numerosi raid su villaggi e insediamenti, in particolare nella zona centro-settentrionale del Paese: in uno di questi, distrusse la biblioteca cittadina di Timbuctù – e parte del suo patrimonio letterario e dei suoi manoscritti - e la moschea di Sidi Yaha con la sua porta, celebre perché, secon-
do la leggenda, questa non si sarebbe dovuta aprire fino alla fine del mondo. In totale sono 9 i luoghi sacri distrutti da Al-Mahdi e dai suoi miliziani nel Luglio del 2012: alcuni di questi santuari erano stati inseriti nella lista dei siti appartenenti al Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO fin dal 1988. La sentenza è storica per due motivi. In primo luogo, è la prima volta che la Corte Penale Internazionale processa un militante estremista jihadista per crimini di guerra. In secondo luogo, nella motivazione della condanna comminata all’ex leader, la Corte Penale Internazionale ha riconosciuto l’intenzionalità degli atti compiuti dal gruppo estremista jihadista e ha per la prima volta previsto l’apposita fattispecie di reato di distruzione del patrimonio culturale come crimine di guerra, riconoscendo così la vocazione universale di questi luoghi per il loro valore artistico e storico. Al-Mahdi (che ha comunque ottenuto la pena minima per questo reato, che prevede condanne dai 9 ai 30 anni) si è dichiarato “pieno di rimorsi e rimpianti” e ha invitato la comunità islamica di tutto il mondo a “resistere a questo tipo di azioni”. Starà ora alla giustizia maliana rendere esecutiva la sentenza.
SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole ARGENTINA 29 ottobre. In seguito ad una denuncia di Amnesty International, il Gruppo di Lavoro ONU sulla Detenzione Arbitraria ha deciso che la detenzione della deputata del Mercosur, Milagro Sala è arbitraria, chiedendo al Governo argentino di rilasciarla BRASILE 28 ottobre. Il Forum brasiliano di pubblica sicurezza rende noto il bilancio delle persone uccise da gennaio 2011 a dicembre 2015: 278.839. In base ai dati di tale rapporto, ogni giorno vi sono 160 assassinii in Brasile. 31 ottobre. L’elezione a sindaco di Rio de Janeiro del vescovo evangelico Marcelo Crivella, conferma la crisi della sinistra, dopo 13 anni di dominio incontrastato del Partito dei lavoratori di Luiz Inacio Lula da Silva e Dilma Rousseff. CILE 28 ottobre. Isabel Allende Bussi, leader socialista e presidente del Senato, rinuncia alla candidatura alle presidenziali, contro Ricardo Lagos, capo dello stato dal 2000 al 2006. La figlia dell’ex Presidente dichiara di volersi concentrare sui suoi doveri di Presidente del Partito socialista, tra cui garantire maggiore unità al partito . COLOMBIA 29 ottobre. Apertura del XXV Vertice Ibero-americano dei capi di Stato a Cartagena de Indias. Partecipano i rappresentanti di 22 nazioni. 30 ottobre. Terremoto di 5,4 nella scala Richter scuote la capitale Bogotà. Non ci sono state vittime, ma a causa dei molteplici crolli è stato attivato il
VENEZUELA VERSO IL DIALOGO L’intervento della Chiesa amplia le possibilità di collaborazione tra Maduro e l’opposizione
Di Daniele Pennavaria In seguito agli incontri dello scorso 30 ottobre tra governo e MUD (Tavola di Unità Democratica, nella sua sigla in spagnolo) con la mediazione di esponenti ecclesiastici e di una delegazione internazionale, le tensioni in Venezuela sembrano essersi affievolite. Dopo gli attriti col Mercosur e le difficoltà nel trovare sponde nel panorama internazionale, il governo di Maduro si è riattivato per risolvere la situazione del Venezuela attraverso la mediazione di esponenti della Chiesa Cattolica e dell’Organizzazione degli Stati Americani. Il dialogo sarà articolato in tre tavoli: • il primo, denominato “Pace, rispetto dello Stato di diritto e sovranità nazionale” sotto la supervisione dell’ex primo ministro spagnolo José Zapatero; • il secondo, coordinato da un inviato del Vaticano, a tema “Verità, giustizia, diritti umani e riconciliazione; • il terzo, incentrato su tematiche economico-sociali, con la coordinazione dell’ex presidente dominicano Fernandez. La prima conseguenza del rinnovato dialogo è stata la liberazione di cinque detenuti della formazione d’opposizione, tra cui il leader del partito Unità Democratica Carlos Melo, arrestato lo scorso settembre. La
liberazione è però vista come una mossa per evitare - o quantomeno rinviare - il processo di impeachment che vedrebbe coinvolto Maduro per la sua gestione dell’economia venezuelana, giudicata dissennata. Malgrado i risultati dell’opposizione, sembra che la strada sia ancora lunga per la calendarizzazione di elezioni per il prossimo anno. Su questo il presidente dell’Assemblea Nazionale Henry Ramos Allup ha dichiarato di non considerare il rinvio una sconfitta, né una rinuncia definitiva, ma piuttosto un “passo per trovare una soluzione”. Altra preoccupazione di Maduro rimane la possibilità di una grande manifestazione sostenuta dalla MUD, che rischierebbe di compromettere la posizione del suo esecutivo. Il risultato delle trattative non ha infatti scongiurato con certezza la mobilitazione prevista contestualmente all’impeachment. Il dirigente della formazione d’opposizione, Leopoldo López, ha infatti dichiarato che, malgrado il grande risultato della liberazione di alcuni prigionieri politici, non va perso di vista il vero obiettivo. I progressi non sembrano essere quindi sufficienti per considerare la situazione venezuelana realmente in una nuova fase e tutto sembra sospeso fino alla convocazione o meno della marcia popolare, che dovrebbe fermarsi sotto il palazzo presidenziale di Miraflores, annunciata per il 3 di novembre.
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SUD AMERICA sistema di emergenza nazionale per far evacuare gli edifici pericolanti.
CANDIDATURA INDIGENA ALLE PRESIDENZIALI MESSICANE
Congresso Nazionale Indigeno ed Esercito Zapatista di Liberazione candidati insieme nel 2018
Di Viola Serena Stefanello VENEZUELA 28 ottobre. Manifestazioni, proteste e sciopero nazionale contro il presidente Maduro, fomentate dall’opposizione (MUD) , contraria alla sospensione del referendum sulla revoca del mandato di Maduro. 31 ottobre. Apertura di un dialogo formale tra il governo Maduro e l’opposizione, piano promosso dall’Unione delle Nazioni Sudamericane e dal Vaticano. Intervento di mediazione anche di alcuni ex leader politici di Panama, Repubblica Dominicana e Spagna (in particolare, l’ex primo ministro spagnolo Jose Luis Rodriguez Zapatero). 2 novembre. Il Parlamento, controllato dall’opposizione, sospende l’impeachment del Presidente e annulla la marcia nazionale in programma per il 3 novembre, accogliendo l’appello del Vaticano. Maduro, in seguito all’incontro con Thomas Shannon, vicesegretario di Stato USA, ha liberato tre prigionieri politici. A cura di Giulia Botta
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Allontanandosi dalla scelta, durata oltre vent’anni, di rimanere ai margini del potere costituito e rappresentare un’alternativa anticapitalista, libertaria ed indigenista al governo centrale, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazional (EZLN) e, all’interno del più ampio Congresso Nazionale Indigeno (CNI), ha deciso che presenterà una propria candidatura ufficiale alle elezioni presidenziali del 2018. In seguito all’incontro CIDECIUniTierra tenutosi a San Cristòbal de las Casas, in quel Chiapas che è sempre stato il cuore pulsante del movimento del subcomandante Marcos, è infatti stato firmato un documento che è anche un manifesto di volontà, intitolato simbolicamente “Che la terra tremi nel suo centro.” CNI ed EZLN hanno preso questa decisione tenendo a mente i temi a loro cari. Una “continuazione della guerra con altri mezzi”, come avrebbe detto von Clausewitz: il grido di battaglia è anticapitalismo, difesa della cultura e del territorio indigeni. Nel comunicato ufficiale, infatti, si legge “La nostra lotta non
è per il potere. Vogliamo che i popoli originari e la società civile si organizzino dal basso per fermare questa distruzione”. Una simbolica svolta “in basso a sinistra”, dunque, che molti aspettavano ormai da tempo. Altro gesto simbolico è quello di aver dichiarato, fin da subito, che il candidato alla presidenza, non ancora individuato, sarà sicuramente una donna indigena scelta tra le caracoles, ovvero le comunità zapatiste autogestite. Dati gli scarsi risultati di questi ultimi vent’anni e la disillusione che ha spento la spinta rivoluzionaria, l’EZLN avrà molto lavoro da fare per riconquistare la fiducia dei possibili elettori. La candidata, infatti, pur potendo forse contare sui 17 milioni di indigeni - ovvero il 15% della popolazione totale - che abitano il Messico, dovrà confronatrsi con le insidie della politica tradizionale. Se nel 1994, poi l’EZLN era nato come risposta armata alla NAFTA, quali saranno i piani di questa nuova forza politica per far fronte ad un panorama internazionale complicatosi ulteriormente e ad una politica intera che vacilla sotto il peso della criminalità organizzata.
ECONOMIA WikiNomics
IL CIELO SOPRA IL CREMLINO - PARTE I Come la Russia si è trasformata dal 1991 al 2016
ECONOMIA CIRCOLARE
Quando ogni fine diventa un nuovo inizio
Di Michelangelo Inverso
Di Ivana Pesic Verso un nuovo modello. L’odierno modello di economia lineare, le cui parole chiave sono “prendi, produci, usa e getta”, fa affidament su grandi quantità di materie prime e di energia, facilmente accessibili e a basso costo, ma si tratta di un modello che sta raggiungendo i suoi limiti fisici. Oggigiorno, dopo lo sviluppo sostenibile e la green economy, al centro delle politiche ambientali europee c’è la cosiddetta “economia circolare”. Di cosa si tratta? L’economia circolare, secondo la definizione che ne dà la Ellen MacArthur Foundation, “è un termine generico per definire un’economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera”. Si tratta di un sistema in cui tutte le attivi-
Era il Natale ‘91 quando Michail Gorbaciov sciolse ufficialmente l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Il mondo occidentale celebrava quell’evento come la vittoria sul nemico rosso e la fine del bipolarismo internazionale. Ma il passaggio da un’economia comunista pianificata al capitalismo liberista di stampo americano fu catastrofico per la società russa degli anni ‘90. L’allora presidente Boris Eltsin credeva nella cosiddetta “terapia d’urto”: passare dal comunismo al capitalismo non gradualmente, così come aveva fatto Lenin per instaurare la società comunista. Ma, al contrario del padre dell’Unione Sovietica, Eltsin lasciò ben poca grandezza al proprio Paese. La Russia perse un terzo del proprio territorio. La privatizzazione selvaggia degli asset e dell’immenso patrimonio pubblico comportò ovunque nel Paese un crollo verticale della produzione che si ridusse di oltre il 50% tra ‘91 e il ‘98. Questo avvenne perché nel sistema sovietico le industrie venivano organizzate centralmente e il loro compito non era produrre ricchezza in termini di efficienza, ma in termini di volumi di produzione e di occupazione. Non erano, dunque, efficienti in senso capitalistico e, perciò, la gran parte di queste furo-
nosmantellateerivenduteapezzi dai nuovi proprietari, spesso gli stessi “dirigenti rossi” che le amministravano ai tempi del comunismo, gli Oligarchi. La chiusura di migliaia di industrie, in un lasso di tempo cosi contenuto, fece salire vertiginosamente la disoccupazione, mentre intere regioni si “desertificavano” economicamente, dato che spesso dipendevano unicamente dagli agglomerati produttivi statali. Il tessuto sociale si sfrangiò, non avendo più lo Stato centrale risorse per mantenere i servizi di base, la sanità e le pensioni. Un dato descrive meglio di tutti il significato di quegli eventi: la popolazione russa, nel periodo 1991-1999, passò da 148.6 milioni a 146 milioni a causa dell’aumento della mortalità infantile e degli anziani. La speranza media di vita maschile passò da 63.8 anni nel 1990 a 57.6 anni nel 1994. Del resto, in epoca sovietica erano le industrie a occuparsi di tutto, dalle case degli operai agli asili per i loro figli, quindi, una volta chiuse le fabbriche, il meccanismo cessò semplicemente di funzionare. Sul finire del millennio, nel 1998, la Russia dichiarò il default. Tra una degenerata situazione socio-economica e una guerra civile in Cecenia, Boris Eltsin lasciò il potere. Era il 31 dicembre 1999.
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ECONOMIA tà sono organizzate in modo che i rifiuti di qualcuno diventino risorse per qualcun altro. In cosa consiste? L’economia circolare prevede la progettazione di un sistema più virtuoso rispetto a quello che regola l’economia lineare: prevede, innanzitutto, che vengano utilizzate in modo massiccio le fonti di energia rinnovabile (elemento centrale della sostenibilità) e che vi sia un grande passaggio di informazioni tra i diversi soggetti economici. Occorrono, inoltre, una forte capacità di innovazione, prodotti disegnati in maniera efficiente, che durino nel tempo e che nella loro interezza o nelle loro singole parti possano essere riciclabili o riutilizzabili in altre forme. I nuovi consumatori. I consumatori diventano utenti, non proprietari. Essi “noleggiano” un prodotto e un’azienda fornisce i servizi collegati. I costi vengono ridotti per entrambe le parti, si assicura il riciclo dei materiali e viene raggiunto un alto a livello di efficienz . Fortunatamente, nonostante i notevoli costi di transazione che comporta, l’economia circolare è un modello che sta prendendo sempre più piede. Vantaggi. Prolungare l’uso produttivo dei materiali, riutilizzarli e aumentarne l’efficienza servirebbe a rafforzare la competitività, a ridurre l’impatto ambientale, le emissioni di gas e a creare nuovi posti di lavoro. Tuttavia, affinché poss a diventare un modello realizzabile e dominante, l’economia circolare dovrebbe garantire ai diversi soggetti economici una redditività almeno pari a quella attuale. Purtroppo, non è sufficiente che sia “buona”, deve esserne dimostrata la convenienza economica. 20 • MSOI the Post
LO SCANDALO MPS - PARTE I
Dove tutto è cominciato: l’acquisizione di Banca Antonveneta
Di Edoardo Pignocco La banca Monte dei Paschi di Siena è attualmente l’istituto creditizio più longevo in tutto il mondo. Già, attualmente. Infatti, il futuro del gruppo senese non sarà probabilmente roseo. I guai iniziarono nel 20072008, ma, questa volta, la crisi finanziaria non fu la colpevole. La vera responsabile di una situazione più che imbarazzante è stata l’acquisizione, da parte di MPS, della Banca Antonveneta, tramite il gruppo Santander. Una storia particolare e tortuosa, infatti, si aggira dietro al mistero di questa operazione. Nel 2007, la cordata SantanderBank of Scotland-Fortis acquistò il gruppo olandese Abn Ambro, che stava intraprendendo la strada del fallimento. Il costo? 71 miliardi, da spartirsi (ancora da pagare). La spagnola Santander, dopo il closing, si ritrovò ad avere sotto il suo controllo banche sudamericane e finanziarie olandesi, entrambe di importanza strategica. Ma non solo. Il pacchetto acquisito era comprensivo anche di Banca Antonveneta. Molto presto, il management di Santander si accorse che la banca padovana non era in salute ed avrebbe causato solo perdite: così la mise subito in vendita (senza averla ancora effettivamente comprata), nonostante la
volontà di intraprendere una politica espansiva in Italia. Ed ecco che entra in scena MPS. Santander valutò Antonveneta 6.6 miliardi di euro. MPS ne offrì 9 per acquistarla. Una cifra monstre! Le ragioni dell’acquisizione non sono chiarissime: da un lato la volontà di diventare il terzo gruppo più importante in Italia, dall’altro, favoritismi politici e alti compensi interni all’istituto senese. Ma quello che fa più scalpore è la modalità con cui è stata condotta la trattativa. In un’operazione di M&A, ci sono dei “passaggi obbligati”, senza i quali si pregiudica la convenienza dell’acquisizione. Uno di questi è la due diligence, ovvero il controllo della contabilità. Se MPS avesse svolto quest’attività, insieme ad un’accurata valutazione d’azienda, si sarebbe di certo accorta che l’operazione non era fattibile, perché non conveniente. Invece, Mussari, presidente di MPS, accettò il prezzo proposto da Botin, numero uno di Santander, senza coinvolgere lo staff, intraprendendo una trattativa lampo al telefono, in quanto “bisognava fare in fretta”. Tuttavia, i soldi spesi non furono soltanto i 9 miliardi precedenti, ma se ne aggiunsero altri 7.5 per finanziare un’operazione del tutto fallimentare, che oggi pesa in bilancio come un macigno. Un finanziamento strano però...
un
po’
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