MUMBLE: Mensile a gratis
NUMERONOVE I|dieci
Mensile distribuito tra Modena, Bologna, Reggio Emilia, Ferrara, Finale Emilia e Camposanto
[editoriale] MIRKO ROGLIA
POLISEMIA DI TERRA Per poi tornare lì, all'ineludibile tattilità della terra, unico ente a noi mai estraneo. Terra madre (ok, già sentito), terra fertile e gravida, mitologia del gineceo globale: infatti qualcuno spiegava come l'Europa colonialista fosse stata per l'Africa vulvare, l'immenso pene stupratore. La terra e la carne, parallelismo ai margini della metempsicosi e non scevro di contaminazioni bibliche: Adamo venne creato da terra e sputo; la carne mediante i processi di decomposizione si fa terra. E dove se non nella terra abbiamo trovato una delle prime risorse per la corsa tecnologica? La silicon valley. Ah, ci sediamo a sera, sfatti, sul grande dondolo che c'è dietro casa, sotto il pergolato di vite americana che ha piantato Carmine quand'era pischello, ficcando con le dita nella terra semi messi a seccare sui davanzali, semi poi marciti nella terra, resi marci dalla terra. Che bello starsene seduti ad aspettare, cosa? Seduti con la bocca semiaperta e stretto fra i denti un cubano che manco il Che: il sigaro è il manufatto più nobile, risultato di un'arte sacrale ereditaria; ma per toccare il cielo non basta la perizia dell'hand rolling caraibico, serve la qualità della pianta, cresciuta in buona terra. Che piacere fumarselo a gambe distese e libera flatulenza e Freddy ti passa un whisky torbato (terra). La terra maiuscola è il nostro pianeta, costituito a beffa per il 70% da acqua. Ma è sulla poca materia secca restante che noi soprattutto viviamo, produciamo, costruiamo, facciamo la cacca. A proposito, nulla di più magniloquentemente affine: terra e deiezioni. Si trovano e si mischiamo come il cacio sui maccheroni ed hanno sempre dimostrato feeling e stabilità di coppia. È così che Checco portava le sue cariole di sterco bovino e guano avicolo per il campo in collina del nonno. Lo raccoglieva personalmente a badilate, per poi spargerlo con cura in ogni parcella terricola. Così le molecole di terra e letame si baciavano e facevano l'amore. La terra è la partenza immaginifica di ogni
credenza religiosa. Insegna la cosmogonia norrena che dall'unione fra Odino e Terra (Jörð) nacque il marvellianamente muscoloso Thor, biondissimo dio del tuono. La terra determina, è la piattaforma del percorso evolutivo antropologico, il sostrato a basamento delle congetture pratiche e dei nostri rischi sperimentali, la terra è l'inizio del bene (pomodoro bio-dinamico non ogm senza conservanti né edulcoranti anticrittogamici erbicidi fungicidi elminticidi) e del male (oppio).
La conversazione dovrebbe sfiorare tutto, senza concentrarsi su niente. (Oscar Wilde)
In copertina:
Il mondo da un oblò | Mario Pola
INDICE
TERRA!
interno2 ::::::: LINGUACCE | PiticippĂŹ
interno8 ::::::: Manifesto dell'epoca attuale
interno2 ::::::: Tortelloni
interno8 ::::::: Male d'ottimizzazione
interno3 ::::::: Il vostro interno
interno9 ::::::: ARTE
interno4 ::::::: L'ERBA DEL POLITOLOGO
interno10 ::::::: SILENZIO IN SALA
interno5 ::::::: I dolori del giovane Obama
interno11 ::::::: Battaglia al fotovoltaico
interno6 ::::::: bioArchitEtica
interno12 ::::::: DOBERMANN
interno6 ::::::: Il futuro ĂŠ oggi, almeno a Modena
interno13 ::::::: Oroscopo antropozoomorfologico
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Giacomo Vincenzi La terra, fino a pochi decenni fa, la si lavorava. Poi la guerra, e la sua rivoluzione agricola. Paul Ginsborg sostiene che la scomparsa della mezzadria nelle regioni del Centro e del Nord-est dell’Italia neo partigiana, fu cosa improvvisa e drammatica. Ancor più se pensiamo che la maggior parte dei nostri nonni non era neppure mezzadra, ma i eran tersiadàr: portavano a casa un terzo di quanto raccolto dalla terra. La terra, il materiale del territorio. Il territorio è diventato negli anni successivi il terreno di conquista per chi vuole più unità abitative ecosostenibili, più strade di alleggerimento del traffico, più insediamenti produttivi. Dopo la guerra le amministrazioni ebbero l’accortezza di regalare la terra a chi volesse costruire una fabbrica per dare da lavorare alla gente del posto. Ora per far girare l’economia il territorio è stato riempito di capannoni vuoti e centri commerciali e tangenziali. I piani regolatori comunali strutturali particolareggiati territoriali operativi regionali urbani traffico ambiente viabilità culminano spesso in un elogio alla pavimentazione stradale. Una sera ho assistito all’illustrazione delle Potenzialità del Territorio tra le province di Modena e Bologna in termini di nuove strade da immaginare, di qui a trent’anni. E c’era un tono compiaciuto nelle parole dell’ingegner Dufruca. Perché c’è sempre una strada più corta di quella che già percorri, una cispadana che “risolva una Criticità”, una bretella o uno svincolo che “agisca su una Problematica”. L’obiettivo è riunire le case in un unico, grande interno2 MUMBLE:
parcheggio, in cui scorrazzare secondo segnaletiche ben definite. Da Reggio a Parma, da Parma a Reggio, a Modena, a Carpi, a Carpi al Tuwat, a Carpi al Tuwat, a Carpi al Tuwat. Le persone di una certa età (e non parlo dell’ingegnere in questione) non dovrebbero essere pagate per decidere le spese che altri dovranno sostenere, a causa di un avventato accanimento contro la terra. Figli, perdonateli, perché non sanno quello che fanno. Forse ci stanno inconsciamente spingendo all’autogestione.
TORTELLONI Samuele Palazzi Mi è capitato giusto pochi giorni fa, di spiegare il differenziarsi graduale del “Tortellone” di zucca nel suo divenire “Cappellaccio”, del campanilismo rispetto alla sua origine e originalità, dei suoi sapori sempre e comunque talmente ricchi da convincere anche i profani, ma sopratutto ho dovuto raccontare dell’amore che ogni singolo necessita per arrivare a formare un piatto. Se ripenso a mia zia e a mia nonna nel mescolarsi della fioca luce autunnale di camino e finestra, l’immagine più produttiva del loro
non andare d’accordo rimane in tutti quei pomeriggi di lavoro a preparare i “Tortelloni di zucca” (non me ne vogliate, ma il nome che si impara a dare al cibo rimane ancestrale anche nel sapore, sia esso mantovano o ferrarese!). Tovaglia bianca (di quelle ovviamente fatte a mano) stesa sulle due tavole unite, mattarello (che per me rimarrà sempre “la cannella”) di un buon metroeottanta in legno di noce, un vulcano di farina e uova che normalmente superava le 10 unità, capelli raccolti nel fazzoletto, grembiule (àl grembiàl) e via! Punzecchiandosi, ma con unione d’intenti, le due ottuagenarie passavano una giornata di lavoro che prometteva un frutto sempre molto desiderato. Senza pensare alle cattive critiche! Dalla zucca non dolce o acquosa, alla sfoglia troppo grossa, il rischio era sempre alto. Con mia incredula degustazione, non mi interessavo ai giudizi e pensavo alla fortuna che avevo a mangiare quel piatto! E quel piatto l’ho poi solo veramente capito quando l’ho fatto dall’inizio alla fine con le mie mani, come un rituale e un omaggio. Ho capito che non è facile far si che la sfoglia riesca sottile, nonostante abbia sicuramente più forza delle mie ave. Ho capito che la zucca non ti dice se è buona finchè non l’hai nel piatto. Ho capito che non ci vogliono le 2 ore pianificate, ma se ne va tranquillamente un pomeriggio intero, anche solo con 3 etti di farina, 3 uova, il bollire di una mezza zucca e l’indifferenza della noce moscata. Quando con i capelli sporchi di farina si buttano nell’acqua bollente i Tortelloni, la giornata focalizza il suo sforzo in un momento che nel gusto potrebbe essere eterno. E adesso, se avete la fortuna di averli mangiati e di poter abbracciare chi ve li ha fatti, ringraziate così.
ANTITESI di Augusto Verri, autore del libro "Atlantidei" Pianeta abitato da uomini, pesci, nuvole e… Terrestri… Vivo il sogno di una vita in società, ricca di valori un tempo cari ai saggi, temi che investono le cose tutte, le creature del cielo e della Terra, l’invisibile e ciò che l’occhio ci pone come compagno fedele. Bramo il desiderio di partecipare del sogno naturale che vede gli esseri nella loro totalità e di poter amare, studiare, sognare appunto. Ma vi è un freno a questa mia aspirazione che prende ordine dall’Ordine Universale, vi è un impedimento a questa mia dedizione nel cercare di elevar lo nostro spirto anziché mortificarlo, vi è una maledizione che mi pervade così come perseguita i progetti delle menti più evolute di tutti gli Uomini: i Terrestri. Genti transumanti che si arrogano il diritto divino di vivere al centro dell’universo, di essere immagine e
Scrivi a mumbleduepunti@gmail.com somiglianza del Dio, anime disperse che son in balia dei moti incoscienti che muovono verso l’ingiustizia, il peccato in senso assoluto, verso il cupo turbamento dell’altrui destino. Son Terrestri quelli che incrociano la strada degli Uomini, patetici terrestrucoli che son schiavi di un’incoscienza manifesta che cozza con la bellezza di certi passaggi armonici che il genio disegna sui tasti bianchi e neri, menti disabitate che non possono cogliere il miracolo che si cela di dietro a una goccia di rugiada che lenta scende sul variopinto petalo di un giglio. Sono i Terrestri quei signori che pur disponendo del grado di sapienti, privano i loro fratelli gemelli Uomini della vera libertà di cantare nel coro dei savi e di allinearsi con ogni pietra costitutiva del cosmo in cui
sfrecciano. Siamo figli delle stelle noi, uomini, delfini, magi o grano… Da esse abbiamo avuto la vita e verso di esse tendiamo con il sublime passaggio che i più spaventa. Ma non vi è pericolo di sfuggire dalla marina placenta in cui noi plasmiamo le nostre vite, non vi è alcun pericolo che noi si possa morire in questo universo in continua evoluzione. Eravamo stelle agli albori del tempo, siamo stati brodo nei primordi del nostro amato, colorato, piccolo, globo rotazionale e rivoluzionario. E sempre saremo se capaci di partecipare la Vita da uomini vorremo. Today the 30th Dicembre 009 on Radiance. 10.18
Emiliano Rinaldi | "Onde di pietra"
Buoni propositi, odiamoci tutti Alessio Mori Chiudiamo un anno dove le preoccupazioni non sono mancate, e ognuno di noi si augurerebbe che l’anno appena cominciato fosse all’insegna della serenità. Per quanto mi riguarda le premesse non sono delle migliori. Nonostante ce ne sarebbero forse troppe, come al solito, di cose da dire in merito alla situazione interna al nostro amato-odiato paese, voglio azzardare un ragionamento un po’ più ampio. Che comunque non ci tiene fuori, anzi. Il mese scorso ha visto compiersi un gesto piuttosto infame: come parecchi sapranno è stata infatti rubata la scritta “Arbeit macht frei”. Ma non è questo l’elemento su cui voglio maggiormente soffermarmi, anche se la gravità del gesto sarebbe tale da farlo. Quello che mi inquieta è l’ondata neonazista e antisemita che sta sempre più investendo l’intera Europa. Da Nord a Sud, da Ovest a Est: quasi nessuno è escluso. E non stiamo parlando solamente di fenomeni marginali, perché molti di questi movimenti hanno ricevuto legittimità presentandosi alle elezioni e ricevendo voti necessari all’elezione di alcuni loro rappresentanti. Siccome si parla di elezioni regolari, nessuno dovrebbe eccepire sul diritto di queste persone a sedere dove interno4 MUMBLE:
hanno ottenuto la possibilità di farlo. Non è questo che mi preoccupa. O almeno, non fino nel profondo. Quello che mi fa saltare sulla sedia è il fatto che queste ideologie profondamente razziste stanno diventando sempre più un fenomeno di costume tra i giovanissimi. Se quando il sottoscritto frequentava i primi anni del liceo, l’età dove fisiologicamente si ha l’impriniting predominante alla politica attiva, era “di moda” essere giovanotti di sinistra, se non proprio guardare al comunismo (quello buono, non alla dittatura stalinista), adesso il vento è cambiato. Lungi da me affermare che sarebbe necessario che i ragazzi crescessero politicamente uniformati, ma almeno la “vecchia scuola” indirizzava noi giovani verso ideali di rispetto
nonostante la nostra Costituzione preveda il reato di apologia del fascismo, sono presenti nel paese alcuni movimenti facenti riferimento all’ideologia in oggetto. Fino a poco tempo fa era sulla scena il Movimento dei lavoratori, che riuscì a fare eleggere consiglieri provinciali a Como, Novara e Varese, e rimane tuttora politicamente attiva Forza Nuova, una corrente antimondialista il cui leader è anche segretario generale del Fronte nazionale europeo, la casa comune dei partiti di estrema destra europei. Non dimentichiamoci inoltre di Casa Pound, un’organizzazione presente in più parti d’Italia che fa riferimento al poeta antisemita Ezra Pound. Ci sarebbero tanti modi per guardare con serenità al futuro: questo non è uno di quelli.
reciproco, e perché no, verso il concetto di uguaglianza. Adesso una buona parte degli studenti delle scuole superiori ha simpatie leghiste, una scuola di pensiero che non mi pare proprio indirizzata all’uguaglianza ed al rispetto delle diversità. Se la cosa si fermasse al votare Lega Nord, potrei certamente dissentire ma non incazzarmi nel profondo. Anche se ritengo che, alla lunga, i proclami verdi concorrano al mantenimento di quell’ormai tanto vituperato clima d’odio nella società (in questo caso non verso il Nostro Amato Premier, ma, ed è certamente più pericoloso, quello tra i vari individui). E’ il rischio di una nuova grande ondata neonazista che deve farci drizzare le antenne: non dimentichiamo infatti che,
Buon Anno nuovo a tutti!
I DOLORI DEL GIOVANE
Donato Gagliardi
Come è già stato detto, forse il più grosso ostacolo col quale Obama, in questo anno e poco più di governo, ha avuto a che fare è riassumibile in un’unica parola: Copenhagen. Lì, ad ottobre, incassò un brutto colpo – quantomeno a livello di immagine – quando non riuscì ad ottenere le Olimpiadi 2016 per la sua amata Chicago. E, sempre nella città scandinava, venerdì 18 dicembre ha pronunciato quello che è stato il suo discorso più deludente, dal giorno dell’insediamento alla Casa Bianca. Usare perifrasi per definire l’esito del meeting sul clima, o dilungarsi in approfondite analisi politiche, serve a poco. La verità, purtroppo, è che il risultato finale, di cui il discorso di Obama è l’emblema, è stato disastroso. Mentre l’Onu ci informa che, per raggiungere dei valori di ppm (parti per milione) di CO2 nell’atmosfera compatibili con l’obiettivo dei “soli” 2 gradi centigradi medi di aumento di temperatura globale, sarà necessaria una diminuzione del 30 – 40% delle emissioni entro il 2020 (e mentre i governi delle isole caraibiche, del Pacifico asiatico e delle nazioni centroafricane implorano di abbassare tale limite a 1,5 gradi, giacchè i 2 gradi medi globali corrisponderebbero a 3 gradi medi locali), quello che a Copenhagen si è riuscito ad ottenere
è ben poco. Nessun impegno scritto, nessun protocollo firmato, nessun metodo di verifica della diminuzione delle emissioni unanimemente accettato.
Solo miserrimi accordi sullo stop alla deforestazione selvaggia e una bozza riguardante eventuali finanziamenti ai paesi più deboli per sviluppare tecnologie verdi. In realtà, Obama ha fatto ciò che ha potuto: deponendo le armi dell’oratoria à la “sky is the limit”, si è dovuto arrangiare col pragmatismo delle grandi nazioni in via di sviluppo (Cina, India e Brasile), per cui una diminuzione tale delle emissioni comporterebbe disastrosi rallentamenti alla crescita economica. In una canzone assai di moda questo autunno, un rapper nostrano ripeteva: “non puoi dire alla Cina che ora la festa è finita, dopo che ci siamo mangiati il mondo, ogni materia prima”. Effettivamente, il punto di vista espresso da quel buzzurro (che chi scrive comunque apprezza) è piuttosto comprensibile. Nel 2006, le emissioni procapite (in tonnellate annue) per un cinese erano pari a 5,6, per un indiano a 1,8, a confronto di valori pari al 23,9 per gli americani e al 10,9 per gli europei. Sarebbe quindi impensabile
pretendere da questi paesi una riduzione delle emissioni totali, senza che la parte industrializzata del mondo fornisca loro alcun tipo di sostegno o garanzia a livello economico. E’ invece assai più auspicabile che il presidente americano riesca a liberarsi dalla stretta mortale della lobby petrolifera neocon del Congresso (che tiene in ostaggio non solo lui, ma anche il resto del mondo) per riuscire a dare una vera e propria impronta verde all’industria americana e per riuscire ad agevolare fondi - cospicui e immediati - ai paesi più poveri per fare altrettanto. Insomma, la strada per salvare il pianeta e noi stessi è ancora lunga e in salita, e il tempo per riuscirci sempre meno. Un primo passo potrebbe essere quello di smettere una volta per tutte di dare credito alle teorie “negazioniste” di chi dice che il problema climatico non è reale, e pure alle campane della fiducia acefala delle anime belle, che ci ripeteranno fino allo sfinimento che la svolta verde dell’economia globale sarà indolore. Non lo sarà. Richiederà sacrifici, spese economiche. Richiederà decresita energetica a partire dal nostro quotidiano. Dovremo impegnarci ad eliminare il superfluo, a familiarizzare con comportamenti civili quali la costante separazione dei rifiuti, il risparmio severo dell’acqua, l’uso di mezzi di trasporto più puliti, anche se più scomodi. Perchè è vero che la Terra non la si eredita dai propri genitori, ma la si prende in prestito dai propri figli. E il fatto che di questo i nostri genitori non si siano curati, non ci legittima a fare altrettanto.
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bioArchit Thomas Malaguti Scomodiamo per un attimo John Ruskin. Si lui. Intellettuale e critico d’arte britannico che col suo pensare suggestionò di molto l’agire nel progettare e nel restaurare. Aforisma 29: La terra l’abbiamo ricevuta in consegna, non è un nostro possesso. In questa massima si esplicita un rispetto per il nostro pianeta che, credenti nell’unico dio o animisti, deve essere condiviso e perpetuato. Sia per noi sia per le generazioni che verranno. La terra va vista come dono dunque, e dono sono le risorse che ci offre. Anch’esse non sono di nostro possesso. Sono di chi abita temporaneamente la terra. Non nascono dei privati. Non nascono dell’Occidente. Non del sistema capitalistico che in questi tempi mostra la sua incapacità. Sono da distribuire alla popolazione, in un pianeta che con un uso intelligente della tecnologia e della scienza può accontentare tutti. Si deve fare economia quindi. Di quella vecchia, da rezdore. Si ha poco? Si risparmi. Si ricominci a costruire cose che durino nel tempo. Le vecchie cose di una volta; quelle che non fanno più. A regola d’arte. Concepiamo e organizziamo viaggi turistici nello spazio ma le scarpe si rompono dopo un solo inverno. Così nell’architettura; nel progettare, si deve gettare avanti. Pensare al domani. Realizzare oggi edifici che solo se strettamente necessario saranno un domani demoliti, e solo per convenienze del buon vivere collettivo. Siamo di fronte all’usa e getta dell’architettura. Fare e disfare è interno6 MUMBLE:
tutto un lavorare, diceva la mia professoressa di matematica delle medie. Uno spazio si fruisce nel tempo. E il tempo è clemente se lo spazio progettato entra in armonia con lo spazio esistente. Genera atmosfere. Per creare quest’armonia il sistemaedificio deve equilibrarsi con l’ambiente-contesto; e in un’ottica del dare e avere, non produrre scorie. Al massimo sottoprodotti riutilizzabili. È una termodinamica fatta anche di sensazioni. La classificazione energetica degli edifici è solo un buon punto di partenza. Non si deve credere sia sufficiente una parete verde qua e là, un pannello solare o del fotovoltaico sopra sporadici tetti ad arginare problemi energetici ed economici. Va rivisto un sistema. Creare reti autosufficienti e produrre fonti energetiche alternative al petrolio e al carbone; utilizzabili dal maggior numero di persone. Così i deserti africani potranno generare energia per Africa ed Europa. I monsoni per l’Asia. Il mare e l’energia pelagica per le Americhe. Per non parlare delle agroenergie e della geotermica. Nel più piccolo ci si deve rendere conto che è necessario investire oggi per risparmiare e guadagnare un domani. Anche in salute. Per questo nel restaurare il vecchio e nel progettare il nuovo si devono impiegare le tecnologie migliori, soffermarsi sul dettaglio. Quello che è relativamente nuovo è necessariamente più costoso ma solo se entra nella consuetudine, vedrà calare il proprio prezzo, migliorando il vivere uno spazio. Post scriptum: presi da tutto l’Amore di dicembre non si è dato risalto agli inizi dei lavori per il ponte sullo stretto di Messina. Grande opera… inutile e non progettata: stanno diminuendo gli scambi commerciali e turistici su gomma dalla Sicilia, i commercianti non sono incentivati all’utilizzo dei treni obsoleti che
vi transiteranno e i test statici progettuali non sono soddisfacenti per garantire la sua stabilità. Tutto ciò tralasciando l’impatto sull’ambiente degli oltre tre chilometri di campata e i finanziamenti non trasparenti. Appunto: ecco un esempio sul cosa non fare per un domani.
Il futuro é oggi,
almeno a Modena
Alessio Mori Non ci allontaneremo di molto, geograficamente parlando, ma il salto temporale sarà grande. Già perché parleremo della Modena del futuro, anzi di Modena Futura.
Siete pronti?
Modena Futura è una storia che comincia un po’ di tempo fa, ma di cui non se ne è mai parlato tanto; almeno fino al momento in cui la decisione è stata ufficialmente presa: Modena Futura è un progetto destinato alla realizzazione. Punto. La cosa è un po’ strana, soprattutto nel comune modenese che ha fatto della trasparenza e del dialogo i propri cavalli di battaglia. E’ ancora più strana se si pensa che questo progetto andrà direttamente ad influire sulla vivibilità della città, e quindi inciderà su tutti noi. Ma veniamo ai fatti.
“Modena Futura. Riflessioni sulla città che cambia” è un ambizioso programma di rinnovamento della città, che si pone come obiettivo ultimo l’innalzamento della popolazione alla quota di 230.000 abitanti entro l’anno 2050. Questo attraverso un aumento graduale: dai 180.000 abitanti attuali, ci sarebbe un crescita lenta ma costante che porterebbe allo sfondamento della fatidica quota dei 200.000 nel 2020, per poi, man mano, avvicinarsi al traguardo finale. La crescita della popolazione sarebbe frutto del rientro dei cittadini modenesi che hanno avuto la necessità di fuoriuscire dalla città nel corso degli anni (in quanto il prezzo delle case o degli affitti avevano raggiunto livelli eccessivi) e del raddoppio della popolazione straniera (dall’attuale 10%). Concludiamo il festival delle cifre, prima di tentare un ragionamento sulla manovra. L’incremento della superficie urbanizzabile sarebbe del solo 3%, passando dal 22% del 2009 al 25% del 2050. Concorrerebbe a ciò, oltre al condivisibile recupero delle aree industriali in disuso (Villaggio Artigiano, Modena Est,…) e al potenziamento delle aree Peep esistenti, un’intensiva urbanizzazione della zona Sud della città: quella porzione di città compresa tra il centro storico e l’autostrada del Sole. E’ proprio questa zona che ha creato il maggior scalpore: la sezione modenese di Italia Nostra (un’associazione di promozione sociale ambientalista e di salvaguardia dei beni culturali, nata nel 1955 e riconosciuta nel 1958 con decreto presidenziale) ha condotto studi che avrebbero scoperto una compravendita di questi terreni un po’ particolare. La zona interessata è composta solamente da terreni agricoli non destinati alla edificazione, ma questi sono stati venduti a società private di costruzione a costi di mercato
paragonabili a terreni regolarmente edificabili. E sembra che si parli di cessioni pari a circa un milione di metri quadrati (venduti a prezzi che variano dai 50 ai 100 euro al metro quadrato). Un business difficile da ostacolare, insomma. Ma Modena ha veramente bisogno di un progetto così “ambizioso”? E, soprattutto, può essere in grado di sostenere un tale incremento di popolazione senza portare peggioramenti alla vita dei suoi abitanti? Ricordiamoci che il nostro capoluogo di provincia è una città ad oggi vivibile, ma che ha una mobilità abbastanza congestionata e non eccelle di certo per i trasporti pubblici. Figuriamoci con 50.000 persone in più… Ma i progetti di crescita, sviluppo ed innovazione non si fermano di certo qui: incremento della zone Ztl (per il quale, checché se ne dica, io non sarei nemmeno troppo contrario), estensione del polo universitario (fino al raggiungimento della quota dei 13.000 iscritti, e anche per questa cosa non ci vedo nulla di dannoso), aumento dei parcheggi a pagamento (compreso il nuovissimo parcheggio “monstre” al parco Novi Sad, interrato, che andrà a sostituirsi all’attuale, gratis e quindi assai comodo). Il progetto Modena Futura è contenuto nel più ampio “Laboratorio della città”. Sette università italiane hanno elaborato altrettanti progetti per un cambiamento massiccio della città. Vediamolo velocemente. L’università di Bologna ha progettato la ristrutturazione ed il potenziamento della stazione ferroviaria, ad essa andrebbe accorpata quella degli autobus e verrebbero collegate al centro storico attraverso una rete di comunicazione sotterranea. La facoltà di Cesena ha studiato il recupero del Villaggio Artigiano, della zona della Madonnina e dell’area di S. Cataldo, mentre la Iuav di Venezia
quello di Modena Est. L’ateneo di Firenze si è concentrato sullo sviluppo di via Emilia Ovest e quello di Parma su via Emilia Est. Il Politecnico di Torino ha sviluppato un progetto per la rivisitazione del sistema verde e dei parchi urbani, e l’università di Genova ha curato Modena Futura. E non dimentichiamoci delle piazze dell’architetto Botta: dopo le polemiche innescatesi subito dopo la loro presentazione, su di esse è sceso il silenzio. Ci sono senza dubbio idee buone, ma ce ne sono anche di poco chiare. Speriamo che il dialogo che dovrebbe contraddistinguere una buona amministrazione non cessi per lasciare spazio al silenzio della monetizzazione selvaggia. In caso contrario, prepariamoci ad assistere all’enorme cantiere che diventerà la nostra cara Modena. Punto di osservazione privilegiato sarà la torre da dodici piani che sorgerà nel nuovo complesso dell’area ex Amcm. L’appuntamento dovrebbe essere tra qualche anno. Restiamo in contatto.
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MANIFESTO DELL'EPOCA ATTUALE Càbianca
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In conclusione: il termine attuale svela in sé il suo significato. Significato di un’epoca in estremo potenziale. Un potenziale così alto da poter disintegrare il mondo stesso o il cosmo con le stesse mani. Un mondo in atto, in cui tutto è libero e niente è legale ma combatte per affermarsi.
IL DARWIN EVOLUTIVO
MALE D'OTTIMIZZAZIONE Giorgio Po Quando mi chiesero di scrivere per quello che poi sarebbe diventato Mumble, circa un anno fa, usai un articolo de “il Giornale” come fonte ispiratrice per un primo editoriale che potesse riassumere quelle che erano le mie posizioni per le tematiche ambientali. L'articolo del 7 di Gennaio
2009, non a caso fatto uscire dopo la nevicata di Milano, bollava senza mezzi termini come catastrofisti i sostenitori del riscaldamento globale, e attribuiva a semplici effettori ambientali le anomalie climatiche osservate negli ultimi anni. Non solo la nostra generazione è nata nell'era del Global Warming, dell'inquinamento, della deplezione della fascia d'ozono, e dell'abbattimento della biodiversità, ma siamo anche la generazione che sta osservando la completa incapacità dell'uomo moderno di fronteggiare i suddetti problemi. Di più, non solo siamo costretti a guardare con delusione ai vari vertici falliti, di cui Copenaghen è solo l'ultimo, ma anche a farci manipolare le idee da chi ancora oggi sostiene che il cambiamento climatico, se esiste, non può in alcun modo essere causato dalle attività antropiche. Come se a Copenaghen quel manipolo di potenti personalità si sia riunito tanto perché non aveva nulla da fare. Non mi resta da domandarmi come può il genere umano avere raggiunto un tale livello di egoismo, capace di bendare gli occhi agli stessi padri di quei figli, che un giorno non troppo lontano dovranno fare i conti con le conseguenze che le precedenti generazioni, direttamente o indirettamente, avranno causato. Appare chiaro che il modo di affrontare questo problema non sia che un riflesso di come è strutturata la nostra società. Si cerca continuamente di massimizzare ed ottimizzare qualsiasi aspetto della nostra vita ma lo si fa in maniera cieca, senza la capacità di guardare veramente avanti.
Anonimo bolognese
Molte sono oramai le lunghezze che ci scindono dall’epoca decorsa, ovvero quella che l’ente storia chiama epoca contemporanea. Con questa accezione in genere si indica il lasso di tempo che va dalla rivoluzione francese ad oggi. Ora io credo si debbano far parecchie differenze da quel punto. Ora che esiste la telematicità, le grandi scoperte nel microscopico, i giganteschi traguardi nello spazio. Quale punto nella storia può essere preso per dare la linea di demarcazione con il passato? Si tratta di un enigma arduo poiché nel secolo XX molte sono le innovazioni che hanno radicalmente cambiato la vita quotidiana come il grande sviluppo di tutte le scienze: quali la medicina che oggi è in continua crescita grazie alla chimica sta scandagliando la vita. Il nucleare come campo d’indagine è sempre più in via di perfezionamento e causò il collasso della seconda guerra mondiale, uno dei primi principi alla globalizzazione. La possibilità di impressionare con la luce una pellicola ha fatto molta strada da essere una mera teoria di Cartesio sulle proiezioni applicata da un generale di Napoleone in carcere in Russia, è divenuta la mimesis della realtà, realtà nella sua accezione più ampia comprendente pure la fantasia. La specializzazione conseguente di tutte le tecniche ha portato alla perdita di coscienza del principio primo.
L'alienazione ha portato all'universalizzarsi, cambiando solo d'ambito le mosse. Troppe scoperte e rivelazioni apocalittiche.
ARTE
LA VISIONE ROMANTICA DI WILLIAM TURNER SULLA NATURA Marina Franza In principio Dio creò la terra e il cielo. Nel 1775, in Inghilterra (a Londra), nasceva l’artista che più di ogni altro sarebbe stato capace di rappresentarli su tela: William Turner. Figlio di un barbiere fabbricante di parrucche, già a 10 anni Turner comincia a manifestare un certo talento artistico. Ad accorgersene è proprio il padre, che, orgoglioso, espone i disegni dell’amato figliolo nel suo negozio (non male come prima galleria espositiva). A soli 14 anni di età viene ammesso alla Royal Academy of Arts: Joshua Reynolds in persona è nella commissione che decide di ammetterlo. Forse il più romantico tra i romantici, non solo per i temi prescelti (il paesaggio, la condizione di dell’uomo di fronte alla natura), ma anche e soprattutto per la modalità innovativa con cui sceglie di rappresentare tali temi. Non a caso, è l’unico artista che, secondo il celebre critico d’arte inglese John Ruskin, sarebbe capace di “rappresentare gli umori della natura in modo emozionante e sincero”. E proprio la natura, nella sua fenomenologia più vivace, è al centro della ricerca di Turner. Non più la natura materna e rassicurante dei grandi classici della pittura, ma una natura spaventosa, imprevedibile, violenta, animata, selvaggia. Non a caso i temi ricorrenti sono naufragi, incendi, le catastrofi naturali e i fenomeni atmosferici, come la tempesta.
Il lato più aneddotico vuole che Turner amasse prima presenziare agli eventi rappresentati, per meglio trasporli su tela: a tal scopo si sarebbe fatto legare all’albero maestro di una nave in tempesta, per provare in prima persona la drammatica esperienza. Artista eccentrico o scriteriato? A noi quel che interessa è che, senza ombra di dubbio, il suo personale procedere nell’indagine artistica lo porta all’elaborazione dell’innovazione:
la trasfigurazione del dato reale è presto realizzata; si apre la strada alla visione lirica e personale dell’artista. Se le primissime opere si pongono in perfetta continuità con la tradizione paesaggistica inglese, ben presto l’attenzione al dettaglio svanisce, nella ricerca di un modo di esprimere la “spiritualità del mondo” e il potere distruttivo della natura, piuttosto che una semplice declinazione artistica dei fenomeni osservati. In tutto questo, l’essere umano non è assente, anzi. A più riprese Turner immette la figura umana nei suoi dipinti; questo non solo per mostrare il suo amore per l’umanità (è pur sempre un romantico), ma anche e soprattutto per evidenziare la sua vulnerabilità e la sua volgarità al confronto con la suprema natura del mondo: una natura che ispira soggezione, una natura che l’uomo non può essere capace di dominare. E allora, a questo punto della storia, la riflessione è scontata: cosa ne è stata di tale, e a nostro parere sana soggezione nel nostro rapporto con la natura? Ci siamo forse dimenticati del rispetto dovuto alla terra, nell’illusione umana di onnipotenza a cui ci ha portato l’evoluzione tecnologica?
QUANDO IL SELVAGGIO E L’APOCALITTICO DIVENTANO LA VOCE DELL’IO Diletta Dalzovo Ambiente, Natura e Spazialità sono oggigiorno diventati termini complessi da spiegare e da circoscrivere, poiché sono ricchi di sovrastrutture e deformazioni culturali. Sarebbe difficoltoso rispondere alla domanda: “Cos’è la Natura?”, dato che il nostro sguardo è pre-orientato da ciò che abbiamo introiettato nel vivere sociale e civile. Questo determina un certo grado di soggettività nel momento in cui si tendono a trasformare i fatti di natura in fatti di cultura e viceversa. C’è quindi, spesso, un’intrinseca tendenza a leggere il proprio stile di vita come parte integrante dell’ordine naturale, quando invece, la naturalità si trova a livelli minimi ed è spesso velata da costruzioni altre. Perciò, in base a queste considerazioni, nulla sembra più poter essere definito come selvaggio o incontaminato. Discostandosi però da tali argomentazioni antropologiche, il cinema si è in molti casi misurato
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con vicende che mettono in luce questo rapporto/confronto con la Natura nelle sue forme che paiono più pure e immacolate. Infatti nel film del 2007 Into the Wild - nelle terre selvagge e nel film del 1979 Apocalipse Now, viene messa in chiara luce, con modalità opposte, questa dialettica sempre presente nella storia dell’uomo. Nel racconto on the road e biografico di Christopher McCandless, narrato nel primo dei due film citati, la Natura diventa come una presenza che si personifica in un’alterità infinita, incontaminata, che ci sovrasta, ma con la quale è possibile stabilire un dialogo lungo il cammino reale e psicologico che il protagonista compie durante il suo viaggio verso l’Alaska. Si percepisce come un senso religioso di ordine, che si manifesta nell’armonia dell’immenso selvaggio. Il timore di quello che è considerato diverso, diventa incontro finalizzato alla saggezza e alla definizione di un sé che si chiarisce nel contatto e nella condivisione con la natura e le sue creature. Al contrario, lo scenario vietnamita
del film Apocalipse Now, ci mostra un rapporto dicotomico, sporco, tetro e ostile con un ambiente impervio e barbaro. L’addentrarsi in questa Natura diventa la metafora simbolica della discesa nell’ Io ancestrale, violento e amorale. Viene così posta una distanza dal convivere sociale e ci si avvicina ad una solitudine angosciante e quasi primordiale. L’uomo di fronte alla libertà assoluta, all’assenza di regole civili e socialmente organizzate viene sopraffatto da una volontà di potenza paragonabile a quella nietzschiana e dal desiderio di sostituirsi a Dio. In questo modo si svelano l’orrore profondo e il proprio cuore di tenebra, sempre presenti nonostante la convinzione dell’uomo occidentale di essere in assoluto moralizzato e giuridicizzato. Difficile quindi stabilire il reale rapporto che esiste tra Natura e Cultura, ma rimarrà per sempre un terreno fertile per il confronto e lo scambio tra civiltà che, anche se sono lontane nelle convinzioni, saranno comunque accomunate dalla continua ricerca di risposte.
BATTAGLIA AL FOTOVOLTAICO Donato Gagliardi L’università di Modena e Reggio Emilia ospita, tra le sue file accademiche, un professore le cui tesi riguardo alla situazione energetica italiana sono particolarmente apprezzate dall’attuale governo nazionale. Non per niente, il professore in questione è l’editorialista di punta della sezione scientifica del quotidiano Il Giornale. Nel suo corso presso la facoltà di Biotecnologie di Modena, tra i testi di riferimento per superare l’esame da lui tenuto, è solito consigliare ai propri sudenti un libro intitolato L’illusione dell’energia dal sole, di cui egli stesso è autore (prefazione di Silvio Berlusconi). L’opera, difficilmente classificabile come manuale scientifico, è incentrata sulla tesi della evidente inutilità ed inefficienza degli impianti eolici e fotovoltaici, rispetto ai ben più remunarativi (energeticamente parlando) impianti nucleari. Le considerazioni intorno alla deontologia professionale di un educatore che si astiene totalmente dal tentativo di indurre i propri studenti a crearsi una personale opinione riguardo ad argomenti simili, ma che anzi cerca di plagiarli fornendo loro una visione assai parziale del problema, le lasceremo ai lettori. E’ comunque interessante analizzare, a livello leggermente più tecnico, il testo in questione ed alcune tesi generalmente sostenute sulle colonne de Il Giornale, dal professore stesso. Nei primi due capitoli de L’illusione..., ad esempio, vengono definite l'energia e la potenza,
oltre che i primi due principi della termodinamica. E' curioso come a pag. 37, dopo aver spiegato la differenza fra le due grandezze fisiche, sia scritto che "Per soddisfare le nostre esigenze d'energia è essenziale poter disporre di adeguata potenza". Un’ affermazione del genere suona quantomeno curiosa, in bocca ad un fisico, soprattutto alla luce della distinzione precedentemente fatta. Questa idea della necessità di potenza adeguata opposta all'energia viene ripresa, tra l’altro, lungo tutto il volume. A pagina 75, invece, il professore afferma che : “il consumo elettrico annuo del nostro Paese è di circa 350 miliardi di kWh, pari a 40 GW-anno”. Un’ equivalenza che lascia perplesso chi sia convinto che 350 miliardi di kWh/anno corrispondano se mai ad un fabbisogno di 40 GW medi (e non GW-anno). In altre parole, probabilmente il professore intende 40GW come potenza media della domanda. Numerose altre inesattezze ed ambiguità di questo genere sono presenti nel testo (non abbiamo sufficiente spazio per elencarle tutte), ma la mancanza che agli “addetti ai lavori” salta all’occhio più di ogni altra cosa, è la totale assenza di riferimenti ad indici EROEI. Qualsiasi fonte di energia, infatti, costa una certa quantità di energia investita da considerarsi come congelata nella fonte di energia stessa (per la costruzione ed il mantenimento degli impianti). Questa quantità è esattamente quella che l'EROEI cerca di valutare e che dovrebbe essere alla base di qualunque discussione che tratti di energetica. Il professore evita volentieri riferimenti ad indici di tal tipo anche quando parla in modo più diffuso del nucleare. I suoi articoli pubblicati da Il Giornale sono spesso panegirici
celebrativi dell’efficienza dell’energia atomica e della sicurezza degli impianti nucleari di nuova generazione. Sul suo articolo tratto da Il Giornale di sabato 19 dicembre, leggiamo ad esempio un’esortazione ad impegnare i 100 miliardi annui (offerti da Obama per gli investimenti dei paesi in via di sviluppo in tecnologie ad emissioni zero) totalmente in centrali nucleari, poichè solo in tal modo si potrebbe raggiungere un, seppure miserrimo, 6% di riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2020. Ammesso e non concesso che ciò sia vero, il professore non tiene conto che i tempi di costruzione di un numero di centrali nucleari adeguato per raggiungere gli obiettivi da lui indicati, vanno ben oltre i dieci anni. I reattori nucleari EPR di terza generazione, di cui si decantano incessantemente i vantaggi, oltre ad avere sistemi di sicurezza e pilotaggio con problemi tali da aver spinto le autorità di controllo europee a varare inchieste sulla progettazione dei sistemi da parte di Edf (la principale azienda energetica francese), richiedono tempi di messa in fuzione pari a 7 – 8 anni, secondo le più rosee aspettative. (L’unica centrale nucleare con reattore EPR costruita in Europa si trova in Finlandia, ad Olkiluoto: i lavori sono iniziati nel 2005 e si prevede termineranno nel 2013). Ma evidentemente, secondo il professore, tutta questa fretta nel ridurre le emissioni è fuori luogo, giacchè per tale data – il 2020 – sarà chiaro a tutti che il surriscaldamento globale è solo una fregnaccia creata ad arte da organizzazioni ambientaliste liberticide.
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DOBERMANN Pierpaolo Salino
Finale Emilia. Mese di dicembre, in tutte le case del comune arriva “finalenotizie”, periodico a cura dell’amministrazione comunale. Pagina 5 è tutta
dedicata al gemellaggio tra il comune di Finale Emilia e il comune di Villa Sant’Angelo, paesino abruzzese colpito duramente dal terremoto dell’estate scorsa. Accanto alle foto di rito e alle dichiarazioni soddisfatte dei due sindaci, l’articolo sottolinea il grande impegno personale del primo cittadino di Finale – “Soragni, che in prima persona si è prodigato per 20 giorni nell’aiuto come volontario e come presidente della Protezione Civile di Finale Emilia” – e dedica un passaggio “a tutte le forze dell’ordine, alle associazioni di volontariato che – ricorda Soragni – con abnegazione e instancabile lavoro si sono prodigate eccetera eccetera eccetera”. Menzione speciale per il primo regalo della ditta Fiori di Finale Emilia al comune colpito dal sisma, la terna scavatrice. Chiusa con un ulteriore elenco degli intervenuti alla giornata, G. Bellodi della Croce Rossa e S. Golinelli dell’Associazione Volontari pro Handicappati “che hanno dato a Bondi (sindaco di Villa Sant’Angelo, n.d.r.) il contributo economico raccolto a Finale Emilia dalle loro e anche da altre associazioni”. L’articolo è colpevolmente monco nel citare le altre associazioni che con il loro impegno sono state vicine al Comune di Villa Sant’Angelo. Il 26 giugno Magnafinal, la F.I.A.S.C.A. e MUMBLE: hanno organizzato una giornata di beneficenza il cui ricavato è interno12 MUMBLE:
stato interamente devoluto al comune abruzzese. Sempre l’estate scorsa il circolo culturale “Lato B” ha organizzato una manifestazione musicale nei giardini pubblici andando a rimpinguare ulteriormente la donazione delle tre associazioni sopra citate. Siamo andati a Villa Sant’Angelo con un pullman di cinquanta persone e un assegno di 2000 (diconsi duemila) euro. Siamo arrivati e abbiamo fritto le frittelle per la popolazione accampata nelle tende. Abbiamo invitato i Fragil Vida che la sera sono arrivati per portare un po’ di allegria alla popolazione abruzzese. E poi siamo ripartiti. Stanchi e felici, con il cuore in mano. La mancata citazione nell’articolo è una svista, sicuramente. Perché sia “finalenotizie” che “Piazza Verdi”, altro periodico di pubblicità/informazione finalese, hanno sempre dato ampio spazio alle iniziative delle associazioni di volontariato attive nel territorio comunale. Infatti nello stesso numero di dicembre due pagine sono riservate alle attività di MAGNAFINAL, 10HP e F.I.A.S.C.A., R6J6 e gli amici di AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA. A tutte le associazioni che con i loro
sforzi devolvono in beneficenza gli utili delle loro manifestazioni valorizzando il territorio – perché organizzare eventi a Finale è sintomo di vitalità cittadina - dovrebbe essere dato ugual peso e importanza. L’attenzione che il Comune rivolge a questi vari enti può essere misurabile dal contributo economico, logistico, ivi compresa la visibilità e il riconoscimento riservati all’iniziativa stessa sugli organi di informazione cittadina. Associazioni di serie A e di serie B non dovrebbero esistere, perché ognuna di queste concorre alla stessa nobile causa, anche se in forme e modi diversi. La beneficenza non è una gara a colpi di feste, a strizzate d’occhio e a promesse sbilenche. La beneficenza non è un mezzo per farsi pubblicità gratuita. La beneficenza non è rivalità. Quello che rimane dopo l’impegno volontario e il divertimento genuino, questa è la beneficenza. Con il nuovo anno colgo l’occasione per fare i miei migliori auguri al neo direttore di MUMBLE: Mirko Roglia. Perché se MUMBLE: rimane un giornale, è anche grazie a lui. Buon lavoro, Direttore.
Spacca tutto.
E ureka.
Il senso della vita?
Dagliene addosso.
Le tre grazie.
Standingovation.
Forza e coraggio.
Mitico.
Oh issa!
Virtù e onore.
Rock 'n' roll.
Moto perpetuo.
dal Collettivo Egogico (di Manuele Palazzi)
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MUMBLE:
Mensile a gratis NUMERONOVE I|dieci mumbleduepunti.it mumbleduepunti@gmail.com I MUMBLÀR: Mirko Roglia |direttore| Alberto Bello Sante Cantuti Diletta Dalzovo Marina Franza Donato Gagliardi Francesco Grimaldi Thomas Malaguti Alessio Mori Manuele Palazzi Samuele Palazzi Giorgio Po Pierpaolo Salino Giacomo Vincenzi PROGETTO GRAFICO Elena Golinelli VIGNETTE Paolo d'Antonio FOTOGRAFIE Emiliano Rinaldi Federico Ferfoglia WEB DESIGN Alberto Bello MULTIMEDIA Lorenzo Ravazzini
A fianco: Senza titolo #29 Luca Domeneghetti MUMBLE: è un progetto dell'associazione culturale Visionnaire di Camposanto (Mo). Questo è uno spazio pubblico. Pubblicazione mensile registrata presso il tribunale di Modena aut. num. 1972 del 17/09. Stampato presso Graphic Center Mirandola (Mo)